Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Sezione di Ematologia DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE EMATOLOGICHE XXVI ciclo Coordinatore Prof. Robin Foà TESI DI DOTTORATO Studio delle Alterazioni Genomiche nella Leucemia Linfatica Cronica Relatore Dottoranda Dott.ssa Ilaria Del Giudice Dott.ssa Silvia Bonina Anno Accademico 2012-2013 INDICE CAPITOLO 1 - La leucemia linfatica cronica 1.1 Introduzione 4 1.2 Meccanismi patogenetici 7 1.3 Criteri diagnostici 8 1.3.1 Emocromo 8 1.3.2 Valutazione morfologica 8 1.3.3 Valutazione immunofenotipica 10 1.3.4 Ulteriori valutazioni 11 1.4 Fattori prognostici 12 1.4.1 Stadiazione clinica 12 1.4.2 Indicatori clinici e marcatori sierici della massa tumorale 13 1.4.3 Stato mutazionale IGHV 13 1.4.4 Marcatori proteici 15 1.4.5 Alterazioni genetiche tradizionali 16 1.4.6 Nuove alterazioni genetiche 19 1.5 Evoluzione clonale nella LLC 21 1.6 Sindrome di Richter 22 1.7 Cenni di terapia 24 1.7.1 Terapie standard 24 1.7.2 Nuovi agenti terapeutici 26 CAPITOLO 2 – Microarray 2.1 Gene expression profiling 27 2.1.1 28 Gene expression profiling nella LLC 1 2.2 SNP array 29 2.2.1 Anomalie cromosomiche nelle patologie umane 29 2.2.2 SNP array e Cytoscan HD array 29 2.2.3 Principi della tecnologia 30 2.2.4 SNP array nella LLC 33 CAPITOLO 3 – Progetto 1: Analisi del pattern di alterazioni di Copy Number in cellule di leucemia linfatica cronica ottenute da campioni appaiati di linfonodo e sangue periferico 3.1 Introduzione 37 3.2 Materiali e metodi 39 3.2.1 Pazienti 39 3.2.2 Cytoscan HD array 40 3.2.3 Analisi dei dati 41 3.3 3.4 Risultati 42 3.3.1 Analisi delle CNA nei campioni appaiati SVP-LN 42 3.3.2 Analisi delle CNA nei campioni di SVP alla recidiva di malattia 47 Discussione 49 CAPITOLO 4 - Progetto 2: Analisi delle alterazioni di Copy Number e di BIRC3 in pazienti affetti da LLC con delezione 11q 4.1 Introduzione 51 4.2 Materiali e metodi 54 4.2.1 Pazienti 54 4.2.2 Cytoscan HD array 54 4.2.3 Analisi dei dati 54 4.3 Risultati 56 4.3.1 56 Delezione 11q e BIRC3 2 4.3.2 4.4 CNA 57 Discussione 62 CAPITOLO 5 - Progetto 3: Analisi del profilo di espressione genica di pazienti anziani affetti da leucemia linfatica cronica, arruolati nel protocollo ML21445: risposta al trattamento ed alterazioni di TP53 5.1 Introduzione 64 5.2 Materiali e metodi 66 5.2.1 Pazienti 66 5.2.2 Disegno dello studio e trattamento 66 5.2.3 Gene expression profiling 67 5.2.4 Analisi dei dati 67 5.2.5 PCR quantitativa real-time 68 5.3 5.4 Risultati 70 5.3.1 Risposta al trattamento 70 5.3.2 Profili di espressione genica e risposta al trattamento 70 5.3.3 Profili di espressione genica e alterazioni di TP53 72 Discussione 81 Bibliografia 84 3 CAPITOLO 1 La leucemia linfatica cronica 1.1 Introduzione ed epidemiologia La leucemia linfatica cronica (LLC) è una neoplasia maligna caratterizzata dall'espansione clonale e dall'accumulo di linfociti B maturi nel sangue periferico, nel midollo osseo e negli organi linfoidi secondari (linfonodi, fegato e milza) (Caligaris-Cappio & Hamblin, J Clin Oncol 1999). La LLC è la leucemia dell'adulto più frequente nel mondo occidentale, rappresentando circa il 25-30% di tutte le leucemie, con un’incidenza di 4,3 nuovi casi ogni 100000 individui per anno (Howlader et al, SEER Cancer Statistics Review, 1975-2010, National Cancer Institute). Colpisce prevalentemente individui anziani, presentando un'età mediana alla diagnosi compresa fra i 67 e i 72 anni (Howlader et al, SEER Cancer Statistics Review, 1975-2010, National Cancer Institute) sebbene sia stato stimato che circa un terzo dei nuovi casi venga diagnosticato prima dei 55 anni (Mauro et al, Blood 1999). Questo fenomeno è probabilmente dovuto alla più frequente esecuzione di controlli emocromocitometrici nella popolazione, permettendo la diagnosi di un maggior numero di pazienti nella fase precoce della patologia, tipicamente asintomatica. Gli individui di sesso maschile risultano essere maggiormente colpiti, con un rapporto di 1,5:1 rispetto alle donne (Howlader et al, SEER Cancer Statistics Review, 1975-2010, National Cancer Institute). Mentre non sono stati finora individuati fattori eziologici ambientali responsabili dell'insorgenza della LLC (Rozman & Montserrat, N Engl J Med 1995), è stata invece rilevata una predisposizione genetica e familiare alla patologia. Questa leucemia infatti è molto frequente nella popolazione caucasica, mentre è molto rara in Cina e Corea, e virtualmente assente in Giappone (Weiss et al, nat cancer inst monogr 1979; Boggs et al, Am J Hematol1987; Howlader et al, SEER Cancer Statistics Review, 1975-2010, National Cancer Institute). Il ridotto rischio di sviluppare la LLC non cambia negli Asiatici che nascono e/o risiedono nel mondo occidentale, suggerendo che i fattori genetici giochino un ruolo più determinante di quelli ambientali. Inoltre, dati epidemiologici mostrano come nel 5-10% dei casi vi sia una suscettibilità familiare alla LLC e ad altre sindromi linfoproliferative, con la 4 presenza di due o più individui affetti all'interno della stessa famiglia . I parenti di primo grado di pazienti con LLC hanno una probabilità otto volte maggiore, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare una LLC (Yuille et al, Br J Haematol 2000; Mauro et al, Haematologica 2006; Goldin et al, Haematologica 2009). Le basi genetiche della predisposizione ereditaria a sviluppare la LLC, indagate nei casi familiari, sono rimaste lungamente ignote per la mancanza di un unico locus con elevata influenza sul rischio di sviluppare la malattia. Il modello di suscettibilità proposto si basa invece sull’ereditarietà di multiple varianti a basso rischio in loci indipendenti. La possibilità di analizzare su larga scala i polimorfismi a singolo nucleotide (single nucleotide polymorphism - SNP) nell’intero genoma, grazie alle nuove tecnologie di rilevazione degli SNP, ha confermato questo modello di predisposizione genetica ereditaria a sviluppare la LLC (Speedy et al, Nat Genet 2014). I casi di LLC familiare sono, dal punto di vista clinico, molecolare e biologico, indistinguibili da quelli di LLC sporadica. 1.2 Meccanismi patogenetici Ad oggi, gli eventi che determinano l'insorgenza ed il decorso clinico della LLC non sono ancora stati pienamente individuati, ma nel corso degli anni sono emersi diversi potenziali meccanismi patogenetici coinvolti nell'evoluzione di tale neoplasia. Inizialmente, la LLC era considerata una neoplasia causata dall'accumulo di linfociti con prolungata sopravvivenza e fondamentalmente quiescenti (in fase G0/G1 del ciclo cellulare), con un indice proliferativo molto basso (Dameshek, Blood 1967). A partire da queste osservazioni, per molti anni la LLC è stata descritta come una patologia da accumulo, che trovava nel difetto del meccanismo apoptotico una delle sue principali cause (Meinhardt et al, J Mol Med 1999; Ringshausen et al, Blood 2002). A supporto del modello patogenetico basato su un difetto apoptotico, è stata identificata una aumentata espressione della proteina Bcl-2 nelle cellule di LLC rispetto a cellule B di individui sani (Korz et al, Blood 2002). A questi elevati livelli di Bcl-2 si accompagna la downregolazione di miR-15 e miR-16, due microRNA localizzati nella regione q14.3 del cromosoma 13, frequentemente deleta nelle cellule di LLC. È stato dimostrato che i suddetti microRNA hanno il ruolo di reprimere, a livello post-trascrizionale, il gene BCL-2, suggerendo 5 un loro possibile ruolo patogenetico (Calin et al, Proc Natl Acad Sci USA 2002; Cimmino et al, Proc Natl Acad Sci USA 2005; Gaidano et al, J Clin Invest 2012). Allo stesso modo è stato studiato anche il coinvolgimento della proteina codificata dall'oncogene TCL1, la cui espressione è regolata da miR-29 e miR-181 (Pekarsky et al, Cancer Res 2006): l'aumentata espressione del gene TCL1 a livello dei linfociti B di modelli murini transgenici ha prodotto un fenotipo simile a quella di una LLC umana maggiormente aggressiva o resistente al trattamento (Yan et al, Proc Natl Acad Sci USA 2006). Inoltre, anche la presenza di alcune lesioni citogenetiche ricorrenti nella LLC è stata messa in relazione con le alterazioni nel meccanismo apoptotico, come ad esempio la delezione della regione q22-q23 del cromosoma 11 (del11q22-q23), comprendente il gene mutato nell'atassia-teleangiectasia (ATM) e la delezione del cromosoma 17 (del17p13) dove è localizzato il gene TP53. Entrambe le proteine codificate da questi geni sono attivate in seguito ad un danno indotto al DNA e coinvolte nelle vie di segnale che regolano l'apoptosi e la sopravvivenza delle cellule (Döhner et al, N Engl J Med 2000). In seguito è stato però dimostrato che la LLC non può essere considerata come una patologia statica da accumulo. Esperimenti di misurazione in vivo della cinetica cellulare mostrano l’esistenza di una piccola porzione di cellule attivamente proliferanti, con circa il 2% di nuove cellule generate ogni giorno (Messmer et al, J Clin Invest 2005). Dal punto di vista istologico, esistono specifiche strutture, denominate centri di proliferazione, localizzate nei linfonodi e, in misura minore, nel midollo osseo: essi sono ritenuti essere il reservoire della malattia (Schmid & Isaacson Histopathology 1994; Burger et al, Blood 2009; Ponzoni et al, Semin Diagn Pathol 2011; Gaidano et al, J Clin Invest 2013), e qui si localizzano aggregati di cellule di LLC di dimensioni maggiori, esprimenti marcatori del ciclo cellulare quali Ki-67 e la ciclina D1, e la molecola anti-apoptotica survivina (Lampert et al, Hum Pathol 1999; Granziero et al, Blood 2001). Uno squilibrio fra proliferazione ed apoptosi cellulare, causato da un aumento della prima, una riduzione della seconda o dalla combinazione di entrambi i fenomeni, può portare all'accumulo dei linfociti B anormali. Tale interazione dinamica determina la dimensione del clone leucemico e l'evoluzione clinica della malattia (Chiorazzi, Best Pract Res Clin Haematol 2007). Quindi la piccola quota di cellule leucemiche con fenotipo proliferativo presente nel sangue periferico corrisponderebbe a quelle cellule che hanno ricircolato attraverso il microambiente 6 linfonodale e sono uscite dai centri di proliferazione, prima di tornare ad essere quiescenti (Gaidano et al, J Clin Invest 2013). Studi di espressione genica hanno dimostrato che le cellule di LLC isolate dai linfonodi e, in misura minore, dal midollo osseo hanno una maggiore attivazione della via di segnalazione del B-cell receptor (BCR) e di recettori della famiglia TNF, supportando l’ipotesi che questi tessuti costituiscano il microambiente dove avviene il mantenimento e la progressione della LLC (Herishanu et al, Blood 2011). In questi ambienti, le cellule proliferanti Ki-67+ sono in stretto contatto con cellule accessorie quali i linfociti T, le cellule stromali di origine mesenchimale e le cellule nurse-like, derivanti dai monociti (Zhang & Kipps, Annu Rev Pathol 2014). I recettori per le chemochine e le molecole di adesione espressi dalle cellule di LLC hanno un ruolo critico per l’homing all’interno del compartimento tissutale e per mediare i segnali favorenti la sopravvivenza da parte delle cellule stromali accessorie. Ad esempio le cellule nurse-like, residenti nei tessuti linfonodali, esprimono le chemochine CXCL12 e CXCL13, mentre le cellule stromali midollari esprimono prevalentemente CXCL12. Queste cellule attraggono le cellule di LLC grazie alla presenza su queste ultime di elevati livelli dei recettori CXCR4 e CXCR5. Le cellule nurse-like esprimono anche BAFF, membro della famiglia TNF, un ligando che induce la proliferazione fornendo alle cellule leucemiche segnali di sopravvivenza attraverso i recettori corrispondenti (BCMA, TACI, BAFF receptor). Le integrine espresse sulla superficie delle cellule di LLC, in particolare CD49d, cooperano con i recettori per le chemochine nell’adesione cellula-cellula attraverso i rispettivi ligandi sulle cellule stromali (VCAM1) (Zhang & Kipps, Annu Rev Pathol 2014). Un’altra importante molecola coinvolta nelle interazioni fra cellule leucemiche e microambiente è il CD44, un recettore per l’acido ialuronico che interagisce anche con altre proteine espresse dalle cellule di LLC, quali CD38, CD49d, MMP-9 e ZAP-70: questo complesso macromolecolare è responsabile di un ulteriore incremento nei segnali di crescita e sopravvivenza (Zhang & Kipps, Annu Rev Pathol 2014). Il fenomeno della stereotipia dei geni IGHV delle cellule di LLC - descritto in seguito supporta il ruolo di un antigene putativo nella selezione/espansione del clone leucemico e presenta quindi implicazioni patogenetiche che seguono la stessa linea. 7 1.3 Criteri diagnostici La diagnosi di LLC si basa sulla valutazione delle manifestazioni cliniche, della morfologia cellulare e dell’immunofenotipo. 1.3.1 Emocromo Il primo parametro che viene preso il considerazione per l'inquadramento diagnostico è rappresentato dalla presenza di una linfocitosi assoluta all’esame emocromocitometrico. Come stabilito dalle linee guida del International Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia (IWCLL) (Hallek et al, Blood 2008), il cut-off per porre diagnosi di LLC deve essere determinato anche mediante immunofenotipo e risultare superiore a 5x109/L linfociti B clonali con un immunofenotipo specifico (vedi sotto). Nel caso di un valore inferiore di linfociti B clonali, possono essere presenti due condizioni: la prima è il linfoma a piccoli linfociti, nel quale la patologia è prevalentemente localizzata a livello dei linfonodi e/o del midollo osseo; la seconda è la linfocitosi B monoclonale (monoclonal B-cell lymphocytosis MBL) (Rawstron et al, Blood 2002; Ghia et al, Blood 2004). 1.3.2 Valutazione morfologica La morfologia cellulare osservata su uno striscio di sangue periferico e descritta dal gruppo Franco-Americano-Britannico (FAB), consente di sospettare la diagnosi di LLC rispetto ad altri disordini linfoproliferativi. Sulla base delle caratteristiche morfologiche dei linfociti circolanti si possono distinguere due varianti morfologiche di LLC: la LLC a morfologia tipica e la LLC a morfologia atipica (Matutes et al, Best Pract Res Clin Haematol 2010). Nella LLC a morfologia tipica (80% dei casi), la maggior parte dei linfociti (>90%) è di piccole dimensioni con nuclei di forma regolare, cromatina addensata, ed un elevato rapporto nucleo-citoplasma; generalmente i nucleoli sono assenti (Figura 1A). Sono presenti le cosiddette “ombre di Gumprecht”, ossia residui di cellule rotte e sfaldate dalla manovra di strisciamento del sangue sul vetrino. In alcuni casi è possibile riscontrare anche una piccola porzione, non superiore al 10% del totale, di cellule di dimensioni maggiori con caratteristiche prolinfocitoidi (Matutes et al, Best Pract Res Clin Haematol 2010). 8 La LLC a morfologia atipica (20% dei casi) comprende a sua volta due ulteriori sottotipi: a. LLC/prolinfocitica (LLC/PL), in cui si osserva una percentuale compresa fra il 10% ed il 55% di cellule di dimensioni maggiori e nucleolate chiamate prolinfociti (Figura 1B). Tale tipo cellulare è caratteristico della leucemia prolinfocitica a cellule B (LPL-B). La LLC/PL può venire considerata come una variante della LLC in cui la malattia si presenta spesso in maniera più aggressiva rispetto alla forma tipica, e con caratteristiche intermedie fra la LLC e la LPL-B. b. LLC a cellularità mista, in cui le cellule di LLC sono frammiste a più del 15% di cellule con citoplasma più abbondante e spesso basofilo (elementi linfoplasmacitoidi) e/o cellule con nucleo irregolare (elementi a nucleo clivato) (Figura 1C) (Matutes et al, Best Pract Res Clin Haematol 2010). In rari casi l’analisi morfologica può rivelare la presenza di un numero variabile di blasti di grandi dimensioni con cromatina irregolare, diversi nucleoli e citoplasma basofilo, insieme ai piccoli linfociti di LLC (Figura 1D). Questa condizione può suggerire una trasformazione della malattia nella sindrome di Richter. In questi casi, l’esame istologico del linfonodo è necessario per confermare la trasformazione. Figura 1 – A. Colorazione May-Grunwald-Giemsa su sangue periferico di un caso di LLC tipica che mostra linfociti di piccola/media grandezza con cromatina condensata e scarso citoplasma. B. Colorazione May-Grunwald-Giemsa su sangue periferico di un caso di LLC con aumento dei pro linfociti (LLC/PL) dove si vedono sia piccoli linfociti che pro linfociti. C. Colorazione May-Grunwald-Giemsa di un caso di LLC a cellularità mista, con grani linfociti con citoplasma basofilo e cromatina meno condensata. D. Colorazione May-Grunwald-Giemsa di un caso di LLC con sindrome di Richter che mostra grandi immunoblasti con cromatina reticolare e citoplasma basofilo misti a piccoli linfociti (Matutes E et al. 2010). 9 1.3.3 Valutazione immunofenotipica L’analisi dell’immunofenotipo mediante citofluorimetria è l’esame chiave per porre la diagnosi di LLC ed escludere altri disordini linfoproliferativi (Almasri et al, Am J Hematol 1992; Moreau et al, Am J Clin Pathol 1997; Matutes et al, Best Pract Res Clin Haematol 2010). Secondo i criteri stabiliti dal IWCLL (Hallek et al, Blood 2008), l’immunofenotipo caratteristico della LLC è caratterizzato da: a. coespressione degli antigeni di superficie CD19, CD5 e CD23; b. restrizione della catena leggera (clonalità); c. bassa espressione delle immunoglobuline di superficie (sIg) e degli antigeni CD20 e CD22; c. assenza di FMC7; d. assenza o bassa espressione dell’antigene CD79b. Il CD5, normalmente espresso dai linfociti della linea T, è patognomonico della LLC e consente la diagnosi differenziale con la leucemia a cellule capellute (HCL), il linfoma follicolare in fase leucemica (LF) ed il linfoma della zona marginale (MZL), tutte patologie caratterizzate dall'assenza del CD5 (Caligaris-Cappio, Blood 1996). L'espressione del CD23, altro marcatore di attivazione della linea B, permette di effettuare la diagnosi differenziale tra la LLC ed il linfoma mantellare (MCL), anch'esso CD5+ ma CD23(Dorfman & Pinkus, Mod Pathol 1994). Recentemente anche l’espressione del CD200 (positivo nella LLC e negativo nel MCL) è risultata utile nella diagnosi differenziale. Il CD10 non è espresso dalle cellule di LLC, in accordo con il fatto che è un antigene che non viene generalmente espresso sulla superficie delle cellule B mature, ad eccezione del LF. La natura clonale della patologia viene identificata dalla restrizione della catena leggera delle immunoglobuline(κ o λ); inoltre, le cellule di LLC esprimono sIg a bassa intensità, generalmente IgM e/o IgD e, solo in un minor numero di casi, IgG o IgA (Matutes et al, Leukemia 1994; Moreau et al, Am J Clin Pathol 1997). Il CD20 e il CD22 sono debolmente espressi nella LLC, risultando utili nella diagnosi differenziale con gli altri disordini linfoproliferativi nei quali questi antigeni sono fortemente espressi. 10 Nella tabella 1 sono riassunte le caratteristiche immunofenotipiche distintive della LLC e degli altri disordini linfoproliferativi cronici. Tabella 1 - Caratterizzazione immunofenotipica dei disordini linfoproliferativi cronici a cellule B. 1.3.4 Ulteriori valutazioni Mentre l’aspirato midollare, la biopsia ossea e linfonodale non sono necessarie per la diagnosi di LLC tipica, l'analisi istologica può essere dirimente per la diagnosi differenziale nei casi di LLC con caratteristiche atipiche. L’esame istologico dei linfonodi inoltre può essere utile per i pazienti con sospetto di trasformazione clinica della malattia o con un andamento clinico aggressivo (refrattarietà al trattamento, elevato turnover cellulare): le dimensioni e/o l’attività proliferativa dei centri di proliferazione risultano essere importanti predittori di un andamento clinico particolarmente negativo (Giné et al, Haematologica 2010). La valutazione citogenetica, in particolare mediante ibridazione fluorescente in situ (FISH), permette l'identificazione di traslocazioni cromosomiche che, essendo rare nella LLC, agevolano l'inquadramento diagnostico del paziente. La traslocazione t(11;14)(q13;q32), che provoca il riarrangiamento del gene BCL-1, e la t(14;18)(q32;q21), che causa il riarrangiamento del gene BCL-2, sono utili per distinguere la LLC dal MCL e dal LF rispettivamente (Matutes et al, Leukemia 1999). Infine è stata riportata, nei casi di LLC con morfologia atipica, la presenza della traslocazione t(14;19)(q32;q13), che coinvolge il gene BCL-3 (Michaux et al, Cancer Genet Cytogenet 1997). 11 1.4 Fattori prognostici La LLC è caratterizzata da un decorso clinico estremamente variabile, con una sopravvivenza che va da mesi a decadi (Dighiero et al, N Engl J Med 2000). Alcuni pazienti rimangono asintomatici per anni o decenni, presentando una malattia indolente che non necessita di terapie, ed hanno un'aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale; altri invece presentano una patologia più aggressiva, con una ridotta sopravvivenza e richiedono trattamenti terapeutici precoci e frequenti (Caligaris-Cappio et al, J Clin Oncol 1999; Rozman & Montserrat, N Engl J Med 1995). Considerando l'eterogeneità che caratterizza questa patologia, sono stati condotti numerosi studi per identificare marcatori che possano aiutare a predire la prognosi ed idealmente la selezione della terapia. Accanto ai criteri di stadiazione clinica (stadiazione di Rai e Binet) e di alcuni parametri di laboratorio (come ad esempio il tempo di duplicazione dei linfociti – LTD), sono stati descritti marcatori misurabili a livello sierico, marcatori proteici rilevabili mediante immunofenotipo, marcatori genomici che possono essere identificati tramite FISH ed analisi mutazionale, sia con le tecniche standard (sequenziamento Sanger) che di nuova generazione (next generation sequencing – NGS) (Rosenquist et al, Leuk Lymphoma, 2013). 1.4.1 Stadiazione clinica Al fine di consentire la stratificazione clinica dei pazienti affetti da LLC in differenti gruppi di rischio, Rai e Binet hanno sviluppato in modo indipendente due sistemi di stadiazione, entrambi utilizzati da oltre trent’anni per stabilire la prognosi della malattia (Rai et al, Blood 1975; Binet et al, Cancer 1981). Il rilevamento di segni di malattia diversi dalla linfocitosi, come ad esempio linfadenopatia, epatomegalia, splenomegalia, anemia e trombocitopenia, permette di stratificare i pazienti in differenti gruppi di rischio (0-IV nel sistema di Rai e A-C nel sistema Binet). Entrambi i sistemi di stadiazione si sono rivelati utili nella valutazione dell’andamento clinico, dal momento che i pazienti identificati dallo stadio A di Binet o 0 di Rai presentano una lunga sopravvivenza mediamente superiore ai 10 anni, mentre l’aspettativa di vita si riduce progressivamente negli stadi successivi, fino ad arrivare ad una mediana di sopravvivenza di meno di 3 anni nello stadio IV di Rai e C di Binet (Rai et al, Blood 1975; Binet et al, Cancer 1981). Questi metodi di stadiazione presentano però due 12 limiti importanti: in primo luogo, dal momento che si evidenzia una certa eterogeneità fra pazienti appartenenti ad un medesimo stadio, non possono costituire l’unico mezzo per formulare una prognosi; in secondo luogo, la maggior parte dei pazienti si presenta oggi alla diagnosi in stadi precoci di malattia; inoltre, non fornendo alcuna informazione riguardo a come i pazienti risponderanno alla terapia, la stadiazione clinica non può essere utilizzata per scegliere il trattamento più adatto (Zenz et al, Best Pract Res Clin Haematol 2010; Rosenquist et al, Leuk Lymphoma, 2013). 1.4.2 Indicatori clinici e marcatori sierici della massa tumorale In aggiunta ai sistemi di stadiazione clinica, sono presenti altri indici “semplici” quali la conta linfocitaria, il LDT, i livelli sierici di lattato deidrogenasi (LDH) e l’infiltrazione midollare linfocitaria, tutti rilevanti dal punto di vista prognostico (Seiler et al, Semin Oncol 2006) perché associati all’attività della patologia. Il LDT, definito come il numero di mesi che servono al raddoppiamento del numero assoluto dei linfociti, benché mostri correlazione con lo stadio clinico e il livello di infiltrazione midollare, ha un significato prognostico indipendente. Un LDT breve è direttamente correlato ad un alto indice proliferativo e quindi ad una malattia più aggressiva e costituisce uno dei criteri per l’inizio del trattamento. (Montserrat et al, Br J Haematol 1986; Hallek et al, Blood 2008). Diversi parametri sierologici, quali la timidina chinasi (TK) e la ß2-microglobulina (ß2-MG), hanno dimostrato una rilevanza prognostica. I livelli di TK correlano con l’attività proliferativa delle cellule di LLC ed elevati livelli predicono la progressione della malattia. La ß2-MG è una proteina extracellulare associata con il complesso maggiore di istocompatibilità di classe I (MHC I); elevati livelli sierici hanno un significato prognostico sfavorevole (Wierda et al, J Clin Oncol 2009; Hallek et al, Blood 1999; Kantarjian et al, Am J Med 1992). 1.4.3 Stato mutazionale IGHV Durante la maturazione delle cellule B normali, i riarrangiamenti dei geni codificanti per le regioni variabili (IGHV), della diversità (IGHD), di legame (IGHJ) delle catene pesanti delle immunoglobuline e dei geni V-J delle catene leggere kappa (IGK)/lambda (IGL), forniscono le 13 basi per la struttura del BCR (Chiorazzi et al, N Engl J Med 2005). In seguito all’incontro con l’antigene, i geni IGHV sono coinvolti nel fenomeno dell’ipermutazione somatica: dopo il contatto tra la cellula B e l’antigene, le regioni variabili dei geni delle immunoglobuline vanno incontro ad un numero considerevole di mutazioni puntiformi che creano una ulteriore variabilità nell’ambito del clone di linfociti B in espansione in risposta all’antigene (maturazione per affinità). Nel caso della LLC invece, una percentuale consistente (40-50% dei casi) dei pazienti non presenta mutazioni a livello dei geni IGHV. Due importanti lavori di Hamblin e di Damle, entrambi del 1999, hanno mostrato un impatto prognostico dello stato mutazionale dei geni IGHV nella LLC (Damle et al, Blood 1999; Hamblin et al, Blood 1999). La presenza di mutazioni viene valutata confrontando la sequenza del DNA codificante per le IGHV estratto da linfociti B di pazienti con LLC e la sequenza germinale. Quando la sequenza del DNA in esame varia di oltre il 2% dalla sequenza germinale, essa si considera mutata (Damle et al, Blood 1999; Hamblin et al, Blood 1999). In entrambi gli studi, i pazienti con geni IGHV non mutati mostravano una malattia più aggressiva, alterazioni citogenetiche sfavorevoli ed una cattiva prognosi, con una sopravvivenza media inferiore rispetto a pazienti con geni IGHV mutati, i quali avevano un decorso clinico globalmente più favorevole (8 anni vs 24 anni). Dal momento che non cambia nel tempo, lo stato mutazionale dei geni IGHV è ad oggi considerato uno dei marcatori prognostici più stabili ed affidabili nel predire il decorso clinico della malattia (Langerak et al, Leukemia 2011). Inoltre il repertorio delle immunoglobuline nella LLC è “biased” e caratterizzato dall’esistenza di subset di casi aventi sequenze CDR3 (complementarity-determining region 3) omologhe, altresì dette “stereotipate”, a differenza della popolazione normale, nella quale questo fenomeno è molto raro (Stamatopulos et al, Blood 2007). Il fenomeno della stereotipia presenta implicazioni patogenetiche importanti, dal momento che supporta il ruolo di un antigene nella selezione/espansione del clone leucemico. L’espressione di BCR stereotipati è più frequente in LLC con geni IGHV non mutati, dove può raggiungere valori intorno al 40%, rispetto ai casi IGHV mutati, dove si attesta a valori pari al 10% (Stamatopulos et al, Blood 2007). Oltre allo stato mutazionale dei geni IGHV, anche le caratteristiche molecolari del BCR hanno un impatto sul decorso clinico dei pazienti: ad esempio il subset di pazienti 14 esprimente IGHV3-21/IGLV3-21 ha una prognosi sfavorevole, indipendentemente dallo stato mutazionale, mentre i pazienti esprimenti IGHV1-69/IGHD3-10/IGHJ6, nonostante i geni IGHV non-mutati, presentano un decorso della malattia indolente (Stamatopulos et al, Blood 2007). 1.4.4 Marcatori proteici Sono stati compiuti numerosi sforzi al fine di trovare dei marcatori che potessero rappresentare dei surrogati dello stato mutazionale dei geni IGHV, a causa della complessità della sua analisi. Fra i più rilevanti si annoverano CD38 e ZAP-70 (Rosenquist et al, Leuk Lymphoma 2013), entrambi valutabili mediante citofluorimetria. L’antigene CD38 è una glicoproteina transmembrana espressa dalle cellule di origine emopoietica, espressa in quantità elevata nelle cellule B e T attivate, come anche nelle cellule natural killer (NK) e dendritiche (Malvasi et al, Physiol Rev 2008). Sulla base dell’elevata espressione del CD38 nei casi IGHV-non mutati, esso era stato proposto come marcatore surrogato dello stato mutazionale (Damle et al, Blood 1999). Ulteriori studi hanno però dimostrato che il CD38 non indicava sempre univocamente lo stato non mutato dei geni IGHV ma rappresentava comunque un marcatore prognostico indipendente (Krober et al, Blood 2002; Hamblin et al, Blood 2002; Thunberg et al, Blood 2001). Nonostante ciò, vi sono alcuni aspetti dibattuti riguardo al suo utilizzo come fattore prognostico: contrariamente allo stato mutazionale IGHV infatti, l’espressione del CD38 può variare durante il corso della malattia (Hamblin et al, Blood 2002). Inoltre manca un cut-off univoco che consenta la definizione di positività per l’espressione del CD38: tale valore varia considerevolmente nei diversi studi, dal 7% al 30%, e tutti permettono l’identificazione di gruppi di pazienti a rischio maggiore (Damle et al, Blood 1999; Ibrahim et al, Blood 2001; Krober et al, Blood 2002). Un’altra proteina con significato prognostico nella LLC è ZAP-70 (Crespo et al, N Engl J Med 2003; Orchard et al, Lancet 2004; Wiestner et al, Blood 2003), una tirosin chinasi normalmente espressa dalle cellule T e NK che media la via di trasduzione del segnale del recettore delle cellule T (TCR) (Chan et al, Cell 1992; Negishi et al, Nature 1995). Inoltre, sia le cellule B normali nei primi stadi di differenziamento (cellule pro B e pre B) che maligne possono esprimere ZAP-70. Infatti questa proteina viene reclutata nel complesso di 15 trasduzione del segnale innescato dal legame tra BCR e l’antigene, con un meccanismo simile a quello della proteina strutturalmente omologa SYK (Scielzo et al, Leukemia 2006; Chen et al, Blood 2002; Efremov et al, Autoimmun Rev 2007). Nella LLC, la presenza di un’elevata espressione di ZAP-70 è stata inizialmente identificata nei casi IGHV non mutati in uno studio di espressione genica che comparava casi IGHV mutati e IGHV non mutati, ed è stata quindi proposta come surrogato dello stato mutazionale IGHV (Rosenwald et al, J Exp Med 2001). Analogamente al CD38, sebbene ci sia una discordanza tra l’espressione di ZAP70 e lo stato mutazionale IGHV in circa il 25% dei casi, diversi studi hanno convalidato il significato prognostico indipendente sfavorevole correlato all’elevata espressione di ZAP-70 nella LLC (Crespo et al, N Engl J Med 2003; Wiestner et al, Blood 2003; Orchard et al, Lancet 2004). Un ostacolo relativo all’utilizzo di ZAP-70 come marcatore prognostico risiede nella standardizzazione della sua misurazione: essendo una proteina intracellulare, l’applicazione della citofluorimetria non è semplice come nel caso del CD38, dal momento che richiede la fissazione e permeabilizzazione delle cellule per consentirne la marcatura e la successiva analisi. Un ulteriore marcatore citofluorimetrico con significato prognostico indipendente è il CD49d, i cui elevati livelli correlano con tempi di sopravvivenza più brevi. Recentemente, grazie ad un’ampia analisi multicentrica internazionale, è stato dimostrato che il CD49d è il più potente predittore di sopravvivenza identificabile mediante immunofenotipo (Bulian et al, J Clin Oncol 2014). CD49d è una subunità dell’integrina α4β1, la quale lega la fibronectina e VCAM-1. Come le altre integrine, è coinvolto nell’ancoraggio delle cellule ai tessuti attraverso la matrice extracellulare, funzione che può condizionare la sopravvivenza e migrazione delle cellule di LLC (Gattei et al, Blood 2008; Rossi et al, Haematologica 2008). CD49d e CD38 sono spesso coespressi sulle cellule di LLC, ed è stata dimostrato che tali molecole interagiscono fisicamente formando un complesso macromolecolare comprendente CD49d, CD38, CD44v e MMP-9 nelle cellule di LLC con geni IGHV non mutati (Buggins et al, Br J Haematol 2011). 1.4.5 Alterazioni genetiche tradizionali La FISH è la metodica standard utilizzata a livello clinico per l’identificazione delle alterazioni citogenetiche ricorrenti nella LLC. Queste alterazioni includono le delezioni dei cromosomi 16 13q, 11q e 17p e la trisomia del cromosoma 12, e forniscono importanti informazioni sull’andamento clinico del paziente classificato secondo il modello gerarchico proposto da Döhner et al. (Figura 2A) (Döhner et al, N Engl J Med 2000). Figura 2 – A. Probabilità di sopravvivenza nei pazienti appartenenti alle categorie di rischio tradizionali sulla base delle alterazioni citogenetiche (Döhner H et al. 2000). B. Probabilità di sopravvivenza nei pazienti appartenenti alle nuove categorie di rischio basate sulla combinazione delle alterazioni citogenetiche classiche e delle nuove alterazioni genetiche individuate mediante le metodiche di sequenziamento di nuova generazione (Rossi D et al. 2013). La delezione 13q14 è l’alterazione strutturale più frequente nella LLC (Tabella 2). I casi di LLC con del(13q14) come unica alterazione presentano la prognosi migliore rispetto alle altre alterazioni citogenetiche (Döhner et al, N Engl J Med 2000), con una sopravvivenza mediana di circa 11 anni. Le delezioni della regione 13q hanno dimensioni che vanno da circa 300 kbp fino a 70 Mbp: la regione minima deleta (minimal deleted region - MDR) è localizzata sulla regione 13q14 ed include diversi geni fra cui DLEU1, DLEU2, TRIM13, ed i microRNA miR15 e miR16. In particolare la perdita o la down-modulazione di questi due microRNA, che controllano geni apoptotici come BCL2, viene ritenuta uno dei fattori principali che causano la prevenzione dell’apoptosi nella LLC (Cimmino et al, Proc Natl Acad Sci USA 2005). È stata dimostrata un’interessante associazione fra la dimensione della delezione 13q e l’andamento clinico: pazienti con lesioni di dimensioni maggiori, comprendenti RB1, presentano un tempo al trattamento e una sopravvivenza globale inferiori (Ouillette et al, Cancer Res 2008; Parker et al, Leukemia 2011; Dal Bo et al, Genes Chromosomes Cancer 2011; Mian et al, Hematol Oncol 2012). 17 La seconda alterazione più frequente nella LLC è la trisomia 12, che si presenta nel 12% dei casi alla diagnosi (Tabella 2) ed è associata ad una prognosi intermedia, con una sopravvivenza mediana di 9,5 anni (Döhner et al, N Engl J Med 2000). La sua incidenza non aumenta alla recidiva o nei pazienti refrattari (Gunnarsson et al, Haematologica 2011). Circa il 10% dei casi di LLC alla diagnosi presenta la del(11q) (Tabella 2). I pazienti con del(11q) mostrano una più rapida progressione della malattia, con tempo al primo trattamento e sopravvivenza più brevi (6,5 anni) (Döhner et al, N Engl J Med 2000; Grever et al, J Clin Oncol 2007). La MDR, le cui dimensioni ammontano a 2-3 Mbp, è localizzata su 11q22.3-q23.1 e comprende il gene oncosoppressore ATM (Stilgenbauer et al, Proc Natl Acad Sci USA 1996; Taylor et al, Blood 1996). Questo gene gioca un importante ruolo nella regolazione del ciclo cellulare mediante l’attivazione di p53 e l’aumento della risposta al danno al DNA. Circa un terzo dei pazienti con del(11q) hanno mutazioni somatiche o germinali del gene ATM (Bullrich et al, Cancer Res 1999; Austen et al, Blood 2005; Guarini et al, Haematologica 2012). La sua incidenza aumenta alla recidiva o nei pazienti refrattari, fino al 25% dei casi. La delezione 17p viene identificata nel 3-7% dei casi alla diagnosi (Döhner et al, N Engl J Med 2000; Gunnarsson et al, Haematologica 2011). La lesione coinvolge spesso l’intero braccio corto del cromosoma 17, ma la MDR è localizzata sulla regione 17p13.1, che include il gene TP53, regolatore chiave del ciclo cellulare dal momento che ne induce l’arresto e promuove il riparo del DNA o l’apoptosi (Xu-Monette et al, Blood 2012). I pazienti con questa lesione mostrano generalmente un elevato grado di complessità genomica, molto probabilmente per la perdita dei meccanismi di riparo del DNA (Dicker et al, Leukemia 2009; Forconi et al, Br J Haematol 2008). La del(17p) si ritrova spesso, ma non esclusivamente, nelle LLC con altri marcatori prognostici sfavorevoli quali geni IGHV non mutati ed elevata espressione di CD38 e ZAP-70 (Krober et al, Blood 2002; Haferlach et al, Leukemia 2007). Il gene TP53 risulta spesso mutato nei pazienti con del(17p) e mutazioni a suo carico si ritrovano anche in pazienti privi della delezione, anche se questa evenienza è meno frequente alla diagnosi (Zenz et al, Blood 2008; Malcikova et al, Blood 2009; Zainuddin et al, Leuk Res 2011). Le mutazioni/delezioni di TP53 aumentano in fase di progressione di malattia e si accumulano nei pazienti chemio-refrattari, rappresentando il 40% dei casi resistenti alla terapia (Tabella 2) (Lozanski et al, Blood 2004; Zenz et al, Blood 2009; Stilgenbauer et al, J Clin Oncol 2009). 18 I pazienti con mutazione e/o delezione di TP53 rappresentano i casi con il peggiore decorso clinico e la minore sopravvivenza (2,6 anni) a causa della chemioresistenza agli agenti alchilanti, analoghi delle purine e anticorpi monoclonali anti-CD20; inoltre i pazienti con alterazioni a carico di TP53 hanno un maggiore rischio di sviluppare la sindrome di Richter. Tabella 2 – Frequenza delle principali alterazioni genomiche della LLC alla diagnosi, in progressione di malattie ed alla refrattarietà al trattamento. 1.4.6 Nuove alterazioni genetiche Grazie all’introduzione delle metodiche di NGS sono state recentemente identificate nuove lesioni genetiche nella LLC, che permettono di delineare un nuovo algoritmo per la stratificazione prognostica dei pazienti (Figura 2B) (Rossi et al, Blood 2013; Foà et al, Haematologica 2013). Il primo di questi geni è NOTCH1, localizzato sul cromosoma 9q34.3: mutazioni a suo carico sono state identificate nei due studi di NGS indipendenti di Puente et al. (nel 12% dei casi) e Fabbri et al. (nel 8.3% delle LLC) (Tabella 2). Le mutazioni di NOTCH1 compaiono quasi sempre a livello del dominio intracellulare PEST (prolina, acido glutammico, serina e treonina) e generano un codone di stop prematuro, che distrugge il dominio responsabile della degradazione di NOTCH1; ciò rende la proteina NOTCH1 costitutivamente attiva (Puente et al, Nature 2011; Fabbri et al, J Exp Med 2011). La sua attivazione supporta la via di segnalazione di NFκB attraverso l’interazione con il complesso IKK (Vilimas et al, Nat Med 19 2007). È stato inoltre dimostrato che un’elevato segnale di NOTCH1 porta all’aumento della sopravvivenza cellulare e della resistenza all’apoptosi nelle cellule di LLC (Rosati et al, Blood 2009). Le mutazioni a carico di questo gene sono più frequenti nelle LLC con geni IGHV non mutati e con trisomia 12, sebbene tale correlazione non sia assoluta (Del Giudice et al, Hamatologica 2012; Balatti et al, Blood 2012; Mansouri et al, Leukemia 2013). I pazienti con mutazioni di NOTCH1 mostrano una sopravvivenza più breve rispetto ai casi wild-type e presentano un maggiore rischio di sviluppare la sindrome di Richter (Puente et al, Nature 2011; Fabbri et al, J Exp Med 2011; Mansouri et al, Leukemia 2013; Rossi et al, Blood 2012; Rossi et al, Br J Haematol 2012; Sportoletti et al, Br J Haematol 2010). Il gene SF3B1, localizzato sul cromosoma 2q33.1, codifica per una proteina coinvolta nel macchinario dello spliceosoma (Wahl et al, Cell 2009). Studi recenti hanno identificato mutazioni del gene nel 10-15% dei casi di LLC (Tabella 2) (Rossi et al, Blood 2011; Wang et al, N Engl J Med 2011; Quesada et al, Nat Genet 2012). Tali mutazioni sono state rilevate a livello di alcuni esoni all’estremo C-terminale. Nel lavoro di Wang et al. è stato mostrato che pazienti con mutazioni di SF3B1 avevano anche uno splicing aberrante degli mRNA target di SF3B1, quali BRD2 e RIOK3 (Wang et al, N Engl J Med 2011). Inoltre i pazienti mutati per SF3B1 presentano una malattia che progredisce più velocemente rispetto ai casi wild-type ed una sopravvivenza considerevolmente minore (Wang et al, N Engl J Med 2011; Quesada et al, Nat Genet 2012; Rossi et al, Blood 2011). A differenza di NOTCH1, non sembra che SF3B1 sia coinvolto nel rischio di sviluppare la sindrome di Richter (Rossi et al, Br J Haematol 2012). La presenza di mutazioni a carico del gene SF3B1 sembra associarsi con le del(11q) o le mutazioni di ATM, suggerendo che queste alterazioni potrebbero avere un effetto cooperativo nella patogenesi della LLC (Wang et al, N Engl J Med 2011). Le mutazioni dei geni NOTCH1 e SF3B1 tendono ad essere mutualmente esclusive tra loro ed anche rispetto alle alterazioni di TP53 (Figura 3), rappresentando quindi meccanismi genetici alternativi responsabili di una malattia ad alto rischio (Foà et al, Haematologica 2013). Fra i nuovi geni coinvolti nella LLC è stato recentemente descritto BIRC3 (baculoviral IAP repeat containing 3), sito sul cromosoma 11q22.2, che potrebbe rappresentare un ulteriore gene candidato coinvolto dalla del(11q) oltre ad ATM (Rossi et al, Blood 2012). La proteina BIRC3 inibisce la chinasi MAP3K14, principale attivatore della via di segnalazione non 20 canonica di NFκB, regolandone la degradazione. La mutazione o delezione di BIRC3 determina quindi l’attivazione costitutiva della via di segnale non canonica di NFκB. Nello studio di Rossi et al. le alterazioni a carico di BIRC3 sono state identificate nel 4% delle LLC alla diagnosi, ma sono presenti in percentuale molto più alta (24%) nelle LLC refrattarie alla fludarabina (Tabella 2), mentre risultano assenti nei pazienti rispondenti alla fludarabina (Rossi et al, Blood 2012). Le alterazioni di BIRC3, che risultano mutualmente esclusive con quelle di TP53 (Figura 3), hanno un impatto prognostico negativo simile (Rossi et al, Blood 2012). Figura 3 – Relazione reciproca fra le mutazioni dei geni TP53, BIRC3, SF3B1 e NOTCH1 (Rossi D. Blood 2012). 1.5 Evoluzione clonale nella LLC La LLC può andare incontro al fenomeno di evoluzione clonale: il confronto del profilo delle lesioni genomiche mostrate dalle LLC pre-terapia con quello presente alla recidiva di malattia post-terapia ha evidenziato differenze nel 20-40% dei casi, dimostrando la natura dinamica dell’evoluzione clonale della patologia (Foà et al, Haematologica 2013). Dal punto di vista clinico, il fenomeno dell’evoluzione clonale si associa a prognosi negativa, resistenza al trattamento e trasformazione della malattia. Per quanto riguarda le alterazioni citogenetiche, l’evoluzione clonale nella LLC consiste principalmente nella acquisizione delle del(17p), del(11q) e del(13q) comprendente RB1 (Stilgenbauer et al, Haematologica 2007; Ouillette et al, Clin Cancer Res 2013). Per quanto riguarda le mutazioni, l’acquisizione di nuove mutazioni a carico di TP53 determina l’insorgenza di malattia refrattaria al trattamento o con evoluzione in sindrome di Richter (Foà et al, Haematologica 2013). Infatti, le recenti linee guida raccomandano di testare ripetutamente le lesioni di TP53 al momento del trattamento anche nei casi che sono precedentemente risultati wild-type (Pospisilova et al, Leukemia 2012). Analogamente a 21 TP53, anche le lesioni di NOTCH1, SF3B1 and BIRC3 possono essere acquisite nel corso della malattia, espandendo lo spettro di eventi genetici associati al fenomeno dell’evoluzione clonale (Rossi et al, Blood 2013). Oltre al coinvolgimento delle alterazioni note appena descritte, il fenomeno dell’evoluzione clonale implica spesso un incremento generalizzato della complessità genomica della malattia, con l’insorgenza di nuove alterazioni del numero di copie cromosomiche (copy number aberrations - CNA), oltre alle alterazioni tipiche della LLC, come documentato da studi effettuati mediante la metodica degli SNP array (Ouillette et al, Clin Cancer Res 2013). L’introduzione delle metodiche di NGS, in grado di ottenere una sensibilità molto maggiore rispetto al tradizionale sequenziamento Sanger, ha inoltre permesso di identificare la presenza di mutazioni subclonali nella LLC (da <20% a <1% delle cellule). Mutazioni subclonali di TP53, ad esempio, sono state identificate nel 9% delle LLC alla diagnosi e conferiscono una prognosi tanto severa quanto quella determinata da mutazioni o delezioni clonali del gene (Rossi et al, Blood 2014). Dal punto di vista patogenetico, questi subcloni con mutazioni sfavorevoli svolgono un ruolo di drivers della progressione della malattia, venendo selezionati ed espandendosi a livello clonale lungo il decorso della malattia, specialmente dopo trattamento, e determinando l’insorgenza di resistenza al trattamento stesso (Landau et al, Cell 2013). 1.6 Sindrome di Richter Il decorso clinico della LLC può essere complicato dall’insorgenza della sindrome di Richter, ovvero dalla comparsa di un linfoma, più frequentemente un linfoma aggressivo diffuso a grandi cellule B (DLBCL). Si tratta di una condizione che frequentemente si associa a segni sistemici, adenomegalie più importanti ed ha una prognosi molto sfavorevole Tale complicazione interessa circa il 10-15% dei pazienti con LLC a 10 anni dalla diagnosi (Gaidano et al, J Clin Invest 2012). Nella maggior parte dei casi le cellule linfoidi del DLBCL sono clonalmente correlate ai linfociti di LLC. La sindrome di Richter è più frequente nelle forme di LLC con geni IGHV non mutati ed è correlata alla espansione di cloni linfocitari interessati da lesioni genetiche aggiuntive. Tra i fattori di rischio correlati all’insorgenza della sindrome di Richter vanno ricordati alcuni marcatori genetici tra i quali l’uso del gene IGHV4-39 subset 8, mutazioni a carico dei geni TP53 e NOTCH1 e alterazioni dei geni 22 regolatori del ciclo cellulare CDKN2A/B (Fabbri et al, J Exp Med 2013). Sono descritte anche forme di linfomi non correlati clonalmente alla LLC, che insorgono de novo e la cui comparsa è favorita da una condizione di immunodepressione. 23 1.7 Cenni di terapia Il trattamento della LLC viene iniziato al momento della diagnosi solamente nel caso in cui la malattia si presenti già in fase avanzata (stadio Rai III-IV o Binet B-C); altrimenti la malattia viene seguita mediante controlli periodici e trattata soltanto al momento della comparsa di segni di rapida progressione e/o attività (comparsa di adenomegalie, epatosplenomegalia progressive o importanti, rapido incremento della linfocitosi, anemia, piastrinopenia, sintomi sistemici). Non è stato identificato finora alcun vantaggio in termini di sopravvivenza nel trattare la LLC in stadio iniziale (Montserrat et al, Cancer 1985). In assenza di un trattamento capace di eradicare il clone leucemico, le linee guida proposte nel 2008 dall’IWCLL confermano queste indicazioni (Hallek, Blood 2013). 1.7.1 Terapie standard La scelta del tipo di trattamento deve tenere conto non solo dell’età del paziente, ma anche delle sue condizioni generali e delle patologie associate, che non sono infrequenti nei soggetti più anziani. Negli scorsi decenni sono stati sviluppati nuovi farmaci chemioterapici, anticorpi monoclonali ed agenti biologici che, in varia combinazione tra loro, hanno sensibilmente migliorato la qualità e la durata di risposta nei pazienti con LLC. Il clorambucile è un agente alchilante orale, ben tollerato, impiegato preferibilmente nei pazienti più anziani, che consente di ottenere delle risposte solitamente parziali. La bendamustina è una nitrosourea con un doppio meccanismo d’azione, antimetabolita ed alchilante. Questo agente ha dimostrato un’ottima attività terapeutica nella LLC. Dati relativamente recenti mostrano un incremento dell’efficacia terapeutica quando la bendamustina ed il clorambucile sono combinati con anticorpi monoclonali anti-linfocitari. Gli analoghi delle purine (fludarabina, cladribina, pentostatina) agiscono inibendo la riparazione del DNA. Tra questi la fludarabina è quello più largamente impiegato, soprattutto in combinazione con altri agenti con cui mostra un effetto sinergico, ossia la ciclofosfamide e l’anticorpo anti-CD20 rituximab (schema FCR). Lo schema chemio-immunoterapico FCR è ritenuto oggi il miglior trattamento per pazienti affetti da LLC, in buone condizioni generali e che non presentano la delezione 17p13. Con 24 questo approccio chemio-immunoterapico si ottengono un’elevata percentuale di risposte complete e di lunga durata. Gli anticorpi monoclonali impiegati nella LLC sono diretti contro antigeni espressi sulla membrana dei linfociti, dei quali inducono la lisi cellulare complemento-mediata, citotossicità anticorpo-dipendente o anche stimolando l’apoptosi. Quelli più largamente impiegati nella LLC sono gli anticorpi monoclonali anti-CD20 (Rituximab, Ofatumumab, Obinutuzumab) diretti contro i B linfociti e l’anticorpo monoclonale anti-linfocitario antiCD52 (Alemtuzumab), diretto contro i linfociti B, T, NK e monociti. Quest’ultimo, specialmente se associato a steroidi, ha dimostrato un effetto terapeutico anche nei casi refrattari alla terapia ed in quelli caratterizzati dalla presenza di alterazioni del gene TP53. Gli anticorpi monoclonali sono solitamente impiegati in schemi terapeutici di combinazione. Attualmente si sta valutando il beneficio degli anticorpi monoclonali somministrati come singoli agenti in terapia di mantenimento. Va ricordato che gli schemi terapeutici che comprendono analoghi delle purine e gli anticorpi monoclonali si associano non solo a mielotossicità ma anche a marcata linfocitopenia, che aumenta sensibilmente il rischio di infezioni. Risultati terapeutici molto promettenti derivano da studi recenti, molti dei quali ancora in corso, che valutano l’attività terapeutica di agenti biologici capaci di interferire con i meccanismi che regolano la sopravvivenza e la crescita delle cellule leucemiche. Tra questi va menzionata la lenalidomide, agente immunomodulante che ha mostrato un’attività sia sui linfociti leucemici che sulle cellule che compongono il microambiente, linfociti T, le cellule NK e sul network citochinico. Attualmente, l’unico approccio terapeutico capace di eradicare la LLC è il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Tuttavia, questa procedura si associa ancora ad una considerevole mortalità e morbidità, in particolare la graft versus host disease e le infezioni. Questo approccio terapeutico più intensivo trova quindi indicazione nei pazienti più giovani, in buone condizioni cliniche con prognosi maggiormente sfavorevole per la presenza di una delezione o mutazione del gene TP53, o in quanto refrattari alla terapia o recidivati precocemente. 25 1.7.2 Nuovi agenti terapeutici All’armamentario terapeutico per la LLC si aggiunge un sempre maggior numero di composti accomunati dal meccanismo di azione specificamente mirato verso le vie di trasduzione del segnale del BCR. Fra questi troviamo agenti diretti verso determinate tirosin chinasi coinvolte nella via di segnalazione del BCR, quali Idelalisib (inibitore di PI3Kδ) ed Ibrutinib (inibitore di BTK). L’espressione dell’isoforma PI3K p110 δ (PI3Kδ) è ristretta alle cellule di origine emopoietica e svolge un ruolo nella proliferazione e sopravvivenza delle cellule B: nella LLC la via di segnalazione di PIK3 è costitutivamente attivata e dipende da PI3Kδ. L’Idelalisib, inibendo selettivamente PI3Kδ, promuove l’apoptosi nelle cellule di LLC in maniera dose- e tempodipendente, senza indurla nelle cellule T e NK normali. In uno studio su 54 pazienti con LLC ad alto rischio e pre-trattati, il 72% dei casi ha ottenuto una risposta (Brown et al, Blood 2014). La combinazione dell’Idelalisib con anticorpi monoclonali ha portato ad un ulteriore aumento delle risposte (81% dei casi) (Furman et al, N Engl J Med 2014). Analogamente, l’Ibrutinib è un potente inibitore che lega il residuo cisteina 481 dell’enzima BTK, una tirosin chinasi che svolge un ruolo importante nella via di segnalazione del BCR. Questo farmaco permette l’inibizione di numerosi processi, inclusa la via di segnalazione di ERK, il legame di NF-κB al DNA e di conseguenza la proliferazione e la migrazione delle cellule di LLC. L’Ibrutinib non ha dunque effetti tossici sulle cellule T normali. L’Ibrutinib ha mostrato un’attività significativa in pazienti affetti da LLC in recidiva o refrattari al trattamento, inducendo una risposta alla terapia nel 70% dei casi, in modo apparentemente indipendente da fattori di rischio clinici o genomici (Byrd et al, N Engl J Med 2013). 26 CAPITOLO 2 Microarray 2.1 Gene expression profiling Una delle prime applicazioni dei microarray è stata la valutazione dei profili di espressione genica, ossia la misurazione, in uno stesso esperimento, dei livelli di espressione di migliaia di trascritti di RNA. In virtù della sua versatilità e delle sue caratteristiche di rapidità e riproducibilità, la tecnologia dei microarray si è rivelata uno strumento di straordinaria potenzialità negli studi di medicina traslazionale, mirati al trasferimento in clinica delle conoscenze scientifiche e metodologiche acquisite dalla ricerca biomedica. La metodica dei microarray sfrutta la complementarietà tra le basi azotate tipica degli acidi nucleici per permettere l’ibridazione tra le sonde (probeset) adese sul chip e le sequenze target generate a partire dall’RNA estratto dal campione. Per ogni trascritto esiste più di un probeset, in modo da ottenere una maggiore affidabilità del risultato. Ogni probeset, inoltre, è composto da due sequenze: la prima, definita perfect match (PM), è complementare alla sequenza in analisi, mentre la seconda, definita mismatch (MM), è caratterizzata dalla sostituzione di un nucleotide in posizione centrale. La presenza di una sequenza MM ha il fine di incrementare la specificità del segnale ottenuto, poichè le condizioni che consentono l’ibridazione sono state studiate al fine di minimizzare l’interazione con le sequenze MM, esaltando nel contempo la capacità di interazione con quelle PM. L’RNA totale estratto dal campione viene retrotrascritto in cDNA a singola e successivamente a doppia catena; il cDNA viene utilizzato come stampo per una reazione di trascrizione in vitro per la sintesi dell’aRNA (RNA amplificato). La sintesi dell’aRNA consente, allo stesso tempo, di incrementare la quantità del prodotto da analizzare e di marcarlo con biotina. In seguito, l’aRNA viene frammentato, per permettere un’ibridazione più efficiente, e, in seguito, vengono effettuati dei lavaggi per eliminare tutto ciò che non si è legato ai probeset, che potrebbe altrimenti aumentare il rumore di fondo, inficiando quindi il risultato. 27 Successivamente, il chip viene marcato con una molecola fluorescente in grado di legarsi alla biotina presente sull’aRNA ed il segnale così generato viene infine rilevato mediante la scannerizzazione del chip. I diversi livelli di fluorescenza generati con la metodica dei microarrays corrispondono a diversi livelli di ibridazione e, quindi, di espressione genica. Per poter passare all’elaborazione dei dati è però necessario che il segnale rilevato dallo scanner venga convertito in valori numerici e successivamente sottoposto ad algoritmi di filtrazione e di pulizia. 2.1.1 Gene expression profiling nella LLC La tecnologia dei microarray per la valutazione dei profili di espressione genica ha permesso di chiarificare molti aspetti della LLC, ad esempio: Rosenwald et al. hanno dimostrato che la LLC ha una signature distintiva rispetto ad altri disordini linfoproliferativi, ed hanno chiarito che la LLC rappresenta un’unica neoplasia con un profilo genico univoco, simile a quello di un linfocita B-memoria, tanto nei casi con geni IGHV mutati che nei casi con geni IGHV non mutati. È stato inoltre identificato ZAP-70 come il gene più discriminativo tra i due sottogruppi (Rosenwald et al, J Exp Med 2001). Haslinger et al. hanno correlato l’espressione di gruppi di geni alle diverse anomalie cromosomiche della LLC; inoltre, tra i geni che sono risultati più fortemente associati a ciascuna aberrazione citogenetica, una frazione è localizzata precisamente nella regione cromosomica coinvolta dall’anomalia analizzata, dimostrando quindi la presenza di un effetto di dosaggio genico (Haslinger et al, J Clin Oncol 2004). Più recentemente, Herishanu et al. hanno identificato signature differenti a carico delle cellule di LLC derivanti dai differenti compartimenti tumorali (linfonodo, midollo osseo e sangue venoso periferico), dimostrando la presenza, a livello linfonodale, di un microambiente che consente la proliferazione delle cellule leucemiche e quindi la progressione della malattia (Herishanu et al, Blood 2011). 28 2.2 SNP array 2.2.1 Anomalie cromosomiche nelle patologie umane Il primo evento che ha messo in relazione la presenza di alterazioni cromosomiche con la patogenesi delle malattie risale alla scoperta della trisomia del cromosoma 21 e la sua associazione con la sindrome di Down (Lejeune et al, Prog Med Genet 1964). Successivamente sono state descritte altre sindromi cliniche basate sull’identificazione di anomalie citogenetiche ricorrenti presenti in molti pazienti che mostravano lo stesso fenotipo clinico, come la trisomia del cromosoma 13 nella sindrome di Patau, e la trisomia del cromosoma 18 nella sindrome di Edwards. L’inizio dell’applicazione della citogenetica allo studio del cancro è stata segnata, nel 1960, dall’identificazione del cromosoma Philadelphia, causato da una traslocazione tra il cromosoma 9 ed il 22, e dalla sua associazione con la leucemia mieloide cronica (Nowell et al, Science 1960). In seguito all’introduzione delle tecniche di bandeggio del cromosoma e successivamente della FISH, sono state identificate numerose aberrazioni cromosomiche strutturali associate a malattie umane. 2.2.2 SNP array e Cytoscan HD array Negli ultimi anni lo sviluppo di tecniche di analisi della variabilità genomica, in particolare dei microarray, ha contribuito in maniera decisiva all’identificazione di numerose alterazioni del numero di copie (CNA), ovvero quei segmenti di DNA presenti nel genoma umano con un numero variabile di copie, che contribuiscono in maniera rilevante sia alla differenza fenotipica fra individui, sia alla patogenesi di numerose malattie. Gli array Cytoscan HD (Affymetrix), utilizzati nei progetti presentati nei capitoli successivi, consentono di identificare alterazioni cromosomiche quali delezioni o amplificazioni submicroscopiche (superiori a 25-50 kb) con elevata sensibilità e specificità, grazie alla presenza di oltre 2,6 milioni di marcatori di copy number (CN), di cui 750.000 sono SNP ed i rimanenti sono marcatori di CN non polimorfici. Rispetto agli SNP array di generazioni precedenti, il Cytoscan HD array consente di analizzare le alterazioni genomiche fornendo una maggiore copertura del genoma grazie ad 29 una più elevata densità di marcatori di CN. Gli array SNP 6.0 (Affymetrix), predecessori degli array Cytoscan HD, utilizzati nella maggior parte degli studi di analisi delle CNA pubblicati negli ultimi anni, contengono infatti 1,8 milioni di marcatori, comprendenti circa 900.000 SNP. A differenza delle metodiche citogenetiche tradizionali (cariotipo e FISH), gli SNP array non sono in grado di identificare traslocazioni ed inoltre presentano una sensibilità minore rispetto alla FISH; il loro punto di forza è però rappresentato da una maggiore riproducibilità della metodica nonché dall’utilizzo del DNA genomico come materiale di partenza, non richiedendo l’utilizzo di cellule vitali come accade per le altre tecniche. 2.2.3 Principi della tecnologia La fonte più comune di variabilità genetica all’interno del genoma umano è data dall’esistenza degli SNP, mutazioni puntiformi germinali che occorrono naturalmente nel corso dell’evoluzione della specie. Per essere definiti come SNP, il rapporto tra la frequenza della variante più rara e quella più comune dell’allele deve essere inferiore all’1% in una data popolazione. La maggior parte degli SNP è costituita da due alleli e, se sono localizzati in una regione codificante di un gene, vengono distinti in SNP sinonimi o non-sinonimi (Nowak et al, Transfus Med Hemother 2009). Negli SNP array, oligonucleotidi sequenza-specifici omologhi ai differenti alleli degli SNP vengono sintetizzati su chip mediante metodi fotolitografici (Affymetrix). Per ottenere una maggiore affidabilità del risultato, sullo stesso array sono presenti differenti sonde per l’interrogazione di un singolo SNP. Per essere ibridati sugli array, campioni di DNA genomico altamente purificato vengono processati mediante l’utilizzo di enzimi di restrizione seguiti dal legame con una sequenza adattatrice e da una PCR a singolo primer per produrre una serie di prodotti di amplificati di una determinata lunghezza. I prodotti di PCR vengono quindi frammentati e marcati con un fluorocromo ed infine ibridati sull’array. Sulla base del loro genotipo, i frammenti si legano in modo specifico alle sonde perfettamente combacianti: il segnale fluorescente determinato dai frammenti ibridati viene quindi rilevato da uno scanner (Figura 4). 30 Figura 4 – Principi della tecnologia degli SNP array Affymetrix. Il DNA genomico viene digerito da enzimi di restrizione per formare frammenti di lunghezza variabile che vengono poi soggetti ad un processo di ligazione con adattatori che permettono di produrre, mediante una PCR a singolo primer, frammenti di dimensioni selezionate (200-1100 bp). Successivamente questi frammenti vengono marcati con un fluorocromo ed ibridati sull’array. I frammenti di DNA contenenti uno SNP (o un altro marcatore di CN non polimorfico) si legano specificamente alle sonde corrispondenti immobilizzate sulla superficie del chip. L’array ibridato e lavato viene scannerizzato da un laser che rileva i segnali fluorescenti la cui intensità è basata sul legame quantitativo tra frammento e sonda. I dati di fluorescenza rilevati vengono convertiti in valori di intensità che forniscono informazioni sul numero di copie del DNA. Il risultato di queste misurazioni permette di ottenere informazioni riguardo alle alterazioni cromosomiche sulla base del copy number del campione analizzato. Poichè il genoma umano è diploide, i valori di intensità rilevati vengono normalizzati ad un valore di CN di 2, rappresentante il valore normale degli alleli sui cromosomi somatici (Figura 5A). Di conseguenza una delezione in omozigosi risulterà in un valore di CN pari a 0, mentre una delezione in eterozigosi avrà un valore di 1 (Figura 5B). Le amplificazioni (o gain) saranno infine identificate da valori di CN pari a 3 o superiori (Figura 5C). 31 Figura 5 – Alterazioni genomiche identificate mediante Cytoscan HD visualizzati con il software ChAS (Chromosome Analysis Suite – Affymetrix). A. Cromosoma 4 senza alterazioni (CN=2). B. Cromosoma 13 con due delezioni eterozigoti (CN=1) ed una delezione omozigote (CN=0). C. Cromosoma 2 con amplificazione di una porzione del braccio p (CN=3). In un esperimento ideale per la determinazione di alterazioni genomiche acquisite in una neoplasia, il campione tumorale è analizzato in concomitanza con un campione di DNA germinale dello stesso individuo, al fine di determinare in modo accurato quali siano le lesioni patologiche del campione tumorale, in opposizione alle alterazioni preesistenti nel DNA germinale, quali gli SNP, ampiamente presenti nella popolazione umana. Ciononostante, in mancanza di campioni normali, esistono algoritmi computazionali che prevedono l’utilizzo di un’insieme di DNA normali come referenza: questo modello consente di raggiungere un’accuratezza quasi pari al potere d’analisi che si ottiene analizzando campioni appaiati (Nowak et al, Transfus Med Hemother 2009). 32 2.2.4 SNP array nella LLC Negli ultimi anni diversi studi hanno applicato la tecnologia degli SNP array allo studio della LLC: in particolare Ouillette et al. nel 2011 ed Edelmann et al. nel 2012 hanno condotto due importanti studi di copy number su casistiche molto ampie (255 e 353 casi rispettivamente). In generale, il genoma della LLC è caratterizzato da un numero minore di eventi rispetto a molti tumori solidi e ad altre neoplasie delle cellule B. Ciononostante, all’interno di entrambe le coorti di LLC, il range di CNA è ampio: circa il 15% dei casi (17% Ouillette e 12% Edelmann) non presenta alcuna CNA, mentre altri casi, seppur rari, portano più di 10 eventi di CNA sul loro genoma (Ouillette et al, Blood 2011; Edelmann et al, Blood 2012; Malek, Oncogene 2013). Circa il 44% dei casi nelle due coorti presenta almeno 2 CNA, mentre il 23% dei pazienti, mostrando almeno 3 CNA, è stato definito come il gruppo avente la maggiore complessità genomica. Quest’ultimo gruppo risulta particolarmente interessante dal punto di vista clinico, poiché in entrambe le coorti mostra una forte associazione con le alterazioni genomiche note ad alto rischio del(11q), del(17p) e/o mutazioni del gene TP53. Nel lavoro di Ouillette et al. sono state calcolate la sensibilità e la specificità dei dati ottenuti mediante SNP array (SNP 6.0 – Affymetrix) rispetto ai dati FISH riguardo alle principali alterazioni cromosomiche della LLC. Per quanto riguarda la del(13q14), la sensibilità e la specificità degli SNP array sono risultate pari al 89% e 95% rispettivamente rispetto ai risultati totali della FISH, mentre 98% e 92% se comparate con i risultati della FISH-25 (alterazioni rilevate dalla FISH in ≥25% dei nuclei analizzati). Sono stati calcolati questi dati anche per la del(17p) (sensibilità e specificità pari a 92% e 99% rispetto alla FISH e 100% e 99% rispetto alla FISH-25) e per la del(11q) (sensibilità e specificità pari a 73% e 99% rispetto alla FISH e 92% e 99% rispetto alla FISH-25). Questi risultati provano l’elevata specificità degli SNP array quando comparati alla FISH; è stata inoltre confermata la minore sensibilità degli SNP array per l’identificazione delle lesioni presenti in meno del 25% del DNA di partenza (Ouillette et al, Blood 2011). Oltre alle alterazioni cromosomiche caratteristiche della LLC (del(17p), del(11q), del(13q14) e trisomia 12) e ad altre aberrazioni già precedentemente associate alla patologia, quali del(6q), +8q, +2p, +19 e +18, entrambi gli studi hanno descritto nuove CNA ricorrenti (presenti in almeno in due casi), anche se relativamente infrequenti (Tabella 3). 33 La tecnologia degli SNP 6.0 è stata applicata anche allo studio dell’evoluzione clonale della LLC, in una casistica di 156 pazienti studiati longitudinalmente (Ouillette et al, Clin Cancer Res 2013). Da questo studio è emerso in particolare che: i) l’evoluzione clonale si verifica più frequentemente, ma non esclusivamente, nei pazienti sottoposti a terapia; ii) il pattern di alterazioni acquisite più frequentemente è lo stesso (del(13q) comprendente RB1, del(11q), delezione/mutazione di TP53) sia dopo terapia che in assenza di terapia; iii) nei campioni che acquisiscono la delezione di TP53, vi è una predominanza di cloni molto complessi dal punto di vista genomico con l’acquisizione un elevato numero di CNA (5,1 CNA acquisite in media, contro 0,6 CNA acquisite nei pazienti TP53 wild-type). Sono state identificate inoltre delle CNA ricorrenti fra i casi inclusi in questo studio (Tabella 3). Sempre mediante SNP 6.0 è stato condotto uno studio da Rinaldi et al. su una coorte di 147 casi di cui si disponeva dei dati di follow-up, in modo da indagare il possibile significato prognostico delle CNA. Sono state in questo modo identificate 14 minimal common region (MCR) con un impatto statisticamente significativo sulla sopravvivenza (Tabella 3). Le amplificazioni a livello del cromosoma 2p e del cromosoma 8q hanno mostrato la maggiore significatività statistica e risultano essere marcatori prognostici indipendenti: entrambe si correlano con una ridotta sopravvivenza rispetto ai pazienti senza tali alterazioni. Anche le delezioni del cromosoma 8p sembrano associarsi ad una prognosi sfavorevole, ma non con la stessa potenza statistica delle due lesioni appena descritte, probabilmente per la presenza di pochi casi che portano questa CNA (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). Infine, un interessante studio delle alterazioni del numero di copie è stato condotto nell’ambito di un progetto più ampio, comprendente anche l’analisi mutazionale, su una casistica di 39 pazienti affetti da LLC refrattari al trattamento con fludarabina (Messina et al, Blood 2014). Sono state descritte anche in questo caso delle alterazioni ricorrenti all’interno della coorte (Tabella 3). 6 casi su 39 hanno mostrato un profilo di CNA che appare compatibile con il fenomeno della cromotripsi, ossia una frammentazione in un cromosoma, o parte di esso, in molti segmenti riuniti poi in maniera non accurata, nel quale si vengono a creare simultaneamente da poche unità a varie centinaia di riarrangiamenti/lesioni (Stephens et al, Cell 2011). La complessità genomica di questi pazienti ne rispecchia il decorso clinico sfavorevole (Messina et al, Blood 2014). 34 Regione cromosomica Tipo di alterazione Coorte 1q23.3 Delezione Edelmann et al. 2012 1q42.12 Delezione Edelmann et al. 2012 2p25.3-p22.3 Amplificazione Rinaldi et al. 2011 2p16.2-p14 Amplificazione Rinaldi et al. 2011 3p21.31 Delezione Edelmann et al. 2012 3p14.2-p14.1 Delezione Messina et al. 2014 3p14-p12.3 Delezione Messina et al. 2014 4p15.2-p14 Delezione Messina et al. 2014 5q23.3-q31.1 Amplificazione Ouillette et al. 2013 6p25.3 Amplificazione Edelmann et al. 2012 6p22.1 Delezione Edelmann et al. 2012 6p21.33 Delezione Ouillette et al. 2013 6q14-q22.3 Delezione Ouillette et al. 2011 Ouillette et al. 2013 6p21.32-p21.31 Delezione Ouillette et al. 2013 6p21.1-q12 Delezione Ouillette et al. 2013 6q13 Delezione Ouillette et al. 2013 6q14.3-q16.3 Delezione Ouillette et al. 2013 6q23-q27 Delezione Ouillette et al. 2011 7q34 Delezione Messina et al. 2014 8p23.1-p21.1 Delezione Ouillette et al. 2011 Rinaldi et al. 2011 8q24.21 Amplificazione Ouillette et al. 2011 Messina et al. 2014 8q23.3-q24.3 Amplificazione Rinaldi et al. 2011 Ouillette et al. 2013 9p21.3 Delezione Messina et al. 2014 9p21.3-p21.1 Delezione Messina et al. 2014 9q13-q21.11 Delezione Edelmann et al. 2012 10q24 Delezione Ouillette et al. 2011 Edelmann et al. 2012 35 13q31 Delezione>amplificazione Ouillette et al. 2011 14q13.2 Delezione Edelmann et al. 2012 14q24.3 Delezione Edelmann et al. 2012 14q24.3-q31.3 Delezione Messina et al. 2014 15q15.1 Delezione Edelmann et al. 2012 17p12-p11.2 Delezione Rinaldi et al. 2011 17q11-q12 Amplificazione>delezione Ouillette et al. 2011 17q12 Amplificazione>delezione Ouillette et al. 2011 17q21.31 Amplificazione>delezione Ouillette et al. 2011 17q21.32-q25.3 Amplificazione Ouillette et al. 2011 Ouillette et al. 2013 18p11.32-p11.21 Delezione>amplificazione Ouillette et al. 2011 18q21.33-q23 Amplificazione>delezione Ouillette et al. 2011 19p13.3 Delezione>amplificazione Ouillette et al. 2011 20p13 Delezione Ouillette et al. 2011 20p12.3-p12.1 Delezione Ouillette et al. 2011 Tabella 3 – CNA ricorrenti nelle casisitiche riportate in letteratura. 36 CAPITOLO 3 Progetto 1 - Analisi del pattern di alterazioni di Copy Number in cellule di leucemia linfatica cronica ottenute da campioni appaiati di linfonodo e sangue periferico 3.1 Introduzione Come descritto nel Capitolo 1, la LLC non è caratterizzata solamente dall’accumulo di linfociti B neoplastici resistenti all’apoptosi nel sangue periferico, nel midollo osseo, nei linfonodi e nel tessuto epatosplenico; vi è infatti una piccola componente (1-2%) di cellule leucemiche proliferanti. Esiste un’ampia variabilità inter-paziente nella proporzione di cellule proliferanti ed apoptotiche suggerendo che vi sia un’interazione dinamica tra questi due processi. Tale eterogeneità potrebbe anche essere presente a livello dei diversi compartimenti interessati dalla malattia di ciascun paziente. Misurazioni in vivo, effettuate mediante marcatura dell’acqua con deuterio (2H2O), hanno documentato tale eterogeneità nella cinetica delle cellule di LLC ed hanno ipotizzato che almeno in alcuni pazienti il compartimento linfonodale sia essenziale per l’espansione del clone delle cellule B leucemiche (Messmer et al, J Clin Invest 2005). Esperimenti in vitro hanno dimostrato che l’interazione reciproca delle cellule di LLC con i recettori espressi dalle cellule accessorie e con fattori solubili (ad esempio CD40L, CXCL12, CD31, VCAM1) presenti nei microambienti specializzati, quali gli organi linfoidi secondari ed il midollo osseo, è un processo fondamentale per il mantenimento e la progressione della malattia, in grado di preservare le cellule leucemiche dall’apoptosi e di promuoverne la crescita e la resistenza ai farmaci (Caligaris-Cappio & Ghia, J Clin Oncol 2008; Deaglio & Malavasi, Haematologica 2009; Burger, Semin Cancer Biol 2010). A causa della difficile riproducibilità in vitro del complesso microambiente tumorale, rimangono ancora da chiarire i meccanisimi con cui esso contribuisca in vivo all’aumento della sopravvivenza delle cellule leucemiche (Burger et al, Blood 2009). È stato documentato come uno specifico microambiente abbia la capacità di influenzare il profilo di espressione genica delle cellule leucemiche: cellule di LLC derivanti dal tessuto linfonodale, ed in misura minore quelle del midollo osseo, mostrano infatti un profilo di espressione genica che rispecchia un’attiva proliferazione, con più elevata espressione dei 37 geni E2F e c-MYC rispetto alle cellule di LLC presenti nel sangue periferico. Inoltre, risultano più attive la via di segnale del BCR, l’attivazione dei recettori della famiglia del TNF e la via di segnale di NF-κB nelle cellule leucemiche derivanti dal linfonodo rispetto a quelle prelevate da sangue periferico. Questa osservazione supporta ulteriormente l’ipotesi che il linfonodo possa essere il sito chiave nella patogenesi della LLC (Herishanu et al, Blood 2011). La differente espressione genica delle cellule leucemiche derivanti dai vari compartimenti tumorali non sembra essere indotta da un controllo epigenetico compartimento-specifico di metilazione del DNA, suggerendo la presenza di altri meccanismi alla base di tali differenze (Cahill et al, Leukemia 2013). Al fine di comprendere meglio gli effetti in vivo delle interazioni delle cellule leucemiche con il microambiente, vi è quindi l’esigenza di una più approfondita conoscenza della biologia delle cellule di LLC derivanti dai diversi compartimenti. Per questo motivo, con il presente studio abbiamo voluto analizzare mediante SNP array cellule di LLC prelevate contemporaneamente dal sangue venoso periferico (SVP) e da biopsia linfonodale (LN), al fine di identificare eventuali differenze nei pattern delle alterazioni cromosomiche. Tale studio è parte di un progetto cooperativo di genomica molecolare della LLC, che si propone di studiare le differenze tra i due compartimenti anche a livello di mutazioni geniche. 38 3.2 Materiali e metodi 3.2.1 Pazienti Per questo studio è stato analizzato il DNA genomico estratto da campioni appaiati di sangue periferico, linfonodo e saliva di 9 pazienti affetti da LLC, le cui caratteristiche sono riportate in tabella 4. Tutti i pazienti al momento dello studio erano in prima progressione di malattia, eccetto uno (#3) in seconda progressione dopo trattamento. La biopsia linfonodale era stata eseguita per indicazioni cliniche. I casi studiati sono stati selezionati sulla base dei seguenti criteri: a. disponibilità di cellule leucemiche ottenute contemporaneamente da sangue periferico e biopsia linfonodale; b. infiltrazione di cellule leucemiche CD5+/CD19+ >70% sia nel sangue periferico che nel linfonodo; c. assenza di sindrome di Richter; d. disponibilità di materiale germinale (saliva). Due pazienti (#2 e #3) sono stati analizzati nuovamente nel sangue periferico alla successiva recidiva di malattia dopo trattamento. #1 F/60 Stadio Rai/Binet I/B #2 F/59 I/A Prima progressione 5/Neg/Neg UM WT #3 F/69 I/A Pre-trattato 5/Neg/Neg UM WT #4 M/47 I/A Prima progressione 5/Neg/Pos UM WT #5 M/47 III/C Prima progressione 5/Pos/Pos MUT WT #6 F/62 II/B Prima progressione 4/Neg/Pos MUT WT #7 M/46 I/B 5/Pos/Pos UM WT #8 F/74 0/A Prima progressione 4/Neg/Pos UM WT #9 M/37 II/B Prima progressione 5/Pos/ND MUT WT Paziente Sesso/età IGHV TP53 Prima progressione Score/ CD38 (>30%)/ ZAP-70(>20%) 5/Pos/ND UM WT Fase della malattia Prima progressione Tabella 4 – Caratteristiche dei pazienti inclusi nello studio. ND: dato non disponibile. 39 3.2.2 Cytoscan HD array Il DNA leucemico di ogni paziente è stato estratto da cellule mononucleate separate da campioni di sangue venoso periferico e da biopsia linfonodale mediante il kit Wizard Genomic DNA Purification (Promega). Il DNA germinale è stato estratto dalla saliva di ciascun paziente mediante il kit Nucleo Spin Tissue (Macherey-Nagel), ed eventuali contaminazioni batteriche sono state escluse mediante il kit Quantifiler Human DNA Quantification (Applied biosystems). Il DNA germinale è stato utilizzato come controllo per ogni paziente, al fine di escludere le alterazioni germinali ed evidenziare unicamente le lesioni leucemiche. Gli esperimenti di analisi delle CNA sono stati eseguiti utilizzando i protocolli standard della metodica Cytoscan HD (Affymetrix): 250 ng di DNA di ottima qualità (rapporto 260/280 ≈1,80 e controllo su gel di agarosio allo 0,8%) sono stati sottoposti ad una prima fase di digestione con l’enzima NspI, e successivamente a ligazione con adattatori per NspI. I campioni sono stati diluiti e quattro aliquote di ognuno sono state amplificante mediante PCR. Dopo l’amplificazione, 2 μl di ogni campione sono stati corsi su un gel di agarosio al 2%, in presenza di un marcatore molecolare: ogni prodotto di PCR doveva essere compreso fra 150 bp e 2000 bp. Dopo aver riunito insieme i quattro prodotti di PCR di ogni campione, essi sono stati purificati utilizzando microbiglie magnetiche per eliminare eventuali dimeri di primer. È stato quindi effettuato un nuovo controllo della qualità basato sulla quantificazione dei campioni: per poter procedere con l’esperimento, i campioni dovevano avere una concentrazione >2,5 μg/μl, un rapporto 260-280 compreso fra 1,8 e 2,0 ed un’assorbanza a 320 nm <0,1. I campioni che hanno soddisfatto i precedenti criteri di qualità sono stati quindi sottoposti ad una reazione di frammentazione in segmenti di DNA di dimensioni prestabilite. Il controllo dell’avvenuta frammentazione è stato effettuato mediante un gel di agarosio al 4%: i frammenti dovevano avere una distribuzione compresa fra 25 bp e 125 bp. Ogni campione è stato quindi sottoposto ad una reazione di marcatura ed infine ibridato sugli array. Dopo aver effettuato dei passaggi di lavaggio e marcatura, gli array sono stati scannerizzati per rilevare la fluorescenza emessa dai frammenti di DNA appaiati alle sonde presenti sul chip. 40 3.2.3 Analisi dei dati I dati sono stati analizzati con i software ChAS (Chromosome Analysis Suite – Affymetrix) e Partek Genomics Suite. Per poter procedere con l’analisi ogni campione ha soddisfatto tre parametri relativi al controllo di qualità: a. MAPD: è una misura globale della variazione di tutte le sonde del microarray all’interno del genoma. Mediante la valutazione delle differenze fra marcatori adiacenti sul genoma, tale parametro misura il rumore di fondo, e deve essere <0,25. Se superiore a questo valore, indica la presenza di rumore di fondo eccessivo per poter fornire un dato riproducibile. b. Waviness SD: è una misura della variazione delle sonde del microarray solo su distanze ampie. Teoricamente deve essere <0,12, ma in casi di elevato Waviness SD, con valori accettabili per gli altri parametri di qualità, può indicare solamente la presenza di molte alterazioni su ampie regioni cromosomiche. c. SNPQC: è una misura della risoluzione con cui vengono identificati gli alleli degli SNP. Deve avere un valore >15 per raggiungere uno standard di qualità accettabile. Le alterazioni con CN > 2,3 sono state considerate amplificazioni e quelle con CN < 1,7 delezioni. Quindi, per escludere la presenza di falsi positivi o artefatti, tutte le alterazioni fornite dai software, aventi valori di CN che si discostano di ± 0,3 dal valore normale (CN=2) ed almeno 25 marcatori al loro interno, sono state ricontrollate visivamente sui grafici del profilo di CN di ogni campione. 41 3.3 Risultati 3.3.1 Analisi delle CNA nei campioni appaiati SVP-LN L’analisi di CN ha permesso di individuare un totale di 41 alterazioni nell’intera casistica (Tabella 5). Paziente FISH (SVP) CNA comuni CNA esclusive del SVP CNA esclusive del LN #1 del13q del13(q14.2-q14.3) - del6(q16.3-q26) del11q gain 2p(p16.1-p15), gain8(q13.3-q24.3), del11(q14.1-q23.2), del18(p11.32-p11.21) - gain2(p25.3-p14), del8(p23.3-p11.1), del9(p24.3-p13.1), del13(q14.2-q31.1), del13(q31.1) del13q, del11q* del11(q22.3) del6(q23.3-q24.1), del 6(q24.2), del 6(q24.2), del13(q12.11), del13(q14.11), del13(q14.13-q14.3), del13(q14.3) del5(q14.3-q21.3), del11(q14.1-q23.3) del13q*, del11q, del17p* del4(p15.2), del4(p15.1p14), del4(p14-p12), del4(q13.1), del4(q13.1q21.1), del4(q21.22), del4(q21.33-q22.11), gain6(p25.3-p24.2), del11(q22.2-q23.1) - del3(p13) #5 tris12 del4(q22.3-q23), del4(q31.3), del4(q32.2q32.3), tris12, del18(q21.1-q21.2), del18(q21.2), del18(q21.31) - - #6 del13q, tris12 tris12, del13(q13.2-q14.3) - - #7 neg del8(p23.1) - - #8 tris12 tris12 - - #9 del13q del13(q14.2-q14.3) - - #2 #3 #4 Tabella 5 – Elenco delle alterazioni identificate in ciascun paziente mediante Cytoscan HD array; alterazioni FISH studiate solo nel sangue periferico. * Alterazioni identificate mediante FISH in meno del 25% dei nuclei analizzati. 42 Sono state identificate CNA in tutti i campioni di sangue periferico, con una media di 3,8 alterazioni per paziente ed un range che va da un minimo di 1 ad un massimo di 9 CNA. La maggior parte delle alterazioni presenti nei campioni estratti da sangue periferico è costituita da delezioni (82,4%) mentre le amplificazioni sono presenti in quota minore (17,6%). I risultati ottenuti mediante SNP array confermano l’83,3% delle alterazioni globalmente identificate mediante FISH ed il 100% delle alterazioni identificate mediante FISH in > 25% dei nuclei analizzati. Oltre alle lesioni canoniche già rilevate mediante FISH, ne sono state identificate 24 addizionali, con una media di 2,6 nuove alterazioni per caso. Per quanto riguarda i campioni linfonodali, sono state rilevate CNA in tutti i casi, da un minimo di 1 ad un massimo di 10, con una media di 3,8 alterazioni per paziente, analogamente ai risultati ottenuti dai campioni di sangue periferico; il pattern di alterazioni identificate è sovrapponibile a quello descritto per il sangue periferico, con delezioni pari a 82,4% ed amplificazioni 17,6%. 27 alterazioni (65,8%) sono risultate presenti sia nelle cellule derivanti dai linfonodi che in quelle del sangue periferico degli stessi pazienti, mentre 7 CNA (17,1%) specifiche del linfonodo non sono state rinvenute nella controparte di sangue periferico di 4 pazienti (#1, #2, #3, #4). Infine 7 lesioni (17,1%) specifiche del sangue periferico di un paziente (#3) non sono presenti nel campione linfonodale del paziente stesso. Questi risultati mostrano una elevata eterogeneità nel numero di CNA fra i diversi pazienti (Figura 5; Tabella 5). Inoltre, vi è una variabilità legata alla distribuzione di CNA tra i due compartimenti tumorali: 4 casi presentano delle CNA diverse nei due compartimenti (eterogeneità intra-paziente), mentre gli altri 5 pazienti condividono le stesse lesioni sia nel linfonodo che nel sangue periferico. 43 Figura 5 – Numero di CNA e distribuzione per compartimento tumorale (linfonodo-specifiche in rosso, sangue perifericospecifiche in blu e comuni in verde) nei 9 pazienti. Fatta eccezione per le lesioni citogenetiche tipiche della LLC, non sono state identificate altre alterazioni ricorrenti fra i 9 pazienti analizzati. Alcune delle CNA identificate sono state descritte in letteratura in altre casistiche di LLC (gain 2p, gain 8q, del 8p, del 18p) (Chapiro et al, Leuk Res 2010; Ouillette et al, Blood 2011, Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). In particolare, il gain 2p ed il gain 8q sono stati descritti come marcatori prognostici sfavorevoli: la prima alterazione, ricorrente in casi di LLC in stadio avanzato (Chapiro et al, Leuk Res 2010), è associata ad altri fattori prognostici sfavorevoli (del(11q), del(17p), geni IGHV non mutati) e frequente nel pazienti che subiscono la trasformazione della LLC in sindrome di Richter (22% dei casi) (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011); la seconda alterazione, è frequente nei casi con del(17p) ed inversamente correlata con la positività per ZAP-70 (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). Anche la del(8p), sebbene con minore significatività a causa della sua rarità nelle coorti analizzate, sembra avere un significato prognostico sfavorevole nella LLC e si associa con il gain 8q e la del(17p) (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). È interessante notare come queste tre alterazioni siano presenti a carico dello stesso paziente (#2): questo caso presenta infatti fra i marcatori prognostici noti la del(11q), geni IGHV non mutati, in concordanza con i casi di gain 2p 44 descritti in letteratura, ed è negativo per l’espressione di ZAP-70, coerentemente con quanto riportato riguardo al gain 8q; si riscontra inoltre l’associazione tra del(8p) e gain 8q, come descritto in letteratura (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). Due casi (#2 e #3) si sono rivelati essere i più interessanti per le maggiori differenze a livello delle alterazioni fra linfonodo e sangue periferico. Il caso #2 mostra 4 CNA esclusive del compartimento linfonodale ed assenti nel sangue periferico – del(8p23.3-p11.11), del(9p24.3-p13.1), del(13q14.2-q31.1) e del(13q31.1) –, mentre il caso #3 presenta una alterazione esclusiva del linfonodo – del(5q14.3-q21.3) – e 7 CNA esclusive del sangue periferico – del(6q23.3-q24.1), due delezioni 6q24.2, del(13q12.11), del(13q14.11), del(13q14.13-q14.3) e del(13q14.3). Fra le lesioni specifiche del linfonodo, la del(8p23.3p11.1) e la del(9p24.3-p13.1), entrambe presenti nel caso #2, sono particolarmente interessanti: la del(8p), oltre ad essere stata descritta come fattore associato ad un decorso clinico sfavorevole, come detto in precedenza, contiene al suo interno un elevato numero di geni coinvolti in diverse neoplasie (TNFRSF10A, TNFRSF10B, TNFRSF10C, TNFRSF10D); allo stesso modo anche la del(9p) è una regione molto importante dal punto di vista patogenetico, contenendo, fra gli altri, anche CDKN2B (P15) e CDKN2A (P16). Oltre ad una differenza dal punto di vista del numero delle alterazioni, entrambi i casi presentano delle differenze tra i compartimenti anche nella dimensione delle alterazioni comuni, che risultano essere più ampie nei campioni linfonodali. Nel caso #2, l’amplificazione del cromosoma 2p, presente in entrambi i compartimenti tumorali, ha un’estensione di 3 Mbp (2p16.1-2p15) nel sangue periferico ed include 25 geni, fra i quali è presente REL ma non l’oncogene MYCN, mentre misura 64 Mbp (2p25-2p14) nel linfonodo e include 344 geni, comprendenti tra gli altri anche REL e MYCN (Figura 6). 45 Figura 6 - Profilo di CN del paziente #2 (cromosoma 2): nel sangue periferico (in alto) l’amplificazione del cromosoma 2p ha un’estensione di 3Mbp, mentre nel linfonodo (al centro) è di 64 Mbp, come anche nel sangue periferico alla recidiva (in basso). Si può vedere che la regione p24.3, contenente MYCN, è coinvolta solamente nel linfonodo e nel sangue periferico alla recidiva. Analogamente, la del(11q) del caso #3 presenta un’estensione di 0,3 Mbp (11q22.3) nel sangue periferico, comprendendo nella regione deleta 5 geni (ATM, C11orf65, EXPH5, KDELC2, NPAT), ma non BIRC3, mentre nel linfonodo ha una dimensione di 36Mbp (11q14.111q23.3), includendo 191 geni tra cui anche BIRC3 (Figura 7). 46 Figura 7 - Profilo di CN del paziente #3 (cromosoma 11): la delezione del cromosoma 11 è di sole 0,3 Mbp nel sangue periferico (in alto) e di 36 Mbp nel linfonodo (al centro); nel sangue periferico alla recidiva la delezione raggiunge dimensioni intermedie tra i due campioni precedenti (in basso), con un’estensione di 14 Mbp. Si può vedere che la regione q22.2, contenente BIRC3, è coinvolta solo nel linfonodo e nel sangue periferico alla recidiva. 3.3.2 Analisi delle CNA nei campioni di SVP alla recidiva di malattia I casi #2 e #3 sono stati valutati longitudinalmente su campioni di sangue periferico raccolti alla successiva recidiva post-trattamento. Le cellule di sangue periferico del caso #2 alla recidiva presentano 15 alterazioni aggiuntive, che non erano presenti né nel campione di sangue periferico né in quello linfonodale studiati prima del trattamento (Tabella 6), documentando l’evoluzione clonale della malattia. Per quanto riguarda le alterazioni già presenti al momento del primo studio, la recidiva mostra la comparsa nel sangue venoso periferico di tutte le alterazioni presenti nel linfonodo, con la stessa estensione: in particolare il gain 2p, descritto precedentemente, nel campione alla recidiva ha la stessa dimensione di quello linfonodale (64 Mbp). (Figura 6). Inoltre, nel sangue periferico compaiono le lesioni specifiche del linfonodo, del(8p23.3p11.1) e del(9p24.3-p13.1), suggerendo che la terapia abbia selezionato i cloni ad origine linfonodale con alterazioni cromosomiche patogeneticamente rilevanti e determinato la loro successiva espansione in circolo alla recidiva. Il caso #3 analizzato al momento della recidiva mostra invece un quadro diverso (Tabella 6): 47 alcune delle CNA identificate in precedenza nel sangue periferico – del6(q23.3-q24.1), del 6(q24.2), del 6(q24.2), del13(q12.11) – non vengono più rilevate, mentre compare un’alterazione aggiuntiva – del(6p22.3) – ed un aumento nella estensione della del(13q), che era presente unicamente nel campione di sangue periferico iniziale. La del(11q) alla recidiva risulta di dimensioni maggiori (11q22.1-11q23.3 - 14 Mbp, contenente 104 geni fra cui BIRC3) rispetto a quella nel campione di sangue periferico iniziale (11q22.3 - 0,3 Mbp), ma minori di quella linfonodale (11q14.1-11q23.3 - 36 Mbp) (Figura 7). La lesione linfonodospecifica del(5q14.3-q21.3) non viene invece documentata nel compartimento circolante alla recidiva. Paziente #2 #3 FISH (SVP) del11q del13q, del11q* CNA esclusive del SVP CNA comuni gain 2p(p16.1-p15), gain8(q13.3-q24.3), del11(q14.1-q23.2), del18(p11.32p11.21) del11(q22.3) CNA esclusive del LN CNA del SVP alla recidiva - gain2(p25.3-p14), del8(p23.3-p11.1), del9(p24.3-p13.1), del13(q14.2-q31.1), del13(q31.1) gain2(p25.3-p14), del3(p26.3-p25.3), gain3(p25.2-p25.1), gain5(p15.33p14.1), del7(q21.12-q21.13), gain7(q21.13-q31.1), del7(q31.1q31.2), gain7(q31.2), del7(q31.2q32.1), gain7(q32.1-q32.3), del7(q32.3-q34), gain7(q34), gain7(q34-q36.1), del7(q36.1-q36.3), del8(p23.3-p11.1), gain8(q13.3q24.3), del9(p24.3-p13.1), del11q(q14.1-q23.2), del13(q11q12.11), del13(q12.2-q12.3), del13(q14.2-q34), gain17(q23.1q25.3), del18(p11.32-p11.21) del6(q23.3-q24.1), del 6(q24.2), del 6(q24.2), del13(q12.11), del13(q14.11), del13(q14.13-q14.3), del13(q14.3) del5(q14.3-q21.3), del11(q14.1-q23.3) del6(p22.3), del11(q22.1-q23.3), del13(q14.11-q14.3) Tabella 6 – CNA osservate nello studio orizzontale dei pazienti #2 e #3 sui campioni appaiati di sangue periferico e linfonodo e sul campione di sangue periferico alla recidiva di malattia. In grassetto sono evidenziate le nuove CNA comparse alla recidiva e sono sottolineate le CNA di origine linfonodale. *Alterazioni identificate mediante FISH in meno del 25% dei nuclei analizzati. 48 3.4 Discussione Nella LLC, il compartimento linfonodale rappresenta la sede dove è localizzata la componente cellulare maggiormente proliferante (Herishanu et al, Blood 2011; Burger, Semin Cancer Biol 2010). Per tale motivo, il linfonodo potrebbe essere proprio il compartimento di origine e selezione delle alterazioni genomiche responsabili del mantenimento e progressione della malattia e della resistenza al trattamento. In questo studio abbiamo voluto analizzare le lesioni cromosomiche presenti nelle cellule di LLC linfonodali ed in quelle circolanti, al fine di individuare eventuali differenze che possano supportare questa ipotesi. Da un totale di 41 CNA identificate nell’intera casistica, il 65,8% era presenti nelle cellule derivanti da entrambi i compartimenti tumorali, mentre circa il 17% caratterizzava esclusivamente le cellule del compartimento linfonodale di quattro casi o del sangue periferico di un caso. La relativa omogeneità di CNA tra i due compartimenti, evidente in 5 casi, rispecchia la natura leucemica e ricircolante della malattia. Tuttavia, questo studio supporta la presenza di una eterogeneità clonale intra-paziente della LLC (Landau et al, Cell 2013), dimostrando per la prima volta una diversa distribuzione compartimento-correlata dei diversi cloni della malattia. Due pazienti in particolare, uno studiato in prima progressione di malattia ed uno in progressione post-trattamento, sono risultati interessanti per la notevole complessità genomica e per la differenza presente fra sangue periferico e linfonodo. Tale differenza si è esplicata sia a livello quantitativo, con CNA esclusivamente presenti in un compartimento ed assenti nell’altro, sia a livello qualitativo, con CNA di diverse dimensioni a carico dei due compartimenti (gain 2p del caso#2, del(11q) del caso #3). In entrambi i casi si può documentare il coinvolgimento di regioni cromosomiche e geni aventi significato prognostico sfavorevole nelle cellule di LLC provenienti dal tessuto linfonodale, supportando quindi l’ipotesi che il linfonodo sia la sede di origine di cloni responsabili dell’evoluzione aggressiva della LLC. Ciò è dimostrato dallo studio degli stessi due casi nella fase di recidiva. In entrambi i casi la recidiva è caratterizzata dal fenomeno della evoluzione clonale, con comparsa di nuove alterazioni e, solo in uno dei due casi, scomparsa di alcune CNA. Inoltre, le lesioni precedentemente documentate come specifiche del linfonodo compaiono nel sangue 49 periferico alla recidiva nel caso #2 (del8p e del9p). Infine, il gain 2p e la del(11q), assumono nel sangue periferico alla recidiva dimensioni uguali o maggiormente simili a quelle del linfonodo, includendo geni patogeneticamente rilevanti come MYCN e BIRC3. Le cellule di LLC circolanti alla recidiva derivano quindi da un processo di selezione ed espansione di cloni di origine linfonodale con alterazioni genomiche sfavorevoli indotto dalla terapia, dimostrando il ruolo del microambiente linfonodale nella evoluzione dinamica della progressione della LLC. Per confermare questi risultati sarebbe interessare allargare questo tipo di studio ad altri pazienti, preferibilmente pre-trattati, nei quali il numero di CNA e l’alterazione della architettura clonale della malattia indotta dalla terapia risulterebbero particolarmente magnificati, come evidenziato dal nostro caso #3. Inoltre, sarebbe di particolare rilevanza riuscire a dimostrare, mediante esperimenti di microdissezione, che i centri proliferativi del linfonodo di LLC rappresentino la sede di origine dei cloni aggressivi. 50 CAPITOLO 4 Progetto 2 - Analisi delle alterazioni di Copy Number e di BIRC3 in pazienti affetti da LLC con delezione 11q 4.1 Introduzione Nella LLC, le conoscenze acquisite mediante le tecniche canoniche di FISH e sequenziamento Sanger hanno consentito una stratificazione dei pazienti in gruppi a differente rischio prognostico. L’identificazione di nuove alterazioni genetiche, grazie all’applicazione delle nuove tecniche di analisi genomica, ha ulteriormente integrato e migliorato tale stratificazione (Rossi et al, Blood 2013). Le alterazioni del gene TP53 (mutazioni e delezioni) costituiscono il fattore prognostico con il maggior potere predittivo della sopravvivenza (Rossi et al, Blood 2013). La presenza di mutazioni subclonali di TP53 è stata recentemente identificata mediante le tecniche di NGS, e conferisce una prognosi tanto severa quanto quella determinata da mutazioni o delezioni clonali del gene (Rossi et al, Blood 2014). Grazie all’applicazione degli SNP array, è stato effettuato da Ouillette et al. uno studio approfondito sulla del(13q14), nel quale sono state identificati due tipi di delezioni di estensione diversa caratterizzate o meno dal coinvolgimento del gene RB1 all’interno della delezione. Pazienti con la delezione più estesa comprendente RB1 sembrano avere un decorso clinico più sfavorevole rispetto a quelli con una delezione dimensioni minori non includente tale gene (Ouillette et al, Clin Cancer Res 2011; Dal Bo et al, Genes Chromosomes Cancer 2011). Inoltre, la LLC con del(13q) definita “isolata” non solo per l’assenza di altre lesioni FISH, ma anche per l’assenza delle nuove mutazioni con significato prognostico sfavorevole (NOTCH1, SF3B1, BIRC3, TP53), presenta una sopravvivenza a lungo termine di poco inferiore a quella della popolazione generale di pari età; rappresenta quindi la categoria a migliore prognosi al momento identificabile (Rossi et al, Blood 2013). La prognosi legata alla presenza della trisomia del cromosoma 12, considerata tradizionalmente intermedia, è stata ridefinita grazie alla presenza della mutazione del gene NOTCH1 nel 24% dei casi. LLC con trisomia del cromosoma 12 e mutazione di NOTCH1 hanno una sopravvivenza simile a quella di LLC con trisomia del cromosoma 12 e del(11q) o 51 del(17p) e più breve dei casi con trisomia del cromosoma 12 isolata o associata a del(13q) (Del Giudice et al, Haematologica 2012). La categoria che al momento rimane meno definita è quella dei pazienti con la delezione del braccio lungo del cromosoma 11, alterazione storicamente associata ad una cattiva prognosi, ma la cui presenza si correla con un andamento clinico non più così sfavorevole in seguito all’applicazione dei nuovi approcci terapeutici immunochemioterapici (Hallek et al, Lancet 2010). La delezione 11q è quasi sempre monoallelica ed è presente in circa il 10% delle LLC alla diagnosi (Rosenquist et al, Leuk Lymphoma 2013), mentre aumenta al 20% dei casi al momento del primo trattamento ed al 25% dei pazienti refrattari al trattamento (Foà et al, Haematologica 2013). La MDR ha un’ampiezza di 2-3 Mbp, è localizzata nella regione 11q22-11q23.1 ed include in tutti i casi il gene ATM, un oncosoppressore che svolge un ruolo importante nella regolazione del ciclo cellulare mediante l’attivazione di p53 come risposta al danno al DNA (Austen et al, Blood 2005; Guarini et al, Hematologica 2012). Il 30-40% dei pazienti con la del11q porta una mutazione inattivante di ATM sull’allele non deleto (Austen et al, Blood 2005), e tali alterazioni compromettono la risposta al danno al DNA (Austen et al, J Clin Oncol 2007; Pettitt et al, Blood 2001; Best et al, Leukemia 2008). Il trial clinico inglese CLL4 ha dimostrato che pazienti con alterazioni di ATM bialleliche (delezione e mutazione) hanno un decorso clinico peggiore in seguito a terapia con agenti alchilanti e/o analoghi delle purine, rispetto ai pazienti con alterazioni monoalleliche (delezione o mutazione) (Skowronska et al, J Clin Oncol 2012). Inoltre, la delezione 11q è un marcatore di instabilità genomica della malattia, identificando casi con un’elevata complessità genomica (Ouillette et al, Clin Cancer Res 2010). Non sembra infatti che ATM sia l’unico gene a determinare la prognosi sfavorevole dei pazienti con del11q (Ouillette et al, Clin Cancer Res 2010). Ad esempio, la delezione 11q spesso include anche BIRC3, un gene localizzato nella regione 11q22.2 che è stato trovato deleto o mutato in stadi avanzati di malattia e sembra essere correlato alla refrattarietà al trattamento (25% dei pazienti refrattari porta una lesione di BIRC3) (Rossi et al, Blood 2012). Le lesioni a carico di BIRC3 sono state associate ad un 52 significato prognostico sfavorevole simile a quello delle alterazioni di TP53 (Rossi et al, Blood 2013). Al momento non è ancora chiaro se nell’ambito delle LLC con del(11q) vi sia un significato prognostico specifico associato alle alterazioni di BIRC3 rispetto alla sola delezione di ATM. È stato recentemente riportato che, nei pazienti con del(11q), le mutazioni di ATM hanno un maggiore impatto sulla sopravvivenza rispetto alle alterazioni di BIRC3 (Rose-Zerilli et al, Haematologica 2014). Lo scopo di questo studio, ancora in corso di svolgimento, è quello di ridefinire l’eterogeneità prognostica della LLC con del(11q), mediante l’analisi delle CNA in una casistica di pazienti con la del11q precedentemente identificata mediante FISH. Verrà valutata la presenza e la prognosi di sottogruppi identificati in base a: i) l’ampiezza della delezione, ii) l’inclusione o meno di BIRC3 nella regione deleta e il suo stato mutato o wildtype, iii) la presenza di altre CNA ricorrenti. 53 4.2 Materiali e metodi 4.2.1 Pazienti Per questo studio sono stati selezionati fino ad ora 37 pazienti con del(11q) precedentemente identificata mediante FISH. La maggior parte dei pazienti (78,4%) era in prima progressione al momento dello studio, mentre i rimanenti sono stati studiati all’esordio di malattia. Le caratteristiche dei pazienti analizzati sono riassunte in Tabella 7. Pazienti analizzati M 30 F 7 Età mediana (range) 58,4 (40-76) IGHV M 1 IGHV NM 36 CD38+ 18 CD38- 17 ZAP-70+ 20 ZAP-70- 10 Tabella 7 – Caratteristiche dei pazienti analizzati. Il dato di CD38 e ZAP-70 non era disponibile per 2 e 7 pazienti rispettivamente. 4.2.2 Cytoscan HD Il DNA leucemico di ogni paziente è stato estratto da cellule mononucleate separate da campioni di sangue periferico mediante il kit Wizard Genomic DNA Purification (Promega). Gli esperimenti sono stati effettuati come descritto nel capitolo 3.3.2. 4.2.3 Analisi dei dati Il controllo di qualità e l’analisi dei dati è stata effettuata come spiegato in precedenza (capitolo 3.3.3), mediante l’utilizzo dei software ChAS (Chromosome Analysis Suite – Affymetrix) e Partek Genomics Suite. 54 Non disponendo del DNA germinale di tutti i pazienti, in questo progetto sono stati analizzati esclusivamente campioni di DNA leucemico. Quindi, invece di utilizzare come referenza il DNA germinale di ciascun campione, sono stati sfruttati algoritmi computazionali forniti dai software che prevedono l’utilizzo di un insieme di DNA normali come referenza. 55 4.3 Risultati 4.3.1 Delezione 11q e BIRC3 Sulla base della sensibilità degli SNP array descritta in letteratura, sono stati analizzati solamente i pazienti che presentavano in FISH la del(11q) in ≥25% dei nuclei: in questo modo abbiamo identificato la del(11q) nel 100% dei casi analizzati mediante Cytoscan HD. Per quanto riguarda la del(11q) nel dettaglio, si può vedere che la lesione è estremamente eterogenea tra i casi inclusi nella nostra coorte, andando da un minimo di 0,36 Mpb ad un massimo di 65,14 Mbp. La MDR è localizzata nella regione 11q22.3, ha un’ampiezza di 0,33 Mbp ed include 3 geni (ATM, CUL5, NPAT) (Figura 8). Figura 8 – Heat-map rappresentante le del(11q) identificate nell’intera casistica. Si può notare l’elevata eterogeneità per quanto riguarda le dimensioni della lesione. In rosso è evidenziata la MDR localizzata su q22.3; in blu è evidenziata la regione dove risiede BIRC3 che, come si può vedere, non è incluso nella delezione in 7 casi. Andando ad esaminare l’ampiezza complessiva della delezione, solo 3 casi hanno una delezione di piccole dimensioni (<5Mbp), mentre gli altri 34 pazienti presentano una lesione di dimensioni ≥5Mbp. Nel 81,1% dei casi (30/37) la lesione si estende anche alla regione 11q22.2 ed include il gene BIRC3; uno di questi pazienti (#23) porta anche una mutazione di BIRC3 sull’altro allele. Il 18,9% dei casi (7/37) non presenta la delezione a carico di BIRC3. È degno di nota che uno di questi 7 pazienti (#43) presenta BIRC3 all’interno di un’amplificazione (gain 11q13.3-q22.3). 56 4.3.2 CNA Per quanto riguarda le CNA identificate in questa casistica, ne sono state identificate 182 in totale, con una media di 4,9 per caso, con un range che va da 1 a 15 alterazioni (Tabella 8). Paziente FISH CNA 01 del11q, del13q gain 2(p25.3-p11.2), del 2(q31.1), gain 6(q27), del 11(p15.4), del 11(q14.1-q23.3), del 13(q14.2-q14.3), gain 15(q11.2), del 18(p11.32-p11.23) 02 del11q, tris12 del 5(p15.1), del 11(q22.2-q22.3), tris12, gain 15(q21.3) 03 del 11q del 11(q14.1-q24.3), del 13(q14.2-q14.3), del 19(p13.3-p13.11) 04 del11q gain 3(q12.2), del 4(q22.1), del 7(p21.2), del 11(q13.3-q23.3), del 18(p11.32) 08 del11q del 10(q22.1), del 11(q21); del 11(q22.1), del 11(q22.2), del 11(q22.3), del 11(q22.3), del 11(q22.3), del 11(q22.3-q23.1), del 11(q23.2), del 11(q23.2), del 16(13.2), del 18(q21.2), del 18(q21.2), del 18(q21.2) 10 del11q del 6(q27), del 11(q22.1-q23.3) 11 del11q gain 2(q37.1), del 3(q29), del 4(q21.21), del 11(q14.1-q23.3), del 13(q14.11-q14.3) 12 del11q, del13q del 11(q14.3-q24.2), del 13(q14.2-q14.3) 13 del11q gain 2(p25.3-p23.1), gain 3(q12.2), del 11(q13.3-q25) 14 del11q gain 6(q22.31), del 8(p23.1), del 11(q22.3-q24.3) 16 del11q del 11(q14.1-q23.3), gain 15(q13.1-q13.2), del 15(q14), gain 16(p11.2-p11.1) 18 del11q, del13q del 6(q21), del 11(q14.3-q23.3), del 13(q14.2), del 13(q14.2-q14.3) 19 del11q del 2(q31.3), del 11(q14.1-q24.1), del 13(q14.2-q14.3), gain 17(p13.3-p13.2) 20 del11q gain 2(p25.3-p14), del 4(p16.3-p15.1), del 11(q14.1-q23.3), del 11(q24.3-q25), del 13(q14.2-q14.3) 21 del11q, del13q del 5(q11.2), del 5(q14.3-q21.3), del 5(q21.3-q31.1), del 5(q31.1), del 11(q14.3q23.3), del 13(q14.2-q14.3) 23 del11q del 4(p16.3-p15.2), del 4(q12-q13.1), del 4(q13.1-q22.3), gain 5(q34-q35.2), del 7(p22.3), del 11(q14.3-q25), del 13(q14.2-q14.3), del 17(p13.3-p11.2), del 19(p13.3p13.11) 25 del11q gain 2(p16.1-p15), gain 8(q13.3-q24.3), del 11(q14.1-q23.2), del 18(p11.32-p11.21) 26 del17p*, del11q, del13q* del4(p15.2), del4(p15.1-p14), del4(p14-p12), del4(q13.1), del4(q13.1-q21.1), del4(q21.22), del4(q21.33-q22.11), gain6(p25.3-p24.2), del11(q22.2-q23.1) 27 del11q, del13q gain 2(p16.1-p15), del 11(q22.3-q24.2), del 13(q14.2-q14.3), del 19(p13.3-p13.11) 28 del11q, del13q gain 3(p24.1-p23), del 11(q13.4-q23.2), del 13(q13.3-q14.3) 29 del11q, del13q, tris12* gain 4(q21.1-q21.21), del 11(q22.3), del 11(q22.3-q23.1), del 13(q14.2-q14.3) 30 del11q, tris12* gain 2(p25.3-p14), gain 3(p26.3-p24.3), del 4(p16.3-p15.2), del 7(p22.3-p21.1), gain 8(q23.2-q23.3), del 9(p24.3-p21.1), del 9(p13.2-p13.1), del 11(q22.3), gain 15(q11.2), del 17(q25.1) 33 del11q gain 1(q21.1), del 1(q21.3), del 8(p22-p12), del 11(q14.1-q23.3) 36 del11q del 11(q21-q23.3), del 13(q14.2) 57 37 del11q del 4(q34.3-q35.1), gain 8(q13.3-q24.3), del 11(q21-q24.1), del 13(q14.2), del 15(q12-q15.2) 40 del11q, del13q del 11(q14.1-q23.3), del 13(q14.2-q21.32) 41 del11q gain 2(p25.3-p12), del 11(q14.3-q25), del 13(q14.2-q14.3) 42 del11q, del13q del 11(q14.1-q23.3), del 15(q14-q15.1) 43 del11q del 3(p14.1-p12.3), del 4(q35.2), gain 5(p15.33-p14.2), del 5(q14.3-q23.1), del 8(p23.3), del 9(p21.3), del 9(p21.3), del 9(p21.3), del 9(q21.12-q21.12), del 9(q22.32-q22.33), gain 11(q13.3-q22.3), del 11(q22.3-q23.3), gain 11(q23.3-q25), gain 14(q32.2-q32.33) 44 del11q gain 8(q13.3-q24.3), del 11(q14.1-q23.3) 45 del11q del 1(q42.12), gain 5(p15.33), gain 8(q12.2-q24.3), del 11(p15.4), del 11(q11-q13.1), del 11(q14.1), del 11(q14.1-q14.2), del 11(q14.2-q23.1), del 11(q23.3), del 11(q24.1-q24.3), del 13(q13.3), del 13(q14.2), del 13(q31.3-q32.1), del 16(q24.3), gain 21(q22.11-q22.12) 46 del11q del 7(q31.1), del 11(p14.3), del 11(p14.3-p14.2), del 11(q22.3-q24.2), del 13(q14.2q14.3) 47 del11q del 11(q22.3-q23.3), del 19(p13.3) 48 del11q, del13q del11(q22.1-q23.3) 49 del11q gain 2(p25.3-p14), del 11(q14.1-q23.3), del 13(q14.2-q21.32), del 19(p13.3) 50 del11q del 11(q14.1-q23.3), del 19(p13.3) 51 del11q, del13q gain 10(q11.22), del 11(q22.1-q23.3), del 13(q14.2-q14.3) Tabella 8 – Alterazioni FISH ed alterazioni rilevate mediante Cytoscan HD di ogni paziente. * Alterazioni identificate mediante FISH in meno del 25% dei nuclei analizzati. Il 78,6% delle CNA è costituito da delezioni, mentre il restante 21,4% da amplificazioni (gain). L’analisi delle CNA ha permesso di identificare il 88,7% (47/53) delle alterazioni globalmente identificate mediante FISH ed il 95,9% (47/49) delle alterazioni identificate mediante FISH in > 25% dei nuclei analizzati; ha consentito inoltre di identificare 135 lesioni non identificabili mediante il pannello FISH standard. Il numero più elevato di alterazioni aggiuntive alla del11q si riscontra a carico dei cromosomi 13 (con 20 pazienti deleti), 2 (9 pazienti con un’amplificazione e 2 con una delezione), 4 (8 casi deleti ed 1 con un’amplificazione), 8 (5 casi con un’amplificazione e 3 con una delezione), 15 (4 pazienti con un’amplificazione e 3 con una delezione) e 19 (6 casi con una delezione) (Figura 9). 58 Figura 9 – Numero di pazienti con alterazioni per ogni cromosoma autosomico. In rosso sono presentate le amplificazioni ed in blu le delezioni per ogni cromosoma. Le alterazioni più frequenti colpiscono, oltre al cromosoma 11, il cromosoma 13 (20 casi con delezione), il cromosoma 2 (8 casi con amplificazione e 2 con delezione), il cromosoma 4 (8 casi con delezione e 1 con amplificazione), il cromosoma 8 (5 casi con amplificazione e 3 con delezione), il cromosoma 15 (4 casi con amplificazione e 3 con delezione) ed il cromosoma 19 (6 casi con delezione). Nella casistica finora analizzata sono state identificate, oltre alle alterazioni citogenetiche tipiche della LLC, 5 alterazioni ricorrenti in ≥3 casi (Tabella 9). Regione cromosomica Inizio MCR Fine MCR Tipo di alterazione Frequenza Geni coinvolti 2p25.3 - 2p23.1 12783 31808702 Amplificazione 6/37 (16,2%) 189 geni (MYCN, ALK…) 2p16.1 - 2p15 58447137 61707680 Amplificazione 7/37 (18,9%) 15 geni (BCL11A, REL, XPO1…) 4p15.2 26304103 26448668 Delezione 4/37 (10,8%) 1 (RBPJ) 4q22.1 91848570 91899003 Delezione 3/27 (8,1%) 1 (FAM190A) 8q23.2 - 8q23.3 110842157 146231536 Amplificazione 5/37 (13,5%) 199 (MYC…) 19p13.3 882932 4315746 Delezione 6/37 (16,2%) 592 (JAK3, NOTCH3…) Tabella 9 – Alterazioni ricorrenti nella casistica. 59 Il gain 2p è stato identificato in 8 casi (21,6%) e presenta due distinte MCR, ossia 2p25.3p23.1 (in comune fra 6 pazienti – 16,2%) e 2p16.1-p15 (in 7 casi – 18,9%), sebbene la maggior parte dei pazienti (5/8) abbia un’amplificazione ampia che include entrambe le MCR. La prima comprende 189 geni, fra i quali sono inclusi MYCN e ALK, mentre la seconda include 15 geni, fra i quali REL, BCL11A e XPO1. In letteratura il gain 2p è stato descritto come alterazione ricorrente nel 28% in casi di LLC a stadio avanzato (Binet B/C) (Chapiro et al, Leukemia Research 2010), ed è stato identificata in associazione a geni IGHV non mutati, elevati livelli di LDH ed un elevato livello di trasformazione in sindrome di Richter. Spesso la presenza del gain 2p è associata alla presenza di del(13q), del(11q), ed inattivazione di TP53 (Fabris et al, Am J Hematol 2012; Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). Come nel nostro caso, sono state riportate due MCR, una coinvolgente MYCN (2p25.3-p22.3) e l’altra comprendente REL (2p16.2-p14): queste ultime si sono dimostrate essere marcatori prognostici indipendenti (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). Nella nostra casistica, 6/8 (75%) pazienti con il gain 2p erano in progressione di malattia, 1 era all’esordio ed 1 era pretrattato. In particolare, tutti i 6 pazienti aventi MYC incluso nella lesione erano in uno stadio avanzato della malattia (5 in progressione ed 1 pre-trattato). La del(4p15.2) ricorre in 4 casi (10,8%), due dei quali pre-trattati, e la MCR include un unico gene, RBPJ, che codifica per un importante regolatore trascrizionale del pathway di Notch1 (Castel et al, Genes Dev 2013). Una delezione ricorrente comprendente RBPJ è stata descritta da Messina et al. nel 7,6% di una casistica di pazienti affetti da LLC chemiorefrattaria (Messina et al, Blood 2014). La del(4q22.1) è stata identificata in 3 casi (8,1%), e la sua MCR include solamente parte del gene FAM190A (CCSER1): il trascritto di FAM190A presenta delezioni in-frame degli esoni più conservati nel 40% dei tumori. Da esperimenti in vitro sembra che la presenza di questa proteina sia richiesta per il normale svolgimento della mitosi cellulare e che mutazioni troncanti e delezioni in-frame a suo carico possano contribuire all’instabilità cromosomica tipica delle cellule tumorali (Patel et al, Am J Pathol 2013). Nella nostra casistica, tale delezione è stata identificata in 3 casi, aventi tutti un numero elevato di CNA (5 in un caso e 9 in due casi). Il gain 8q23.2-q23.3, riscontrato nel 13,5% della nostra casistica (5 casi), è stato descritto come marcatore indipendente di prognosi sfavorevole (Rinaldi et al, Br J Haematol 2011). In 60 questa regione è compreso anche MYC, oncogene noto per il suo coinvolgimento nella trasformazione della LLC in sindrome di Richter (Rossi et al, Blood 2011-b). Infine la del(19 p13.3), rilevata nel 16,2% dei pazienti analizzati (6 casi) presenta una MCR molto ampia, comprendente 592 geni (fra i quali anche JAK3 e NOTCH3), ed è stata descritta come ricorrente nel 2% dei casi analizzati anche da Ouillette et al, ma non le è stato attribuito alcun significato prognostico/patogenetico (Ouillette et al, Blood 2011). 61 4.4 Discussione Con questo progetto, ancora in corso di svolgimento, ci siamo prefissati di analizzare le alterazioni cromosomiche mediante SNP array in una casistica di pazienti aventi una delezione 11q già identificata mediante FISH, al fine di identificare all’interno dell’ampio gruppo di pazienti con del(11q), sottogruppi con potenziale significato prognostico (in base a: ampiezza della delezione; presenza/assenza di delezione/mutazione di BIRC3; presenza di altre alterazioni ricorrenti). Abbiamo identificato la delezione di BIRC3 nel 81,1% dei casi con del(11q): questo dato è superiore a quanto riportato da Rossi et al., probabilmente a causa dell’arricchimento della nostra casistica per pazienti in progressione di malattia. È interessante notare che sono già presenti diverse alterazioni ricorrenti all’interno della casistica - coerentemente con l’instabilità genomica associata alla del(11q) – e tutte contenenti geni con un potenziale significato prognostico/patogenetico. Fra queste ritroviamo le amplificazioni 2p e 8q, descritte in come letteratura come marcatori indipendenti di prognosi sfavorevole; l’inclusione in queste due regioni dei geni MYCN (2p24.3), REL (2p16) e MYC (8q24.1) accresce il significato patogenetico di queste lesioni (Forconi et al, Br J Haematol 2008; Chapiro et al, Leuk Res2 010; Deambrogi et al, Am J Hematol 2010; Moussay et al, Mol Cancer 2010; Scandurra et al, Hematol Oncol 2010). Sono state poi identificate due alterazioni ricorrenti a livello del cromosoma 4: del(4p15.2), includente nella MCR solamente il gene RBPJ, che potrebbe avere un impatto sulla regolazione del segnale di NOTCH ed è stato precedentemente descritto in una casistica di LLC chemio-refrattarie (Messina et al, Blood 2014), indicando un suo possibile coinvolgimento nella refrattarietà al trattamento; del(4q22.1), che include parte del gene FAM190A, e potrebbe avere un ruolo nel fenomeno dell’instabilità cromosomica delle cellule tumorali (Patel et al, Am J Pathol 2013). Infine è da segnalare la del(19p13.3), che comprende i geni JAK3 e NOTCH3, ai quali è difficile attribuire un significato patogenetico specifico a causa dell’ampiezza della MDR comprendente quasi 600 geni, di cui fanno parte. Con l’estensione della casistica ci prefissiamo di indagare le correlazioni fra i diversi parametri presi in considerazione in questo studio ed il decorso clinico dei pazienti. Inoltre, l’analisi della presenza di mutazioni di BIRC3 ed ATM contribuirà ad integrare le informazioni 62 sul panorama genomico della LLC con del(11q) ed a delucidare i meccanismi biologici alla base della sua relativa eterogeneità clinica. 63 CAPITOLO 5 Progetto 3 - Analisi del profilo di espressione genica di pazienti anziani affetti da leucemia linfatica cronica, arruolati nel protocollo ML21445: risposta al trattamento ed alterazioni di TP53 5.1 Introduzione Nonostante i pazienti affetti da LLC siano per la maggior parte anziani, con il 40% dei casi diagnosticati in età ≥75 anni ed oltre il 25% fra i 65 e i 74 anni (Howlader et al, SEER Cancer Statistics Review, 1975-2010, National Cancer Institute), questa categoria di pazienti è generalmente poco rappresentata nei trial clinici, in quanto spesso le comorbidità correlate all’età possono costituire criteri di esclusione (Yancik, Cancer 1997). Lo standard attuale per il trattamento dei pazienti in buona salute e non pretrattati prevede l’utilizzo del rituximab in associazione a fludarabina e ciclofosfamide (Eichhorst et al, Ann Oncol 2011), al momento il regime migliore in termini di sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale (Hallek et al, Lancet 2010). Tuttavia, nel trial clinico CLL8, sebbene non sia stata rilevata alcuna differenza fra pazienti con età inferiore e superiore ai 65 anni in termini di risposta e sopravvivenza, i pazienti con età >65 anni hanno presentato tossicità ed infezioni significativamente superiori e nessun vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto ai pazienti più giovani (Hallek et al, Lancet 2010). Inoltre, solamente l’11% dei pazienti entrati in studio aveva un’età superiore a 70 anni in ciascun braccio, poiché i pazienti più anziani spesso non risultano eleggibili a terapie con fludarabina (Hallek et al, Lancet 2010; Shvidel et al, Leuk Lymphoma 2003). Il clorambucile rimane pertanto un’opzione per il trattamento di prima linea per questo tipo di pazienti (Eichhorst et al, Ann Oncol 2011), ma mostra un’efficacia limitata se usato in mono-terapia: presenta risposte globali nel 75% dei casi, ma le risposte complete sono rare e la sopravvivenza libera da malattia è breve (Catovsky et al,Lancet 2007; Eichhorst et al, Blood 2009; Hillmen et al, J Clin Oncol 2007; Catovsky et al, Clin Lymphoma Myeloma Leuk 2011). 64 Quindi vi è la necessità di identificare regimi di trattamento più efficaci per questo ampio gruppo di pazienti. Uno degli studi recentemente pubblicati sul trattamento di pazienti anziani con LLC riguarda un trial clinico multicentrico di fase II (protocollo ML21445), che prevede nella fase di induzione la somministrazione di clorambucile in associazione a rituximab (CLB-R); i pazienti che hanno ottenuto una risposta al termine dell’induzione sono stati randomizzati o ad una terapia di mantenimento con rituximab o ad osservazione, con lo scopo di determinare se la combinazione CLB-R fosse fattibile ed efficace nel trattamento di prima linea dei pazienti anziani affetti da LLC (Foà et al, Am J Hematol 2014). Il progetto descritto in questo capitolo si focalizza sull’analisi di gene expression profiling (GEP) condotta sui pazienti inclusi nel protocollo ML21445. I campioni di sangue periferico utilizzati per lo studio sono stati prelevati al momento dell’arruolamento, quindi derivano da pazienti in prima progressione di malattia. Il primo obiettivo del progetto era di individuare la presenza di una specifica signature associata al tipo di risposta al trattamento, per avere nuove informazioni sui meccanismi cellulari alla base di una ridotta o mancata risposta alla terapia. Questi risultati, inseriti all’interno del più ampio studio clinico, sono stati pubblicati nel gennaio 2014 (Foà et al, Am J Hematol 2014). La seconda parte del progetto fa parte di un lavoro ancora in fase di stesura. Sfruttando la stessa casistica di pazienti, “pulita” ed omogenea per caratteristiche cliniche, caratterizzazione biologica e trattamento ricevuto, abbiamo voluto indagare l’influenza delle alterazioni del gene TP53 (mutazioni e delezioni) sul profilo di espressione genica. La conoscenza della modulazione delle vie di segnale in questi pazienti con LLC può essere utile nel disegno di strategie terapeutiche mirate. Questi casi, infatti, per la presenza di alterazioni a carico di TP53, costituiscono la categoria di LLC a rischio più elevato e prognosi peggiore, con poche opzioni terapeutiche. 65 5.2 Materiali e metodi 5.2.1 Pazienti Nel protocollo clinico ML21445 sono stati arruolati pazienti affetti da LLC secondo i seguenti criteri: a. età superiore a 65 anni (o compresa tra 60 e 65 anni, se non eleggibili a regimi di trattamento con fludarabina); b. non precedentemente sottoposti a trattamento; c. stadio Binet A o B con malattia attiva, o stadio C; d. assenza di altre neoplasie nei due anni precedenti all’entrata nello studio; e. assenza di comorbidità richiedenti l’utilizzo a lungo termine (>1 mese) di corticosteroidi; f. clearance della creatinina >50 mL/min g. assenza di patologie cardiache severe; h. assenza di trasformazione in sindrome di Richter. 5.2.2 Disegno dello studio e trattamento Questo studio è stato disegnato per stabilire l’efficacia e la fattibilità di CLB-R come terapia di induzione nei pazienti anziani affetti da LLC non precedentemente trattati, seguita da terapia di mantenimento o osservazione nei casi con risposta completa (CR – complete response) e parziale (PR – partial response) alla terapia di induzione (Figura 10). Figura 10 – Disegno dello studio: dopo la terapia di induzione con clorambucile e rituximab, i pazienti rispondenti sono stati randomizzati a ricevere terapia di mantenimento con rituximab od osservazione. 66 Durante la fase di induzione, i pazienti hanno ricevuto un totale di 8 cicli di trattamento: 2 cicli mensili di clorambucile da solo (8 mg/m2 per via orale, giorni 1-7) seguiti da 6 cicli mensili di CLB-R (clorambucile: 8 mg/m2 per via orale, giorni 1-7 di tutti i cicli; rituximab: 375 mg/m2 per via intravenosa, giorno 1 del ciclo 3 e 500 mg/m2, giorno 1 dei cicli 4-8). I pazienti rispondenti sono stati randomizzati a terapia di mantenimento con 12 dosi di rituximab per via intravenosa (una dose ogni 8 settimane) oppure osservazione per 24 mesi. La definizione della risposta è basata sui criteri stabiliti dal IWCLL (Hallek et al, Blood 2008). 5.2.3 Gene expression profiling L’RNA totale è stato estratto da cellule mononucleate prelevate dal sangue periferico dei pazienti al momento dell’arruolamento mediante l’utilizzo del TRIzol® Reagent (Invitrogen Life Technologies). Per poter essere analizzato su microarray, l’RNA deve essere di buona qualità (rapporto 260/280 ≈2,0 e controllo su gel di agarosio allo 1,2%). Per l’analisi del profilo di espressione genica è stata utilizzata la piattaforma HGU133 Plus 2.0 GeneChip® (Affymetrix). 500 ng di RNA sono stati retrotrascritti per ottenere un primo filamento di cDNA utilizzando un T7-oligo(dT) primer con il kit 3’ IVT Express (Affymetrix); dopo la sintesi del secondo filamento di cDNA, il prodotto è stato utilizzato per una reazione di trascrizione in vitro al fine di generare RNA amplificato (aRNA) biotinilato. L’aRNA è stato quindi purificato mediante biglie magnetiche e frammentato. 12,5 µg di aRNA frammentato sono stati infine ibridati sui microarray per 16 ore, dopo le quali sono stati sottoposti a lavaggi, marcatura e scansione. 5.2.4 Analisi dei dati I dati di espressione genica sono stati analizzati mediante il software dChip (http://www.dchip.org). L’array con il valore mediano di intensità globale è stato scelto come base per la normalizzazione. I valori di espressione sono stati calcolati per ogni array usando il modello PM-MM, descritto nel capitolo 2.1. I criteri di filtraggio per l’analisi unsupervised comprendono livelli di espressione >100 in 20% dei campioni e rapporto fra deviazione 67 standard ed espressione media fra tutti i campioni compreso tra 0,5 e 1. L’analisi unsupervised è stata effettuata come descritto da Eisen et al. (Eisen et al, Proc Natl Acad Sci USA 1998). Per identificare i geni differenzialmente espressi fra i gruppi di pazienti determinati sulla base della risposta alla terapia, sono state effettuate delle analisi ANOVA o T-Test secondo i seguenti criteri: espressione media >100 in almeno un gruppo, p-value <0.05 e fold change >1,5. 5.2.5 PCR quantitativa real-time Un microgrammo di RNA totale è stato retrotrascritto mediante il kit Advantage RT-for-PCR (Clontech). La PCR quantitativa real-time (Q-PCR) è stata effettuata mediante FastStart Universal SYBR Green Master (Rox) (Roche Diagnostics) utilizzando lo strumento ABI PRISM 7300 (Applied Biosystems). Le condizioni di PCR sono le seguenti: 1 ciclo a 50°C per 2 minuti, 1 ciclo a 95°C per 10 minuti e 40 cicli a 95°C per 15 sec e 60°C per 1 minuti. Per ogni campione sono stati misurati i livelli di espressione del gene costitutivamente espresso GAPDH, al fine di normalizzare i valori di espressione dei geni in esame. Per ogni gene, i livelli di espressione relativa sono stati calcolati come 2−ΔCT, dove ΔCT è il risultato della differenza fra l’espressione del gene target e l’espressione di GAPDH. Sono stati utilizzati i seguenti primer, disegnati mediante il software Primer Express 1.5.1: 5′ GAPDH: 5′-CCACCCATGGCAAATTCC-3′, 3′ GAPDH: 5′-GATGGGATTTCCATTGATGACA-3′, 5’ DMD: 5′-GGATATCCTGCAGATTATTAATTGTTTGA-3′, 3’ DMD: 5′-CCACGCAGAGAGGGACGTT3′, 5′ EP300: 5′-TGTTAGAGTAGTTCATGCTTCTGACAAA-3′, 3′ EP300: 5′- CCATCTCTCCACTGTCCACAAA-3′, 5′ LPL: 5′-GAGAGTTGGGTGCCAAAACTTG-3′, 3′ LPL: 5′TGACAGCCACACCACAAT-3′, 5′ KRAS: 5′-TTCAGAATCATTTTGTGGACGAATA-3′, 3′ KRAS: 5′AGGTTTCTCCATCAATTACTACTTGCT-3′, 5′ NRAS: 5′-AGGGAGCAGATTAAGCGAGTAAAA-3′, 3′ NRAS: 5′-CCTTGTTGGCAAATCACACTTGT-3′, 5’ SYK: 5’-ATGGAAAAATCTCTCGGGAAGAA-3’, 3’ SYK: 5’-TGGCTCGGATCAGGAACTTT-3’; 5’ BLK: 5’-GCCCAGGATGAATGGGAGAT-3’, 3’ BLK: 5’CCAGACTTCGCCGAATTGTC-3’; 5’ LYN: 5’-GATCCGGGAAGAGTGGAACAA-3’, 3’ LYN: 5’TTAATGCTGACCACAGACTCCTTT-3’; 5’ BTK: 5’-GATTACATGCCAATGAATGCAAAT-3’, 3’ BTK: 68 5’-TGGTAAGTTGCTTTCCTCCAAGA-3’; 5’ PEA15: 5’-TCCTACATTGAGCACATCTTTGAGAT-3’; 3’ PEA15: 5’-CAGCACACGGGTTCTGTAGTCA-3’. I box plot ed i valori di p-value sono stati ottenuti mediante un tool statistico reperibile online (www.physics.csbsju.edu/stats). 69 5.3 Risultati 5.3.1 Risposta al trattamento Dei 97 pazienti entrati nella fase di induzione, 85 hanno ricevuto almeno una dose di rituximab e rappresentano la popolazione intention-to-treat (ITT) di riferimento. Al completamento dell’induzione, è stata ottenuta una risposta al trattamento in 70 pazienti (82,4%), dei quali 16 (18,8%) hanno ottenuto unaCR e 54 una PR. 66 pazienti sono stati quindi randomizzati verso la fase di mantenimento con rituximab (34 pazienti) o osservazione (32). Al termine della seconda fase, i pazienti rispondenti erano il 55,9% (19/34) nel gruppo del mantenimento con rituximab (10 CR e 9 PR) ed il 34,4% (11/32) nel gruppo osservazionale (6 CR e 5 PR). In particolare, dei 30 pazienti con PR all’induzione entrati nel gruppo di mantenimento con rituximab, 9 hanno raggiunto una CR (30%), 8 sono rimasti in PR (26,7%) e 10 non hanno risposto (NR). Dei 20 pazienti con PR sottoposti ad osservazione, 1 ha raggiungo una CR (5%), 4 sono rimasti in PR (20%) e 15 (75%) non hanno risposto. 7 pazienti dei due gruppi non erano valutabili alla fine della fase di mantenimento. 5.3.2 Profili di espressione genica e risposta al trattamento Per lo studio del GEP era disponibile il materiale di 62 dei pazienti arruolati nel protocollo; di questi, alla fine della fase di induzione, 16 pazienti hanno ottenuto una CR, 41 hanno ottenuto una PR e 5 non hanno risposto al trattamento (NR - non responders). I non rispondenti sono costituiti da 2 pazienti con malattia stabile (SD – stable disease) e 3 pazienti con malattia progressiva(PD - progressive disease). I dati ottenuti dai microarray sono stati analizzati con i seguenti approcci: 1. analisi di tipo Unsupervised, per osservare come si distribuiscono i campioni sulla base della risposta clinica; 2. analisi di tipo Supervised (ANOVA), per effettuare un confronto dell’espressione genica nei diversi gruppi e per valutare l’influenza dei fattori prognostici tipici della LLC. 70 Dall’analisi Unsupervised non si osserva una particolare clusterizzazione corrispondente ai tre diversi gruppi di risposta (CR, PR, NR). Allo stesso modo, non si riscontrano signature particolarmente nette a livello dell’ANOVA che confronta i tre diversi gruppi (Figura 11), probabilmente a causa dell’elevato grado di eterogeneità esistente all’interno del gruppo dei PR, che rispecchia l’andamento clinico meno definito di questi pazienti rispetto ai CR ed ai NR. Figura 11 – ANOVA che confronta i pazienti in base alla risposta clinica (CR in viola, PR in grigio e NR in fucsia). Probabilmente a causa dell’eterogeneità presente all’interno del gruppo dei PR, non si osservano profili di espressione caratteristici dei differenti gruppi di pazienti. 71 Infatti, paragonando sempre mediante ANOVA, solamente i due gruppi con risposta clinica netta, ossia i pazienti con CR e NR, si può notare un profilo di espressione omogeneo a carico dei NR rispetto al gruppo dei CR (Figura 12A). Questo profilo risulta ancora più accentuato quando i pazienti CR sono confrontati solamente con i pazienti con PD (Figura 12B). È importante notare che due dei tre pazienti con PD hanno una del(17p) con concomitante mutazione del gene TP53, e mostrano la signature più forte, mentre il terzo non presenta né alterazioni FISH né mutazioni di TP53 o degli altri geni (SF3B1, BIRC3 e NOTCH1); entrambi i pazienti con SD hanno invece una del(11q) (con delezione di BIRC3 in uno dei due casi) e sono wild-type per tutti i geni. Figura 12 – A. ANOVA che paragona i pazienti rispondenti (CR) e non rispondenti (NR): i NR mostrano un profilo di espressione genica fra loro omogeneo, che ne permette la discriminazione dai CR. B. ANOVA che paragona i pazienti rispondenti (CR) e non rispondenti con malattia progressiva (PD): la signature a carico dei pazienti con PD risulta ancora più netta. Le due colonne più a destra in entrambe le heat-map corrispondono ai pazienti con alterazioni a carico del gene TP53 (delezione e mutazione), e presentano la signature più forte identificata in questa casistica. 72 È interessante notare che, fra i geni che risultano differenzialmente espressi tra questi sottogruppi, un’elevata percentuale è coinvolta, con notevole significatività, nei processi apoptotici ed anti-apoptotici (P < .0001) (Figura 13). Figura 13 – Principali categorie funzionali nelle quali sono compresi i geni differenzialmente espressi fra le i pazienti rispondenti ed i non rispondenti, ordinate per valori di p-value crescenti. In particolare, nei pazienti NR rispetto ai pazienti in CR possiamo evidenziare una iperespressione dei pathways di Ras e Rho e di altri geni coinvolti in vie di segnale antiapoptotiche e pro-proliferative, coerentemente alla down-modulazione di geni proapoptotici. Questi dati indicano che le cellule leucemiche dei pazienti NR sono contraddistinte da un profilo trascrizionale caratterizzato dall’incremento della sopravvivenza cellulare e dalla concomitante inibizione dell’apoptosi, fornendo quindi una potenziale spiegazione alla mancata risposta clinica. Fra i geni derivanti da questa analisi, particolarmente interessante si rivela l’espressione di KRAS e NRAS, noti per il loro coinvolgimento in diverse forme tumorali, ma raramente descritti nella LLC. L’aumentata espressione di questi geni sembra correlata con la mancata risposta alla terapia, ed in particolare con la progressione di malattia. Un altro gene che mostra un analogo andamento nei livelli di espressione è EP300, paralogo di CREBBP; mutazioni di quest’ultimo gene sono state recentemente riportate nella patogenesi del linfoma diffuso a grandi cellule (Pasqualucci et al, Nature 2011) e nella 73 resistenza al trattamento in pazienti affetti da leucemia acuta linfoide (Mullighan et al, Nature 2011). La validazione dell’iper-espressione di questi trascritti è stata effettuata mediante metodiche di PCR-quantitativa (Figura 14). Figura 14 – Box plot che mostrano l’espressione valutata mediante RT-PCR dei geni K-RAS (A), N-RAS (B) ed EP300 (C) nei gruppi di pazienti sulla base della risposta al trattamento. Tra i geni identificati dall’analisi di GEP è stata messa in evidenza un’espressione differenziale del gene MS4A1, codificante per il CD20, che risulta essere significativamente più bassa nei pazienti NR rispetto ai CR ed ai PR. Questo dato, supportato anche dai risultati dell’analisi immunofenotipica (coefficiente di correlazione fra mRNA e proteina=0.57), suggerisce una possibile motivazione alla mancata risposta alla terapia con il rituximab, il cui target è proprio il CD20, in questi pazienti con ridotta espressione del gene e proteina CD20 (Figura 15). 74 Figura 15 – A. Box plot che mostra la ridotta espressione del gene MS4A1 codificante per l’antigene CD20. B. Heat map che rappresenta l’espressione dei probeset per MS4A1 in GEP: i pazienti non rispondenti sono accomunati da una downregolazione del trascritto, mentra gli altri presentano livelli di espressione variabili. Il profilo di espressione altamente eterogeneo dei pazienti in PR ha rivelato un’associazione con le categorie di rischio basate sulla FISH. Si è vista in particolare una signature omogenea per i pazienti con la trisomia del cromosoma 12. Il 58% dei geni iper-espressi nei pazienti con la trisomia è localizzato sullo stesso cromosoma 12 (ad esempio KRAS, MDM2 e MLL2), suggerendo un effetto di dosaggio genico (Haslinger et al, J Clin Oncol 2004). Dal momento che il gruppo dei pazienti in PR è risultato il più eterogeneo a livello di espressione genica, è stata effettuata una nuova analisi considerando la risposta di questi pazienti al mantenimento. È stata effettuata un’analisi ANOVA su 21 casi in PR postinduzione sottoposti a mantenimento con rituximab. Si evidenzia una signature distintiva tra i vari gruppi identificati sulla base della risposta al mantenimento, anche in questo caso molto più accentuata per quanto riguarda i pazienti NR (Figura 16). I pathway deregolati nei pazienti NR sono gli stessi che si sono evidenziati nei casi NR alla terapia di induzione. 75 Figura 16 – ANOVA che confronta i pazienti che hanno risposto parzialmente alla terapia di induzione, analizzati sulla base della risposta al mantenimento con rituximab (CR in viola, PR in verde e NR in fucsia). 5.3.3 Profili di espressione genica e alterazioni di TP53 Dal momento che è emerso un profilo di espressione genica particolarmente netto a carico dei due pazienti NR con alterazioni a carico del gene TP53, si è voluto indagare maggiormente l’impatto di questa aberrazione sul trascrittoma. Per effettuare questa analisi sono stati presi in considerazione unicamente i pazienti IGHV non mutati, al fine di ottenere risultati che non siano influenzati dallo stato mutazionale IGHV, ma solo dalla presenza o assenza di alterazioni di TP53. Sono stati quindi confrontati, mediante T-test, 3 pazienti deleti e mutati per TP53 con 32 pazienti wild-type. Questa analisi ha identificato 75 geni differenzialmente espressi, dei quali 18 erano iper-espressi e 57 down-modulati nei casi TP53 mutati rispetto ai wild-type (Figura 17). 76 Figura 17 – T-Test che confronta i pazienti con alterazioni a carico di TP53 con i pazienti wild-type. È interessante notare che fra i geni iper-espressi vi sono membri della famiglia RHO (RHOA, RHOB, CDC42), GPR183 (coinvolto nella proliferazione delle cellule B) e PEA15 (un membro della famiglia DED - death effector domain - con azione anti-apoptotica). Fra geni downmodulati nei casi TP53 mutati troviamo RPS27L (promotore dell’apoptosi regolato direttamente da p53), TP53INP1 (un gene oncosoppressore), PPAPDC1B (la cui bassa espressione è stata correlate con l’insorgenza di metastasi e prognosi sfavorevole in diversi tipi tumorali) e geni coinvolti nella trasduzione del segnale del BCR come SYK e DOK3. Il 19,3% dei geni down-modulati è localizzato sul cromosoma 17, coerentemente con la del 17 p presente in questi pazienti e con quanto riportato in letteratura (Lin et al, Br J Haematol 2013). In particolare, poichè il T-Test ha rivelato la down-modulazione di alcuni geni coinvolti nella 77 via di segnale del BCR, abbiamo voluto determinare quale fosse l’espressione del gene BTK e di alcuni geni a monte di esso (SYK, LYN, and BLK) nei casi TP53 mutati. I risultati della Q-PCR hanno evidenziato che nei casi TP53 mutati vi era una ridotta espressione sia di SYK che di BLK (SYK p=0.004; BLK p=0.026) (Figura 18 A e B), ed un andamento similare è stato rilevato anche per LYN (localizzato a monte di SYK e BTK), anche se non in modo statisticamente significativo. Al contrario, non risultano esserci differenze nell’espressione di BTK fra i pazienti TP53 mutati e wild-type. Figura 18 – Box plot che raffigura la ridotta espressione dei geni SYK (A) e BLK (B) nei pazienti TP53 mutati rispetto ai casi wild-type. Questi risultati sono stati ulteriormente supportati dalla valutazione dei valori di espressione degli stessi geni dopo la stimolazione in vitro del BCR in cellule di LLC mediante IgM. Mentre nei campioni TP53 wild-type la stimolazione modula l’espressione di questi geni, nelle cellule mutate per TP53 non vi è differenza significativa fra i campioni di controllo e quelli stimolati (Figura 19). 78 Figura 19 - Box plot che raffigurano l’espressione dei geni SYK (A), LYN (B) e BLK (C) nelle cellule di LLC TP53 mutate e wild−ΔCT type sottoposte a stimolazione del BCR. Per ogni gene sono riportati i valori di espressione (2 )per le seguenti categorie: cellule TP53 mutate (controllo non stimolato e cellule stimolate) e cellule TP53 wild-type (controllo non stimolato e cellule stimolate). E’ riportato il numero di casi studiati per ciascuna categoria. Nel pathway del BCR Syk, Lyn, e Blk si trovano a monte di Btk (Figura 20). Nei pazienti TP53 mutati la loro ridotta espressione potrebbe interferire con la normale attività dei componenti a valle della stessa via di segnale. Questo fenomeno è particolarmente importante soprattutto in considerazione dei nuovi regimi terapeutici in corso di 79 sperimentazione nella LLC, che agiscono proprio sul pathway del BCR ed in particolare su Btk (Ibrutinib). Figura 20 – Schematizzazione dei principali componenti del pathway del BCR. 80 5.4 Discussione La valutazione dei profili di espressione genica dei pazienti con LLC in progressione potrebbe rivelarsi utile nella predizione della risposta alla terapia. A nostra conoscenza, non sono presenti in letteratura altri lavori che associno i dati di GEP con la risposta alla terapia. L’applicazione del GEP al protocollo clinico ML21445 ha permesso di identificare profili di espressione correlati alla risposta alla terapia di induzione: i pazienti che non hanno risposto al trattamento presentavano una signature più definita ed omogenea rispetto agli altri. In particolare, tale signature risultava diversa rispetto a quella dei pazienti in CR e caratterizzata dalla down-modulazione di geni associati con pathway pro-apoptotici e dalla concomitante up-modulazione di pathway anti-apoptotici e pro-proliferativi. Questi risultati sono supportati dalla analisi dei pazienti risultati in PR dopo l’induzione: di questi, il sottogruppo dei non rispondenti alla fase di mantenimento mostra la deregolazione degli stessi pathway. Tornando ai pazienti NR all’induzione, di particolare interesse è l’iper-espressione dei geni KRAS e NRAS, coinvolti nella proliferazione cellulare in diversi tumori solidi (Friday BB 2005 Biochim Biophys Acta), ma raramente nella LLC (Gougopoulou et al, Stem cells 1996). In modo simile, è stata evidenziata l’iper-espressione del gene EP300, paralogo di CREBBP. Gli studi di Pasqualucci et al. e Mullighan et al. hanno identificato un’elevata frequenza di mutazioni di EP300 e CREBBP, coinvolti nella regolazione della acetilazione, nel DLBCL e nelle recidive di leucemia linfoblastica acuta (Pasqualucci et al, Nat Genet 2011; Mullighan et al, Nature 2011). Il fatto che le alterazioni a carico di questi geni siano selezionate alla recidiva di malattia, supporta ulteriormente l’osservazione che essi possano influire sulla risposta alla terapia e sulla probabilità di recidiva. Questi nuovi potenziali marcatori di chemio-refrattarietà suggeriscono che i pazienti con LLC NR ad agenti alchilanti e rituximab, potrebbero beneficiare di terapie con inibitori delle farnesiltransferasi al fine di bloccare i passaggi di modificazione post-traduzionale delle proteine Ras; un’altra ipotesi terapeutica potrebbe consistere nell’inibizione dell’acetilazione. Entrambi questi approcci sarebbero anche potenzialmente utilizzabili nei pazienti più anziani. 81 L’osservazione della ridotta espressione del gene codificante per il CD20 nei NR, in linea con i dati in vitro (Golay et al, Blood 2001), potrebbe suggerire una maggiore efficacia dell’utilizzo di dosi più elevate di rituximab (anti-CD20) in questo sottogruppo di pazienti, o dell’impiego dei nuovi e più efficaci anticorpi monoclonali anti-CD20. Per quanto riguarda il profilo di espressione genica dei pazienti TP53 mutati, è necessario premettere che il nostro gruppo aveva precedentemente pubblicato un lavoro (Tavolaro et al, Leuk Res 2010) in cui si dimostrava che i geni codificanti una serie di protein chinasi (comprendenti SYK, BLK, e LYN) risultavano omogeneamente up-modulati nella LLC rispetto a casi di leucemia linfoblastica acuta ed indipendentemente dai principali marcatori prognostici della malattia. In tale lavoro soltanto un caso era TP53 mutato. Su questa base e a fronte della scarsa presenza in letteratura di dati di GEP focalizzati su LLC con alterazioni di TP53 (Lin et al, Br J Haematol 2012), l’obiettivo di questo progetto era approfondire l’espressione di una serie di chinasi appartenenti alla via di segnale del BCR in pazienti con LLC TP53 mutati. E’ stata dimostrata la deregolazione dei geni SYK, BLK e LYN, che risultano infatti espressi a livelli minori nei pazienti TP53 mutati rispetto ai wild-type. Inoltre, anche dopo stimolazione in vitro del BCR, l’espressione di questi geni non viene modulata in modo significativo, come invece avviene nelle cellule dei pazienti TP53 wildtype. Sembra quindi esserci una deregolazione del segnale del BCR nelle cellule dei pazienti TP53 mutati, questione di fondamentale importanza alla luce dei nuovi farmaci che stanno entrando nella pratica terapeutica della LLC, come l’Ibrutinib. Questo farmaco blocca la proliferazione e la migrazione delle cellule di LLC mediante l’inibizione di Btk. Nonostante l’espressione di BTK non risulti alterata nei pazienti con alterazioni di TP53, la deregolazione dei geni codificanti per le proteine a monte di Btk nel pathway del BCR in questi stessi pazienti potrebbe interferire con l’efficacia dell’Ibrutinib, determinando una risposta clinica sub ottimale. Inoltre, un ulteriore ruolo può essere svolto dal gene PEA15, noto per la sua azione antiapoptotica. In letteratura sono riportati valori di espressione di PEA15 più elevati nelle cellule di LLC rispetto alle cellule B di individui sani (Garofalo et al, Int J Cancer 2007). Nella nostra casistica, la sua espressione risulta maggiore nei casi TP53 mutati rispetto ai TP53 82 wild-type, facendo ipotizzare che PEA15 possa avere un ruolo nella sopravvivenza delle cellule con mutazioni di TP53. e quindi nella resistenza al trattamento. Queste osservazioni supportano l’ipotesi che le cellule di LLC con alterazioni di TP53 impieghino per garantire la loro sopravvivenza dei pathway alternativi a quello del BCR, che risulta poco attivo, contrariamente a quanto avviene nelle cellule TP53 wild-type. 83 Bibliografia Almasri NM, Duque RE, Iturraspe J,et al. Reduced expression of CD20 antigen as a characteristic marker for chronic lymphocytic leukemia. Am J Hematol. 1992;40(4):259-63. Austen B, Powell JE, Alvi A et al. 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