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Funzione progettazione
innovazione sociale
r
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
RAPPORTO di RICERCA
A cura di
Gianfranco Zucca
IREF (Istituto di Ricerche Educative e Formative)
1. ANALIZZARE IL VISSUTO GIOVANILE IN NOVE CITTÀ ITALIANE: IL DISEGNO E GLI
OBIETTIVI DELL’INDAGINE QUANTITATIVA
Nella logica progettuale di Riconoscersi la realizzazione di un’indagine quantitativa sul
vissuto dei giovani nelle nove sedi di sperimentazione risponde innanzitutto all’esigenza
dicoinvolgere i partecipanti al progetto in un percorso di sollecitazione e ascolto del
proprio territorio attraverso l’uso degli strumenti della ricerca sociale, così da
strutturare e restituire quella che è l’esperienza di vita dei loro coetanei. L’idea di
realizzare uno studio sulla condizione giovanile nelle nove sedi di progetto risponde
infatti all’esigenza, tipica della ricerca-azione, di rendere soggetti attivi nella costruzione
della conoscenza coloro che, di solito, sono soggetti passivi. I ragazzi hanno quindi avuto
modo di apprendere e poi applicare concretamente le tecniche di rilevazione delle
informazioni necessarie per realizzare un’indagine su base statistica, così come nelle
precedenti azioni di progetto era avvenuto con gli strumenti della ricerca qualitativa
(l’intervista focalizzata). Successivamente hanno dovuto organizzare la rilevazione sul
territorio, scegliendo dove e come incontrare i propri coetanei. La realizzazione delle
interviste ha permesso loro di entrare in contatto con ambienti e persone che non
conoscevano, creando dei legami di conoscenza anche al di fuori delle cerchie abituali.
Sotto il profilo contenutistico la ricerca ha cercato di approfondire due temi.
(1)
(2)
Innanzitutto si è voluto comprendere quali siano le linee di tensione
dell’esperienza giovanile, come le diverse sfere di vita (lavoro, scuola,
partecipazione) arrivino a coesistere e con quali risorse i giovani provino a
costruire i propri progetti di vita. Tutto ciò con, sullo sfondo, lo scenario di
crisi economica e occupazionale che, come è facile intuire, adombra gran
parte delle scelte e delle opinioni degli intervistati.
In seconda battuta, la ricerca ha inteso raccogliere il punto di vista dei
giovani rispetto ai modi con i quali restituire centralità alla questione
giovanile. Su questo fronte, il punto di partenza è stata l’idea che spesso le
misure in favore dei giovani sono calate dall’alto, ossia vengono pensate,
proposte e applicate senza sentire il parere dei diretti interessati. Ciò è sia un
problema di rappresentanza sia di capacità di influenza, o forse meglio, di
disponibilità da parte degli adulti a essere influenzati. In altre parole, il
secondo grande tema sviluppato all’interno dell’indagine è come i giovani
possono far sentire la propria voce?
2. LE CARATTERISTICHE TECNICHE DELL’INDAGINE
L’indagine con questionario è stata rivolta ai giovani tra i 16 e i 35 anni residenti nelle 9
sedi di sperimentazione del progetto. Prima di entrare nel merito dei risultati è
necessario precisare le caratteristiche tecniche della rilevazione. Nella tabella 1, è
indicata la distribuzione per sede di sperimentazione delle interviste realizzate,
distinguendo tra questionario auto compilato da parte dell’intervistato e questionario
somministrato da un intervistatore.
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Nel complesso sono state raccolte 823 interviste. Per ogni sede si era previsto di
realizzare 100 interviste, tutte le province sono riuscite a raggiungere questo obiettivo,
fatta eccezione per Agrigento (73 interviste), Firenze (51) e Milano (99). Quasi i due
terzi sono state auto compilate dagli stessi intervistati, il rimanente terzo (34,9%) è
invece stato somministrato da un intervistatore. Questa ripartizione non però è uguale
per tutte le sedi di sperimentazione.
Tabella 1 – Distribuzione provinciale interviste per modalità di somministrazione del questionario
SEDE
Agrigento
Benevento
Brescia
Catania
Catanzaro
Firenze
Milano
Pisa
Torino
Totale
MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE
Autocompilato
Con intervistatore
v.a.
%
v.a.
%
54
74,0
19,0
26,0
53
53,0
47
47,0
60
60,0
40
40,0
63
63,0
37
37,0
45
45,0
55
55,0
31
60,8
20
39,2
99
100,0
–
–
55
55,0
45
45,0
76
76,0
24
24,0
536
65,1
287
34,9
Totale
v.a.
73
100
100
100
100
51
99
100
100
823
%
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 0
Un’altra informazione indispensabile a precisare il contesto operativo della ricerca
è il luogo dove è stata realizzata l’intervista (tab. 2). Poco meno di un quarto dei
questionari (23,3%) è stato raccolto presso le sedi di gruppi ecclesiali e in spazi collegati
al mondo dell’impegno giovanile di area cattolica; un altro quarto delle interviste
(23,2%) è stato ottenuto sollecitando i giovani che lavorano o fanno volontariato presso
i circoli delle ACLI o nelle sedi dei servizi dell’associazione; mentre Il 21,6% è stato
raccolto contattando giovani in altre associazioni di volontariato o d’impegno sociale. I
questionari distribuiti nei luoghi pubblici come bar e biblioteca sono stati il 12,5% del
totale, mentre quelli veicolati presso scuole è università il 12%. Infine, il 7,3% dei
giovani contattati è stato incontrato a casa propria. Questi dati evidenziano che il
campione di giovani considerato sia abbastanza connotato in termini di retroterra
culturale: la presenza di giovani impegnati in organizzazioni di ascendenza cattolica è
consistente: più del 45%. Così come se si considerano i ragazzi contattati all’interno
della rete associativa la percentuale sale a oltre due terzi del totale.
Tabella 2 – Luogo dove è stata realizzata l’intervista
LUOGHI DOVE È STATA REALIZZATA L’INTERVISTA
Gruppi ecclesiali
Acli
Associazioni
Luoghi pubblici
Scuola e università
Abitazione
Totale
v.a.
192
191
178
103
99
60
823
%
23,3
23,2
21,6
12,5
12,0
7,3
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 0
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Sarà interessante verificare le differenze di opinioni tra questi due sottogruppi e i
giovani che invece non hanno esperienze del genere.
Infine un ultimo dato: l’indagine è stata realizzata in 38 città italiane: in particolare, tre
delle sedi di sperimentazione hanno scelto di realizzare i colloqui anche in altri comuni
della provincia (si tratta di Torino, Brescia e Agrigento); le altre sei sedi hanno invece
realizzato tutte le interviste nel comune capoluogo.
Dopo aver descritto i dettagli tecnici della rilevazione è opportuno presentare i
dati relativi al profilo demografico degli intervistati così da avere tutte le informazioni
preliminari sul collettivo statistico che si andrà ad analizzare. Nella tabella 3 è
presentata la composizione per sesso e classe di età degli 823 individui contattati per
l’indagine.
Tabella 3 – Intervistati per età in classi e sesso(% sul totale)
SESSO
ETÀ IN CLASSI
16-20 anni
21-25 anni
26-30 anni
31-35 anni
Totale
Maschio
v.a.
69
142
134
32
377
Totale
Femmina
%
8,4
17,3
16,3
3,9
45,8
v.a.
89
192
134
31
446
%
10,8
23,3
16,3
3,8
54,2
v.a.
158
334
268
63
823
%
19,2
40,6
32,6
7,7
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 0
Il primo elemento da notare è il rapporto maschi femmine: sebbene non fossero
state date delle quote o criteri di campionamento, a parte un’età massima di 35 anni, i
due sessi sono sufficientemente ben rappresentati: 45,8% di uomini, 54,2% di donne.
Per quanto riguarda l’età, quattro intervistati su dieci hanno tra i 21 e i 25 anni, nella
fascia anagrafica successiva (26-30 anni) si trova il 32,6% degli intervistati.
Poco meno del 20% ha invece 20 anni o meno; infine, il 7,7% del totale ha tra i 31 e
i 35 anni. Nel complesso, l’età media degli intervistati è 24 anni (anche la mediana della
distribuzione presenta questo valore). Infine dall’incrocio delle due variabili risultano
alcuni sottogruppi demografici di una certa consistenza numerica: le donne tra i 21 e i
25 anni rappresentano quasi un quarto del campione; mentre gli uomini nelle due fasce
anagrafiche interne (tra i 21 e i 30 anni) ammontano a circa un terzo del campione.
Sotto il profilo tecnico, il campione raccolto nelle sedi di sperimentazione rispetta i
criteri di validità e attendibilità, anche se occorre ricordare che la dizione campione è
qui usata nel senso di “selezione da una popolazione”, ossia senza nessuna connotazione
statistica poiché non è stata operata nessuna operazione di stratificazione o estrazione
casuale degli individui. Ciò nonostante è possibile affermare che gli 823 intervistati
rappresentano un collettivo interessante da studiare e analizzare. Si tratta di un gruppo
di giovani, sicuramente connotato: la provenienza dal mondo dell’associazionismo e la
consuetudini con l’impegno sociale di marca cattolica; allo stesso tempo, si tratta anche
di un gruppo eterogeneo, almeno sotto il profilo anagrafico. Progettando l’indagine si era
chiesto agli operatori locali del progetto Riconoscersi di cercare la massima
differenziazione possibile nei soggetti da intervistare: da questi primi dati sembra che
tale richiesta sia stata accolta.
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rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
È giunto il momento di entrare nel merito delle esperienze e delle opinioni dei
ragazzi del progetto Ri.Con. Sì comincerà da quello che, negli ultimi anni, è diventato un
vero e proprio nervo scoperto della condizione giovanile: il lavoro.
3. IL LAVORO AI TEMPI DELLA CRISI: ANYTHING GOES
Non ci voleva certo la crisi economica per capire che per i giovani il lavoro era uno dei
principali problemi. Per tutta la prima parte degli anni duemila, il dibattito pubblico è
stato monopolizzato dal tema della precarizzazione dell’occupazione giovanile; poi è
arrivata la brutale ristrutturazione del mercato del lavoro praticata da 4 anni di
stagnazione/recessione economica. Prima la diffusione del precariato, poi la crisi: a ben
vedere la maggior parte degli intervistati si è socializzata al lavoro in uno scenario che
attribuiva a questa sfera della vita tratti negativi, problematici, privi di prospettiva (si
ricordi che ragazzi intervistati hanno in media 24 anni). Qual è allora il precipitato
emotivo di dieci anni di crisi dell’occupazione giovanile sulle opinioni dei giovani?
Innanzitutto un distinguo fondamentale (tab. 4). Più di un quarto degli intervistati
(27,1%) lavora in modo continuativo, chiaramente questa condizione riguarda per la
maggioranza soggetti con più di 25 anni (pari al 64% di coloro che lavorano). Accanto
all’individuazione della condizione lavorativa, il quesito mirava anche a rilevare
l’atteggiamento nei confronti dell’avvio di un’attività lavorativa. Dal momento che il
questionario poteva essere rivolto anche a persone ancora impegnate in un percorso
lavorativo, si è scelto di contestualizzare l’atteggiamento rispetto a un arco temporale
sufficientemente ampio: cinque anni. I risultati sono abbastanza interessanti: il 40,3%
del campione spera di iniziare a lavorare continuativamente entro cinque anni, il 9,7%
invece ne è sicuro. I ragazzi che sono di questa opinione nella maggior parte dei casi
(40,5%) abbinano allo studio qualche lavoro saltuario; mentre un altro 34,7% studia e
basta (dati fuori tabella).
Tabella 4 – Condizione lavorativa e atteggiamento nei confronti dell’inizio di un’attività lavorativa
CI PUOI INDICARE SE HAI GIÀ INIZIATO A LAVORARE CONTINUATIVAMENTE OPPURE SE
PREVEDI CHE CIÒ POSSA ACCADERE NEI PROSSIMI 5 ANNI?
Ho già iniziato a lavorare continuativamente
Sono sicuro che inizierò a lavorare continuativamente entro i prossimi 5 anni
Spero di iniziare a lavorare continuativamente entro i prossimi 5 anni
Non credo che inizierò a lavorare continuativamente entro i prossimi 5 anni
È escluso che nei prossimi 5 anni inizierò a lavorare continuativamente
Non so, non posso prevedere
Totale
v.a.
%
223
80
332
73
30
85
823
27,1
9,7
40,3
8,9
3,6
10,3
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 0
Questo sul versante di coloro che ripongono speranza nel proprio futuro
professionale.C’è poi un 12,5% di giovani che questa speranza non la ha: ci sono coloro
che semplicemente non credono a tale prospettiva (9%) e quelli che addirittura la
escludono (3,6%). Sempre sul versante negativo dell’atteggiamento verso il lavoro c’è
anche da precisare che nel campione è presente anche una rappresentanza, seppur
esigua (7,9% del totale), di NEET (Not currently engaged in employment, education or
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training), ragazzi che non studiano e non lavorano. Rispetto a questo piccolo
sottogruppo è interessante notare che più della metà dei NEET intervistati (55,4%)
pensa nei prossimi cinque anni di trovare lavoro1.
Ma da cosa deriva l’atteggiamento nei confronti del lavoro? Sicuramente un fattore
rilevante sono le opinioni sul funzionamento del mercato del lavoro. Una domanda più
precisa è quindi: cosa serve per trovare lavoro? E’ più importante essere competenti e
preparati o conoscere le persone? È meglio essere tenaci o sapersi accontentare? La
tabella 5 presenta le risposte a queste domande. Occorre precisare che nella
formulazione si è avuto cura di delimitare il quesito, riferendo le domande alla
situazione italiana. Più di un quarto degli intervistati (26,5%) ritiene che, in Italia, per
trovare lavoro sia necessario l’aiuto di persone influenti. Tale percentuale sale
all’aumentare dell’età: se tra gli under 20 è il 22,8%, tra i ragazzi con più di 30 anni
supera il 30%.
Tabella 5 – Fattori che aiutano a trovare lavoro
OGGI PER TROVARE LAVORO IN ITALIA QUAL È LA COSA PIÙ IMPORTANTE?
Avere l'aiuto di persone influenti
Essere competenti
Essere tenaci nella ricerca del lavoro
Avere fortuna
Sapersi accontentare
Conoscere tante persone
Sapersi presentare bene
Totale
v.a.
218
138
132
97
89
85
63
822
%
26,5
16,8
16,1
11,8
10,8
10,3
7,7
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 1
Un’altra variabile che condiziona l’andamento di questo indicatore è la sede di
sperimentazione. Tra Torino e Catania ci sono 24 punti percentuali di differenza: gli
intervistati nel capoluogo piemontese, solo il 15,2% degli intervistati pensa che per
trovare lavoro serva l’aiuto di persone influenti; a Catania la percentuale è del 39%. Si
sarà subito notato come le città del Meridione presentino valori nettamente più alti di
quelle del Nord, anche se colpisce trovare quasi appaiate Milano (24,2%) e Agrigento
(27,4%).
La consapevolezza che la “segnalazione” o, con meno indulgenza, la
raccomandazione sia uno dei principali meccanismi di funzionamento del mercato del
lavoro corre, dunque, lungo l’asse Sud-Nord, condizionando la percezione dei giovani
rispetto alle proprie opportunità lavorative. Tornando alla graduatoria presentata nella
tabella 5, al secondo posto e al terzo posto nelle opinioni dei ragazzi intervistati si
trovano la competenza e la tenacia, rispettivamente con il 16,8% e il 16,1%. In
ravvicinata successione percentuale ci sono poi gli item “avere fortuna” (11,8%),
“sapersi accontentare” (10,8%) e “conoscere tante persone” (10,3%).
Grafico 1 – Oggi per trovare lavoro in Italia la cosa più importante è avere l'aiuto di persone influenti per sede di
sperimentazione(%)
I dati purtroppo non permettono di approfondire la questione, tuttavia corre l’obbligo di rilevare come questo dato sia in
antitesi con la rappresentazione di questa categoria di giovani come sfiduciati, volendo supporre: sembrano quasi essersi
presi una pausa nella ricerca del lavoro o nel percorso di studio.
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Torino
15,2
Firenze
17,6
Pisa
21,0
Brescia
23,0
Milano
24,2
Agrigento
27,4
Benevento
33,0
Catanzaro
34,0
Catania
39,0
0,0%
10,0%
20,0%
30,0%
40,0%
Fonte: ACLI-IREF 2013
Raggruppando le modalità di risposta semanticamente contigue, si ottengono tre
atteggiamenti distinti. Il primo è, per così dire, competitivo: contano solo le capacità
personali, quello che una persona sa e l’intensità con la quale desidera trovare il proprio
posto nel mondo del lavoro. Questo modo di vedere accomuna poco meno di un terzo del
campione (32,8%). Il secondo è, invece, remissivo: non conta cosa sai fare, ma
l’intercessione di chi ha il potere di pilotare l’ingresso nel mondo del lavoro, in virtù di
questa convinzione occorre far buon viso a cattivo gioco e accontentarsi delle
concessioni offerte dal potente di turno: il 37,3% dei giovani intervistati sembra
pensarla in questo modo. Il terzo atteggiamento è invece contrassegnato da una grande
fiducia nelle dinamiche relazionali: occorre coltivare i contatti e i legami solo così si ha
accesso alle risorse informative necessarie per trovare lavoro, bisogna curare le
relazioni così come il modo con il quale ci si presenta agli altri perché l’impression
management è fondamentale nel mondo del lavoro: si ritrova in questa opinione il 18%
dei giovani. Infine, un quarto atteggiamento, percentualmente residuale, che non si fa
fatica a etichettare in termini di fatalismo, interpretata da chi dice che per trovare lavoro
in Italia ci vuole solo fortuna.
Una prospettiva che permette di sperimentare questi tre atteggiamenti, fatta
eccezione ovviamente per il fatalismo, è sicuramente la mobilità lavorativa:andare
all’estero o spostarsi dal Sud al Nord per trovare un lavoro è un’opzione che sempre più
giovani mettono in pratica e che anche nel campione raccolto nel corso del progetto
Riconoscersi trova ampio sostegno (tab. 6). Solo il 15,5% degli intervistati non sarebbe
disposto a trasferirsi, il rimanente 84,5% sarebbe invece disposto a lasciare il posto
dove vive alla volta di una meta dove fosse possibile migliorare la propria condizione
lavorativa. La disponibilità alla mobilità può essere limitata: il 19,5% sarebbe disposto a
trasferirsi in un altro comune della propria regione; oppure più ampia: si trasferirebbe
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dal Sud al Nord o viceversa il 18,1% dei ragazzi (con all’interno una netta
preponderanza di giovani residenti nelle città del Sud).
Tabella 6 – Disponibilità alla mobilità lavorativa
PER MIGLIORARE LA TUA SITUAZIONE LAVORATIVA, SARESTI DISPOSTO A
TRASFERIRTI…
In un altro comune della tua regione
In un'altra zona dell'Italia (dal Sud al Nord, o viceversa)
In un paese europeo appartenente all'UE
In un paese europeo non appartenente all'UE
In un paese extra-europeo
Non sono disposto a trasferirmi
Totale
v.a.
%
160
149
193
31
162
127
822
19,5
18,1
23,5
3,8
19,7
15,5
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 1
La quota di giovani disposti a trasferirsi in Italia è comunque minore della
percentuale di coloro che invece vedrebbero un futuro lavorativo all’estero: in totale si
tratta del 47% del campione. La maggioranza degli appartenenti a questo sottogruppo
(23,5%) preferirebbe un paese dell’UE, mentre il 19,7% andrebbe anche in un paese
extra-europeo.
Analizzando meglio questo atteggiamento si scoprono alcuni dettagli degni di nota.
Innanzitutto una considerazione abbastanza ovvia (graf. 2): l’estero è una prospettiva
che attira soprattutto i ragazzi del Nord Italia, mentre i giovani residenti nel Meridione
continuano ad avere più interesse per un trasferimento in Italia, lungo la direttrice SudNord. È questo un dato che conferma la ripresa delle migrazioni interne, fenomeno più
volte evidenziato dalla statistica ufficiale (soprattutto da ISTAT e SVIMEZ).
Grafico 2 – % di giovani che andrebbero a lavorare all’estero(%)
80,0
67,6
64,8
60,0
51,0
48,0
47,0
45,0
40,0
42,0
32,9
30,0
20,0
0,0
Milano
Firenze
Torino
Catanzaro
Brescia
Catania
Benevento
Agrigento
Pisa
Fonte: ACLI-IREF 2013
Per chi invece vive al Nord soprattutto in città come Milano (67,6% di intervistati
che andrebbero a lavorare all’estero) e Firenze (64,8%), geograficamente e socialmente,
già inserite nei circuiti della mobilità intra-europea, la prospettiva di andare a lavorare
in un paese UE è davvero a portata di mano. Nonostante la crisi che ha colpito l’interno
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Paese, in termini comparativi, l’idea di andare a lavorare al Nord per i giovani
meridionali è ancora una prospettiva allettante. C’è poi da dire che la minore
propensione alla mobilità si riscontra soprattutto nei centri più piccoli come Pisa,
Agrigento e Benevento; mentre nelle città medio-grandi come Brescia e Catania rimane a
un livello intermedio. Catanzaro sembra invece fare un po’ caso a se.
Vivere in contesti metropolitani offre più possibilità di conoscere persone che si
sono spostate per lavoro e permette ai ragazzi di percepire il mercato del lavoro come
qualcosa che si estende al di fuori dei confini nazionali.
Il grafico 3 offre un altro dato atteso. La mobilità lavorativa su scala internazionale
attira maggiormente le persone più giovani. Se si scompone il dato a seconda della fascia
di età si nota che dopo i venticinque anni diminuiscono i giovani disposti ad andare a
lavorare all’estero: tra gli under 20 la percentuale è il 58,2%, nella fascia successiva (2125 anni) si scende al 53,9%, per poi arrivare attorno a poco meno del 35% nelle classi di
età più adulte.
Grafico 3 – Disponibilità alla mobilità lavorativa per sede di sperimentazione(%)
In Italia
31-35 anni
41,3
26-30 anni
21-25 anni
16-20 anni
All'estero
Da nessuna parte
34,9
47,4
32,9
29,1
23,8
34,7
53,9
58,2
17,9
13,2
12,7
Fonte: ACLI-IREF 2013
In modo complementare, nei segmenti anagrafici adulti aumenta anche il dato di
coloro che si trasferirebbero all’interno dell’Italia. Crescendo si consolidano i legami
extra-familiari (ad esempio, si stabilizzano le relazioni di coppia) per cui l’opzione di
andare a lavorare all’estero diventa più difficile di praticare. A riguardo, c’è da rilevare
che tra gli under35 aumenta in modo sensibile la percentuale di ragazzi non disponibile
a trasferirsi (23,8% contro il 17,9% degli intervistati con un’ètà compresa tra i 26 e i 30
anni).
I giovani intervistati sono disposti a muoversi per migliorare al propria condizione
lavorativa, ma precisamente quali sono le loro motivazioni? Cosa cercano nel lavoro?
Quali sono gli aspetti che guidano o guideranno le loro scelte professionali? Il primo
elemento rilevante (graf. 4) è la retribuzione, lo è per il 54,4% degli intervistati, subito
dopo, con il 51,1%, c’è l’interesse per quello che si fa o si andrà a fare. Poste l’una
accanto all’altra queste due risposte possono apparire contraddittorie perché
rimandano a due dimensioni molto distanti fra loro: da una parte una visione
strumentale del lavoro, inteso esclusivamente come fonte di guadagno; dall’altra, una
visione espressiva, che identifica nel lavoro uno spazio dove coltivare i propri interessi e
passioni.
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Grafico 4 – I tre aspetti più importanti del lavoro (%)
Retribuzione/guadagno economico
54,4
Interesse per quello che si fa
51,1
Stabilità del posto di lavoro
42,2
Utilizzo delle capacità
24,1
Possibilità di fare carriera
20,4
Possibilità di crescita delle proprie capacità professionali
20,0
Autonomia nell'organizzare il proprio lavoro
17,0
Possibilità di esprimere la propria creatività
16,7
Orari di lavoro
16,5
Tempo necessario per raggiungere il lavoro
10,6
Prestigio sociale del lavoro svolto
Possibilità di influenzare le decisioni dell'azienda
9,0
4,1
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Come si concilia questa contrapposizione? È sufficiente guardare alle modalità di
inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Uno dei tratti fondamentali del processo
di precarizzazione dell’occupazione giovanile sono i bassi livelli salariali: i giovani
guadagnano molto meno dei loro colleghi adulti, anche perché spesso non hanno tempo
di maturare requisiti di anzianità (il meccanismo che al contrario di altri paesi, in Italia,
regola gli avanzamenti stipendiali). A ciò occorre aggiungere la singolare e inopinata
diffusione di un paradosso tutto italiano. Per quanto sia una contraddizione in termini, il
lavoro gratuito (o quasi) è un’esperienza che molti giovani hanno avuto: stage, tirocini,
mini part time sono spesso forme per mascherare occupazioni a tempo pieno
scarsamente o per nulla retribuite. Tenendo conto di questi elementi, l’idea che la cosa
più importante di un lavoro sia quanto viene pagato acquista un senso diverso. Gli
intervistati non sembrano volersi vendere al miglior offerente, bensì rivendicare quel
diritto minimo chiamato equo compenso. Combinando una connotazione del genere con
il tratto espressivo del lavoro evidenziato in precedenza, si ha un’idea più precisa di cosa
vogliano i giovani intervistati: può sembrare banale, ma cercano “solo” un lavoro che
piaccia che sia pagato il giusto.
Il terzo tratto è anch’esso collegato allo scenario di frammentazione del mercato
del lavoro giovanile: la stabilità del posto di lavoro è stata indicata dal 42,2% degli
intervistati come una priorità. Come per le due priorità commentate in precedenza,
quest’esigenza di stabilità lavorativa non sorprende poiché negli ultimi cinque anni
quasi tutta l’occupazione giovanile creata è ascrivibile a contratti a tempo determinato o
parziale. Le tre esigenze espresse sono tanto semplici, quanto infrequenti, almeno
nell’attuale situazione. Il richiamo è quindi chiaro: i giovani sono consapevoli di vivere in
una sorta di stato d’eccezione per il quale i diritti dei lavoratori adulti, non sono validi
anche per i giovani diritti. In Italia, esiste un dualismo occupazionale, determinatosi su
10
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
base anagrafica, creato per scaricare sulle spalle delle nuove generazioni i
malfunzionamenti del sistema occupazionale ed economico.
In una situazione del genere è naturale che altri aspetti non siano una priorità.
Difatti se si scorre il grafico 3 verso il basso, si osservano percentuali di risposta
nettamente inferiori: accrescere le capacità professionali e occasioni di carriera
ottengono poco più del 20% delle preferenze; autonomia, creatività e tempi di lavoro
sono tutte e tre poco sopra il 15%; mentre il prestigio sociale del lavoro ottiene solo il
9%.
I segni lasciati dal combinato di precarietà e crisi sono dunque profondi: le istanze
di autorealizzazione finiscono in secondo piano – ci si limita a ricercare una lavoro che
possa almeno piacere – per fare spazio alla richiesta di vedersi riconosciuti i diritti
minimi del giusto salario e della continuità contrattuale. Questa descrizione appare
molto distante dall’immagine di una generazione choosy, per riprendere un’espressione
di un membro del passato Governo. Al contrario, i giovani intervistati sembrano vedere
con chiarezza che si è entrati in una fase nella quale l’anything goes è l’unica scelta
possibile: va bene qualsiasi lavoro, in qualunque paese, purché rispetti dei criteri
minimi.
In questa chiave sembra di poter leggere anche i risultati riportati nella tabella 7.
Tabella 7 – Opinioni sulle riforme migliori per incentivare l’occupazione giovanile
ORA TI ELENCHIAMO UNA SERIE DI MISURE DI RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO, SECONDO
TE QUAL È LA MIGLIORE PER INCENTIVARE IL LAVORO DEI GIOVANI?
Permettere alle imprese di ridurre i salari in caso di riduzione della produzione
Rendere più facili i licenziamenti individuali da parte delle imprese
Prevedere stipendi ridotti per i giovani in ingresso nel mercato del lavoro
Favorire il lavoro temporaneo
Prevedere degli incentivi per il lavoro autonomo e la creazione di impresa
Totale
v.a.
%
59
36
62
85
426
668
8,8
5,4
9,3
12,7
63,8
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 155
È stato chiesto agli intervistati quale fosse il loro parere rispetto ad alcune misure
di riforma del mercato del lavoro volte a incentivare l’occupazione giovanile. Quasi due
intervistati su tre hanno indicato che per migliorare i livelli occupazionali dei giovani
bisogna prevedere incentivi per il lavoro autonomo e la creazione d’impresa. Le altre
opzioni, maggiore mobilità in uscita, flessibilità dei salari, riduzioni dei salari d’ingresso
e lavoro a termine, hanno riscosso percentuali molto basse comprese tra il 5,4% della
prima soluzione e il 12,7% della quarta.
Si tratta di risultati sorprendenti che smentiscono l’idea che i giovani siano
attaccati a un’idea di lavoro ormai scomparsa, ossia l’impiego alle dipendenze a tempo
indeterminato. Questa propensione verso l’auto-imprenditorialità si può leggere in
termini positivi, enfatizzando lo slancio di una generazione che, di fronte all’erosione del
modello occupazionale tradizionale, abbraccia un nuovo modo di intendere il lavoro,
fatto di idee, creatività, approcci imprenditoriali inediti. Se il lavoro, quello tradizionale,
manca conviene inventarlo, magari creando una start-up innovativa. Il terziario
avanzato, le tecnologie, internet rappresentano settori dove è ancora possibile ritagliarsi
uno spazio proprio, mettendo a valore intelligenza, intraprendenza e propensione al
rischio. C’è da dire che su questo fronte il contesto italiano non è dei migliori, soprattutto
per quel che riguarda il credito e gli strumenti per finanziare i costi di start-up e
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RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
sviluppo del prodotto; per non parlare poi delle difficoltà nell’accesso a supporti
d’investimento più consistenti, come quelli offerti dal venture capital o dai pochi business
angel presenti nel nostro paese. Difficile dire se gli intervistati siano consapevoli di
questa situazione2, resta comunque il fatto che il lavoro autonomo e la creazione
d’impresa sono un’opzione che interessa molto i giovani.
Il richiamo al lavoro autonomo sembra peraltro fare il paio con l’esigenza di non
ritrovarsi impigliati in un mercato del lavoro che funziona con logiche opache: essere
liberi di rischiare e non dover dire grazie a nessuno è la legittima richiesta degli
intervistati. In seconda battuta, è probabile che l’auto-impiego rappresenti agli occhi dei
giovani una rottura definitiva con una stagione di policy che, negli anni, ha proposto solo
risposte tecniche ai problemi, aggiustamenti minimi che non minavano i meccanismi di
funzionamento del sistema lavoro. I continui interventi normativi, presentati come
soluzioni definitive, poi nella pratica non hanno scalfito il problema e in alcuni casi
l’hanno addirittura aggravato. Vista l’inefficacia delle strategie riformiste, perché non
tentare una vera e propria rivoluzione del modo di pensare al lavoro giovanile? Una
posizione del genere è comprensibile, anche se andrebbe meglio verificata la
consapevolezza dei giovani rispetto alle implicazioni del lavoro autonomo. Come si
concilia la richiesta di maggiore stabilità con la costitutiva imprevedibilità del lavoro
indipendente?
4. LA FORMAZIONE: UN INVESTIMENTO, INNANZITUTTO, SU SE STESSI
Il lavoro è una prospettiva che genera apprensione: i giovani già occupati guardano al
futuro con poche certezze, pronti ad trasferirsi in Italia o all’estero, qualora ce ne fosse
bisogno; i ragazzi ancora fuori dal mondo del lavoro sanno che un eventuale inserimento
sarà instabile e contrassegnato da condizioni di impiego non ottimali. Gli intervistati
appartengono a una generazione che, negli ultimi anni, ha fatto un improvviso “bagno di
realtà”: le aspirazioni sono diminuite, di pari passo, con gli standard lavorativi. Oggi
l’importante è trovare un’occupazione qualunque essa sia. Se l’atteggiamento nei
confronti del lavoro sta cambiando, un’altra domanda che occorre porsi è come stiano
mutando le opinioni dei giovani rispetto all’altra grande tappa verso la vita adulta.
Per saggiare l’idea che i ragazzi hanno della scuola, si è pensato di chiedere loro
cosa pensassero di un’affermazione come la seguente: “La scuola fornisce strumenti per
inserirsi nel mondo del lavoro”. I risultati sono riportati nella tabella 8, scomposti a
seconda delle classi di età degli intervistati. Innanzitutto, il dato generale: due
intervistati su tre (66,5%) sono poco o per niente d’accordo rispetto all’affermazione
loro sottoposta; poco più di un quarto è, invece, abbastanza d’accordo. Coloro che sono
molto in accordo con l’idea che la scuola offra gli strumenti per entrare nel mondo del
lavoro sono appena il 7,8%. Controllando l’andamento dei dati all’interno dei diversi
segmenti anagrafici si nota che la percentuale di intervistati poco d’accordo con la frase
sull’utilità della scuola presenta valori contrapposti nei due segmenti estremi: 40,4% tra
gli under 21, 51,6% tra i giovani con un’età compresa tra i 31 e i 35 anni, mentre nelle
Senza voler mettere in dubbio un risultato di ricerca così netto, è prudente aggiungere che nell’adesione a un nuovo
modello di lavoro sia mescolata una qualche dose di confusione, peraltro, parzialmente confermata dall’elevato numero di
mancate risposte al quesito (155).
2
12
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
due fasce intermedie il dato si mantiene su valori vicini a quelli del totale campionario.
Una dinamica simile si riscontra anche per la modalità di risposta “abbastanza”.
Tabella 8 – Opinione sull’utilità della scuola per entrare nel mondo del lavoro per classe di età(%)
QUANTO SEI D’ACCORDO CON LA
SEGUENTE AFFERMAZIONE: “LA
SCUOLA FORNISCE STRUMENTI PER
INSERIRSI NEL MONDO DEL LAVORO”
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Totale
19
47
63
27
156
12,2
30,1
40,4
17,3
100,0
23
79
155
76
333
6,9
23,7
46,5
22,8
100,0
16
69
126
56
267
6,0
25,8
47,2
21,0
100,0
6
15
32
9
62
9,7
24,2
51,6
14,5
100,0
64
210
376
168
818
7,8
25,7
46,0
20,5
100,0
16-20 anni
ETÀ IN CLASSI
21-25 anni
26-30 anni
Totale
31-35 anni
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 5
Le opinioni dei giovani sull’utilità della scuola ai fini di un ingresso nel mondo del
lavoro sono dunque particolarmente negative: fatta eccezione per qualche differenza di
grado legata all’età, l’idea che la scuola non veicoli competenze poi effettivamente
spendibili nella ricerca del lavoro è decisamente diffusa. È possibile un’altra
caratterizzazione di questo dato considerando la macro-area geografica di residenza
degli intervistati (graf. 5). I ragazzi residenti nelle città del Centro-Nord sono nel 70,9%
dei casi poco o per niente d’accordo rispetto all’affermazione sull’utilità della scuola; la
percentuale nel Sud scende al 61,2%. La mancata corrispondenza tra percorsi scolastici
e fabbisogni professionali delle imprese è un tradizionale problema del sistema italiano
di education. La crisi economica ha portato in superficie questa asimmetria. Ad
accorgersene per primi sono stati i giovani del Nord Italia, ossia chi vive nell’area dove il
mercato del lavoro è più dinamico e l’incontro tra domanda e offerta di lavoro più
rapido.
Grafico 5 – Opinioni sull’utilità della scuola per macro-area geografica
[QUANTO SEI D’ACCORDO CON LA SEGUENTE AFFERMAZIONE: “LA SCUOLA FORNISCE STRUMENTI PER INSERIRSI NEL
MONDO DEL LAVORO”]
Poco+Per niente
Molto+Abbastanza
70,9
CENTRO-NORD
29,1
61,2
SUD
38,8
0,0
20,0
40,0
60,0
80,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
13
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
D’altronde, nel momento in cui la domanda si comprime trova lavoro solo chi può
offrire delle competenze molto specifiche e poco diffuse. Lo scollamento tra scuola e
lavoro è considerato un problema da risolvere per una parte consistente del campione
(tab. 9). Le opinioni sulle misure da adottare per favorire il passaggio dalla scuola al
lavoro convergono sull’incentivazione delle forme di alternanza: 52,6%.
Tabella 9 –Opinioni sulle misure da adottare per favorire le transizioni scuola-lavoro
QUALI PROPOSTE ANDREBBERO FATTE PER ACCELERARE IL PASSAGGIO DALLA FORMAZIONE AL
LAVORO?
v.a.
%
Incentivare le forme di alternanza tra scuola e lavoro
Coinvolgere le imprese nella definizione dei programmi d'istruzione
Rafforzare i servizi pubblici per il lavoro
Aumentare le possibilità di studio e lavoro all'estero
Altro
Non saprei
Totale
432
175
68
94
25
27
821
52,6
21,3
8,3
11,4
3,0
3,3
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 2
L’idea di coinvolgere le imprese nella definizione dei programmi d’istruzione
ottiene oltre di trenta punti percentuali in meno (21,3%). Rafforzare la rete dei servizi
pubblici per il lavoro e l’aumento delle possibilità di studio all’estero ottengono consensi
inferiori al 10%.A livello territoriale i dati appena commentati acquisiscono altre
sfumature (dati fuori tabella). L’alternanza scuola-lavoro è la principale leva di
inserimento per il 62,6% dei giovani torinesi, per il 59% dei ragazzi residenti a Catania
e il 57,5% di quelli che abitano ad Agrigento; valori sotto il dato campionario si hanno
invece a Benevento (45%) e Brescia (47%).Il problema secondo gli intervistati è quindi
uno: la scuola è un sistema autoreferenziale incapace di interagire con il tessuto
produttivo. Per favorire la difficile transizione al lavoro, occorre che i giovani inizino a
far esperienza sin da quando sono sui banchi, affiancando al sapere teorico quel sapere
pratico che si acquisisce solo tramite una concreta esperienza di lavoro. Sotto questo
profilo è rilevante che l’ipotesi di permettere alle aziende di definire i contenuti
formativi non riscuote particolare successo.
La scuola e la formazione in genere hanno sempre rappresentato il trampolino
verso il mondo del lavoro: più alto era l’investimento in formazione migliore era il
rendimento occupazionale, in termini di qualità del lavoro. Dal punto di vista oggettivo
questo nesso non funziona più. È sufficiente guardare ai dati sulla disoccupazione
intellettuale e sull’over-education3. La penalizzazione delle giovani generazioni italiane è
molto marcata: se si considerano gli occupati con titolo di studio universitario impiegati
in professioni ad elevata specializzazione, si nota che solo il 37,1% dei giovani laureati
ha un’occupazione commisurata al titolo di studio, un risultato non solo decisamente
inferiore all’analogo dato della Germania e del Regno Unito, ma anche di circa 40 punti
inferiore a quello degli occupati di 50 anni e oltre4.
Con over-education si intende una situazione occupazionale per la quale una persona è impiegata in una posizione
professionale per cui è richiesto un titolo di studio inferiore a quello posseduto.
4 Cfr. R. Cascioli, “Il fenomeno della sovra-istruzione in Italia: spunti di riflessione, Paper for the Espanet Conference,
“Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa”, Roma, 20 - 22 Settembre 2012, pp. 5-6.
3
14
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
L’investimento in formazione, in particolare la scelta dell’università, non è più
premiante come un tempo: è dunque legittimo chiedersi se i giovani siano consapevoli di
questo fenomeno e cosa eventualmente li spinga a iscriversi a un corso di studi
universitario (tab.10).
Tabella 10 – Motivazioni per le quali si frequenta l’università
CI SI ISCRIVE ALL’UNIVERSITÀ…
Per poter trovare poi un lavoro coerente con i propri interessi
Per costruirsi una buona professionalità
Per accrescere la propria cultura
Per poter trovare un lavoro redditizio
Perché senza un titolo universitario al giorno d'oggi è difficile trovare un
lavoro
Per il prestigio che da il titolo universitario
Perché lo vogliono i genitori
Perché si può continuare a frequentare gli amici
Totale
v.a.
469
440
415
350
% sulle risposte
20,9
19,6
18,5
15,6
% sui casi
57,0
53,5
50,4
42,5
271
12,1
32,9
187
65
44
2241
8,3
2,9
2,0
100,0
22,7
7,9
5,3
272,3
Fonte: ACLI-IREF 2013
Il 57% dei ragazzi mantiene una relativa fiducia nella possibilità che la scelta
universitaria possa successivamente avere uno sbocco lavorativo, facendo trovare un
lavoro coerente con i propri interessi. In seconda battuta, per il 53,5% degli intervistati
ci si iscrive a un corso di studi terziario per costruirsi una buona professionalità. C’è poi
una terza modalità di risposta che ottiene più del 50% dei consensi: ci si iscrive
all’università per accrescere la propria cultura. Le motivazioni degli intervistati
esprimono nel complesso una relativa fiducia nella capacità dell’università di aprire la
strada verso un percorso professionale in linea con le proprie aspirazioni. Nella
percezione dei giovani i corsi di studio superiori rappresentano ancora un’occasione di
crescita professionale e personale. In particolare, sorprende che l’esigenza di migliorare
la propria cultura personale superi la possibilità di trovare un lavoro redditizio,
quest’ultima modalità di risposta ottiene il 42,5% delle preferenze, otto punti in meno
dell’altra citata5. A ben vedere, prevalgono gli aspetti legati alla crescita personale
piuttosto che il riconoscimento sociale (in termini di prestigio o aspettative familiari).
Detto in maniera ancor più esplicita l’università è una sorta di investimento su se stessi,
una scelta che si fa a prescindere da valutazioni su quale sarà il rendimento futuro.
Su questa falsariga si possono collocare anche i dati della tabella 11, nella quale la
disponibilità ad accettare un lavoro non corrispondente al proprio percorso di studi e
suddivisa a seconda del sesso e dell’età dei rispondenti. In totale, il 36% dei giovani ha
risposto alla sollecitazione in modo positivo; un consistente 43,9% si è, invece, detto
possibilista affermando che la scelta dipenderebbe dal tipo di lavoro offerto; per il
13,2% la questione è legata alla retribuzione. Solo il 7% afferma che in nessun caso
valuterebbe un’opzione del genere. I giovanissimi sono il sottogruppo anagrafico che si
dimostra meno incline all’idea di accettare un lavoro incoerente con il proprio percorso
di istruzione (28,7%): a quell’età il realismo che sottende la scelta non si è ancora
manifestato.
5Su
questo risultato pesano anche aspetti di desiderabilità sociale, tuttavia colpisce il risultato ottenuto da una opzione di
risposta decisamente disancorata dalle esigenze materiali e biografiche dei giovani.
15
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Tabella 11– Disponibilità ad accettare un lavoro che non corrisponde al percorso di studi per età dell’intervistato (%)
SARESTI DISPOSTO AD ACCETTARE UN LAVORO CHE NON CORRISPONDE AL TUO
PERCORSO DI STUDI?
Dipende dal tipo di
Dipende dalla
No, in nessun
Sì
lavoro
retribuzione
caso
28,7
43,9
15,9
11,5
38,7
40,8
14,4
6,0
37,7
46,6
10,1
5,6
32,3
48,4
12,9
6,5
36,0
43,9
13,2
7,0
ETÀ IN CLASSI
16-20 anni
21-25 anni
26-30 anni
31-35 anni
Totale
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Coloro che esprimono una disponibilità condizionata al tipo di occupazione sono
più di frequente over25 (46,6% tra i 26 e i 30 anni; 48,4% tra i 31 e i 35 anni): al
crescere dell’età si diffonde una considerazione realistica delle effettivo possibilità
offerte dal mercato del lavoro: in altre parole, l’educational mismatch è un dato di fatto
con il quale i giovani-adulti fanno sempre maggiore esperienza.
In termini di collocazione geografica (graf. 7), i dati evidenziano una maggiore
disponibilità all’educational mismatch tra i giovani del Meridione (40,3%) rispetto a
quelli del Nord (32,4%), tale differenza si replica anche rispetto alla percentuale di
intervistati che fa dipendere la scelta dal tipo di lavoro: tra Nord e Sud c’è una differenza
di quasi quattordici punti percentuali (50% vs. 36,6%). In pratica, nelle aree del Paese
dove l’inserimento lavorativo è più difficile, gli intervistati tendono a porre condizioni
meno rigide nella scelta del lavoro; c’è da notare che la condizione principale anche in
questo caso non è di tipo economico. Studiando i dati relativi alla formazione si
conferma quanto riscontrato nell’ambito del lavoro: gli intervistati prendono atto della
situazione penalizzante che sta vivendo la propria generazione e cercano di combinare
optano per strategie di adattamento nelle quali si trovano mescolati realismo e istanze
autorealizzazione.
Grafico 7 – Disponibilità all’educational mismatch per macro-area geografica (%)
Saresti disposto ad accettare un lavoro che non corrisponde al tuo percorso di studi?
60,0
Sì
Dipende dal tipo di lavoro
Dipende dalla retribuzione
No, in nessun caso
50,0
50,0
40,3
40,0
36,6
32,4
30,0
16,4
20,0
10,5
6,7
10,0
7,1
0,0
SUD
CENTRO-NORD
Fonte: ACLI-IREF 2013
16
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Sono disposti ad accettare una collocazione occupazionale non ottimale così come
a spostarsi per trovare lavoro; allo stesso tempo non intendono accettare prospettive
professionali totalmente appiattite su una dimensione strumentale. Il motivo di questo
atteggiamento va ricercato nella consapevolezza che le scelte lavorative sono, in fondo,
delle scelte di vita: l’idea di fare un lavoro poco stimolante o lontano dalle proprie
aspirazioni sembra preoccupare non poco i ragazzi intervistati. Nonostante
l’autosufficienza economica rappresenti una metà condivisa, la retribuzione è un aspetto
secondario nella scelta del lavoro così come del percorso di studi. Queste tendenze, per
quanto diffuse in tutte le fasce di età sembrano essere più radicate tra gli intervistati più
giovani. Allo stesso modo, si riscontrano atteggiamenti simili, ma di diversa intensità,
comparando le opinioni dei giovani meridionali con quelle dei coetanei che vivono al
Nord.
Tenuto conto della profonda crisi socio-economica che sta attraversando l’Italia, ci
si aspettava dei risultati maggiormente contrassegnati da sentimenti di disillusione,
invece, i dati restituiscono un’immagine nella quale la rassegnazione non prevale:
nonostante la situazione penalizzante, questi giovani pensano che prima o poi
riusciranno a trovare il proprio posto nella società. Sono consapevoli che sarà molto più
difficile e faticoso di quanto lo sia stato per le generazioni precedenti, tuttavia, sembrano
dire, vale la pena tentare. Si tratta di uno scenario incoraggiante, all’interno del quale
però trovano spazio anche segnali della deriva che si potrebbe mettere in moto qualora
non si riesca a intervenire in modo adeguato sul fronte dell’occupazione giovanile.
Il 26,1% del campione non ha fiducia nelle capacità della scuola di trasmettere
competenze utili per inserirsi nel mondo del lavoro ed è, inoltre, propenso ad accettare
un lavoro diverso da quello per cui sta studiando. In pratica, più di un quarto degli
intervistati esprime rassegnazione rispetto alle proprie prospettive di studio e lavoro.
Studiando il profilo di questo gruppo di intervistati (tab. 13), si nota che sono uomini e
donne sono equamente rappresentati (48,8% vs. 51,2%); sotto il profilo anagrafico, i
giovani “rassegnati” sono più spesso under 25 (57,7%); territorialmente sono presenti
sia al Sud sia nel Centro-Nord, con una leggera prevalenza in quest’ultima area (53,5%).
Tabella 13 – Caratteristiche socio-demografiche dei giovani “rassegnati”
SESSO
Maschio
Femmina
Totale
ETÀ IN CLASSI
Da 16 a 25 anni
da 26 a 35 anni
Totale
MACRO-AREA GEOGRAFICA
Sud
Centro-Nord
Totale
v.a.
105
110
215
v.a.
124
91
215
v.a.
100
115
215
%
48,8
51,2
100,0
%
57,7
42,3
100,0
%
46,6
53,5
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Al di là di queste connotazioni di base, sono gli atteggiamenti nei confronti del
lavoro a caratterizzare maggiormente il sottogruppo (tab. 14).Usando la tipologia creata
sulla base del quesito su quali siano i fattori che aiutano a trovare lavoro, si nota che la
maggior parte degli intervistati rassegnati (43,3%) ha un atteggiamento di tipo
17
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
remissivo (per trovare lavoro serve l’intercessione di persone influenti, di conseguenze
bisogna sapersi accontentare). Se a questa percentuale si sommano i cosiddetti fatalisti,
si ottiene quasi il 55% del totale degli appartenenti a questo sottogruppo di intervistati.
La rassegnazione nei confronti della situazione italiana emerge anche confrontando i
dati sulla disponibilità alla mobilità lavorativa: il 54,5% sarebbe disposto a trasferirsi
all’estero, contro il 47% riscontrato nel totale del campione.
Tabella 14 – Giovani “rassegnati”: opinioni su lavoro e mobilità
ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI
DEL LAVORO
v.a.
%
Remissivo
Competitivo
Relazionale
Fatalista
Totale
93
59
38
25
215
43,3
27,5
17,6
11,6
100,0
DISPONIBILITÀ ALLA MOBILITÀ
LAVORATIVA
In Italia
All'estero
Non sono disposto a trasferirmi
Totale
v.a.
%
63
117
35
215
29,3
54,5
16,3
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Anche se si tratta di una parte limitata del campione, i giovani che si rassegnano
all’idea di non avere un futuro lavorativo, sono un segnale del fatto che la crisi
economica, oltre a cambiare il tenore di vita, stia avendo un impatto emotivo e
psicologico.
5. IL PASSAGGIO ALLA VITA AUTONOMA: BLOCCATI A CASA?
Il terzo punto di osservazione proposto dalla ricerca riguarda la principale transizione
biografica nella vita di una persona: l’uscita dalla famiglia di origine. L’Italia è uno dei
Paesi dove i giovani tendono a posticipare maggiormente tale scelta. I motivi sono sia di
ordine pratico, come ad esempio il ritardo nella conclusione degli studi e nell’ingresso
nel mercato del lavoro, sia di ordine culturale poiché nel nostro Paese l’uscita dal nucleo
d’origine tende a coincidere con la creazione di una famiglia propria. È abbastanza
intuitivo come questo genere di motivazioni interagiscano tra loro creando una
situazione per la quale la permanenza nella famiglia d’origine è continuamente
protratta, anche al di là dei reali obiettivi personali dei giovani. Se a ciò si aggiungono gli
effetti prodotti dalla crisi economica, ecco che rimanere a casa con i genitori diventa, per
molti, l’unica opzione disponibile.
L’indagine prevedeva di sollecitare gli intervistati anche su questo aspetto,
ponendo loro una serie di domande che cercavano di comprendere quali fossero le
condizioni necessarie per compiere un passo così importante come andare
definitivamente a vivere per conto proprio (tab. 15). Il primo dato sul quale riflettere è
che all’interno del campione un giovane su cinque vive fuori dalla famiglia di origine: si
tratta dei ragazzi più adulti e che hanno già un lavoro. Gli altri sono suddivisi tra chi vede
l’ipotesi come certa (15,2%) e chi, invece, spera di che il passaggio si concretizzi (36%):
nel complesso, più del 50% degli intervistati è dell’idea che nei prossimi 5 anni andrà a
vivere da solo. È presente anche un piccolo sottogruppo di persone (15,8%) che non
crede o esclude completamente di andare via di casa nei prossimi 5 anni: ovviamente si
tratta in prevalenza di ragazzi molto giovani.
18
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Tabella 15 – L’uscita dalla famiglia d’origine
CI PUÒ DIRE SE SEI ANDATO A VIVERE IN MODO DEFINITIVO FUORI DALLA FAMIGLIA DI ORIGINE OPPURE PREVEDI CHE
CIÒ POSSA ACCADERE NEI PROSSIMI 5 ANNI?
Sono già andato a vivere definitivamente fuori dalla famiglia di origine
Sono sicuro che andrò a vivere definitivamente a vivere fuori dalla famiglia di origine entro i prossimi 5 anni
Spero di andare a vivere definitivamente a vivere fuori dalla famiglia di origine entro i prossimi 5 anni
Non credo che andrò a vivere definitivamente a vivere fuori dalla famiglia di origine entro i prossimi 5 anni
È escluso che andrò a vivere definitivamente a vivere fuori dalla famiglia di origine entro i prossimi 5 anni
Non so - non posso prevedere
Totale
v.a.
%
159
125
296
99
31
112
822
19,3
15,2
36,0
12,0
3,8
13,6
100,0
Missing data = 1
Fonte: ACLI-IREF 2013
Nonostante il precario contesto economico e occupazionale, sembra esserci
ottimismo rispetto alle prospettive di vita: la maggior parte degli intervistati pensa che
nel volgere di qualche anno riuscirà a conquistare una propria autonomia. Si tratta di un
dato interessante soprattutto se considerato alla luce delle opinioni su lavoro e
formazione.
Il dato generale può essere meglio compreso considerando i risultati relativi al
quesito su quali siano le condizioni necessarie per lasciare la casa dei genitori (tab. 16).
Al primo posto c’è, ovviamente, l’avere un lavoro stabile (83,1%); con meno della metà
delle preferenze (401,%), l’aver concluso gli studi; ancora più indietro (27,8%) avere
una casa di proprietà. Avere un sostegno economico dallo Stato invece ottiene poco
meno di un quarto delle preferenze totali. Lasciare la casa dei genitori è una scelta
condizionata più da questioni materiali (il lavoro, la fine degli studi, la casa) che dalla
condivisione di un progetto di vita con un partner o degli amici. Anche in questo caso le
preferenze espresse dagli intervistati mettono in evidenza che le tappe biografiche
subiscono l’influenza della situazione materiale: qualora ci fossero le condizioni, i
giovani opterebbero per l’autonomia. L’immagine che descrive i ragazzi italiani
eccessivamente attaccati alla famiglia d’origine sembra essere uno stereotipo:
l’indipendenza è una meta alla quale i giovani aspirano, purtroppo quasi sempre a
mancare sono le condizioni minime.
Tabella 16 –Le tre condizioni per lasciare la casa dei genitori
A TUO PARERE, PER UN RAGAZZO/A, QUALI SONO LE TRE CONDIZIONI
INDISPENSABILI PER LASCIARE LA CASA DEI GENITORI ED ANDARE A VIVERE
PER CONTO PROPRIO?
Avere trovato un lavoro stabile
Avere concluso definitivamente gli studi
Avere una casa di proprietà
Avere un sostegno economico dallo Stato/Provincia/Comune
Sposarsi
Avere un aiuto economico dei genitori
Trovare uno o più amici con cui andare ad abitare
Trovare un/a ragazzo/a con cui andare a convivere
Avere il consenso dei genitori
Avere un aiuto per le faccende domestiche
Totale
N
% sui casi
% sulle
risposte
684
330
229
201
163
142
141
138
49
43
2120
32,3
15,6
10,8
9,5
7,7
6,7
6,7
6,5
2,3
2,0
100,0
83,1
40,1
27,8
24,4
19,8
17,3
17,1
16,8
6,0
5,2
257,6
Fonte: ACLI-IREF 2013
19
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Tornando a esaminare i progetti di vita degli intervistati è il caso di discutere il
quesito relativo agli atteggiamenti rispetto alle scelte di procreazione. Ai giovani
coinvolti nell’indagine si è chiesto se nei prossimi cinque anni prevedessero di avere dei
figli (tab. 16).
Tabella 17 – Atteggiamento nei confronti delle scelte di procreazione
CI PUOI INDICARE SE HAI AVUTO FIGLI O SE PREVEDI CHE CIÒ POSSA ACCADERE NEI PROSSIMI 5 ANNI?
Ho già avuto un figlio/i
Sono sicuro che avrò un figlio nei prossimi cinque anni
Spero di avere un figlio entro i prossimi 5 anni
Non credo che avrò un figlio entro i prossimi 5 anni
È escluso che avrò un figlio nei prossimi 5 anni
Non sò - non posso prevedere
Total
v.a.
42
53
175
199
113
232
814
%
5,2
6,5
21,5
24,4
13,9
28,5
100,0
Missing data = 9
Fonte: ACLI-IREF 2013
A parte un piccolo gruppo di soggetti (pari al 5.2% del totale) che ha già figli, il
27% degli intervistati si ritiene possibilista rispetto all’ipotesi di avere dei bambini. C’è
poi un 38% di giovani che invece esclude, anche in modo categorico, quest’ipotesi. Infine
quasi il 30% degli intervistati afferma di non poter fare una previsione del genere. Le
differenze con i risultati della domanda precedente sono molto consistenti e non poteva
essere che così: le scelte di procreazione tendono, almeno in Italia, calendari sempre più
dilazionati, anche oltre i 35 anni di età, per cui è naturale che buona parte degli
intervistati non valuti questa ipotesi. Nello specifico la soglia oltre la quale cambia la
percezione degli intervistati sono i 25 anni: nella fascia di età 20-25 anni, la maggior
parte dei giovani (32,8%) non crede che avrà un figlio nei successivi cinque anni; al
contrario nel segmento anagrafico successivo (26-30 anni), la maggior parte 33% spera
di avere un figlio (dati fuori tabella). È interessante notare che tra uomini e donne non si
rilevano differenze significative, segno di un calendario biografico condiviso che pone la
scelta di avere dei figli attorno ai 35 anni. Nel complesso, l’idea che risulta dai dati sui
progetti di vita è che i ragazzi intervistati si percepiscano come soggetti le cui scelte
avvengono all’interno di uno spazio di opportunità limitato. Per i loro genitori iniziare
un progetto di coppia anche senza avere a disposizione una casa o un lavoro stabile
poteva essere un’opzione: “due cuori e una capanna” si diceva un tempo. Oggi questa
strada appare troppo rischiosa, è un azzardo. Si potrebbe ribaltare il discorso dicendo
che ai giovani manca il coraggio per affrontare le difficoltà della vita e che accampano
pretese eccessive. Per verificare la validità di questa obiezione è sufficiente guardare i
dati riportati nella tabella 18.
Tabella 18– Politiche di sostegno ai progetti di vita dei giovani
TRA I SEGUENTI, SU QUALE AMBITO OCCORRE INTERVENIRE PER AIUTARE I GIOVANI A REALIZZARE I
PROPRI PROGETTI DI VITA E FAMILIARI?
Casa
Servizi per le famiglie
Il credito
Il lavoro
Totale
v.a.
%
95
67
73
578
813
11,7
8,2
9,0
71,1
100,0
Missing data: 10
Fonte: ACLI-IREF 2013
20
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Si è chiesto agli intervistati quali fossero gli ambiti di intervento da privilegiare per
sostenere i progetti di vita dei giovani. La risposta è stata unanime: il lavoro, con il
71,1%, è risultato l’ambito maggiormente indicato dagli intervistati seguito a
grandissima distanza dalla casa (11,7%).
Gli intervistati sono convinti di potercela fare da soli: non hanno bisogno di chissà
quale forma di sostegno, per rendere concreti i progetti di vita è,secondo loro, sufficiente
avere la possibilità di costruire la propria autonomia attraverso il lavoro. Ritorna il tema
del lavoro come condizionamento che opera in modo trasversale sulle diverse sfere di
vita.Nella situazione attuale, la crisi occupazionale si sta trasformando in una sorta di
paralisi biografica: tutte le scelte, le opzioni esistenziali vengono valutate sulla base delle
implicazioni lavorative. L’orizzonte verso il quale guardano i giovani purtroppo si sta
inesorabilmente restringendo.
6. PARTECIPAZIONE SOCIALE: QUALE RAPPRESENTANZA PER I GIOVANI?
Sinora l’esperienza di vita dei ragazzi che vivono nelle nove città del progetto
Riconoscersi è stata ricostruita “per negativo” ossia evidenziando le difficoltà, gli
ostacoli e, solo in alcuni casi, le strategie usate per superare questi condizionamenti. È
arrivato quindi il momento di passare a un altro fronte dell’esperienza di vita di questi
giovani: in uno scenario contrassegnato dall’apprensione per il proprio futuro, si riesce a
trovare spazio per l’impegno sociale? La risposta è affermativa anche perché – come si
ricorderà – il gruppo di giovani coinvolto nell’indagine aveva una precisa provenienza
socio-culturale: buona parte di loro infatti aveva un trascorso all’interno
dell’associazionismo e del volontariato, soprattutto di marca cattolica. Questa
caratterizzazione di sicuro condiziona in positivo i dati relativi alla partecipazione
sociale che saranno presentati di seguito. Tuttavia, la scelta di porre quesiti sulla
partecipazione sociale a un gruppo di giovani proveniente proprio dal mondo
dell’impegno civile è stata fatta con un obiettivo preciso. Si intende verificare se la
società civile organizzata sia considerata una leva di cambiamento, un canale attraverso
il quale veicolare istanze generazionali. In altre parole, i ragazzi saldano la propria
esperienza di vita con le pratiche di impegno sociale? Pensano che le organizzazioni
sociali delle quali fanno parte siano uno spazio favorevole per influenzare le scelte che
riguardano direttamente i giovani? Oppure sono dell’idea che anche in questo ambito
esista un gap di generazione e che, in buona sostanza, gli “adulti” non capiscano
realmente quali sono i bisogni dei giovani.
Per cominciare a rispondere a queste domande è necessario delimitare e
quantificare i livelli di coinvolgimento degli intervistati nelle organizzazioni della società
civile (graf. 7). Il primo dato da evidenziare è che solo il 7,9% del campione non ha mia
avuto alcuna esperienza all’interno della società civile organizzata: si tratta di una
percentuale veramente molto bassa, poiché bisogna ricordare che i dati ISTAT sulla
partecipazione sociale degli under 35 anni sono da anni stabili attorno 10%6. Sebbene il
dato presentato sia concettualmente differente da quello ISTAT, è interessante
Ad esempio, nella fascia 25-34 anni la partecipazione a riunioni di associazioni culturali nel 2012 era del 10,7%; così
come il volontariato (fonte: ISTAT, Indagine Multiscopo sulle famiglie italiane). C’è da precisare che il quesito sottoposto agli
intervistati riguardava la storia partecipativa dell’individuo mentre l’ISTAT rileva le attività sociali svolte nell’ultimo anno. È
quindi naturale che le due percentuali siano molto distanti fra loro.
6
21
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
proseguire nell’analisi del grafico poiché si può notare che esiste una gruppo di
intervistati che ha avuto un numero di esperienze partecipative relativamente limitato:
poco meno del 50% ha avuto tra una e tre esperienze. Il 12,5% invece ha partecipato
attivamente in quattro diverse organizzazioni sociali, il 9,6% in cinque; infine, poco più
di un quinto degli intervistati (21%) è stato coinvolto nelle attività di più di cinque
organizzazioni.
Grafico 7 – Intensità della partecipazione sociale: numero di organizzazioni alle quali si partecipa o si è partecipato (%)
HAI PARTECIPATO IN PASSATO O PARTECIPI ATTIVAMENTE ALLE INIZIATIVE DELLE SEGUENTI ASSOCIAZIONI
E/O GRUPPI ORGANIZZATI?
(N. organizzazioni)
20
16,8
17,5
14,7
12,5
15
9,6
10
7,9
6,2
5,5
4,7
5
2,3
1,5
0,8
Nove
Dieci
Più di
dieci
0
Nessuna
Una
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
Fonte: ACLI-IREF 2013
Al di là dell’intensità, è necessario considerare anche il tipo di ambiti all’interno dei
quali i ragazzi hanno scelto di coinvolgersi (tab. 19). Ci sono quattro tipi di
organizzazioni che hanno avuto la partecipazione più del 40% degli intervistati:
nell’ordine, i gruppi parrocchiali (48,9%), le associazioni culturali (45,3%), le
organizzazioni di volontariato assistenziale (44,5%) e le associazioni sportive (43,4%).
Tabella 19 – Esperienze all’interno delle organizzazioni sociali
HAI PARTECIPATO IN PASSATO O PARTECIPI ATTIVAMENTE ALLE
INIZIATIVE DELLE SEGUENTI ASSOCIAZIONI E/O GRUPPI ORGANIZZATI?
v.a.
% sulle risposte
% sui casi
Gruppi parrocchiali
Associazioni culturali
Gruppi/associazioni di volontariato sociale e assistenziale
Associazioni sportive (di praticanti)
Associazioni/movimenti religiosi
Organizzazioni studentesche
Partiti o movimenti politici
Club di tifosi
Gruppi scout
Organizzazioni internazionali di soccorso umanitario
Centri sociali, collettivi politici
Organizzazioni per la tutela dell’ambiente
Sindacati/associazioni di categoria
Organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo
Associazioni turistiche
Altri gruppi o associazioni
Totale
371
343
337
329
243
183
169
135
122
117
115
110
108
85
59
76
2902
12,8
11,8
11,6
11,3
8,4
6,3
5,8
4,7
4,2
4
4
3,8
3,7
2,9
2
2,6
100,0
48,9
45,3
44,5
43,4
32,1
24,1
22,3
17,8
16,1
15,4
15,2
14,5
14,2
11,2
7,8
10,0
382,8
Fonte: ACLI-IREF 2013
22
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Si tratta di quattro contesti associativi molto differenti fra loro: alcuni hanno un
carattere fortemente ricreativo, altri presuppongono una forte condivisione ideale o un
percorso educativo di impronta religiosa. L’esperienza in ambiente cattolico si rafforza
se si considera che il 32,1% degli intervistati ha indicato una militanza in associazione e
movimenti religiosi. Un quarto delle risposte ottenute dai giovani riguarda invece
l’impegno all’interno di organizzazioni studentesche (24,1%). Il 22,3% è invece stato
impegnato in un partito politico. Proseguendo nella lettura della tabella ci sono i club di
tifosi e i gruppi scout all’interno dei quali hanno avuto esperienze il 17,8% e il 16,1%
degli intervistati. Le organizzazioni umanitarie che operano su scala internazionale e i
centri sociali sono stati frequentati dal 15% circa degli intervistati; mentre associazioni
ambientaliste e i sindacati dal 14%. Le altre organizzazioni sociali, infine, ottengono
percentuali via via più basse. La storia partecipativa dei giovani contattati per l’indagine
è dunque abbastanza consistente e in qualche caso molto eterogenea: c’è un buon
gruppo di persone che proviene da esperienza di area cattolica, ma sono anche presenti
giovani che hanno una militanza politica di sinistra e movimentista.
Un altro termine di paragone per comprendere il background partecipativo degli
intervistati è rappresentato nel grafico 8, dove è riportata la percentuale di giovani che
fa volontariato e quella di coloro che invece stanno facendo o hanno fatto il servizio
civile.
Grafico 8 – Volontariato e servizio civile (%)
Volontariato
60,0
Servizio civile
55,1
50,0
44,9
40,0
34,8
30,0
23,3
20,0
16,3
12,2
6,4
10,0
7,0
0,0
Sì
No
Fai volontariato, cioè un’attività
non retribuita a carattere sociale?
Sì in passato
Sì, sto
Ho fatto richiesta Mi sarebbe
No, non era No, non conosco
attualmente
ma non sono piaciuto ma per un'esperienza il servizio civile
svolgendo il stato selezionato diversi motivi non
che mi
servizio civile
ho potuto
interessava
Hai fatto il servizio civile?
Fonte: ACLI-IREF 2013
Anche in questo caso i dati sono particolarmente elevati, soprattutto per il quel che
riguarda il volontariato: il 55% ha svolto o svolge attività gratuità per un’organizzazione
sociale; mentre il 18,6% ha fatto il servizio civile. A quest’ultima percentuale occorre
aggiungere la quota di coloro avrebbero voluto fare quest’esperienza ma non sono stati
selezionati o hanno avuto qualche impedimento personale: si tratta del 23,3%. Il 58,1%
23
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
degli intervistati non ha invece fatto il servizio civile: uno su quattro non era interessato
a questo genere di impegno; mentre il 34,8% non era a conoscenza di questa possibilità7.
Il volontariato e il servizio civile, con gradi diversi, sono due forme di impegno
concreto e continuativo, che implicano un investimento in termini di tempo e risorse
personali. Sono due esperienze diverse: una gratuita ma che può seguire ritmi dettati
dall’individuo; l’altra, parzialmente retribuita, ma in termini orari molto più pesante e
dipendente dalle esigenze dell’organizzazione presso la quale si svolge il servizio civile.
La cosa importante è che entrambe portano la persona a confronto diretto con il lavoro
sociale, si tratta di esperienze di impegno reale, vivendo le quali si sperimenta quanto
sia difficile, complesso e contradditorio trasformare la società in un posto migliore.
I giovani intervistati nell’ambito di Riconoscersi sono quindi tutt’altro che
inesperti: nel corso della loro vita sono più volte transitati all’interno del terzo settore,
in alcuni casi si sono sperimentati in prima persona operando dentro le organizzazioni
sociali. In altre parole, parlano la lingua della partecipazione e conoscono le dinamiche
della rappresentanza sociale. Sono persone che hanno avuto modo di maturare
un’opinione sui meccanismi di funzionamento della società civile organizzata: è dunque
estremamente pertinente chiedere loro quale sia l’influenza dei giovani all’interno dei
diversi soggetti sociali (tab. 20).
Tabella 20 – Opinioni sull’influenza dei giovani all’interno delle rappresentanze sociali (%)
I PARTITI, LE ORGANIZZAZIONI DATORIALI E QUASI TUTTE LE ASSOCIAZIONI HANNO
AL LORO INTERNO DELLE ORGANIZZAZIONI GIOVANILI. SECONDO TE QUALE
INFLUENZA HANNO I GIOVANI NELLE SCELTE DI QUESTE ORGANIZZAZIONI
v.a.
%
Molta
Abbastanza
Poca
Totale
40
226
553
819
4,9
27,6
67,5
100,0
Fonte: ACLI-IREF 2013
Missing data = 4
La risposta è perentoria: per due intervistati su tre (67,5%) i giovani hanno poca
influenza sulle scelte di partiti, associazioni e organizzazioni sociali. Solo uno su quattro
invece è convinto che la capacità dei giovani di influenzare le scelte sia abbastanza. Le
rappresentanze sociali, in pratica, non ascoltano ciò che i giovani hanno da dire. Il
giudizio è severo anche perché formulato da individui che, come detto, sono interni alla
società civile, ne conoscono le dinamiche: non si può quindi tacciare tale parere di
superficialità. C’è da dire che tra i ragazzi che hanno fatto il servizio civile la percentuale
di critici scende di qualche punto percentuale (dal 67,5 al 60,8% – dati fuori tabella), pur
rimanendo molto alta.
Analizzando più in profondità quest’opinione si scopre che a essere maggiormente
critici sono i giovani che vivono nelle città del Nord: a Torino il 79,8% degli intervistati è
convinto che i giovani abbiano poca influenza nelle scelte delle organizzazioni sociali; a
Milano è di quest’idea il 73,2% a Brescia il 75%. Il sesso e l’età invece non modificano
7 Detto per inciso quest’ultimo dato rappresenta una sorpresa. Sebbene gli intervistati abbiano una notevole familiarità
con i circuiti dell’impegno sociale esiste una quota molto altra di soggetti che non è a conoscenza della principale, e forse
unica, politica giovanile realizzata negli ultimi anni. Tale dato sembra essere coerente anche con la richiesta di introduzione
di corsi di educazione alla cittadinanza nelle scuole, una misura che un intervistato su tre (32,9%) ritiene necessaria per
incentivare la cittadinanza attiva fra i giovani.
24
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
l’insoddisfazione per i meccanismi di rappresentanza democratica: il risultato è quindi
trasversale, connota le diverse componenti del mondo giovanile.
Quali sarebbero le soluzioni per superare quest’impasse? Agli intervistati sono
state proposte due ipotesi. La prima prevedeva un cambiamento dall’interno, con i
giovani che si organizzavano per contare di più dentro le organizzazioni di
rappresentanza; la seconda, al contrario, ipotizzava che i giovani scavalcassero i corpi
intermedi dandosi una rappresentanza autonoma. Il grafico 9 sintetizza le risposte a
tutti e due i quesiti.
Grafico 9 – Alternative per rafforzare il ruolo dei giovani all’interno dei processi decisionalidelle organizzazioni di
rappresentanza (%)
60
49,2
47,6
50
40
30
24,1
23,8
21,9
19,2
20
7,8
6,4
10
0
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Quanto sei d’accordo con la seguente affermazione: “i giovani devono Quanto sei d’accordo con la seguente affermazione: “I giovani devono
organizzarsi per contare di più all’interno dei partiti, dei sindacati e delle avere una rappresentanza autonoma e unitaria per far sentire in modo
altre organizzazioni di rappresentazione degli interessi”?
più forte la loro voce”?
Fonte: ACLI-IREF 2013
A uno sguardo d’assieme si nota che le due alternative hanno lo stesso livello di
approvazione: la prima, quella del cambiamento dall’interno, riceve il 71,7% di risposte
positive (molto + abbastanza); la seconda, l’ipotesi della rappresentanza autonoma, il
73%. Se si guardano i singoli item della scala proposta per formulare le risposte si nota
che anche in questo caso le differenze tra le due domande sono minime. In aggiunta,la
strategia dall’interno piace un po’ di più ai ragazzi che hanno superato i trent’anni (il
30,2% è molto d’accordo con l’affermazione); mentre gli autonomisti sono leggermente
più rappresentati tra i 20-25 enni: piace abbastanza al 55,4% degli appartenenti a
questo sottogruppo anagrafico. A parte le leggere caratterizzazioni demografiche,
sembra proprio che per gli intervistati si tratti di due alternative sullo stesso piano.
A ben vedere se si combinano le due domande si ottiene un risultato più articolato
(grafico 10). Per quasi il 60% degli intervistati le due strategie proposte possono
coesistere: la scelta di una rappresentanza autonoma non impedisce di provare a
incidere sui processi democratici interni alle organizzazioni sociali, cercando di portare
avanti le istanze delle giovani generazioni. Al contrario, il 28,3% del campione vede la
necessità di scegliere, delle due l’una: o si sta dentro partiti e sindacati cercando di
accrescere il potere decisionale dei giovani (è di questa idea il 13,5% dei giovani);
oppure si gioca la partita da fuori puntando sulla creazione di un fronte generazionale
compatto e ampio (14,8%). C’è poi un 13,5% di intervistati secondo il quale tutte e due i
modi di vedere la rappresentanza giovanile non funzionano.
25
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
La maggior parte dei giovani contattati pensa quindi che sia necessario un
approccio a binario doppio: lavorare negli spazi tradizionali di rappresentanza e,
parallelamente, portare avanti un progetto unitario di coalizione dei giovani.
Grafico 10 – Combinazione delle alternative per rafforzare il ruolo dei giovani all’interno dei processi decisionali delle
organizzazione di rappresentanza (%)
28,3
COESISTENZA
DELLE STRATEGIE
58,2
STRATEGIE
ALTERNATIVE
INUTILITÀ DELLE
STRATEGIE
13,5
Fonte: ACLI-IREF 2013
Se si guarda ai dati a livello territoriale si nota che l’accordo su questa prospettiva
non è omogeneo (graf. 11). La coesistenza trova il massimo dei consensi a Agrigento
(75,3%) e a Brescia (67%). L’idea che si sia di fronte a un’alternativa inconciliabile è
condivisa soprattutto a Firenze (43,1%) e, in modo minore, a Pisa (35%). La convinzione
che tutte e due le strade proposte non portino da nessuna parte raggiunge i livelli
massimi a Pisa (24%) e a Catanzaro (18%) e Milano (17,2%).
Grafico 11 – Combinazione delle alternative per rafforzare il ruolo dei giovani all’interno dei processi decisionali e di
rappresentazione degli interessi per sede di sperimentazione (%)
Coesistenza delle alternative
20,5
Inultilità delle strategie
18,0
31,0
4,1
31,0
15,0
8,0
8,0
21,0
Strategie alternative
30,3
43,1
18,0
61,0
67,0
61,0
61,0
45,1
Agrigento
Benevento
Brescia
Catania
Catanzaro
Firenze
30,0
12,0
17,2
24,0
11,8
75,3
35,0
52,5
Milano
58,0
41,0
Pisa
Torino
Fonte: ACLI-IREF 2013
Ma quali dovrebbero essere le materie nelle quali c’è maggiore bisogno di ascoltare
il parere dei giovani? Con questa domanda si è inteso far emergere una gerarchia delle
26
RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
priorità, fatto salvo il fatto che il parere dei giovani andrebbe sentito in tutti gli ambiti
della società (tab. 21).
Tabella 21 – Aree per le degli interessi dei giovani
IN QUALI DELLE SEGUENTI AREE RITIENI CHE IL GOVERNO DEBBA
TENERE IN PARTICOLARE CONSIDERAZIONE GLI INTERESSI DEI GIOVANI
QUANDO ADOTTANO LEGGI E PROVVEDIMENTI?
v.a.
% sulle risposte
% sui casi
Lavoro
Educazione
Salutee servizi sociali
Giustizia
Sicurezza
Ambiente
Sporte tempo libero
Immigrazione
Media
Altro
Nonsaprei
Totale
647
443
351
257
240
122
96
82
54
31
18
2341
27,6
18,9
15,0
11,0
10,3
5,2
4,1
3,5
2,3
1,3
0,8
100,0
78,6
53,8
42,6
31,2
29,2
14,8
11,7
10,0
6,6
3,8
2,2
284,4
Fonte: ACLI-IREF 2013
Com’era facile supporre al primo posto c’è il lavoro, indicato dal 78,6% degli
intervistati; segue molto distaccato l’educazione (53,8%). Con il 42,6% c’è poi l’ambito
della salute e dei servizi sociali. Le prime tre indicazioni, messe assieme, individuano un
preciso spazio politico per la rappresentanza giovanile, coincidente con il welfare state,
quello stato sociale che con la crisi economica ha avuto tagli significativi. Lavoro, scuola
e salute sono gli elementi minimi della cittadinanza sociale: rivendicare i propri interessi
in questi tre ambiti significa in modo implicito affermare che, oggi, i giovani sono
“cittadini dimezzati”, cittadini ai quali vengono chiesti sacrifici senza che la loro
abnegazione porti a un miglioramento delle condizioni e prospettive di vita.
Scorrendo verso il basso la tabella si trovano giustizia e sicurezza con una
percentuale attorno al 30%; ambiente e tempo libero ottengono invece il 14,8% e
l’11,7% delle preferenze, l’immigrazione il 10%. Le altre aree sono di sicuro importanti e
l’attenzione ai giovani sarebbe dovuta, ma non rappresentano una priorità anche perché
se ci fosse un welfare che tutelasse in modo adeguato le giovani generazioni gli ostacoli
negli altri settori sarebbero molto più semplici da superare. È questa la ricetta a cui
pensano gli intervistati: per risolvere la questione giovanile italiana ci vogliono
interventi su lavoro, scuola e servizi sociali. Una ricetta semplice e antica, ma che oggi
sembra essere stata dimenticata.
Una volta ricostruite le opzioni strategiche, può essere utile considerare a quali
condizioni i giovani decidano di impegnarsi all’interno di un’organizzazione giovanile.
Non è sufficiente affermare che ci sarebbe bisogno di un maggior protagonismo
generazionale se poi non si è disposti a impegnarsi in prima persona (tab. 22). Per
cominciare, con il 34,4% dei consensi, c’è il programma delle attività
dell’organizzazione: un intervistato su tre non è disposto a dare il proprio tempo senza
una coincidenza di intenti e di obiettivi. Appaiate, ci sono poi due condizioni molto
differenti: con il 23,6% la democrazia interna all’organizzazione, con il 23,1% la capacità
di comunicare le proprie attività. L’identikit dell’organizzazione giovanile ideale può
essere segnato in tre tratti: obiettivi chiari, meccanismi democratici ben funzionanti,
capacità di incidere sul dibattito pubblico.
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RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
Tabella 22 – Condizioni per impegnarsi all’interno di un’organizzazione giovanile
PER IMPEGNARTI ATTIVAMENTE IN UN’ORGANIZZAZIONE GIOVANILE, QUAL È PER TE L’ELEMENTO PIÙ
IMPORTANTE?
v.a.
%
La democrazia interna all'organizzazione
Il programma di attività
La presenza di altre persone come me
La capacità dell'organizzazione di comunicare le proprie attività
Altro
Totale
194
283
91
190
64
822
23,6
34,4
11,1
23,1
7,8
100,0
Missing data = 1
Fonte: ACLI-IREF 2013
Se i primi due elementi erano in qualche modo preventivabili, è il terzo a indicare
una novità. Le organizzazioni giovanili devono prendere parola facendo attenzione non
solo a quello che dicono, ma anche a come comunicano le istanze sociali delle giovani
generazioni. Non è sufficiente una mission ben definita e attività coerenti, ma ci vuole la
capacità di divulgare il messaggio in modo efficace. Ancora una volta è opportuno
ricordare che tali indicazioni provengono da giovani che possono vantare una militanza
nelle organizzazioni sociali, il loro giudizio è quindi espresso anche sulla base
dell’esperienza pregressa.
7. UNA SINTESI DEI RISULTATI DI RICERCA
È inutile negarlo, le cose sono cambiate e di molto. Non più di dieci-quindici anni fa
essere giovani significava poter scegliere. Le alternative biografiche erano molte, forse
troppe. Non a caso uno dei libri che ha segnato la generazione degli anni Novanta, il
celeberrimo Generazione X di Douglas Coupland, raccontava proprio dell’imbarazzo
della scelta, descrivendo un gruppo di ragazzi che di fronte all’abbondanza delle
opportunità preferiva stare fermo, rimanendo autoconfinato alla periferia della società
affetti da quella che Coupland chiamava “paralisi opzionale”. Una malattia pre-crisi la
paralisi opzionale. Oggi i giovani vedono le alternative ridursi, sparire l’una dopo l’altra.
È scontato richiamare la questione del lavoro. Secondo gli economisti un giovane che si
inserisce nel mercato del lavoro attraversa un fisiologico job shopping stage: passa da un
lavoro all’altro, cercando di capire qual è quello più adatto alle proprie aspettative,
attitudini e risorse; come un qualunque compratore sceglie nel mercato il lavoro che
preferisce. Quanti sono giovani che oggi possono permettersi questa forma di shopping?
Quando si trova un lavoro, se lo si trova, si ha innanzitutto paura di perderlo. Anche
perché - come sanno bene i ragazzi che hanno partecipato all’indagine – spesso l’accesso
la lavoro è regolato dall’intercessione di qualcuno che mette la proverbiale “buona
parola” per cui la riconoscenza si misura anche dalla capacità di rimanere nella
posizione assegnata senza accampare richieste di miglioramento, carriera,
aggiornamento. Esistono comunque ancora dei margini di scelta: per lavorare si ha la
possibilità di spostarsi, andando dove i meccanismi sono altri. Per chi non accetta le
regole del gioco la scelta si tratta di una scelta forzata.
Il lavoro, infine, restringe l’orizzonte dei progetti di vita dei giovani poiché le scelte
educative sono condizionate dalle potenziali ricadute occupazionali. Sebbene una
decisione come l’andare all’università continui a essere carica di prospettive di
autorealizzazione, poi quando si tratta di confermare le preferenze espresse in tale
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RICONOSCERSI
Sperimentazione di nuove metodologie di azione sociale per
rilanciare la partecipazione attiva dei giovani nella società
scelta attraverso ricerca di un lavoro coerente, la maggior parte dei giovani non se la
sente e si dichiara disposto ad accettare un qualsiasi lavoro. Le condizioni che vengono
poste sono poche: prima di tutto una retribuzione “decente”, in secondo ordine, un
minimo di interesse nei confronti di quello che si andrà a fare, la corrispondenza con il
percorso di studi non può essere un problema.
Che tutto ciò abbia delle ricadute sul progetto di vita indipendente è scontato.
Tuttavia su questo punto i giovani manifestano un atteggiamento particolare: sono
dell’idea che se avessero un lavoro degno di questo nome non avrebbero problemi a
portare avanti un progetto di vita autonoma o di coppia. Non vogliono essere assistiti
preferiscono avere la possibilità di spendere le proprie competenze e capacità, di far
vedere quanto valgono. I giovani, oggi, si trovano ad affrontare una situazione tutt’altro
che facile, tuttavia continuano ad avere fiducia in se stessi: anche se spesso si trovano in
posizioni penalizzanti, rimangono convinti di poter dare qualcosa.
È sul fronte della partecipazione e della rappresentanza sociale che lo scarto tra il
passato recente e il presente si fa più evidente. Il punto di vista dei giovani intervistati è
che ci sia bisogno di una rottura degli schemi dell’associazionismo e della
rappresentanza tradizionale. Secondo loro, ciò è valido sia se si ritiene che la
componente giovanile debba darsi un assetto autonomo sia se si pensa che valga la pena
cercare spazio nelle organizzazioni “adulte”. Nel primo caso si tratta di ripensare da zero
la forma associativa/rappresentativa, favorendo iniziative che innovino nella forma e nel
contenuto gli schemi della partecipazione giovanile. Nel secondo caso, il compito è più
complesso perché occorre negoziare i livelli e gli ambiti dell’innovazione: le resistenze
potrebbero non essere poche. Tuttavia, non bisogna pensare che le istanze di
cambiamento espresse dai giovani riguardino solo loro: partiti, sindacati e grandi
associazioni non vivono forse una crisi dei modelli attraverso i quali hanno sempre
interagito con la società? Sarebbe poi così rischioso dare in mano ai giovani la barra per
orientare la nuova rotta?
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