Il Pantheon
Il Pantheon è un edificio di Roma antica, costruito come tempio dedicato a tutti gli dèi.
All'inizio del VII secolo il Pantheon è stato convertito in chiesa cristiana, chiamata Santa Maria ad Martyres, il che gli
ha consentito di sopravvivere quasi integro alle spoliazioni apportate agli edifici della Roma classica dai papi.
Etimologia della parola
La parola Pantheon è un prestito greco che la lingua italiana ha mantenuto per tramite del latino: in greco τό πάνθειον è
un aggettivo sostantivato indicante "la totalità degli dei".
Storia
Il primo Pantheon fu fatto costruire nel 27-25 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero di Augusto.
L'iscrizione originale di dedica dell'edificio, riportata sulla successiva ricostruzione di epoca adrianea, recita:
M.AGRIPPA.L.F.COS.TERTIVM.FECIT ("Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, edificò").
Cassio Dione Cocceiano afferma che il "Pantheon" potesse avere questo nome forse dal fatto di accogliere le statue di
molte divinità, ma che la sua personale opinione fosse che il nome derivasse il dal fatto che la cupola della costruzione
richiamava la volta celeste (e quindi le sette divinità planetarie).
L'edificio venne distrutto dal fuoco nell'80, venne restaurato sotto Domiziano, ma subì una seconda distruzione sotto
Traiano.
Sotto Adriano l'edificio venne interamente ricostruito. I bolli laterizi (marchi di fabbrica annuali sui mattoni)
appartengono agli anni 115-127 e si può ipotizzare che il tempio venne inaugurato dall'imperatore durante la sua
permanenza nella capitale tra il 125 e il 128. Secondo alcuni il progetto, redatto subito dopo la distruzione dell'edificio
precedente in epoca traianea, sarebbe attribuibile all'architetto Apollodoro di Damasco.
Rispetto all'edificio precedente fu invertito l'orientamento, con l'affaccio verso nord. Il grande pronao e la struttura di
collegamento con la cella occupavano l'intero spazio del precedente tempio, mentre la rotonda venne costruita quasi
facendola coincidere con la piazza augustea circolare recintata che divideva il Pantheon dalla basilica di Nettuno. Il
tempio era preceduto da una piazza porticata su tre lati e pavimentata con lastre di travertino.
L'edificio è costituito da un pronao collegato ad un'ampia cella rotonda per mezzo di una struttura rettangolare
intermedia.
Il pronao
Il pronao, ottastilo (con otto colonne di granito grigio in facciata), m 34,20x15,62 m, era innalzato di m. 1,32 sul livello
della piazza per cui vi si accedeva per mezzo di cinque gradini. L'altezza totale dell'ordine è di 14,15 m e i fusti hanno
1,48 m di diametro alla base.
Sulla facciata il fregio riporta l'iscrizione di Agrippa in lettere di bronzo, mentre una seconda iscrizione relativa ad un
restauro sotto Settimio Severo fu più tardi incisa sull'architrave. Il frontone doveva essere decorato con figure in bronzo,
fissate sul fondo con perni: dalla posizione dei fori rimasti si è ipotizzata la presenza di una grande aquila ad ali
spiegate.
All'interno, due file di quattro colonne dividono lo spazio in tre navate: quella centrale più ampia conduce alla grande
porta di accesso della cella, mentre le due laterali terminano su ampie nicchie che dovevano ospitare le statue di
Augusto e di Agrippa.
I fusti delle colonne erano in granito grigio (otto in facciata) o rosso (otto, distribuite nelle due file retrostanti),
provenienti dalle cave egiziane. I capitelli corinzi, le basi e gli elementi della trabeazione erano in marmo bianco
pentelico, proveniente dalla Grecia. L'ultima colonna del lato orientale del pronao, mancante già dal XV secolo fu
rimpiazzata da un fusto in granito grigio sotto papa Alessandro VII e la colonna all'estremità orientale della facciata fu
ugualmente sostituita sotto papa Urbano VIII con un fusto in granito rosso: l'originaria alternanza dei colori nelle
colonne, dunque, risulta oggi alterata. Le nuove colonne provenivano entrambe dalle Terme Neroniane.
Il tetto a doppio spiovente è sorretto da capriate lignee, sostenute da muri in blocchi con archi poggianti sopra le file di
colonne interne. La copertura bronzea della travatura lignea del pronao fu asportata nel 1625 sotto papa Urbano VIII per
la edificazione del Baldacchino di San Pietro, opera di Gian Lorenzo Bernini, e per la realizzazione di 80 cannoni del
Castel Sant'Angelo: per questo "riciclo" fu scritta la famosa pasquinata "quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini".
Il pronao è pavimentato in lastre di marmi colorati che si dispongono secondo un disegno geometrico di cerchi e
quadrati. Anche i lati del pronao sono rivestiti in marmo.
La struttura di collegamento tra il pronao e la cella rotonda
La struttura intermedia che collega il pronao alla cella è un avancorpo in opera laterizia (mattoni), costituita da due
massicci pilastri che si appoggiano alla rotonda, collegati da una volta che proseguiva senza soluzione di continuità
l'originaria volta sospesa in bronzo della parte centrale del pronao. Nei pilastri sono inserite scale di accesso alla parte
superiore della rotonda. La parete è rivestita con lastre di marmo pentelico e decorata all'esterno e ai lati della porta
della cella da un ordine di lesene che prosegue l'ordine del pronao.
L'interno della rotonda
Lo spazio interno della cella rotonda è costituito da un cilindro coperto da una semisfera. Il cilindro ha altezza uguale al
raggio (21,72 m) e l'altezza totale dell'interno è uguale al diametro (43,44 m).
Al livello inferiore si aprono sei ampie nicchie (con due colonne sul fronte), a pianta alternativamente rettangolare (in
realtà trapezoidale) e semicircolare, più la nicchia dell'ingresso e l'abside. Questo primo livello è inquadrato da un
ordine architettonico con le colonne in corrispondenza dell'apertura delle nicchie e lesene nei tratti di parete intermedi,
che sorreggono una trabeazione continua. Solo l'abside opposta all'ingresso è invece fiancheggiata da due colonne
sporgenti dalla parete.
Tra le lesene, negli spazi tra le nicchie, sono presenti otto piccole edicole su alto basamento, con frontoncini
alternativamente triangolari e curvilinei. Le pareti sono rivestite da lastre di marmi colorati
Il pavimento della rotonda è leggermente convesso per far si che la pioggia che scende all'interno del tempio attraverso
l'oculo posto sulla cima della cupola, defluisca verso dei canali di scolo posti sul perimetro della rotonda. Esistono
alcune leggende secondo cui dall'oculo non entra la pioggia, a causa di un sistema di correnti d'aria, ma sono
evidentemente false. Il rivestimento è in lastre con un disegno di quadrati in cui sono iscritti alternativamente cerchi o
quadrati più piccoli.
La cupola
La cupola, del diametro di 43,44 m, fu realizzata con una sola gettata ed è decorata all'interno da cinque ordini di
ventotto cassettoni, di misura decrescente verso l'alto, tranne nell'ampia fascia liscia più vicina all'oculo centrale, di 8,92
m di diametro. L'oculo, che dà luce alla cupola, è circondato da una cornice di tegoloni fasciati in bronzo fissati alla
cupola, che forse proseguiva internamente fino alla fila più alta di cassettoni. Una curiosità riguardante l'oculo sta
nell'"effetto camino": infatti, quando piove, la corrente d'aria ascensionale porta alla frantumazione delle gocce d'acqua,
così all'interno sembra che non piova e, inoltre, per evitare pozze d'acqua all'interno, sono stati fatti dei fori sia centrali
che laterali per lo scolo dell'acqua.
La realizzazione fu resa possibile grazie ad una serie di espedienti che contribuiscono all'alleggerimento della struttura,
dall'utilizzo dei cassettoni, all'uso di materiali via via sempre più leggeri verso l'alto: nello strato più vicino al tamburo
cilindrico abbiamo strati di calcestruzzo con scaglie di mattoni, salendo troviamo calcestruzzo con scaglie di tufo,
mentre nella parte superiore, nei pressi dell'oculo troviamo calcestruzzo misto a materiale vulcanico.
All'esterno la cupola è nascosta inferiormente da una sopraelevazione del muro della rotonda, ed è quindi articolata in
sette anelli sovrapposti, l'inferiore dei quali conserva tuttora il rivestimento in lastre di marmo. La parte restante era
coperta da tegole in bronzo dorato, asportate dall'imperatore bizantino Costante II, ad eccezione di quelle che
circondavano l'oculo, tuttora in situ. Lo spessore della muratura diminuisce verso l'alto (da 5,90 m inferiormente a 1,50
m in corrispondenza della parte intorno all'oculo centrale). Inoltre, all'interno della muratura sono stati usati diversi tipi
di laterizi sempre più leggeri via via che si procede verso l'alto (nella parte culminante ci sono addirittura delle
leggerissime pomici). Questi accorgimenti hanno permesso il bilanciamento del peso della cupola e sono il segreto della
sua straordinaria durata (vedi anche la sezione seguente).
Numerologia
All’interno la cupola ha cinque anelli concentrici di 28 cassettoni. È interessante notare che la scelta del 28 quale
numero dei lacunari di ogni anello ha un significato simbolico. I matematici infatti chiamano il 28 “numero perfetto”.
Al pari del 6 è definito così perché uguale alla somma dei suoi divisori (28=1+2+4+7+14). Di tali numeri si occupa
Euclide (IV-III secolo a.C.) il grande matematico greco vissuto ad Alessandria d’Egitto, autore di un’opera che tratta di
aritmetica e geometria.
L’aver fatto ricorso al 28 sarà parso all’architetto del Pantheon una scelta più che opportuna per simboleggiare il divino.
Già la forma della cupola e le proporzioni del tamburo, con la conseguente possibilità di immaginare una sfera
idealmente inscritta all’interno della struttura, costituiscono un’allusione all’eccellenza. Infatti la filosofia greca
considera la sfera il solido geometrico perfetto, simbolo della volta celeste e del creato.
La struttura
La cupola poggia sopra uno spesso anello di muratura in opera laterizia (cementizio con paramento in mattoni), sul
quale si trovano aperture su tre livelli (segnalati all'esterno dalle cornici marcapiano).
La particolare tecnica di composizione del cementizio romano permette alla cupola priva di rinforzi di restare in piedi
da quasi venti secoli. Una cupola di queste dimensioni sarebbe infatti difficilmente edificabile con le moderne
tecnologie, data la poca resistenza alla tensione del cemento moderno. Il fattore determinante sembra essere una
particolare tecnica di costruzione: il cementizio veniva aggiunto in piccole quantità drenando subito l'acqua in eccesso.
Questo, eliminando in tutto o in parte le bolle d'aria che normalmente si formano con l'asciugatura, conferisce al
materiale una resistenza eccezionale. Inoltre venivano utilizzati materiali via via più leggeri per i caementa mescolati
alla malta per formare il cementizio: dal travertino delle fondazioni alla pomice vulcanica della cupola.
Le caratteristiche dell'architettura
La costruzione del Pantheon fu un capolavoro di ingegneria, dove l'idea architettonica venne perfettamente interpretata
con un approccio tecnico empirico (i cedimenti e le incrinature varificatisi subito dopo la costruzione vennero
prontamente rimediati). La spazialità perfettamente sferica regala all'osservatore una sensazione di straordinario
armonia, "immota ed avvolgente, grazie anche agli equilibrati rapporti tra le varie membrature, con articolati effetti di
luce ed ombra nelle cassettonatue, nelle nicchie e nelle edicole.
L'inserzione di un'ampia sala rotonda alle spalle del pronao di un tempio classico non ha precedenti nel mondo antico,
almeno a giudicare dalle architetture che ci sono pervenute o che conosciamo dalle fonti letterarie.
L'operazione di fusione tra un modello classicista (il pronao colonnato) e un edificio dalla spazialità nuova, tipicamente
romana (la rotonda), fu una sorta di compromesso tra la spazialità dell'architettura greca (attenta essenzialmente
all'esterno degli edifici) e quella dell'architettura romana (centrata sugli spazi interni). Ciò suscitò varie critiche, ma si
trattava "di un ovvio tributo al dominante classicismo della cultura di Roma", che si manifestò durevolmente anche nei
secoli successivi.
Il modello dello spazio circolare e coperto a cupola fu ripreso da quello delle grandi sale termali "imperiali" di Baia e
Roma, ma fu una novità l'utilizzo di questo tipo di copertura per un edificio templare.
L'effetto di sorpresa nel varcare la porta della cella doveva essere notevole e sembra caratteristico dell'architettura di
epoca adrianea, ritrovandosi anche in molte parti della sua villa privata a Tivoli.
Un ulteriore elemento di novità era l'introduzione di fusti monolitici lisci di marmo colorato per le colonne di un
tempio, al posto dei tradizionali fusti scanalati in marmo bianco.
La storia successiva
Le fonti ci rendono noto un restauro sotto Antonino Pio, mentre l'iscrizione incisa sulla trabeazione della fronte, ricorda
altri restauri sotto Settimio Severo (nel 202), di portata per lo più marginale.
L'edificio si salvò dalle distruzioni del primo Medioevo perché già nel 608 l'imperatore bizantino Foca ne aveva fatto
dono a papa Bonifacio IV, che lo trasformò in chiesa cristiana (Sancta Maria ad Martyres). Questo nome proviene dalle
reliquie di ignoti martiri cristiani che vennero traslate dalle catacombe nei sotterranei del Pantheon.
Fu il primo caso di un tempio pagano trasposto al culto cristiano. Questo fatto lo rende il solo edificio dell'antica Roma
ad essere rimasto praticamente intatto e ininterrottamente in uso per scopo religioso fin dal momento della sua
fondazione.
Le tegole di bronzo dorato che rivestivano all'esterno la cupola furono asportate per ordine di Costante II, imperatore
d'Oriente nel 663 e sostituite con una copertura di piombo nel 735. Gli elementi in bronzo della copertura del pronao e,
forse, anche le sculture del frontone subirono la medesima sorte nel 1625 sotto papa Urbano VIII Barberini. Nello
stesso periodo furono aggiunti ai lati del frontone due campanili, opera di Gian Lorenzo Bernini fin da allora oggetto di
critiche molto accese, presto conosciuti con il dispregiativo di "orecchie d'asino"; furono eliminati nel XIX secolo.
A partire dal Rinascimento il Pantheon è stato usato anche come tomba. Vi si conservano, fra gli altri, i resti dei pittori
Raffaello Sanzio ed Annibale Carracci, dell'architetto Baldassarre Peruzzi e del musicista Arcangelo Corelli.
Un cenno a parte va fatto per le tombe dei re d'Italia: Vittorio Emanuele II, la cui tomba è collocata nella cappella
adiacente all'affresco di Melozzo, il figlio Umberto I e la sua consorte regina Margherita. Queste tombe vengono
mantenute in ordine da volontari delle organizzazioni monarchiche.