ANCHE DENTRO LA CHIESA L’INSIDIA DELLA SECOLARIZZAZIONE Con il termine secolarizzazione si intende normalmente il fenomeno culturale, caratteristico degli ultimi decenni, in base al quale i modi di pensare e agire della gente, i progetti e le scelte, si formulano se non proprio in opposizione, sicuramente in assenza di riferimenti coerenti al Vangelo o alla disciplina della Chiesa. Non manca chi attribuisce a questo fenomeno la lenta e progressiva erosione della pratica religiosa, tanto della messa domenicale come della confessione. Potremmo discutere a lungo se queste definizioni calzano adeguatamente o se al contrario il fenomeno si presenta più articolato di quanto appaia a prima vista e necessiti, quindi, di maggiori precisioni. Per il momento non è questo che mi interessa. Normalmente si è propensi a individuare il processo di secolarizzazione come un qualcosa esterno alla Chiesa, che la provoca (e la minaccia) “da fuori”. Non è così. «Questa secolarizzazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa»! Oddio, mi sono detto, il nemico l’abbiamo in casa! E non ce ne siamo nemmeno accorti. Se fosse stata la solita sparata di qualche integralista, profeta inascoltato dalle visioni apocalittiche riguardanti presente e futuro della Chiesa, non me ne sarei dato pensiero più di tanto. Di chi è invece questa affermazione? Nientemeno che di Papa Benedetto, pronunciata qualche mese fa di fronte al Pontificio Consiglio della Cultura. Vista l’autorevole fonte dalla quale proviene, la cosa va presa sul serio. I più informati attribuiscono all’episcopato spagnolo il primo grido di allarme, attraverso un documento – reso pubblico nel 2006 - nel quale si metteva in guardia da una certa deriva interna della Chiesa. Lo riprese poi il presidente della CEI, card. Ruini, nella prolusione al comitato permanente, in prossimità del Convegno Ecclesiale di Verona. Segno che la preoccupazione era alquanto condivisa. Di cosa si tratta? Di alcune idee che stanno prendendo lentamente piede nella testa dei nostri cristiani, anche praticanti. Si insinuano in un certo modo di discutere e confrontarsi tra credenti, di far catechesi, di predicare. Sono quelle convinzioni che gradualmente erodono la centralità di Gesù Cristo a favore di una sostanziale equivalenza di tutte le religioni e che finiscono per descriverlo solo nei termini di un umanesimo immanentista. Sono le manifestazioni di una concezione di Chiesa dentro la quale si consumerebbe stabilmente lo scontro inconciliabile tra la gerarchia e il popolo. L’una descritta con i tratti negativi fatti di imposizioni, condanne ed esclusioni. L’altro dipinto con i colori dell’apertura, dell’autentico e del respiro. Come a dire: se vuoi essere adulto lascia stare papa e vescovi e ascolta solo il Vangelo. Mettere Vangelo e Magistero l’uno contro l’altro non è mai stata un’operazione dai buoni frutti. Né per la Chiesa. Né per la pastorale.