LA PILLOLA DEI 5 GIORNI DOPO: BREVE CRONISTORIA E ALCUNE CONSIDERAZIONI Questo testo utilizza ampi stralci presi da due articoli di cui alla fine dell’articolo si forniscono i link; sono comparsi, uno sul quotidiano on line “Quotidiano sanita” il 19 marzo 2015, il secondo sul portale della salute rivolto a cittadini dell’Istituto Mario Negri nell’ambito di un progetto per una sanità partecipata. Sul controverso tema della necessità della prescrizione medica per la pillola anticoncezionale d’emergenza ElleOne (Ulipristal) o “Pillola dei cinque giorni dopo”, l’AIFA ha preso la decisione di non rendere obbligatoria la prescrizione medica, salvo che per le minorenni. In questa maniera è stato rispettato solo parzialmente il parere del Consiglio Superiore di Sanità che raccomandava il mantenimento dell’obbligo di ricetta per tutte. Scompare inoltre l’obbligo del test di gravidanza che era stato introdotto in Italia al momento della messa in commercio del farmaco nel 2012 (unico paese europeo ad averlo previsto). La decisione dell’Aifa ricalca quella già adottata dalla Germania e il direttore dell’Aifa Luca Pani l’ha spiegata così all’Ansa: “Il farmaco non ha grandi problematiche ma sull'uso ripetuto e incontrollato non ci sono dati sufficienti per garantirne la sicurezza. E per tutelare le più giovani e visto che in Italia esiste la possibilità di prescrivere la pillola in ogni momento in ospedali e consultori, è stato deciso di lasciare questo limite” Ripercorriamo quali sono le tappe che hanno portato a questa decisione. L’agenzia europea del farmaco (EMA) si è espressa a favore dell’accesso al farmaco senza prescrizione, raccomandazione a cui ha fatto seguito la decisione dalla Commissione europea di autorizzare l’accesso diretto del farmaco nelle farmacie. In Italia al CSS (Consiglio Superiore di Sanità) è stato richiesto dalla Ministra della Sanità, Beatrice Lorenzin, di esprimere un parere in proposito, e Consiglio si è espresso per un mantenimento dell’obbligo di ricetta medica per la “Pillola dei 5 giorni”, indipendentemente dall’età della donna. Questa posizione ha suscitato molte critiche, anche all’interno del CSS stesso. Tra queste riportiamo la posizione di Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e membro della Sezione V del Consiglio Superiore di Sanità, che ha detto: “Non ho condiviso il parere del CSS ed ho votato contro perché non ritengo che il gruppo di lavoro abbia presentato argomenti che siano in grado di contrastare la decisione dell'EMA” Il profilo giuridico della vicenda Sulla decisione del CSS, – secondo cui l’obbligo di ricetta medica per l’Ulipristal doveva essere mantenuto, indipendentemente dall’età della donna – sono interessanti delle considerazioni che, sotto il profilo giuridico, ha illustrato in un articolo comparso sul “Quotidianosanita” il 19 marzo 2015 l’avv. Vania Cirese (Patrocinante in Cassazione, esperta alla Commissione Europea e consigliera Giuridica a contratto al Parlamento Europeo di Strasburgo, docente a contratto di “Diritto Sanitario” presso la Scuola di specializzazione in Ostetricia e Ginecologia dell’università degli Studi di Roma “Tor Vergata”,docente di Diritto Penale e Processuale Penale alla Link Campus University di Roma) di cui riportiamo ampi stralci “I fattori da tenere in considerazione, secondo la Direttiva europea 2001/83/CE , articolo 71, comma 1, per decidere se un farmaco debba essere soggetto a prescrizione medica si verificano quando un farmaco a. può presentare un pericolo sia diretto che indiretto, anche se utilizzato correttamente, nel caso in cui venga utilizzato senza una supervisione medica; b. può essere utilizzato frequentemente e estesamente in maniera non corretta, con il risultato di presentare verosimilmente danni diretti o indiretti sulla salute umana; c. contiene sostanze o preparazioni le cui attività e/ o gli eventi avversi dei quali richiedano ulteriori accertamenti; d. è normalmente prescritti dai medici per essere somministrato per via parenterale”. L’EMA prima e la Commissione UE poi, hanno stabilito che nessuna delle quattro condizioni esiste per EllaOne, decidendo conseguentemente di eliminare l’obbligo di prescrizione, invitando contestualmente i Paesi membri a fare altrettanto, e invitandoli altresì a trascrivere le nuove indicazioni sui foglietti illustrativi e sulle confezioni dei medicinali che, essendo EllaOne soggetto a un’autorizzazione al commercio centralizzata (vale a dire decisa a livello dell’Ema per tutti i paesi membri), devono apparire uniformi in tutti gli stati membri dell’Unione dove il farmaco è in commercio. La motivazione addotta dal Css per non adeguarsi alle indicazioni europee sembrerebbe essere quella del rischio di “assunzioni ripetute” del medicinale da parte delle donne che vi ricorrono per prevenire una gravidanza indesiderata. Mettendo da parte considerazioni di merito su una tesi che, con le informazioni a nostra disposizione attualmente, non riusciamo a comprendere su quali basi sia stata posta (si teme forse che le donne italiane vi ricorrano ripetutamente senza alcun discernimento, a differenza di quanto accade in tutti gli altri Paesi? Su quali informazioni il Css deduce tale rischio? Esistono indagini in proposito? Studi o altre verifiche sul campo?), in questa sede ci interessa analizzare l’aspetto giuridico e regolatorio della questione. Ci chiediamo: se l’Ema e la Commissione UE hanno ritenuto, sulla base delle ricerche e degli studi post marketing che EllaOne “non” possa essere utilizzato frequentemente e estesamente in maniera non corretta (lettera b del sopra citato comma 1 dell’articolo 71 della direttiva UE), come può il Consiglio superiore di sanità affermare l’esatto contrario? Ma soprattutto, come potrebbe l’Aifa – alla quale spetterà la decisione sul regime prescrittivo di EllaOne – far propria la tesi del Css che, per l’appunto, sembra non tener in alcun conto le deliberazione dell’Ema alle quali l’Aifa è tenuta a far riferimento? E veniamo al punto centrale. Quali sono gli spazi di autonomia dell’Aifa? Nel caso specifico della contraccezione e dell’aborto, la direttiva Ue citata specifica (art. 4, comma 4) che gli Stati membri mantengono la propria autonomia decisionale sull’inserimento o meno di farmaci contraccettivi o abortivi in relazione “all'applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l'uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi”. Il profilo farmacologico-sanitario Da un punto di vista più strettamente sanitario, gli effetti collaterali della pillola e il suo supposto effetto abortivo sono stati tra gli argomenti oggetto di discussione. Su questi punti Garattini chiarisce: “L'Ulipristal (il principio attivo della pillola) agisce attraverso un rallentamento della liberazione del follicolo - come meccanismo principale - e perciò non può essere considerato un agente abortigeno sulla base delle attuali conoscenze. È stato già utilizzato in alcuni milioni di casi senza ricetta ed è certamente provvisto, come tutti i farmaci, di effetti collaterali – ma sono tali da poter essere paragonati agli effetti di altri farmaci da banco”. “Dopotutto è un problema di emergenza” ribadisce Garattini “e, se si mettono troppi ostacoli, si rende vano l'impiego del trattamento. Non si deve dimenticare che il trattamento diminuisce di efficacia con il passare dei giorni”. E conclude: “la scelta del Consiglio, che di fatto è un mancato riconoscimento alla singola donna della capacità di prendere decisioni sulla propria salute riproduttiva, contribuisce a mantenere una situazione di dipendenza. Sarebbe invece importante con la liberalizzazione intensificare l'informazione e l'educazione sulla sessualità”. Che la questione esuli dall’ambito strettamente medico è quanto sostiene Anita Regalia, ginecologa, co-fondatrice dell’Associazione IRIS - Istituto Ricerca Intervento Salute (http://www.partecipasalute.it/cms_2/glossary/term/1063), e parte del movimento “Usciamo dal silenzio”. “C’è poco di medico in tutto ciò” commenta Regalia; “dal punto di vista medico si sono espresse l’EMA e la Commissione europea. Dovremmo tenerne conto, invece, quando si tratta di scelte alle soglie del morale e sociale andiamo per la nostra strada”. Viene meno il rispetto della libertà di scelta. “Si parla tanto di terapie compartecipate, di scelte mediche condivise, di rispetto del paziente, e le donne che vogliono fare ricorso alla contraccezione di emergenza sono spesso messe alla berlina, costrette ad attese infinite in pronto soccorso aspettando la prescrizione, in attesa di parlare con un medico che se va bene non è contrario” prosegue, raccontando la sua esperienza pluriennale in ospedale. “Ancora una volta, anche riguardo alla pillola dei 5 giorni dopo, non si riconosce l’autonomia della donna a decidere. E’ una questione di rispetto dell’emotività e della sessualità degli individui” chiosa Regalia. Non possiamo che rallegrarci di una risoluzione che mantiene l’Italia nell’ambito della cultura europea del rispetto di diritti umani e delle scelte del singolo e ricordiamo che recentemente è stata approvata nel Parlamento Europeo la relazione del politico socialista belga Marc Tarabella sul tema della parità uomo-donna, che fra i capitoli più spinosi affrontava la questione dell’aborto e della contraccezione. La risoluzione non legislativa che invita i Paesi membri dell’Unione a migliorare le politiche per raggiungere la parità tra donne e uomini (divario retributivo, opportunità di carriera, equilibrio di lavoro/vita, congedi di maternità e paternità) è stata approvata con 441 sì, 205 no e 52 astenuti. È passato anche il capitolo sull’aborto, quello più spinoso, che ha diviso le coscienze, in particolare aprendo accesi dibattiti fra esponenti cattolici e laici. Il testo che esce dall’aula dell’Europarlamento insiste sul fatto che le donne “debbano avere il controllo della loro salute e dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto”. La risoluzione, inoltre, sostiene l’applicazione di misure che agevolino le donne nell’accesso a servizi su salute sessuale e riproduttiva e all’informazione sui propri diritti e opportunità disponibili. La risoluzione dell’Europarlamento non è vincolante, poiché i Trattati europei attribuiscono a ciascun Paese membro il diritto di legiferare in materie come questa. Il significato simbolico è però enorme e il potere di suggestione e di pressione sui legislatori nazionali anche, sempre che essi siano disposti a volgere lo sguardo verso un’idea di progresso e segnatamente di parità dei diritti fra i generi. In Italia si registra da tempo un aumento del numero di obiettori di coscienza, ma l’applicazione di questa risoluzione potrebbe risolvere drasticamente il problema degli aborti clandestini. http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=26706&fr=n http://www.partecipasalute.it/cms_2/node/6429 Dr.ssa Enrica Guglielmotti Componente della Commissione Pari Opportunità dell’OMCEO Torino