IL “GIARDINO ROMANO” DELL‟AUDITORIUM DI MECENATE L‟area a verde annessa all‟Auditorium di Mecenate si estende per circa 387 metri quadrati lungo via Merulana. Qui è stato trovato uno spazio a prato sostanzialmente anonimo e con alcune presenze arboree che, giudicando dalla dimensione e dalle specie, possono appartenere ad un periodo tra il 1911 ed il 1930 (Esemplari di Sophora japonica, di Platanus hybrida e di Robinia pseudoacacia var. umbraculifera). L‟idea è stata quella di predisporre una sistemazione a giardino adeguata allo speciale interesse del sito e del monumento, senza peraltro alterare nemmeno in minima parte la consistenza preesistente. La scelta si è indirizzata verso una soluzione correlata storicamente all‟Auditorium di Mecenate e di conseguenza all‟Arte dei Giardini dell‟antica Roma. Al tempo stesso si è inteso che la nuova soluzione potesse soddisfare le esigenze di un utilizzo contenuto e coerente con il delicato carattere monumentale della testimonianza archeologica, anche in analogia, per prossimità ideologica e fisica, alla Domus Aurea, dove infatti l‟area esterna è sistemata a giardino nel quale i visitatori sostano o passeggiano non solo per trascorrere il tempo in attesa della visita, ma anche per godere del giardino stesso. Si è quindi immaginata la riproposizione concettuale di un giardino di epoca romana. A questo proposito la pur ampia storiografia e la specifica letteratura dimostrano che non esistono esempi planimetrici del tutto certi degli antichi giardini; le fonti e i risultati degli scavi sono generosi di informazioni sui tipi di piante e sulle incorniciature architettoniche (fra gli altri la Villa Tusculana di Plinio il Giovane e Villa Adriana a Tivoli) ma anche le indagini paleobotaniche indicano soltanto approssimativamente il disegno dei giardini. Tuttavia conosciamo l‟impianto e la distribuzione dei viridari che ornavano i peristili delle ville e delle domus, ricostruiti a Pompei a partire dai primi decenni dello scorso secolo. Considerato tutto questo, il progetto si limita a riproporre forme e motivi in chiave evocativa, adattandoli allo spazio esistente. L‟irregolarità dell‟area è un classico motivo di stimolo per la composizione, che proprio come era caratteristico dei giardini romani, non impone la sua geometria alle forme del terreno, ma a quelle si adatta, tanto nella piccola quanto nella grande scala. Il progetto utilizza esclusivamente lo spazio ubertoso, adattandosi ad ogni elemento architettonico esistente, come lampioni, pozzetti, cigliature, ecc. Inoltre è concepito in maniera da essere completamente reversibile, non utilizza materiali che possano arrecare danni quali il cemento, né prevede scavi. Si tratta di una composizione unitaria costituita da due elementi, e cioè: entrando, a destra, un piccolo viridario e, a sinistra, la riproposizione allusiva di un padiglione a pianta centrale di quelli che caratterizzavano gli orti romani come ad esempio gli Horti Liciniani (cd. Tempio di Minerva Medica) o quelli Sallustiani. Mentre il viridario è soprattutto un elemento ornamentale, lo spazio circolare è destinato ad accogliere i visitatori, e a tal fine è munito di una serie di sedili in legno ripresi da modelli antichi. Il viridario presenta la classica forma quadripartita con aiuole sagomate di bosso (Buxus sempervirens). Tre delle aiuole (la terza è occupata da uno degli alberi esistenti) sono decorate al centro da un cesto di Acanthus mollis incorniciato da una corona di Senecio cineraria. L‟acanto, già famoso per la storia-leggenda del primo artista greco che vedendolo posato in una corba di vimini ne trasse l‟idea per il capitello di stile corinzio, era usato nei giardini romani come pianta tappezzante di grande valore decorativo. La Senecio cineraria è citata da Teofrasto. L‟incrocio degli assi è marcato da un esempio di quella scultura „verde‟, che i romani chiamavano opera „topiaria‟, e che era una delle due modalità di ornamentazione scultorea dei giardini. Mentre le sculture marmoree, per la durezza dei loro materiali, sono state ritrovate, quelle „verdi‟, descritte da Plinio il Giovane con compiaciuta minuzia, sono ovviamente del tutto scomparse. Erano costituite da piante sempreverdi resistenti al taglio, tra le quali la più usata, insieme al mirto, era il bosso. L‟opera topiaria è ornata da una base di Santolina Chamæciyparissus (anch‟essa citata da Teofrasto). L‟assortimento delle piante è stato scelto, oltre che per la corrispondenza al dato storico, anche per le associazioni cromatiche, tutte sul verde, ma con toni dall‟argenteo (Senecio) al cinerognolo (Santolina) allo smeraldo (acanto) allo scuro (bosso). La piccola siepe di rosa ha la funzione di vivacizzare la composizione con un colore diverso. Dalla parte opposta, oltre lo spazio circolare e quasi a ridosso dell‟abside dell‟edificio, c‟è un'altra porzione di giardino formale con siepi sagomate di bosso, che ricollegandosi visivamente al viridario contribuisce a sottolineare l‟unità compositiva dell‟insieme. Al centro di questa aiuola, che forma un triangolo curvilineo, viene posto un elemento decorativo con un‟anfora posta su di una base verde di Santolina come nella scultura topiaria.