ANNO ACCADEMICO 2011/2012 LA GENESI DELLA FILOSOFIA GRECA LE ORIGINI DEL PENSIERO FILOSOFICO La storia del pensiero occidentale inizia con la nascita del pensiero speculativo greco nel VII sec. a. C. La comune base greca ha trasmesso alla tradizione filosofica occidentale un metodo di pensiero improntato all’antidogmatismo e la sensibilità verso una serie di problematiche ontologiche ed etiche che l’hanno caratterizzata rispetto ad altre tradizioni filosofiche. Per affrontare il problema filosofico generale è necessario suddividerlo in diversi problemi particolari tra loro connessi. Questi problemi particolari non vennero alla luce simultaneamente, ma via via nel tempo. Potremo quindi individuare diverse fasi della filosofia antica caratterizzate dal sorgere dei diversi problemi filosofici. 1) Nella prima fase la realtà che si vuole indagare è il COSMO Il problema filosofico è COSMOLOGICO/ONTOLOGICO Le domande che i primi filosofi si pongono sono: • come sorge il cosmo? • quale ne è il principio? E’ il periodo naturalistico dei filosofi Ionici, Pitagorici, Eleatici, Pluralisti. 2) In questa seconda fase la realtà che attira è l’UOMO Il problema filosofico è MORALE La domanda che i filosofi di questa fase si pongono è: • Qual è la natura dell’uomo? E’ il periodo umanistico dei Sofisti e di Socrate. 3) La terza fase è caratterizzata dalla scoperta del SOPRASENSIBILE (Platone) e di conseguenza avverrà la distinzione aristotelica della FISICA (realtà sensibile) dalla METAFISICA (realtà soprasensibile) I problemi filosofici vengono distinti in: ETICI POLITICI LOGICI ESTETICI EPISTEMOLOGICI 1 Le nuove domande alle quali i filosofi cercano di dare delle risposte sono: • Qual è la via per raggiungere la verità? • Qual è la caratteristica del vero e del falso? • Quali sono le forme logiche attraverso cui l’uomo pensa e ragiona? • Quali sono le condizioni perché un tipo di ragionamento possa considerarsi scientifico? E’ il periodo delle grandi sintesi di Platone e Aristotele. 4) Nella quarta fase si mirerà essenzialmente a costruire l’IDEALE DEL SAGGIO I problemi filosofici vengono fissati in: FISICI LOGICI MORALI I filosofi di questa fase si domandano: • Come si può raggiungere la tranquillità d’animo? • Come si può raggiungere la felicità? E’ il periodo ellenistico in cui fioriscono lo stoicismo, l’epicureismo, lo scetticismo, l’eclettismo. 5) L’ultima fase la filosofia greca antica dovrà misurarsi col CRISTIANESIMO Il problema filosofico è MISTICO/RELIGIOSO In quest’ultima fase la filosofia greca cercherà di contrastare il Cristianesimo additando all’uomo una nuova visione del “Tutto”, un nuovo orizzonte metafisico, ma non ce la farà. E’ il periodo religioso durante il quale si assiste all’incontro tra cultura ellenistica e rivelazione Biblica ad Alessandria, a una riviviscenza dello stoicismo a Roma e alla rinascita del platonismo (neoplatonismo). I filosofi che caratterizzarono questo periodo furono: Filone, Seneca, Marco Aurelio, Epitteto, Plotino. La filosofia greca parte dal VI sec. a.C. e giunge fini al 529 d.C. anno in cui, per volere di Giustiniano, furono chiuse le scuole pagane, distrutte le biblioteche e dispersi i loro seguaci. 2 ERACLITO Eraclito fu soprannominato l’oscuro; di lui si hanno poche notizie certe. VITA • • • • • • Nacque ad Efeso da antica famiglia aristocratica discendente dai primi re fondatori della città. Pare che rifiutò il titolo che gli competeva a favore del fratello. Avversò la democrazia ed entrò in polemica con i suoi concittadini che a quel tempo erano ricchi e dediti ai traffici commerciali. Si vantava di non aver avuto maestri e quando sentiva il bisogno di consultarsi con qualcuno, era solito dire: “Aspettate un momento che vado a consultare me stesso”. Rifiutò un invito del re dei Persiani, Dario, a far parte della sua corte perché non amava il fasto e gli bastava ciò che aveva. L’ultimo periodo della sua vita lo passò da eremita mangiando erbe e coprendosi di stracci. Verso i 60 anni si ammalò di idropisia (si gonfiò sempre di più di acqua) e, non fidandosi dei medici, si curò da solo: si fece coprire di sterco e si sdraiò al sole, ma i cani, che non lo riconobbero, lo sbranarono (Ironia della sorte! Nel suo libro aveva condannato l’acqua come la parte peggiore dell’anima). L’OPERA DI ERACLITO: “SULLA NATURA” • • • • • Depositò il suo scritto, “Sulla natura” presso il tempio di Artemide perché non andasse in mano “ai più” (hoi polloi: parola che esprime disprezzo del volgo, tipico dell’aristocratico) che non l’avrebbero capito. Lo stile del libro è sentenzioso, oscuro, “non dice, né nasconde, ma accenna”. Della sua opera ci restano un centinaio di frammenti. Socrate lo lesse e disse “ciò che si comprende è eccezionale, per cui desumo che anche il resto lo sia, ma per giungere al fondo bisognerebbe essere un tuffatore di Delo” (cioè un sub abituato alle tenebre degli abissi avrebbe potuto capirci qualcosa). Aristotele si lamentò della punteggiatura. Alcuni autori hanno affermato che l’opera di Eraclito non avrebbe riguardato la natura ma lo Stato. Solo per far capire ai suoi concittadini cosa sarebbe dovuta essere una polis, Eraclito sarebbe risalito alla legge intrinseca della natura. “I discorsi assennati sono invece quelli di chi si fa forte di ciò che è comune, come la città della sua legge e le leggi umane dell’unica legge divina” (fr. 114) Ciò che è comune a tutti in una città è la legge; ciò che è comune a tutti gli uomini è il pensiero. La radice di ciò che è comune a tutti è il logos “Nessuna cosa avviene per caso, ma tutto secondo logos e necessità” (fr. 2) 3 All’inizio della sua opera parla di logos come legge universale e necessaria secondo cui avvengono tutte le cose e del quale la maggior parte degli uomini resta inconsapevole sia prima che dopo averlo ascoltato: “Questo logos è comune a tutti ma i più vivono come se ognuno avesse una privata saggezza e comprensione (phrònesis) ” (fr. 2). Eraclito vuol far capire ai suoi concittadini ciò che è comune, cioè il logos e per far questo dovrà tradurre in parole una verità che riguarda, in primo luogo, l’ordine del mondo (kosmos) e in secondo luogo l’ordine della città (nomos): un logos cioè che coincida con la sapienza (sophia) con cui le cose sono fatte. Le parole che sono usate dai più sono inadeguate: “Di quanti ho udito le parole, nessuno giunge a ciò: a riconoscere che la sapienza da tutto è distinta” (fr. 108). QUALE LINGUAGGIO USA ERACLITO? Abbiamo affermato che Eraclito fu soprannominato “l’oscuro” perché parlava ai suoi concittadini come un oracolo e lo stesso stile mantenne anche nel suo libro. Lui stesso, in un frammento ci dice qual è lo stile dell’oracolo: “Il Signore, di cui a Delfi è l’oracolo, non parla, non cela, ma significa” (fr. 93). Noi abbiamo due modi di usare le parole: 1. ENUNCIARE affermazioni 2. SIGNIFICARE in modo qualsiasi 1. Se enunciamo proposizioni della logica formale (matematiche per esempio) costatiamo che non significano niente, sono puri segni soggetti a regole es. 2+2=4 non 5, quindi possono essere VERE o FALSE 2. Se invece diciamo una preghiera o una poesia, non ci possiamo domandare se sono vere o false (in senso scientifico) ma possono essere più o meno SIGNIFICATIVE. Anche questi modi di esprimersi possono però avere una loro verità: una verità semantica. Es. Se noi mettiamo a confronto un quadro di un ritrattista e un quadro di Picasso ci accorgiamo che il primo è VERO (è come una fotografia) e che il secondo SIGNIFICA, ma bisogna essere in grado di cogliere il significato. Il linguaggio di Eraclito è simile al quadro di Picasso: “Il sole è largo un piede di un uomo” (fr: 3). COSA PENSAVA ERACLITO DEI SUOI CONCITTADINI? La risposta si trova nel frammento 14: • “Molti sono scadenti, pochi quelli che valgono” • “I più pensano solo a saziarsi, proprio come bestie d’armento” • “Gli uomini si dimostrano privi di intendimento, sia prima di porgervi orecchio, sia dopo avervi ascoltato, e non si accorgono di quello che fanno, mentre sono svegli, proprio come dimenticano ciò che hanno fatto mentre stavano dormendo” 4 IL DIVENIRE: TUTTO SCORRE (PANTA REI) I Milesi avevano notato il dinamismo di tutte le cose ma fu Eraclito che per primo portò a livello tematico questo aspetto della realtà e che rifletté sulle conseguenze a cui porta la perenne mobilità di tutte le cose. • L’immagine dello SCORRERE è data dal fiume: Efeso era alla foce del fiume Caistro. Il fiume è un corso d’acqua, ma non è qualcosa di instabile: “Negli stessi fiumi c’immergiamo e non ci immergiamo, siamo e non siamo” (fr. 49). Ma anche: “Nei fiumi medesimi s’immergono altre e altre acque sovrascorrono e i vapori salgono dalle acque” (fr. 12). Noi siamo immersi in questo divenire e se ne va di noi, perché “siamo e non siamo”. Quindi Eraclito rilevò la perenne mobilità di tutte le cose che sono: nulla resta immobile e nulla permane in uno stato di fissità e stabilità, ma tutto si muove, tutto cambia senza posa e senza eccezione: “A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono sempre acque nuove” (fr. 12). “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va” (fr. 91). LA SINTESI DEGLI OPPOSTI Il divenire è caratterizzato da un continuo passare delle cose da un contrario all’altro: “Le cose fredde si scaldano, le calde si raffreddano, le umide seccano e le aride s’ammollano” (fr. 126). Quindi i contrari non sono solo opposti ma più spesso alterni che si succedono. Se invece sono opposti trapassano uno nell’altro solo attraverso la morte: “Immortali-mortali, mortali-immortali, viventi di quelli la morte, morenti di questi la vita” (fr. 62). “Lo stesso il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi, infatti, trapassando in quelli, son quelli, e di nuovo quelli trapassando in questi” (fr. 88). • Il divenire è un continuo conflitto dei contrari che si alternano, ma poiché le cose hanno realtà solo nel divenire, allora la guerra (il conflitto) è il fondamento della realtà: “Il conflitto è il padre di tutte le cose” (fr. 53). • Ma questo conflitto è anche pace, questo contrasto è anche armonia per cui lo scorrere delle cose è anche armonia o sintesi dei contrari (mito di Armonia figlia di Ares e Afrodite): è come un continuo pacificarsi dei contrari: “Ciò che è opposizione si concilia e dalle cose differenti nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via di contrasto” (fr. 8) “Essi (cioè gli ignoranti) non capiscono che ciò che è differente concorda con se medesimo: armonia di contrari, come l’armonia dell’arco e della lira” (fr. 51). 5 • I contrari, inoltre, danno senso uno all’altro: “La malattia rende dolce la salute, la fame rende dolce la sazietà e la fatica rende dolce il riposo” (fr. 111). “Non conoscerebbero neppure il nome della giustizia se non ci fosse l’offesa” (fr. 23). • Ed è per questa armonia che, al limite, gli opposti coincidono: “La via in su e la via in giù sono un’unica e medesima via” (fr.60). “Comune nel cerchio è il principio e la fine” (fr. 103). “La stessa cosa è il vivente e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio, perché queste cose mutandosi son quelle e quelle a loro volta mutandosi sono queste” (fr. 88). • E infine, la molteplicità delle cose si raccoglie in una dinamica unità: “Da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose” (fr. 10) “Non ascoltando me, ma ascoltando il logos, è saggio ammettere che tutte le cose sono un’unità” (fr:50). • • QUINDI : Se le cose hanno realtà solo in quanto divengono Se il divenire è dato dagli opposti che si contrastano e si pacificano in superiore armonia NE CONSEGUE CHE : nella sintesi degli opposti sta il principio che spiega tutta la realtà e in questo consiste il Divino “Il Dio è giorno-notte, è inverno-estate,è guerra-pace, è sazietà-fame” (fr. 67). Cioè DIO è l’ARMONIA dei CONTRARI, l’UNITA’ degli OPPOSTI. 6 IL FUOCO COME PRINCIPIO DI TUTTE LE COSE Per Eraclito il FUOCO è l’elemento fondamentale e tutte le cose non sono se non trasformazioni del fuoco: “Tutte le cose sono uno scambio del fuoco, e il fuoco uno scambio di tutte le cose, come le merci sono uno scambio dell’oro e l’oro uno scambio delle merci” (fr. 90). “Questo ordine, che è identico per tutte le cose, non lo fece nessuno degli uomini, ma era sempre ed è e sarà fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne” (fr. 30). “Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare, la metà di esso terra, la metà vento ardente” (fr. 31). PERCHE’ ERACLITO POSE PROPRIO IL FUOCO COME PRINCIPIO DI TUTTE LE COSE? Perché il fuoco esprime in maniera paradigmatica le caratteristiche dell’eterno cambiamento, del contrasto, dell’armonia. Infatti il fuoco è: • Perennemente mobile • Vita che vive della morte del combustibile • Incessante trasformazione in fumo e cenere • Fa essere le cose e distrugge le cose = unità dei contrari = DIO: “Il fulmine governa ogni cosa” (fr.64). dove il fulmine è il fuoco divino, ma anche giudice supremo: “Il fuoco sopraggiungendo giudicherà e condannerà tutte le cose” (fr. 66) e ancora parla di Dio nel seguente frammento: “L’uno, l’unico saggio, non vuole e vuole essere chiamato Zeus” (fr. 32) cioè vuol essere chiamato col nome di Zeus, perché vuol essere considerato come Dio, ma non vuole che gli si attribuiscano tutte quelle rappresentazioni mitiche che vengono collegate a Zeus. • • • Pare che Eraclito, contrariamente ai Milesi, abbia attribuito al principio divino un’intelligenza: “La natura umana non ha conoscenze, la natura divina si” (fr.78) “Esiste una sola sapienza: riconoscere l’intelligenza che governa tutte le cose attraverso tutte le cose” (fr. 41). E pare che abbia chiamato questa intelligenza LOGOS, nel significato di regola secondo cui tutte le cose si realizzano e legge che è comune a tutte le cose e che governa tutte le cose. La VERITA’ sarà dunque intendere questo logos comune a tutte le cose. Per questo mette in guardia nei confronti dei sensi che si fermano all’apparenza delle cose: “Il sole è largo come un piede di un uomo” (fr. 3). • Ed ancora per questo motivo che disprezza le opinioni degli uomini perché a questi sfugge quello che fanno da svegli così come non sanno quello che fanno dormendo; e ugualmente disprezza il sapere degli altri filosofi che considera solo eruditi, che accumulano tante nozioni senza cogliere la legge universale. 7 • Ed è quindi chiaro perché disprezza gli altri e usa un linguaggio fatto di aforismi, il linguaggio degli oracoli e delle Sibille. ANIMA Anche per quanto riguarda l’anima andò contro i Milesi. • Da una parte identificò la natura dell’anima con la natura del principio e disse che è FUOCO. Per questo disse che l’anima più saggia è più secca e quella più dissennata più umida: “L’anima più asciutta è quella che ha più sapere” (fr. 118) • D’altra parte disse anche: “I confini dell’anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie; così profondo è il suo logos” (fr. 45). Dicendo che l’anima è profonda le attribuisce una qualità diversa da quelle fisiche: non ha infatti senso parlare di “mano profonda” o di “ orecchio profondo”! Vuole invece probabilmente significare che l’anima si estende all’infinito. Alcuni autori collegano questo ordine di pensieri all’Orfismo interpretando il già citato frammento 62: “Immortali-mortali, mortali-immortali, viventi di quelli la morte, morenti di questi la vita” come se esprimesse che la vita del corpo è mortificazione dell’anima e la morte del corpo vita dell’anima. PROBLEMA ETICO/MORALE Eraclito scrisse anche dei pensieri morali: “La felicità non può consistere nei piaceri del corpo, se così fosse sarebbero felici anche i maiali davanti al foraggio da mangiare” (fr. 4). “Difficile la lotta contro il desiderio, poiché ciò che esso vuole lo compra a prezzo dell’anima” (fr. 85). L’etica di Eraclito non è comunque un messaggio di salvezza ma un messaggio di “risveglio” perché chiama “dormienti” “i più”, quelli cioè che lui descrive come “incapaci di intendere il logos: “Non sanno né ascoltare né parlare. Estranei a ciò che sentono, sembrano sordi: vale per loro il detto: presenti, sono assenti” (fr. 19). Nasce così il DOVERE di svegliarli perché: “Anch’essi sono operatori e collaboratori di ciò che avviene nel mondo” (fr. 75) e anche: “Si deve seguire il comune” (fr. 2) “Comune a tutti è il pensare” (fr. 113) “A tutti gli uomini è dato conoscere se stessi e pensare assennatamente” (fr. 13) Lo studio sistematico di Eraclito cominciò realmente solo con la pubblicazione dei frammenti ad opera dello Schleiermacher, nel 1808. L’età era pronta ad accoglierli perché si cominciava a sospettare che il metodo, dimostratosi così fruttuoso, delle scienze della natura non servisse per tutto (come credeva Cartesio), e che anzi fosse fuori di luogo per la filosofia. Così divenne popolare il “discorso” tutto diverso di Eraclito, chiamato ormai col nome di logos. 8 PITAGORA E I PITAGORICI VITA • • • • • • • Della sua vita si hanno pochissime notizie certe. Per primo introdusse la parola “filosofia”. Nacque a Samo, nella Ionia, intorno al 570 a.C. e morì a Metaponto (Magna Grecia) intorno al 490. Di certo si sa che da Samo emigrò in Magna Grecia dove, a Crotone, fondò nel 530 una scuola o setta che ebbe vasta influenza politica anche in altre città vicine. Tutte le fonti concordano per quanto riguarda la dottrina della metempsicosi: Pitagora creò a Crotone una setta religiosa la cui dottrina, ispirata all’Orfismo, sosteneva la trasmigrazione delle anime (reincarnazione). La scuola di Pitagora fu incendiata e distrutta nel corso di una sommossa popolare (i pitagorici erano sostenitori del partito aristocratico). La tradizione sostiene che Pitagora, scampato miracolosamente, fuggì a Locri, da qui si spostò a Taranto e quindi a Metaponto, dove lo raggiunse la morte. Un secolo più tardi a Taranto, la scuola pitagorica ha ancora molta influenza (Archita). FONTI Disponiamo di tre testi sulla “Vita di Pitagora” risalenti all’antichità: in ordine cronologico, quelle di Diogene Laerzio, Porfirio e Giamblico, una più stupefacente dell’altra. In esse Pitagora è descritto come un personaggio più che umano, come il dio Apollo fatto persona; vi si afferma anche che avesse un femore d’oro e il dono dell’ubiquità: fu, infatti, visto contemporaneamente a Crotone e a Metaponto. Ci sono sorprendenti racconti sulla sua capacità di educare animali: convinse un toro ingordo a non mangiare fagioli e fece giurare ad un orso pericoloso di non far male agli esseri viventi. Vengono anche indicate una serie di regole che dovevano essere osservate da coloro che facevano parte della sua scuola (setta); eccone alcune: • Non mangiare fagioli • Non raccogliere le briciole cadute dal tavolo • Non mangiare i galli bianchi • Non mangiare pesce sacro • Non spezzare il pane, perché il pane riunisce gli amici • Si devono avere figli, per lasciare dopo di sé qualcuno che adori gli dei • Si deve aiutare una persona a caricare ma non a scaricare • Non si deve maltrattare (o cacciar via) la propria moglie Si dice anche che Pitagora potesse ricordare le sue precedenti incarnazioni: diceva di essere vissuto in epoche precedenti ben quattro volte e di essere entrato, negli intervalli tra una reincarnazione e l’altra, in vari corpi di piante e animali. Pitagora non scrisse nulla e proibì ai suoi adepti di diffondere la sua dottrina che era considerata segreta, ma, dopo la sua morte, alcuni pitagorici contravvennero a tale disposizione, e già Aristotele poté raccogliere informazioni su quelli che lui definiva “i cosiddetti Pitagorici”. 9 Platone ebbe informazioni sulla dottrina pitagorica dall’amico Archita, tiranno di Taranto e pitagorico lui stesso. La testimonianza più attendibile della dottrina pitagorica è data dall’opera del pitagorico Filolao, che risale alla seconda metà del V sec., quando la dottrina si era ormai evoluta. Dati i motivi sopra esposti, la figura storica di Pitagora è quasi sparita dietro la leggenda che ha avvolto il suo nome, perciò non si può dire con certezza quali furono i suoi insegnamenti e quali furono invece i guadagni dei pitagorici successivi; è opportuno quindi parlare di pitagorici in generale e non di singoli pitagorici. LO STILE DI VITA PITAGORICO Per i Pitagorici, la scienza non fu un fine ma fu un mezzo per realizzare un nuovo tipo di vita religiosa, quindi la fede era più importante della scienza. • I membri della comunità pitagorica erano legati da pratiche di culto e vivevano secondo il regime della comunità dei beni • I discepoli erano divisi in “acusmatici” o ascoltatori, e “mathematici”. Agli acusmatici erano imposti il silenzio e una rigida disciplina di apprendimento che durava cinque anni. Trascorso questo periodo potevano diventare mathematici e quindi avere la facoltà di porre domande e di esprimere la loro opinione; inoltre veniva loro rivelata la dottrina più profonda della scuola. • L’insegnamento di Pitagora veniva trasmesso in forma dogmatica da dietro una tenda e preceduto dalla celebre formula “ipse dixit” (lo ha detto lui) • Le massime e le proibizioni che regolavano la comunità avevano più che altro la funzione di riti e parole d’ordine per segnare l’appartenenza alla comunità pitagorica; ma servivano anche a rafforzare il senso di solidarietà del gruppo, distinguendo i membri dai non-membri. Queste regole, infatti, hanno ben poco a che fare con la matematica o la filosofia della natura: è piuttosto uno stile di vita comunitario di una setta religiosa. Ci sono due concetti centrali nel pensiero pitagorico che svilupparono due correnti di pensiero: 1. Il destino immortale dell’anima umana 2. L’interpretazione matematica del mondo della natura UNA NUOVA CONCEZIONE DEL PRINCIPIO: IL NUMERO PRINCIPIO DI TUTTE LE COSE Con Platone cambia radicalmente l’immagine di Pitagora: non è più solo un capo religioso e il poeta della reincarnazione, ma anche il creatore della filosofia matematica. Aristotele, nella Metafisica, afferma che quel principio che dagli Ionici era additato nell’acqua, nell’apeiron e nel fuoco, nei “cosiddetti Pitagorici” era invece indicato nel numero e negli elementi costitutivi del numero. I Pitagorici furono i primi cultori sistematici della matematica e così scoprirono che molte realtà e molti fenomeni naturali sono traducibili in rapporti numerici e rappresentabili in modo matematico: • Scoprirono che la musica (che coltivavano come mezzo di purificazione) è traducibile in numero: per esempio la diversità dei suoni di uno strumento a corde dipende dalla lunghezza delle corde stesse 10 • • Anche studiando i fenomeni del cosmo notarono l’incidenza determinante del numero: sono precise leggi numeriche che determinano l’anno, le stagioni, i giorni ecc. Sono precise leggi numeriche che regolano anche i tempi d’incubazione del feto, i cicli di sviluppo e i vari fenomeni della vita Viste queste corrispondenze furono però portati anche a costruire rapporti inesistenti che sconfinavano nel fantastico. Comunque, attraverso questo processo, arrivarono a porre il numero e gli elementi costitutivi del numero, come principio di tutte le cose. Per comprendere questa affermazione dobbiamo cercare di capire cosa fosse il numero per gli antichi. Per noi Per gli antichi NUMERO= frutto di astrazione, ente di ragione NUMERO= una cosa reale e per questo principio di tutte le cose Gli elementi costitutivi del numero sono l’illimitato e il limitante, che danno origine ai numeri pari, nei quali prevale l’elemento illimitato e dispari nei quali prevale l’elemento limitante; ma è pur sempre un imbrigliamento dell’illimitato nel limite e quindi può essere elemento delimitante e determinante le cose. Questa affermazione diventa più chiara se si raffigurano i numeri come un insieme di punti geometricamente disposti. • Il numero pari non incontra alcun limite: . . • . . . . . . . . . . . . = ILLIMITATO Il numero dispari ha un punto di arresto (limite) . . . . . . . . . . =LIMITATO PASSAGGIO DAL NUMERO ALLE COSE Il numero per i Pitagorici era un insieme ARITMOGEOMETRICO: era visto come un insieme di punti o di sassolini, quindi era una figura che occupava spazio; per questo era per loro normale passare dal numero alle figure e alle cose. Anche Aristotele ricorda l’abitudine dei Pitagorici di rappresentare il numero sistemando ciottoli, in modo da disegnare i numeri come triangoli o quadrati. Importantissimi sono i numeri triangolari perché formano la tetractys che significa “quaternità”, dal momento che il numero quattro è rappresentato da tutti e tre i lati del triangolo equilatero. Inoltre i numeri triangolari hanno rivestito grande importanza per la formulazione del teorema di Pitagora (9+16=25). 11 Anche il cosmo si organizza e diviene per noi conoscibile mediante il numero e la proporzione: la cosmogonia comincia quando i numeri sono generati, quando l’illimitato è attratto (o inspirato) dal principio limitante. I cieli prendono forma man mano che esce il fiato o vuoto dall’illimitato. Per i Pitagorici il 10 rappresentava il numero perfetto (è, infatti, la somma dei numeri che formano la tetractys) e per questo affermarono che ci devono essere 10 corpi celesti che ruotano attorno al fuoco centrale: la sfera delle stelle fisse, i cinque pianeti, il Sole, la Luna, la Terra e, per arrivare a 10, aggiunsero una “contro-terra”, a noi invisibile come il fuoco centrale. In questo modo l’intero universo è “armonia e numero”, come dice Aristotele. I movimenti dei corpi celesti producono la musica cosmica delle sfere (che però noi non udiamo). In questo particolare sistema del mondo la Terra gira intorno al fuoco centrale e produce il dì e la notte, secondo la sua posizione relativamente al sole: è il primo sistema cosmico non geocentrico. I numeri vengono anche assimilati alle figure: 1 = punto; 2 = linea; 3 = superficie; 4 = solido Mentre i quattro elementi vengono assimilati, per analogia, a figure solide: terra = cubo; fuoco = piramide; aria = ottaedro; acqua = icosaedro (20 facce a forma di triangolo) FONDAZIONE DEL CONCETTO DI “COSMO”: L’UNIVERSO E’ ORDINE L’universo dei Pitagorici acquista un nuovo senso rispetto a quello dei Milesi: è un universo costruito dal numero, col numero e secondo il numero, è quindi un “cosmo” che vuol dire “ordine”: Furono proprio i Pitagorici i primi ad usare il termine cosmo in questo senso specifico, e, in questo senso, resterà definitivamente acquisito nel pensiero occidentale. Afferma Filolao: “Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo, nulla sarebbe possibile pensare, né conoscere” E ancora: “Nessuna menzogna accoglie in sé la natura del numero, né l’armonia; il falso nulla ha in comune con esse. Menzogna e inadeguatezza sono proprie della natura dell’indeterminato, dell’inintelligibile, dell’irrazionale. Giammai menzogna spira verso il numero, alla cui natura, difatti, è ostile e nemica la menzogna, mentre la verità è propria e connaturata alla specie del numero” Dunque dominio del numero vuol dire dominio della ragione e della verità. IL DESTINO IMMORTALE DELL’ANIMA UMANA E’ l’altro concetto centrale del pensiero pitagorico. Pitagora fu il primo filosofo che insegnò la dottrina della metempsicosi, cioè quella dottrina secondo cui l’anima è costretta a reincarnarsi più volte in successive esistenze corporee, non solo in forma di uomo, ma anche in diverse forme animali, per espiare una originaria colpa commessa. Pare ormai certo che Pitagora abbia attinto questa dottrina dall’orfismo, anche se i Pitagorici onoravano Apollo, cui sono sacre la ragione e la scienza, e gli Orfici Dionisio, cui è sacra l’orgia entusiastica. Le due dottrine concordano sui seguenti punti: 12 • • • • L’anima è immortale, preesistente al corpo e continua a sussistere anche dopo il corpo. La sua unione col corpo non solo non è conforme alla sua natura, ma è addirittura contraria. La natura dell’anima è divina e quindi eterna. L’unione dell’anima ad un corpo è una punizione di una oscura colpa originaria ed è insieme espiazione di tale colpa. La vita dell’uomo va impostata su basi del tutto nuove, non in funzione del corpo che è carcere, ma in funzione dell’anima: cioè bisogna vivere una vita in grado di purificare l’anima Orfismo e Pitagorismo si differenziano nettamente nella scelta degli strumenti e dei modi con cui credono di ottenere la purificazione dell’anima: • Gli Orfici ritenevano che i mezzi di purificazione fossero le celebrazioni e le pratiche religiose dei sacri misteri e, pertanto, rimanevano legati ad una mentalità magica • I Pitagorici, invece, additarono soprattutto nella scienza la via di purificazione, anche se all’inizio rimasero, nella pratica quotidiana, anche regole empiriche dettate da superstizione o totalmente estranee alla scienza. Le regole mediche di purgazione e le regole ascetiche di astinenza miravano a purificare il corpo per renderlo docile all’anima. Le pratiche di purificazione si concentrarono, all’inizio, sulla musica che dovette essere il tramite alla teoria dei numeri e al sistema aritmo-geometrico dei Pitagorici. I novizi, come già detto, dovevano solo tacere e ascoltare; in seguito potevano porre domande circa la musica, l’aritmetica e la geometria. Da ultimo passavano allo studio della natura e del cosmo. Quindi nell’insegnare e nello studiare i Pitagorici celebravano i sacri misteri della scienza e diedero inizio alla vita contemplativa (o anche vita pitagorica) cioè una vita che ricerca la purificazione nella contemplazione del vero tramite il sapere e la conoscenza. 13 NASCITA DELLA FILOSOFIA ELEATICA La filosofia eleatica prende il nome da Elea, colonia della Magna Grecia. Quali sono le vicende che portarono alla fondazione di questa città e che resero possibile lo sviluppo di una vita culturale così rigogliosa segnata dalla presenza di filosofi come Senofane, Parmenide, Zenone e Melisso? La nascita di Elea è legata alla conquista dell’Asia Minore da parte dei Persiani, cioè della costa in cui sorgevano le città greche. Siamo alla metà del VI sec. a.C. (546-545) e i Persiani (Ciro) conquistano la fascia costiera dove sorge la città di Focea. I Focesi non vollero sottomettersi al dominio persiano e decisero di raggiungere i propri compatrioti che si erano stabiliti nel Tirreno settentrionale, ma non a Marsiglia (che era una città Focea) bensì in una colonia della Corsica: Alalia. Da lì molestano i traffici commerciali degli etruschi e dei loro alleati Cartaginesi. Si viene a un conflitto. Anche se i focesi vincono, subiscono gravi perdite, per cui essi capiscono di non poter restare e resistere ad ulteriori attacchi; per questo vengono in Italia e, dopo varie vicende, si stabiliscono in un punto della costa della Basilicata e danno vita a Elea. Elea diventa una città rigogliosa per i commerci e i traffici che richiamano altri greci dalla Ionia e, tra gli altri, Senofane, che probabilmente influì sulla concentrazione in questo luogo di uomini di studio, non senza l’influenza della vicina scuola pitagorica di Crotone. Il personaggio di spicco della scuola eleatica fu Parmenide che trae alimento dalla scuola pitagorica, ma gli dà uno sviluppo nuovo. Pitagorismo ed Eleatismo sono le due grandi fonti del pensiero di Platone. LA POSIZIONE DI SENOFANE RISPETTO AGLI ELEATI Senofane può essere accomunato agli Eleati perché ricondusse tutto all’Uno, che poi però concepì in modo differente. CRITICA DELLA CONCEZIONE DEGLI DEI E DISTRUZIONE DEL PRESUPPOSTO DELLA RELIGIONE TRADIZIONALE Senofane rivoluziona il modo di vedere dell’uomo antico attraverso l’individuazione di un errore di fondo: l’antropomorfismo (…se i buoi e i cavalli avessero le mani dipingerebbero i loro Dei simili a buoi e cavalli…). IL DIO E IL DIVINO SECONDO SENOFANE Fece crollare la concezione antropomorfica di Dio ma non riuscì a determinare positivamente il concetto di Dio: si limita ad affermare che Dio è il Cosmo. Per questo non si può dire che sia stato monoteista, dal momento che ha continuato, come tutti i greci, a parlare anche di Dei al plurale; né spiritualista, dal momento che per lui Dio è il Cosmo, ma, con cautela, lo si potrà considerare panteista (= tutto è Dio), anche se gli mancano ancora le categorie dell’immanenza e della trascendenza. Ebbe delle felici intuizioni che però non riuscì a giustificare. 14 LA FISICA SENOFANEA Il principio è inteso in modo diverso rispetto agli Ionici perché terra e acqua sono il principio solamente per gli esseri terrestri, non per il cosmo intero. Come Parmenide ha negato che il cosmo nasca, muti e si muova, ma non ha negato che le singole cose nel cosmo nascano, si mutino e muoiano. IDEE MORALI Affermò, combattendo i pregiudizi correnti, la superiorità dei valori spirituali (cioè la virtù, l’intelligenza, la sapienza) su quelli puramente vitali (come la forza fisica degli atleti), senza però fondare filosoficamente le sue affermazioni. 15 PARMENIDE Pare che fosse anche medico e naturalista. Gli Ionici avevano cercato l’archè, cioè i principi che avevano dato origine al mondo. Parmenide ha segnato una svolta. Perché? Parmenide ha compiuto un nuovo passo perché si è chiesto: cos’è l’intero, che cos’è l’essere dell’intero? E si chiese anche: si racconta come sia nato il mondo, e prima? E’ lo stesso problema che abbiamo anche noi oggi quando gli scienziati ci raccontano dell’esplosione primordiale, il big bang: noi, incompetenti domandiamo: e prima cosa c’era? Il fisico sorride e la nostra domanda resta senza risposta. Anche Parmenide s’è domandato che cosa c’era prima? Forse c’era il nulla? Ma che cosa significa? VITA • Platone scrisse di Parmenide:”Mi sembra, per dirla con Omero, venerando e insieme terribile”. • Nacque ad Elea intorno al 540 a.C. da famiglia benestante • Alcuni lo vogliono discepolo di Anassimandro, Senofane e del pitagorico Aminia • Fu anche un uomo politico di rilievo e un ottimo legislatore, al punto che tutti i suoi concittadini, una volta giunti alla maggiore età, erano tenuti a prestare giuramento di fedeltà alle leggi parmenidee. • Ebbe come scolari Zenone ed Empedocle • Con Zenone fece un viaggio ad Atene come diplomatico, ma ne approfittò anche per mettersi in contatto con i filosofi ateniesi, soprattutto con Socrate (che era ancora molto giovane). Platone, nel suo dialogo intitolato “Parmenide”, fa un resoconto di questo incontro (pag. 115De C.) • Parmenide è considerato il padre del razionalismo occidentale, il padre dell’ontologia, perché ha ricondotto il mondo ad una grande e formidabile astrazione: l’essere. • Nell’antichità Parmenide fu conosciuto più attraverso l’interpretazione che di lui diedero Platone e Aristotele, che non attraverso la lettura diretta del suo Poema IL POEMA DI PARMENIDE • • Parmenide scrisse un poema in versi (di cui ci restano circa 150 frammenti), “Sulla natura”, adottando il metro proprio dell’epica, l’esametro. Fece questo dopo che la filosofia ionica aveva adottato la prosa come espressione propria della filosofia in contrapposizione e come presa di distanza dal mito. Dunque Parmenide assume la grande forma poetica della tradizione per due motivi: riallacciarsi alla tradizione epica e discostarsi dalla filosofia di coloro che hanno come oggetto di trattazione la phisys. Però Parmenide non contrappone il mithos al logos, bensì fa un’operazione di recupero del mito e lo pone sullo stesso piano del logos, li unifica e li usa per esporre la sua dottrina che deve sempre avere come oggetto l’essere (non usato come predicato ma col senso di “esistente”). Il Poema si struttura in tre momenti: il proemio, nel quale il filosofo racconta di un mitico viaggio verso la casa della Notte, dove la Dea lo accoglie benevolmente; quindi altre due parti del Poema che costituiscono l’oggetto della rivelazione della Dea: da un lato l’Aletheia, verità-realtà, 16 dall’altro la Doxa, cioè il mondo nel suo apparire. Abbiamo a che fare con il racconto di un viaggio mitico, con l’incontro e la rivelazione da parte della Daimon (la Dea), che si presenta con molti nomi durante il corso della narrazione (Dike= Giustizia; Peithò=Persuasione; Ananche=Necessità; Moira=Destino). Il viaggio esprime un percorso che comprende la totalità che si snoda attraverso tre momenti che la Dea rivela e che sono le tre vie della ricerca: 1. Il cuore della verità 2. Il mondo dominato dall’apparenza delle opinioni dei mortali 3. La determinazione del mondo delle cose che appaiono LE TRE VIE DELLA RICERCA IN PARMENIDE 1. La via dell’assoluta verità E’ la via del logos, non dei sensi. Il grande principio di Parmenide è il seguente:” l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può in alcun modo essere” cioè: l’essere è il puro positivo assolutamente privo di qualsiasi negatività e il non essere è l’assoluto contraddittorio di questo assoluto positivo. L’essere è la sola cosa pensabile ed esprimibile; qualsiasi pensare è pensare l’essere, al punto che pensare ed essere coincidono, nel senso che non esiste pensiero se non dell’essere. Viceversa il non essere non solo non è, ma è impensabile, inesprimibile, indicibile e quindi impossibile. E’ la prima formulazione del principio di non-contraddizione, che insieme al principio di identità, sono i capisaldi della logica aristotelica. • L’essere è ingenerato e incorruttibile (pag. 123 Reale) perché altrimenti deriverebbe dal non essere. • L’essere non ha passato ( perché non sarebbe più) né un futuro (perché non sarebbe ancora), ma è presente eterno senza inizio né fine. • L’essere è immutabile e immobile perché è perfetto e non ha bisogno di niente e perché il mutamento prevede il movimento che non è possibile perché vorrebbe dire che ciò che era prima non è più e quindi si ammette il non essere. • L’essere è indivisibile, è un continuo tutto uguale, perché la differenza implica il non-essere. • L’esser è determinato, finito sferiforme (probabilmente è un’influenza pitagorica che affermava che solo il finito è perfetto) ed è uno. Dunque l’unica verità per Parmenide è che l’essere è ingenerato, incorruttibile, immutabile, immobile, uguale, sferiforme e uno: il resto è solo vano nome. A differenza degli Ionici Parmenide non pone un principio, perché l’essere ha tutti quegli attributi sopraesposti, che non prevedono la necessità di un principio. 2. La via dell’errore E’ quella dei sensi perché ammette il non-essere accanto all’essere. Infatti i sensi sembrano attestare il divenire, il movimento, il nascere e il morire. 3. La spiegazione plausibile dei fenomeni e la “doxa” parmenidea Parmenide riconosce anche la possibilità di un discorso che cerchi di dar conto dei fenomeni e delle apparenze senza andar contro al grande principio, cioè ammettere insieme l’essere e il non-essere. L’errore dei mortali è quello di aver posto due supreme forme: “luce” e “notte”, concependole come contrarie (come essere e non-essere) deducendo tutto da questo. I mortali non hanno capito che le due forme sono incluse in una superiore necessaria unità, vale a dire nell’unità dell’essere. 17 Luce e notte sono uguali perché nessuna delle due è nulla, ma sono ambedue essere(pag. 130 Reale). APORIA STRUTTURALE DELLA FILOSOFIA DI PARMENIDE Nel momento in cui Parmenide, per salvare i fenomeni riconosce come essere sia luce che notte, perde qualsiasi forma di differenziazione qualitativa e quantitativa e l’essere è sempre uguale a se stesso. In questo modo salva l’essere ma perde i fenomeni. ZENONE DI ELEA La dottrina di Parmenide apparve già ai suoi contemporanei come aporetica e paradossale. L’opera di Zenone fu quella di difenderla con un metodo caratteristico: la confutazione della tesi contraria. Nasce così la dimostrazione per assurdo che agì sulla sofistica, sul metodo socratico e altre scuole filosofiche e contribuì alla formazione delle varie tecniche di argomentazione e al nascere della logica. Aristotele lo indicò come l’inventore della dialettica. Il suo metodo, partendo dalle certezze degli avversari, segue un itinerario logico e giunge a conclusioni impossibili. L’importante è che in ogni punto del ragionamento sia sempre rispettato il principio di non-contraddizione. • ARGOMENTI DIALETTICI CONTRO IL MOVIMENTO Sostengono che il movimento è assurdo e impossibile • ARGOMENTI DIALETTICI CONTRO LA MOLTEPLICITA’ Sostengono l’impossibilità che l’essere sia molteplice 18 I PLURALISTI Ricordiamo le 3 vie di Parmenide: 1 La via della verità ( l’essere è e non può non essere…..) 2 La via dell’errore = ammettere l’essere accanto al non essere 3 La doxa = l’errore sta nell’aver ammesso due principi contrari (luce e notte) come se fossero essere e non essere, quando invece sono ambedue essere (il cadavere non ha sensibilità per la luce e il calore ma per il freddo e il silenzio). EMPEDOCLE (492-439 a.C.) VITA: • Nasce ad Agrigento (città ricca e gaudente della Magna Grecia) da famiglia nobile e benestante • Fu: uomo politico, filosofo, poeta, medico e mago • Probabilmente morì nel Peloponneso ma la leggenda narra che si suicidò buttandosi nell’Etna per dimostrare la sua natura divina • Scrisse un’opera “Sulla natura” e una “Sulla purificazione”di cui rimangono frammenti • Conobbe Senofane, Parmenide, la scuola Pitagorica (magia e metempsicosi), viaggiò e venne a contatto con tutti i sapienti del suo tempo • Tornato in patria si dedicò alla riforma dei costumi Cerca di risolvere l’aporia eleatica tentando di salvare: • Il principio che nulla nasce e nulla perisce, cioè che l’essere sempre permane. • I fenomeni dell’esperienza Il nascere e il perire non è un venire dal nulla e un andare nel nulla, ma è mescolanza e dissoluzione di sostanze che sono non nate e indistruttibili, cioè sostanze che eternamente permangono uguali. Queste sostanze sono: fuoco, acqua, aria e terra. Empedocle muta la concezione di principio degli Ionici per i quali il principio si trasformava in tutte le cose: per lui i quattro elementi sono qualitativamente immutabili. • Nasce la concezione di elemento. • Nasce la concezione pluralistica. Chi spinge gli elementi ad unirsi e separarsi? Empedocle afferma che causa dell’unione e della separazione degli elementi sono l’Amore e l’Odio (Amicizia e Discordia), che sono forze cosmiche e insieme, Divinità. Non sono forze spirituali ma realtà naturali. Sono coeterni come gli elementi e ugualmente potenti. Predominano a cicli alterni: quando predomina l’Amore, gli elementi si raccolgono in unità (Sfero); predominando l'Odio, si separano. Il cosmo e le cose nascono nei due periodi di passaggio che vanno dal predominio dell’Amore a Quello dell’Odio: infatti quando prevale l’Amore si dissolve il cosmo e gli elementi si raccolgono in uno Sfero indifferenziato (è il momento di assoluta perfezione); l’Odio, inserendosi nello Sfero, pone le premesse del nascere del cosmo, così come l’Amore fa nascere il cosmo ricongiungendo gli elementi dopo che sono stati separati dal prevalere dell’Odio. 19 • Il vuoto non esiste (esperimento della cannuccia nell’acqua) perché anche quando sembra che non ci sia nulla c’è l’aria LA CONOSCENZA UMANA Il simile conosce il simile. Dalle cose e dai pori delle cose si sprigionano effluvi che colpiscono gli organi sensoriali, e le parti simili dei nostri organi riconoscono le parti consimili degli effluvi provenienti dalle cose: il fuoco conosce il fuoco, l’acqua l’acqua ecc. ANASSAGORA (499-428 a.C.) VITA: • Nasce a Clazoméne nella Ionia • Conobbe la dottrina di tutti gli altri filosofi precedenti e anche del suo contemporaneo Empedocle • Si trasferì ad Atene dove, per primo, portò l’interesse per la filosofia • Fu amico di Pericle e fu accusato di empietà nei confronti della religione dagli avversari di Pericle (tutti gli amici di Pericle furono perseguitati: Fidia, Aspasia, Anassagora) • Abbandonò Atene e tornò nella Ionia dove morì • Scrisse un’opera “Sulla natura” di cui rimangono frammenti Anche Anassagora tenta di mantenere fermo il principio eleatico della permanenza dell’essere e di dar conto dei fenomeni. Nessuna cosa nasce o muore, cioè la realtà nel suo complesso è immobile, ma, a partire dalle cose che sono, si produce un processo di composizione e di divisione. Le “cose che sono” non sono solo i quattro elementi di Empedocle, ma sono infinite in quantità e numero e li chiama “semi” o omeomerie, vale a dire che, anche se vengono divise, rimangono qualitativamente uguali (es. del seme umano che contiene già tutto). Nessun elemento è allo stato puro, ma si trova mescolato con gli altri nelle cose Chi imprime alle omeomerie il movimento? L’intelletto è autonomo principio di movimento. Le cose nascono dalla originaria mescolanza a causa del movimento impresso da una Intelligenza (noùs) infinita e separata dal resto, ma non spirituale. LA CONOSCENZA UMANA Nasce dai contrasti: sentiamo il freddo col caldo, il dolce con l’amaro ecc. (es.: uno stesso rumore lo sentiamo più forte nel silenzio e quasi non lo sentiamo in mezzo al frastuono). 20 GLI ATOMISTI: Leucippo e Democrito (materialismo) Gli Atomisti tentano di conciliare l’Eleatismo di Parmenide con il divenire di Eraclito Affermano che non si può negare la percezione sensoriale, quindi non si può negare la generazione e la distruzione, né il movimento, né la molteplicità delle cose. Ma per mantenere l’essere Uno eleatico lo frantumano in infiniti esseri-Uno: gli Atomi. Ammettono poi l’esistenza del vuoto. L’Atomo è: • Come l’essere eleatico: uno, eterno, indivisibile, privo di vuoto al suo interno (ma non immobile) Il Vuoto è: • Lo spazio dove gli atomi possono aggregarsi e disfarsi in continuo divenire (Eraclito) L’Anima è: • Ciò che dà vita al corpo ed è costituita da atomi più sottili degli altri, lisci e sferiformi di natura ignea. Tutti gli atomi si propagano nel corpo e lo vivificano. Per la sottigliezza tendono ad uscire dal corpo ma, con la respirazione vengono reintegrati. Cessando la respirazione tutti gli atomi ignei escono e sopravviene la morte. LA CONOSCENZA UMANA Gli effluvi degli atomi che emanano dalle cose impressionano gli atomi simili in noi: il simile conosce il simile. Da cosa deriva il movimento degli atomi? Il movimento deriva dal movimento stesso perché gli atomi sono originariamente ed eternamente in movimento per loro natura. Ci sono tre tipi di movimento degli atomi: • Movimento originario, pre-cosmico (come il pulviscolo controluce) • Movimento cosmogonico: vorticoso (ricorda l’inspirazione pitagorica) • Movimento del cosmo formato: atomi che si liberano dagli aggregati atomici e formano effluvi I cosmi e le cose in essi contenuti sono prodotti unicamente dagli atomi e dal movimento: tutto si spiega in modo meccanico e necessario. DIFFERENZA TRA ATOMI E OMEOMERIE ATOMI (indivisibile): • Indivisibili, sono sempre in movimento • Esiste il vuoto • Si differenziano geometricamente (palline, cubetti che viaggiano nel vuoto e che ogni tanto si incontrano e formano le cose =aporia di fondo: perché si incontrano?) e sono uguali per qualità • Gli atomi sono infiniti e anche i mondi sono infiniti OMEOMERIE (semi): • Divisibili all’infinito • Non esiste il vuoto • Hanno originarie differenziazioni 21 • Gli oggetti che vediamo contengono tutte le omeomerie possibili ma noi vediamo solo quelle che sono in prima fila (es.: un tavolo di legno contiene anche il fuoco, il fumo ecc.): infatti il cibo che si mangia si trasforma in ossa, carne, capelli ecc. e un capello non può nascere da un non-capello. GENESI E NATURA DEL PROBLEMA MORALE Perché il problema filosofico dell’uomo non è nato insieme al problema del cosmo? Perché il mondo esteriore si presentò alla percezione sensibile dei primi filosofi come un tutto; mentre il mondo morale si presentò come un insieme di piccoli gruppi, che si muovono arbitrariamente e confusamente. Noi sappiamo che la condizione necessaria perché qualcosa diventi oggetto di riflessione filosofica sia quella di apparire come una unità organica e non come una molteplicità disgregata senza visibili connessioni. E mentre il mondo e le vicende cosmiche appaiono fin dall’inizio come unità organica, gli uomini e le vicende umane appaiono come una molteplicità in cui non si vedono nessi chiari e anzi sembrano prevalere scissioni e separazioni. Quindi la filosofia che è nata con Talete in un tentativo di comprensione razionale del cosmo, cioè come tentativo di trovare il principio che spiega tutto, ha trascurato per un secolo e mezzo (per tutto il VI sec. a.C. e metà del V) l’essere dell’uomo e non si è preoccupata della comprensione razionale della specifica natura dell’uomo. Per conseguenza non ha potuto scientificamente comprendere la areté, ossia la virtù dell’uomo, ma si è concentrata sull’arché e si è preoccupata dell’uomo come cosa accanto ad altre cose: lo ha trattato come oggetto e non come soggetto. Quale fu la riflessione morale prefilosofica? Già prima della nascita della filosofia morale gli uomini si comportavano secondo convinzioni morali che venivano assorbite dal nucleo familiare, dagli ambienti che frequentavano e, in genere, dalla società in cui vivevano. Le convinzioni morali dei Greci si formarono: • Sui poemi omerici dove i personaggi costituivano veri e propri paradigmi e modelli di vita: l’eroismo di Achille, la saggezza di Nestore, l’ingegno e l’audacia di Ulisse, la fedeltà di Penelope. Inoltre nell’Iliade e nell’Odissea si delinea una concezione etica più generale secondo cui l’uomo reverente e ubbidiente agli Dei ha sempre vantaggio rispetto all’uomo tracotante e malvagio che non può sfuggire alla vendetta divina. • Le opere di Esiodo forniscono massime, precetti e sentenze in cui si delinea una concezione etico-religiosa: i mali che gli uomini soffrono sono una punizione inflitta dagli Dei a causa dell’arroganza degli uomini stessi; il duro lavoro è legato a colpe umane, ma è l’unica via che all’uomo resta da vivere; chi non lavora deve ricorrere all’ingiustizia, la quale richiama poi la nemesi (punizione). Esiodo esorta a seguire la virtù anche se dura e difficile; raccomanda parsimonia, moderazione, prudenza e benevolenza. Questi concetti però sono solo riflessioni a carattere intuitivo e non vengono giustificate concettualmente. 22 • • Ci sono poi i poeti gnomici del VI sec.: Solone, Focilide e Teognide. Dalle loro sentenze emerge soprattutto la norma della giusta misura come fondamento del vivere assennato e della felicità (questa norma dominerà nell’etica di Platone e di Aristotele). Infine ci sono le sentenze dei sette saggi che segnano il momento dell’emergere in primo piano dell’interesse morale anteriormente al sorgere della filosofia morale (da pag. 209 di Reale). Che cosa distingue la riflessione morale prefilosofica dalla filosofia morale? La riflessione morale prefilosofica, anche se, come le sentenze dei sette saggi, è frutto di lunga esperienza e riflessione, non presenta un’unità organica e non è sorretta da un principio che la giustifichi. Anche Talete, che pure è annoverato fra i sette saggi, ha fondato la filosofia come cosmologia, ma non la filosofia morale, perché ha indagato il principio del cosmo ma non la natura dell’uomo in quanto tale. Perché nascesse la filosofia morale occorreva che l’uomo diventasse oggetto di riflessione della filosofia: dovevano cioè essere determinati l’essenza e il significato dell’uomo in quanto uomo; occorreva che da questa essenza si deducesse il concetto di areté (virtù); occorreva che si prendessero in esame i valori tradizionali e se ne accertasse teoreticamente la consistenza. Quest’opera fu iniziata dai Sofisti e portata a compimento da Socrate. 23 I SOFISTI Qual è il significato del termine “sofista”? Nel linguaggio corrente ha un senso decisamente negativo: sofista viene detto colui che cerca di indebolire e offuscare il vero e cerca di rafforzare il falso. Il significato originale del termine è “sapiente”, “esperto del sapere”, “possessore del sapere”, quindi ha un significato altamente positivo. Furono i primi filosofi (soprattutto Platone) a screditare la sofistica perché affermavano che il sapere dei Sofisti fosse solamente apparente e non reale e perché i Sofisti agivano a scopo di lucro e non disinteressatamente per amore di verità. Inoltre l’opinione pubblica vide nei Sofisti un pericolo per la religione e per il costume morale, e gli aristocratici li accusavano di aver contribuito alla perdita del loro potere e di aver favorito la formazione di una nuova classe sociale che non contava più sulla nobiltà dei natali ma sulle doti e le abilità personali che i Sofisti volevano creare ed educare. Comunque la massima responsabilità nello screditare i Sofisti resta a Platone. Dalla fine del secolo scorso cominciò una rivalutazione. Perché sorse la sofistica? Perché muta l’oggetto dell’indagine filosofica: l’uomo. La speculazione naturalistica era pervenuta a risultati che si elidevano a vicenda: i risultati dell’eleatismo contraddicevano quelli dell’eraclitismo; i risultati dei Pluralisti quelli dei monisti; le soluzioni dei Pluralisti si escludevano a vicenda. Sembrava ormai che tutte le possibili soluzioni fossero state proposte e che altre non fossero pensabili: i principi sono uno, molti, infiniti o addirittura non esistono principi (Eleati); tutto è mobile, tutto è immobile ecc. Per questo il pensiero filosofico lasciò da parte la physis e rivolse il suo interesse su un altro obiettivo, quello che i Naturalisti avevano trascurato: l’uomo e tutto quello che c’è di tipicamente umano, vale a dire etica, politica, retorica, arte, lingua, religione, educazione, cioè tutto quello che noi chiamiamo cultura umanistica. Con i Sofisti inizia il periodo umanistico della filosofia antica che alcuni autori hanno paragonato all’illuminismo. • Perché mutano le condizioni storiche. La crisi dell’aristocrazia e dei suoi valori tradizionali (l’antica areté), l’ascesa del popolo e l’allargamento a cerchie più vaste della possibilità di accedere al potere, fecero crollare la convinzione che la virtù fosse legata alla nascita e quindi pose in primo piano il problema del come si acquista la “virtù politica”. I Sofisti seppero cogliere in modo perfetto queste esigenze della loro epoca e seppero proporre soluzioni ai bisogni del momento: per questo riscossero enorme successo soprattutto tra i giovani. • Quale fu il metodo della sofistica? Anche per quanto riguarda il metodo operarono un mutamento rispetto ai filosofi della physis: passarono dal metodo deduttivo a quello empirico-induttivo. Questo metodo partendo dall’esperienza cerca di guadagnare il più grande numero di conoscenze in ogni campo della vita, dalle quali poi trarre alcune conclusioni, in parte di natura teorica come ad esempio la possibilità o impossibilità del sapere, circa le origini, il progresso e il fine della cultura umana, circa l’origine e la costituzione della lingua, circa l’origine e l’essenza della religione, circa la 24 differenza tra liberi e schiavi; in parte di natura pratica circa la configurazione della vita del singolo e della società. Quali furono le finalità della sofistica? I Sofisti ebbero finalità pratiche: fecero infatti del loro sapere una vera e propria professione. Con essi il problema educativo e l’impegno pedagogico emergono e assumono un nuovo significato: far valere il principio che tutti possono acquistare l’areté e che questa non si fonda sulla nobiltà del sangue ma sul sapere. I Sofisti pretesero anche un compenso in denaro e questo suscitò notevoli critiche. Perché i Sofisti vengono chiamati “illuministi greci”? Perché ebbero una grande libertà di spirito che li portò a prendere le distanze da ogni tradizione politica e religiosa, dalle vecchie concezioni della physis e lo fecero sulla base della ragione. Nella ragione e nell’intelligenza ebbero illimitata fiducia e negarono la possibilità di poter raggiungere un assoluto, come invece credettero i Naturalisti o la tradizione. LE DIVERSE CORRENTI DELLA SOFISTICA La sofistica è un complesso di sforzi indipendenti di singoli Sofisti per soddisfare con mezzi analoghi a dei bisogni identici: i bisogni della società del V sec. a.C. che si evolveva in senso democratico. Ci sono tre gruppi di Sofisti: • Primi grandi maestri sostanzialmente degni di rispetto: Protagora, Gorgia ecc. • Eristi: sfruttano il metodo sofistico e ne esaltano l’aspetto formale senza alcun interesse per i contenuti e senza i ritegni morali dei maestri. • Politici-sofisti: uomini politici aspiranti al potere, senza alcun ritegno morale, usarono il metodo sofistico per teorizzare un vero e proprio immoralismo che sfociò nel disprezzo della giustizia. 25 PROTAGORA (Relativismo e metodo dell’antilogia) VITA: • Nacque ad Abdera tra il 491 e il 481 a.C. e morì verso la fine del secolo • Viaggiò molto nelle città greche e soggiornò più di una volta ad Atene dove riscosse trionfali successi in pubblico • Fu molto apprezzato dai politici e Pericle gli affidò l’incarico di preparare la legislazione per la nuova colonia di Turi • Secondo Diogene Laerzio fu scacciato da Atene e i suoi scritti furono bruciati sulla pubblica piazza a causa delle sue idee sugli Dei • Secondo Platone questo non è vero • L’opera maggiore di Protagora fu “Sulla Verità-Ragionamenti demolitori”; molto importante fu anche il suo scritto intitolato “Antilogie” che doveva contenere il metodo di discussione del Sofista IL PRINCIPIO DELL’ “HOMO MENSURA”: L’UOMO E’ MISURA DI TUTTE LE COSE La proposizione fondamentale di Protagora fu: “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono”. Questo principio esprime la nascita del relativismo occidentale. • Per misura si intende la norma di giudizio. • Per cose si intende tutti i fatti in generale. Con ciò Protagora intendeva negare che esista un criterio assoluto che discrimini l’essere dal nonessere, il vero dal falso e, in genere, tutti i valori: il criterio è assolutamente relativo, è l’uomo, il singolo uomo (pag. 231). Come stabilì Protagora il suo principio? Lo stabilì in modo empirico, generalizzando cioè la constatazione dello opposte valutazioni che gli uomini danno di tutte le cose. Inoltre non estese sistematicamente il suo principio, ma se ne avvalse come canone fondamentale per l’insegnamento dell’areté. DAL PRINCIPIO DELL’ “HOMO MENSURA” AL METODO DELLE “ANTILOGIE” Protagora pensava di dover armare i suoi alunni per tutti i conflitti di pensiero e di azione della vita pubblica, cioè imparare a criticare e discutere. Per questo insegnò che, su ogni cosa, “ci sono due ragionamenti che si contrappongono tra di loro” cioè su ogni ragionamento è possibile addurre ragionamenti pro e contro che reciprocamente si annullano; insegnava anche i modi in cui è possibile sorreggere e portare a vittoria l’argomento che sembra più debole. Questo metodo fu esposto nelle “Antilogie” o controversie. Però Protagora non definisce l’essenza dei valori, vale a dire non dice cosa sono il bene e il male, il vero e il falso ecc. in assoluto, ma fa vedere tutta una serie di ragioni che fanno apparire una cosa buona, bella e così via, e l’altra serie di ragioni che fanno apparire brutta, cattiva ecc. la stessa cosa (pag. 234). 26 L’INSEGNAMENTO DELLA VIRTU’ Protagora, come tutti i Sofisti, fu un insegnante stipendiato. Il suo insegnamento concerneva la virtù (areté) ed era il motivo per cui tanti giovani accorrevano numerosi alle sue lezioni. Cosa intendeva Protagora per “virtù”? Per noi la virtù è la naturale disposizione dell’animo a seguire il bene e a fuggire il male. Per Protagora la virtù è l’accortezza negli affari pubblici e privati, il saper parlare, per cui il termine areté non va inteso come virtù in senso cristiano, ma come abilità (pag. 234). Questa accortezza è l’abilità di parlare soprattutto in pubblico e Protagora ritiene che si possa insegnare mediante la tecnica delle antilogie e la conseguente tecnica che insegna a far prevalere un qualsivoglia punto di vista. (Questo è il senso che riprenderà Machiavelli nel “principe”). Cosa intendeva Protagora per “bene e male”, “per giusto”, per “sapiente”? Il bene e il male non sono valori assoluti, ma sono l’utile e il dannoso; il migliore e il peggiore, il più utile e il più dannoso. • Il giusto non è il vero ma l’utile pubblico. • Il sapiente non è colui che conosce gli inesistenti valori assoluti, ma è colui che conosce il relativo più utile e lo sa attuare e far attuare: sostituisce ciò che appare male con ciò che appare bene (utile). E’ una sapienza sganciata del vero ontologico ed ha assunto come base la dimensione dell’empirico. E’ evidentemente un’etica utilitaristica (pag. 235 e 237). • APORIA DI FONDO DI PROTAGORA Se l’utile delle piante lo determina l’agricoltore rispetto al criterio della crescita e della maturazione delle piante; l’utile del corpo lo determina il medico rispetto al criterio della salute chi determina l’utile dell’uomo (non inteso come corpo ma nella sua integralità) e in riferimento a che cosa? • Protagora risponde che l’utile lo determina il Sofista, però non dice (anzi, non sa dire) in relazione a che cosa il Sofista possa procedere nella determinazione. Per far questo avrebbe dovuto scavare più a fondo nella natura dell’uomo e determinarne l’essenza che non è quella del puro sentire e percepire. ATTEGGIAMENTO DI PROTAGORA CIRCA GLI DEI Protagora si astenne dal dire se esistono o non esistono gli Dei: probabilmente, secondo il suo metodo delle antilogie, mostrò argomenti pro e contro l’esistenza e la non esistenza degli Dei. Non negò quindi l’esistenza ma ne negò la conoscenza: il suo fu un agnosticismo religioso. 27 GORGIA (Nichilismo) VITA: • Nacque a Leontini, in Sicilia, intorno al 485/480 a.C. e visse più di un secolo in perfetta salute fisica e spirituale. • Fu discepolo di Empedocle • Viaggiò per tutta la Grecia e soggiornò ad Atene dove fu mandato come ambasciatore per ottenere aiuti contro Siracusa • Ad Atene riscosse grandissimo successo con la sua arte retorica • La sua opera più impegnata fu “Della Natura o del non-essere”, un manifesto del nichilismo antico; un’altra opera importante fu “L’encomio di Elena”. LA NEGAZIONE DELLA VERITA’ Sostiene tre tesi che capovolgono l’eleatismo: • Non esiste l’essere, cioè nulla esiste • Se anche esistesse non sarebbe comprensibile • Se anche fosse comprensibile non sarebbe comunicabile La dimostrazione delle tre posizioni ha lo scopo di escludere radicalmente la possibilità dell’esistenza o del raggiungimento o comunque dell’espressione di una verità oggettiva. Se quindi per Protagora esisteva una verità relativa per Gorgia non esiste affatto verità e tutto è falso. L’essere non è (nulla esiste) Contrapponendo le concezioni dei Fisici sull’essere ci si accorge che si annullano reciprocamente e quindi dimostrano l’impossibilità di quell’essere che esse hanno per oggetto: utilizza la logica eleatica (pag.245). Se anche esistesse non sarebbe comprensibile Contro Parmenide che aveva affermato che il legame tra essere e pensare è inscindibile cioè che il pensiero è sempre pensiero dell’essere e si può dire che pensare ed essere sono la medesima cosa • Gorgia dimostra che ci sono dei contenuti di pensiero che non hanno alcuna realtà e che quindi non esistono (es.: pensare un uomo che vola non significa che subito un uomo voli). • E così anche l’affermazione che il non-essere non è pensabile crolla perché noi possiamo pensare Scilla, la Chimera e altre cose che non esistono. Se anche fosse comprensibile non sarebbe comunicabile né spiegabile agli altri. Chi parla non dice un rumore né un colore, ma una parola (pag. 248). (La verità invece esiste perché, se non esistesse, esisterebbe quantomeno il fatto che non esiste) DOMANDA: secondo voi la verità esiste? LA RETORICA E L’ONNIPOTENZA DELLA PAROLA Se non esiste verità assoluta (e neanche relativa come diceva Protagora) la parola acquista un’autonomia pressoché sconfinata: diventa cioè disponibile a tutto: Gorgia scopre che la parola è portatrice di suggestione, di persuasione e di credenza, al di là del vero, e potenzia questi aspetti psicologici della parola: nasce così la retorica, ossia l’arte del persuadere. 28 Gorgia stesso affermava di poter persuadere su tutto anche meglio dei tecnici nel loro stesso ambito: si vantava di aver superato il fratello medico nella capacità di persuadere il malato a sottoporsi ad alcune terapie. L’ENCOMIO DI ELENA: ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA FILOSOFIA DI GORGIA Nel discorso a difesa di Elena, Gorgia privilegia la forma a scapito del contenuto, non dà alcuna importanza alle azioni della donna infedele e scarica tutte le responsabilità sulla parola come mezzo di persuasione. Gorgia dimostra che Elena non aveva nessuna colpa per quello che era successo tra greci e troiani. Fa infatti tre ipotesi per spiegare l’agire di Elena: • Il destino di Troia era già stato segnato dal Fato o dagli Dei, e allora la colpa è di costoro • Fu rapita con la violenza, e allora anche lei fu vittima di Paride • Fu persuasa dalle parole, e allora “in questo caso, o ateniesi, sappiate che non c’è nulla al mondo di così terribile come la parola: essa è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del tutto invisibile riesce a portare a compimento opere profondamente divine”. In che ambito veniva esercitata l’arte retorica nella Grecia del V sec. a.C.? Senza dubbio in ambito politico, tanto è vero che il politico di quei tempi venne chiamato retore. La definizione che Gorgia dà di retorica nell’omonimo dialogo di Platone è: “L’esser capaci di persuadere i giudici nei tribunali, i consiglieri nel Consiglio; i membri dell’assemblea popolare nell’Assemblea e così in ogni altra riunione che si tenga fra cittadini”. Perché la retorica dopo Gorgia andò deteriorandosi ? Perché Gorgia aveva sì disancorato la parola dai valori, ma ammetteva che esistessero dei valori comunemente condivisi dalla grecità e mette la sua retorica al servizio di essi. Alcuni discepoli invece, una volta imparata la retorica, se ne servirono al di fuori e contro i valori (pag. 253). LA PAROLA E L’INGANNO POETICO L’esame approfondito della parola e delle sue capacità, rese Gorgia particolarmente sensibile all’aspetto poetico di essa (pag. 254). Anche l’arte, come la retorica, non mira al vero, ma alla mozione dei sentimenti. La differenza è che la retorica persegue fini pratici, mentre la poetica persegue fini disinteressati. All’epoca di Gorgia fiorì la tragedia che fu celebrata dai contemporanei come spettacolo mirabile perché creava con le sue finzioni un inganno poetico. L’inganno poetico è per Gorgia qualcosa di positivo perché chi inganna è migliore di chi è ingannato (è migliore per la sua capacità creativa) e chi è ingannato è più saggio di chi non lo è (per la sua capacità di cogliere il messaggio poetico). Platone non fu assolutamente d’accordo. 29