Pet Therapy - CIRCOLO IPPICO L`ESSENZA asd

Pet Therapy
una valida cooterapia per soggetti affetti da Disturbo
Autistico”
“
a cura di
Teresa Dragonetti
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………
….. .3
CAPITOLO
I…………………………………………………………....4
1.1. Che cos’è l’autismo e come si
manifesta……………………..4
1.2. Le aree colpite dalla
sindrome………………………………..5
1.3. Disturbi
associati……………………………………………...7
1.4. Possibili
cause……………………………………………...…8
1.5. Diagnosi
differenziale………………………………………...8
1.6.
Terapie………………………………………………………...9
CAPITOLO
II…………………………………………………………10
2.1. Pet
Therapy……………………………………...…………...10
2.2.
Strutturazione………………………………………………...11
2.3. Principi base della Pet
Therapy………………………………12
2.4.
Funzioni……………………………………………………....13
2.5. Meccanismi
d’azione………………………………………....14
2.6. Il lavoro di
equipe…………………………………………….16
2.7. Animali
utilizzati……………………………………………..17
2.7.1.
Ippoterapia…………………………………………...17
2.7.2.
Delfinoterapia………………………………………..18
2.7.3. Dogtherapy………………………………………….19
2.8. L’educazione del
cane………………………………………...20
2.9. La pet therapy ed i pazienti
autistici…………………………..21
2.9.1. Esempio di un progetto di AAT con bambini
autistici...22
2.9.1.1. Setting terapeutico e metodologia della
ricerca……...23
2.9.1.2
Risultati……………………………………………………24
Conclusioni………………………………………………………
……………..25
Bibliografia………………………………………………………
…………….27
Introduzione
Affrontare in maniera esaustiva le problematiche legate
all’autismo è compito a dir poco arduo, per tal motivo la mia
ricerca si limita a cercare di fornire un quadro generale di
quale opinione il mondo scientifico esprima attualmente
sulla patologia, focalizzando lo sguardo su una recente
tendenza, quella di considerare l’autismo non più, o non
solo, una malattia psichiatrica ma una complessa sindrome
basata su disordini fisiologici e biochimici che hanno un
comune punto finale nel danneggiamento cognitivo e
relazionale. Intervenire precocemente è il passo iniziale per
sperare in un successo terapeutico, è corretto parlare di
terapia e non di cura. Fortunatamente negli ultimi anni i casi
di diagnosi tardiva sono in forte diminuzione ma fino a
vent’anni fa questa avveniva frequentemente in età scolare.
L’uso dei cani nella terapia applicata con i bambini autistici,
sembra ottenere risultati confortanti. Il bambino autistico,
attraverso un rapporto con il cane fondato soprattutto sul
gioco, può giungere ad una progressiva presa di coscienza
di sé quanto alle limitazioni, ma anche alle possibilità. Un
disabile privo di motivazione a causa della monotonia
dell’esercizio terapeutico, può scoprire attraverso il cane
l’uso della perseveranza e migliorare le sue capacità di
attenzione.
I programmi che prevedono l’utilizzo del cane come
cooterapeuta mirano a sviluppare la sfera emozionale,
caratteriale ed affettiva, il comportamento sociale e i
meccanismi di relazione, hanno una funzione educativa ed
allo stesso tempo ludica. Un bambino autistico può essere
stimolato alla comunicazione attraverso il gioco, ad
elaborare o migliorare il linguaggio verbale, ad interpretare i
segnali non verbali impliciti nella comunicazione. Il cane
diviene elemento di scambio affettivo che stimola la
conoscenza di sé, la curiosità e l’attenzione e può divenire
una valvola di sfogo emozionale. Non meno importante è la
possibilità di apprendere attraverso l’esperienza, anche se il
passo successivo, cioè la generalizzazione dei
comportamenti acquisiti a contesti nuovi, rimane uno degli
scogli più grandi da superare nell’approccio terapeutico.
CAPITOLO I
1.1. Che cos’è l’autismo e come si manifesta
Fino all'inizio di questo secolo, si riteneva che le persone
che presentavano i sintomi che oggi chiamiamo autismo
fossero colpite da una forma di psicosi. Il termine autismo
fu utilizzato per la prima volta da Bleuler nel 1911 per
indicare la perdita di contatto con la realtà di pazienti
schizofrenici, e venne ripreso da Kanner nel 1943 per
identificare un gruppo di bambini che sembravano
particolarmente abitudinari e mostravano uno sviluppo
anormale del linguaggio e rifiuto del contatto sociale. Poiché
si trattava di bambini che apparentemente non
presentavano danni organici, l'ipotesi iniziale fu che la
responsabilità dell'autismo risiedesse in una precoce
difficoltà nel rapporto fra la madre e il bambino. Rimland,
nel 1965, differenziò l'autismo infantile dalla schizofrenia, e
Rutter, nel 1968, descrisse altri sintomi caratteristici di
questi bambini, come la difficoltà a guardare negli occhi e a
compiere i gesti anticipatori dell'essere presi in braccio.
Importanti contributi alle descrizioni cliniche sono merito dei
lavori di Bettelheim, Tustin, Wing, Rutter e Schopler, ed
infine degli studi sulla "teoria della mente", con Frith e
Baron-Cohen.
L'autismo è considerato dalla comunità scientifica
internazionale un disturbo pervasivo dello sviluppo,
caratterizzato da una compromissione qualitativa nelle aree
dell'interazione sociale, della comunicazione, del gioco
simbolico e di immaginazione. Il disturbo autistico viene
definito "pervasivo" in quanto interessa lo sviluppo
dell'intelligenza, l'attenzione, la memoria, il linguaggio,
l'imitazione, e in generale, l'adattamento all'ambiente. Nelle
persone con autismo si osserva spesso un ritardo mentale,
che può variare da lieve a grave, associato alle difficoltà
nell'immaginazione ed alle particolarità del modo di
elaborare le informazioni. Il loro profilo evolutivo ha spesso
un andamento irregolare ed in casi molto rari può essere
accompagnato da isole di abilità. La sintomatologia viene di
solito messa in evidenza intorno ai due anni (alcune
carenze potrebbero evidenziarsi prima), successivamente si
manifesta come disturbo pervasivo dell’evoluzione che
mette a repentaglio il funzionamento mentale e la capacità
di interagire con gli altri. La caratteristica fondamentale del
disturbo autistico è quindi legata all’isolamento,
all’impossibilità di "accettare" una compartecipazione sociorelazionale, a questa si associano spesso disordini
comportamentali, urla, attività motorie ripetitive e
compulsive come dondolarsi, talvolta anche ipercinesie
irrefrenabili e comportamenti auto o etero aggressivi. Aspetti
particolari sono rappresentati da risposte anormali agli
stimoli sensoriali, spesso interpretate come insensibilità al
dolore, reazioni "catastrofiche" in risposta a stimoli come
carezze, abbracci o il semplice contatto fisico.
Il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, IV
edizione( DSM-IV-TR), inserisce l’autismo nella categoria dei
Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (PDD), Pervasive
Developmental Disorders insieme con il Disturbo di Rett, il
Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza, il Disturbo di
Asperger, e il Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non
Altrimenti Specificato. Nel DSM IV (1996) la novità più
importante, rispetto alla precedente del 1987, è lo
spostamento della categoria di cui fa parte l'autismo, i Disturbi
Generalizzati dello Sviluppo: dai disordini a decorso lungo, stabili e
con prognosi infausta ai disordini episodici e transitori. Ciò
implica l'aver riconosciuto che i sintomi possono variare ed
attenuarsi.
1.2. Le aree colpite dalla sindrome
I sintomi della malattia si manifestano nelle tre aree della
personalità già menzionate: comunicazione verbale e non
verbale, interazione sociale e immaginazione o repertorio di
interessi.
Comunicazione verbale e non verbale
Il linguaggio viene utilizzato in maniera singolare o
addirittura non compare; spesso avviene la ripetizione di
parole, suoni o frasi che si sentono pronunciare(ecolalia). I
soggetti autistici mostrano notevoli difficoltà ad impiegare i
nuovi apprendimenti in modo costruttivo in situazioni
diverse. Quando il linguaggio si sviluppa, l'altezza,
l'intonazione, la velocità, il ritmo o la sottolineatura possono
risultare anomali (per es., il tono di voce può essere
monotono o contenere accentuazioni di tipo interrogativo in
frasi affermative). Le strutture grammaticali sono spesso
immature e includono un uso del linguaggio stereotipato e
ripetitivo (per es., ripetizione di parole o frasi
indipendentemente dal significato; ripetizione di ritornelli o
di spot pubblicitari) o linguaggio metaforico (linguaggio che
può essere capito chiaramente solo da coloro che hanno
familiarità con lo stile di comunicazione del soggetto).
Un'anomalia nella comprensione del linguaggio può essere
evidenziata dall'incapacità di capire domande semplici,
istruzioni, o scherzi. Tipicamente, non vi sono periodi in cui
lo sviluppo sia stato inequivocabilmente normale, sebbene
in alcuni casi siano stati riferiti uno o due anni di sviluppo
relativamente normale. In una minoranza dei casi, i genitori
riferiscono una regressione nello sviluppo del linguaggio,
che generalmente si manifesta come cessazione del
linguaggio dopo che il soggetto ha acquisito 5-10 parole.
Interazione sociale
Si nota un’pparente carenza di interesse e di reciprocità con
gli altri; una tendenza all'isolamento e alla chiusura;
un’apparente indifferenza emotiva agli stimoli o ipereccitabilità
agli stessi; difficoltà ad instaurare un contatto visivo (es.
guardare negli occhi le persone), ad iniziare una
conversazione o a rispettarne i turni, difficoltà a rispondere
alle domande e a partecipare alla vita o ai giochi di gruppo.
Non è infrequente che bambini affetti da autismo siano
inizialmente diagnosticati come sordi, perché non mostrano
alcuna reazione, come se non avessero udito appunto,
quando sono chiamati per nome. Nel Disturbo Autistico la
natura della compromissione dell'interazione sociale può
cambiare nel tempo e può variare a seconda del livello di
sviluppo del soggetto. Nei bambini in età infantile vi può
essere incapacità di stare in braccio; indifferenza o avversione
all'affetto o al contatto fisico; mancanza di contatto visivo, di
risposta mimica, o di sorrisi finalizzati al rapporto sociale;
mancanza di risposta alla voce dei genitori. I bambini piccoli
con questo disturbo possono trattare gli adulti come
intercambiabili oppure possono attaccarsi meccanicamente ad
una determinata persona. Nel corso dello sviluppo il bambino
può diventare maggiormente disponibile ad essere coinvolto
passivamente nell'interazione sociale, e può anche diventare
più interessato alla stessa. Comunque, anche in questi casi, il
bambino tende a trattare le altre persone in modi inusuali (per
es., aspettandosi che le altre persone rispondano a domande
rituali in modi specifici, avendo uno scarso senso dei confini
delle altre persone, ed essendo eccessivamente intrusivi
nell'interazione sociale). Nei soggetti più grandi, le prestazioni
che comportano memoria a lungo termine (per es., orari dei
treni, date storiche, formule chimiche, parole esatte di canzoni
ascoltate anni prima) possono essere eccellenti, ma le
informazioni tendono ad essere ripetute più e più volte, a
prescindere dall'adeguatezza dell'informazione rispetto al
contesto sociale. Il tasso del disturbo è da 4 a 5 volte
maggiore nei maschi che nelle femmine. Le femmine con
questo disturbo hanno comunque maggiori probabilità di
avere un ritardo mentale più grave.
Immaginazione o repertorio di interessi
Di solito un limitato repertorio di comportamenti viene
ripetuto in modo ossessivo; si possono osservare sequenze
di movimenti stereotipati (per es. torcersi o mordersi le
mani le mani, sventolarle in aria, dondolarsi, ecc.) detti
appunto stereotipie. Queste persone possono manifestare
eccessivo interesse per oggetti o parti di essi, in particolare
se hanno forme tondeggianti o possono ruotare (biglie,
trottole, eliche, ecc.). Si riscontra una resistenza al
cambiamento che per alcuni può assumere le caratteristiche
di un vero e proprio terrore fobico. La persona può
esplodere in crisi di pianto o di riso. Può diventare
autolesionista, iperattiva ed aggressiva verso gli altri o verso
oggetti. Al contrario alcuni mostrano un'eccessiva passività
e ipotonia che sembra renderli impermeabili a qualsiasi
stimolo.
La gravità e la sintomatologia dell'autismo variano molto da
individuo a individuo e tendono nella maggior parte dei casi
a migliorare con l'età (soprattutto se il ritardo mentale è
lieve o assente), anche se una remissione totale dei sintomi
è un evento particolarmente raro.
1.3. Disturbi associati
Possono esservi anomalie nello sviluppo delle capacità cognitive. Il profilo delle capacità cognitive è di
solito irregolare, a prescindere dal livello generale di intelligenza (per es., una bambina di quattro anni
e mezzo con Disturbo Autistico può essere in grado di leggere, cioè può essere iperlessica). In molti
bambini con Disturbo Autistico che funzionano ad un livello superiore, il livello della ricezione del
linguaggio (cioè, la comprensione del linguaggio) è inferiore a quello del linguaggio espressivo (per es.,
il lessico). I soggetti con Disturbo Autistico possono avere una gamma di sintomi comportamentali,
come iperattività, scarso mantenimento dell'attenzione, impulsività, aggressività, comportamenti
autolesivi, e specie nei bambini piccoli, eccessi di collera. Possono esservi risposte eccessive a stimoli
sensoriali (per es., un'alta soglia per il dolore, ipersensibilità ai suoni o all'essere toccato, reazioni
esagerate alla luce o agli odori, affascinata attrattiva per certi stimoli). Possono esservi anomalie
nell'alimentazione (per es., limitazioni dietetiche) o nel sonno (ricorrenti risvegli notturni con
dondolamenti). Possono essere presenti anomalie dell'umore o dell'affettività (per es., riso sciocco o
pianto senza apparente motivo, un'apparente assenza di reazioni emotive). Può esservi mancanza di
paura di fronte a pericoli reali, ed un eccessivo timore di fronte ad oggetti innocui. Possono essere
presenti svariati comportamenti autolesivi (per es., sbattere la testa o le dita, o morsicare le dita, le
mani o i polsi). Nell'adolescenza o nella prima età adulta, i soggetti con disturbo autistico che hanno
capacità intellettive di introspezione possono diventare depressi quando si rendono conto delle loro
gravi compromissioni.
1.4. Possibili cause
Non è stata individuata una causa scatenante specifica per
l'autismo, anche se molti e diversi sono i fattori osservati
che possono contribuire allo sviluppo della sindrome. Poiché
nel 60% dei casi gemelli omozigoti (che hanno lo stesso
patrimonio genetico) risultano entrambi affetti, viene
considerata anche la probabilità di una componente
genetica, ma i risultati degli studi non sono esaustivi a
riguardo.
Spesso l'autismo è associato a ritardo mentale, all'epilessia
(30%dei casi) e a svariate sindromi neurobiologiche quali
sindromi neurocutanee (ipomelanosi di Ito, sclerosi tuberosa
neurofibromatosi),sindromi malformative (sindrome di De
Lange, sindrome di Williams), sindromi cromosomiche
(sindrome dell'X fragile), disturbi del
metabolismo (fenilchetonuria)...
Come fattori implicati sono stati riscontrate anche anomalie
strutturali cerebrali (cervelletto,amigdala, ippocampo, setto
e corpi mammillari), anomalie a livello di molecole che
hanno un ruolo nella trasmissione degli impulsi nervosi nel
cervello (serotonina, beta-endorfine). Nessuno di questi
fattori può tuttavia essere considerato come "la causa
dell'autismo", poiché, anche presi tutti insieme, essi rendono
conto solo di una parte della popolazione di persone affette
da autismo.
1.5. Diagnosi differenziale
Nel normale sviluppo si possono osservare periodi di
regressione dello sviluppo, ma questi non sono né così gravi
né così prolungati come nel disturbo autistico. Il disturbo
autistico deve essere distinto dagli altri Disturbi Generalizzati dello
Sviluppo. Il Disturbo di Rett differisce dal Disturbo Autistico per la sua
caratteristica distribuzione tra i sessi e per il tipo dei deficit. Il
è stato diagnosticato solo nelle femmine, mentre il
Disturbo Autistico si manifesta molto più frequentemente nei
maschi. Nel Disturbo di Rett vi è una modalità caratteristica di
rallentamento della crescita del cranio, la perdita di capacità
manuali finalistiche già acquisite in precedenza e l'insorgenza
di andatura o di movimenti del tronco scarsamente coordinati.
Specie durante l'età prescolare, i soggetti con Disturbo di Rett
possono mostrare difficoltà nell'interazione sociale simili a
quelle osservate nel Disturbo Autistico, ma queste tendono ad
essere transitorie. Il Disturbo Autistico differisce dal Disturbo
Disintegrativo della Fanciullezza, che presenta una modalità
caratteristica di regressione dello sviluppo dopo almeno due
anni di sviluppo normale. Nel Disturbo Autistico, le anomalie
di sviluppo vengono di solito notate nel primo anno di vita.
Quando non sono disponibili informazioni sullo sviluppo
precoce o quando non è possibile documentare il periodo di
sviluppo normale richiesto, si dovrebbe fare diagnosi di
Disturbo Autistico. Il Disturbo di Asperger può essere distinto dal
Disturbo Autistico dalla mancanza di ritardo nello sviluppo del
linguaggio. Il Disturbo di Asperger non viene diagnosticato se sono
soddisfatti i criteri per il Disturbo Autistico.
Disturbo di Rett
La Schizofrenia con esordio nella fanciullezza di solito si
sviluppa dopo anni di sviluppo normale, o quasi normale. Si
può fare una diagnosi aggiuntiva di Schizofrenia se un
soggetto con Disturbo Autistico sviluppa le caratteristiche
tipiche della Schizofrenia con sintomi della fase attiva
caratterizzati da rilevanti deliri o allucinazioni che durano per
almeno un mese. Nel Mutismo Selettivo il bambino di solito
mostra adeguate capacità di comunicazione in alcuni contesti
e non ha la grave compromissione nell'interazione sociale e le
modalità ristrette di comportamento associate col Disturbo
Autistico. Nel Disturbo della Espressione del Linguaggio e nel
Disturbo Misto della Espressione e della Ricezione del
Linguaggio vi è una compromissione del linguaggio, ma essa
non è associata con la presenza di compromissione qualitativa
nell'interazione sociale e con modalità di comportamento
ristrette, ripetitive, e stereotipate. Talvolta è difficile
determinare se un'ulteriore diagnosi di Disturbo Autistico sia
giustificata in un soggetto con Ritardo Mentale, specie se il
Ritardo Mentale è Grave o Gravissimo. Una diagnosi
aggiuntiva di Disturbo Autistico è riservata a quelle situazioni
in cui vi sono deficit qualitativi delle capacità sociali e di
comunicazione ed i comportamenti specifici caratteristici del
Disturbo Autistico. Le stereotipie motorie sono caratteristiche
del Disturbo Autistico; una diagnosi aggiuntiva di Disturbo da
Movimenti Stereotipati non va fatta se questi sono meglio
giustificati come parte della sintomatologia del Disturbo
Autistico.
1.6. Terapie
Esistono numerosissimi orientamenti circa la possibilità di cura
del disturbo autistico, ma nessuna è riconosciuta efficace in
maniera assoluta. Sarebbe forse più conveniente parlare di
tentativi di migliorare i deficit sociali e comunicativi
nell’autismo. Trattamenti farmacologici, vitaminici e dietetici,
la terapia familiare sistemica, il programma americano
TEACCH, programmi di comunicazione facilitata, il training
uditivo, la therapie d’echange e development,la terapia delle
psicosi infantili, il metodo Delacato, l’intervento
comportamentale precoce di Loovas, il metodo Floortime di
Greenspan, la terapia logopedica, quella psicomotoria e tanti
altri più recenti orientamenti. Essendo impossibile fare una
panoramica esauriente dei possibili trattamenti, mi limiterò a
fornire informazioni sull’approccio della terapia con l’ausilio
dell’animale (pet therapy), in particolare del cane.
II CAPITOLO
2.1. Pet Therapy
Il termine Pet in inglese significa “animale domestico” o da
compagnia. Toccare un animale, accarezzarlo, sono azioni
che procurano un piacevole contatto fisico, uno dei principali
fattori di comunicazione interpersonale e interspecifica, e
allo stesso tempo stimolano la creatività, la curiosità e la
capacità di osservazione.
Per Pet Therapy si intende una pratica terapeutica che
prevede l’impiego di animali come tecnica d'intervento per
migliorare lo stato di salute di pazienti con problemi psicofisici: l'animale diventa "co-terapeuta" nel processo di
guarigione, rivestendo il ruolo di "mediatore emozionale"
e"catalizzatore" dei processi socio-relazionali.
È importante sottolineare che la Pet Therapy non
rappresenta una terapia sostitutiva, ma costituisce
un'integrazione alle terapie "tradizionali". Inserire un
animale in un contesto di disagio da sanare non significa di
per sé attuare una terapia, devono esserci alla base una
giustificazione logica, un preciso scopo, una chiara
metodologia, un coinvolgimento di figure professionali
preparate per questo tipo di approccio e, ovviamente, la
selezione di animali adatti.
La storia della pet therapy ha origini lontane, già nel 1792 in
Inghilterra William Tuke si occupa di pazienti con disturbi
mentali e per primo intuisce l' importanza della presenza
degli animali all' interno della struttura. Si prodiga affinché
siano i malati a prendersene cura, notando un conseguente
apprezzabile miglioramento dell' autocontrollo e dei rapporti
umani. Nel 1875 In Francia il medico Chessigne prescrive l'
equitazione a pazienti con problemi neurologici e ne migliora
l' equilibrio ed il controllo muscolare. La prima applicazione
documentata di “Pet Therapy” risale però al 1953, quando il
neuropsichiatra infantile Boris Levinson scoprì in maniera
casuale che un bambino con tratti autistici, in cura presso di
lui, si dimostrò più spontaneo e più disponibile
all'interazione, dopo aver avuto un contatto
da lui stesso voluto, con il proprio cane. In questo modo
Boris Levinson, introdusse nella cura dei suoi piccoli pazienti
psicotici la presenza di alcuni animali, utilizzandoli come
vero e proprio presidio terapeutico, e dimostrando che
l'affetto
di un animale domestico produceva un aumento
dell'autostima e soddisfaceva il bisogno di amore.
Nel 1970 le esperienze di Levinson furono riprese da due
psichiatri americani, Samuel ed Elisabeth Corson, che
studiarono l’interazione tra un gruppo di giovani pazienti
affetti da turbe psichiche e dei cani che vivevano presso
l’ospedale di degenza dove essi operavano, in Ohio, negli
Usa. Venne registrato un miglioramento dei rapporti
interpersonali tra i pazienti e il personale e tra gli stessi
coodegenti. Nel 1977 Erika Friedman, ricercatrice
americana, rileva che esiste una correlazione tra la
sopravvivenza ed il possesso di animali da compagnia in
persone che hanno avuto un infarto cardiaco. Le sue
ricerche verificano la potenzialità del rapporto uomo-animale
nel ridurre l'ipertensione ed il rischio di infarto. Nonostante
ciò, esistono numerose organizzazioni che operano in questa
direzione con risultati soddisfacenti nel campo sociosanitario. Nel 1981, viene creata negli Stati Uniti la Delta
Society, associazione che si prefigge di studiare l'interazione
uomo-animale.
La Pet Therapy sbarca in Italia nel 1987 tramite un
Convegno Interdisciplinare su "Il ruolo degli animali nella
società odierna", tenutosi a Milano il 6 dicembre al quale
hanno partecipato esperti di fama internazionale. Nel 1990
nasce, sempre in Italia, il C.R.E.I. (Centro di Ricerca
Etologica Interdisciplinare per lo Studio del Rapporto uomoanimale da compagnia) che unisce studiosi di varie discipline
inerenti la salute umana ed animale, l'ambiente ed il
comportamento.
Nel giugno del 1994 il Centro di Collaborazione OMS/FAO
per la Sanità Pubblica Veterinaria di Roma interagendo con
altre strutture, organizza il 1° corso informativo di "Pet
Therapy" ed Ippoterapia. Attualmente nel nostro paese non
esiste ancora un protocollo di legge che la regolamentianche
se esistono numerose organizzazioni che operano in questa
direzione .
2.2. Strutturazione
A partire dagli anni 80 il programma Pet Therapy è stato
suddiviso in fasi distinte tra loro:
1) La AAA (Animal–Assisted Activities) è un attività svolta
con l’ausilio di animali che ha lo scopo di apportare benefici
motivazionali, educazionali e ricreativi, mirando al
miglioramento della qualità della vita di alcune categorie di
persone come anziani, ciechi, malati terminali, ecc.
La AAA si esprime in una varietà di attività condotte da
professionisti e volontari in associazione con animali che
presentano particolari criteri e caratteristiche (ovviamente il
personale deve possedere specifiche conoscenze sugli
animali e sulla popolazione con cui interagisce). La AAA può
essere sia attiva che passiva: passiva in quanto la persona,
pur non toccando l’animale, trae ugualmente benefici dalla
sua presenza o dai suoni da lui emessi (es. l’introduzione di
un acquario o di una gabbia di uccelli in uno studio medico
o in una casa); attiva in quanto la persona gioca con gli
animali, vi interagisce direttamente, favorendo in questo
modo la socializzazione e uno stato di rilassamento.
In questo tipo di attività non sono necessari obiettivi
specifici programmati e la durata non viene prestabilita.
2) La AAT (Animal–Assisted Therapy), è una terapia
effettuata con l’ausilio di animali finalizzata a migliorare le
condizioni di salute di un paziente mediante specifici
obiettivi.
Si tratta di una terapia di supporto (cooterapia) che rafforza,
integra e coadiuva le terapie normalmente effettuate .
I meccanismi su cui interviene la AAT e gli obiettivi che si
prefigge sono molteplici e riguardano: la sfera cognitiva, si
propone infatti di migliorare alcune capacità mentali,
mnestiche e relative al pensiero induttivo;
comportamentale, si verifica il controllo dell’iperattività, il
rilassamento corporeo e acquisizione di schemi di regole;
psicosociale, si riscontra un miglioramento delle capacità di
interazione e relazionali; psicologica, si ha la possibilità di
effettuare un trattamento della fobia animale e un
miglioramento dell’autostima.
I benefici che si possono trarre non riguardano solo la sfera
psichica ma anche quella fisica dall’ elevata pressione
arteriosa,alle disfunzioni cardiache, la rigidità muscolare, le
forme di sclerosi che impediscono i normali movimenti fisici,
scarsa e difficile funzionalità degli arti sia superiori che
inferiori..
I soggetti a cui è rivolta questa pratica terapeutica sono
bambini che presentano le psicopatologie che comprendono
disturbi dell'apprendimento, delle capacità motorie, della
comunicazione, disturbi generalizzati dello sviluppo
(autismo), dell'attenzione, del comportamento, della
nutrizione e altro (ansia da separazione, disturbo reattivo
dell'attaccamento); individui che presentano le
psicopatologie dell’età adulta, in particolare disturbi correlati
all'assunzione di sostanze, cognitivi (demenze, ecc.),
schizofrenia, disturbi dell’umore, ansia e depressione,
dell'adattamento, di personalità, dell'alimentazione e
portatori di handicap (psichici e/o fisici).
Nella AAT gli animali vengono utilizzati al solo scopo
terapeutico, gli obiettivi i tempi ed i luoghi della terapia sono
predefiniti ed organizzati. Quindi tale terapia per risultare
efficace deve, innanzitutto, individuare gli obiettivi specifici
per ciascun destinatario dell'intervento, definire una chiara
metodologia, valutare i progressi in itinere, deve essere
finalizzata al raggiungimento di obiettivi di salute e fattore
importante essere gestita da professionisti .
3) La A.A.E. (Animal Assisted Education) non è una vera e
propria terapia, ma consiste nel migliorare e incoraggiare la
responsabilità e le interrelazioni tra l’uomo, gli animali e la
natura, quindi si tratta di educazione assistita con l’ausilio
dell’animale.
2.3. Principi base della Pet Therapy
Il principio fondamentale su cui si articola la Pet Therapy è il
soddisfacimento del bisogno d'amare, d'affetto e di legami
interpersonali che l’animale co-terapeuta è in grado di
fornire.
L’animale agisce come soggetto attivo che crea con la
persona trattata uno scambio reciproco fatto di emozioni e
di stimoli che provocano cambiamenti ed effetti positivi in
entrambi. Con persone disturbate gli animali trovano un
canale preferenziale per entrare in contatto, riuscendo a
volte a sbloccare condizioni patologiche cronicizzate negli
anni.
Elemento fondamentale del rapporto uomo-animale, è dato
dal contatto fisico.
La sensazione tattile conduce alla coscienza della propria
corporeità e alla formulazione di un’identità personale e
psicologica; infatti, la mancanza o carenza di stimoli
corporei nell'infanzia è uno dei fattori prioritari di ritardo
fisico e psichico, delle sindromi da deprivazione e delle
difficoltà relazionali.
Inoltre, la soddisfazione del bisogno di affetto e di relazione
"interpersonale" crea le condizioni di un buon equilibrio
psico-fisico, specialmente nei bambini, negli anziani, nei
malati. Il prendersi cura dell'animale, favorisce il senso di
responsabilità, l’autostima, la socializzazione e l’attività
ludica quanto mai auspicabili nel caso di bambini e di adulti
che hanno perso la fiducia in se stessi.
La socializzazione è ottenuta grazie al tipo di comunicazione
fra l'animale e la persona che si realizza con gesti, sguardi e
contatti. Questo tipo di rapporto basato sulla naturalezza e
la spontaneità, a volte difficili nelle convivenze tra esseri
umani, determina una sorta di tranquillità e di sicurezza
riducendo in questo modo uno stato ansiogeno. Inoltre
l'assenza di atteggiamento competitivo o minaccioso nell’
animale, ha effetti di contenimento delle angosce e delle
apprensioni.
La responsabilizzazione si realizza perché accudire un
animale richiede delle attenzioni ed obbliga a svolgere delle
mansioni che possono essere importanti per la crescita e lo
sviluppo in ambito adolescenziale.
2.4. Funzioni
Lo studioso Veevers nel libro “Pets and The Family” ha
individuato le possibili funzioni dell’animale da compagnia
che sono fondamentalmente di quattro tipi:
1) una funzione proiettiva, che si riferisce alla tendenza a
“proiettare” sull’animale caratteristiche proprie.
2) una funzione di lubrificante sociale, nel senso che può
incrementare la quantità e la qualità delle interazioni sociali,
3) una funzione di surrogato, che si ha quando l’animale
viene visto in senso prevalentemente antropomorfo, cioè gli
si attribuiscono, in modo più o meno inconsapevole,
caratteristiche umane.
4) una funzione di capro espiatorio diventando un elemento
su cui scaricare le proprie ansie e frustrazioni.
Secondo il sociologo Mario Abis (Presidente della Makno
Ricerca di Milano), l’animale domestico sembra essere in
grado di rispondere a quattro bisogni fondamentali
nell’uomo, quelli che costituiscono “la teoria delle 4 S”:
1) sicurezza,
2) sensibilità,
3) silenzio,
4) stabilità.
L’animale in poche parole ci tranquillizza.
2.5. Meccanismi d’azione
I meccanismi d'azione che entrano in gioco in un
programma di Pet Therapy vertono principalmente sulla
relazione tra la sfera affettivo-emotiva e quella biologica.
I meccanismi emozionali che si innescano sono alla base del
successo che questo tipo di terapia sta suscitando. Le
emozioni, intese non soltanto come un moto dell'anima, ma
piuttosto come espressione di modificazioni neuroendocrine,
hanno dunque una base d'azione biologica e
sostanzialmente seguono le stesse vie biochimiche e
nervose della risposta del rilassamento psico-fisico. Tuttavia
le ricerche che si stanno accumulando in merito a questa
terapia indicano diversi tipi di modalità di azione che quasi
sempre si potenziano tra loro e che possono venire riunite
nei seguenti meccanismi:
Meccanismo Affettivo-Emozionale
L’animale esprime un’emozione comunicativa e quanto più
forte è il legame emozionale della coppia animale - paziente,
tanto più intensi saranno i risultati positivi ottenuti.
In alcune ricerche è stato osservato che vi è una relazione
tra emozione, rilassamento ed effetti sanitari benefici. Ad
esempio, la tecnica del rilassamento, attraverso un
rassicurante rapporto con un animale amico, comporta una
serie di variazioni fisiologiche che sono opposte alla risposta
reattiva causa di stress, soprattutto cronico.
Come conseguenza si assiste ad una diminuzione del ritmo
cardiaco e di quello respiratorio, nonché della pressione
arteriosa e del tono muscolare, con variazione delle onde
elettroencefalografiche.
Secondo le più recenti vedute la Pet Therapy, almeno in
parte, opera proprio attraverso le stesse vie biochimiche
della risposta di rilassamento.
Nel determinare gli effetti emozionali concorre in maniera
preponderante la comunicazione tattile.
Il contatto fisico rappresenta uno dei principali canali
d'interazione sul quale è strutturato il legame fra gli esseri
viventi. Infatti, il contatto corporeo con il Pet, in funzione
della genuinità e spontaneità con cui si realizza, è in grado,
principalmente con i bambini ma anche con gli adulti, di
fornire gratificazioni attraverso sensazioni tattili, calore,
morbidezza, postura, movimento coordinato, realizzando
una forma di comunicazione che è primaria e più immediata
rispetto al linguaggio verbale. In questa ottica potremmo
affermare che tale contatto facilita le capacità relazionali del
Soggetto.
Meccanismi Biologici
Il contatto fisico con gli animali innesca una serie di reazioni
che sul piano clinico, si traducono nell'uomo in:
riduzione della pressione arteriosa
rallentamento del ritmo cardiaco
diminuzione della frequenza respiratoria.
Lo stretto legame tra emozione, benessere e salute è
correlato ad un aumento del tono dell’umore. Collegato al
senso di benessere vi è anche l'aumento in circolo di
endorfine, ormoni che, se presenti in scarse quantità,
concorrono a rocurare malessere, mentre l’aumento può
determinare uno stato di piacere o di benessere.
Stimolazione psicologica
Un intenso rapporto uomo-animale rappresenta un forte
stimolo psicologico, che coinvolge diversi settori della psiche
umana: comportamento sociale e meccanismi di relazione,
componenti caratteriali ed aspetti cognitivi. La presenza
partecipata di un animale induce la persona ad “uscire” dai
suoi problemi, interessarsi all’animale e tramite questo
anche agli altri. Da questa partecipazione scaturiscono molti
effetti benefici, anche indiretti.
Meccanismi psicologici e psicosomatici
Accanto al meccanismo fisico della Pet Therapy si associa
quello psicologico. La presenza di un animale può essere
importante nell’adolescente in cui spesso si verificano
problemi di paura del mondo che lo circonda con
conseguenti fenomeni di chiusura in se stesso,
emarginazione e difficoltà di interazione con gli altri.
L'animale, infatti, si pone nei confronti dell'essere umano
con molta naturalezza ed immediatezza ed è sicuramente
privo di atteggiamenti giudicanti, che invece spesso assume
l'uomo: tale comportamento agevola la comunicazione.
L’animale inoltre è in grado di interagire con soggetti
portatori di handicap fisici o psichici, a qualsiasi livello di
gravità, senza alcuna variazione nella comunicazione. Da qui
il ruolo di lubrificante sociale dell'animale, perfetto tramite
per un comportamento sociale più funzionale, per il
miglioramento dei meccanismi di relazione, delle
componenti caratteriali nonché degli aspetti cognitivi. Un
ulteriore meccanismo d'azione della Pet Therapy è quello
psicosomatico. Diversi studi dimostrano che sulla base di
una correlazione tra malattie psicosomatiche e detenzione di
animali, nei possessori di animali, a testimonianza della
reale efficacia della Pet Therapy, si evidenzia una
riduzione dell'incidenza di tali disturbi.
Meccanismo ludico
Un aspetto molto importante per comprendere come agisce
la Pet Therapy è il gioco, il divertimento e non raramente il
ridere, che spesso s’instaura nel rapporto uomo-animale. Il
gioco, oltre che aumentare il buonumore, predispone alla
socializzazione, rinforza l'attività fisica, aumenta i
meccanismi di difesa organici e di conseguenza potenzia le
probabilità di guarigione.
Meccanismo Fisico
La componente fisica della Pet Therapy è indubbiamente
importante e viene sfruttata in diverse occasioni; infatti sul
piano dell'esercizio fisico la presenza di un animale, in
pazienti con disabilità, favorisce l'attività motoria:
spazzolare, lanciare la pallina, lavare l'animale, nutrirlo sono
attività che richiedono un evidente impegno motorio.
Tipici sono gli esempi dell’equitazione terapeutica o
ippoterapia, dei giochi in acqua insieme ai delfini o
delfinoterapia, delle passeggiate regolari e quotidiane alle
quali si deve obbligatoriamente assoggettare chi possiede
un cane. La limitazione o la
privazione del contatto fisico può comportare delle gravi
difficoltà di relazione con gli altri e con il nostro Sè
psicologico, il nostro confine interno, nasce e si struttura a
partire dal riconoscimento di un confine esterno.
Meccanismi Associati
Non dobbiamo scordare che i singoli meccanismi già citati
agiscono quasi sempre associati fra loro. Ad esempio nella
ippoterapia e delfinoterapia la componente fisica si associa
sempre a quella emotiva, di interesse per l’ambiente, per gli
altri e per il gioco. È questo il motivo per cui una
passeggiata a cavallo è sempre più stimolante, da un punto
di vista psico-sensoriale, di un esercizio eseguito all’interno
di una stanza di riabilitazione motoria.
2.6. Il lavoro di equipe
I programmi di pet therapy devono essere pensati,
organizzati e continuamente seguiti da numerose figure
professionali. Ognuna di esse agisce apportando il proprio
contributo specifico e integrandolo con quello dell’altra. I
membri del gruppo che hanno il compito di progettare,
valutare e svolgere le attività sono
 Medico
 Psicologo
 Terapista della riabilitazione
 Assistente sociale
 Infermiere
 Insegnante
 Pedagogista
 Veterinario
 Etologo
 Operatore cinofilo
Tra questi sarebbe utile nominare un supervisore che studi il
setting dal di fuori, senza una partecipazione attiva. La
figura solitamente addetta a questa funzione è lo psicologo
il quale ha gli strumenti necessari per valutare l’andamento
del paziente, il rapporto instaurato tra l’animale ed il
soggetto, il rendimento della coppia cane operatore cinofilo,
intervenendo se necessario, attraverso un confronto con le
altre figure, ad orientare diversamente il lavoro, o
controllare la realizzazione degli obbiettivi che ci si era
prefissati all’inizio del progetto.
2.7. Animali utilizzati
Gli animali presentano un’intelligenza di tipo emozionale ed
è proprio su questo aspetto che si fondano i successi della
Pet Therapy.
E’ importante sottolineare quanto l'animale in sé non abbia
una funzione "terapeutica" specifica, ma sia il rapporto che
si stabilisce tra lui e il soggetto umano a rivestire un ruolo di
grande importanza e che deve essere valutato insieme alle
esigenze e alla conoscenza delle problematiche individuali
profonde.
Gli animali che vengono utilizzati nella Pet Therapy vengono
classificati in due categorie:
1) animali portati in visita (vivono al di fuori del servizio),
2) animali residenti (vivono permanentemente nel servizio).
La scelta di un animale da coinvolgere nelle Terapie Assistite
con Animali (AAT) non è semplice poiché da un errore di
valutazione, per quanto trascurabile, possono derivare
problemi anche molto gravi per la salute del paziente
sottoposto alla terapia.
Secondo la Delta Society, solo gli animali domestici possono
essere inseriti in programmi di attività e terapie assistite
dagli animali, escludendo quindi tutti gli animali selvatici o
inselvatichiti, gli animali esotici ed i cuccioli.
Tuttavia si è osservato di recente uno spostamento di
interesse anche verso altri animali, per definizione non
domestici, o meno convenzionali come asini, capre, delfini.
Gli animali residenti sono da considerare più funzionali alle
AAA che alle AAT.
2.7.1. Ippoterapia
La riabilitazione equestre o ippoterapia consiste in un
complesso di tecniche rieducative che mirano ad ottenere il
superamento di un danno sensoriale, motorio, cognitivo e
comportamentale, attraverso l’uso del cavallo come
strumento terapeutico.
La cavalcata come mezzo di riabilitazione psicofisica è una
pratica terapeutica di recente introduzione, e ancor più
recenti sono le ricerche e gli studi che ne dimostrano
l’efficacia.
I principali settori di utilizzo del cavallo in campo terapeutico
sono:
settore medico: utilizzo, a scopo terapeutico, delle
stimolazioni
motorie e sensitive indotte dal movimento tridimensionale
del
dorso del cavallo;
settore riabilitativo: impiego terapeutico dello sport
equestre sia
come fonte di stimoli motori, sia soprattutto come attività
educativa e relazionale;
settore sportivo: utilizzo dello sport equestre come
elemento di inserimento sociale.
Uno degli aspetti più interessanti di questa terapia consiste
nella straordinaria quantità di stimolazioni sensoriali che il
cavallo è in grado di assicurare. Rafferty (1992) ha
osservato che andare a cavallo coinvolge ben sei diversi
elementi sensoriali, simultaneamente e durante la cavalcata,
per cui il paziente riceve stimoli acustici, visivi, olfattivi, ma
soprattutto riceve intense stimolazioni tattili, vestibolari (per
l’equilibrio) e propiocettive. Inoltre è un valido stimolo
affettivo ed un
incentivo alla comunicazione.
In alcuni casi anche l’alimentazione e la pulizia dei cavalli
possono essere dei validi elementi terapeutici.
2.7.2. Delfinoterapia
La Dolphin-human-therapy, è stata ideata e sviluppata
da David Nathanson, uno psicologo con quasi trenta anni di
esperienza. Nelle sue prime ricerche (1980), Nathanson ha
studiato la relazione tra il legame uomo-delfino e lo sviluppo
di processi quali il linguaggio, la memoria, la comprensione
in bambini con disabilità cognitive in cui tale programma
terapeutico sembrava apportare dei significativi
miglioramenti. Le ricerche sull’intelligenza del delfino, sulle
modalità di apprendimento e sull’acqua come riduttori dello
stress, suggeriscono che il lavoro in acqua con il delfino
potrebbe considerarsi un ottima terapia per migliorare gli
aspetti cognitivi dei bambini con disabilità. Per i bambini che
partecipano alla terapia, uno dei fattore che si è rivelato
essere molto importante, è costituito dalla temperatura
dell’acqua al punto che in tutte le sessioni di terapia, nel
resoconto dei dati, viene inclusa la temperatura dell’acqua
all’inizio della sessione
Il programma terapeutico messo a punto da Nathanson
(1998), basa le sue fondamenta teoriche su tre punti
principali: l’ipotesi del deficit attentivo, che spiegherebbe il
perché i disabili hanno in genere difficoltà con il linguaggio e
motivazione; condizionamento operante che descrive le
procedure operate durante il trattamento per portare il
bambino a mettere in atto determinati comportamenti
desiderati; un modello di lavoro interdisciplinare che
permette una migliore qualità della terapia. Dunque l’ipotesi
alla base della delfino-terapia, è che i bambini o gli adulti a
contatto con questi animali, aumentino il loro grado di
attenzione in quanto motivati dal desiderio di interagire con
i delfini. Si può affermare che la pet-therapy contrasta
l'iperriflessione dai propri sintomi e dai propri deficit; questa
minore
attenzione per la propria immagine, sia corporea che
psichica, garantisce un maggior tempopsichico, spaziomentale per potersi permettere, concedere, uno sguardo
fuori (Dereflessione)che è il passaggio precedente e che
favorisce l'Autotrascendnza.
2.7.3. Dog-therapy
In questa sede mi soffermerò a descrivere più
approfonditamente la terapia con l’ausilio del cane. Si tratta
di una scelta non basata su un giudizio di valore assoluto,
ma fondata sul naturale e atavico rapporto di “amicizia” che
lega il cane all’uomo, sulla consapevolezza della possibilità
d’introdurre il cane nella maggior parte dei setting, sulla
possibilità di controllo e prevedibilità che abbiamo
sull’animale, presupposto necessario per poter affrontare un
programma terapeutico con serenità e professionalità. Nel
nostro periodo storico si è sviluppata una concezione etica
dell’animale, non più meramente utilitaristica e funzionale. Il
cane un tempo impiegato solo come ausilio nella caccia,
come guardiano della casa o delle greggi, viene finalmente
considerato essere senziente, capace di provare emozioni.
Inizia a condividere con l’uomo gli spazi familiari, più intimi,
entra a pieno titolo a far parte della famiglia ed è
riconosciuto dall’immaginario collettivo come il l’amico per
eccellenza, capace di fiducia totale ed incondizionata.
La tendenza naturale e spontanea del cane a ricercare un
contatto con l’uomo, la sua predisposizione al gioco e la
grande capacità di apprendere attività che aumentano la
possibilità di interazione, lo rendono l’animale forse più
indicato da impiegare nella pet therapy. La scelta di un cane
da avviare a programmi di pet therapy dovrebbe basarsi su
una profonda conoscenza del cane: conoscere le sue origini
e l’ambiente in cui è nato può essere rassicurante per
l’operatore cinofilo che in tal caso può seguire la crescita del
soggetto in ogni particolare, tutelare da subito la sua
integrità fisica e psichica, intervenire fin dalla giovane età
per preparare il cucciolo al suo futuro lavoro, senza
dimenticare che le caratteristiche comportamentali di base
sono già un elemento discriminante rispetto alla scelta del
cane. Non tutti i cani possono essere impiegati in pet
therapy, solo i soggetti che si dimostrano inclini alla
socievolezza, predisposti al contatto con l’uomo e
successivamente prevedibili nel comportamento possono
affrontare un lavoro simile. Avere un temperamento
equilibrato diviene indispensabile, se per temperamento
intendiamo la capacità di reagire agli stimoli: un cane
eccessivamente vivace potrebbe creare dei problemi in
setting particolari e in ambienti ristretti, mentre un cane
apatico precluderebbe fin dall’inizio ogni possibilità di
interazione con il paziente. Essere dotato di un
temperamento equilibrato significa quindi rispondere agli
stimoli esterni in maniera adeguata, direi anche prevedibile
nel caso di un giusto rapporto tra cane e conduttore. E’
chiaro che delle predisposizioni caratteriali più significative
esistono anche in un cane particolarmente equilibrato, ci
sarà quindi il soggetto più incline al gioco e quello più
predisposto alla manipolazione ad esempio. Se si ha la
fortuna di poter avere più cani con caratteristiche diverse e
complementari si potranno affontare programmi di pet
therapy anche molto differenti tra loro, dalla terapia per
bambini autistici ad esempio, a quella per malati anziani.
Esistono varie posizioni sull’eventualità di utilizzare cani di
razza o meno. Probabilmente sapere che il proprio cane è
selezionato da generazioni per mantenere al meglio le
caratteristiche non solo fisiche ma anche comportamentali
della razza può essere rassicurante, ma non è di certo una
garanzia assoluta. Anche alcune caratteristiche morfologiche
possono far propendere per una razza piuttosto che
un’altra, di solito quelle dai tratti neotenici vengono preferite
soprattutto nel caso di lavoro con bambini o con pazienti
che hanno disturbi a livello psichico, ma parlare di una
scelta basata da principio sulle caratteristiche fisiche del
cane mi sembra troppo riduttivo. E’scontato affermare che
un cane aggressivo sia da escludere assolutamente nel
lavoro di pet therapy, ma per creare nel setting quel clima
di fiducia ed armonia necessaria alla riuscita del lavoro è
anche da escludere un cane sottomesso. Qui farei una
prima distinzione tra docilità indotta e spontanea. La prima
è frutto di sottomissione, che per quanto celata si legge
nell’atteggiamento del cane, nel suo sguardo, di solito
basso, nel portamento della coda, nella reazione al
momento del semplice richiamo o di un piccolo rimprovero.
La seconda è spontanea, nasce dal rapporto di totale fiducia
col proprio conduttore, che diviene il primo punto di
riferimento, a cui si ubbidisce innanzitutto per amore cieco
ed incondizionato. Un cane docile spontaneamente, al
momento del richiamo o del comando non assumerà una
posizione bassa o con la coda fra le gambe, ma ubbidirà con
gioia nel caso sia particolarmente contento di eseguire
l’azione o con sufficiente rassegnazione nel caso in cui stia
portando a termine un compito non particolarmente gradito.
La scelta del cucciolo è quindi momento di grande
riflessione a cui segue un lungo periodo di educazione e
socializzazione di cui parlerò in seguito. In alcuni casi si può
avviare al lavoro di pet therapy anche un cane che si è
conosciuto già adulto, purchè sia stato possibile verificarne
per un periodo sufficiente le qualità innate e il
comportamento acquisito. In questo caso diventa
indispensabile l’esperienza dell’operatore cinofilo che dovrà
valutare in tutta coscienza i limiti del soggetto ed accettarli,
impiegando l’animale in situazioni ben definite.
2.8. L’educazione del cane
Un cane che venga avviato al lavoro di pet therapy non
deve essere necessariamente addestrato, ma deve aver
ricevuto un’ottima educazione di base. Le prime lezioni di
vita che il cucciolo deve avere sono a carico della madre e
dei fratelli. Il soggetto che abbia avuto la possibilità di
vivere con la madre almeno fino al secondo mese di vita
sarà sicuramente più predisposto a seguire delle regole, le
lotte con i fratelli e le “sgridate” della madre l’avranno reso
consapevole del fatto che non tutto è lecito. Spesso cani che
mostrano eccessiva eccitabilità, propensione al morso ed
iperattività sono stati separati precocemente dalla mamma.
Se il cucciolo avrà la fortuna di poter continuare a vivere
con i genitori o con cani adulti equilibrati, otterrà parte della
sua educazione da loro grazie ad una propensione
all’emulazione, alle regole del branco, alla consapevolezza
che esistono delle gerarchie. Gli studi scientifici più recenti
concordano sul fatto che il cane discenda dal lupo. Nel 1935
R.I. Pocock ipotizzava che le informazioni genetiche
necessarie per dare origine a tutte le razze canine odierne
fossero portate da quattro tipi di lupi. Il fatto che il cane
attuale, quando si accoppia con i lupi, produca una
discendenza feconda rafforza tale ipotesi. All’interno del
branco i lupi riconoscono un capo ed il rapporto che si
instaura con tutti i membri del branco è fondamentale, il
lupo è quindi un animale sociale ed il cane ha mantenuto
innata questa caratteristica. Per educare un cucciolo è
importante tenere sempre a mente la sua origine: al branco
si sostituirà la “famiglia umana” ed il nuovo capo branco
dovrà saper meritare il suo ruolo. I cani comunicano in gran
parte attraverso un linguaggio silenzioso, quello del corpo,
ed una serie di rituali che se ben interpretati scongiurano
quasi sempre eventuali scontri fisici. Il cucciolo sarà
predisposto ad imparare seguendo questo meccanismo, a
cui si aggiungerà un linguaggio parlato, quello dell’uomo. Un
cane che parteciperà da adulto a programmi di pet therapy
dovrà frequentare situazioni e ambienti molto diversi dalle
normali case. Fin dal secondo mese di vita sarà opportuno
abituarlo a ricevere carezze e coccole anche da estranei,
fargli ascoltare una vasta gamma di suoni e rumori,
abituarlo alla presenza di bambini e di altri animali. Si
procederà quindi alla conoscenza delle diverse superfici su
cui camminare, da quelle lisce a quelle sabbiose e instabili,
e alla conoscenza di luoghi affollati e pieni di stimoli visivi e
uditivi, nonché di oggetti inconsueti.E’ fondamentale
abituare il cane a salire in macchina, procedendo poi con
piccoli spostamenti fino a viaggi più lunghi. La nostra auto
può diventare luogo di grande rilassamento e piacere per un
cane che ne abbia avuto esperienza positiva. In un setting
terapeutico può accadere che il cane debba aspettare il suo
momento di lavoro in macchina o anche nel kennel,
soprattutto nel caso di alternanza di più cani nello stesso
setting. Fin da cucciolo trascorrervi qualche momento a cui
segua un adeguato premio lo farà apparire sempre un luogo
pacifico e non certo una stretta prigione. A questa prima e
ampia conoscenza del mondo andrà da subito associata la
regola del no, accompagnata dal giusto tono di voce. La
consuetudine di rinforzare le prestazioni positive con un
premio, mangiare, gioco o la semplice carezza, deve essere
accompagnata dall’abitudine di impedire che il cane
apprenda dei vizi, che se da cucciolo possono apparire
anche buffi e divertenti, possono poi trasformarsi in
comportamenti pericolosi. A partire dai sei mesi, alla
socializzazione con gli esseri umani, con altri cani o altri
animali può seguire un’educazione più avanzata, che
comprenda i comandi del seduto ( assimilabile anche
prima), del terra, del resta. Saper camminare al piede,
tornare al momento richiesto sono altri requisiti
indispensabili a cui si può aggiungere l’insegnamento del
riporto di un oggetto che risulterà utilissimo in fase di pet
therapy. Ovviamente un cane capace di fare agility o altri
appassionanti esercizi sarà più coinvolgente in determinati
casi, ma per la maggior parte dei setting terapeutici non è
un elemento discriminante. Un buon operatore cinofilo non
deve mai perdere di vista lo stato di buona salute del cane.
Dall’igiene alle cure sanitarie: seguire un regolare
programma di vaccinazioni, una dieta equilibrata, esami
periodici che scongiurino la presenza di zoonosi. Anche il
cane più fedele e felice di lavorare in un setting di pet
therapy rischia di subire pesanti stress. E’ compito
dell’operatore cinofilo cogliere i primi segnali ed intervenire
prontamente per evitare che la situazioni peggiori,
rinunciando anche ad impiegare il soggetto nel caso in cui
sia avvenuto un evento traumatico o troppo stressante,
dandogli il tempo e l’opportunità di poter recuperare la
piena condizione di equilibrio. L’affiatamento tra l’operatore
cinofilo e il suo cane è alla base della riuscita di ogni
intervento di pet therapy.
2.9. La pet therapy ed i pazienti autistici
Abbiamo visto come nei pazienti autistici persista una
compromissione delle interazioni sociali, una comunicazione
deviante e dei quadri comportamentali ristretti e/o ripetitivi.
Le aree compromesse sono quindi quella delle relazioni
sociali, della comunicazione della modalità di
comportamento stereotipata. Iniziare un programma di pet
therapy con un bambino autistico pone innanzitutto il
problema di capire quale sia il livello di compromissione
delle varie aree, per porsi degli obbiettivi realizzabili. In
alcuni casi è opportuno fare delle scelte precise su quale
area sia necessario sviluppare maggiormente. Sperare in un
miglioramento della situazione generale è sicuramente
auspicabile, ma porsi pochi e realistici obbiettivi da
raggiungere è indispensabile. Dopo un’anamnesi del
paziente, si definiscono le tipologie di attività, gli interventi
sull’ambiente e la scelta della coppia pet-partner. La scelta
degli ambienti in cui affrontare attività terapeutiche con i
pazienti autistici è motivo di grande disaccordo tra gli
studiosi. C’è chi insiste per un lavoro terapeutico in ambienti
strutturati, come possono essere quello ospedaliero, luoghi
di riabilitazione (le stanze della logopedia o della
psicomotricità) in un contesto rassicurante, prevedibile, con
precise sequenze temporali. Chi per un importante
esecuzione di momenti terapeutici all’interno dell’ambiente
familiare, o nella scuola. In molti casi avviene un
coinvolgimento attivo dei familiari nelle sedute terapeutiche.
E’ opportuno conoscere quale modalità ambientale si sia
scelta per poter costruire un programma di pet therapy e
conoscere anche l’eventuale presenza dei genitori, ai quali si
daranno oltre alle normali informazioni, come avviene
sempre quando si avvia un’attività o terapia con l’ausilio
degli animali, indicazioni specifiche relative alla presenza
dell’animale. Si costruirà quindi un calendario d’incontri. Per
promuovere la realizzazione degli obbiettivi realizzabili
(miglioramento del linguaggio,, attivazione emozionale,
promozione di interessi…) è necessario innanzitutto che il
paziente accrediti l’animale come interlocutore e in questo
caso riveste un ruolo delicatissimo l’operatore cinofilo che
deve gettare le basi per il processo relazionale, diventare un
ponte tra il cane e l’utente. Alla realizzazione di un
programma ben definito deve far seguito un’attenta analisi
dei risultati.
2.9.1. Esempio di un progetto di AAT con bambini
autistici
L’ANPET (Associazione Nazionale Pet e Terapia) ha iniziato a
lavorare con i bambini autistici in collaborazione con l'Istituto di
Ortofonologia di Roma. Dall'ottobre 2005 al giugno 2006 un
campione costituito da 28 bambini, di età compresa tra i 2
anni e mezzo e i 12 si sono sottoposti ad una seduta
settimanale di A.A.T. Il campione è costituito da 18 soggetti
maschi e 10 femmine. La ripartizione tra i due sessi
corrisponde alla diversa distribuzione del disturbo attestata
da diverse ricerche che riportano un rapporto maschifemmine variabile tra 2:1 e 3:1. Le diagnosi si collocano
all'interno della categoria dei disturbi dello spettro autistico
(Autism Spectrum Disorders, ASD), declinate in diversi livelli
di gravità: 11 bambini con diagnosi di disturbo autistico, pari
al 40% del campione, un altro 50% con profondi disturbi
emotivo-relazionali, di cui il 20% con sospetto di disturbo
dello spettro autistico; ad essi si aggiungono un caso di
disturbo autistico associato a ritardo cognitivo ed uno di
Disturbo disintegrativo dell'infanzia.
2.9.1.1. Setting terapeutico e metodologia della
ricerca
I 28 bambini sono stati selezionati dall'Istituto di Ortofonologia sia
perché giudicati soggetti idonei ad un trattamento con pettherapy, cioè in grado di avvalersi positivamente
dell'esperienza garantita dal rapporto con gli animali, sia
come campione rappresentativo della complessità, anche
diagnostica, dell'intera popolazione che afferisce all'Istituto
stesso. Si è trattato quindi di un progetto pilota, mirato ad
ottenere dati circa i reali effetti della A.A.T. con i bambini
autistici. I pazienti si sono sottoposti ad un protocollo di
terapia integrato, comprendente sedute di psicoterapia e
sostegno alle famiglie; in alcuni casi erano abbinate
nuototerapia.
sedute di
Ogni seduta di A.A.T, della durata di un'ora circa, si è svolta
secondo il protocollo elaborato dall'A.N.P.E.T., che descrive
le diverse fasi della seduta stessa, dalla presentazione di sé,
alla relazione con gli animali, alla restituzione. Con questi
pazienti, inoltre, particolare attenzione è stata posta
all'eventualità, tutt'altro che remota, di un loro rifiuto delle
attività o di 'tentativi di fuga' dalla situazione.
Nel corso delle sedute i bambini sono stati suddivisi in
piccoli gruppi, di massimo 6 soggetti. Ciò ha reso possibile
un rapporto più diretto e rilassato con loro, che offrisse
anche la possibilità di attivare, da parte della
psicoterapeuta, dei comportamenti di holding. In tutte le
sedute sono state presenti una o due psicoterapeute ed un
conduttore che si occupasse in modo specifico e qualificato
degli animali, in un atteggiamento di pieno rispetto e tutela
del benessere di questi.
Oltre a tre esemplari selezionati di levriero afgano, e a diverse specie di
volatili, sono stati utilizzati altri piccoli animali che, risultano
particolarmente graditi ai piccoli pazienti, quali i conigli nani
ed i gatti. Nel corso delle sedute si è provveduto ad una
rotazione degli animali, e si è posta cura nel prendere tutte
le precauzioni atte a prevenire l'insorgenza di stress legato
alla loro attività di mediazione. Altri 'animali', di plastica e
peluche, alcuni di alto valore simbolico per alcuni bambini
(la chiocciola col suo guscio, la tartaruga corazzata), e
l'occorrente per le attività espressive, completavano il
materiale utilizzato nel corso delle sedute.
Per effettuare delle osservazioni che ci garantissero la
possibilità di comparare il comportamento dei bambini prima
e dopo il percorso intrapreso con le A.A.T., è stata utilizzata
una dettagliata griglia di osservazione nel corso della prima
e dell'ultima seduta. Essa ci ha permesso la raccolta di dati
quali l'aspetto del bambino, la sua attività e partecipazione
(in termini di reattività agli stimoli e di reazione alle attività
proposte), la qualità dell'interazione con le persone e con gli
animali, la presenza di comportamenti e disturbi quali
stereotipie, ecolalia, masturbazione, autolesionismo,
piuttosto frequenti nella popolazione degli autistici. Sono
state inoltre annotate le modalità di gioco, quando presente,
ed informazioni su alcune variabili psicologiche quali
l'affaticabilità, i tempi d'attenzione, l'uso dell'oggetto,
l'intenzionalità.
2.9.1.2 Risultati
Un primo insieme di risultati riguarda i cambiamenti di
atteggiamento verso le attività proposte da parte di bambini
che, in percentuale non trascurabile, hanno mostrato la loro
prima reazione alle attività con urla, rifiuto, 'tentativi di
fuga', accentuazione delle stereotipie. L'interesse per la
situazione, ridotto al 20% dei casi nel corso della prima
seduta, passa al 60% circa nell'ultimo incontro di A.A.T.
Cambiamenti più netti si hanno a carico dell'atteggiamento
di disponibilità, con una riduzione del 75%, nel corso del
trattamento, della frequenza dell'atteggiamento negativo di
non-disponibilità da parte dei bambini.
Un altro gruppo di risultati illustra i cambiamenti di
atteggiamento verso gli operatori e fornisce, nonostante
l'esiguità numerica del campione, piena significatività
statistica a quelle modificazioni che abbiamo avuto modo
d'osservare, nel corso del tempo, a partire
dall'atteggiamento d'iniziale chiusura riscontrato in quasi
tutti i bambini che hanno partecipato al progetto.
L'indifferenza verso l'operatore, evidente nella prima seduta
in una distribuzione quasi binomiale (46% di indifferenti;
53% di non indifferenti) passa ad una riduzione della
indifferenza al solo 20% del campione nell’ultima seduta. Lo
stesso andamento è stato riscontrato negli atteggiamenti
volti a mantenere un contatto con l'operatore, passati dal
42% al 71.4% dell'ultima seduta. Si tratta di atteggiamenti
di ricerca di prossimità, di contatto 'dolce', con carezze e
piccoli gesti, finalizzati a stabilire una forma di relazione
affettuosa e rassicurante con l'altro.
Nel corso delle sedute è cambiata notevolmente anche la
relazione dei bambini con i pet, con una sempre maggiore
accettazione dell'interazione, presenza di significativi
tentativi di seguire l'animale e capacità sempre maggiore
d'interazione in modo delicato col pet. Anche nella
valutazione di questi dati bisogna ricordare quali fossero le
capacità d'interazione dei bambini con i pet nelle primissime
sedute: un'indifferenza totale verso la presenza dell'animale
era evidente in 19 bambini su 28 (68%), reazioni infastidite
erano comuni nel 10% dei piccoli, alcuni di loro (5%)
cercavano di interagire con l'animale attraverso maniere
"forti", dal toccare l'animale con gesti poco empatici,
inadeguati, ai tentativi di dispetti.
Una terza serie di risultati riguarda i cambiamenti mostrati
dai piccoli pazienti in una serie di variabili psicologiche,
prima tra tutte il linguaggio. Al momento della prima seduta
la oltre il 60% del linguaggio prodotto si limitava a forme
piuttosto semplici, spesso non facilmente comprensibili; nel
corso delle sedute il linguaggio dei bambini è risultato
sempre più comprensibile agli operatori. In ambito
linguistico si passa inoltre ad una comprensione pressoché
completa delle comunicazioni dell'altro (limitata al 90% dei
casi circa in prima seduta), ed alla acquisizione di chiare
finalità comunicative nel 70% dei casi.
Appaiono interessanti anche i dati relativi alla modalità
utilizzata dai pazienti per l'espressione delle loro richieste.
La situazione di assenza di comunicazione dei propri bisogni,
riguardante nella prima seduta un terzo dei soggetti, non è
più osservabile nell'ultima seduta, nella quale si riducono le
richieste effettuate col solo uso dello sguardo ed indicando
(rispettivamente dal 32% al 14%, e dal 18% al 7%) e
quadruplica la frequenza di utilizzo del mezzo verbale (dal
14% al 64%).
Altra variabile psicologica presa in considerazione è quella
della reattività agli stimoli. Nel corso della terapia i bambini
si avviano gradualmente al superamento dell'atteggiamento
di totale indifferenza, per acquisire in modo statisticamente
significativo con sempre maggiore frequenza, reazioni
tendenzialmente differenziate o meglio ancora, reazioni
diverse in risposta ai diversi stimoli esterni.
Nel corso della terapia sembra diminuire nettamente il
rifiuto dell'attività ludica, che modifica la propria complessità
rispetto al livello mostrato nel corso della prima seduta.
Sembrano piuttosto significative la maggior frequenza del
ricorso all'espressione ludica simbolica – comprendente
anche le forme grafico-pittoriche – e della partecipazione
alle prime forme di gioco collettivo con semplici regole, quali
quelle del turn-taking, nonché il rispetto delle stesse.
Altri dati di rilievo, sebbene non statisticamente significativi,
anche a causa della scarsa numerosità del campione, sono
quelli relativi alla riduzione delle condotte aggressive, etero
ed auto-dirette, e delle condotte d'isolamento o di
masturbazione in risposta alla frustrazione. Infine,
l'intenzionalità dei bambini sembra estendersi ad un uso più
consapevole degli oggetti e ad una gamma più ampia di
attività
Conclusioni
Nella ricerca del materiale sul disturbo autistico sono stata
particolarmente colpita da alcune letture sulla teoria della
mente. Questa si riferisce all’abilità di inferire gli stati
mentali degli altri cioè i loro pensieri, opinioni, desideri,
intenzioni, e all’abilità di usare tali informazioni per
interpretare ciò che essi dicono, dando significato al loro
comportamento e prevedendo ciò che faranno in seguito. I
bambini normodotati sembrano perfettamente consapevoli
del fatto che le persone hanno le informazioni in testa,
hanno cioè degli stati informativi, anche prima dei quattro
anni, mentre già a tre anni sanno comprendere le emozioni,
sanno distinguere le espressioni del volto che indicano
tristezza, gioia, paura. A tre anni sanno prevedere in che
modo le situazioni possono influire sulle emozioni e a
quattro sanno tener conto sia dei desideri sia delle opinioni
nel prevedere i sentimenti di una persona. L’abilità di capire
la mente si manifesta spontaneamente durante l’infanzia.
Un crescente numero di studi dimostra invece che i bambini
autistici incontrano particolari difficoltà nel ragionamento
sullo stato mentale. I bambini normodotati di tre quattro
anni capiscono che l’emozione può essere causata dalle
situazioni (le situazioni piacevoli ti fanno sentire felice,
quelle spiacevoli triste) e dai desideri( i desideri realizzati ti
fanno sentire triste, quelli non realizzati ti intristiscono). A
quattro - sei anni i bambini normodotati capiscono anche
che le opinioni possono influire sulle emozioni, per esempio
se tu pensi che avrai ciò che desideri ti senti felice, se pensi
che non lo otterrai ti senti triste, a prescindere da quello che
accadrà. Si è visto che i bambini autistici sono in grado di
valutare l’emozione del protagonista di una storia se questa
è causata da una situazione, hanno maggiori difficoltà a
valutare l’emozione nel caso in cui questa scaturisca da un
desiderio. Risultano addirittura negative le prestazioni nel
prevedere l’emozione del personaggio dovuta alla sua
opinione. Se ne deduce che le emozioni semplici sono alla
portata dei soggetti autistici, mentre le emozioni complesse
li mettono in grave difficoltà. Una prima forma di
comprensione della mente è la comunicazione intenzionale
di tipo dichiarativo che i bambini padroneggiano tra gli 11 e
i 14 mesi di vita. In questo tipo di comunicazione il bambino
indica un oggetto all’adulto alternando il proprio sguardo tra
l’oggetto ed il volto dell’adulto finchè questo guardi nella
stessa direzione. Il bambino non utilizza l’adulto in modo
solo strumentale per conseguire i propri obbiettivi, ma cerca
di influenzarne l’atteggiamento psicologico rispetto a quella
realtà, in particolare il provare interesse o condividere
un’esperienza. Nella “dichiarazione” il risultato atteso è il
cambiamento nello stato mentale dell’interlocutore, mentre
nella “richiesta”, processo mentale più semplice, ci si
attende un cambiamento oggettivo nel mondo esterno.
L’intenzione comunicativa di tipo dichiarativo risulta
gravemente compromessa nei soggetti autistici. Questi
fanno uso in prevalenza di gesti di richiesta basati sul
contatto fisico (non alternano il proprio sguardo con quello
dell’adulto e l’oggetto/evento interessante, tirano l’adulto
per mano verso l’oggetto ad esempio). Hanno gravi
difficoltà a produrre e comprendere l’intenzione dichiarativa
del gesto di indicare, mentre sono capaci di usare lo stesso
gesto per chiedere qualcosa (intenzione richiestiva).
Riflettendo su queste anomalie ho immaginato quanto
alcuni di questi processi tendano ad essere scardinati in un
setting di pet therapy. Il bambino autistico che provi
interesse emozionale per il cane dovrà necessariamente
scoprire che per interagire con l’animale ad un livello
superiore che non le sole carezze, i gesti richiestivi basati
sulla sola fisicità non porteranno a costruire un rapporto
positivo. Tirare a sé l’animale per avvicinarlo non
produrrebbe altro che il suo allontanamento, chiamarlo o
fargli un semplice gesto d’invito, una pacca sulla propria
gamba ad esempio, “dichiarando” la propria disponibilità alla
vicinanza e al gioco creeranno una condivisione di emozioni
e stati d’animo, quindi un cambiamento della propria sfera
emotiva e di quella del cane. Se si riuscisse ad innescare nel
bambino autistico il meccanismo di generalizzazione
dell’esperienza attraverso terapie psicologiche strutturate,
l’evento supposto sopra potrebbe essere un’anticipazione
del fatto che per poter richiedere l’attenzione su una cosa o
un evento, sarebbe sufficiente ricorrere al tentativo di
condividere e comunque, applicando una richiesta meno
performativa, di non utilizzare mezzi fisici eccessivi per
ottenere lo stesso risultato. Questa penso possa essere la
vera valenza della pet therapy come cooterapia: la spinta
emozionale, conoscitiva e comunicativa che possa essere
una base su cui continuare a lavorare, integrando terapie
psicologiche, farmacologiche, programmi di logopedia o di
comunicazione facilitata, senza dimenticare che in questo
caso più che in altri la terapia deve essere modellata sul e
per il soggetto, in base alle sue caratteristiche, all’età
cronologica e al suo stadio evolutivo.
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