Il nodo non sciolto nella Dottrina sociale della Chiesa Secolarizzazione & nichilismo1 Mons. Giampaolo Crepaldi2 È una riflessione, tanto profonda quanto affabilmente discorsiva, sull’inanità dei pur volenterosi tentativi di «cristianizzare» la secolarizzazione, con grave pregiudizio per l’efficace trasmissione del Vangelo. La Dottrina sociale della Chiesa non è una «teoria», ma riguarda il campo dell’agire sia personale sia comunitario. Per affrontare il tema che mi è stato proposto non vorrei disperdermi in mille rivoli e casistiche. C’è bisogno di sintesi. Indicherò quindi un solo tema, che considero il nodo fondamentale da sciogliere. Esso è talmente fondamentale da produrne poi molti altri. Secondo me la secolarizzazione ha assunto caratteristiche tali da dimostrarci di non averla ancora completamente compresa. Questo è per me uno dei nodi fondamentali non In questo senso la ancora sciolti. secolarizzazione è A dire il vero oggi sembra imperante la frutto del concezione della secolarizzazione come portato dello cristianesimo stesso cristianesimo. È vero, la concezione più diffusa è questa. Detta così, però, è ambigua. Occorrono dei chiarimenti. Come ha ben messo in evidenza Romano Guardini, solo nel cristianesimo nasce un punto di vista esterno al mondo che rende possibile la legittima autonomia del mondo. In questo senso la secolarizzazione è frutto del cristianesimo: il mondo non è Dio e Dio non è il mondo. Questo però non significa che il mondo sia indipendente da Dio. Autonomo non vuol dire indipendente. Una cosa è la capacità di fondarsi, o auto fondarsi, e altra cosa è la capacità di condursi. Il mondo 1 Articolo pubblicato su la rivista Studi Cattolici, nel suo numero di settembre 2015. Mons. Crepaldi dal 1985 al 1994 è stato direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e del lavoro; nel 2001 è stato nominato segretario del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, di cui era sotto-segretario dal 1994. Membro del Consiglio della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è presidente dell’Osservatorio Internazionale «Cardinale Van Thuân» sulla Dottrina sociale della Chiesa. Nel 2009 Benedetto XVI l’ha nominato vescovo di Trieste, conferendogli il titolo ad personam di arcivescovo. 2 1 non ha la capacità di autofondarsi, ha una certa capacità di condursi. Questa è la corretta secolarizzazione. Il caso più chiaro è quello della politica. Il potere politico non si autofonda, nemmeno con il sistema democratico. Ha bisogno di fondamento. In questo senso, parafrasando Bökenforde, esso vive di presupposti che non sa darsi da solo e che quando vengono meno non sa ricostruire. La politica ha propri linguaggi, propri oggetti, proprie procedure specifiche con le quali è in grado di guidarsi, senza dipendere direttamente e sempre dal fondamento trascendente, ossia da Dio. Ma quando anche nel guidarsi emergono questioni fondamentali, essa non sa risolverle da sola, ha bisogno di un supplemento di senso etico e religioso. Molti oggi sono disposti ad accettare la necessità per la politica di un fondamento etico, meno quello religioso. Ma bisogna essere chiari: nemmeno l’etica è in grado di autofondarsi. Essa, infatti, ha bisogno di una assolutezza che da sola non sa darsi. Con Maritain e il personalismo si è avuto un periodo nel quale il cristianesimo sembrava poter andare a braccetto con la secolarizzazione. È vero, ma quella illusione è stata breve ed è finita da tempo. Maritain stesso lo ha affermato – forse un po’ pentito – nella sua ultima opera, Il Contadino della Garonna. Negli anni Trenta e poi nella fase della ricostruzione dopo la seconda Guerra mondiale, si era pensato – ma più che altro si era sperato – che ci fosse una naturale convergenza tra cristianesimo e democrazia, e che fosse possibile individuare una morale comune, base della convivenza tra i cittadini che facevano riferimento a universi religiosi e filosofici diversi. Ma questa previsione non ha tenuto conto di un fatto. La secolarizzazione non può fermarsi allo stadio di secolarizzazione Dalla seconda religiosa. Una volta acquisito questo step, la Guerra mondiale è secolarizzazione procede spietatamente e coinvolge iniziata la anche l’etica. secolarizzazione Le democrazie occidentali, infatti, smentendo in ciò Maritain, hanno preso congedo non solo dalla delle società religione ma anche dalla morale pubblica. Lo dimostrano le statistiche riguardanti il matrimonio, il divorzio, le convivenze, l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale e così via. Mentre la prima Guerra mondiale ha secolarizzato gli Stati, dalla seconda Guerra mondiale è iniziata la secolarizzazione delle società. Quando Maritain scriveva le sue opere, forse certe dinamiche non erano ancora completamente dispiegate, ma certo erano prevedibili. Altri pensatori a lui coevi le avevano infatti previste. Anche la teologia cattolica ha sdoganato la secolarizzazione, trasformandola da fenomeno negativo a fenomeno positivo per il cristianesimo. Ciò è avvenuto alla fine degli anni Sessanta soprattutto a partire dall’opera di Johann Baptist Metz Antropocentrismo cristiano, ove il teologo tedesco rilegge san Tommaso vedendovi il primo passo verso la secolarizzazione moderna. Lo scopo di Metz, però, era non solo mostrare che esiste una secolarizzazione «cristiana», ma di accreditare il processo di secolarizzazione in quanto tale come cristiano. Insisto: «il processo». Che ci sia una forma di legittima autonomia delle realtà temporali era sempre stato evidente, anche in epoca medioevale, con la dottrina delle due spade. Ma che la secolarizzazione come «processo» fosse cristiana non era mai stato detto. I Pontefici avevano sempre tentato di contenere e frenare la secolarizzazione, anche con la Dottrina sociale della Chiesa. Ora invece viene sostenuto che il processo di secolarizzazione come tale è sempre positivo, in tutti i suoi esiti e nella sua stessa essenza: il mondo diventa adulto e non ha più bisogno di Dio. Il mondo – diceva Metz – è il luogo dove Dio non si incontra. Qui è iniziata la deriva, per cui ogni intervento per frenare il processo di secolarizzazione è 2 diventato oggetto di accusa di integralismo. La secolarizzazione, nella visione moderna, sembra irreversibile e inarrestabile, producendo però nichilismo. Chiediamoci: il nichilismo è inarrestabile? Il punto decisivo mi sembra questo: c’è nella secolarizzazione moderna una spinta essenziale e irrefrenabile verso la dissoluzione di ogni fondamento? In altri termini: la secolarizzazione moderna ha un’anima nichilista? Per rispondere a queste domande faccio tesoro delle riflessioni di Karl Löwith. Questo filosofo della storia ha visto che la modernità succhiava sangue al cristianesimo secolarizzando il suo messianismo escatologico. Non c’è una promessa immanente fatta nella modernità che non derivi da un riduzionismo orizzontale della promessa cristiana. Ma ha anche realisticamente osservato che l’esito finale è quello di un uomo che ha attorno il nulla e che, privo di riferimento alcuno, deve fare delle scelte drammatiche. Oggi lo vediamo: l’uomo è solo con sé stesso, ma il suo potenziale tecnologico lo obbliga a fare scelte che incidono sulla stessa natura umana senza avere nessun adeguato criterio per farle, dato che la secolarizzazione ha demolito tutti i suoi punti di riferimento. Oggi la secolarizzazione ha secolarizzato anche l’identità maschile e femminile, la procreazione, la maternità e la paternità. Viene in mente Nietzsche secondo cui finché ci sarà la grammatica Dio non sarà veramente morto. La secolarizzazione ha secolarizzato ogni grammatica e in questo vuoto l’uomo deve fare scelte che i nostri predecessori, ben più addestrati sui princìpi, non si sognavano nemmeno. Prima ho affermato che la secolarizzazione era stata «trattenuta» dai Pontefici. Vediamo come, prendendo spunto da un’importante osservazione di Benedetto XVI. Parlando al Sinodo sulla nuova evangelizzazione nell’ottobre del 2012, egli ha portato indietro le La secolarizzazione lancette dell’orologio della nuova evangelizzazione. mostrò allora il suo Quando si è sentita l’esigenza di una nuova volto: togliere Dio evangelizzazione?, si è chiesto. Tutti avrebbero dal mondo risposto: con il Vaticano II. Invece egli ha indicato quando, nell’Ottocento, gli Stati volevano estromettere Dio dal mondo. Indubbiamente i fenomeni politici e sociali di secolarizzazione c’erano stati anche prima, ma non c’è dubbio che la secolarizzazione divenne un programma politico di tutti gli Stati europei, e non solo europei, proprio nel XIX secolo. La secolarizzazione mostrò allora il suo volto: togliere Dio dal mondo. San Giovanni Paolo II aveva detto: «Togliere Dio dal cuore dell’uomo». Ma se lo si toglie dal mondo è per toglierlo dal cuore dell’uomo. Questo getta una luce singolare sulla nascita della Dottrina sociale della Chiesa moderna. Essa nasce per ridare un posto a Dio nel mondo, quel posto che la secolarizzazione degli Stati liberali e massonici avevano voluto togliergli. Se rileggiamo le encicliche sociali di Leone XIII, e non solo la Rerum novarum, in questa luce troviamo il quadro completo per raggiungere questo obiettivo. La giustizia sociale tra datori di lavoro e operai ne sarebbe stata la conseguenza e non la causa. Si dimentica spesso che la Dottrina sociale della Chiesa moderna nasce per ridare un posto a Dio nel mondo. Posto che la secolarizzazione gli aveva tolto. Ecco perché, come dicevo, tutti i Pontefici volevano «trattenere» la secolarizzazione, che è sempre stata tollerata, accettata per evitare pericoli e danni peggiori, ma mai cercata né mai auspicata. Basti pensare che la Rerum novarum, considerata la prima enciclica sociale della modernità, è dichiaratamente antimoderna, dato che inizia mettendo in guardia dalla «brama di cose nuove». 3 Questa affermazione suona strana al sentire di oggi. Anche dopo il Concilio Vaticano II? Anche dopo la cosiddetta apertura al mondo? Anche oggi la Dottrina sociale della Chiesa accetta ma non auspica la secolarizzazione? Per rispondere bisogna tornare a distinguere. Una volta si distingueva tra secolarizzazione e secolarismo. La prima parola è positiva, la seconda negativa. Il secolarismo sarebbe la degenerazione della secolarizzazione. Io però mi chiedo: c’è una secolarizzazione che non diventi secolarismo? Questo è il punto che il pensiero cattolico non ha ancora esaminato fino in fondo. Ora, anche dopo il Concilio, l’insegnamento della Chiesa ha sempre rifiutato una secolarizzazione intesa come percorso irreversibile verso il secolarismo nichilista. La secolarizzazione ha nel suo DNA di produrre frutti amari, e nella modernità si sono sprigionate delle dinamiche che non si sono certo fermate – come molti ingenuamente pensavano – a un equilibrato rapporto tra mondo secolare e religione cristiana, ma che hanno fagocitato la religione, proponendosi come una nuova religione post-religiosa. Anzi, la secolarizzazione ha prodotto una religione dell’antireligione. Non, quindi, una posizione neutrale. La secolarizzazione ha prodotto la frammentazione religiosa di oggi. Ha prodotto però anche una religione caratterizzata dall’essere anticristiana e antireligiosa. Faccio osservare che ciò riguarda evidentemente le sètte che oggi chiedono esplicitamente ai loro Stati il La secolarizzazione riconoscimento del «culto di Satana» (magari con ha prodotto la l’otto per mille), ma riguarda soprattutto quelle forme frammentazione di religione antireligiosa che fanno senza dire, che si religiosa di oggi presentano ammantate da altra sensibilità, ma in profondità non sono da meno. Mi chiedo: queste derive estreme sono incidenti di percorso nella secolarizzazione? Deviazioni impreviste e imprevedibili? Manipolazioni interessate? Oppure – e così torno alla domanda centrale di questo intervento – nella secolarizzazione c’è qualcosa che ancora ci sfugge? Il caso posto nella domanda, comunque, attesta che l’antireligiosità oggi tende a diventare una religione. Poi qualcuno parla di «risveglio delle religioni». La secolarizzazione fa sì che nella categoria della religione ci si metta ormai di tutto, anche la religione antireligiosa. Certo che chiamarlo un risveglio religioso è decisamente ridicolo. Chiediamoci: come si diffonde questa religione antireligiosa? Come opera? Come costruisce una società non solo senza Dio ma contro Dio? A queste domande possiamo facilmente rispondere tutti, semplicemente guardandoci intorno. Come avvengono i processi di cambiamento della nostra società? Non avvengono per via teorica ma pratica. Tramite nuove mode, nuovi modi di vestirsi, di pettinarsi, di divertirsi, di passare le vacanze, di bere e di mangiare, di vivere le relazioni sessuali e quindi di concepire sé stessi e le relazioni con gli altri. Indossando le gonne corte o spogliandosi in spiaggia, le donne hanno cambiato la visione di sé stesse. Le tecniche anticoncezionali prima, e ora la fecondazione in vitro, hanno cambiato il modo di vivere la procreazione. La modalità con cui i giovani trascorrono le nottate del venerdì o del sabato sera cambia la loro visione della vita. L’uso di andare in vacanza tra coppie di ragazzi innamorati ha cambiato la natura del fidanzamento. La secolarizzazione e la religione dell’antireligione passa attraverso il «fare» certe cose, attraverso l’organizzazione dell’esistenza. Date un cellulare di nuova generazione in mano a un ragazzino di dieci anni e lo cambierete radicalmente. Festeggiate Halloween e la visione religiosa della morte si trasformerà. Si badi bene, non dico che questi fenomeni non vengano teorizzati, anzi. Però le modalità con cui si propagano sono relative al fare, al 4 vivere, all’esistere. Questi cambiamenti non vengono prodotti dai convegni, ma dall’introdurre nuovi comportamenti che, nella società globalizzata, diventano automaticamente collettivi e obbliganti. Chiediamoci: la Chiesa ha capito questo? La verità è che ci troviamo di fronte a dinamiche che ancora non abbiamo conosciuto a fondo. Davanti a questi processi si capisce, senza peraltro giustificare, come tante correnti teologiche moderne abbiano cercato di intercettare l’esistenza, la prassi, la storia. Come abbiano potuto pensare a una presunta astrattezza della Dottrina sociale della Chiesa che fa appello alla persona, ma la persona è poi di fatto inserita in questi fagocitanti processi sociali che impongono le trasformazioni imponendo nuovi comportamenti. La Dottrina sociale, però, non si limita al campo dell’agire personale, ma riguarda anche il campo dell’agire comunitario, pensa ai processi e alle istituzioni, concerne il costume e i comportamenti collettivi. Essa è «per la pratica», quindi anch’essa dovrebbe dar vita a comportamenti e non solo a teorie. Certo che da questo punto di vista abbiamo ancora da riflettere e da operare molto. Un ottimo spunto mi sembra derivare da Papa Francesco quando contrappone lo spazio al tempo, l’occupazione di luoghi al suscitare processi. Credo che egli intenda qualcosa di simile a quanto ho appena finito di esporre. Il modo con cui la religiosità antireligiosa si impone è che si concentra sui processi esistenziali, sugli atteggiamenti di vita. La Dottrina sociale della Chiesa dovrebbe ritornare a suscitare processi. Veniamo a Papa Francesco per rilevare un fecondo rapporto tra il suo magistero e la Dottrina sociale della Chiesa. Il Papa propone una «Chiesa in uscita». In che senso? Papa Francesco la intende in senso cristologico e missionario. È l’incontro con Cristo che suscita la gioia del vangelo e la spinta Essa è «per la irrefrenabile a condividerla anche con gli altri, portando Cristo agli altri. Ho l’impressione che pratica», anch’essa qualcuno abbia inteso questa espressione del Papa in dovrebbe dar vita a senso un po’ riduttivo e, forse, anche distorto. Come comportamenti se la Chiesa dovesse uscire «dal tempio», smetterla con la preghiera o la liturgia e girare per le strade e le piazze per incontrare la gente. Come se dovesse immediatamente svestirsi di pratiche religiose o devozionali che sostengono la vita spirituale dei fedeli. Come se dovesse smettere di contemplare il Signore e dar vita solo a opere di solidarietà sociale. Secondo qualcuno «Chiesa in uscita» significa addirittura rinunciare alla dottrina per privilegiare solo la prassi. Papa Francesco vuole certamente che si vada incontro agli altri, ma non a mani vuote, bensì portando il Signore Gesù. Vuole certamente che si vada incontro agli altri, ma non per portare noi stessi o le nostre ansie pastorali magari non bene metabolizzate, ma per portare Gesù. Quel Gesù che si incontra prima di tutto nella Chiesa e nei sacramenti. Non si tratta, quindi, di uscire chiudendo la porta per non ritornare più. Si esce per ritornare e, anzi, ci si rende conto che uscire è, in verità, un rientrare, se viene inteso non come un uscire in senso spaziale o sociologico, ma come un uscire con Cristo per portare agli altri Cristo. L’espressione non ha quindi un significato spaziale o sociologico. Non significa che non dobbiamo più andare in chiesa o che non dobbiamo perdere tempo a pregare. I membri degli istituti religiosi contemplativi sono «in uscita» più degli altri, anche se sono fermi nello stesso chiostro. Come si sa, santa Teresa del Bambin Gesù è protettrice dei missionari, ma non ha mai girato il mondo. Detto ciò, è vero che la Chiesa è protesa verso il mondo. Essa è nel mondo, ma 5 nello stesso tempo non è mondo. È protesa verso il mondo per annunciare e proporre la salvezza e lo è con tutta sé stessa, anche con chi non si muovesse dal proprio confessionale, come padre Leopoldo Mandic, o dalla propria parrocchia come il santo Curato d’Ars. La Chiesa è sacramentalmente protesa verso il mondo come segno di salvezza. Lo è ontologicamente e non sociologicamente. Ora, dentro questa «apertura» al mondo così intensivamente intesa si colloca anche la Dottrina sociale della Chiesa che, dice Benedetto XVI nella Deus caritas est, è nel punto di congiunzione della Chiesa con il mondo. Allora si può e si deve dire che la Chiesa è «in uscita» anche con la sua Dottrina sociale, e con la pastorale sociale che ne consegue. Lo è con i suoi laici che, formati alla Dottrina sociale, cercano di incarnarla in modo coerente. Lo è con le varie comunità di fede che si interessano e partecipano al bene comune del contesto in cui si trovano. Ma lo è anche con i suoi Vescovi o sacerdoti che insegnano la Dottrina sociale e il comportamento cristiano in società, e con i suoi religiosi e religiose che pregano per il mondo e la sua salvezza. La Chiesa «esce», come ama dire il Papa, anche con la sua Dottrina sociale e le opere che ne derivano. Un’altra espressione di Papa Francesco viene spesso adoperata, quella relativa alle «periferie esistenziali». La Chiesa «in uscita» si dirige prima di tutto verso le «periferie esistenziali». Come può essere intesa questa espressione per la Dottrina sociale della Chiesa? Andare alle periferie significa andare là dove c’è bisogno di Gesù, dove l’umanità è lacerata, dove La Chiesa «in le relazioni sono impedite e dove gli uomini hanno uscita» si dirige perso la consapevolezza di chi sono. Anche in questo prima di tutto verso caso bisogna evitare di intendere l’espressione in senso sociologico. Non è che nei centri delle grandi le «periferie città non ci sia da fare per i cristiani mentre nei esistenziali». quartieri periferici sì. Non è che nei Paesi sviluppati non ci sia da fare e in quelli sottosviluppati invece sì. Non significa che dobbiamo andare tutti in Africa. La sofferenza, la povertà, la miseria assume molti volti, materiali e spirituali. Il mondo non è diviso in centro e periferia: ci sono molti centri e molte periferie. Rimanere al centro ha un significato metaforico, indica il rimanere inerti, l’accontentarsi di ripetere formule usate finora e più o meno gratificanti, non sentire nessuna scossa, l’adagiarsi nella consuetudine, il procedere per inerzia. Andare verso le periferie vuol dire mettersi in cammino, cercare il bisogno e il bisognoso, non accontentarsi di quanto si fa abitudinariamente. Il Papa non fa il sociologo, il suo è un insegnamento prima di tutto spirituale. Direi che la Dottrina sociale della Chiesa ha come scopo proprio questo: andare verso le periferie della vita, della società, della cultura moderna, dell’economia e della politica. Però lo fa, e questo è un punto decisivo nell’insegnamento di Papa Francesco, non solo per fare, ma per proporre un nuovo modo di essere. Altrimenti la Chiesa diventa una ONG e la Dottrina sociale diventa il Manuale delle Giovani Marmotte. La Dottrina sociale della Chiesa sogna un mondo senza periferie, sapendo però che su questa terra le periferie ci saranno sempre. Da qui derivano il suo ottimismo e il suo realismo cristiano. Papa Francesco è molto concreto. I suoi gesti e le sue parole toccano da vicino tanti problemi sociali di oggi. Egli non teme di parlare di lavoro o di disoccupazione, di migrazioni o dell’eccessivo potere del denaro, della schiavitù prodotta dalla finanza internazionale o dello sfruttamento delle donne. Non teme di scendere in terra. Però, 6 contemporaneamente, esprime una forte visione soprannaturale delle cose, con la sua concentrazione in Cristo, la sua devozione mariana e anche con i suoi riferimenti non sporadici al diavolo. Diciamo una parola su questo punto. Tra la città terrena e la città di Dio c’è e ci sarà sempre conflitto, anche se in questa vita esse non sono mai assolutamente distinguibili. La loro causa è però distinguibile: Dio o il diavolo. Trovo molto significativo che Papa Francesco, così ottimista a vederlo, così radioso nella comunicazione, così concretamente solidale, veda la storia umana, anche quella di oggi, in questi termini che in altri tempi avremmo detto di scontro cosmico. Parlare del diavolo al giorno d’oggi non è facile. Il Papa ne parla perché è un innamorato di Cristo, che ha sconfitto il diavolo. In precedenza parlavo di religione dell’irreligione o dell’antireligione, intendendo con ciò proprio il volto demoniaco di tante tendenze della odierna società. A considerare, per esempio, la volontà di tante forze oggi dominanti di negare sistematicamente la creazione per attuare una nuova creazione fa pensare al peccato di orgoglio delle origini, ma soprattutto a una superbia satanica. Il Papa che sorride e accetta di fare un selfie con dei ragazzi, che beve il mate sulla papamobile, che si ferma per raccogliere una palla e rilanciarla, è anche il Papa che considera l’intero sviluppo della storia come lo scontro spirituale tra Dio e il diavolo. Questo ha un significato fondamentale per la Dottrina sociale della Chiesa. O essa annuncia Cristo o non è. Essa vede l’opera del male anche nella costruzione della società e non solo nel turbamento dei cuori. Essa sa che la signoria del mondo o è di Dio o è contro Dio. Papa Francesco ci invita a Papa Francesco è valutare le cose in questa profondità. molto devoto della Papa Francesco è molto devoto della «Madonna che «Madonna che scioglie i nodi». Che dire del rapporto scioglie i nodi» tra la Madonna e la Dottrina sociale della Chiesa? Questa devozione di Papa Francesco mi richiama alla mente un’altra grande devozione mariana, quella di san Giovanni Paolo II. Data la passione di questi due Papi per la Dottrina sociale della Chiesa e la loro devozione mariana viene da pensare che tra le due cose esista un nesso profondo. Tutte le encicliche sociali terminano con una invocazione a Maria. Bisogna però riconoscere che non è stata esaminata spesso la dimensione mariana della Dottrina sociale della Chiesa. Mi viene in mente, a questo proposito, un bel capitolo del libro di san Giovanni Paolo II Memoria e identità. È il capitolo che dà il titolo all’intero libro. Egli parla della memoria della Chiesa e dell’umanità e di come la Chiesa conservi la memoria dell’intera umanità. E per spiegarlo parla del passo evangelico che dice che Maria «conservava tutte queste cose nel suo cuore». Come Maria – questa la tesi di Giovanni Paolo II – conservava la memoria della storia della salvezza, così la Chiesa conserva la memoria dell’intera umanità, a cominciare da quanto raccontato nei primi capitoli del libro della Genesi. Paolo VI, parlando all’assemblea dell’ONU, aveva detto che la Chiesa è «esperta in umanità». Tale esperienza non le deriva prima di tutto dall’impegno che molti cristiani hanno sempre dato a servizio dell’uomo nella carità e nella giustizia. Non le deriva tanto dalle opere dei suoi figli. Prima di tutto le deriva dalla propria memoria dell’umanità contenuta nella memoria di Maria, madre della Chiesa. Questo spunto mariano credo meriti di venire approfondito e mi auguro che lo sia in futuro. I suoi nessi con la Dottrina sociale della Chiesa sono evidenti. Essa esprime la Chiesa «esperta in umanità». Ma il Verbo di Dio è diventato uomo in Maria. L’esperienza in umanità della Chiesa le deriva dalla contemplazione del Verbo Incarnato, contemplazione che 7 Maria ha attuato per prima, come Madre di Dio, e che ha conservato nel suo cuore come «memoria» che racchiude l’intera memoria dell’umanità, fin da Adamo ed Eva. Direi che la Dottrina sociale della Chiesa ha una fondamentale dimensione mariana. Spero che Papa Francesco, così devoto alla «Madonna che scioglie i nodi», la sviluppi nei suoi insegnamenti. 8