In questo senso la secolarizzazione è frutto del cristianesimo

Il nodo non sciolto nella Dottrina sociale della Chiesa
Secolarizzazione & nichilismo1
Mons. Giampaolo Crepaldi2
È una riflessione, tanto profonda quanto affabilmente discorsiva, sull’inanità dei pur volenterosi
tentativi di «cristianizzare» la secolarizzazione, con grave pregiudizio per l’efficace trasmissione del
Vangelo. La Dottrina sociale della Chiesa non è una «teoria», ma riguarda il campo dell’agire sia
personale sia comunitario.
Per affrontare il tema che mi è stato proposto non vorrei disperdermi in mille
rivoli e casistiche. C’è bisogno di sintesi. Indicherò quindi un solo tema, che considero
il nodo fondamentale da sciogliere. Esso è talmente fondamentale da produrne poi
molti altri. Secondo me la secolarizzazione ha assunto caratteristiche tali da dimostrarci
di non averla ancora completamente compresa.
Questo è per me uno dei nodi fondamentali non
In questo senso la
ancora sciolti.
secolarizzazione è
A dire il vero oggi sembra imperante la
frutto del
concezione della secolarizzazione come portato dello
cristianesimo
stesso cristianesimo. È vero, la concezione più
diffusa è questa. Detta così, però, è ambigua.
Occorrono dei chiarimenti. Come ha ben messo in evidenza Romano Guardini, solo
nel cristianesimo nasce un punto di vista esterno al mondo che rende possibile la
legittima autonomia del mondo. In questo senso la secolarizzazione è frutto del
cristianesimo: il mondo non è Dio e Dio non è il mondo. Questo però non significa che
il mondo sia indipendente da Dio. Autonomo non vuol dire indipendente. Una cosa è
la capacità di fondarsi, o auto fondarsi, e altra cosa è la capacità di condursi. Il mondo
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Articolo pubblicato su la rivista Studi Cattolici, nel suo numero di settembre 2015.
Mons. Crepaldi dal 1985 al 1994 è stato direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e
del lavoro; nel 2001 è stato nominato segretario del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, di cui
era sotto-segretario dal 1994. Membro del Consiglio della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, è
presidente dell’Osservatorio Internazionale «Cardinale Van Thuân» sulla Dottrina sociale della Chiesa.
Nel 2009 Benedetto XVI l’ha nominato vescovo di Trieste, conferendogli il titolo ad personam di
arcivescovo.
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non ha la capacità di autofondarsi, ha una certa capacità di condursi. Questa è la
corretta secolarizzazione. Il caso più chiaro è quello della politica. Il potere politico non
si autofonda, nemmeno con il sistema democratico. Ha bisogno di fondamento. In
questo senso, parafrasando Bökenforde, esso vive di presupposti che non sa darsi da
solo e che quando vengono meno non sa ricostruire. La politica ha propri linguaggi,
propri oggetti, proprie procedure specifiche con le quali è in grado di guidarsi, senza
dipendere direttamente e sempre dal fondamento trascendente, ossia da Dio. Ma
quando anche nel guidarsi emergono questioni fondamentali, essa non sa risolverle da
sola, ha bisogno di un supplemento di senso etico e religioso. Molti oggi sono disposti
ad accettare la necessità per la politica di un fondamento etico, meno quello religioso.
Ma bisogna essere chiari: nemmeno l’etica è in grado di autofondarsi. Essa, infatti, ha
bisogno di una assolutezza che da sola non sa darsi.
Con Maritain e il personalismo si è avuto un periodo nel quale il cristianesimo
sembrava poter andare a braccetto con la secolarizzazione. È vero, ma quella illusione è
stata breve ed è finita da tempo. Maritain stesso lo ha affermato – forse un po’ pentito
– nella sua ultima opera, Il Contadino della Garonna. Negli anni Trenta e poi nella fase
della ricostruzione dopo la seconda Guerra mondiale, si era pensato – ma più che altro
si era sperato – che ci fosse una naturale convergenza tra cristianesimo e democrazia, e
che fosse possibile individuare una morale comune, base della convivenza tra i cittadini
che facevano riferimento a universi religiosi e filosofici diversi. Ma questa previsione
non ha tenuto conto di un fatto. La secolarizzazione
non può fermarsi allo stadio di secolarizzazione
Dalla seconda
religiosa. Una volta acquisito questo step, la
Guerra mondiale è
secolarizzazione procede spietatamente e coinvolge
iniziata la
anche l’etica.
secolarizzazione
Le democrazie occidentali, infatti, smentendo in
ciò Maritain, hanno preso congedo non solo dalla
delle società
religione ma anche dalla morale pubblica. Lo
dimostrano le statistiche riguardanti il matrimonio, il divorzio, le convivenze, l’aborto,
l’eutanasia, la fecondazione artificiale e così via. Mentre la prima Guerra mondiale ha
secolarizzato gli Stati, dalla seconda Guerra mondiale è iniziata la secolarizzazione delle
società. Quando Maritain scriveva le sue opere, forse certe dinamiche non erano ancora
completamente dispiegate, ma certo erano prevedibili. Altri pensatori a lui coevi le
avevano infatti previste.
Anche la teologia cattolica ha sdoganato la secolarizzazione, trasformandola da
fenomeno negativo a fenomeno positivo per il cristianesimo. Ciò è avvenuto alla fine
degli anni Sessanta soprattutto a partire dall’opera di Johann Baptist Metz
Antropocentrismo cristiano, ove il teologo tedesco rilegge san Tommaso vedendovi il
primo passo verso la secolarizzazione moderna. Lo scopo di Metz, però, era non solo
mostrare che esiste una secolarizzazione «cristiana», ma di accreditare il processo di
secolarizzazione in quanto tale come cristiano. Insisto: «il processo». Che ci sia una
forma di legittima autonomia delle realtà temporali era sempre stato evidente, anche in
epoca medioevale, con la dottrina delle due spade. Ma che la secolarizzazione come
«processo» fosse cristiana non era mai stato detto. I Pontefici avevano sempre tentato
di contenere e frenare la secolarizzazione, anche con la Dottrina sociale della Chiesa.
Ora invece viene sostenuto che il processo di secolarizzazione come tale è sempre
positivo, in tutti i suoi esiti e nella sua stessa essenza: il mondo diventa adulto e non ha
più bisogno di Dio. Il mondo – diceva Metz – è il luogo dove Dio non si incontra. Qui
è iniziata la deriva, per cui ogni intervento per frenare il processo di secolarizzazione è
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diventato oggetto di accusa di integralismo.
La secolarizzazione, nella visione moderna, sembra irreversibile e inarrestabile,
producendo però nichilismo. Chiediamoci: il nichilismo è inarrestabile? Il punto
decisivo mi sembra questo: c’è nella secolarizzazione moderna una spinta essenziale e
irrefrenabile verso la dissoluzione di ogni fondamento? In altri termini: la
secolarizzazione moderna ha un’anima nichilista? Per rispondere a queste domande
faccio tesoro delle riflessioni di Karl Löwith. Questo filosofo della storia ha visto che la
modernità succhiava sangue al cristianesimo secolarizzando il suo messianismo
escatologico. Non c’è una promessa immanente fatta nella modernità che non derivi da
un riduzionismo orizzontale della promessa cristiana. Ma ha anche realisticamente
osservato che l’esito finale è quello di un uomo che ha attorno il nulla e che, privo di
riferimento alcuno, deve fare delle scelte drammatiche.
Oggi lo vediamo: l’uomo è solo con sé stesso, ma il suo potenziale tecnologico lo
obbliga a fare scelte che incidono sulla stessa natura umana senza avere nessun
adeguato criterio per farle, dato che la secolarizzazione ha demolito tutti i suoi punti di
riferimento. Oggi la secolarizzazione ha secolarizzato anche l’identità maschile e
femminile, la procreazione, la maternità e la paternità. Viene in mente Nietzsche
secondo cui finché ci sarà la grammatica Dio non sarà veramente morto. La
secolarizzazione ha secolarizzato ogni grammatica e in questo vuoto l’uomo deve fare
scelte che i nostri predecessori, ben più addestrati sui princìpi, non si sognavano
nemmeno.
Prima ho affermato che la secolarizzazione era stata «trattenuta» dai Pontefici.
Vediamo come, prendendo spunto da un’importante osservazione di Benedetto XVI.
Parlando al Sinodo sulla nuova evangelizzazione
nell’ottobre del 2012, egli ha portato indietro le
La secolarizzazione
lancette dell’orologio della nuova evangelizzazione.
mostrò allora il suo
Quando si è sentita l’esigenza di una nuova
volto: togliere Dio
evangelizzazione?, si è chiesto. Tutti avrebbero
dal mondo
risposto: con il Vaticano II. Invece egli ha indicato
quando, nell’Ottocento, gli Stati volevano
estromettere Dio dal mondo. Indubbiamente i fenomeni politici e sociali di
secolarizzazione c’erano stati anche prima, ma non c’è dubbio che la secolarizzazione
divenne un programma politico di tutti gli Stati europei, e non solo europei, proprio nel
XIX secolo. La secolarizzazione mostrò allora il suo volto: togliere Dio dal mondo.
San Giovanni Paolo II aveva detto: «Togliere Dio dal cuore dell’uomo». Ma se lo
si toglie dal mondo è per toglierlo dal cuore dell’uomo. Questo getta una luce singolare
sulla nascita della Dottrina sociale della Chiesa moderna. Essa nasce per ridare un posto
a Dio nel mondo, quel posto che la secolarizzazione degli Stati liberali e massonici
avevano voluto togliergli. Se rileggiamo le encicliche sociali di Leone XIII, e non solo la
Rerum novarum, in questa luce troviamo il quadro completo per raggiungere questo
obiettivo. La giustizia sociale tra datori di lavoro e operai ne sarebbe stata la
conseguenza e non la causa. Si dimentica spesso che la Dottrina sociale della Chiesa
moderna nasce per ridare un posto a Dio nel mondo. Posto che la secolarizzazione gli
aveva tolto. Ecco perché, come dicevo, tutti i Pontefici volevano «trattenere» la
secolarizzazione, che è sempre stata tollerata, accettata per evitare pericoli e danni
peggiori, ma mai cercata né mai auspicata. Basti pensare che la Rerum novarum,
considerata la prima enciclica sociale della modernità, è dichiaratamente antimoderna,
dato che inizia mettendo in guardia dalla «brama di cose nuove».
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Questa affermazione suona strana al sentire di oggi. Anche dopo il Concilio
Vaticano II? Anche dopo la cosiddetta apertura al mondo? Anche oggi la Dottrina
sociale della Chiesa accetta ma non auspica la secolarizzazione? Per rispondere bisogna
tornare a distinguere. Una volta si distingueva tra secolarizzazione e secolarismo. La
prima parola è positiva, la seconda negativa. Il secolarismo sarebbe la degenerazione
della secolarizzazione. Io però mi chiedo: c’è una secolarizzazione che non diventi
secolarismo? Questo è il punto che il pensiero cattolico non ha ancora esaminato fino
in fondo. Ora, anche dopo il Concilio, l’insegnamento della Chiesa ha sempre rifiutato
una secolarizzazione intesa come percorso irreversibile verso il secolarismo nichilista.
La secolarizzazione ha nel suo DNA di produrre frutti amari, e nella modernità si sono
sprigionate delle dinamiche che non si sono certo fermate – come molti ingenuamente
pensavano – a un equilibrato rapporto tra mondo secolare e religione cristiana, ma che
hanno fagocitato la religione, proponendosi come una nuova religione post-religiosa.
Anzi, la secolarizzazione ha prodotto una religione dell’antireligione. Non, quindi, una
posizione neutrale.
La secolarizzazione ha prodotto la frammentazione religiosa di oggi. Ha prodotto
però anche una religione caratterizzata dall’essere anticristiana e antireligiosa. Faccio
osservare che ciò riguarda evidentemente le sètte che
oggi chiedono esplicitamente ai loro Stati il
La secolarizzazione
riconoscimento del «culto di Satana» (magari con
ha prodotto la
l’otto per mille), ma riguarda soprattutto quelle forme
frammentazione
di religione antireligiosa che fanno senza dire, che si
religiosa di oggi
presentano ammantate da altra sensibilità, ma in
profondità non sono da meno. Mi chiedo: queste
derive estreme sono incidenti di percorso nella secolarizzazione? Deviazioni impreviste
e imprevedibili? Manipolazioni interessate? Oppure – e così torno alla domanda
centrale di questo intervento – nella secolarizzazione c’è qualcosa che ancora ci sfugge?
Il caso posto nella domanda, comunque, attesta che l’antireligiosità oggi tende a
diventare una religione. Poi qualcuno parla di «risveglio delle religioni». La
secolarizzazione fa sì che nella categoria della religione ci si metta ormai di tutto, anche
la religione antireligiosa. Certo che chiamarlo un risveglio religioso è decisamente
ridicolo.
Chiediamoci: come si diffonde questa religione antireligiosa? Come opera? Come
costruisce una società non solo senza Dio ma contro Dio? A queste domande possiamo
facilmente rispondere tutti, semplicemente guardandoci intorno. Come avvengono i
processi di cambiamento della nostra società? Non avvengono per via teorica ma
pratica. Tramite nuove mode, nuovi modi di vestirsi, di pettinarsi, di divertirsi, di
passare le vacanze, di bere e di mangiare, di vivere le relazioni sessuali e quindi di
concepire sé stessi e le relazioni con gli altri. Indossando le gonne corte o spogliandosi
in spiaggia, le donne hanno cambiato la visione di sé stesse. Le tecniche
anticoncezionali prima, e ora la fecondazione in vitro, hanno cambiato il modo di
vivere la procreazione. La modalità con cui i giovani trascorrono le nottate del venerdì
o del sabato sera cambia la loro visione della vita. L’uso di andare in vacanza tra coppie
di ragazzi innamorati ha cambiato la natura del fidanzamento. La secolarizzazione e la
religione dell’antireligione passa attraverso il «fare» certe cose, attraverso
l’organizzazione dell’esistenza. Date un cellulare di nuova generazione in mano a un
ragazzino di dieci anni e lo cambierete radicalmente. Festeggiate Halloween e la visione
religiosa della morte si trasformerà. Si badi bene, non dico che questi fenomeni non
vengano teorizzati, anzi. Però le modalità con cui si propagano sono relative al fare, al
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vivere, all’esistere. Questi cambiamenti non vengono prodotti dai convegni, ma
dall’introdurre nuovi comportamenti che, nella società globalizzata, diventano
automaticamente collettivi e obbliganti.
Chiediamoci: la Chiesa ha capito questo? La verità è che ci troviamo di fronte a
dinamiche che ancora non abbiamo conosciuto a fondo. Davanti a questi processi si
capisce, senza peraltro giustificare, come tante correnti teologiche moderne abbiano
cercato di intercettare l’esistenza, la prassi, la storia. Come abbiano potuto pensare a
una presunta astrattezza della Dottrina sociale della Chiesa che fa appello alla persona,
ma la persona è poi di fatto inserita in questi fagocitanti processi sociali che impongono
le trasformazioni imponendo nuovi comportamenti.
La Dottrina sociale, però, non si limita al campo dell’agire personale, ma riguarda
anche il campo dell’agire comunitario, pensa ai processi e alle istituzioni, concerne il
costume e i comportamenti collettivi. Essa è «per la pratica», quindi anch’essa dovrebbe
dar vita a comportamenti e non solo a teorie. Certo che da questo punto di vista
abbiamo ancora da riflettere e da operare molto. Un ottimo spunto mi sembra derivare
da Papa Francesco quando contrappone lo spazio al tempo, l’occupazione di luoghi al
suscitare processi. Credo che egli intenda qualcosa di simile a quanto ho appena finito
di esporre. Il modo con cui la religiosità antireligiosa si impone è che si concentra sui
processi esistenziali, sugli atteggiamenti di vita. La Dottrina sociale della Chiesa
dovrebbe ritornare a suscitare processi.
Veniamo a Papa Francesco per rilevare un fecondo rapporto tra il suo magistero e
la Dottrina sociale della Chiesa. Il Papa propone una «Chiesa in uscita». In che senso?
Papa Francesco la intende in senso cristologico e missionario. È l’incontro con Cristo
che suscita la gioia del vangelo e la spinta
Essa è «per la
irrefrenabile a condividerla anche con gli altri,
portando Cristo agli altri. Ho l’impressione che
pratica», anch’essa
qualcuno abbia inteso questa espressione del Papa in
dovrebbe dar vita a
senso un po’ riduttivo e, forse, anche distorto. Come
comportamenti
se la Chiesa dovesse uscire «dal tempio», smetterla
con la preghiera o la liturgia e girare per le strade e le
piazze per incontrare la gente. Come se dovesse immediatamente svestirsi di pratiche
religiose o devozionali che sostengono la vita spirituale dei fedeli. Come se dovesse
smettere di contemplare il Signore e dar vita solo a opere di solidarietà sociale.
Secondo qualcuno «Chiesa in uscita» significa addirittura rinunciare alla dottrina
per privilegiare solo la prassi. Papa Francesco vuole certamente che si vada incontro agli
altri, ma non a mani vuote, bensì portando il Signore Gesù. Vuole certamente che si
vada incontro agli altri, ma non per portare noi stessi o le nostre ansie pastorali magari
non bene metabolizzate, ma per portare Gesù. Quel Gesù che si incontra prima di tutto
nella Chiesa e nei sacramenti. Non si tratta, quindi, di uscire chiudendo la porta per non
ritornare più. Si esce per ritornare e, anzi, ci si rende conto che uscire è, in verità, un
rientrare, se viene inteso non come un uscire in senso spaziale o sociologico, ma come
un uscire con Cristo per portare agli altri Cristo. L’espressione non ha quindi un
significato spaziale o sociologico. Non significa che non dobbiamo più andare in chiesa
o che non dobbiamo perdere tempo a pregare. I membri degli istituti religiosi
contemplativi sono «in uscita» più degli altri, anche se sono fermi nello stesso chiostro.
Come si sa, santa Teresa del Bambin Gesù è protettrice dei missionari, ma non ha mai
girato il mondo.
Detto ciò, è vero che la Chiesa è protesa verso il mondo. Essa è nel mondo, ma
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nello stesso tempo non è mondo. È protesa verso il mondo per annunciare e proporre
la salvezza e lo è con tutta sé stessa, anche con chi non si muovesse dal proprio
confessionale, come padre Leopoldo Mandic, o dalla propria parrocchia come il santo
Curato d’Ars. La Chiesa è sacramentalmente protesa verso il mondo come segno di
salvezza. Lo è ontologicamente e non sociologicamente. Ora, dentro questa «apertura»
al mondo così intensivamente intesa si colloca anche la Dottrina sociale della Chiesa
che, dice Benedetto XVI nella Deus caritas est, è nel punto di congiunzione della
Chiesa con il mondo.
Allora si può e si deve dire che la Chiesa è «in uscita» anche con la sua Dottrina
sociale, e con la pastorale sociale che ne consegue. Lo è con i suoi laici che, formati alla
Dottrina sociale, cercano di incarnarla in modo coerente. Lo è con le varie comunità di
fede che si interessano e partecipano al bene comune del contesto in cui si trovano. Ma
lo è anche con i suoi Vescovi o sacerdoti che insegnano la Dottrina sociale e il
comportamento cristiano in società, e con i suoi religiosi e religiose che pregano per il
mondo e la sua salvezza. La Chiesa «esce», come ama dire il Papa, anche con la sua
Dottrina sociale e le opere che ne derivano.
Un’altra espressione di Papa Francesco viene spesso adoperata, quella relativa alle
«periferie esistenziali». La Chiesa «in uscita» si dirige prima di tutto verso le «periferie
esistenziali». Come può essere intesa questa espressione per la Dottrina sociale della
Chiesa? Andare alle periferie significa andare là dove
c’è bisogno di Gesù, dove l’umanità è lacerata, dove
La Chiesa «in
le relazioni sono impedite e dove gli uomini hanno
uscita» si dirige
perso la consapevolezza di chi sono. Anche in questo
prima di tutto verso
caso bisogna evitare di intendere l’espressione in
senso sociologico. Non è che nei centri delle grandi
le «periferie
città non ci sia da fare per i cristiani mentre nei
esistenziali».
quartieri periferici sì. Non è che nei Paesi sviluppati
non ci sia da fare e in quelli sottosviluppati invece sì.
Non significa che dobbiamo andare tutti in Africa. La sofferenza, la povertà, la miseria
assume molti volti, materiali e spirituali. Il mondo non è diviso in centro e periferia: ci
sono molti centri e molte periferie. Rimanere al centro ha un significato metaforico,
indica il rimanere inerti, l’accontentarsi di ripetere formule usate finora e più o meno
gratificanti, non sentire nessuna scossa, l’adagiarsi nella consuetudine, il procedere per
inerzia.
Andare verso le periferie vuol dire mettersi in cammino, cercare il bisogno e il
bisognoso, non accontentarsi di quanto si fa abitudinariamente. Il Papa non fa il
sociologo, il suo è un insegnamento prima di tutto spirituale. Direi che la Dottrina
sociale della Chiesa ha come scopo proprio questo: andare verso le periferie della vita,
della società, della cultura moderna, dell’economia e della politica. Però lo fa, e questo è
un punto decisivo nell’insegnamento di Papa Francesco, non solo per fare, ma per
proporre un nuovo modo di essere. Altrimenti la Chiesa diventa una ONG e la
Dottrina sociale diventa il Manuale delle Giovani Marmotte. La Dottrina sociale della
Chiesa sogna un mondo senza periferie, sapendo però che su questa terra le periferie ci
saranno sempre. Da qui derivano il suo ottimismo e il suo realismo cristiano.
Papa Francesco è molto concreto. I suoi gesti e le sue parole toccano da vicino
tanti problemi sociali di oggi. Egli non teme di parlare di lavoro o di disoccupazione, di
migrazioni o dell’eccessivo potere del denaro, della schiavitù prodotta dalla finanza
internazionale o dello sfruttamento delle donne. Non teme di scendere in terra. Però,
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contemporaneamente, esprime una forte visione soprannaturale delle cose, con la sua
concentrazione in Cristo, la sua devozione mariana e anche con i suoi riferimenti non
sporadici al diavolo. Diciamo una parola su questo punto. Tra la città terrena e la città
di Dio c’è e ci sarà sempre conflitto, anche se in questa vita esse non sono mai
assolutamente distinguibili. La loro causa è però distinguibile: Dio o il diavolo. Trovo
molto significativo che Papa Francesco, così ottimista a vederlo, così radioso nella
comunicazione, così concretamente solidale, veda la storia umana, anche quella di oggi,
in questi termini che in altri tempi avremmo detto di scontro cosmico. Parlare del
diavolo al giorno d’oggi non è facile. Il Papa ne parla perché è un innamorato di Cristo,
che ha sconfitto il diavolo.
In precedenza parlavo di religione dell’irreligione o dell’antireligione, intendendo
con ciò proprio il volto demoniaco di tante tendenze della odierna società. A
considerare, per esempio, la volontà di tante forze oggi dominanti di negare
sistematicamente la creazione per attuare una nuova creazione fa pensare al peccato di
orgoglio delle origini, ma soprattutto a una superbia satanica. Il Papa che sorride e
accetta di fare un selfie con dei ragazzi, che beve il mate sulla papamobile, che si ferma
per raccogliere una palla e rilanciarla, è anche il Papa che considera l’intero sviluppo
della storia come lo scontro spirituale tra Dio e il diavolo. Questo ha un significato
fondamentale per la Dottrina sociale della Chiesa. O essa annuncia Cristo o non è. Essa
vede l’opera del male anche nella costruzione della società e non solo nel turbamento
dei cuori. Essa sa che la signoria del mondo o è di
Dio o è contro Dio. Papa Francesco ci invita a
Papa Francesco è
valutare le cose in questa profondità.
molto devoto della
Papa Francesco è molto devoto della
«Madonna che
«Madonna che scioglie i nodi». Che dire del rapporto
scioglie i nodi»
tra la Madonna e la Dottrina sociale della Chiesa?
Questa devozione di Papa Francesco mi richiama alla
mente un’altra grande devozione mariana, quella di san Giovanni Paolo II. Data la
passione di questi due Papi per la Dottrina sociale della Chiesa e la loro devozione
mariana viene da pensare che tra le due cose esista un nesso profondo. Tutte le
encicliche sociali terminano con una invocazione a Maria. Bisogna però riconoscere che
non è stata esaminata spesso la dimensione mariana della Dottrina sociale della Chiesa.
Mi viene in mente, a questo proposito, un bel capitolo del libro di san Giovanni Paolo
II Memoria e identità. È il capitolo che dà il titolo all’intero libro. Egli parla della
memoria della Chiesa e dell’umanità e di come la Chiesa conservi la memoria dell’intera
umanità. E per spiegarlo parla del passo evangelico che dice che Maria «conservava
tutte queste cose nel suo cuore». Come Maria – questa la tesi di Giovanni Paolo II –
conservava la memoria della storia della salvezza, così la Chiesa conserva la memoria
dell’intera umanità, a cominciare da quanto raccontato nei primi capitoli del libro della
Genesi.
Paolo VI, parlando all’assemblea dell’ONU, aveva detto che la Chiesa è «esperta
in umanità». Tale esperienza non le deriva prima di tutto dall’impegno che molti
cristiani hanno sempre dato a servizio dell’uomo nella carità e nella giustizia. Non le
deriva tanto dalle opere dei suoi figli. Prima di tutto le deriva dalla propria memoria
dell’umanità contenuta nella memoria di Maria, madre della Chiesa. Questo spunto
mariano credo meriti di venire approfondito e mi auguro che lo sia in futuro. I suoi
nessi con la Dottrina sociale della Chiesa sono evidenti. Essa esprime la Chiesa «esperta
in umanità». Ma il Verbo di Dio è diventato uomo in Maria. L’esperienza in umanità
della Chiesa le deriva dalla contemplazione del Verbo Incarnato, contemplazione che
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Maria ha attuato per prima, come Madre di Dio, e che ha conservato nel suo cuore
come «memoria» che racchiude l’intera memoria dell’umanità, fin da Adamo ed Eva.
Direi che la Dottrina sociale della Chiesa ha una fondamentale dimensione mariana.
Spero che Papa Francesco, così devoto alla «Madonna che scioglie i nodi», la
sviluppi nei suoi insegnamenti.
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