Pet Therapy una valida cooterapia per soggetti affetti da Disturbo Autistico” “ a cura di Teresa Dragonetti INDICE INTRODUZIONE………………………………………………… ….. .3 CAPITOLO I…………………………………………………………....4 1.1. Che cos’è l’autismo e come si manifesta……………………..4 1.2. Le aree colpite dalla sindrome………………………………..5 1.3. Disturbi associati……………………………………………...7 1.4. Possibili cause……………………………………………...…8 1.5. Diagnosi differenziale………………………………………...8 1.6. Terapie………………………………………………………...9 CAPITOLO II…………………………………………………………10 2.1. Pet Therapy……………………………………...…………...10 2.2. Strutturazione………………………………………………...11 2.3. Principi base della Pet Therapy………………………………12 2.4. Funzioni……………………………………………………....13 2.5. Meccanismi d’azione………………………………………....14 2.6. Il lavoro di equipe…………………………………………….16 2.7. Animali utilizzati……………………………………………..17 2.7.1. Ippoterapia…………………………………………...17 2.7.2. Delfinoterapia………………………………………..18 2.7.3. Dogtherapy………………………………………….19 2.8. L’educazione del cane………………………………………...20 2.9. La pet therapy ed i pazienti autistici…………………………..21 2.9.1. Esempio di un progetto di AAT con bambini autistici...22 2.9.1.1. Setting terapeutico e metodologia della ricerca……...23 2.9.1.2 Risultati……………………………………………………24 Conclusioni……………………………………………………… ……………..25 Bibliografia……………………………………………………… …………….27 Introduzione Affrontare in maniera esaustiva le problematiche legate all’autismo è compito a dir poco arduo, per tal motivo la mia ricerca si limita a cercare di fornire un quadro generale di quale opinione il mondo scientifico esprima attualmente sulla patologia, focalizzando lo sguardo su una recente tendenza, quella di considerare l’autismo non più, o non solo, una malattia psichiatrica ma una complessa sindrome basata su disordini fisiologici e biochimici che hanno un comune punto finale nel danneggiamento cognitivo e relazionale. Intervenire precocemente è il passo iniziale per sperare in un successo terapeutico, è corretto parlare di terapia e non di cura. Fortunatamente negli ultimi anni i casi di diagnosi tardiva sono in forte diminuzione ma fino a vent’anni fa questa avveniva frequentemente in età scolare. L’uso dei cani nella terapia applicata con i bambini autistici, sembra ottenere risultati confortanti. Il bambino autistico, attraverso un rapporto con il cane fondato soprattutto sul gioco, può giungere ad una progressiva presa di coscienza di sé quanto alle limitazioni, ma anche alle possibilità. Un disabile privo di motivazione a causa della monotonia dell’esercizio terapeutico, può scoprire attraverso il cane l’uso della perseveranza e migliorare le sue capacità di attenzione. I programmi che prevedono l’utilizzo del cane come cooterapeuta mirano a sviluppare la sfera emozionale, caratteriale ed affettiva, il comportamento sociale e i meccanismi di relazione, hanno una funzione educativa ed allo stesso tempo ludica. Un bambino autistico può essere stimolato alla comunicazione attraverso il gioco, ad elaborare o migliorare il linguaggio verbale, ad interpretare i segnali non verbali impliciti nella comunicazione. Il cane diviene elemento di scambio affettivo che stimola la conoscenza di sé, la curiosità e l’attenzione e può divenire una valvola di sfogo emozionale. Non meno importante è la possibilità di apprendere attraverso l’esperienza, anche se il passo successivo, cioè la generalizzazione dei comportamenti acquisiti a contesti nuovi, rimane uno degli scogli più grandi da superare nell’approccio terapeutico. CAPITOLO I 1.1. Che cos’è l’autismo e come si manifesta Fino all'inizio di questo secolo, si riteneva che le persone che presentavano i sintomi che oggi chiamiamo autismo fossero colpite da una forma di psicosi. Il termine autismo fu utilizzato per la prima volta da Bleuler nel 1911 per indicare la perdita di contatto con la realtà di pazienti schizofrenici, e venne ripreso da Kanner nel 1943 per identificare un gruppo di bambini che sembravano particolarmente abitudinari e mostravano uno sviluppo anormale del linguaggio e rifiuto del contatto sociale. Poiché si trattava di bambini che apparentemente non presentavano danni organici, l'ipotesi iniziale fu che la responsabilità dell'autismo risiedesse in una precoce difficoltà nel rapporto fra la madre e il bambino. Rimland, nel 1965, differenziò l'autismo infantile dalla schizofrenia, e Rutter, nel 1968, descrisse altri sintomi caratteristici di questi bambini, come la difficoltà a guardare negli occhi e a compiere i gesti anticipatori dell'essere presi in braccio. Importanti contributi alle descrizioni cliniche sono merito dei lavori di Bettelheim, Tustin, Wing, Rutter e Schopler, ed infine degli studi sulla "teoria della mente", con Frith e Baron-Cohen. L'autismo è considerato dalla comunità scientifica internazionale un disturbo pervasivo dello sviluppo, caratterizzato da una compromissione qualitativa nelle aree dell'interazione sociale, della comunicazione, del gioco simbolico e di immaginazione. Il disturbo autistico viene definito "pervasivo" in quanto interessa lo sviluppo dell'intelligenza, l'attenzione, la memoria, il linguaggio, l'imitazione, e in generale, l'adattamento all'ambiente. Nelle persone con autismo si osserva spesso un ritardo mentale, che può variare da lieve a grave, associato alle difficoltà nell'immaginazione ed alle particolarità del modo di elaborare le informazioni. Il loro profilo evolutivo ha spesso un andamento irregolare ed in casi molto rari può essere accompagnato da isole di abilità. La sintomatologia viene di solito messa in evidenza intorno ai due anni (alcune carenze potrebbero evidenziarsi prima), successivamente si manifesta come disturbo pervasivo dell’evoluzione che mette a repentaglio il funzionamento mentale e la capacità di interagire con gli altri. La caratteristica fondamentale del disturbo autistico è quindi legata all’isolamento, all’impossibilità di "accettare" una compartecipazione sociorelazionale, a questa si associano spesso disordini comportamentali, urla, attività motorie ripetitive e compulsive come dondolarsi, talvolta anche ipercinesie irrefrenabili e comportamenti auto o etero aggressivi. Aspetti particolari sono rappresentati da risposte anormali agli stimoli sensoriali, spesso interpretate come insensibilità al dolore, reazioni "catastrofiche" in risposta a stimoli come carezze, abbracci o il semplice contatto fisico. Il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, IV edizione( DSM-IV-TR), inserisce l’autismo nella categoria dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (PDD), Pervasive Developmental Disorders insieme con il Disturbo di Rett, il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, il Disturbo di Asperger, e il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato. Nel DSM IV (1996) la novità più importante, rispetto alla precedente del 1987, è lo spostamento della categoria di cui fa parte l'autismo, i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo: dai disordini a decorso lungo, stabili e con prognosi infausta ai disordini episodici e transitori. Ciò implica l'aver riconosciuto che i sintomi possono variare ed attenuarsi. 1.2. Le aree colpite dalla sindrome I sintomi della malattia si manifestano nelle tre aree della personalità già menzionate: comunicazione verbale e non verbale, interazione sociale e immaginazione o repertorio di interessi. Comunicazione verbale e non verbale Il linguaggio viene utilizzato in maniera singolare o addirittura non compare; spesso avviene la ripetizione di parole, suoni o frasi che si sentono pronunciare(ecolalia). I soggetti autistici mostrano notevoli difficoltà ad impiegare i nuovi apprendimenti in modo costruttivo in situazioni diverse. Quando il linguaggio si sviluppa, l'altezza, l'intonazione, la velocità, il ritmo o la sottolineatura possono risultare anomali (per es., il tono di voce può essere monotono o contenere accentuazioni di tipo interrogativo in frasi affermative). Le strutture grammaticali sono spesso immature e includono un uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo (per es., ripetizione di parole o frasi indipendentemente dal significato; ripetizione di ritornelli o di spot pubblicitari) o linguaggio metaforico (linguaggio che può essere capito chiaramente solo da coloro che hanno familiarità con lo stile di comunicazione del soggetto). Un'anomalia nella comprensione del linguaggio può essere evidenziata dall'incapacità di capire domande semplici, istruzioni, o scherzi. Tipicamente, non vi sono periodi in cui lo sviluppo sia stato inequivocabilmente normale, sebbene in alcuni casi siano stati riferiti uno o due anni di sviluppo relativamente normale. In una minoranza dei casi, i genitori riferiscono una regressione nello sviluppo del linguaggio, che generalmente si manifesta come cessazione del linguaggio dopo che il soggetto ha acquisito 5-10 parole. Interazione sociale Si nota un’pparente carenza di interesse e di reciprocità con gli altri; una tendenza all'isolamento e alla chiusura; un’apparente indifferenza emotiva agli stimoli o ipereccitabilità agli stessi; difficoltà ad instaurare un contatto visivo (es. guardare negli occhi le persone), ad iniziare una conversazione o a rispettarne i turni, difficoltà a rispondere alle domande e a partecipare alla vita o ai giochi di gruppo. Non è infrequente che bambini affetti da autismo siano inizialmente diagnosticati come sordi, perché non mostrano alcuna reazione, come se non avessero udito appunto, quando sono chiamati per nome. Nel Disturbo Autistico la natura della compromissione dell'interazione sociale può cambiare nel tempo e può variare a seconda del livello di sviluppo del soggetto. Nei bambini in età infantile vi può essere incapacità di stare in braccio; indifferenza o avversione all'affetto o al contatto fisico; mancanza di contatto visivo, di risposta mimica, o di sorrisi finalizzati al rapporto sociale; mancanza di risposta alla voce dei genitori. I bambini piccoli con questo disturbo possono trattare gli adulti come intercambiabili oppure possono attaccarsi meccanicamente ad una determinata persona. Nel corso dello sviluppo il bambino può diventare maggiormente disponibile ad essere coinvolto passivamente nell'interazione sociale, e può anche diventare più interessato alla stessa. Comunque, anche in questi casi, il bambino tende a trattare le altre persone in modi inusuali (per es., aspettandosi che le altre persone rispondano a domande rituali in modi specifici, avendo uno scarso senso dei confini delle altre persone, ed essendo eccessivamente intrusivi nell'interazione sociale). Nei soggetti più grandi, le prestazioni che comportano memoria a lungo termine (per es., orari dei treni, date storiche, formule chimiche, parole esatte di canzoni ascoltate anni prima) possono essere eccellenti, ma le informazioni tendono ad essere ripetute più e più volte, a prescindere dall'adeguatezza dell'informazione rispetto al contesto sociale. Il tasso del disturbo è da 4 a 5 volte maggiore nei maschi che nelle femmine. Le femmine con questo disturbo hanno comunque maggiori probabilità di avere un ritardo mentale più grave. Immaginazione o repertorio di interessi Di solito un limitato repertorio di comportamenti viene ripetuto in modo ossessivo; si possono osservare sequenze di movimenti stereotipati (per es. torcersi o mordersi le mani le mani, sventolarle in aria, dondolarsi, ecc.) detti appunto stereotipie. Queste persone possono manifestare eccessivo interesse per oggetti o parti di essi, in particolare se hanno forme tondeggianti o possono ruotare (biglie, trottole, eliche, ecc.). Si riscontra una resistenza al cambiamento che per alcuni può assumere le caratteristiche di un vero e proprio terrore fobico. La persona può esplodere in crisi di pianto o di riso. Può diventare autolesionista, iperattiva ed aggressiva verso gli altri o verso oggetti. Al contrario alcuni mostrano un'eccessiva passività e ipotonia che sembra renderli impermeabili a qualsiasi stimolo. La gravità e la sintomatologia dell'autismo variano molto da individuo a individuo e tendono nella maggior parte dei casi a migliorare con l'età (soprattutto se il ritardo mentale è lieve o assente), anche se una remissione totale dei sintomi è un evento particolarmente raro. 1.3. Disturbi associati Possono esservi anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive. Il profilo delle capacità cognitive è di solito irregolare, a prescindere dal livello generale di intelligenza (per es., una bambina di quattro anni e mezzo con Disturbo Autistico può essere in grado di leggere, cioè può essere iperlessica). In molti bambini con Disturbo Autistico che funzionano ad un livello superiore, il livello della ricezione del linguaggio (cioè, la comprensione del linguaggio) è inferiore a quello del linguaggio espressivo (per es., il lessico). I soggetti con Disturbo Autistico possono avere una gamma di sintomi comportamentali, come iperattività, scarso mantenimento dell'attenzione, impulsività, aggressività, comportamenti autolesivi, e specie nei bambini piccoli, eccessi di collera. Possono esservi risposte eccessive a stimoli sensoriali (per es., un'alta soglia per il dolore, ipersensibilità ai suoni o all'essere toccato, reazioni esagerate alla luce o agli odori, affascinata attrattiva per certi stimoli). Possono esservi anomalie nell'alimentazione (per es., limitazioni dietetiche) o nel sonno (ricorrenti risvegli notturni con dondolamenti). Possono essere presenti anomalie dell'umore o dell'affettività (per es., riso sciocco o pianto senza apparente motivo, un'apparente assenza di reazioni emotive). Può esservi mancanza di paura di fronte a pericoli reali, ed un eccessivo timore di fronte ad oggetti innocui. Possono essere presenti svariati comportamenti autolesivi (per es., sbattere la testa o le dita, o morsicare le dita, le mani o i polsi). Nell'adolescenza o nella prima età adulta, i soggetti con disturbo autistico che hanno capacità intellettive di introspezione possono diventare depressi quando si rendono conto delle loro gravi compromissioni. 1.4. Possibili cause Non è stata individuata una causa scatenante specifica per l'autismo, anche se molti e diversi sono i fattori osservati che possono contribuire allo sviluppo della sindrome. Poiché nel 60% dei casi gemelli omozigoti (che hanno lo stesso patrimonio genetico) risultano entrambi affetti, viene considerata anche la probabilità di una componente genetica, ma i risultati degli studi non sono esaustivi a riguardo. Spesso l'autismo è associato a ritardo mentale, all'epilessia (30%dei casi) e a svariate sindromi neurobiologiche quali sindromi neurocutanee (ipomelanosi di Ito, sclerosi tuberosa neurofibromatosi),sindromi malformative (sindrome di De Lange, sindrome di Williams), sindromi cromosomiche (sindrome dell'X fragile), disturbi del metabolismo (fenilchetonuria)... Come fattori implicati sono stati riscontrate anche anomalie strutturali cerebrali (cervelletto,amigdala, ippocampo, setto e corpi mammillari), anomalie a livello di molecole che hanno un ruolo nella trasmissione degli impulsi nervosi nel cervello (serotonina, beta-endorfine). Nessuno di questi fattori può tuttavia essere considerato come "la causa dell'autismo", poiché, anche presi tutti insieme, essi rendono conto solo di una parte della popolazione di persone affette da autismo. 1.5. Diagnosi differenziale Nel normale sviluppo si possono osservare periodi di regressione dello sviluppo, ma questi non sono né così gravi né così prolungati come nel disturbo autistico. Il disturbo autistico deve essere distinto dagli altri Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Il Disturbo di Rett differisce dal Disturbo Autistico per la sua caratteristica distribuzione tra i sessi e per il tipo dei deficit. Il è stato diagnosticato solo nelle femmine, mentre il Disturbo Autistico si manifesta molto più frequentemente nei maschi. Nel Disturbo di Rett vi è una modalità caratteristica di rallentamento della crescita del cranio, la perdita di capacità manuali finalistiche già acquisite in precedenza e l'insorgenza di andatura o di movimenti del tronco scarsamente coordinati. Specie durante l'età prescolare, i soggetti con Disturbo di Rett possono mostrare difficoltà nell'interazione sociale simili a quelle osservate nel Disturbo Autistico, ma queste tendono ad essere transitorie. Il Disturbo Autistico differisce dal Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, che presenta una modalità caratteristica di regressione dello sviluppo dopo almeno due anni di sviluppo normale. Nel Disturbo Autistico, le anomalie di sviluppo vengono di solito notate nel primo anno di vita. Quando non sono disponibili informazioni sullo sviluppo precoce o quando non è possibile documentare il periodo di sviluppo normale richiesto, si dovrebbe fare diagnosi di Disturbo Autistico. Il Disturbo di Asperger può essere distinto dal Disturbo Autistico dalla mancanza di ritardo nello sviluppo del linguaggio. Il Disturbo di Asperger non viene diagnosticato se sono soddisfatti i criteri per il Disturbo Autistico. Disturbo di Rett La Schizofrenia con esordio nella fanciullezza di solito si sviluppa dopo anni di sviluppo normale, o quasi normale. Si può fare una diagnosi aggiuntiva di Schizofrenia se un soggetto con Disturbo Autistico sviluppa le caratteristiche tipiche della Schizofrenia con sintomi della fase attiva caratterizzati da rilevanti deliri o allucinazioni che durano per almeno un mese. Nel Mutismo Selettivo il bambino di solito mostra adeguate capacità di comunicazione in alcuni contesti e non ha la grave compromissione nell'interazione sociale e le modalità ristrette di comportamento associate col Disturbo Autistico. Nel Disturbo della Espressione del Linguaggio e nel Disturbo Misto della Espressione e della Ricezione del Linguaggio vi è una compromissione del linguaggio, ma essa non è associata con la presenza di compromissione qualitativa nell'interazione sociale e con modalità di comportamento ristrette, ripetitive, e stereotipate. Talvolta è difficile determinare se un'ulteriore diagnosi di Disturbo Autistico sia giustificata in un soggetto con Ritardo Mentale, specie se il Ritardo Mentale è Grave o Gravissimo. Una diagnosi aggiuntiva di Disturbo Autistico è riservata a quelle situazioni in cui vi sono deficit qualitativi delle capacità sociali e di comunicazione ed i comportamenti specifici caratteristici del Disturbo Autistico. Le stereotipie motorie sono caratteristiche del Disturbo Autistico; una diagnosi aggiuntiva di Disturbo da Movimenti Stereotipati non va fatta se questi sono meglio giustificati come parte della sintomatologia del Disturbo Autistico. 1.6. Terapie Esistono numerosissimi orientamenti circa la possibilità di cura del disturbo autistico, ma nessuna è riconosciuta efficace in maniera assoluta. Sarebbe forse più conveniente parlare di tentativi di migliorare i deficit sociali e comunicativi nell’autismo. Trattamenti farmacologici, vitaminici e dietetici, la terapia familiare sistemica, il programma americano TEACCH, programmi di comunicazione facilitata, il training uditivo, la therapie d’echange e development,la terapia delle psicosi infantili, il metodo Delacato, l’intervento comportamentale precoce di Loovas, il metodo Floortime di Greenspan, la terapia logopedica, quella psicomotoria e tanti altri più recenti orientamenti. Essendo impossibile fare una panoramica esauriente dei possibili trattamenti, mi limiterò a fornire informazioni sull’approccio della terapia con l’ausilio dell’animale (pet therapy), in particolare del cane. II CAPITOLO 2.1. Pet Therapy Il termine Pet in inglese significa “animale domestico” o da compagnia. Toccare un animale, accarezzarlo, sono azioni che procurano un piacevole contatto fisico, uno dei principali fattori di comunicazione interpersonale e interspecifica, e allo stesso tempo stimolano la creatività, la curiosità e la capacità di osservazione. Per Pet Therapy si intende una pratica terapeutica che prevede l’impiego di animali come tecnica d'intervento per migliorare lo stato di salute di pazienti con problemi psicofisici: l'animale diventa "co-terapeuta" nel processo di guarigione, rivestendo il ruolo di "mediatore emozionale" e"catalizzatore" dei processi socio-relazionali. È importante sottolineare che la Pet Therapy non rappresenta una terapia sostitutiva, ma costituisce un'integrazione alle terapie "tradizionali". Inserire un animale in un contesto di disagio da sanare non significa di per sé attuare una terapia, devono esserci alla base una giustificazione logica, un preciso scopo, una chiara metodologia, un coinvolgimento di figure professionali preparate per questo tipo di approccio e, ovviamente, la selezione di animali adatti. La storia della pet therapy ha origini lontane, già nel 1792 in Inghilterra William Tuke si occupa di pazienti con disturbi mentali e per primo intuisce l' importanza della presenza degli animali all' interno della struttura. Si prodiga affinché siano i malati a prendersene cura, notando un conseguente apprezzabile miglioramento dell' autocontrollo e dei rapporti umani. Nel 1875 In Francia il medico Chessigne prescrive l' equitazione a pazienti con problemi neurologici e ne migliora l' equilibrio ed il controllo muscolare. La prima applicazione documentata di “Pet Therapy” risale però al 1953, quando il neuropsichiatra infantile Boris Levinson scoprì in maniera casuale che un bambino con tratti autistici, in cura presso di lui, si dimostrò più spontaneo e più disponibile all'interazione, dopo aver avuto un contatto da lui stesso voluto, con il proprio cane. In questo modo Boris Levinson, introdusse nella cura dei suoi piccoli pazienti psicotici la presenza di alcuni animali, utilizzandoli come vero e proprio presidio terapeutico, e dimostrando che l'affetto di un animale domestico produceva un aumento dell'autostima e soddisfaceva il bisogno di amore. Nel 1970 le esperienze di Levinson furono riprese da due psichiatri americani, Samuel ed Elisabeth Corson, che studiarono l’interazione tra un gruppo di giovani pazienti affetti da turbe psichiche e dei cani che vivevano presso l’ospedale di degenza dove essi operavano, in Ohio, negli Usa. Venne registrato un miglioramento dei rapporti interpersonali tra i pazienti e il personale e tra gli stessi coodegenti. Nel 1977 Erika Friedman, ricercatrice americana, rileva che esiste una correlazione tra la sopravvivenza ed il possesso di animali da compagnia in persone che hanno avuto un infarto cardiaco. Le sue ricerche verificano la potenzialità del rapporto uomo-animale nel ridurre l'ipertensione ed il rischio di infarto. Nonostante ciò, esistono numerose organizzazioni che operano in questa direzione con risultati soddisfacenti nel campo sociosanitario. Nel 1981, viene creata negli Stati Uniti la Delta Society, associazione che si prefigge di studiare l'interazione uomo-animale. La Pet Therapy sbarca in Italia nel 1987 tramite un Convegno Interdisciplinare su "Il ruolo degli animali nella società odierna", tenutosi a Milano il 6 dicembre al quale hanno partecipato esperti di fama internazionale. Nel 1990 nasce, sempre in Italia, il C.R.E.I. (Centro di Ricerca Etologica Interdisciplinare per lo Studio del Rapporto uomoanimale da compagnia) che unisce studiosi di varie discipline inerenti la salute umana ed animale, l'ambiente ed il comportamento. Nel giugno del 1994 il Centro di Collaborazione OMS/FAO per la Sanità Pubblica Veterinaria di Roma interagendo con altre strutture, organizza il 1° corso informativo di "Pet Therapy" ed Ippoterapia. Attualmente nel nostro paese non esiste ancora un protocollo di legge che la regolamentianche se esistono numerose organizzazioni che operano in questa direzione . 2.2. Strutturazione A partire dagli anni 80 il programma Pet Therapy è stato suddiviso in fasi distinte tra loro: 1) La AAA (Animal–Assisted Activities) è un attività svolta con l’ausilio di animali che ha lo scopo di apportare benefici motivazionali, educazionali e ricreativi, mirando al miglioramento della qualità della vita di alcune categorie di persone come anziani, ciechi, malati terminali, ecc. La AAA si esprime in una varietà di attività condotte da professionisti e volontari in associazione con animali che presentano particolari criteri e caratteristiche (ovviamente il personale deve possedere specifiche conoscenze sugli animali e sulla popolazione con cui interagisce). La AAA può essere sia attiva che passiva: passiva in quanto la persona, pur non toccando l’animale, trae ugualmente benefici dalla sua presenza o dai suoni da lui emessi (es. l’introduzione di un acquario o di una gabbia di uccelli in uno studio medico o in una casa); attiva in quanto la persona gioca con gli animali, vi interagisce direttamente, favorendo in questo modo la socializzazione e uno stato di rilassamento. In questo tipo di attività non sono necessari obiettivi specifici programmati e la durata non viene prestabilita. 2) La AAT (Animal–Assisted Therapy), è una terapia effettuata con l’ausilio di animali finalizzata a migliorare le condizioni di salute di un paziente mediante specifici obiettivi. Si tratta di una terapia di supporto (cooterapia) che rafforza, integra e coadiuva le terapie normalmente effettuate . I meccanismi su cui interviene la AAT e gli obiettivi che si prefigge sono molteplici e riguardano: la sfera cognitiva, si propone infatti di migliorare alcune capacità mentali, mnestiche e relative al pensiero induttivo; comportamentale, si verifica il controllo dell’iperattività, il rilassamento corporeo e acquisizione di schemi di regole; psicosociale, si riscontra un miglioramento delle capacità di interazione e relazionali; psicologica, si ha la possibilità di effettuare un trattamento della fobia animale e un miglioramento dell’autostima. I benefici che si possono trarre non riguardano solo la sfera psichica ma anche quella fisica dall’ elevata pressione arteriosa,alle disfunzioni cardiache, la rigidità muscolare, le forme di sclerosi che impediscono i normali movimenti fisici, scarsa e difficile funzionalità degli arti sia superiori che inferiori.. I soggetti a cui è rivolta questa pratica terapeutica sono bambini che presentano le psicopatologie che comprendono disturbi dell'apprendimento, delle capacità motorie, della comunicazione, disturbi generalizzati dello sviluppo (autismo), dell'attenzione, del comportamento, della nutrizione e altro (ansia da separazione, disturbo reattivo dell'attaccamento); individui che presentano le psicopatologie dell’età adulta, in particolare disturbi correlati all'assunzione di sostanze, cognitivi (demenze, ecc.), schizofrenia, disturbi dell’umore, ansia e depressione, dell'adattamento, di personalità, dell'alimentazione e portatori di handicap (psichici e/o fisici). Nella AAT gli animali vengono utilizzati al solo scopo terapeutico, gli obiettivi i tempi ed i luoghi della terapia sono predefiniti ed organizzati. Quindi tale terapia per risultare efficace deve, innanzitutto, individuare gli obiettivi specifici per ciascun destinatario dell'intervento, definire una chiara metodologia, valutare i progressi in itinere, deve essere finalizzata al raggiungimento di obiettivi di salute e fattore importante essere gestita da professionisti . 3) La A.A.E. (Animal Assisted Education) non è una vera e propria terapia, ma consiste nel migliorare e incoraggiare la responsabilità e le interrelazioni tra l’uomo, gli animali e la natura, quindi si tratta di educazione assistita con l’ausilio dell’animale. 2.3. Principi base della Pet Therapy Il principio fondamentale su cui si articola la Pet Therapy è il soddisfacimento del bisogno d'amare, d'affetto e di legami interpersonali che l’animale co-terapeuta è in grado di fornire. L’animale agisce come soggetto attivo che crea con la persona trattata uno scambio reciproco fatto di emozioni e di stimoli che provocano cambiamenti ed effetti positivi in entrambi. Con persone disturbate gli animali trovano un canale preferenziale per entrare in contatto, riuscendo a volte a sbloccare condizioni patologiche cronicizzate negli anni. Elemento fondamentale del rapporto uomo-animale, è dato dal contatto fisico. La sensazione tattile conduce alla coscienza della propria corporeità e alla formulazione di un’identità personale e psicologica; infatti, la mancanza o carenza di stimoli corporei nell'infanzia è uno dei fattori prioritari di ritardo fisico e psichico, delle sindromi da deprivazione e delle difficoltà relazionali. Inoltre, la soddisfazione del bisogno di affetto e di relazione "interpersonale" crea le condizioni di un buon equilibrio psico-fisico, specialmente nei bambini, negli anziani, nei malati. Il prendersi cura dell'animale, favorisce il senso di responsabilità, l’autostima, la socializzazione e l’attività ludica quanto mai auspicabili nel caso di bambini e di adulti che hanno perso la fiducia in se stessi. La socializzazione è ottenuta grazie al tipo di comunicazione fra l'animale e la persona che si realizza con gesti, sguardi e contatti. Questo tipo di rapporto basato sulla naturalezza e la spontaneità, a volte difficili nelle convivenze tra esseri umani, determina una sorta di tranquillità e di sicurezza riducendo in questo modo uno stato ansiogeno. Inoltre l'assenza di atteggiamento competitivo o minaccioso nell’ animale, ha effetti di contenimento delle angosce e delle apprensioni. La responsabilizzazione si realizza perché accudire un animale richiede delle attenzioni ed obbliga a svolgere delle mansioni che possono essere importanti per la crescita e lo sviluppo in ambito adolescenziale. 2.4. Funzioni Lo studioso Veevers nel libro “Pets and The Family” ha individuato le possibili funzioni dell’animale da compagnia che sono fondamentalmente di quattro tipi: 1) una funzione proiettiva, che si riferisce alla tendenza a “proiettare” sull’animale caratteristiche proprie. 2) una funzione di lubrificante sociale, nel senso che può incrementare la quantità e la qualità delle interazioni sociali, 3) una funzione di surrogato, che si ha quando l’animale viene visto in senso prevalentemente antropomorfo, cioè gli si attribuiscono, in modo più o meno inconsapevole, caratteristiche umane. 4) una funzione di capro espiatorio diventando un elemento su cui scaricare le proprie ansie e frustrazioni. Secondo il sociologo Mario Abis (Presidente della Makno Ricerca di Milano), l’animale domestico sembra essere in grado di rispondere a quattro bisogni fondamentali nell’uomo, quelli che costituiscono “la teoria delle 4 S”: 1) sicurezza, 2) sensibilità, 3) silenzio, 4) stabilità. L’animale in poche parole ci tranquillizza. 2.5. Meccanismi d’azione I meccanismi d'azione che entrano in gioco in un programma di Pet Therapy vertono principalmente sulla relazione tra la sfera affettivo-emotiva e quella biologica. I meccanismi emozionali che si innescano sono alla base del successo che questo tipo di terapia sta suscitando. Le emozioni, intese non soltanto come un moto dell'anima, ma piuttosto come espressione di modificazioni neuroendocrine, hanno dunque una base d'azione biologica e sostanzialmente seguono le stesse vie biochimiche e nervose della risposta del rilassamento psico-fisico. Tuttavia le ricerche che si stanno accumulando in merito a questa terapia indicano diversi tipi di modalità di azione che quasi sempre si potenziano tra loro e che possono venire riunite nei seguenti meccanismi: Meccanismo Affettivo-Emozionale L’animale esprime un’emozione comunicativa e quanto più forte è il legame emozionale della coppia animale - paziente, tanto più intensi saranno i risultati positivi ottenuti. In alcune ricerche è stato osservato che vi è una relazione tra emozione, rilassamento ed effetti sanitari benefici. Ad esempio, la tecnica del rilassamento, attraverso un rassicurante rapporto con un animale amico, comporta una serie di variazioni fisiologiche che sono opposte alla risposta reattiva causa di stress, soprattutto cronico. Come conseguenza si assiste ad una diminuzione del ritmo cardiaco e di quello respiratorio, nonché della pressione arteriosa e del tono muscolare, con variazione delle onde elettroencefalografiche. Secondo le più recenti vedute la Pet Therapy, almeno in parte, opera proprio attraverso le stesse vie biochimiche della risposta di rilassamento. Nel determinare gli effetti emozionali concorre in maniera preponderante la comunicazione tattile. Il contatto fisico rappresenta uno dei principali canali d'interazione sul quale è strutturato il legame fra gli esseri viventi. Infatti, il contatto corporeo con il Pet, in funzione della genuinità e spontaneità con cui si realizza, è in grado, principalmente con i bambini ma anche con gli adulti, di fornire gratificazioni attraverso sensazioni tattili, calore, morbidezza, postura, movimento coordinato, realizzando una forma di comunicazione che è primaria e più immediata rispetto al linguaggio verbale. In questa ottica potremmo affermare che tale contatto facilita le capacità relazionali del Soggetto. Meccanismi Biologici Il contatto fisico con gli animali innesca una serie di reazioni che sul piano clinico, si traducono nell'uomo in: riduzione della pressione arteriosa rallentamento del ritmo cardiaco diminuzione della frequenza respiratoria. Lo stretto legame tra emozione, benessere e salute è correlato ad un aumento del tono dell’umore. Collegato al senso di benessere vi è anche l'aumento in circolo di endorfine, ormoni che, se presenti in scarse quantità, concorrono a rocurare malessere, mentre l’aumento può determinare uno stato di piacere o di benessere. Stimolazione psicologica Un intenso rapporto uomo-animale rappresenta un forte stimolo psicologico, che coinvolge diversi settori della psiche umana: comportamento sociale e meccanismi di relazione, componenti caratteriali ed aspetti cognitivi. La presenza partecipata di un animale induce la persona ad “uscire” dai suoi problemi, interessarsi all’animale e tramite questo anche agli altri. Da questa partecipazione scaturiscono molti effetti benefici, anche indiretti. Meccanismi psicologici e psicosomatici Accanto al meccanismo fisico della Pet Therapy si associa quello psicologico. La presenza di un animale può essere importante nell’adolescente in cui spesso si verificano problemi di paura del mondo che lo circonda con conseguenti fenomeni di chiusura in se stesso, emarginazione e difficoltà di interazione con gli altri. L'animale, infatti, si pone nei confronti dell'essere umano con molta naturalezza ed immediatezza ed è sicuramente privo di atteggiamenti giudicanti, che invece spesso assume l'uomo: tale comportamento agevola la comunicazione. L’animale inoltre è in grado di interagire con soggetti portatori di handicap fisici o psichici, a qualsiasi livello di gravità, senza alcuna variazione nella comunicazione. Da qui il ruolo di lubrificante sociale dell'animale, perfetto tramite per un comportamento sociale più funzionale, per il miglioramento dei meccanismi di relazione, delle componenti caratteriali nonché degli aspetti cognitivi. Un ulteriore meccanismo d'azione della Pet Therapy è quello psicosomatico. Diversi studi dimostrano che sulla base di una correlazione tra malattie psicosomatiche e detenzione di animali, nei possessori di animali, a testimonianza della reale efficacia della Pet Therapy, si evidenzia una riduzione dell'incidenza di tali disturbi. Meccanismo ludico Un aspetto molto importante per comprendere come agisce la Pet Therapy è il gioco, il divertimento e non raramente il ridere, che spesso s’instaura nel rapporto uomo-animale. Il gioco, oltre che aumentare il buonumore, predispone alla socializzazione, rinforza l'attività fisica, aumenta i meccanismi di difesa organici e di conseguenza potenzia le probabilità di guarigione. Meccanismo Fisico La componente fisica della Pet Therapy è indubbiamente importante e viene sfruttata in diverse occasioni; infatti sul piano dell'esercizio fisico la presenza di un animale, in pazienti con disabilità, favorisce l'attività motoria: spazzolare, lanciare la pallina, lavare l'animale, nutrirlo sono attività che richiedono un evidente impegno motorio. Tipici sono gli esempi dell’equitazione terapeutica o ippoterapia, dei giochi in acqua insieme ai delfini o delfinoterapia, delle passeggiate regolari e quotidiane alle quali si deve obbligatoriamente assoggettare chi possiede un cane. La limitazione o la privazione del contatto fisico può comportare delle gravi difficoltà di relazione con gli altri e con il nostro Sè psicologico, il nostro confine interno, nasce e si struttura a partire dal riconoscimento di un confine esterno. Meccanismi Associati Non dobbiamo scordare che i singoli meccanismi già citati agiscono quasi sempre associati fra loro. Ad esempio nella ippoterapia e delfinoterapia la componente fisica si associa sempre a quella emotiva, di interesse per l’ambiente, per gli altri e per il gioco. È questo il motivo per cui una passeggiata a cavallo è sempre più stimolante, da un punto di vista psico-sensoriale, di un esercizio eseguito all’interno di una stanza di riabilitazione motoria. 2.6. Il lavoro di equipe I programmi di pet therapy devono essere pensati, organizzati e continuamente seguiti da numerose figure professionali. Ognuna di esse agisce apportando il proprio contributo specifico e integrandolo con quello dell’altra. I membri del gruppo che hanno il compito di progettare, valutare e svolgere le attività sono Medico Psicologo Terapista della riabilitazione Assistente sociale Infermiere Insegnante Pedagogista Veterinario Etologo Operatore cinofilo Tra questi sarebbe utile nominare un supervisore che studi il setting dal di fuori, senza una partecipazione attiva. La figura solitamente addetta a questa funzione è lo psicologo il quale ha gli strumenti necessari per valutare l’andamento del paziente, il rapporto instaurato tra l’animale ed il soggetto, il rendimento della coppia cane operatore cinofilo, intervenendo se necessario, attraverso un confronto con le altre figure, ad orientare diversamente il lavoro, o controllare la realizzazione degli obbiettivi che ci si era prefissati all’inizio del progetto. 2.7. Animali utilizzati Gli animali presentano un’intelligenza di tipo emozionale ed è proprio su questo aspetto che si fondano i successi della Pet Therapy. E’ importante sottolineare quanto l'animale in sé non abbia una funzione "terapeutica" specifica, ma sia il rapporto che si stabilisce tra lui e il soggetto umano a rivestire un ruolo di grande importanza e che deve essere valutato insieme alle esigenze e alla conoscenza delle problematiche individuali profonde. Gli animali che vengono utilizzati nella Pet Therapy vengono classificati in due categorie: 1) animali portati in visita (vivono al di fuori del servizio), 2) animali residenti (vivono permanentemente nel servizio). La scelta di un animale da coinvolgere nelle Terapie Assistite con Animali (AAT) non è semplice poiché da un errore di valutazione, per quanto trascurabile, possono derivare problemi anche molto gravi per la salute del paziente sottoposto alla terapia. Secondo la Delta Society, solo gli animali domestici possono essere inseriti in programmi di attività e terapie assistite dagli animali, escludendo quindi tutti gli animali selvatici o inselvatichiti, gli animali esotici ed i cuccioli. Tuttavia si è osservato di recente uno spostamento di interesse anche verso altri animali, per definizione non domestici, o meno convenzionali come asini, capre, delfini. Gli animali residenti sono da considerare più funzionali alle AAA che alle AAT. 2.7.1. Ippoterapia La riabilitazione equestre o ippoterapia consiste in un complesso di tecniche rieducative che mirano ad ottenere il superamento di un danno sensoriale, motorio, cognitivo e comportamentale, attraverso l’uso del cavallo come strumento terapeutico. La cavalcata come mezzo di riabilitazione psicofisica è una pratica terapeutica di recente introduzione, e ancor più recenti sono le ricerche e gli studi che ne dimostrano l’efficacia. I principali settori di utilizzo del cavallo in campo terapeutico sono: settore medico: utilizzo, a scopo terapeutico, delle stimolazioni motorie e sensitive indotte dal movimento tridimensionale del dorso del cavallo; settore riabilitativo: impiego terapeutico dello sport equestre sia come fonte di stimoli motori, sia soprattutto come attività educativa e relazionale; settore sportivo: utilizzo dello sport equestre come elemento di inserimento sociale. Uno degli aspetti più interessanti di questa terapia consiste nella straordinaria quantità di stimolazioni sensoriali che il cavallo è in grado di assicurare. Rafferty (1992) ha osservato che andare a cavallo coinvolge ben sei diversi elementi sensoriali, simultaneamente e durante la cavalcata, per cui il paziente riceve stimoli acustici, visivi, olfattivi, ma soprattutto riceve intense stimolazioni tattili, vestibolari (per l’equilibrio) e propiocettive. Inoltre è un valido stimolo affettivo ed un incentivo alla comunicazione. In alcuni casi anche l’alimentazione e la pulizia dei cavalli possono essere dei validi elementi terapeutici. 2.7.2. Delfinoterapia La Dolphin-human-therapy, è stata ideata e sviluppata da David Nathanson, uno psicologo con quasi trenta anni di esperienza. Nelle sue prime ricerche (1980), Nathanson ha studiato la relazione tra il legame uomo-delfino e lo sviluppo di processi quali il linguaggio, la memoria, la comprensione in bambini con disabilità cognitive in cui tale programma terapeutico sembrava apportare dei significativi miglioramenti. Le ricerche sull’intelligenza del delfino, sulle modalità di apprendimento e sull’acqua come riduttori dello stress, suggeriscono che il lavoro in acqua con il delfino potrebbe considerarsi un ottima terapia per migliorare gli aspetti cognitivi dei bambini con disabilità. Per i bambini che partecipano alla terapia, uno dei fattore che si è rivelato essere molto importante, è costituito dalla temperatura dell’acqua al punto che in tutte le sessioni di terapia, nel resoconto dei dati, viene inclusa la temperatura dell’acqua all’inizio della sessione Il programma terapeutico messo a punto da Nathanson (1998), basa le sue fondamenta teoriche su tre punti principali: l’ipotesi del deficit attentivo, che spiegherebbe il perché i disabili hanno in genere difficoltà con il linguaggio e motivazione; condizionamento operante che descrive le procedure operate durante il trattamento per portare il bambino a mettere in atto determinati comportamenti desiderati; un modello di lavoro interdisciplinare che permette una migliore qualità della terapia. Dunque l’ipotesi alla base della delfino-terapia, è che i bambini o gli adulti a contatto con questi animali, aumentino il loro grado di attenzione in quanto motivati dal desiderio di interagire con i delfini. Si può affermare che la pet-therapy contrasta l'iperriflessione dai propri sintomi e dai propri deficit; questa minore attenzione per la propria immagine, sia corporea che psichica, garantisce un maggior tempopsichico, spaziomentale per potersi permettere, concedere, uno sguardo fuori (Dereflessione)che è il passaggio precedente e che favorisce l'Autotrascendnza. 2.7.3. Dog-therapy In questa sede mi soffermerò a descrivere più approfonditamente la terapia con l’ausilio del cane. Si tratta di una scelta non basata su un giudizio di valore assoluto, ma fondata sul naturale e atavico rapporto di “amicizia” che lega il cane all’uomo, sulla consapevolezza della possibilità d’introdurre il cane nella maggior parte dei setting, sulla possibilità di controllo e prevedibilità che abbiamo sull’animale, presupposto necessario per poter affrontare un programma terapeutico con serenità e professionalità. Nel nostro periodo storico si è sviluppata una concezione etica dell’animale, non più meramente utilitaristica e funzionale. Il cane un tempo impiegato solo come ausilio nella caccia, come guardiano della casa o delle greggi, viene finalmente considerato essere senziente, capace di provare emozioni. Inizia a condividere con l’uomo gli spazi familiari, più intimi, entra a pieno titolo a far parte della famiglia ed è riconosciuto dall’immaginario collettivo come il l’amico per eccellenza, capace di fiducia totale ed incondizionata. La tendenza naturale e spontanea del cane a ricercare un contatto con l’uomo, la sua predisposizione al gioco e la grande capacità di apprendere attività che aumentano la possibilità di interazione, lo rendono l’animale forse più indicato da impiegare nella pet therapy. La scelta di un cane da avviare a programmi di pet therapy dovrebbe basarsi su una profonda conoscenza del cane: conoscere le sue origini e l’ambiente in cui è nato può essere rassicurante per l’operatore cinofilo che in tal caso può seguire la crescita del soggetto in ogni particolare, tutelare da subito la sua integrità fisica e psichica, intervenire fin dalla giovane età per preparare il cucciolo al suo futuro lavoro, senza dimenticare che le caratteristiche comportamentali di base sono già un elemento discriminante rispetto alla scelta del cane. Non tutti i cani possono essere impiegati in pet therapy, solo i soggetti che si dimostrano inclini alla socievolezza, predisposti al contatto con l’uomo e successivamente prevedibili nel comportamento possono affrontare un lavoro simile. Avere un temperamento equilibrato diviene indispensabile, se per temperamento intendiamo la capacità di reagire agli stimoli: un cane eccessivamente vivace potrebbe creare dei problemi in setting particolari e in ambienti ristretti, mentre un cane apatico precluderebbe fin dall’inizio ogni possibilità di interazione con il paziente. Essere dotato di un temperamento equilibrato significa quindi rispondere agli stimoli esterni in maniera adeguata, direi anche prevedibile nel caso di un giusto rapporto tra cane e conduttore. E’ chiaro che delle predisposizioni caratteriali più significative esistono anche in un cane particolarmente equilibrato, ci sarà quindi il soggetto più incline al gioco e quello più predisposto alla manipolazione ad esempio. Se si ha la fortuna di poter avere più cani con caratteristiche diverse e complementari si potranno affontare programmi di pet therapy anche molto differenti tra loro, dalla terapia per bambini autistici ad esempio, a quella per malati anziani. Esistono varie posizioni sull’eventualità di utilizzare cani di razza o meno. Probabilmente sapere che il proprio cane è selezionato da generazioni per mantenere al meglio le caratteristiche non solo fisiche ma anche comportamentali della razza può essere rassicurante, ma non è di certo una garanzia assoluta. Anche alcune caratteristiche morfologiche possono far propendere per una razza piuttosto che un’altra, di solito quelle dai tratti neotenici vengono preferite soprattutto nel caso di lavoro con bambini o con pazienti che hanno disturbi a livello psichico, ma parlare di una scelta basata da principio sulle caratteristiche fisiche del cane mi sembra troppo riduttivo. E’scontato affermare che un cane aggressivo sia da escludere assolutamente nel lavoro di pet therapy, ma per creare nel setting quel clima di fiducia ed armonia necessaria alla riuscita del lavoro è anche da escludere un cane sottomesso. Qui farei una prima distinzione tra docilità indotta e spontanea. La prima è frutto di sottomissione, che per quanto celata si legge nell’atteggiamento del cane, nel suo sguardo, di solito basso, nel portamento della coda, nella reazione al momento del semplice richiamo o di un piccolo rimprovero. La seconda è spontanea, nasce dal rapporto di totale fiducia col proprio conduttore, che diviene il primo punto di riferimento, a cui si ubbidisce innanzitutto per amore cieco ed incondizionato. Un cane docile spontaneamente, al momento del richiamo o del comando non assumerà una posizione bassa o con la coda fra le gambe, ma ubbidirà con gioia nel caso sia particolarmente contento di eseguire l’azione o con sufficiente rassegnazione nel caso in cui stia portando a termine un compito non particolarmente gradito. La scelta del cucciolo è quindi momento di grande riflessione a cui segue un lungo periodo di educazione e socializzazione di cui parlerò in seguito. In alcuni casi si può avviare al lavoro di pet therapy anche un cane che si è conosciuto già adulto, purchè sia stato possibile verificarne per un periodo sufficiente le qualità innate e il comportamento acquisito. In questo caso diventa indispensabile l’esperienza dell’operatore cinofilo che dovrà valutare in tutta coscienza i limiti del soggetto ed accettarli, impiegando l’animale in situazioni ben definite. 2.8. L’educazione del cane Un cane che venga avviato al lavoro di pet therapy non deve essere necessariamente addestrato, ma deve aver ricevuto un’ottima educazione di base. Le prime lezioni di vita che il cucciolo deve avere sono a carico della madre e dei fratelli. Il soggetto che abbia avuto la possibilità di vivere con la madre almeno fino al secondo mese di vita sarà sicuramente più predisposto a seguire delle regole, le lotte con i fratelli e le “sgridate” della madre l’avranno reso consapevole del fatto che non tutto è lecito. Spesso cani che mostrano eccessiva eccitabilità, propensione al morso ed iperattività sono stati separati precocemente dalla mamma. Se il cucciolo avrà la fortuna di poter continuare a vivere con i genitori o con cani adulti equilibrati, otterrà parte della sua educazione da loro grazie ad una propensione all’emulazione, alle regole del branco, alla consapevolezza che esistono delle gerarchie. Gli studi scientifici più recenti concordano sul fatto che il cane discenda dal lupo. Nel 1935 R.I. Pocock ipotizzava che le informazioni genetiche necessarie per dare origine a tutte le razze canine odierne fossero portate da quattro tipi di lupi. Il fatto che il cane attuale, quando si accoppia con i lupi, produca una discendenza feconda rafforza tale ipotesi. All’interno del branco i lupi riconoscono un capo ed il rapporto che si instaura con tutti i membri del branco è fondamentale, il lupo è quindi un animale sociale ed il cane ha mantenuto innata questa caratteristica. Per educare un cucciolo è importante tenere sempre a mente la sua origine: al branco si sostituirà la “famiglia umana” ed il nuovo capo branco dovrà saper meritare il suo ruolo. I cani comunicano in gran parte attraverso un linguaggio silenzioso, quello del corpo, ed una serie di rituali che se ben interpretati scongiurano quasi sempre eventuali scontri fisici. Il cucciolo sarà predisposto ad imparare seguendo questo meccanismo, a cui si aggiungerà un linguaggio parlato, quello dell’uomo. Un cane che parteciperà da adulto a programmi di pet therapy dovrà frequentare situazioni e ambienti molto diversi dalle normali case. Fin dal secondo mese di vita sarà opportuno abituarlo a ricevere carezze e coccole anche da estranei, fargli ascoltare una vasta gamma di suoni e rumori, abituarlo alla presenza di bambini e di altri animali. Si procederà quindi alla conoscenza delle diverse superfici su cui camminare, da quelle lisce a quelle sabbiose e instabili, e alla conoscenza di luoghi affollati e pieni di stimoli visivi e uditivi, nonché di oggetti inconsueti.E’ fondamentale abituare il cane a salire in macchina, procedendo poi con piccoli spostamenti fino a viaggi più lunghi. La nostra auto può diventare luogo di grande rilassamento e piacere per un cane che ne abbia avuto esperienza positiva. In un setting terapeutico può accadere che il cane debba aspettare il suo momento di lavoro in macchina o anche nel kennel, soprattutto nel caso di alternanza di più cani nello stesso setting. Fin da cucciolo trascorrervi qualche momento a cui segua un adeguato premio lo farà apparire sempre un luogo pacifico e non certo una stretta prigione. A questa prima e ampia conoscenza del mondo andrà da subito associata la regola del no, accompagnata dal giusto tono di voce. La consuetudine di rinforzare le prestazioni positive con un premio, mangiare, gioco o la semplice carezza, deve essere accompagnata dall’abitudine di impedire che il cane apprenda dei vizi, che se da cucciolo possono apparire anche buffi e divertenti, possono poi trasformarsi in comportamenti pericolosi. A partire dai sei mesi, alla socializzazione con gli esseri umani, con altri cani o altri animali può seguire un’educazione più avanzata, che comprenda i comandi del seduto ( assimilabile anche prima), del terra, del resta. Saper camminare al piede, tornare al momento richiesto sono altri requisiti indispensabili a cui si può aggiungere l’insegnamento del riporto di un oggetto che risulterà utilissimo in fase di pet therapy. Ovviamente un cane capace di fare agility o altri appassionanti esercizi sarà più coinvolgente in determinati casi, ma per la maggior parte dei setting terapeutici non è un elemento discriminante. Un buon operatore cinofilo non deve mai perdere di vista lo stato di buona salute del cane. Dall’igiene alle cure sanitarie: seguire un regolare programma di vaccinazioni, una dieta equilibrata, esami periodici che scongiurino la presenza di zoonosi. Anche il cane più fedele e felice di lavorare in un setting di pet therapy rischia di subire pesanti stress. E’ compito dell’operatore cinofilo cogliere i primi segnali ed intervenire prontamente per evitare che la situazioni peggiori, rinunciando anche ad impiegare il soggetto nel caso in cui sia avvenuto un evento traumatico o troppo stressante, dandogli il tempo e l’opportunità di poter recuperare la piena condizione di equilibrio. L’affiatamento tra l’operatore cinofilo e il suo cane è alla base della riuscita di ogni intervento di pet therapy. 2.9. La pet therapy ed i pazienti autistici Abbiamo visto come nei pazienti autistici persista una compromissione delle interazioni sociali, una comunicazione deviante e dei quadri comportamentali ristretti e/o ripetitivi. Le aree compromesse sono quindi quella delle relazioni sociali, della comunicazione della modalità di comportamento stereotipata. Iniziare un programma di pet therapy con un bambino autistico pone innanzitutto il problema di capire quale sia il livello di compromissione delle varie aree, per porsi degli obbiettivi realizzabili. In alcuni casi è opportuno fare delle scelte precise su quale area sia necessario sviluppare maggiormente. Sperare in un miglioramento della situazione generale è sicuramente auspicabile, ma porsi pochi e realistici obbiettivi da raggiungere è indispensabile. Dopo un’anamnesi del paziente, si definiscono le tipologie di attività, gli interventi sull’ambiente e la scelta della coppia pet-partner. La scelta degli ambienti in cui affrontare attività terapeutiche con i pazienti autistici è motivo di grande disaccordo tra gli studiosi. C’è chi insiste per un lavoro terapeutico in ambienti strutturati, come possono essere quello ospedaliero, luoghi di riabilitazione (le stanze della logopedia o della psicomotricità) in un contesto rassicurante, prevedibile, con precise sequenze temporali. Chi per un importante esecuzione di momenti terapeutici all’interno dell’ambiente familiare, o nella scuola. In molti casi avviene un coinvolgimento attivo dei familiari nelle sedute terapeutiche. E’ opportuno conoscere quale modalità ambientale si sia scelta per poter costruire un programma di pet therapy e conoscere anche l’eventuale presenza dei genitori, ai quali si daranno oltre alle normali informazioni, come avviene sempre quando si avvia un’attività o terapia con l’ausilio degli animali, indicazioni specifiche relative alla presenza dell’animale. Si costruirà quindi un calendario d’incontri. Per promuovere la realizzazione degli obbiettivi realizzabili (miglioramento del linguaggio,, attivazione emozionale, promozione di interessi…) è necessario innanzitutto che il paziente accrediti l’animale come interlocutore e in questo caso riveste un ruolo delicatissimo l’operatore cinofilo che deve gettare le basi per il processo relazionale, diventare un ponte tra il cane e l’utente. Alla realizzazione di un programma ben definito deve far seguito un’attenta analisi dei risultati. 2.9.1. Esempio di un progetto di AAT con bambini autistici L’ANPET (Associazione Nazionale Pet e Terapia) ha iniziato a lavorare con i bambini autistici in collaborazione con l'Istituto di Ortofonologia di Roma. Dall'ottobre 2005 al giugno 2006 un campione costituito da 28 bambini, di età compresa tra i 2 anni e mezzo e i 12 si sono sottoposti ad una seduta settimanale di A.A.T. Il campione è costituito da 18 soggetti maschi e 10 femmine. La ripartizione tra i due sessi corrisponde alla diversa distribuzione del disturbo attestata da diverse ricerche che riportano un rapporto maschifemmine variabile tra 2:1 e 3:1. Le diagnosi si collocano all'interno della categoria dei disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorders, ASD), declinate in diversi livelli di gravità: 11 bambini con diagnosi di disturbo autistico, pari al 40% del campione, un altro 50% con profondi disturbi emotivo-relazionali, di cui il 20% con sospetto di disturbo dello spettro autistico; ad essi si aggiungono un caso di disturbo autistico associato a ritardo cognitivo ed uno di Disturbo disintegrativo dell'infanzia. 2.9.1.1. Setting terapeutico e metodologia della ricerca I 28 bambini sono stati selezionati dall'Istituto di Ortofonologia sia perché giudicati soggetti idonei ad un trattamento con pettherapy, cioè in grado di avvalersi positivamente dell'esperienza garantita dal rapporto con gli animali, sia come campione rappresentativo della complessità, anche diagnostica, dell'intera popolazione che afferisce all'Istituto stesso. Si è trattato quindi di un progetto pilota, mirato ad ottenere dati circa i reali effetti della A.A.T. con i bambini autistici. I pazienti si sono sottoposti ad un protocollo di terapia integrato, comprendente sedute di psicoterapia e sostegno alle famiglie; in alcuni casi erano abbinate nuototerapia. sedute di Ogni seduta di A.A.T, della durata di un'ora circa, si è svolta secondo il protocollo elaborato dall'A.N.P.E.T., che descrive le diverse fasi della seduta stessa, dalla presentazione di sé, alla relazione con gli animali, alla restituzione. Con questi pazienti, inoltre, particolare attenzione è stata posta all'eventualità, tutt'altro che remota, di un loro rifiuto delle attività o di 'tentativi di fuga' dalla situazione. Nel corso delle sedute i bambini sono stati suddivisi in piccoli gruppi, di massimo 6 soggetti. Ciò ha reso possibile un rapporto più diretto e rilassato con loro, che offrisse anche la possibilità di attivare, da parte della psicoterapeuta, dei comportamenti di holding. In tutte le sedute sono state presenti una o due psicoterapeute ed un conduttore che si occupasse in modo specifico e qualificato degli animali, in un atteggiamento di pieno rispetto e tutela del benessere di questi. Oltre a tre esemplari selezionati di levriero afgano, e a diverse specie di volatili, sono stati utilizzati altri piccoli animali che, risultano particolarmente graditi ai piccoli pazienti, quali i conigli nani ed i gatti. Nel corso delle sedute si è provveduto ad una rotazione degli animali, e si è posta cura nel prendere tutte le precauzioni atte a prevenire l'insorgenza di stress legato alla loro attività di mediazione. Altri 'animali', di plastica e peluche, alcuni di alto valore simbolico per alcuni bambini (la chiocciola col suo guscio, la tartaruga corazzata), e l'occorrente per le attività espressive, completavano il materiale utilizzato nel corso delle sedute. Per effettuare delle osservazioni che ci garantissero la possibilità di comparare il comportamento dei bambini prima e dopo il percorso intrapreso con le A.A.T., è stata utilizzata una dettagliata griglia di osservazione nel corso della prima e dell'ultima seduta. Essa ci ha permesso la raccolta di dati quali l'aspetto del bambino, la sua attività e partecipazione (in termini di reattività agli stimoli e di reazione alle attività proposte), la qualità dell'interazione con le persone e con gli animali, la presenza di comportamenti e disturbi quali stereotipie, ecolalia, masturbazione, autolesionismo, piuttosto frequenti nella popolazione degli autistici. Sono state inoltre annotate le modalità di gioco, quando presente, ed informazioni su alcune variabili psicologiche quali l'affaticabilità, i tempi d'attenzione, l'uso dell'oggetto, l'intenzionalità. 2.9.1.2 Risultati Un primo insieme di risultati riguarda i cambiamenti di atteggiamento verso le attività proposte da parte di bambini che, in percentuale non trascurabile, hanno mostrato la loro prima reazione alle attività con urla, rifiuto, 'tentativi di fuga', accentuazione delle stereotipie. L'interesse per la situazione, ridotto al 20% dei casi nel corso della prima seduta, passa al 60% circa nell'ultimo incontro di A.A.T. Cambiamenti più netti si hanno a carico dell'atteggiamento di disponibilità, con una riduzione del 75%, nel corso del trattamento, della frequenza dell'atteggiamento negativo di non-disponibilità da parte dei bambini. Un altro gruppo di risultati illustra i cambiamenti di atteggiamento verso gli operatori e fornisce, nonostante l'esiguità numerica del campione, piena significatività statistica a quelle modificazioni che abbiamo avuto modo d'osservare, nel corso del tempo, a partire dall'atteggiamento d'iniziale chiusura riscontrato in quasi tutti i bambini che hanno partecipato al progetto. L'indifferenza verso l'operatore, evidente nella prima seduta in una distribuzione quasi binomiale (46% di indifferenti; 53% di non indifferenti) passa ad una riduzione della indifferenza al solo 20% del campione nell’ultima seduta. Lo stesso andamento è stato riscontrato negli atteggiamenti volti a mantenere un contatto con l'operatore, passati dal 42% al 71.4% dell'ultima seduta. Si tratta di atteggiamenti di ricerca di prossimità, di contatto 'dolce', con carezze e piccoli gesti, finalizzati a stabilire una forma di relazione affettuosa e rassicurante con l'altro. Nel corso delle sedute è cambiata notevolmente anche la relazione dei bambini con i pet, con una sempre maggiore accettazione dell'interazione, presenza di significativi tentativi di seguire l'animale e capacità sempre maggiore d'interazione in modo delicato col pet. Anche nella valutazione di questi dati bisogna ricordare quali fossero le capacità d'interazione dei bambini con i pet nelle primissime sedute: un'indifferenza totale verso la presenza dell'animale era evidente in 19 bambini su 28 (68%), reazioni infastidite erano comuni nel 10% dei piccoli, alcuni di loro (5%) cercavano di interagire con l'animale attraverso maniere "forti", dal toccare l'animale con gesti poco empatici, inadeguati, ai tentativi di dispetti. Una terza serie di risultati riguarda i cambiamenti mostrati dai piccoli pazienti in una serie di variabili psicologiche, prima tra tutte il linguaggio. Al momento della prima seduta la oltre il 60% del linguaggio prodotto si limitava a forme piuttosto semplici, spesso non facilmente comprensibili; nel corso delle sedute il linguaggio dei bambini è risultato sempre più comprensibile agli operatori. In ambito linguistico si passa inoltre ad una comprensione pressoché completa delle comunicazioni dell'altro (limitata al 90% dei casi circa in prima seduta), ed alla acquisizione di chiare finalità comunicative nel 70% dei casi. Appaiono interessanti anche i dati relativi alla modalità utilizzata dai pazienti per l'espressione delle loro richieste. La situazione di assenza di comunicazione dei propri bisogni, riguardante nella prima seduta un terzo dei soggetti, non è più osservabile nell'ultima seduta, nella quale si riducono le richieste effettuate col solo uso dello sguardo ed indicando (rispettivamente dal 32% al 14%, e dal 18% al 7%) e quadruplica la frequenza di utilizzo del mezzo verbale (dal 14% al 64%). Altra variabile psicologica presa in considerazione è quella della reattività agli stimoli. Nel corso della terapia i bambini si avviano gradualmente al superamento dell'atteggiamento di totale indifferenza, per acquisire in modo statisticamente significativo con sempre maggiore frequenza, reazioni tendenzialmente differenziate o meglio ancora, reazioni diverse in risposta ai diversi stimoli esterni. Nel corso della terapia sembra diminuire nettamente il rifiuto dell'attività ludica, che modifica la propria complessità rispetto al livello mostrato nel corso della prima seduta. Sembrano piuttosto significative la maggior frequenza del ricorso all'espressione ludica simbolica – comprendente anche le forme grafico-pittoriche – e della partecipazione alle prime forme di gioco collettivo con semplici regole, quali quelle del turn-taking, nonché il rispetto delle stesse. Altri dati di rilievo, sebbene non statisticamente significativi, anche a causa della scarsa numerosità del campione, sono quelli relativi alla riduzione delle condotte aggressive, etero ed auto-dirette, e delle condotte d'isolamento o di masturbazione in risposta alla frustrazione. Infine, l'intenzionalità dei bambini sembra estendersi ad un uso più consapevole degli oggetti e ad una gamma più ampia di attività Conclusioni Nella ricerca del materiale sul disturbo autistico sono stata particolarmente colpita da alcune letture sulla teoria della mente. Questa si riferisce all’abilità di inferire gli stati mentali degli altri cioè i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni, e all’abilità di usare tali informazioni per interpretare ciò che essi dicono, dando significato al loro comportamento e prevedendo ciò che faranno in seguito. I bambini normodotati sembrano perfettamente consapevoli del fatto che le persone hanno le informazioni in testa, hanno cioè degli stati informativi, anche prima dei quattro anni, mentre già a tre anni sanno comprendere le emozioni, sanno distinguere le espressioni del volto che indicano tristezza, gioia, paura. A tre anni sanno prevedere in che modo le situazioni possono influire sulle emozioni e a quattro sanno tener conto sia dei desideri sia delle opinioni nel prevedere i sentimenti di una persona. L’abilità di capire la mente si manifesta spontaneamente durante l’infanzia. Un crescente numero di studi dimostra invece che i bambini autistici incontrano particolari difficoltà nel ragionamento sullo stato mentale. I bambini normodotati di tre quattro anni capiscono che l’emozione può essere causata dalle situazioni (le situazioni piacevoli ti fanno sentire felice, quelle spiacevoli triste) e dai desideri( i desideri realizzati ti fanno sentire triste, quelli non realizzati ti intristiscono). A quattro - sei anni i bambini normodotati capiscono anche che le opinioni possono influire sulle emozioni, per esempio se tu pensi che avrai ciò che desideri ti senti felice, se pensi che non lo otterrai ti senti triste, a prescindere da quello che accadrà. Si è visto che i bambini autistici sono in grado di valutare l’emozione del protagonista di una storia se questa è causata da una situazione, hanno maggiori difficoltà a valutare l’emozione nel caso in cui questa scaturisca da un desiderio. Risultano addirittura negative le prestazioni nel prevedere l’emozione del personaggio dovuta alla sua opinione. Se ne deduce che le emozioni semplici sono alla portata dei soggetti autistici, mentre le emozioni complesse li mettono in grave difficoltà. Una prima forma di comprensione della mente è la comunicazione intenzionale di tipo dichiarativo che i bambini padroneggiano tra gli 11 e i 14 mesi di vita. In questo tipo di comunicazione il bambino indica un oggetto all’adulto alternando il proprio sguardo tra l’oggetto ed il volto dell’adulto finchè questo guardi nella stessa direzione. Il bambino non utilizza l’adulto in modo solo strumentale per conseguire i propri obbiettivi, ma cerca di influenzarne l’atteggiamento psicologico rispetto a quella realtà, in particolare il provare interesse o condividere un’esperienza. Nella “dichiarazione” il risultato atteso è il cambiamento nello stato mentale dell’interlocutore, mentre nella “richiesta”, processo mentale più semplice, ci si attende un cambiamento oggettivo nel mondo esterno. L’intenzione comunicativa di tipo dichiarativo risulta gravemente compromessa nei soggetti autistici. Questi fanno uso in prevalenza di gesti di richiesta basati sul contatto fisico (non alternano il proprio sguardo con quello dell’adulto e l’oggetto/evento interessante, tirano l’adulto per mano verso l’oggetto ad esempio). Hanno gravi difficoltà a produrre e comprendere l’intenzione dichiarativa del gesto di indicare, mentre sono capaci di usare lo stesso gesto per chiedere qualcosa (intenzione richiestiva). Riflettendo su queste anomalie ho immaginato quanto alcuni di questi processi tendano ad essere scardinati in un setting di pet therapy. Il bambino autistico che provi interesse emozionale per il cane dovrà necessariamente scoprire che per interagire con l’animale ad un livello superiore che non le sole carezze, i gesti richiestivi basati sulla sola fisicità non porteranno a costruire un rapporto positivo. Tirare a sé l’animale per avvicinarlo non produrrebbe altro che il suo allontanamento, chiamarlo o fargli un semplice gesto d’invito, una pacca sulla propria gamba ad esempio, “dichiarando” la propria disponibilità alla vicinanza e al gioco creeranno una condivisione di emozioni e stati d’animo, quindi un cambiamento della propria sfera emotiva e di quella del cane. Se si riuscisse ad innescare nel bambino autistico il meccanismo di generalizzazione dell’esperienza attraverso terapie psicologiche strutturate, l’evento supposto sopra potrebbe essere un’anticipazione del fatto che per poter richiedere l’attenzione su una cosa o un evento, sarebbe sufficiente ricorrere al tentativo di condividere e comunque, applicando una richiesta meno performativa, di non utilizzare mezzi fisici eccessivi per ottenere lo stesso risultato. Questa penso possa essere la vera valenza della pet therapy come cooterapia: la spinta emozionale, conoscitiva e comunicativa che possa essere una base su cui continuare a lavorare, integrando terapie psicologiche, farmacologiche, programmi di logopedia o di comunicazione facilitata, senza dimenticare che in questo caso più che in altri la terapia deve essere modellata sul e per il soggetto, in base alle sue caratteristiche, all’età cronologica e al suo stadio evolutivo. BIBLIOGRAFIA Camaioni L., La teoria della menteeditori Laterza, 2003 Howlin P., Baron-Cohen S., Hadwin J., Teoria della mente e autismo, Erikson, 1999 Baron-Cohen S., Tager-Flusbergh.,Understanding other minds, Oxford University Press, 1993 Wellman H. M.,The child theory of mind, MIT Press, 1990 Natoli E.,Differenze tra l’impiego del cane e gli altri animali nelle terapie assistite. Atti del Convegno “Il cane in aiuto all’uomo: alla scoperta della Pet therapy”; San Patrignano, aprile 1999 Tinbergen N. e Tinbergen E. 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