SCHOPENHAUER PREMESSA Si colloca negli stessi anni di Hegel. Quando pubblicò Il mondo come volontà e rappresentazione (1818), non ebbe alcun successo e disse che non scriveva per gli imbecilli. Era un tipo piuttosto aristocratico, non apprezzava i facili ottimismi, si riteneva poco considerato a causa della stupidità della gente. Anche se nel 1818 non ebbe successo, ripubblicò l’opera nel 1850 ed ottenne molto successo. Era troppo moderno per i suoi tempi perché si allontanava dall’ideologia dominante del suo tempo. Quando pubblicava era l’epoca delle insurrezioni e Schopenhauer guardava con occhio critico il proletariato che si ribellava. BIOGRAFIA Nacque a Danzica nel 1788, in un famiglia di commercianti. La madre era molto colta, frequentatrice di salotti letterari. Grazia a lei Schopenhauer conobbe intellettuali importanti. Tuttavia, madre e figlio avevano un rapporto altamente conflittuale. Il padre morì suicida e questo influenzò Schopenhauer. Poté studiare, viaggiare. Si iscrisse a medicina, poi cambiò idea e si dedicò alla filosofia e frequentò le lezioni di Fichte, conoscendo la filosofia idealista. Incontrò anche Hegel, di cui lesse alcune opere e che chiamò “gran cialtron” a causa dei suoi vagheggiamenti e per il suo ottimismo illusorio. Non concepiva la filosofia come lo stadio conoscitivo per eccellenza ma come meditazione silenziosa. Se Hegel aveva superato l’ermeneutica della finitudine di Kant, per Schopenhauer la filosofia doveva ritornare a Kant e a Platone. L’idealismo platonico piaceva a Schopenhauer mentre quello hegeliano era folle. La salvezza della filosofia stava anche nell’interesse al misticismo orientale. Si laureò con Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente. La tesi era un modo chiaro per sire che si doveva tornare a Kant per allontanarsi da Hegel, che aveva divinizzato l’uomo. Schopenhauer apprezzava Leopardi. De Sanctis confrontò le due figure in Schopenhauer e Leopardi in cui sostenne che attraverso le sue poesie Leopardi spingeva ad amare la vita mentre Schopenhauer invitava ad odiare la vita e a rinunciarvi. Nel 1851 pubblicò Parerga e paralipomena. E’ un insieme di riflessioni su argomenti vari: la misoginia di Schopenhauer, il suo malumore, la malattia, la morte. “SULLA QUADRUPLICE RADICE DEL PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE” La salvezza della filosofia è tornare a Kant e Platone, che sono i maestri di Schopenhauer. Platone aveva ben distinto tra realtà fenomenica e realtà noumenica mentre Kant aveva ben individuato le strutture conoscitive umane. Nella sua tesi di laurea, Schopenhauer appoggia Kant ma ritiene che le 12 categorie possono essere ricondotte solo alla categoria di ragion sufficiente, di causa. Tutte le categorie Kantiane, in realtà, sono causali. Questo perché qualunque cosa esistente può essere analizzata in termini di ciò che agisce o ciò che viene agito. La realtà è ciò che è frutto di un’azione, dell’agire. Quindi, di fronte alle categorie kantiane siamo di fronte ad azioni causali (relazione, sostanza ecc…). Pertanto non è necessario formulare 12 categorie ma ricondurle tutte ad una, che vuol dire che il mondo e le cose hanno una spiegazione. L’uomo vede il mondo come spiegabile, causato ecc… Posta questa sintesi categoriale, è anche vero che questa causa ha una radice quadruplice, ovvero la stessa causa si manifesta in vari modi; ad esempio la relazione tra i soggetti produce il divenire. Noi guardiamo il mondo fisico e lo vediamo regolato su leggi necessarie. Questo principio di ragion sufficiente regola anche il pensiero, il ragionamento, ovvero la logica, la relazione tra premesse e conseguenze dei discorsi. Il principio di ragion sufficiente regola inoltre i principi aritmo-geometrici: l’uomo comprende la matematica contando, misurando. Anche il mondo dell’essere è caratterizzato dalla ragion sufficiente: l’uomo spiega il mondo in termini matematici. Da ultimo esso regola anche i rapporti morali, visti come caratterizzati da una spiegazione. Dunque le categorie sono il mondo che la mente ha per conoscere: la mente umana è all’insegna del principio di ragion sufficiente. Quando l’uomo vede la realtà, non può fare a meno di vederla causata. Questo, però, è soltanto il nostro modo di vedere la realtà, ma non spiega come la realtà sia davvero. Si rifiuta, quindi, ogni concezione hegeliana dell’uomo che pone in essere la realtà. Schopenhauer, tuttavia, non valorizza solo Kant ma anche la tradizione orientale (diversamente da Hegel che la vede come antiquata e arretrata). Schopenhauer, invece, approfondisce la cultura orientale ritenendola un patrimonio. Tuttavia l’oriente recuperato da Schopenhauer è veicolato; egli infatti si forma su libri viziati. Il traduttore di questi libri interpreta il mondo orientale in chiave fortemente neoplatonica. In definitiva, Schopenhauer non si forma sul vero oriente ma, nonostante questo, apprezza molto ciò che studia. Si ritiene, quindi, discepolo di Kant e della tradizione sanscrita, dell’india dei Veda e degli upanishad. I Veda sono i libri sacri più antichi della tradizione religiosa. Veda ha a che fare con “vedere”, visione essenziale ed intellettuale della realtà. La tradizione sanscrita ha anche prodotto gli upanishad che sono dei commentari agli inni vedici. Second Schopenhauer il contenuto fondamentale di questi testi è di ordine metafisico-religioso: non c’è differenza tra Brahman e Atman. Brahman è l’energia che pervade tutto l’universo, l’essenza energetica universale. L’Atman è l’energia individuale. C’è identità tra il singolo, la persona e l’energia cosmica. Il concetto di individuo e anima personale è di origine occidentale. L’occidentale vede i singoli, le persone e pensa che il mondo dipenda da lui; l’orientale pensa di essere parte di una realtà molto più grande di lui. Il sapiente vede questa unità inscindibile tra uomo e mondo. Quindi, la conseguenza è che il saggio non si appropria del Karman, dell’azione. Essa passa attraverso il soggetto ma non è del soggetto; egli è il mezzo attraverso cui l’azione avviene. L’uomo agisce ma le conseguenze non dipendono da sé. L’azione concorre al meccanismo generale del Brahman. L’uomo deve agire ma limitatamente alle proprie possibilità. Si devono prendere le distanze dalla specificità, la singolarità. L’India ha prodotto due grandi poemi epici: Mahabharata e Ramayana, che Schopenhauer conosce bene e a cui fa riferimento. Nel primo si racconta di un guerriero, Argiuna, che è angosciato dalla guerra perché in entrambi gli eserciti ci sono persone a lui care. Gli appare Krishna, un “avatar” del dio Vishnu e gli spiega il senso delle cose nella sezione “Bhagavadgita”, il canto del beato. Il senso è che non siamo all’origine delle nostre azioni, il peso di esse non ci deve opprimere. Siamo in un ingranaggio che non possiamo comprendere e controllare. Dunque non ci si angoscia più, ci si acquieta e si agisce con distacco. Schopenhauer è anche influenzato dalla tradizione buddhista. Per lui, il cuore dell’insegnamento del Buddha è che l’uomo è continuamente dominato dal desiderio e questo arreca sofferenza. Questo perché c’è l’illusione che l’uomo è; in realtà l’uomo non è. Secondo il buddhismo l’uomo brama perché pensa di essere e di riempire sé stesso con l’oggetto del proprio desiderio. L’io, l’ego, non esiste ed è proprio di chi non vede chiaramente. Il Buddha abbandona l’illusione di essere e non brama più, esce dalla catena delle rinascite e giunge al Nirvana, la condizione di chi non è più, di chi ha la consapevolezza di non essere. “IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE” C’è una prima sezione di carattere metafisico e una seconda di carattere soteriologico. Ognuna è divisibile in due parti. I SEZIONE METAFISICA. Qui Schopenhauer si dedica al fenomeno e al noumeno. Viene recuperata la filosofia di Kant e Platone. Si distingue, quindi, tra la realtà come essa appare e come essa è. Nella prima sezione metafisica Schopenhauer si occupa di come la realtà appare all’uomo. Secondo Schopenhauer, Kant aveva capito bene il meccanismo conoscitivo umano: l’uomo percepisce la realtà ma non come essa è, bensì nel tempo, nello spazio e secondo il principio di ragion sufficiente (causa). Questo modo di vedere le cose pertiene al fenomeno. L’uomo percepisce il mondo ce è una rappresentazione stessa dell’uomo. Questi schemi sono imprescindibili, l’uomo non può fare a meno di spiegare la realtà in questi termini. L’analisi Kantiana, però, ha il difetto di non aver saputo cogliere l’importanza del corpo. L’uomo non percepisce il mondo solo con spazio, tempo e ragion sufficiente ma anche con il corpo. Esso, però, non è un oggetto tra gli oggetti, bensì è parte della realtà stessa ed è sempre a disposizione dell’uomo, che è un ente dotato di corpo. Si percepisce la realtà anche con il corpo. Grazie a questo l’uomo può raggiungere il noumeno. L’uomo può farlo ma la differenza con Hegel è netta: il noumeno è raggiungibile per entrambi ma esso non è posto dall’uomo (come dice Hegel) ma viene colto con una prospettiva “propriocentrica”: il mondo appare grazie al mio corpo, che è parte di tale mondo. Il corpo permette all’uomo di “squarciare il velo di Maya”, superare l’ostacolo trovato da Kant, andare oltre il fenomeno e raggiungere il noumeno. L’analisi propriocentrica non è una mera esperienza sensibile ma rileva un rapporto privilegiato. Il rapporto con il corpo permette di giungere, quindi, dove la sensibilità e l’intelletto non sono più sufficienti. Kant quindi ha avuto un po’ una visione angelicata del mondo. Il mondo non è solo una rappresentazione ma è la mia rappresentazione ed è pertanto accessibile il noumeno, che è la volontà di vivere. Il mondo racchiude l’oggetto rappresentato e il soggetto rappresentante. Le forme apriori danno una visione ingannevole della realtà, mentre con il corpo si raggiunge il noumeno. L’uomo non vive nel mondo ma è un pezzo del mondo. II SEZIONE METAFISICA La volontà di vivere non sta nello spazio o nel tempo; il corpo si. La volontà non è collocata nello spazio e nel tempo e non è neanche causata. Il mondo materiale è la messa in scena di un unico regista che scrive una trama schizofrenica senza motivo. La volontà di vivere è eterna ed incausata; forgia il mondo ma non è del mondo. La volontà è anche unica. La volontà in sé si esprime in una serie di forme varie, come quella di mangiare, dormire, parlare ecc… Le voglie singole sono spiegabili all’interno del mondo fenomenico e collocabili nel tempo, nello spazio e spiegabili. La volontà unica, però, non è spiegabile e non si identifica con i singoli fenomeni, le singole volontà. Squarciando il velo di Maya, si giunge al nocciolo della realtà: tutto ciò che anima l’essere, ciò che anima i corpi è la volontà di vivere. Essa governa il mondo ed è assurda, cieca e non mira ad altro che a sé stessa. Dal punto di vista metafisico l’irrazionalismo diventa una malattia conclamata con Schopenhauer. Gli uomini sono tutti nelle mani dell’unica volontà. Questa stessa volontà non ha ragione. “Tutto ciò che è reale non ha senso”. Tale irrazionalismo non è come quello romantico ma vuol dire che il mondo non ha ragione e che l’uomo, nell’ambiente fenomenico, tenta di dargli una spiegazione. La razionalità viene attribuita dall’uomo in virtù del fatto che egli pensa in maniera razionale, ha una mente costruita in maniera razionale. La volontà di vivere, per Schopenhauer, è destinata a fallire perché i suoi strumenti sono finiti. La conclusione di questa riflessione sulla volontà è che la vita è male ed oscilla tra dolore e noia. Le uniche condizioni durevoli sono la noia e il dolore; il sollievo è temporaneo perché ad esso subentrano presto il dolore e la noia. Stare immersi nel mondo fenomenico copre una terribile realtà: che gli essere viventi vivono per vivere e che la loro vita è male. L’uomo vuole e brama continuamente e questa sua brama cela, in realtà, un vuoto profondo di noia. Il dolore non è solo dell’uomo ma di tutta la natura, di tutto il mondo, di tutto l’universo. Tuttavia, rispetto agli altri esseri viventi, l’uomo ha il privilegio del corpo, che gli consente di essere consapevole che il mondo è dolore. Il dolore non viene solo dalla brama insoddisfatta ma anche da una crudeltà insita negli esseri viventi. Unico fine della volontà di vivere è volere e far continuare la vita nel dolore e nella noia. Nel perseguire il suo scopo la volontà di vivere si serve di tutti gli strumenti, anche dell’amore, che è il più forte stimolo a vivere, per Schopenhauer. L’amore dà piacere (benché apparentemente) ed è un inganno. Schopenhauer smaschera la concezione di amore come di un sentimento idilliaco. Schopenhauer vuole smascherare il pensiero accademico: l’amore è illusorio e parimenti è illusoria la ragione. Schopenhauer intende sbugiardare anche l’ottimismo. Il linguaggio umano, infatti, impone di poter vedere la razionalità delle cose e l’apparenza fenomenica spinge l’uomo ad essere ottimista. In realtà, i filosofi possono andare oltre l’apparenza delle cose e, per questo, hanno una responsabilità maggiore. L’ottimismo filosofico è assolutamente illusorio e sbagliato. Per questo Hegel viene attaccato da Schopenhauer perché diffonde l’ottimismo argomentandolo. L’ottimismo è una falsa consolazione, per Schopenhauer. L’altra menzogna sbugiardata è la religione, il sentimento religioso. La religione per Schopenhauer, è la metafisica per il popolino. La riflessione fatta non è come quella di Marx o di Feuerbach, perché Schopenhauer addita la religione come un inganno, un’illusione. La gente vede in Dio Colui che dà un ordine al mondo. Schopenhauer sostiene l’ateismo filosofico in virtù del fatto che non ci sono prove dell’esistenza di Dio e che, anzi, il mondo è assurdo, illogico ed irrazionale e, quindi, non è possibile ammettere un Dio ordinatore e provvidenziale. Un’altra considerazione che Schopenhauer fa è sulla natura umana, che non è né buona né socievole (come diceva Aristotele) ma, anzi, è estremamente malvagia. L’uomo gode delle miserie altrui e si irrita per i successi degli altri. L’unica ragione che spinge l’uomo ad associarsi è il bisogno: l’unione fa la forza. L’eticità umana non esiste. L’uomo si dà un’etica, ma solo in virtù del principio di ragion sufficiente, perché tutti i comportamenti umani possono essere spiegati. L’uomo è ingannato perché pensa che i comportamenti possono essere spiegati ed indirizzati verso buone azioni. Il mondo è un inferno di egoismo, dice Schopenhauer. La filosofia della storia di Schopenhauer parte dalla sua volontà di distruggere quella convinzione secondo la quale la storia è volta verso il meglio. Per Schopenhauer, la storia non cambia, non evolve, ma è sempre uguale a sé stessa, si ripete: le persone muoiono, le malattie si diffondo ecc…. La storia può solo offrire all’uomo la consapevolezza che il mondo non cambierà. Kuno Fischer, storiografo e filosofo tedesco, aveva raccolto la storia della filosofia moderna in due volumi e nel secondo aveva citato Schopenhauer come esempio di filosofo pessimista, accostandolo a Leibnitz, che invece, era il filosofo ottimista per eccellenza. Secondo Kuno, il motivo era che le condizioni economiche e sociali erano diverse. In realtà, per Schopenhauer, Kuno aveva sbagliato perché il suo pessimismo era filosofico. Non era una presa di posizione arbitraria ma era il flutto di una riflessione sulla realtà delle cose. In virtù di questo suo pessimismo e questa sua critica ferrata alle “bugie” filosofiche del suo tempo, Schopenhauer viene interpretato come uno dei “maestri del sospetto” (insieme a Nietzsche e Freud), perché ha demolito tutte le convinzioni metafisiche più accettate dall’uomo di sempre. La conclusione della sezione metafisica, dopo fenomeno e noumeno, dopo la volontà di vivere e dopo tutte le convinzioni sbugiardate, è che la vita è male. I SEZIONE SOTERIOLOGICA È una sezione soteriologica, che mira a trovare una via per salvarsi dalla volontà di vivere. Le vie sono quella estetica e l’ascesi. A Schopenhauer non interessa chiarire cosa sia il bello, quanto analizzare l’esperienza d’arte (sia sotto forma di produzione che di fruizione) che libera dalla brama. Contemplando l’opera d’arte, l’uomo si sottrae al mondo fenomenico. L’opera d’arte è un oggetto (e quindi inserito nel mondo fenomenico) ma rispettivamente a tutti gli altri oggetti l’uomo non può minimamente modificare nulla di profondo dell’opera d’arte. Essa pone l’uomo di fronte ad archetipi, modelli ideali, eterni. Di fronte ad essi l’uomo non prova più brama ma una sospensione dei desideri. L’uomo di fronte all’opera d’arte si trova in uno stato contemplativo. La fruizione dell’arte libera dai bisogni. Ogni personaggio dell’opera d’arte ha un destino immutabile. Lo spazio e il tempo del quadro ci sono ma sono diversi da quelli dell’uomo. La più alta espressione artistica è la musica, perché si sottrae alle immagini in cui si esprimono la pittura, la scultura, il teatro. La musica non usa immagini molto simili alla vita. Tuttavia l’esperienza estetica ha un limite: è temporanea; i problemi della vita si allontanano per un po’ ma poi ritornano. II SEZIONE SOTERIOLOGICA La seconda via proposta è l’ascesi. Schopenhauer ritiene che ad essa non ci si possa giungere se non per tappe: la giustizia e la compassione. Questa è una via definitiva di liberazione. La prima tappa è fare esperienza della giustizia: chi vuole essere giusto intende trattare gli altri come tratta sé stesso e viceversa. L’uomo giusto non fa eccezioni, vuole riconoscere i meriti altrui come i propri e riconoscere le proprie colpe come quelle degli altri. La giustizia porta alla compassione: il riconoscere che la propria miseria è anche quella degli altri. L’uomo riconosce che gli uomini sono tali e non possono essere diversamente. Non ci sono né meriti né demeriti, questa è un’illusione. L’essere compassionevole ha una chiara visione della realtà, comprende che gli uomini sono tutti uguali e tutti “agiti”. Dalla compassione si passa all’ascesi, cioè alla liberazione della brama, dal dolore e dalla noia. L’asceta capisce di essere in un mondo illogico e determinato, che le cose sono soggette alla causa da un punto di vista fenomenico ma sono assurde da un punto di vista noumenico. L’asceta vi si riconoscere e si eleva. Non c’è la volontà di determinare una morale; l’unica etica è quella della compassione, che vuole unire tutti gli uomini metafisicamente. Dalla compassione scorre la noluntas, il non volere. Questo è possibile guardando il mondo con indifferenza, con distacco, estirpando il proprio desiderio con la povertà, il digiuno, la mortificazione. L’asceta non si ritira dal mondo ma lo distrugge.