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IL PANTHEON
La forma ideale del tempio rotondo e il concetto di “spazio interno“.
Relatrice: dott.ssa Manuela Rebellato
Il più bello, il meglio conservato dopo due millenni e il più imitato tra gli antichi edifici di Roma.
Alle sue forme si ispirarono Andrea Palladio, gli architetti georgiani, i neoclassici e i loro seguaci fino a gran
parte dell’Ot-tocento. L´imponente cupola misura 43,30 m. di diametro e altrettanti in altezza, racchiudendo
una perfetta sfera ideale; è la cupola più grande di tutta la storia dell´architettura ed è l´unico edificio romano che ha mantenuto fino ad oggi la stessa funzione (religiosa) per cui fu costruito. È un sapiente saggio di
tecnica costruttiva, raffinata contaminazione tra la cella rotonda di tipo termale e il tradizionale pronao a timpano dei templi.
Il tempio fu eretto nel 27 a. C. per volere di Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto; fu però Adriano a
riedificarlo nel 118-125, conservando e ricollocando sulla fronte l´iscrizione originaria che a lungo ha ingannato gli studiosi quanto all´esatta datazione del monumento che sorgeva al centro di una zona ricca di basiliche, templi, archi. Il livello originale della piazza, di ben tre metri inferiore a quello attuale, impediva di vedere la cupola del Pantheon dalla piazza tutta porticata che lo precedeva. Con la fine dell´impero cadde in rovina fino a quando Foca, imperatore di Bisanzio, lo cedette nel 608 a Bonifacio IV, che lo dedicò a tutti i santi
martiri. Nel 1625 venne privato da Urbano VIII Barberini del rivestimento bronzeo delle travi del portico per
ricavarne 80 cannoni destinati a Castel S. Angelo e le quattro colonne tortili del baldacchino di S. Pietro.
Il popolo, per bocca di Pasquino, commentò: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini (ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini). Nel Rinascimento il Pantheon diventò il mausoleo degli artisti che si ispiravano alla riscoperta della bellezza classica: vi sono sepolti Raffaello, Annibale Carracci, Baldassarre Peruzzi,
Taddeo Zuccai, Perin del Vaga. All’indomani dell’unità d’Italia fu designato sacrario della famiglia reale: i conseguenti restauri eliminarono la cancellata del pronao e i campanili aggiunti da Gian Lorenzo Bernini (definiti
dalla voce popolare “orecchie d’asino” per la loro disarmonicità con l’insieme).
Le 16 colonne monolitiche del pronao in granito grigio e rosa alte 12 metri, hanno una circonferenza di quattro metri e mezzo. Dotate di capitelli corinzi sono sormontate da un frontone con timpano. Il monumento che
conosciamo è il risultato di una lunga storia; secondo Cesare D’Onofrio, uno dei maggiori romanisti viventi, il
Pantheon sarebbe sorto sul luogo dove, secondo le narrazioni delle fonti arcaiche, Romolo “ascese” in cielo
durante una cerimonia in Campo Marzio. Per secoli in quel luogo, nel giorno della scomparsa di Romolo, si
sono svolti riti e processioni che ricordavano quell’evento soprannaturale.
La scelta del luogo per l’edificazione del Pantheon non fu certo casuale: Agrippa voleva apparire come il nuovo Romolo, il fondatore della fortuna universale dell’Urbe. Il tempio fu dedicato alle sette divinità planetarie.
Parecchie sono le congetture sulla forma complessiva e le dimensioni dell’edificio di Agrippa.
Il primo Pantheon subì incendi ed altre calamitá; fu restaurato più volte finché Adriano, il grande imperatorearchitetto, lo ricostruì forse per intero. La cupola in calcestruzzo -una tecnica d’avanguardia fu probabilmente
realizzata riempiendo di terra il vuoto sottostante.
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A questo proposito è fiorita una leggenda medievale: l’imperatore fece sapere che sotto il gigantesco cumulo
aveva nascosto un tesoro in monete d’oro, per cui i Romani accorsero in massa e rapidamente tolsero tutta
quella terra. Nella costruzione di questo monumento vennero impiegati, dal basso verso l’alto, materiali sempre più leggeri, mentre numerosi archi di scarico distribuivano il peso su otto punti di forza principali. La cupola infatti è costruita in un conglomerato particolarmente leggero (opus caementicium) formato da malta e
da scaglie di travertino, sostituite man mano che si sale da lapilli e pietra pomice gettato su un’armatura lignea.
Concluso il rifacimento, Adriano volle modestamente ricordare l’architetto originario, e ripristinò sul frontone
l’iscrizione commemorativa di Agrippa.
Il Pantheon era probabilmente un tempio “solare”. Alle ore 12 del 21 giugno, solstizio d’estate, il raggio di
sole che attraversa il grande “occhio” alla sommità della cupola, cade esattamente al centro del portale di ingresso. È probabile che “l’occhio” così grande, quasi nove metri di diametro, servisse anche ad osservazioni
astronomiche notturne.
Raccordata al pronao da un corpo rettangolare, la “rotonda” rivela nella sua struttura una complessa simbologia cosmica, cui alludono le 7 nicchie scavate nel tamburo, una per ogni divinità planetaria (Venere, Marte,
Giove, Saturno, Urano, Nettuno, Plutone) e i 5 ordini di lacunari all’interno della cupola sulla sommità della
quale si apre l’oculo, simbolo del disco solare, unica fonte di luce dell’edificio. Esso crea un’illuminazione omogenea, diffusa in tutto l’ambiente, radente nei lacunari e nelle membrature, con effetto tonale di chiaroscuro.
Il Pantheon è la costruzione che meglio esprime il concetto che sta alla base dell’architettura romana: la monumentalità degli spazi interni. L’immagine dello spazio fu senza dubbio la maggiore conquista artistica dei
romani fatta attraverso le costruzioni ad arco- volta- cupola. Questo tipo di costruzione è ciò che differenzia
nettamente l’architettura romana dalle antiche architetture greche o egiziane ed ciò che stabilisce lo sviluppo
futuro dell’architettura, da quella cristiana a quella romanica e gotica (tra il 1 200 e il 1600 d.C.)
Il Pantheon è il risultato più emblematico della costruzione ad “arco-volta-cupola” in cui è fissata, come volle
Adriano, la forma ideale del tempio rotondo rispetto alla forma ideale del tempio greco rettangolare e trabeato simbolicamente rappresentato dal Partenone. Si evidenzia così la volontà di creare uno spazio in perfetto
equilibrio.
Bibliografia
R. Bianchi Bandinelli, L’arte nell’antichitá classica. Etruria-Roma, Torino, Einaudi 1976
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