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Approfondimento
Il giardino nell’Antica Roma
Dall’alto:
Fig. 1
Peristilio della Casa dei Vettii
a Pompei.
Fig. 2
Ricostruzione del
peristilio della
Casa dei Vettii di Pompei,
in occasione di una mostra
presso il Giardino di Boboli
a Firenze.
La realizzazione dei giardini è un’arte antichissima, che risale alle prime civiltà mesopotamiche.
Nei climi torridi del Vicino Oriente, dove l’agricoltura era ancora una difficile conquista, i giardini
dovevano sembrare qualcosa di prodigioso, un
miracolo reso possibile dalle divinità della fertilità. I giardini pensili di Babilonia, che risalgono
all’ultimo decennio del VI secolo a.C. per volontà
di re Nabucodonosor II (per quanto la tradizione
li attribuisca alla regina assira Semiramide), non
stupirono soltanto gli abitanti dell’antica capitale
dell’impero babilonese, ma divennero leggendari, tanto da essere rievocati, molti secoli dopo, da
scrittori e poeti greci e romani. Anche la civiltà
egiziana e quella persiana produssero una loro
arte dei giardini, in seguito ammirata e imitata in
Grecia e a Roma.
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Nonostante la presenza di un’importante tradizione orientale del giardino, quest’arte a Roma si
sviluppò in relativa autonomia, e può essere considerata una creazione originale della cultura
romana. In realtà molti elementi che comparivano nei giardini romani erano di derivazione ellenistica, mentre altri prendevano spunto dall’arte
orientale; nel complesso, tuttavia, si può affermare che i giardinieri romani crearono un proprio
stile, dando vita in Età imperiale ad un innovativo
“giardino paesaggistico” e ad una vera e propria
arte del giardinaggio: l’ars topiaria.
Nei secoli successivi alla caduta dell’impero
romano questo termine assunse il significato di
arte della potatura artistica degli alberi e degli
arbusti, approccio che ancora oggi è possibile
ammirare in numerosi giardini, in cui i vegetali
vengono potati in modo tale da assumere forme
astratte, geometriche o animali. In origine, però,
il topiarius era il giardiniere e la sua ars topiaria
era l’arte della cura del giardino e della composizione “paesaggistica” dei suoi diversi
elementi (statue, piante, fiori, specchi d’acqua,
fontane, sentieri, ecc.).
Nella Roma repubblicana, caratterizzata da uno
stile sobrio e legato ancora alla vita agreste, il
giardino era inizialmente un hortus con una sua
precisa funzionalità: serviva alla coltivazione di
piante e ortaggi che contribuivano al sostentamento della famiglia. Collocato all’interno della
domus e circondato da una cinta muraria, il
giardino non aveva ancora un valore estetico
riconosciuto.
Con l’andar del tempo, e con le influenze culturali
che provenivano dai nuovi territori conquistati dai
romani, il giardino si distaccò da questa funzione puramente utilitaria, con cui era nato, e dalla
seconda metà del II secolo a.C. divenne per le
famiglie dell’aristocrazia romana un luogo di studio, di riposo e di svago, dove poter accogliere
gli ospiti, conversare o passeggiare in solitudine.
Inizia così a definirsi un’estetica del giardino, che
deve essere ammirato per la sua bellezza.
Nella domus romana trova spazio sempre maggiore il peristilio, un portico a colonne che cinge
il giardino, ora coltivato con piante e fiori a scopo
decorativo, e ornato da fontane e statue. Ricche
testimonianze di questa transizione provengono
da Pompei. Le domus pompeiane di medie dimensioni databili fra il IV e il II secolo a.C., ospitano spesso un giardino circondato da mura, che
aveva la funzione di hortus per la coltivazione.
I resti delle abitazioni aristocratiche più recenti
mostrano invece un decisivo ampliamento dello
spazio dedicato al giardino, con l’annessione del
peristilio e con una più accentuata presenza di
elementi decorativi: pitture murali, vasi, statue,
fiori e pergolati. Il Giardino della Casa dei Vettii può essere ammirato ancora oggi a Pompei,
perché è stato possibile ricostruire la disposizione dei viali, delle aiuole e degli arredi che esso
conteneva (statue e vasche in marmo).
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Fig. 3
Grotta della Villa di Tiberio
a Sperlonga (Latina),
al cui interno erano
collocati gruppi scultorei
rappresentanti scene dei poemi omerici.
L’arte dei giardini ebbe forte impulso a Roma verso la fine dell’Età repubblicana, epoca in cui si
diffusero i cosiddetti horti: termine che era invalso per indicare non soltanto i giardini, ma anche
le ville poste alla periferia delle città e dotate di
un ampio giardino. Questi giardini non erano più
circondati dalle mura domestiche, ma si sviluppavano su un terreno libero, raggiungendo anche
estensioni notevoli. I primi e più famosi esempi
di questi horti, che ebbero grande diffusione a
Roma, sono quelli di Lucullo e di Sallustio, del
I secolo a.C. Lucullo era il ricco proprietario di
una villa collocata sulla collina del Pincio, che
ebbe il merito di diffondere la moda del giardino paesaggistico romano. I suoi giardini pare
fossero collocati dove oggi sorgono i Giardini
di Villa Borghese. Sallustio, noto scrittore e
uomo politico romano, lo imitò in breve tempo,
costruendo nei pressi del Quirinale dei ricchissimi giardini, noti come Horti Sallustiani, destinati
a grande fortuna, tanto che vennero utilizzati in
seguito come dimora temporanea da parte di
alcuni imperatori.
Alla fine dell’età repubblicana e all’inizio del periodo imperiale, dunque, il giardino non era più
confinato a limitati spazi attorno alla casa o agli
stretti limiti del peristilio e dell’orto domestico. Si
apprestava, altresì, a diventare un vero e proprio
parco, con grandi aree verdi attraversate da lunghi viali. Nelle ville di quest’epoca, il giardino non
era composto soltanto da elementi naturali: al
contrario, era dominato dalla presenza di statue
e di strutture architettoniche.
In molti casi vi era costruito un ginnasio, un portico coperto costruito imitando lo stile del ginnasio
greco. Questi porticati erano affiancati dal giar-
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dino vero e proprio, una distesa erbosa ricca di
alberi, statue, viali, fontane, piccoli corsi d’acqua.
Le piante del giardino venivano spesso potate
in modo tale da assumere una certa forma. La
“potatura plastica” di piante e arbusti è, infatti,
un’invenzione romana del II secolo a.C. Le statue, invece, raffigurano spesso divinità legate al
mondo della natura e di origine ellenistica, come
Dioniso o Artemide, scene di caccia, Ninfe (come
nell’Almatheum, progettato da Attico, amico di
Cicerone).
In Età imperiale la moda dei giardini raggiunge
il suo punto più alto, costruito attorno alle ville
suburbane (poste cioè alla periferia della città) e
nelle lussuose dimore di campagna delle famiglie
romane benestanti. La capitale è circondata da
horti verdeggianti. Anche nelle residenze imperiali è evidente la passione per i giardini, ormai
trasformati in ampi parchi paesaggistici. Degna
di nota è la Villa di Tiberio, costruita dall’imperatore a Sperlonga (in provincia di Latina). È
un ampio complesso architettonico, sorto su
una precedente villa di Età repubblicana, che
ingloba persino una grotta naturale, in cui era
stato collocato un gruppo scultoreo raffigurante
una scena dell’Odissea. Anche Villa Adriana a
Tivoli (118-138 d.C.) si estende su un territorio
molto vasto, ben 120 ettari, ed è un complesso
di edifici molto articolato inserito in una magnifica
cornice paesaggistica, sui Monti Tiburtini, in una
zona ricca di cave, di sorgenti e persino di acque
termali. La presenza di specchi d’acqua doveva essere uno dei tratti caratteristici dei giardini
della villa, come dimostrano il Pecile, un grande
portico colonnato di forma quadrangolare, che
circonda un’ampia vasca d’acqua, e il Canopo:
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Fig. 4
Gli Horti Sallustiani a Roma.
Fig. 5
I Giardini di Villa Adriana a Tivoli.
questa parte del giardino ricreava probabilmente
un esotico ambiente di stile egizio (come indicano la statua di Iside ed altre sculture egittizzanti
ritrovate dagli scavi), ed è costituita da un lungo
bacino d’acqua, situato al centro di un avvalla-
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mento e circondato da colonne e statue. Il canale
finisce con una sorta di piscina, alle cui spalle si
trova un’ampia esedra ricoperta da una cupola,
dove pare che l’imperatore sostasse in occasione dei banchetti.
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