Edizioni Mondadori a Segrate, Oscar Niemeyer Strutture nel paesaggio Mirko Guaralda “La tragedia di Oreste in un teatrino di marionette! […] Se nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? […] Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, […] Oreste, insomma, diverrebbe Amleto.”1 Giorgio Mondadori nel 1968 commissiona ad Oscar Niemeyer la nuova sede per la propria azienda richiedendo esplicitamente un’opera impostata sul modello del Ministero degli Esteri di Brasilia. Tipologicamente i due palazzi per uffici sono molto diversi: nella capitale d’oltreoceano l’architetto si cimenta con una grande piastra quadrangolare, mentre a Segrate si rifà al tipo a stecca; ciò che accomuna i due corpi di fabbrica è più che altro un’assonanza dell’immagine che propongono, anche se in Italia il tema architettonico viene sviluppato con maggiore libertà e disinvoltura. Niemeyer riprende, quindi, gli elementi che caratterizzano il manufatto di Brasilia, gli archi in cemento armato, la struttura vetrata, il rapporto con l’acqua, e li declina in un complesso edilizio dotato di una propria grande figurabilità. L’intervento realizzato alle porte di Milano si articola in tre elementi: gli uffici amministrativi, il corpo di fabbrica emergente nel paesaggio che, come detto, presenta un forte sviluppo longitudinale; i servizi che, invece, sono bassi manufatti impostati su uno schema organico; il giardino, progettato da Pietro Porcinai in forme semplici e con essenze tipiche della pianura lombarda. 1.1 Vista Aerea del Complesso; 1.2 C.T.R. 1994. 1 Luigi Pirandello, “Il fu Mattia Pascal”, capitolo XII. 1 Gli Uffici Amministrativi La stecca degli uffici amministrativi presenta un impianto tipologico molto semplice: una galleria di smistamento al piano terra che collega i due atri presso i vani scala, un open space ai piani intermedi che al quinto, l’ultimo, si articola in una successione di uffici chiusi. L’impianto distributivo lineare tipico di questo tipo, trova una interessante declinazione al piano terra in cui si ha l’esigenza di smistare diversi flussi. Presso le risalite verticali a Nord Niemeyer posiziona l’atrio che disimpegna il corpo centrale da quelli laterali; nella testata Sud l’architetto inserisce invece la galleria delle carrozze. I due elementi sono collegati da una passeggiata coperta su cui si innestano anche il percorso sospeso sopra il lago, che porta ai parcheggi, e la scala circolare esterna al blocco degli uffici. 2.1 Prospetto Ovest; 2.2 Pianta Piano terra; 2.3 Pianta Piano tipo; A: B: C: Uffici Amministrativi; Servizi Generali – Redazione; Locali a disposizione del Personale; 1: 2: 3: 4: 5: 6: 7: Galleria di Smistamento; Atrio d’entrata; Peception visitatori; Patio; Ristorante; Negozi; Lago. La grande invenzione, che rende questo edificio un vero prototipo, è l’idea di concepire la stecca come una casa nella casa in cui le due diverse strutture si articolano in modo indipendente. Il porticato esterno, realizzato in cemento armato, ha un passo variabile tra i supporti; la successione degli elementi verticali, che trova punti fissi e riconoscibili nelle due campate vuote delle testate, segue un ritmo apparentemente irregolare, ma invece impostato su una precisa sequenzialità musicale. In questa struttura Niemeyer gioca molto anche con l’ambiguità tra la natura forte e pesante del materiale, il cemento ovvero la pietra, e l’immagina slanciata ed eterea della gabbia. Questo effetto è ottenuto impostando i pilastri su di una base triangolare: mentre il vertice esterno corre fino al culmine dell’edificio, quelli laterali si allargano in archi parabolici che cadenzano e caratterizzano le facciate laterali. Il richiamo all’idea classica del tempio greco si manifesta pienamente nella struttura trilitica delle testate, una sorta di pronao moderno, in cui i supporti laterali manifestano la propria reale consistenza. 2 L’ironia di Niemeyer prosegue con il progetto del corpo centrale: questo appare come un prisma perfetto, un pesante volume compatto contenuto nella leggera gabbia cementizia; questo corpo di fabbrica, così grave nel suo aspetto, è però realizzato con una struttura in ferro e vetro che, invece, storicamente propone un’idea di leggerezza ed inconsistenza. Il manufatto interno è poi impostato secondo uno schema tradizionale di supporti cadenzati in base a moduli e mezzi moduli regolari, che trovano una corrispondenza quasi accidentale con i pilastri cementizi. Se esternamente si legge solo il contrasto tra la bianca struttura in pietra ed il cupo blocco in vetro, internamente si può cogliere pienamente la discrepanza tra i due diversi impalcati strutturali. Se da un lato l’architetto brasiliano ironizza con l’immagine dei materiali, dall’altro svela il suo gioco una volta che ci si sofferma ad osservare la statica dell’edificio: il corpo centrale in ferro e vetro è infatti appeso alla struttura in calcestruzzo. I supporti in metallo, quindi, sono sottoposti a trazione mentre quelli lapidei a compressione, seguendo le prestazioni che la natura dei materiali suggerisce. Per accentuare l’effetto di sospensione del prisma vetrato, Niemeyer arretra la cortina dell’ultimo piano; l’inserimento di grandi specchi d’acqua contribuisce poi a moltiplicare le strutture ed a creare particolari effetti visivi. Il blocco degli uffici è l’elemento che non solo caratterizza maggiormente tutto il complesso, è anche quello più emergente nel paesaggio circostante: mentre i corpi bassi hanno un atteggiamento mimetico rispetto al contesto, la grande struttura ingabbiata si pone come una forte cesura, un elemento estraneo calato su di un territorio omogeneo e monotono. 3 Studio sulle sezioni. I Servizi Generali I bassi corpi di fabbrica che si diramano dalla stecca centrale sono impostati sulla base di una geometria organica incastrandosi con le loro forme sinuose tra terra ed acqua. Il manufatto ad Ovest presenta una tipologia a pianta centrale, grossolanamente ovale, impostata attorno ad una corte che smista i locali a disposizione del personale. Con un’idea di impostazione del luogo di lavoro tipica degli anni ’60 del ‘900, il complesso della Mondadori presenta oltre che a spazi produttivi veri e propri anche una serie di dotazioni, quali il ristorante e diversi negozi, volti a pensare l’ufficio, inteso in senso ampio, come cittadella indipendente ed autonoma; un luogo in cui poter svolgere le diverse attività quotidiane secondo uno schema temporale e spaziale ben preciso: il blocco in cui si amministra, la stecca; il blocco in cui si produce; il blocco in cui ci si riposa, l’ovale. Questa impostazione, oltre a rifarsi ad un modello sociale ben preciso, trova anche spiegazione nella collocazione periferica dell’intervento: negli anni ’60 diversi complessi di terziario avanzato, la Mondadori come anche l’IBM, si posizionano in quella che all’epoca era una periferia più rurale che urbana e quindi carente dei più elementari servizi per una popolazione impiegatizia. Il passaggio dal luogo del tempo libero a quello del lavoro avviene attraversando la palazzina dell’amministrazione: se il primo manufatto è impostato su di uno schema centrale, il corpo di fabbrica ad Est, i servizi generali che contengono anche le redazioni, sono sviluppati secondo una figura allungata che sinuosamente si piega attorno allo specchio d’acqua. In questa sorta di L rovesciata si identificano 3 chiaramente due zone distinte, ovvero l’open space delle redazioni, nella parte Nord verso il giardino, e l’area parcellizzata delle strutture di supporto vere e proprie a Sud, verso il lago. Entrambi i corpi di fabbrica dei servizi sono sottili piastre lapidee ad un piano che, per il trattamento concavo convesso utilizzato per il giardino, sono percepibili solo in prossimità del complesso. Il Giardino Il progetto degli spazi complementari e del giardino contribuisce a proiettare nel paesaggio la struttura scultorea della palazzina degli uffici: Pietro Porcinai, che collabora in diverse occasioni con Oscar Niemeyer, tratta in modo molto semplice l’intorno dell’edificio raddoppiandone le strutture con l’inserimento di Populus nigra “Italica”, essenza tipica della pianura padana che richiama lo sviluppo verticale della pilastratura in calcestruzzo, e cortine di arbusti utilizzate per creare folte siepi e per sottolineare l’orizzontalità del complesso edilizio principale. Il trattamento delle sponde del lago è stato impostato per ricreare un biotipo adatto ad accogliere gli uccelli di passo durante le migrazioni stagionali; nel resto del complesso, invece, sono previsti semplicemente prati ondulati che permettono da una parte un’ampia vista da e sul paesaggio circostante, dall’altra celano all’esterno i bassi corpi organici dei servizi generali. La presenza delle grandi vetrate e di giardini pensili contribuisce, infine, a dilatare lo spazio interno in quello esterno, a creare una unica unità spaziale tra verde e costruito. Il progetto degli spazi inedificati si conclude con l’inserimento nel lago di una scultura, una sorta di menhir, realizzata da Pomodoro. Come già sottolineato elemento emergente nel paesaggio circostante è la stecca degli uffici amministrativi, anche per le scelte adottate nel giardino. Rispetto al contesto questo manufatto era pensato come una cesura, un oggetto estraneo, impostato con logiche proprie ed aliene rispetto a ciò che lo circonda; un elemento scultoreo generante rapporti prossemici tali da fornire una misura dello spazio. Il tipo di poetica a cui si fa riferimento in questo caso, a mio avviso, è quella dell’albero isolato, un elemento eccezionale, diverso rispetto alla prateria in cui si trova, ma proprio in ragione del suo essere altro diviene pietra di paragone, metro per leggere i rapporti dimensionali di una porzione di territorio. Questo tipo di lettura espressiva di un elemento altro rispetto al contesto è una delle prime forme espressive con cui si cimenta l’uomo: i menhir, i dolmen, le diverse strutture megalitiche sono elementi strutturali del paesaggio, nel senso che con la semplice azione di erigere un elemento in verticale, come l’uomo si erge in posizione eretta sulla terra, si crea la possibilità di avere un punto di riferimento preciso, un landmark chiaro e riconoscibile, tale da poter permettere di orientarsi in uno spazio omogeneo e monotono. Il semplice elemento strutturale, che trova la sua ragion d’essere essenzialmente nella propria statica, ha una sua evoluzione nella storia del paesaggio: ponti od acquedotti sono manufatti che da sempre segnano in modo incisivo un contesto; una volta che questi elementi estranei sono metabolizzati dall’ambiente su cui insistono, divengono l’elemento principale che struttura il territorio in cui sono contenuti, segnano un luogo e ne sottolineano la sua individualità. La campagna romana, le strade alpine od i grandi ponti e viadotti di epoca industriale sono chiari esempi di questa vena espressiva che trova una evoluzione nelle esperienze contemporanee della Land-art. La Mondadori di Oscar Niemeyer a Segrate, quindi, si pone nel paesaggio circostante come elemento nuovo, frutto di una nuova società produttiva, che è elemento altro rispetto al contesto prevalentemente agricolo in cui viene calata: un taglio nel contesto che induce alla riflessione. Con il passare del tempo la città è però cresciuta e quella che nel 1968 era una fascia periferica oggi si trova al centro di una dinamica area urbana; la qualità del progetto dell’architetto brasiliano è però tale da reggere anche le mutate 4 condizioni del contesto. Se inizialmente la poetica di riferimento era quella dell’albero isolato nella pianura, oggi che la pianura è diventata un dedalo di raccordi infrastrutturali, un affastellarsi di edifici e manufatti ciascuno seguente una propria logica, il complesso di Segrate si pone come una radura di calma e razionalità nella caotica foresta circostante; un’oasi in cui le regole insediative sono semplici, chiare, lineari e, sopratutto, riconoscibili. Bibliografia: O. Niemeyer, La forma dell’architettura, Mondadori, Milano 1978 L. Puppi, Guida a Niemeyer, Mondadori, Milano 1987 J. Petit, Niemeyer:, architetto e poeta, Hoepli, Milano 1995 P, Porcinai, A. Giannini, M. Mattini, Pietro Porcinai: architetto del giardino e del paesaggio, Electa, Milano 1991 M. Pozzana, P. Porcinai, I giardini del XX secolo: l’opera di Pietro Porcinai, Alinea, Firenze 1998 G.A. Jellicoe, L’architettura del paesaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1969 E. Tutti, Antropologia del paesaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1974 N. Ventura, Lo spazio del moto: disegno e progetto, Laterza, Roma 1996 5