ALZHEIMER, DAL “BESTA” DI MILANO IL PRIMO MODELLO ITALIANO INTEGRATO DI GESTIONE 03 gennaio 2014 Nuovi test molecolari, percorsi terapeutici efficienti e uguali per tutti i pazienti, impiego di cartelle cliniche elettroniche condivise tra specialisti e generalisti, mappatura online di tutti i servizi per pazienti disponibili sul territorio. Sono gli elementi che caratterizzano il primo modello italiano integrato di diagnosi, trattamento e gestione dei malati di Alzheimer messo a punto dall’Istituto neurologico “Carlo Besta” di Milano, in collaborazione con la Regione Lombardia e l’ASL locale. Presentati nel capoluogo i risultati della sperimentazione. «In Italia non vi è un piano nazionale per le demenze, sebbene il Ministero della Salute abbia pubblicato un documento in 10 punti per lo sviluppo di una strategia nazionale» ha premesso - nel corso del convegno “Malattia di Alzheimer: strategie e modelli per affrontare la pandemia” Fabrizio Tagliavini, direttore del Dipartimento di Malattie neurodegenerative del Besta. «L’attuale organizzazione» ha aggiunto «si basa sulla rete di Unità di Valutazione Alzheimer (UVA), tuttavia vi è una grande eterogeneità sul territorio nazionale nei servizi erogati da Regioni e strutture locali. Ne consegue che in Italia non tutti gli individui ricevono le cure di cui hanno bisogno». È nata così l’idea di sperimentare un nuovo modello di assistenza. «La prima esigenza è stata quella di far dialogare medici di medicina generale (MMG) con gli specialisti, in quanto vi era una frammentazione di ruoli e funzioni» ha spiegato Michela Morbin, responsabile Neuropatologia ultrastrutturale del Besta. «Altro aspetto-chiave è consistito nella deospedalizzazione, spostando la formazione nel territorio e nelle strutture ambulatoriali gestite dai MMG che, insieme agli specialisti territoriali e a quelli ospedalieri delle UVA, costituiscono le 3 figure principali della rete». «La mancanza di comunicazione tra questi attori» ha aggiunto Graziella Filippini, direttore Unità di Epidemiologia del Besta «determina ricadute negative per la continuità assistenziale. Inoltre si ha un aumento di costi sia per la famiglia, in quanto per ogni bisogno socio-sanitario si deve passare per un “percorso a ostacoli” con tempistiche diverse, sia per il SSN, dovuto al rischio di duplicazione e triplicazione dei test diagnostici». Nel 2010 l’ASL di Milano ha partecipato al Programma strategico ministeriale con un progetto pilota realizzato in 3 distretti, i cui risultati hanno portato all’elaborazione del 2011 di un percorso diagnostico condiviso da varie strutture del territorio, dai MMG e da alcune associazione di malati. È stato organizzato un corso di formazione in 4 edizioni a cui hanno partecipato tutte le figure sanitarie e socio-sanitarie del territorio aderenti al progetto e 3 corsi di formazione a cui hanno partecipato oltre 763 tra medici e specialisti. La sperimentazione preliminare di 3 anni si è focalizzata su 2 obiettivi fondamentali. 1. Lo sviluppo di un protocollo condiviso riguardante la diagnosi precoce della malattia di Alzheimer (AD), e in particolare della fase iniziale di declino lieve delle capacità cognitive, attraverso la ricerca di marcatori biochimici e genetici, la diagnostica per immagini e i test cognitivo-comportamentali. 2. L’organizzazione di una rete assistenziale per lo sviluppo e l’applicazione di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per i pazienti con demenza basato sui risultati del punto precedente, e la valutazione delle sue implicazioni assistenziali, organizzative ed economiche per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il primo dei 2 obiettivi, a sua volta, si è sviluppato in 3 sottoprogetti complementari con finalità specifiche, ognuno dei quali ha portato a risultati rilevanti. 1. La standardizzazione e la validazione - attraverso l’analisi di oltre 1.600 campioni di plasma - di un protocollo diagnostico per l’analisi liquorale di proteine specifiche (amiloide-beta e tau) e l'identificazione di nuovi marcatori biochimici (in particolare oligomeri amiloide-beta nel liquor). 2. Lo sviluppo e l'armonizzazione di procedure operative standard e di controllo di qualità (condivise dai Centri aderenti al Progetto distribuiti su tutto il territorio nazionale) riguardanti i marcatori di neuroimaging RM ed elettroencefalografici per la diagnosi precoce di AD. 3. La definizione di test cognitivi e comportamentali per la distinzione delle diverse forme di declino cognitivo lieve e la diagnosi precoce della AD, utili in particolare per la funzione “sentinella” del MMG: dal Mini Mental State Examination (MMSE) al riconoscimento di possibili indicatori precoci come apatia (ma non depressione), ansia, agitazione, irritabilità, disturbi del sonno e dell’appetito, tutti ingravescenti con il progedire della patologia. «I risultati del progetto pilota» ha evidenziato Morbin «hanno dimostrato che l’applicazione del PDTA migliorava l’appropriatezza dell’invio dei pazienti agli specialisti perché i medici – attraverso i corsi di formazione e il rapporto con gli specialisti – avevano acquisito maggiore sensibilizzazione al problema delle demenze e maggiore capacità di valutare autonomamente le funzioni cognitive di base del paziente grazie alla somministrazione dell’MMSE». «Inoltre» ha commentato Filippini «l’uso della cartella clinica elettronica ha favorito una migliore comunicazione tra medico e specialisti: è stato infatti creato un database elettronico in rete su sistema web che ha permesso di condividere i dati del paziente tra MMG e specialisti che hanno preso in carico il paziente. Il centro di coordinamento del progetto ha inoltre fornito un supporto organizzativo per pazienti, familiari, generalisti e specialisti, e ha attivato un canale preferenziale per i soggetti con sospetto decadimento cognitivo riducendo i tempi di attesa per le visite specialistiche, ora inferiori a 30 giorni». Grazie ai buoni risultati ottenuti, nel 2013 il progetto demenze è stato ampliato ai 7 distretti della ASL Milano in una ricerca prospettica della durata di 3 anni, finanziata dal Ministero della Salute, dal Progetto di Governo Clinico dell’ASL Milano e coordinata da Graziella Filippini, che ha precisato: «gli obiettivi di questa seconda fase del Progetto consistono nell’assicurare, mediante l’applicazione del PDTA, la diagnosi tempestiva, la continuità dell’assistenza e il coordinamento ospedale-territorio, la misura dei risultati di processo e di quelli per il paziente e per la famiglia. Si farà anche un confronto tra i costi diretti dell’applicazione del PDTA e quelli del modello di assistenza tradizionale». Nel Progetto sono coinvolti 500 generalisti, 18 ambulatori territoriali specialistici (neurologia e geriatria), 13 UVA e 19 Punti Fragilità dei Distretti. A oggi sono state incluse nel progetto demenze 2.800 persone con iniziale decadimento cognitivo o demenza, attualmente seguite in follow-up secondo le indicazioni del PDTA. «Purtroppo, oggi non esistono terapie in grado di curare l’AD conclamata» ha ricordato Tagliavini. «Il risultato migliore che si ottiene dai farmaci è un rallentamento della progressione della malattia». «Vari studi» ha però aggiunto Morbin «hanno dimostrato che tali terapie danno esiti favorevoli quanto più la diagnosi è precoce o presintomatica, entro i primi 4-5 anni dall’esordio. È in questa fase che i MMG, primi interlocutori del paziente e arma preziosa di prevenzione, possono cogliere alcuni piccoli segnali che, corroborati sulla base del MMSE, possono indurre all'invio del paziente a uno specialista per approfondimenti (RM, liquor)». «La diagnosi precoce» ha ricordato Morbin «si basa su 3 elementi: i biomarcatori (tra i quali quelli con più elevato valore predittivo sono attualmente l’amiloide-beta 42, la proteina Tau e la FosfoTau), il neuroimaging con RM e i test neuropsicologici. Dall’insieme di questo pannello di dati si riesce a ricavare un’informazione piuttosto affidabile». Ed è questo, in caso di conferma diagnostica, il momento ottimale per iniziare un'eventuale trattamento farmacologico che abbia maggiori possibilità di successo. Arturo Zenorini