anno accademico 2011/2012 la genesi della filosofia greca

ANNO ACCADEMICO 2011/2012
LA GENESI DELLA FILOSOFIA GRECA
LE ORIGINI DEL PENSIERO FILOSOFICO
La storia del pensiero occidentale inizia con la nascita del pensiero speculativo greco nel VII sec. a. C.
La comune base greca ha trasmesso alla tradizione filosofica occidentale un metodo di pensiero
improntato all’antidogmatismo e la sensibilità verso una serie di problematiche ontologiche ed etiche
che l’hanno caratterizzata rispetto ad altre tradizioni filosofiche.
Per affrontare il problema filosofico generale è necessario suddividerlo in diversi problemi particolari
tra loro connessi.
Questi problemi particolari non vennero alla luce simultaneamente, ma via via nel tempo.
Potremo quindi individuare diverse fasi della filosofia antica caratterizzate dal sorgere dei diversi
problemi filosofici.
1) Nella prima fase la realtà che si vuole indagare è il COSMO
Il problema filosofico è COSMOLOGICO/ONTOLOGICO
Le domande che i primi filosofi si pongono sono:
• come sorge il cosmo?
• quale ne è il principio?
E’ il periodo naturalistico dei filosofi Ionici, Pitagorici, Eleatici, Pluralisti.
2) In questa seconda fase la realtà che attira è l’UOMO
Il problema filosofico è MORALE
La domanda che i filosofi di questa fase si pongono è:
• Qual è la natura dell’uomo?
E’ il periodo umanistico dei Sofisti e di Socrate.
3) La terza fase è caratterizzata dalla scoperta del SOPRASENSIBILE (Platone) e di conseguenza
avverrà la distinzione aristotelica della FISICA (realtà sensibile) dalla METAFISICA (realtà
soprasensibile)
I problemi filosofici vengono distinti in: ETICI
POLITICI
LOGICI
ESTETICI
EPISTEMOLOGICI
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Le nuove domande alle quali i filosofi cercano di dare delle risposte sono:
• Qual è la via per raggiungere la verità?
• Qual è la caratteristica del vero e del falso?
• Quali sono le forme logiche attraverso cui l’uomo pensa e ragiona?
• Quali sono le condizioni perché un tipo di ragionamento possa considerarsi scientifico?
E’ il periodo delle grandi sintesi di Platone e Aristotele.
4) Nella quarta fase si mirerà essenzialmente a costruire l’IDEALE DEL SAGGIO
I problemi filosofici vengono fissati in: FISICI
LOGICI
MORALI
I filosofi di questa fase si domandano:
• Come si può raggiungere la tranquillità d’animo?
• Come si può raggiungere la felicità?
E’ il periodo ellenistico in cui fioriscono lo stoicismo, l’epicureismo, lo scetticismo, l’eclettismo.
5) L’ultima fase la filosofia greca antica dovrà misurarsi col CRISTIANESIMO
Il problema filosofico è MISTICO/RELIGIOSO
In quest’ultima fase la filosofia greca cercherà di contrastare il Cristianesimo additando all’uomo
una nuova visione del “Tutto”, un nuovo orizzonte metafisico, ma non ce la farà.
E’ il periodo religioso durante il quale si assiste all’incontro tra cultura ellenistica e rivelazione
Biblica ad Alessandria, a una riviviscenza dello stoicismo a Roma e alla rinascita del platonismo
(neoplatonismo). I filosofi che caratterizzarono questo periodo furono: Filone, Seneca, Marco
Aurelio, Epitteto, Plotino.
La filosofia greca parte dal VI sec. a.C. e giunge fini al 529 d.C. anno in cui, per volere di Giustiniano,
furono chiuse le scuole pagane, distrutte le biblioteche e dispersi i loro seguaci.
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ERACLITO
Eraclito fu soprannominato l’oscuro; di lui si hanno poche notizie certe.
VITA
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Nacque ad Efeso da antica famiglia aristocratica discendente dai primi re fondatori della
città. Pare che rifiutò il titolo che gli competeva a favore del fratello.
Avversò la democrazia ed entrò in polemica con i suoi concittadini che a quel tempo erano
ricchi e dediti ai traffici commerciali.
Si vantava di non aver avuto maestri e quando sentiva il bisogno di consultarsi con
qualcuno, era solito dire: “Aspettate un momento che vado a consultare me stesso”.
Rifiutò un invito del re dei Persiani, Dario, a far parte della sua corte perché non amava il
fasto e gli bastava ciò che aveva.
L’ultimo periodo della sua vita lo passò da eremita mangiando erbe e coprendosi di stracci.
Verso i 60 anni si ammalò di idropisia (si gonfiò sempre di più di acqua) e, non fidandosi
dei medici, si curò da solo: si fece coprire di sterco e si sdraiò al sole, ma i cani, che non lo
riconobbero, lo sbranarono (Ironia della sorte! Nel suo libro aveva condannato l’acqua come
la parte peggiore dell’anima).
L’OPERA DI ERACLITO: “SULLA NATURA”
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Depositò il suo scritto, “Sulla natura” presso il tempio di Artemide perché non andasse in
mano “ai più” (hoi polloi: parola che esprime disprezzo del volgo, tipico dell’aristocratico)
che non l’avrebbero capito.
Lo stile del libro è sentenzioso, oscuro, “non dice, né nasconde, ma accenna”.
Della sua opera ci restano un centinaio di frammenti.
Socrate lo lesse e disse “ciò che si comprende è eccezionale, per cui desumo che anche il
resto lo sia, ma per giungere al fondo bisognerebbe essere un tuffatore di Delo” (cioè un sub
abituato alle tenebre degli abissi avrebbe potuto capirci qualcosa).
Aristotele si lamentò della punteggiatura.
Alcuni autori hanno affermato che l’opera di Eraclito non avrebbe riguardato la natura ma lo Stato.
Solo per far capire ai suoi concittadini cosa sarebbe dovuta essere una polis, Eraclito sarebbe risalito
alla legge intrinseca della natura.
“I discorsi assennati sono invece quelli di chi si fa forte di ciò che è comune, come la città
della sua legge e le leggi umane dell’unica legge divina” (fr. 114)
Ciò che è comune a tutti in una città è la legge; ciò che è comune a tutti gli uomini è il pensiero.
La radice di ciò che è comune a tutti è il logos
“Nessuna cosa avviene per caso, ma tutto secondo logos e necessità” (fr. 2)
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All’inizio della sua opera parla di logos come legge universale e necessaria secondo cui avvengono
tutte le cose e del quale la maggior parte degli uomini resta inconsapevole sia prima che dopo averlo
ascoltato:
“Questo logos è comune a tutti ma i più vivono come se ognuno avesse una privata
saggezza e comprensione (phrònesis) ” (fr. 2).
Eraclito vuol far capire ai suoi concittadini ciò che è comune, cioè il logos e per far questo dovrà
tradurre in parole una verità che riguarda, in primo luogo, l’ordine del mondo (kosmos) e in secondo
luogo l’ordine della città (nomos): un logos cioè che coincida con la sapienza (sophia) con cui le cose
sono fatte.
Le parole che sono usate dai più sono inadeguate:
“Di quanti ho udito le parole, nessuno giunge a ciò: a riconoscere che la sapienza da tutto
è distinta” (fr. 108).
QUALE LINGUAGGIO USA ERACLITO?
Abbiamo affermato che Eraclito fu soprannominato “l’oscuro” perché parlava ai suoi concittadini come
un oracolo e lo stesso stile mantenne anche nel suo libro.
Lui stesso, in un frammento ci dice qual è lo stile dell’oracolo:
“Il Signore, di cui a Delfi è l’oracolo, non parla, non cela, ma significa” (fr. 93).
Noi abbiamo due modi di usare le parole:
1. ENUNCIARE affermazioni
2. SIGNIFICARE in modo qualsiasi
1. Se enunciamo proposizioni della logica formale (matematiche per esempio) costatiamo che non
significano niente, sono puri segni soggetti a regole es. 2+2=4 non 5, quindi possono essere VERE
o FALSE
2. Se invece diciamo una preghiera o una poesia, non ci possiamo domandare se sono vere o false (in
senso scientifico) ma possono essere più o meno SIGNIFICATIVE.
Anche questi modi di esprimersi possono però avere una loro verità: una verità semantica.
Es. Se noi mettiamo a confronto un quadro di un ritrattista e un quadro di Picasso ci accorgiamo
che il primo è VERO (è come una fotografia) e che il secondo SIGNIFICA, ma bisogna essere in
grado di cogliere il significato. Il linguaggio di Eraclito è simile al quadro di Picasso:
“Il sole è largo un piede di un uomo” (fr: 3).
COSA PENSAVA ERACLITO DEI SUOI CONCITTADINI?
La risposta si trova nel frammento 14:
• “Molti sono scadenti, pochi quelli che valgono”
• “I più pensano solo a saziarsi, proprio come bestie d’armento”
• “Gli uomini si dimostrano privi di intendimento, sia prima di porgervi orecchio, sia
dopo avervi ascoltato, e non si accorgono di quello che fanno, mentre sono svegli,
proprio come dimenticano ciò che hanno fatto mentre stavano dormendo”
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IL DIVENIRE: TUTTO SCORRE (PANTA REI)
I Milesi avevano notato il dinamismo di tutte le cose ma fu Eraclito che per primo portò a livello
tematico questo aspetto della realtà e che rifletté sulle conseguenze a cui porta la perenne mobilità di
tutte le cose.
• L’immagine dello SCORRERE è data dal fiume: Efeso era alla foce del fiume Caistro.
Il fiume è un corso d’acqua, ma non è qualcosa di instabile:
“Negli stessi fiumi c’immergiamo e non ci immergiamo, siamo e non siamo” (fr. 49).
Ma anche:
“Nei fiumi medesimi s’immergono altre e altre acque sovrascorrono e i vapori salgono
dalle acque” (fr. 12).
Noi siamo immersi in questo divenire e se ne va di noi, perché “siamo e non siamo”.
Quindi Eraclito rilevò la perenne mobilità di tutte le cose che sono: nulla resta immobile e nulla
permane in uno stato di fissità e stabilità, ma tutto si muove, tutto cambia senza posa e senza eccezione:
“A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono sempre acque nuove” (fr. 12).
“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una
sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del
mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va” (fr. 91).
LA SINTESI DEGLI OPPOSTI
Il divenire è caratterizzato da un continuo passare delle cose da un contrario all’altro:
“Le cose fredde si scaldano, le calde si raffreddano, le umide seccano e le aride
s’ammollano” (fr. 126).
Quindi i contrari non sono solo opposti ma più spesso alterni che si succedono.
Se invece sono opposti trapassano uno nell’altro solo attraverso la morte:
“Immortali-mortali, mortali-immortali, viventi di quelli la morte, morenti di questi la
vita” (fr. 62).
“Lo stesso il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi, infatti,
trapassando in quelli, son quelli, e di nuovo quelli trapassando in questi” (fr. 88).
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Il divenire è un continuo conflitto dei contrari che si alternano, ma poiché le cose hanno realtà solo
nel divenire, allora la guerra (il conflitto) è il fondamento della realtà:
“Il conflitto è il padre di tutte le cose” (fr. 53).
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Ma questo conflitto è anche pace, questo contrasto è anche armonia per cui lo scorrere delle cose è
anche armonia o sintesi dei contrari (mito di Armonia figlia di Ares e Afrodite): è come un
continuo pacificarsi dei contrari:
“Ciò che è opposizione si concilia e dalle cose differenti nasce l’armonia più bella, e tutto si
genera per via di contrasto” (fr. 8)
“Essi (cioè gli ignoranti) non capiscono che ciò che è differente concorda con se medesimo:
armonia di contrari, come l’armonia dell’arco e della lira” (fr. 51).
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I contrari, inoltre, danno senso uno all’altro:
“La malattia rende dolce la salute, la fame rende dolce la sazietà e la fatica rende dolce il
riposo” (fr. 111).
“Non conoscerebbero neppure il nome della giustizia se non ci fosse l’offesa” (fr. 23).
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Ed è per questa armonia che, al limite, gli opposti coincidono:
“La via in su e la via in giù sono un’unica e medesima via” (fr.60).
“Comune nel cerchio è il principio e la fine” (fr. 103).
“La stessa cosa è il vivente e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio, perché
queste cose mutandosi son quelle e quelle a loro volta mutandosi sono queste” (fr. 88).
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E infine, la molteplicità delle cose si raccoglie in una dinamica unità:
“Da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose” (fr. 10)
“Non ascoltando me, ma ascoltando il logos, è saggio ammettere che tutte le cose sono
un’unità” (fr:50).
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QUINDI :
Se le cose hanno realtà solo in quanto divengono
Se il divenire è dato dagli opposti che si contrastano e si pacificano in superiore armonia
NE CONSEGUE CHE :
nella sintesi degli opposti sta il principio che spiega tutta la realtà e in questo consiste il Divino
“Il Dio è giorno-notte, è inverno-estate,è guerra-pace, è sazietà-fame” (fr. 67).
Cioè DIO è l’ARMONIA dei CONTRARI, l’UNITA’ degli OPPOSTI.
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IL FUOCO COME PRINCIPIO DI TUTTE LE COSE
Per Eraclito il FUOCO è l’elemento fondamentale e tutte le cose non sono se non trasformazioni del
fuoco:
“Tutte le cose sono uno scambio del fuoco, e il fuoco uno scambio di tutte le cose, come le
merci sono uno scambio dell’oro e l’oro uno scambio delle merci” (fr. 90).
“Questo ordine, che è identico per tutte le cose, non lo fece nessuno degli uomini, ma era
sempre ed è e sarà fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo
misura si spegne” (fr. 30).
“Mutazioni del fuoco: in primo luogo mare, la metà di esso terra, la metà vento ardente”
(fr. 31).
PERCHE’ ERACLITO POSE PROPRIO IL FUOCO COME PRINCIPIO DI TUTTE LE
COSE?
Perché il fuoco esprime in maniera paradigmatica le caratteristiche dell’eterno cambiamento, del
contrasto, dell’armonia.
Infatti il fuoco è:
• Perennemente mobile
• Vita che vive della morte del combustibile
• Incessante trasformazione in fumo e cenere
• Fa essere le cose e distrugge le cose = unità dei contrari = DIO:
“Il fulmine governa ogni cosa” (fr.64).
dove il fulmine è il fuoco divino, ma anche giudice supremo:
“Il fuoco sopraggiungendo giudicherà e condannerà tutte le cose” (fr. 66)
e ancora parla di Dio nel seguente frammento:
“L’uno, l’unico saggio, non vuole e vuole essere chiamato Zeus” (fr. 32)
cioè vuol essere chiamato col nome di Zeus, perché vuol essere considerato come Dio, ma non vuole
che gli si attribuiscano tutte quelle rappresentazioni mitiche che vengono collegate a Zeus.
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Pare che Eraclito, contrariamente ai Milesi, abbia attribuito al principio divino un’intelligenza:
“La natura umana non ha conoscenze, la natura divina si” (fr.78)
“Esiste una sola sapienza: riconoscere l’intelligenza che governa tutte le cose attraverso
tutte le cose” (fr. 41).
E pare che abbia chiamato questa intelligenza LOGOS, nel significato di regola secondo cui tutte le
cose si realizzano e legge che è comune a tutte le cose e che governa tutte le cose.
La VERITA’ sarà dunque intendere questo logos comune a tutte le cose.
Per questo mette in guardia nei confronti dei sensi che si fermano all’apparenza delle cose:
“Il sole è largo come un piede di un uomo” (fr. 3).
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Ed ancora per questo motivo che disprezza le opinioni degli uomini perché a questi sfugge quello
che fanno da svegli così come non sanno quello che fanno dormendo; e ugualmente disprezza il
sapere degli altri filosofi che considera solo eruditi, che accumulano tante nozioni senza cogliere la
legge universale.
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Ed è quindi chiaro perché disprezza gli altri e usa un linguaggio fatto di aforismi, il linguaggio degli
oracoli e delle Sibille.
ANIMA
Anche per quanto riguarda l’anima andò contro i Milesi.
• Da una parte identificò la natura dell’anima con la natura del principio e disse che è FUOCO.
Per questo disse che l’anima più saggia è più secca e quella più dissennata più umida:
“L’anima più asciutta è quella che ha più sapere” (fr. 118)
• D’altra parte disse anche:
“I confini dell’anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie; così
profondo è il suo logos” (fr. 45).
Dicendo che l’anima è profonda le attribuisce una qualità diversa da quelle fisiche: non ha infatti
senso parlare di “mano profonda” o di “ orecchio profondo”! Vuole invece probabilmente
significare che l’anima si estende all’infinito.
Alcuni autori collegano questo ordine di pensieri all’Orfismo interpretando il già citato frammento 62:
“Immortali-mortali, mortali-immortali, viventi di quelli la morte, morenti di questi la
vita”
come se esprimesse che la vita del corpo è mortificazione dell’anima e la morte del corpo vita
dell’anima.
PROBLEMA ETICO/MORALE
Eraclito scrisse anche dei pensieri morali:
“La felicità non può consistere nei piaceri del corpo, se così fosse sarebbero felici anche i
maiali davanti al foraggio da mangiare” (fr. 4).
“Difficile la lotta contro il desiderio, poiché ciò che esso vuole lo compra a prezzo
dell’anima” (fr. 85).
L’etica di Eraclito non è comunque un messaggio di salvezza ma un messaggio di “risveglio” perché
chiama “dormienti” “i più”, quelli cioè che lui descrive come “incapaci di intendere il logos:
“Non sanno né ascoltare né parlare. Estranei a ciò che sentono, sembrano sordi: vale per
loro il detto: presenti, sono assenti” (fr. 19).
Nasce così il DOVERE di svegliarli perché:
“Anch’essi sono operatori e collaboratori di ciò che avviene nel mondo” (fr. 75)
e anche:
“Si deve seguire il comune” (fr. 2)
“Comune a tutti è il pensare” (fr. 113)
“A tutti gli uomini è dato conoscere se stessi e pensare assennatamente” (fr. 13)
Lo studio sistematico di Eraclito cominciò realmente solo con la pubblicazione dei frammenti ad opera
dello Schleiermacher, nel 1808.
L’età era pronta ad accoglierli perché si cominciava a sospettare che il metodo, dimostratosi così
fruttuoso, delle scienze della natura non servisse per tutto (come credeva Cartesio), e che anzi fosse
fuori di luogo per la filosofia.
Così divenne popolare il “discorso” tutto diverso di Eraclito, chiamato ormai col nome di logos.
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PITAGORA E I PITAGORICI
VITA
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Della sua vita si hanno pochissime notizie certe. Per primo introdusse la parola “filosofia”.
Nacque a Samo, nella Ionia, intorno al 570 a.C. e morì a Metaponto (Magna Grecia) intorno al 490.
Di certo si sa che da Samo emigrò in Magna Grecia dove, a Crotone, fondò nel 530 una scuola o
setta che ebbe vasta influenza politica anche in altre città vicine.
Tutte le fonti concordano per quanto riguarda la dottrina della metempsicosi: Pitagora creò a
Crotone una setta religiosa la cui dottrina, ispirata all’Orfismo, sosteneva la trasmigrazione delle
anime (reincarnazione).
La scuola di Pitagora fu incendiata e distrutta nel corso di una sommossa popolare (i pitagorici
erano sostenitori del partito aristocratico).
La tradizione sostiene che Pitagora, scampato miracolosamente, fuggì a Locri, da qui si spostò a
Taranto e quindi a Metaponto, dove lo raggiunse la morte.
Un secolo più tardi a Taranto, la scuola pitagorica ha ancora molta influenza (Archita).
FONTI
Disponiamo di tre testi sulla “Vita di Pitagora” risalenti all’antichità: in ordine cronologico, quelle di
Diogene Laerzio, Porfirio e Giamblico, una più stupefacente dell’altra.
In esse Pitagora è descritto come un personaggio più che umano, come il dio Apollo fatto persona; vi si
afferma anche che avesse un femore d’oro e il dono dell’ubiquità: fu, infatti, visto contemporaneamente
a Crotone e a Metaponto.
Ci sono sorprendenti racconti sulla sua capacità di educare animali: convinse un toro ingordo a non
mangiare fagioli e fece giurare ad un orso pericoloso di non far male agli esseri viventi.
Vengono anche indicate una serie di regole che dovevano essere osservate da coloro che facevano parte
della sua scuola (setta); eccone alcune:
• Non mangiare fagioli
• Non raccogliere le briciole cadute dal tavolo
• Non mangiare i galli bianchi
• Non mangiare pesce sacro
• Non spezzare il pane, perché il pane riunisce gli amici
• Si devono avere figli, per lasciare dopo di sé qualcuno che adori gli dei
• Si deve aiutare una persona a caricare ma non a scaricare
• Non si deve maltrattare (o cacciar via) la propria moglie
Si dice anche che Pitagora potesse ricordare le sue precedenti incarnazioni: diceva di essere vissuto in
epoche precedenti ben quattro volte e di essere entrato, negli intervalli tra una reincarnazione e l’altra,
in vari corpi di piante e animali.
Pitagora non scrisse nulla e proibì ai suoi adepti di diffondere la sua dottrina che era considerata
segreta, ma, dopo la sua morte, alcuni pitagorici contravvennero a tale disposizione, e già Aristotele
poté raccogliere informazioni su quelli che lui definiva “i cosiddetti Pitagorici”.
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Platone ebbe informazioni sulla dottrina pitagorica dall’amico Archita, tiranno di Taranto e pitagorico
lui stesso.
La testimonianza più attendibile della dottrina pitagorica è data dall’opera del pitagorico Filolao, che
risale alla seconda metà del V sec., quando la dottrina si era ormai evoluta.
Dati i motivi sopra esposti, la figura storica di Pitagora è quasi sparita dietro la leggenda che ha avvolto
il suo nome, perciò non si può dire con certezza quali furono i suoi insegnamenti e quali furono invece i
guadagni dei pitagorici successivi; è opportuno quindi parlare di pitagorici in generale e non di singoli
pitagorici.
LO STILE DI VITA PITAGORICO
Per i Pitagorici, la scienza non fu un fine ma fu un mezzo per realizzare un nuovo tipo di vita religiosa,
quindi la fede era più importante della scienza.
• I membri della comunità pitagorica erano legati da pratiche di culto e vivevano secondo il regime
della comunità dei beni
• I discepoli erano divisi in “acusmatici” o ascoltatori, e “mathematici”. Agli acusmatici erano
imposti il silenzio e una rigida disciplina di apprendimento che durava cinque anni. Trascorso
questo periodo potevano diventare mathematici e quindi avere la facoltà di porre domande e di
esprimere la loro opinione; inoltre veniva loro rivelata la dottrina più profonda della scuola.
• L’insegnamento di Pitagora veniva trasmesso in forma dogmatica da dietro una tenda e preceduto
dalla celebre formula “ipse dixit” (lo ha detto lui)
• Le massime e le proibizioni che regolavano la comunità avevano più che altro la funzione di riti e
parole d’ordine per segnare l’appartenenza alla comunità pitagorica; ma servivano anche a
rafforzare il senso di solidarietà del gruppo, distinguendo i membri dai non-membri.
Queste regole, infatti, hanno ben poco a che fare con la matematica o la filosofia della natura: è
piuttosto uno stile di vita comunitario di una setta religiosa.
Ci sono due concetti centrali nel pensiero pitagorico che svilupparono due correnti di pensiero:
1. Il destino immortale dell’anima umana
2. L’interpretazione matematica del mondo della natura
UNA NUOVA CONCEZIONE DEL PRINCIPIO: IL NUMERO
PRINCIPIO DI TUTTE LE COSE
Con Platone cambia radicalmente l’immagine di Pitagora: non è più solo un capo religioso e il poeta
della reincarnazione, ma anche il creatore della filosofia matematica.
Aristotele, nella Metafisica, afferma che quel principio che dagli Ionici era additato nell’acqua,
nell’apeiron e nel fuoco, nei “cosiddetti Pitagorici” era invece indicato nel numero e negli elementi
costitutivi del numero.
I Pitagorici furono i primi cultori sistematici della matematica e così scoprirono che molte realtà e molti
fenomeni naturali sono traducibili in rapporti numerici e rappresentabili in modo matematico:
• Scoprirono che la musica (che coltivavano come mezzo di purificazione) è traducibile in numero:
per esempio la diversità dei suoni di uno strumento a corde dipende dalla lunghezza delle corde
stesse
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Anche studiando i fenomeni del cosmo notarono l’incidenza determinante del numero: sono
precise leggi numeriche che determinano l’anno, le stagioni, i giorni ecc.
Sono precise leggi numeriche che regolano anche i tempi d’incubazione del feto, i cicli di sviluppo
e i vari fenomeni della vita
Viste queste corrispondenze furono però portati anche a costruire rapporti inesistenti che sconfinavano
nel fantastico.
Comunque, attraverso questo processo, arrivarono a porre il numero e gli elementi costitutivi del
numero, come principio di tutte le cose.
Per comprendere questa affermazione dobbiamo cercare di capire cosa fosse il numero per gli antichi.
Per noi
Per gli antichi
NUMERO= frutto di astrazione, ente di ragione
NUMERO= una cosa reale e per questo principio di tutte le cose
Gli elementi costitutivi del numero sono l’illimitato e il limitante, che danno origine ai numeri pari,
nei quali prevale l’elemento illimitato e dispari nei quali prevale l’elemento limitante; ma è pur sempre
un imbrigliamento dell’illimitato nel limite e quindi può essere elemento delimitante e determinante le
cose.
Questa affermazione diventa più chiara se si raffigurano i numeri come un insieme di punti
geometricamente disposti.
• Il numero pari non incontra alcun limite:
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= ILLIMITATO
Il numero dispari ha un punto di arresto (limite)
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=LIMITATO
PASSAGGIO DAL NUMERO ALLE COSE
Il numero per i Pitagorici era un insieme ARITMOGEOMETRICO: era visto come un insieme di
punti o di sassolini, quindi era una figura che occupava spazio; per questo era per loro normale
passare dal numero alle figure e alle cose.
Anche Aristotele ricorda l’abitudine dei Pitagorici di rappresentare il numero sistemando ciottoli, in
modo da disegnare i numeri come triangoli o quadrati.
Importantissimi sono i numeri triangolari perché formano la tetractys che significa “quaternità”, dal
momento che il numero quattro è rappresentato da tutti e tre i lati del triangolo equilatero.
Inoltre i numeri triangolari hanno rivestito grande importanza per la formulazione del teorema di
Pitagora (9+16=25).
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Anche il cosmo si organizza e diviene per noi conoscibile mediante il numero e la proporzione: la
cosmogonia comincia quando i numeri sono generati, quando l’illimitato è attratto (o inspirato) dal
principio limitante.
I cieli prendono forma man mano che esce il fiato o vuoto dall’illimitato.
Per i Pitagorici il 10 rappresentava il numero perfetto (è, infatti, la somma dei numeri che formano la
tetractys) e per questo affermarono che ci devono essere 10 corpi celesti che ruotano attorno al fuoco
centrale: la sfera delle stelle fisse, i cinque pianeti, il Sole, la Luna, la Terra e, per arrivare a 10,
aggiunsero una “contro-terra”, a noi invisibile come il fuoco centrale. In questo modo l’intero universo
è “armonia e numero”, come dice Aristotele.
I movimenti dei corpi celesti producono la musica cosmica delle sfere (che però noi non udiamo).
In questo particolare sistema del mondo la Terra gira intorno al fuoco centrale e produce il dì e la notte,
secondo la sua posizione relativamente al sole: è il primo sistema cosmico non geocentrico.
I numeri vengono anche assimilati alle figure:
1 = punto; 2 = linea; 3 = superficie; 4 = solido
Mentre i quattro elementi vengono assimilati, per analogia, a figure solide:
terra = cubo; fuoco = piramide; aria = ottaedro; acqua = icosaedro (20 facce a forma di triangolo)
FONDAZIONE DEL CONCETTO DI “COSMO”: L’UNIVERSO E’
ORDINE
L’universo dei Pitagorici acquista un nuovo senso rispetto a quello dei Milesi: è un universo costruito
dal numero, col numero e secondo il numero, è quindi un “cosmo” che vuol dire “ordine”:
Furono proprio i Pitagorici i primi ad usare il termine cosmo in questo senso specifico, e, in questo
senso, resterà definitivamente acquisito nel pensiero occidentale.
Afferma Filolao:
“Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo, nulla sarebbe possibile pensare, né
conoscere”
E ancora:
“Nessuna menzogna accoglie in sé la natura del numero, né l’armonia; il falso nulla ha in comune con
esse. Menzogna e inadeguatezza sono proprie della natura dell’indeterminato, dell’inintelligibile,
dell’irrazionale. Giammai menzogna spira verso il numero, alla cui natura, difatti, è ostile e nemica la
menzogna, mentre la verità è propria e connaturata alla specie del numero”
Dunque dominio del numero vuol dire dominio della ragione e della verità.
IL DESTINO IMMORTALE DELL’ANIMA UMANA
E’ l’altro concetto centrale del pensiero pitagorico.
Pitagora fu il primo filosofo che insegnò la dottrina della metempsicosi, cioè quella dottrina secondo
cui l’anima è costretta a reincarnarsi più volte in successive esistenze corporee, non solo in forma di
uomo, ma anche in diverse forme animali, per espiare una originaria colpa commessa.
Pare ormai certo che Pitagora abbia attinto questa dottrina dall’orfismo, anche se i Pitagorici onoravano
Apollo, cui sono sacre la ragione e la scienza, e gli Orfici Dionisio, cui è sacra l’orgia entusiastica.
Le due dottrine concordano sui seguenti punti:
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•
L’anima è immortale, preesistente al corpo e continua a sussistere anche dopo il corpo.
La sua unione col corpo non solo non è conforme alla sua natura, ma è addirittura contraria.
La natura dell’anima è divina e quindi eterna.
L’unione dell’anima ad un corpo è una punizione di una oscura colpa originaria ed è insieme
espiazione di tale colpa.
La vita dell’uomo va impostata su basi del tutto nuove, non in funzione del corpo che è carcere, ma
in funzione dell’anima: cioè bisogna vivere una vita in grado di purificare l’anima
Orfismo e Pitagorismo si differenziano nettamente nella scelta degli strumenti e dei modi con cui
credono di ottenere la purificazione dell’anima:
• Gli Orfici ritenevano che i mezzi di purificazione fossero le celebrazioni e le pratiche religiose dei
sacri misteri e, pertanto, rimanevano legati ad una mentalità magica
• I Pitagorici, invece, additarono soprattutto nella scienza la via di purificazione, anche se all’inizio
rimasero, nella pratica quotidiana, anche regole empiriche dettate da superstizione o totalmente
estranee alla scienza.
Le regole mediche di purgazione e le regole ascetiche di astinenza miravano a purificare il corpo per
renderlo docile all’anima.
Le pratiche di purificazione si concentrarono, all’inizio, sulla musica che dovette essere il tramite alla
teoria dei numeri e al sistema aritmo-geometrico dei Pitagorici.
I novizi, come già detto, dovevano solo tacere e ascoltare; in seguito potevano porre domande circa la
musica, l’aritmetica e la geometria.
Da ultimo passavano allo studio della natura e del cosmo.
Quindi nell’insegnare e nello studiare i Pitagorici celebravano i sacri misteri della scienza e diedero
inizio alla vita contemplativa (o anche vita pitagorica) cioè una vita che ricerca la purificazione nella
contemplazione del vero tramite il sapere e la conoscenza.
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NASCITA DELLA FILOSOFIA ELEATICA
La filosofia eleatica prende il nome da Elea, colonia della Magna Grecia.
Quali sono le vicende che portarono alla fondazione di questa città e che resero possibile lo
sviluppo di una vita culturale così rigogliosa segnata dalla presenza di filosofi come Senofane,
Parmenide, Zenone e Melisso?
La nascita di Elea è legata alla conquista dell’Asia Minore da parte dei Persiani, cioè della costa in cui
sorgevano le città greche.
Siamo alla metà del VI sec. a.C. (546-545) e i Persiani (Ciro) conquistano la fascia costiera dove sorge
la città di Focea.
I Focesi non vollero sottomettersi al dominio persiano e decisero di raggiungere i propri compatrioti
che si erano stabiliti nel Tirreno settentrionale, ma non a Marsiglia (che era una città Focea) bensì in
una colonia della Corsica: Alalia.
Da lì molestano i traffici commerciali degli etruschi e dei loro alleati Cartaginesi.
Si viene a un conflitto.
Anche se i focesi vincono, subiscono gravi perdite, per cui essi capiscono di non poter restare e
resistere ad ulteriori attacchi; per questo vengono in Italia e, dopo varie vicende, si stabiliscono in un
punto della costa della Basilicata e danno vita a Elea.
Elea diventa una città rigogliosa per i commerci e i traffici che richiamano altri greci dalla Ionia e, tra
gli altri, Senofane, che probabilmente influì sulla concentrazione in questo luogo di uomini di studio,
non senza l’influenza della vicina scuola pitagorica di Crotone.
Il personaggio di spicco della scuola eleatica fu Parmenide che trae alimento dalla scuola pitagorica,
ma gli dà uno sviluppo nuovo.
Pitagorismo ed Eleatismo sono le due grandi fonti del pensiero di Platone.
LA POSIZIONE DI SENOFANE RISPETTO AGLI ELEATI
Senofane può essere accomunato agli Eleati perché ricondusse tutto all’Uno, che poi però concepì in
modo differente.
CRITICA DELLA CONCEZIONE DEGLI DEI E DISTRUZIONE DEL
PRESUPPOSTO DELLA RELIGIONE TRADIZIONALE
Senofane rivoluziona il modo di vedere dell’uomo antico attraverso l’individuazione di un errore di
fondo: l’antropomorfismo (…se i buoi e i cavalli avessero le mani dipingerebbero i loro Dei simili a
buoi e cavalli…).
IL DIO E IL DIVINO SECONDO SENOFANE
Fece crollare la concezione antropomorfica di Dio ma non riuscì a determinare positivamente il
concetto di Dio: si limita ad affermare che Dio è il Cosmo.
Per questo non si può dire che sia stato monoteista, dal momento che ha continuato, come tutti i
greci, a parlare anche di Dei al plurale; né spiritualista, dal momento che per lui Dio è il Cosmo, ma,
con cautela, lo si potrà considerare panteista (= tutto è Dio), anche se gli mancano ancora le categorie
dell’immanenza e della trascendenza.
Ebbe delle felici intuizioni che però non riuscì a giustificare.
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LA FISICA SENOFANEA
Il principio è inteso in modo diverso rispetto agli Ionici perché terra e acqua sono il principio solamente
per gli esseri terrestri, non per il cosmo intero.
Come Parmenide ha negato che il cosmo nasca, muti e si muova, ma non ha negato che le singole cose
nel cosmo nascano, si mutino e muoiano.
IDEE MORALI
Affermò, combattendo i pregiudizi correnti, la superiorità dei valori spirituali (cioè la virtù,
l’intelligenza, la sapienza) su quelli puramente vitali (come la forza fisica degli atleti), senza però
fondare filosoficamente le sue affermazioni.
15
PARMENIDE
Pare che fosse anche medico e naturalista.
Gli Ionici avevano cercato l’archè, cioè i principi che avevano dato origine al mondo.
Parmenide ha segnato una svolta. Perché?
Parmenide ha compiuto un nuovo passo perché si è chiesto: cos’è l’intero, che cos’è l’essere
dell’intero?
E si chiese anche: si racconta come sia nato il mondo, e prima?
E’ lo stesso problema che abbiamo anche noi oggi quando gli scienziati ci raccontano dell’esplosione
primordiale, il big bang: noi, incompetenti domandiamo: e prima cosa c’era?
Il fisico sorride e la nostra domanda resta senza risposta.
Anche Parmenide s’è domandato che cosa c’era prima? Forse c’era il nulla? Ma che cosa significa?
VITA
• Platone scrisse di Parmenide:”Mi sembra, per dirla con Omero, venerando e insieme terribile”.
• Nacque ad Elea intorno al 540 a.C. da famiglia benestante
• Alcuni lo vogliono discepolo di Anassimandro, Senofane e del pitagorico Aminia
• Fu anche un uomo politico di rilievo e un ottimo legislatore, al punto che tutti i suoi concittadini,
una volta giunti alla maggiore età, erano tenuti a prestare giuramento di fedeltà alle leggi
parmenidee.
• Ebbe come scolari Zenone ed Empedocle
• Con Zenone fece un viaggio ad Atene come diplomatico, ma ne approfittò anche per mettersi in
contatto con i filosofi ateniesi, soprattutto con Socrate (che era ancora molto giovane).
Platone, nel suo dialogo intitolato “Parmenide”, fa un resoconto di questo incontro (pag. 115De C.)
• Parmenide è considerato il padre del razionalismo occidentale, il padre dell’ontologia, perché ha
ricondotto il mondo ad una grande e formidabile astrazione: l’essere.
• Nell’antichità Parmenide fu conosciuto più attraverso l’interpretazione che di lui diedero Platone e
Aristotele, che non attraverso la lettura diretta del suo Poema
IL POEMA DI PARMENIDE
•
•
Parmenide scrisse un poema in versi (di cui ci restano circa 150 frammenti), “Sulla natura”,
adottando il metro proprio dell’epica, l’esametro. Fece questo dopo che la filosofia ionica aveva
adottato la prosa come espressione propria della filosofia in contrapposizione e come presa di
distanza dal mito. Dunque Parmenide assume la grande forma poetica della tradizione per due
motivi: riallacciarsi alla tradizione epica e discostarsi dalla filosofia di coloro che hanno come
oggetto di trattazione la phisys. Però Parmenide non contrappone il mithos al logos, bensì fa
un’operazione di recupero del mito e lo pone sullo stesso piano del logos, li unifica e li usa per
esporre la sua dottrina che deve sempre avere come oggetto l’essere (non usato come predicato ma
col senso di “esistente”).
Il Poema si struttura in tre momenti: il proemio, nel quale il filosofo racconta di un mitico viaggio
verso la casa della Notte, dove la Dea lo accoglie benevolmente; quindi altre due parti del Poema
che costituiscono l’oggetto della rivelazione della Dea: da un lato l’Aletheia, verità-realtà,
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dall’altro la Doxa, cioè il mondo nel suo apparire. Abbiamo a che fare con il racconto di un viaggio
mitico, con l’incontro e la rivelazione da parte della Daimon (la Dea), che si presenta con molti
nomi durante il corso della narrazione (Dike= Giustizia; Peithò=Persuasione; Ananche=Necessità;
Moira=Destino). Il viaggio esprime un percorso che comprende la totalità che si snoda attraverso
tre momenti che la Dea rivela e che sono le tre vie della ricerca:
1. Il cuore della verità
2. Il mondo dominato dall’apparenza delle opinioni dei mortali
3. La determinazione del mondo delle cose che appaiono
LE TRE VIE DELLA RICERCA IN PARMENIDE
1. La via dell’assoluta verità
E’ la via del logos, non dei sensi.
Il grande principio di Parmenide è il seguente:” l’essere è e non può non essere, il non essere non è e
non può in alcun modo essere” cioè: l’essere è il puro positivo assolutamente privo di qualsiasi
negatività e il non essere è l’assoluto contraddittorio di questo assoluto positivo.
L’essere è la sola cosa pensabile ed esprimibile; qualsiasi pensare è pensare l’essere, al punto che
pensare ed essere coincidono, nel senso che non esiste pensiero se non dell’essere.
Viceversa il non essere non solo non è, ma è impensabile, inesprimibile, indicibile e quindi
impossibile.
E’ la prima formulazione del principio di non-contraddizione, che insieme al principio di identità, sono
i capisaldi della logica aristotelica.
• L’essere è ingenerato e incorruttibile (pag. 123 Reale) perché altrimenti deriverebbe dal non essere.
• L’essere non ha passato ( perché non sarebbe più) né un futuro (perché non sarebbe ancora), ma è
presente eterno senza inizio né fine.
• L’essere è immutabile e immobile perché è perfetto e non ha bisogno di niente e perché il
mutamento prevede il movimento che non è possibile perché vorrebbe dire che ciò che era prima
non è più e quindi si ammette il non essere.
• L’essere è indivisibile, è un continuo tutto uguale, perché la differenza implica il non-essere.
• L’esser è determinato, finito sferiforme (probabilmente è un’influenza pitagorica che affermava che
solo il finito è perfetto) ed è uno.
Dunque l’unica verità per Parmenide è che l’essere è ingenerato, incorruttibile, immutabile,
immobile, uguale, sferiforme e uno: il resto è solo vano nome.
A differenza degli Ionici Parmenide non pone un principio, perché l’essere ha tutti quegli attributi
sopraesposti, che non prevedono la necessità di un principio.
2. La via dell’errore
E’ quella dei sensi perché ammette il non-essere accanto all’essere.
Infatti i sensi sembrano attestare il divenire, il movimento, il nascere e il morire.
3. La spiegazione plausibile dei fenomeni e la “doxa” parmenidea
Parmenide riconosce anche la possibilità di un discorso che cerchi di dar conto dei fenomeni e delle
apparenze senza andar contro al grande principio, cioè ammettere insieme l’essere e il non-essere.
L’errore dei mortali è quello di aver posto due supreme forme: “luce” e “notte”, concependole come
contrarie (come essere e non-essere) deducendo tutto da questo.
I mortali non hanno capito che le due forme sono incluse in una superiore necessaria unità, vale a dire
nell’unità dell’essere.
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Luce e notte sono uguali perché nessuna delle due è nulla, ma sono ambedue essere(pag. 130
Reale).
APORIA STRUTTURALE DELLA FILOSOFIA DI PARMENIDE
Nel momento in cui Parmenide, per salvare i fenomeni riconosce come essere sia luce che notte, perde
qualsiasi forma di differenziazione qualitativa e quantitativa e l’essere è sempre uguale a se stesso.
In questo modo salva l’essere ma perde i fenomeni.
ZENONE DI ELEA
La dottrina di Parmenide apparve già ai suoi contemporanei come aporetica e paradossale.
L’opera di Zenone fu quella di difenderla con un metodo caratteristico: la confutazione della tesi
contraria.
Nasce così la dimostrazione per assurdo che agì sulla sofistica, sul metodo socratico e altre scuole
filosofiche e contribuì alla formazione delle varie tecniche di argomentazione e al nascere della logica.
Aristotele lo indicò come l’inventore della dialettica.
Il suo metodo, partendo dalle certezze degli avversari, segue un itinerario logico e giunge a conclusioni
impossibili. L’importante è che in ogni punto del ragionamento sia sempre rispettato il principio di
non-contraddizione.
• ARGOMENTI DIALETTICI CONTRO IL MOVIMENTO
Sostengono che il movimento è assurdo e impossibile
• ARGOMENTI DIALETTICI CONTRO LA MOLTEPLICITA’
Sostengono l’impossibilità che l’essere sia molteplice
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I PLURALISTI
Ricordiamo le 3 vie di Parmenide:
1 La via della verità ( l’essere è e non può non essere…..)
2 La via dell’errore = ammettere l’essere accanto al non essere
3 La doxa = l’errore sta nell’aver ammesso due principi contrari (luce e notte) come se fossero essere
e non essere, quando invece sono ambedue essere (il cadavere non ha sensibilità per la luce e il
calore ma per il freddo e il silenzio).
EMPEDOCLE
(492-439 a.C.)
VITA:
• Nasce ad Agrigento (città ricca e gaudente della Magna Grecia) da famiglia nobile e benestante
• Fu: uomo politico, filosofo, poeta, medico e mago
• Probabilmente morì nel Peloponneso ma la leggenda narra che si suicidò buttandosi nell’Etna per
dimostrare la sua natura divina
• Scrisse un’opera “Sulla natura” e una “Sulla purificazione”di cui rimangono frammenti
• Conobbe Senofane, Parmenide, la scuola Pitagorica (magia e metempsicosi), viaggiò e venne a
contatto con tutti i sapienti del suo tempo
• Tornato in patria si dedicò alla riforma dei costumi
Cerca di risolvere l’aporia eleatica tentando di salvare:
• Il principio che nulla nasce e nulla perisce, cioè che l’essere sempre permane.
• I fenomeni dell’esperienza
Il nascere e il perire non è un venire dal nulla e un andare nel nulla, ma è mescolanza e dissoluzione
di sostanze che sono non nate e indistruttibili, cioè sostanze che eternamente permangono uguali.
Queste sostanze sono: fuoco, acqua, aria e terra.
Empedocle muta la concezione di principio degli Ionici per i quali il principio si trasformava in tutte le
cose: per lui i quattro elementi sono qualitativamente immutabili.
• Nasce la concezione di elemento.
• Nasce la concezione pluralistica.
Chi spinge gli elementi ad unirsi e separarsi?
Empedocle afferma che causa dell’unione e della separazione degli elementi sono l’Amore e l’Odio
(Amicizia e Discordia), che sono forze cosmiche e insieme, Divinità.
Non sono forze spirituali ma realtà naturali.
Sono coeterni come gli elementi e ugualmente potenti.
Predominano a cicli alterni: quando predomina l’Amore, gli elementi si raccolgono in unità (Sfero);
predominando l'Odio, si separano.
Il cosmo e le cose nascono nei due periodi di passaggio che vanno dal predominio dell’Amore a Quello
dell’Odio: infatti quando prevale l’Amore si dissolve il cosmo e gli elementi si raccolgono in uno Sfero
indifferenziato (è il momento di assoluta perfezione); l’Odio, inserendosi nello Sfero, pone le premesse
del nascere del cosmo, così come l’Amore fa nascere il cosmo ricongiungendo gli elementi dopo che
sono stati separati dal prevalere dell’Odio.
19
•
Il vuoto non esiste (esperimento della cannuccia nell’acqua) perché anche quando sembra che non
ci sia nulla c’è l’aria
LA CONOSCENZA UMANA
Il simile conosce il simile.
Dalle cose e dai pori delle cose si sprigionano effluvi che colpiscono gli organi sensoriali, e le parti
simili dei nostri organi riconoscono le parti consimili degli effluvi provenienti dalle cose: il fuoco
conosce il fuoco, l’acqua l’acqua ecc.
ANASSAGORA (499-428 a.C.)
VITA:
• Nasce a Clazoméne nella Ionia
• Conobbe la dottrina di tutti gli altri filosofi precedenti e anche del suo contemporaneo Empedocle
• Si trasferì ad Atene dove, per primo, portò l’interesse per la filosofia
• Fu amico di Pericle e fu accusato di empietà nei confronti della religione dagli avversari di Pericle
(tutti gli amici di Pericle furono perseguitati: Fidia, Aspasia, Anassagora)
• Abbandonò Atene e tornò nella Ionia dove morì
• Scrisse un’opera “Sulla natura” di cui rimangono frammenti
Anche Anassagora tenta di mantenere fermo il principio eleatico della permanenza dell’essere e
di dar conto dei fenomeni.
Nessuna cosa nasce o muore, cioè la realtà nel suo complesso è immobile, ma, a partire dalle cose che
sono, si produce un processo di composizione e di divisione.
Le “cose che sono” non sono solo i quattro elementi di Empedocle, ma sono infinite in quantità e
numero e li chiama “semi” o omeomerie, vale a dire che, anche se vengono divise, rimangono
qualitativamente uguali (es. del seme umano che contiene già tutto).
Nessun elemento è allo stato puro, ma si trova mescolato con gli altri nelle cose
Chi imprime alle omeomerie il movimento?
L’intelletto è autonomo principio di movimento.
Le cose nascono dalla originaria mescolanza a causa del movimento impresso da una Intelligenza
(noùs) infinita e separata dal resto, ma non spirituale.
LA CONOSCENZA UMANA
Nasce dai contrasti: sentiamo il freddo col caldo, il dolce con l’amaro ecc. (es.: uno stesso rumore lo
sentiamo più forte nel silenzio e quasi non lo sentiamo in mezzo al frastuono).
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GLI ATOMISTI: Leucippo e Democrito (materialismo)
Gli Atomisti tentano di conciliare l’Eleatismo di Parmenide con il divenire di Eraclito
Affermano che non si può negare la percezione sensoriale, quindi non si può negare la generazione e la
distruzione, né il movimento, né la molteplicità delle cose.
Ma per mantenere l’essere Uno eleatico lo frantumano in infiniti esseri-Uno: gli Atomi.
Ammettono poi l’esistenza del vuoto.
L’Atomo è:
• Come l’essere eleatico: uno, eterno, indivisibile, privo di vuoto al suo interno (ma non
immobile)
Il Vuoto è:
• Lo spazio dove gli atomi possono aggregarsi e disfarsi in continuo divenire (Eraclito)
L’Anima è:
• Ciò che dà vita al corpo ed è costituita da atomi più sottili degli altri, lisci e sferiformi di natura
ignea.
Tutti gli atomi si propagano nel corpo e lo vivificano.
Per la sottigliezza tendono ad uscire dal corpo ma, con la respirazione vengono reintegrati.
Cessando la respirazione tutti gli atomi ignei escono e sopravviene la morte.
LA CONOSCENZA UMANA
Gli effluvi degli atomi che emanano dalle cose impressionano gli atomi simili in noi: il simile conosce
il simile.
Da cosa deriva il movimento degli atomi?
Il movimento deriva dal movimento stesso perché gli atomi sono originariamente ed eternamente in
movimento per loro natura.
Ci sono tre tipi di movimento degli atomi:
• Movimento originario, pre-cosmico (come il pulviscolo controluce)
• Movimento cosmogonico: vorticoso (ricorda l’inspirazione pitagorica)
• Movimento del cosmo formato: atomi che si liberano dagli aggregati atomici e formano effluvi
I cosmi e le cose in essi contenuti sono prodotti unicamente dagli atomi e dal movimento: tutto si
spiega in modo meccanico e necessario.
DIFFERENZA TRA ATOMI E OMEOMERIE
ATOMI (indivisibile):
• Indivisibili, sono sempre in movimento
• Esiste il vuoto
• Si differenziano geometricamente (palline, cubetti che viaggiano nel vuoto e che ogni tanto si
incontrano e formano le cose =aporia di fondo: perché si incontrano?) e sono uguali per qualità
• Gli atomi sono infiniti e anche i mondi sono infiniti
OMEOMERIE (semi):
• Divisibili all’infinito
• Non esiste il vuoto
• Hanno originarie differenziazioni
21
•
Gli oggetti che vediamo contengono tutte le omeomerie possibili ma noi vediamo solo quelle che
sono in prima fila (es.: un tavolo di legno contiene anche il fuoco, il fumo ecc.): infatti il cibo che si
mangia si trasforma in ossa, carne, capelli ecc. e un capello non può nascere da un non-capello.
GENESI E NATURA DEL PROBLEMA MORALE
Perché il problema filosofico dell’uomo non è nato insieme al problema del cosmo?
Perché il mondo esteriore si presentò alla percezione sensibile dei primi filosofi come un tutto;
mentre il mondo morale si presentò come un insieme di piccoli gruppi, che si muovono
arbitrariamente e confusamente.
Noi sappiamo che la condizione necessaria perché qualcosa diventi oggetto di riflessione filosofica sia
quella di apparire come una unità organica e non come una molteplicità disgregata senza visibili
connessioni.
E mentre il mondo e le vicende cosmiche appaiono fin dall’inizio come unità organica, gli uomini e le
vicende umane appaiono come una molteplicità in cui non si vedono nessi chiari e anzi sembrano
prevalere scissioni e separazioni.
Quindi la filosofia che è nata con Talete in un tentativo di comprensione razionale del cosmo, cioè
come tentativo di trovare il principio che spiega tutto, ha trascurato per un secolo e mezzo (per tutto il
VI sec. a.C. e metà del V) l’essere dell’uomo e non si è preoccupata della comprensione razionale della
specifica natura dell’uomo.
Per conseguenza non ha potuto scientificamente comprendere la areté, ossia la virtù dell’uomo, ma si è
concentrata sull’arché e si è preoccupata dell’uomo come cosa accanto ad altre cose: lo ha trattato
come oggetto e non come soggetto.
Quale fu la riflessione morale prefilosofica?
Già prima della nascita della filosofia morale gli uomini si comportavano secondo convinzioni morali
che venivano assorbite dal nucleo familiare, dagli ambienti che frequentavano e, in genere, dalla
società in cui vivevano.
Le convinzioni morali dei Greci si formarono:
• Sui poemi omerici dove i personaggi costituivano veri e propri paradigmi e modelli di vita:
l’eroismo di Achille, la saggezza di Nestore, l’ingegno e l’audacia di Ulisse, la fedeltà di Penelope.
Inoltre nell’Iliade e nell’Odissea si delinea una concezione etica più generale secondo cui l’uomo
reverente e ubbidiente agli Dei ha sempre vantaggio rispetto all’uomo tracotante e malvagio che
non può sfuggire alla vendetta divina.
• Le opere di Esiodo forniscono massime, precetti e sentenze in cui si delinea una concezione
etico-religiosa: i mali che gli uomini soffrono sono una punizione inflitta dagli Dei a causa
dell’arroganza degli uomini stessi; il duro lavoro è legato a colpe umane, ma è l’unica via che
all’uomo resta da vivere; chi non lavora deve ricorrere all’ingiustizia, la quale richiama poi la
nemesi (punizione). Esiodo esorta a seguire la virtù anche se dura e difficile; raccomanda
parsimonia, moderazione, prudenza e benevolenza. Questi concetti però sono solo riflessioni a
carattere intuitivo e non vengono giustificate concettualmente.
22
•
•
Ci sono poi i poeti gnomici del VI sec.: Solone, Focilide e Teognide. Dalle loro sentenze emerge
soprattutto la norma della giusta misura come fondamento del vivere assennato e della felicità
(questa norma dominerà nell’etica di Platone e di Aristotele).
Infine ci sono le sentenze dei sette saggi che segnano il momento dell’emergere in primo piano
dell’interesse morale anteriormente al sorgere della filosofia morale (da pag. 209 di Reale).
Che cosa distingue la riflessione morale prefilosofica dalla filosofia morale?
La riflessione morale prefilosofica, anche se, come le sentenze dei sette saggi, è frutto di lunga
esperienza e riflessione, non presenta un’unità organica e non è sorretta da un principio che la
giustifichi.
Anche Talete, che pure è annoverato fra i sette saggi, ha fondato la filosofia come cosmologia, ma non
la filosofia morale, perché ha indagato il principio del cosmo ma non la natura dell’uomo in quanto
tale.
Perché nascesse la filosofia morale occorreva che l’uomo diventasse oggetto di riflessione della
filosofia: dovevano cioè essere determinati l’essenza e il significato dell’uomo in quanto uomo;
occorreva che da questa essenza si deducesse il concetto di areté (virtù); occorreva che si
prendessero in esame i valori tradizionali e se ne accertasse teoreticamente la consistenza.
Quest’opera fu iniziata dai Sofisti e portata a compimento da Socrate.
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I SOFISTI
Qual è il significato del termine “sofista”?
Nel linguaggio corrente ha un senso decisamente negativo: sofista viene detto colui che cerca di
indebolire e offuscare il vero e cerca di rafforzare il falso.
Il significato originale del termine è “sapiente”, “esperto del sapere”, “possessore del sapere”, quindi
ha un significato altamente positivo.
Furono i primi filosofi (soprattutto Platone) a screditare la sofistica perché affermavano che il sapere
dei Sofisti fosse solamente apparente e non reale e perché i Sofisti agivano a scopo di lucro e non
disinteressatamente per amore di verità.
Inoltre l’opinione pubblica vide nei Sofisti un pericolo per la religione e per il costume morale, e gli
aristocratici li accusavano di aver contribuito alla perdita del loro potere e di aver favorito la
formazione di una nuova classe sociale che non contava più sulla nobiltà dei natali ma sulle doti e le
abilità personali che i Sofisti volevano creare ed educare.
Comunque la massima responsabilità nello screditare i Sofisti resta a Platone.
Dalla fine del secolo scorso cominciò una rivalutazione.
Perché sorse la sofistica?
Perché muta l’oggetto dell’indagine filosofica: l’uomo.
La speculazione naturalistica era pervenuta a risultati che si elidevano a vicenda: i risultati
dell’eleatismo contraddicevano quelli dell’eraclitismo; i risultati dei Pluralisti quelli dei monisti; le
soluzioni dei Pluralisti si escludevano a vicenda.
Sembrava ormai che tutte le possibili soluzioni fossero state proposte e che altre non fossero
pensabili: i principi sono uno, molti, infiniti o addirittura non esistono principi (Eleati); tutto è
mobile, tutto è immobile ecc.
Per questo il pensiero filosofico lasciò da parte la physis e rivolse il suo interesse su un altro
obiettivo, quello che i Naturalisti avevano trascurato: l’uomo e tutto quello che c’è di tipicamente
umano, vale a dire etica, politica, retorica, arte, lingua, religione, educazione, cioè tutto quello che
noi chiamiamo cultura umanistica.
Con i Sofisti inizia il periodo umanistico della filosofia antica che alcuni autori hanno paragonato
all’illuminismo.
• Perché mutano le condizioni storiche.
La crisi dell’aristocrazia e dei suoi valori tradizionali (l’antica areté), l’ascesa del popolo e
l’allargamento a cerchie più vaste della possibilità di accedere al potere, fecero crollare la
convinzione che la virtù fosse legata alla nascita e quindi pose in primo piano il problema del come
si acquista la “virtù politica”.
I Sofisti seppero cogliere in modo perfetto queste esigenze della loro epoca e seppero proporre
soluzioni ai bisogni del momento: per questo riscossero enorme successo soprattutto tra i giovani.
•
Quale fu il metodo della sofistica?
Anche per quanto riguarda il metodo operarono un mutamento rispetto ai filosofi della physis:
passarono dal metodo deduttivo a quello empirico-induttivo.
Questo metodo partendo dall’esperienza cerca di guadagnare il più grande numero di conoscenze in
ogni campo della vita, dalle quali poi trarre alcune conclusioni, in parte di natura teorica come ad
esempio la possibilità o impossibilità del sapere, circa le origini, il progresso e il fine della cultura
umana, circa l’origine e la costituzione della lingua, circa l’origine e l’essenza della religione, circa la
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differenza tra liberi e schiavi; in parte di natura pratica circa la configurazione della vita del singolo e
della società.
Quali furono le finalità della sofistica?
I Sofisti ebbero finalità pratiche: fecero infatti del loro sapere una vera e propria professione.
Con essi il problema educativo e l’impegno pedagogico emergono e assumono un nuovo significato:
far valere il principio che tutti possono acquistare l’areté e che questa non si fonda sulla nobiltà del
sangue ma sul sapere.
I Sofisti pretesero anche un compenso in denaro e questo suscitò notevoli critiche.
Perché i Sofisti vengono chiamati “illuministi greci”?
Perché ebbero una grande libertà di spirito che li portò a prendere le distanze da ogni tradizione
politica e religiosa, dalle vecchie concezioni della physis e lo fecero sulla base della ragione.
Nella ragione e nell’intelligenza ebbero illimitata fiducia e negarono la possibilità di poter raggiungere
un assoluto, come invece credettero i Naturalisti o la tradizione.
LE DIVERSE CORRENTI DELLA SOFISTICA
La sofistica è un complesso di sforzi indipendenti di singoli Sofisti per soddisfare con mezzi analoghi a
dei bisogni identici: i bisogni della società del V sec. a.C. che si evolveva in senso democratico.
Ci sono tre gruppi di Sofisti:
• Primi grandi maestri sostanzialmente degni di rispetto: Protagora, Gorgia ecc.
• Eristi: sfruttano il metodo sofistico e ne esaltano l’aspetto formale senza alcun interesse per i
contenuti e senza i ritegni morali dei maestri.
• Politici-sofisti: uomini politici aspiranti al potere, senza alcun ritegno morale, usarono il metodo
sofistico per teorizzare un vero e proprio immoralismo che sfociò nel disprezzo della giustizia.
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PROTAGORA
(Relativismo e metodo dell’antilogia)
VITA:
• Nacque ad Abdera tra il 491 e il 481 a.C. e morì verso la fine del secolo
• Viaggiò molto nelle città greche e soggiornò più di una volta ad Atene dove riscosse trionfali
successi in pubblico
• Fu molto apprezzato dai politici e Pericle gli affidò l’incarico di preparare la legislazione per la
nuova colonia di Turi
• Secondo Diogene Laerzio fu scacciato da Atene e i suoi scritti furono bruciati sulla pubblica piazza
a causa delle sue idee sugli Dei
• Secondo Platone questo non è vero
• L’opera maggiore di Protagora fu “Sulla Verità-Ragionamenti demolitori”; molto importante fu
anche il suo scritto intitolato “Antilogie” che doveva contenere il metodo di discussione del Sofista
IL PRINCIPIO DELL’ “HOMO MENSURA”: L’UOMO E’ MISURA DI TUTTE
LE COSE
La proposizione fondamentale di Protagora fu: “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono
per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono”. Questo principio esprime la nascita
del relativismo occidentale.
• Per misura si intende la norma di giudizio.
• Per cose si intende tutti i fatti in generale.
Con ciò Protagora intendeva negare che esista un criterio assoluto che discrimini l’essere dal nonessere, il vero dal falso e, in genere, tutti i valori: il criterio è assolutamente relativo, è l’uomo, il
singolo uomo (pag. 231).
Come stabilì Protagora il suo principio?
Lo stabilì in modo empirico, generalizzando cioè la constatazione dello opposte valutazioni che gli
uomini danno di tutte le cose.
Inoltre non estese sistematicamente il suo principio, ma se ne avvalse come canone fondamentale per
l’insegnamento dell’areté.
DAL PRINCIPIO DELL’ “HOMO MENSURA” AL METODO DELLE
“ANTILOGIE”
Protagora pensava di dover armare i suoi alunni per tutti i conflitti di pensiero e di azione della vita
pubblica, cioè imparare a criticare e discutere.
Per questo insegnò che, su ogni cosa, “ci sono due ragionamenti che si contrappongono tra di loro”
cioè su ogni ragionamento è possibile addurre ragionamenti pro e contro che reciprocamente si
annullano; insegnava anche i modi in cui è possibile sorreggere e portare a vittoria l’argomento che
sembra più debole.
Questo metodo fu esposto nelle “Antilogie” o controversie.
Però Protagora non definisce l’essenza dei valori, vale a dire non dice cosa sono il bene e il male, il
vero e il falso ecc. in assoluto, ma fa vedere tutta una serie di ragioni che fanno apparire una cosa
buona, bella e così via, e l’altra serie di ragioni che fanno apparire brutta, cattiva ecc. la stessa cosa
(pag. 234).
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L’INSEGNAMENTO DELLA VIRTU’
Protagora, come tutti i Sofisti, fu un insegnante stipendiato. Il suo insegnamento concerneva la virtù
(areté) ed era il motivo per cui tanti giovani accorrevano numerosi alle sue lezioni.
Cosa intendeva Protagora per “virtù”?
Per noi la virtù è la naturale disposizione dell’animo a seguire il bene e a fuggire il male.
Per Protagora la virtù è l’accortezza negli affari pubblici e privati, il saper parlare, per cui il termine
areté non va inteso come virtù in senso cristiano, ma come abilità (pag. 234).
Questa accortezza è l’abilità di parlare soprattutto in pubblico e Protagora ritiene che si possa insegnare
mediante la tecnica delle antilogie e la conseguente tecnica che insegna a far prevalere un qualsivoglia
punto di vista.
(Questo è il senso che riprenderà Machiavelli nel “principe”).
Cosa intendeva Protagora per “bene e male”, “per giusto”, per “sapiente”?
Il bene e il male non sono valori assoluti, ma sono l’utile e il dannoso; il migliore e il peggiore, il
più utile e il più dannoso.
• Il giusto non è il vero ma l’utile pubblico.
• Il sapiente non è colui che conosce gli inesistenti valori assoluti, ma è colui che conosce il relativo
più utile e lo sa attuare e far attuare: sostituisce ciò che appare male con ciò che appare bene (utile).
E’ una sapienza sganciata del vero ontologico ed ha assunto come base la dimensione
dell’empirico.
E’ evidentemente un’etica utilitaristica (pag. 235 e 237).
•
APORIA DI FONDO DI PROTAGORA
Se l’utile delle piante lo determina l’agricoltore rispetto al criterio della crescita e della maturazione
delle piante; l’utile del corpo lo determina il medico rispetto al criterio della salute chi determina
l’utile dell’uomo (non inteso come corpo ma nella sua integralità) e in riferimento a che cosa?
• Protagora risponde che l’utile lo determina il Sofista, però non dice (anzi, non sa dire) in relazione a
che cosa il Sofista possa procedere nella determinazione.
Per far questo avrebbe dovuto scavare più a fondo nella natura dell’uomo e determinarne l’essenza che
non è quella del puro sentire e percepire.
ATTEGGIAMENTO DI PROTAGORA CIRCA GLI DEI
Protagora si astenne dal dire se esistono o non esistono gli Dei: probabilmente, secondo il suo metodo
delle antilogie, mostrò argomenti pro e contro l’esistenza e la non esistenza degli Dei.
Non negò quindi l’esistenza ma ne negò la conoscenza: il suo fu un agnosticismo religioso.
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GORGIA
(Nichilismo)
VITA:
• Nacque a Leontini, in Sicilia, intorno al 485/480 a.C. e visse più di un secolo in perfetta salute
fisica e spirituale.
• Fu discepolo di Empedocle
• Viaggiò per tutta la Grecia e soggiornò ad Atene dove fu mandato come ambasciatore per ottenere
aiuti contro Siracusa
• Ad Atene riscosse grandissimo successo con la sua arte retorica
• La sua opera più impegnata fu “Della Natura o del non-essere”, un manifesto del nichilismo antico;
un’altra opera importante fu “L’encomio di Elena”.
LA NEGAZIONE DELLA VERITA’
Sostiene tre tesi che capovolgono l’eleatismo:
• Non esiste l’essere, cioè nulla esiste
• Se anche esistesse non sarebbe comprensibile
• Se anche fosse comprensibile non sarebbe comunicabile
La dimostrazione delle tre posizioni ha lo scopo di escludere radicalmente la possibilità
dell’esistenza o del raggiungimento o comunque dell’espressione di una verità oggettiva.
Se quindi per Protagora esisteva una verità relativa per Gorgia non esiste affatto verità e tutto è
falso.
L’essere non è (nulla esiste)
Contrapponendo le concezioni dei Fisici sull’essere ci si accorge che si annullano reciprocamente e
quindi dimostrano l’impossibilità di quell’essere che esse hanno per oggetto: utilizza la logica eleatica
(pag.245).
Se anche esistesse non sarebbe comprensibile
Contro Parmenide che aveva affermato che il legame tra essere e pensare è inscindibile cioè che il
pensiero è sempre pensiero dell’essere e si può dire che pensare ed essere sono la medesima cosa
• Gorgia dimostra che ci sono dei contenuti di pensiero che non hanno alcuna realtà e che quindi
non esistono (es.: pensare un uomo che vola non significa che subito un uomo voli).
• E così anche l’affermazione che il non-essere non è pensabile crolla perché noi possiamo pensare
Scilla, la Chimera e altre cose che non esistono.
Se anche fosse comprensibile non sarebbe comunicabile né spiegabile agli altri.
Chi parla non dice un rumore né un colore, ma una parola (pag. 248).
(La verità invece esiste perché, se non esistesse, esisterebbe quantomeno il fatto che non esiste)
DOMANDA: secondo voi la verità esiste?
LA RETORICA E L’ONNIPOTENZA DELLA PAROLA
Se non esiste verità assoluta (e neanche relativa come diceva Protagora) la parola acquista
un’autonomia pressoché sconfinata: diventa cioè disponibile a tutto:
Gorgia scopre che la parola è portatrice di suggestione, di persuasione e di credenza, al di là del vero, e
potenzia questi aspetti psicologici della parola: nasce così la retorica, ossia l’arte del persuadere.
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Gorgia stesso affermava di poter persuadere su tutto anche meglio dei tecnici nel loro stesso ambito: si
vantava di aver superato il fratello medico nella capacità di persuadere il malato a sottoporsi ad alcune
terapie.
L’ENCOMIO DI ELENA: ESEMPIO DI APPLICAZIONE DELLA FILOSOFIA
DI GORGIA
Nel discorso a difesa di Elena, Gorgia privilegia la forma a scapito del contenuto, non dà alcuna
importanza alle azioni della donna infedele e scarica tutte le responsabilità sulla parola come mezzo di
persuasione.
Gorgia dimostra che Elena non aveva nessuna colpa per quello che era successo tra greci e troiani.
Fa infatti tre ipotesi per spiegare l’agire di Elena:
• Il destino di Troia era già stato segnato dal Fato o dagli Dei, e allora la colpa è di costoro
• Fu rapita con la violenza, e allora anche lei fu vittima di Paride
• Fu persuasa dalle parole, e allora “in questo caso, o ateniesi, sappiate che non c’è nulla al mondo di
così terribile come la parola: essa è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del
tutto invisibile riesce a portare a compimento opere profondamente divine”.
In che ambito veniva esercitata l’arte retorica nella Grecia del V sec. a.C.?
Senza dubbio in ambito politico, tanto è vero che il politico di quei tempi venne chiamato retore.
La definizione che Gorgia dà di retorica nell’omonimo dialogo di Platone è: “L’esser capaci di
persuadere i giudici nei tribunali, i consiglieri nel Consiglio; i membri dell’assemblea popolare
nell’Assemblea e così in ogni altra riunione che si tenga fra cittadini”.
Perché la retorica dopo Gorgia andò deteriorandosi ?
Perché Gorgia aveva sì disancorato la parola dai valori, ma ammetteva che esistessero dei valori
comunemente condivisi dalla grecità e mette la sua retorica al servizio di essi.
Alcuni discepoli invece, una volta imparata la retorica, se ne servirono al di fuori e contro i valori
(pag. 253).
LA PAROLA E L’INGANNO POETICO
L’esame approfondito della parola e delle sue capacità, rese Gorgia particolarmente sensibile
all’aspetto poetico di essa (pag. 254).
Anche l’arte, come la retorica, non mira al vero, ma alla mozione dei sentimenti.
La differenza è che la retorica persegue fini pratici, mentre la poetica persegue fini disinteressati.
All’epoca di Gorgia fiorì la tragedia che fu celebrata dai contemporanei come spettacolo mirabile
perché creava con le sue finzioni un inganno poetico.
L’inganno poetico è per Gorgia qualcosa di positivo perché chi inganna è migliore di chi è
ingannato (è migliore per la sua capacità creativa) e chi è ingannato è più saggio di chi non lo è (per
la sua capacità di cogliere il messaggio poetico).
Platone non fu assolutamente d’accordo.
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