Tempio Fortuna Primigenia a Preneste Tempio Fortuna

La chiave dell’architettura romana è il concetto di
organismo che deriva dai principi di unità e
proporzione umana dell’architettura greca ma non si
esaurisce in essi. Dall’unità plastica l’architettura
romana giunge all’unità spaziale: l’organismo non è più
un oggetto posto in rapporto con la scena naturale e
con altre entità volumetriche: diventa anzitutto una
forma cava, un contenitore di funzioni, anche molto
complesse, organizzate secondo il principio della
chiarezza dell’ordine gerarchico. Organismo non è
più solo l’edificio ma la sequenza di edifici o la piazza
che spesso si chiude –si pensi ai fori imperiali –
rifiutando ogni connessione con l’ambiente
circostante e definendosi come un organismo
architettonico autonomo. L’organismo è il risultato
della fedeltà a leggi predeterminate, a leggi di
aggregazione delle parti, basate sull’istituzione di un
rapporto di dipendenza le une dalle altre, leggi di
equilibrio basate sul valore riassuntivo delle vedute
generali e sulla simmetria che accentua la
composizine gerarchica traducendo in termini di
masse e cavità la struttura articolata e accentrata
della organizzazione sociale ed amministrativa dello
stato (G. Picard, Architettura romana).
Tempio Fortuna
Primigenia a
Preneste
fine II o I sec. a.C.
Tempio Giove Anxur a Terracina 80 a.C.
Palazzo Barberini sul sito del Tempio Fortuna
Primigenia a Preneste
fine II o I sec. a.C.
Preneste rappresenta la prima grandiosa realizzazione dell’urbanistica romana. Sullo scosceso pendio di un
contrafforte dell’Appennino che domina la città vi era l’antro dove la dea pare desse i suoi oracoli. Delle
grandi rampe portano prima ad una stretta terrazza che, a monte, ha un portico che si incurva a formare
due emicicli; una scala collega ad una seconda terrazza dalla quale si arriva poi ad una grande piazza, la
Cortina , pure delimitata da un portico su tre lati e dall’altro dominata da una specie di teatro scavato nella
roccia viva; questa magnifica composizione piramidale può essere considerata come la prima grandiosa
realizzazione dell’urbanistica romana. Anche il santuario di Ercole a Tivoli, che gli è contemporaneo rivela
una concezione analoga del paesaggio architettonico
Opus incertum
Opus reticulatum
Opus testaceum
La pluriformità del programma edilizio romano che
nettamente si oppone all’univoco tema
dell’architettura greca, la sua scala monumentale,
la nuova tecnica costruttiva degli archi e delle
volte che riduce colonne e trabeazioni a motivi
decorativi, il senso dei grandi volumi nei serbatoi,
nei tumuli, negli acquedotti, negli archi, le
possenti concezioni spaziali delle basiliche e delle
terme, una coscienza altamente scenografica, una
fecondità inventiva che fa dell’architettura romana
, dal Tabularium al palazzo di Diocleziano a
Spalato, una enciclopedia morfologica
dell’architettura , la maturazione di temi sociali
come il palazzo e la casa: sono tutti temi assenti
nell’edilizia greca che affiorano parzialmente
nell’ellenismo e costituiscono la gloria
incontestabile di Roma: nuovi immensi orizzonti
architettonici conquistati al prezzo della rinuncia
alla purezza e allo stile della plastica ellenica.
Sarebbe facile confrontare ed opporre una delle
terme romane ad un tempio greco per dimostrare che
la totale diversità di una impostazione architettonica
che non chiude ma copre lo spazio. Ma anche nei
monumenti nei quali i romani non sfruttarono la loro
capacità di voltare gli ambienti, anche nei templi e
nelle basiliche nelle quali si avvalsero delle coperture
a tetto e del sistema a trabeazione, è chiara
l’antitesi.
Proviamo ad accostare le due piante a un tempio
greco: i romani hanno preso il colonnato che cinge il
tempio greco e lo hanno portato all’interno. Nel
mondo greco, anche quando esistono colonnati
all’interno dei templi rispondevano alla necessità di
sostenere le travi di copertura, non avevano alcun
ruolo nella concezione spaziale dell’interno.
L’edificio del colle Oppio risulta articolato in due parti distinte:
una intorno ad un peristilio rettangolare che aveva al centro una
grande fontana, appariva impostata su un impianto semplice e
classico., e si svolgeva su tre lati laddove il quarto costituito da
un criptoportico che serviva da intercapèedine e sostegno al
terrapieno sottostante. Nella parte orientale gli spazi sono
disposti intorno ad una grande cortile poligonale sul quale si apre
la sala della volta dorata
Nel 64 d. C. un violento incendio al quale l’imperato re Nerone
non fu del tutto estraneo , devastò gran parte della città di
Roma . La ricostruzione della città si accompagnò
all’edificazione della grandiosa residenza di Nerone. In una
prima fase la Domus, detta Transitoria poiché metteva in
comunicazione i possessi imperiali del Palatino con quelli
dell’Esquilino, poi la celebre Domus Aurea.
Gran parte del centro di Roma fu trasformato in un immenso
quartiere residenziale, quasi un’altra città dentro la città.
“Un’intera casa si erigeva nell’Urbe” afferma Marziale, e
Svetonio riferisce versi di scherno affissi nella città attonita
per lo stupore “Roma diventerà una casa! Migrate a Veio,
Quiriti, se questa casa non giungerà ad occupare anche Veio”.
La residenza doveva occupare un’area dai 60 agli 80 ettari e si
estendeva dal Palatino alla Velia, e dal colle Oppuio alla valle del
Colosseo fino al Celio
G. Cozzo, Ingegneria romana, 1928
Il Pantheon, questo meraviglioso monumento così universalmente noto,
rappresenta una delle manifestazioni più mirabili del genio costruttivo dei
romani. L' imponente corpo rotondo che lo costituisce è coperto da una grandiosa
volta laterizia, apparentemente semisferica, che ha un diametro di m. 41,65,
quasi uguale alla sua massima altezza che è di m. 42.75.
Nella massiccia parete circolare sono state ricavate sette celle o tribunalia, di
cui tre circolari e quattro rettangolari (Fig. 186). In corrispondenza dell' asse
del tempio, a sud, corrisponde la tribuna, o altare principale, ed all'estremità
opposta il vano d'ingresso, preceduto da un grandioso pronao in forma di
avancorpo laterizio alla Rotonda, e da un magnifico porticato di sedici colonne
con fronte ottastila. (Fig. 185-187).
Nella parte opposta all' ingresso, esternamente, sono addossate all’edificio
alcune antiche costruzioni in una delle quali, accennante ad un grande salone con
ricca decorazione in marmo, si sono voluti riconoscere i resti del famoso
Laconico o Sudatorio costruito, secondo Plinio, nel 27 a.C. contemporaneamente
al Pantheon, e che avrebbe fatto parte, perciò, delle famose terme Agrippiane
che si svolgevano precisamente in quella località.
COME FU COSTRUITA LA ROTONDA E LA CUPOLA
Passiamo ora allo studio particolare dei concetti esecutivi che hanno presieduto
all’ideazione ed alla costruzione dell'importante monumento, come risultano dalle
mie indagini.
Abbiamo visto come lo spessore dell'anello murario costituente la rotonda e sul
quale poggia la cupola di metri sei in corrispondenza degli otto piloni interposti
tra le celle del tempio; perciò ciascuno di questi piloni avendo una larghezza di m.
8,50 nella fronte interna del tempio e m. 9,75 in quella esterna, se, non
contenesse nel mezzo la cella minore absidata, avrebbe una superficie imponente
di circa 55 metri quadrati. (Fig. 199)
La cupola sferica sarebbe stata così sostenuta da questi otto enormi pilastri,
ognuno dei quali però, per essere composto di una massa muraria così grande,
data la caratteristica struttura cementizia romana, non avrebbe potuto
sottrarsi ad assestamenti inevitabili, una volta ricevuto il carico della parte di
volta che gli corrispondeva; l'assestamento non uniforme di questi piloni si
sarebbe poi certamente verificato anche per il diverso periodo di tempo
richiesto dal prosciugamento e dal consolidamento delle malte del nucleo
centrale rispetto alla parte periferica, meglio esposta agli agenti atmosferici
che possono favorire questo prosciugamento e questo consolidamento.
Un tale serissimo inconveniente doveva certamente preoccupare il grande
costruttore del Pantheon che genialmente escogitò l'opportuno rimedio.
Il Pantheon
costruito secondo Plinio nel 27 a.C.
Sopprimendo infatti il nucleo centrale dei grandi piloni e costruendovi invece delle celle minori absidate, egli
ottenne di facilitare infinitamente il prosciugamento della massa muraria specialmente all'interno in conseguenza
del suo diminuito volume e della aumentata superficie a contatto dell'aria.
L'interposizione di queste celle centrali nei grandi piloni veniva a determinare perciò in ognuno di essi due speciali
zone resistenti, o pilastri (fig. 199) in modo che tutta la copertura a volta riposava sostanzialmente sopra sedici
particolari punti di appoggio, aventi ciascuno sei metri di spessore e circa m. 2,40 di sviluppo all'interno e metri
3,10 all'esterno; certamente i limiti così fissati di questi pilastri non sono assoluti come sembrerebbe dalla figura
stessa ma rispondono molto approssimativamente alle zone murarie più sollecitate.
Cumulativamente perciò questi due pilastri, o zone compresse, equivalevano ai 3/5 della superficie totale di
ciascuno degli otto grandi piloni. Questa la divisione, schematica della parte resistente dell'edificio come deve
essersi proposto l'architetto nell'ideazione del suo piano.
Vedremo come la parte esecutiva corrisponda perfettamente a questo concetto originale.
La speciale costruzione cementizia dei piedritti così ottenuti nei piloni, e così ridotti rispetto a questi, non
potevano lasciare ancora perfettamente tranquilli circa il loro uniforme assestamento, mentre era canone
fondamentale, per assicurare l’integrità della grande volta dopo il suo disarmo, la loro assoluta indeformabilità.
Qui si rivela la genialità dei grandi ingegneri romani. Prima di costruire la cupola tutto il carico della ossatura
murale della rotonda fu concentrata su quei sedici punti di sostegno costringendoli così preventivamente, con una
formidabile pressione, ad un energico assestamento.
Questo scopo fu ottenuto con la serie centrale e
con quella superiore dei grandi volti coassiali a
tutte le celle, sia di quelle grandi interposte tra i
piloni, sia di quelle minori interne ad essi, i cui
arconi di testa appaiono in maniera così
caratteristica sulla parete esterna dell'edificio
come una successione continua di archi disposti in
due ordini.
Nel periodo costruttivo, che precedette
l'esecuzione muraria della cupola tutti questi
grandi voltoni dovevano essere vuoti sotto i loro
intradossi in maniera che tutto il carico come si è
detto, veniva concentrato sui 16 piedritti. (Fig.
195).
Ora gli stessi voltoni della zona superiore, in serie
continua, come si vedono all'esterno, debbono
corrispondere anche nella parte interna della
cupola, subito sopra il suo imposto apparente.
Di essi come si è_detto, la Relazione investigativa
ha ritrovato. solo quelli più grandi rispondenti alle
celle e non ha ricercato quelli minori sopra i piloni
che debbono indubbiamente esistere e sarebbero
indubbiamente risultati disposti come nell’ordine
inferiore se si fosse proceduto ad un assaggio
dell'intradosso proprio in corrispondenza della
freccia che ho segnate nella fig.201.
Dal1', esame della fig. 203 risulta perciò il
contrasto evidente tra il vero sistema
ininterrotto di quest'ultimo ordine di voltoni; e
quello determinato nella Relazione tecnica, fig.
202, che rappresenta una parte di questi arconi
come semplicemente: isolati nella massa murale
della cupola.
Quindi, anche nella zona superiore della rotonda e
sopra il piano d'imposto apparente della cupola
deve ricorrere questa serie ininterrotta di voltoni
lungo tutto il perimetro della strut-tura circolare,
allo scopo di concentrare tutto il carico della
cupola soprastante sopra i sedici piedritti già
considerati.
E' stato detto che durante le investigazioni si è riscontrato che i voltoni dell'ultimo ordine hanno
l'arco frontale molto addentro alla struttura muraria rispetto all'intradosso sferico della cupola;
ora non può assolutamente accettarsi la spiegazione troppo semplicista di questo caratteristico
particolare come è già stata riportata più avanti.
La vera spiegazione invece è talmente ovvia che meraviglia come non sia stata afferrata
immediatamente, al solo esame della riproduzione grafica, del defunto architetto Armanini. Fig.
202.
Infatti ritenendo, come si è ritenuto finora, la volta del Pantheon perfettamente semisferica, il
tamburo sottostante di muratura, sul quale essa appoggia, avrebbe dovuto limitarsi all'altezza
dell'imposto della volta stessa, come appare; invece i romani sopraelevarono ancora di un ordine il
tamburo stesso con un altra serie successiva di voltoni, prima ancora di armare e gettare la volta di
copertura, in modo che la stessa randa e lo stesso raggio che avevano servito a determinare la
rotonda nella parte sottostante alla cornice di imposto della volta, avevano servito per il tratto che
sovrastava alla cornice stessa; il sommo degli arconi quindi doveva venirsi a trovare a piombo con la
parete circolare della rotonda e più internamente rispetto all'intradosso sferico della volta, dopo
che questa fu costruita.
Così la serie superiore di arconi dell'ultimo ordine oltre la funzione di concentramento dei carichi
sulle zone di piedritto compresse, aveva anche, come si è detto, quello più importante di
determinare il vero imposto della volta sferica, molto più in alto, circa otto metri di quello
apparente, realizzando perciò una migliore stabilità della cupola per la diminuita reazione
all'imposto di una massa notevolmente ridotta. Tutte le strutture di rinfianco infatti che avrebbero
dato una notevole spinta furono eliminate e trasformate in un carico perfettamente verticale che
aumentava perciò la stabilità del complesso statico. La fig. 204 riproduce nella lettera A una
sezione della vera calotta sferica di copertura del Pantheon, e nella lettera B una sezione della
volta semisferica, come era ritenuta fino ad oggi. Questa meravigliosa volta semisferica che aveva
destato l'ammirazione di tante generazioni non è altro, perciò, che una calotta sferica di
rispettabile ampiezza che attesta egualmente la scienza costruttiva dei romani, verso i quali
aumenta invece l'ammirazione per i ripieghi geniali con cui sapevano conciliare l'imponenza estetica
con la stabilità dei loro edifici. (Cozzo)
L'avancorpo si presenta sotto l'aspetto di pronao classico, che non avrebbe niente di
notevole al di fuori della sua potenza un pò pesante, se le colonne non fossero disposte in
modo da dividerlo in tre navate terminanti nelle absidi o nell'entrata che esse inquadrano.
Ma questo portico è saldato al corpo dell'edificio in un modo abbastanza infelice e si
potrebbe credere che rappresenti le vestigia di una costruzione anteriore: il fregio ha
infatti un'iscrizione al nome di Agrippa, genero di Augusto, mentre i mattoni della cella
sono datati dagli anni 120 ai 123 d.C.; oggi si sa che il tempio fu completamente
ricostruito da Adriano che, ciononostante, lasciò con ostentazione la dedica ad Agrippa.
Questa cella è dunque una rotonda di mattoni di 43,30 metri di diametro sormontata da
una cupola di uguale altezza. Si cercherebbe invano dei precedenti nell’architettura
religiosa, essi si trovano piuttosto nelle terme (Picard)
A mascherare questo ripiego nella costruzione ed a trasformare la
calotta sferica in una illusoria imponente volta semisferica, i romani si
valsero del grandioso lacunare che ne decora l'intradosso fig. 205 e 206;
osservando bene la fig. 202 si vede che il fondo del grosso cassettonato
corrisponde approssimativamente al fronte degli arconi dell'ultimo ordine
della rotonda, sui quali la calotta sferica imposta completamente e riposa
in pieno.
Aggettano solo le nervature meridiane e le orizzontali che certamente
non pregiudicano affatto la stabilità, e servono, esse solo a conferire alla
cupola il suo aspetto di volta semisferica; infatti mano a mano che la volta
si eleva, il cassettonato diminuisce sempre più di profondità per
terminare in una zona completamente liscia; è evidente perciò che il
maggior spessore lacunare all' imposto serve a mascherare un'esigenza
costruttiva.
L'armatura lignea per la costruzione della grande volta dovette essere
fatta con il manto completamente semisferica e terminante perciò
all'imposto oggi apparente nell'interno del tempio; furono quindi
riportate su di esso le casseformi relative allo scomparto lacunare e fu
cominciata la costruzione della volta chiudendo, innanzi tutto, i vuoti
sotto gli arconi dell'ultimo ordine per giungere sopra di essi all'imposto
reale della calotta sferica, ed alla costruzione della volta propriamente
detta.
Nell'interno del tempio, in corrispondenza di quattro delle
grandi celle rettangolari e di due opposte absidate, vi sono degli
intercolunni
corinzi,
semplicemente
decorativi,
i
quali
non
entrano per nulla nel sistema statico dell'edificio (Fig. 205)
Basta infatti osservare che la cella absidata, ed il vano di
passaggio al pronao, sull'asse dell'edificio, non hanno intercolunni, per
concludere che la loro presenza non era affatto necessaria alla stabilità
dell'opera; in ogni modo si può dire che essi sono stati virtualmente
utilizzati con i piccoli archetti superiori di scarico, che danno loro
l'apparenza di contribuire, in questo modo, ad una ripartizione del carico.
Fig. 202-203.
Questi archetti che in corrispondenza di ciascun intercolunnio, sono in
numero di tre uguali ed a centro ribassato, scaricano sulle colonne il peso
della parte muraria interposta tra essi e l'intradosso delle volte
superiori, mentre le piattabande laterizie sottostanti sgravano da ogni
carico l'architrave marmoreo della cornice.
E' evidentissimo che tutto il complesso della posa in opera delle colonne corinzie, della trabeazione
marmorea e la costruzione degli archetti laterizi di scarico è stato fatto contemporaneamente
all'ossatura circolare della rotonda e prima della costruzione dei grandi arconi soprastanti. Ciò è
facilmente desumibile all'esame della fig. 202 da cui risulta come l'imposto degli archetti debba
essere stato fatto prima della costruzione del grande arcone soprastante. Due pareti sorrette da
archi, e disposte secondo il raggio della rotonda, dividono poi la parte superiore di ogni grande cella
in tre campi corrispondenti agli intercolunni, con una evidente funzione di collegamento e di
contrasto fra le pareti interne ed esterne delle grandi celle
Uguale disposizione di archi minori e di muri radiali è riprodotta nella serie di volte che si trovano
superiormente all'imposto apparente della cupola. Però qui gli archetti di scarico sono stati eseguiti
in un secondo tempo, dopo ultimata completamente la rotonda e la grande armatura lignea della
cupola ; ciò appare evidente dal modo d'imposto dell'archetto estremo di destra, ottenuto con una
leggera incassatura nel piedritto dell'arcone superiore, preesistente.
L'evoluzione del santuario romano termina dunque nel Pantheon, antitesi perfetta, in tutti i suoi
elementi, del tempio greco: l'interesse riportato ad un interno completamente chiuso, la pianta
circolare, la copertura a volta, la struttura, il materiale, il sistema delle proporzioni. Adriano ha la
reputazione, d'altronde meritata, di un filelleno e di un classico. La frattura che si è prodotta tra lo
spirito greco del V e IV secolo a.C. e quello del suo tempo, non fa che apparire sempre più radicale. Gli
ateniesi, dei quali questo principe era amico, e che lo scelsero un anno per arconte, si differenziavano
tanto nel modo di vivere e di pensare dai contemporanei di Pericle e di Socrate quanto noi dai sudditi di
Francesco l; uno di essi, il retore Aelio Aristide, ha scritto molto giustamente che essi erano diventati
dei Romani di lingua greca. Vedremo d'altronde, passeggiando per la villa di Tivoli, come Adriano
comprendeva e come trasponeva a modo suo l'eredità di Fidia. Quel che colpisce di più l'occhio, quando
si percorrono le rovine di questa strana residenza ancora meravigliosamente leggibile nonostante il suo
stato di deterioramento, è il predominio della curva in tutti i tracciati, di pianta e di alzato. Gli
architetti del Il secolo si trovano d'accordo ancora una volta a questo riguardo con i più grandi maestri
del barocco, il Bernini, il Borromini, Le Vau, che infatti, raramente sono stati altrettanto audaci.
(Picard)
Panteon il portico
Panteon l’interno
Panteon la struttura
muraria esterna
Panteon particolari
Santa Maria degli Angeli
realizzata da Michelangelo
nel tepidarium delle terme
di Diocleziano
Teatro romano a Bosra
Teatro romano ad Orange