1 “La società digitale” LA RETE È ‘UN PASCOLO DOVE OGNI PECORA EVACUA ERBA’ È uscito, presso l’editore Laterza, un saggio di Giuseppe Granieri, che esamina le rapidissime trasformazioni tecnosociali che si sono prodotte in Internet in soli quindici anni e sottolinea la necessità di aggiornare gli studi sul web, partendo proprio dagli stimoli per i quali il web stesso nacque: la connessione reticolare tra più utenti, la diffusione dei loro contenuti, la gestione della comunicazione via computer. Con un mercato, una politica e diverse applicazioni di sviluppo dei network, il cyberspazio oggi si costituisce come una comunità a sé stante, svincolata (ma ancora influenzata) da quella ‘reale’ che la circonda. ****** di Alessio Di Lella Sono passati circa quindici anni da quando il CERN di Ginevra (Conseil Europeén pour la Recherche Nucléaire) decise di mettere il World Wide Web, inventato nel 1991 dall’inglese Tim Berners Lee, a disposizione del pubblico. Un arco di tempo brevissimo, caratterizzato da sperimentazioni e crescita vertiginosa delle applicazioni software che, con una sorta di imposizione distribuita nei paesi alfabetizzati, ha ridisegnato la nostra società dall’interno. Capita così che, scorrendo per grandi linee le riflessioni e le ricerche effettuate da agenti di ogni sorta (ingegneri, imprenditori, letterati, sociologi, tutti “comunicatori” in un modo o nell’altro), ci si imbatte in un vero e proprio marasma retorico che ha affrontato, con prerogative diverse, le numerose tappe evolutive (e non) di questa Grande Rete che si è installata ed è maturata in così breve tempo. Solitamente, quando si riflette sulla Rete, si cerca di mettere in luce “cosa si è sbagliato”, “cosa cambierà” o “cosa avrebbe potuto essere”, cavandone fuori dal buco una colonia di insetti disordinati e troppo numerosi per poterli contare. Tutte queste “tecnicaglie”, Internet, Realtà Virtuale, computer multimediali / personali / portatili, si rinnovano e si impongono alla società con una velocità tale che rende inadeguata ogni riflessione che “si dilunghi troppo” nei tempi di ricerca. Se prendiamo gli studi di una decina di anni fa (mi vengono in mente un paio di volumi “datati”: Sherry Turkle, La vita sullo schermo e Manuel Castells, Galassia Internet), osserviamo come la Rete venisse trattata come una ri-definizione strumentale di media già esistenti. Sul finire degli anni ’90, in particolare, si insisteva molto sul modello “a portale” dei siti web, per ricollocare televisioni, radio e cinema “sul computer”; e si studiavano i primi casi di società virtuale, grazie alle applicazioni dei giochi online (MUD) e delle messaggerie istantanee che consentivano di interagire con altri utenti sotto la maschera dell’avatar. Agli inizi del millennio, le riflessioni si sono spostate su “questioni civili” del web, come pedopornografia, diritto alla privacy, commercio in rete, violazione dei diritti d’autore. Ad una prima fase sperimentale (seconda metà degli anni Novanta) che avesse cercato di collocare nei computer collegati in Rete un potenziamento dei media preesistenti, ne seguiva dunque un’altra (inizio millennio) che s’imbatteva nelle problematiche sociali del web stesso. Oggi, a pochi anni di distanza da quei lontanissimi albori della Società della Rete, possiamo parlare di fase embrionale di una nuova società digitale, che sta finalmente elaborando strumenti propri per la sua sussistenza. Non si tratta di meri supplementi tecnologici (come sms, mms, email, banda larga) che tutti, bene o 2 male, abbiamo imparato ad usare; si tratta di nuove forme di politica, mercato, cultura e comunicazione che non esisterebbero al di fuori dei network. In questo ambito, tornando alla questione degli studi sull’argomento, e ricordando per una seconda volta la loro “necessaria caducità” (sarebbe interessante, in altra sede, analizzare gli ultimi quindici anni di ricerche sulla Rete come proiezione “concentrata” dei percorsi di ricerca accademici, che solitamente hanno impiegato tempi molto più lunghi per portarsi a compimento), introduciamo il volume di Giuseppe Granieri, La società digitale (Laterza, Bari 2006, pp. 198, € 10,00) come un aggiornato saggio che parla di tecnologie e società attuali, diciamo dell’ultimo biennio, 2006 – 2008, periodo forse del vero primo passo della neonata società digitale. Le altre volte, da quel che si ricorda, la neonata ci aveva già provato, concludendo il tentativo con una caduta a terra (ricordate la “bolla speculativa” del 2001?). Stavolta, ad ogni modo, sembra tutto restare in piedi. Quella che Giuseppe Granieri, nell’introduzione al suo libro, chiama “tecnomiopia”, la tendenza a sovrastimare la portata a breve di una innovazione tecnologica, per poi sottovalutarla negli effetti a lungo termine, può essere evitata insistendo appunto sulla ricerca sociale (prima che informatica o economica) della Rete. Il fatto che la nostra cultura occidentale, fondata sull’autorevolezza dei punti di riferimento e su valori monumentali, si senta minacciata dalla Rete, che agisce sulla coscienza sociale, l’arte ed il pensiero individuali, deve rinsaldare il fattore di sfida sulla ricerca e sulla conoscenza che abbiamo della Rete stessa. Perlomeno ora, che siamo in una fase di normalizzazione dove la società digitale s’è installata (con merito) nell’organismo “reale” che prima la precedeva e che ora la supporta. La diffusione dei computer s’è rivelata essere qualcosa di più che un bene di consumo: è un bene di sviluppo, un paradigma post-elettromeccanico, che nella storia si colloca nei binari delle procedure di semplificazione di produzione e diffusione di informazioni, dai segnali di fumo al telegrafo. La società che si disegna dal basso Il modello di comunicazione di Internet, una rete le cui trasmissioni vanno da punto a punto, è diverso da quello dei mass media del Novecento, il modello a broadcast, dove da un centro di trasmissione si trasmette a sistemi riceventi. Se consideriamo che la Rete è soggetta al fenomeno dell’imprinting, per il quale i comportamenti dei primi utenti influenzano e condizionano quelli dei nuovi arrivati (ai primordi della Società della Rete c’è l’etica hacker: cambiamento, sperimentazione, collaborazione stimolata, libero accesso al sapere e al computer; il nostro Adamo era un Pirata, probabilmente un giovane ingegnere informatico, la cui Eva era un Olivetti Ivrea 101 del 1965, e la Mela Proibita la identificavano, che so, nel marchio “Copyright”), ne ricaviamo che il capitale sociale presente in Internet si estende “a invarianza di scala”. Con la metafora della “swarm intelligence” delle città e delle colonie di insetti, possiamo analizzare la Rete come un ideale ordine significativo dall’intelligenza distribuita, dove ogni individuo agisce come essere collettivo, ed i sistemi si adattano ai comportamenti emergenti che nascono dal basso. In termini pratici, possiamo constatare questa funzione analizzando l’organizzazione delle informazioni presente in Rete: di solito, grazie ai motori di ricerca che utilizzano criteri di misura dei collegamenti basati sulla quantità (ad esempio il Page Rank System di Google, che ordina i risultati per numero di link ad una determinata pagina contenente le parole di ricerca), le informazioni ritenute più valide sono quelle più raggiungibili, alle quali puntano il maggior numero di link. Questa organizzazione “senza ragno” della rete di informazioni utilizza l’esperienza e la reputazione di un nodo, o di un emittente di contenuti, sulla base del consenso che nasce “dal basso”. Se ad esempio, con i vecchi media, un telegiornale di una certa emittente privata che raggiunge 10 milioni di spettatori è senza dubbio “più affidabile” di un servizio giornalistico scritto su una testata accademica da 500 copie (o perlomeno: la nostra società ha finora reputato la qualità 3 dell’informazione in funzione del bacino d’utenza cui era destinata; “mass media”, appunto), nel web sia quel servizio del tg che quello della piccola testata accademica partono dallo stesso punto, e l’effettivo riscontro dell’utenza è senza dubbio più “democratico” se realizzato in Rete. Ovviamente, la Società Digitale non è “sconnessa” da quella Reale, e Giuseppe Granieri parla di “moltiplicazione delle connessioni” per sottolineare la non assoluta democrazia informativa della Rete, in quanto in quest’ultima entra uno specchio fedele della società (un servizio giornalistico di Emilio Fede trasmesso online, raggiungerebbe comunque più spettatori di qualunque altro servizio, più competente o meno, che pur parta “dallo stesso punto” del bacino di utenza). Un’altra efficace conseguenza della costituzione dal basso della Società Digitale riguarda la condivisione delle risorse strutturali e informative. Con la cosiddetta economia del dono, senza dubbio una conseguenza dell’adattamento all’abbondanza del Web, la normalità sociale della Rete consiste nella informazione “di fatto”, nella reciprocità delle motivazioni umane e nella complessità culturale disponibile a tutti. In Rete c’è collaborazione: ognuno lavora su tutte le parti del compimento complessivo; e cooperazione: ogni individuo esegue un compito specifico in un contesto dove sono specificati ruoli e funzioni, le pratiche sono strutturate e gli obiettivi sono comuni. Perfetta è la figura utilizzata per descrivere tutto ciò: un pascolo dove ogni pecora evacua erba. In Rete, ciascuno fornisce le risorse che consuma. I comportamenti collaborativi sono inoltre premiati, in quanto si presentano come sistemi aperti che selezionano le applicazioni che soddisfano un numero sufficiente di persone, che utilizzandole apportano consenso, sviluppo, nuove creatività e valore. Per quel che riguarda il controllo delle informazioni, sempre nei termini di un sistema sociale che si configura dal basso, il problema, apparentemente, non esiste. Non è possibile in Rete controllare l’informazione, perlomeno non con le “risorse capitalistiche” cui siamo abituati nella realtà. In Internet, usiamo l’esperienza degli altri per decidere. Pensiamo a Wikipedia, l’enciclopedia “aperta a tutti”: essa è una forma di collaborazione esplicita, che produce orientamento, non certezza. Se troviamo una pagina pubblicata su Wikipedia, la utilizziamo consapevoli che essa possa essere valida nei termini dell’informazione che c’interessa, e non perché un’Autorevole Entità Editoriale ha dato il placet per la pubblicazione del contenuto; semplicemente perché sappiamo che, raggiunta già da milioni di utenti, la sua stabilità editoriale è garanzia di consenso da parte di questi ultimi e, dunque, potrebbe esserlo anche per noi. Forma, individui e conoscenza dei network Il principale contributo che il volume di Granieri dà agli studi sulla società della rete, sta nell’affiancare ad una analisi “di sistema” (architettura aperta dei network, struttura giornalistico – comunitaria dei blog ecc.) una analisi che guardi al Web nei suoi svariati “fatti sociali”, e come questi giochino nella formazione culturale e politica degli individui che frequentano la Rete. Esempio facile: ai cittadini digitali non interessa che un dato servizio sia fornito da X o Y, ma che funzioni bene e sia disponibile a tutti e da parte di tutti. Rispetto ad altri sistemi sociali, oltre ad avere barriere verso l’innovazione più basse e costi minori, i network hanno una congenita stabilità delle relazioni. Sembrerebbe un paradosso, pensando al caos di utenti e contenuti che vanno, vengono e si confondono nella Rete. Visti dall’interno, però, si constata come i network siano sistemi “a misura del cittadino”: grazie all’interazione, i loro comportamenti variano al variare degli input trasmessi dagli utenti, distribuiscono i contenuti in misura dell’accessibilità agli stessi e controllano e stimolano il rispetto delle norme sociali tramite la costruzione della reputazione. Giuseppe Granieri pone la questione del “medium vivo” per definire i network in Rete: grosse 4 società tecnologiche che non hanno potere ma soltanto organizzazione, non cittadini ma “menti sociali” che contribuiscono al mantenimento ed allo sviluppo di una coscienza planetaria. Per quanto riguarda la diffusione della conoscenza, la prima caratteristica assente in Rete è il cortocircuito autoreferenziale degli editori più potenti presenti nella realtà. Questi infatti, decidendo agenda e cornice sociologica da mettere sul tavolo, fanno sì che gli altri raccolgano e distribuiscono le loro stesse decisioni. Un tale sistema, in Rete, non funzionerebbe, poiché nei network il principio di autorevolezza di chi distribuisce conoscenza è più equo: esso si misura non più in base a chi lo emette, ma in base a quanti ne fanno accesso. Per orientarsi nella conoscenza disponibile in Rete, è sufficiente misurare la sua capacità di accesso (ad oggi, i link ne sono il metro di misura). La partecipazione alla conoscenza si realizza grazie alla collaborazione intelligente con la quale gli utenti che accedono ad essa pensano poi a distribuirla e valorizzarla nei network. Un blog, mettiamo caso, di un professore attivissimo in Rete e contattato da tot utenti al mese, ha pari probabilità di far diffondere in Internet un libro di quanta ne possa avere il sito della stessa casa editrice che lo pubblica. Se esaminati in termini di “estensioni del sistema dei mass media”, ovvero modello broadcast applicato al computer, non si potranno mai comprendere appieno i processi culturali e distributivi della conoscenza che si realizzano in Rete. Certo, abbiamo televisioni online, e-magazines, portali e quotidiani riversati sul web, ma la conoscenza in Rete ne sfrutta appieno le basi sociali. C’è innanzitutto intimità: la relazione tra i nodi è molto forte, e la comunicazione interpersonale dell’informazione è altissima (l’informazione in Rete si commenta, duplica, diffonde, corregge, archivia, collega), senza dimenticare la facile e gratuita condivisione di contenuti (articoli, e-books, film, musica ecc). Poi c’è aggregazione sociale: sulla base di temi e interessi, è molto facile riunirsi in comunità culturali (e non solo) per coltivare la propria e l’altrui conoscenza. Infine, c’è privatezza: regolamenti all’accesso, garanzia e tutela dei dati personali, anonimia, hanno funzione pratica per gli utenti, che sotto l’incentivo delle pari opportunità possono frequentare ed attivare i nodi di scambio dell’informazione, senza che importa se a prendere la parola in un forum o in una community sia un docente universitario o un giovane appassionato dell’argomento. Quello che importa è il contenuto, e quanti vi accedono. Non chi parla, ma quanti stanno a sentire. Mercato Trasportando le informazioni in maniera bidirezionale, vengono modificate le relazioni tra produttore e consumatore e tra i consumatori stessi. Non solo a livello di mera comunicazione, quanto in termini di funzionamento del mercato e costituzione dei consumatori. Nel mercato in Rete, viene applicata la teoria della coda lunga: quella per la quale vendere due copie al mese di migliaia di articoli è più redditizio che vendere migliaia di copie di pochi titoli. Il monopolio dei profitti non è più in mano alla popolarità, e il reddito più alto sta nelle piccole vendite. Lo si può vedere nel mercato pubblicitario: laddove nei mass media si vende, ad esempio, una grossa unità di spazio (mezzo minuto in tv, o una pagina di giornale) ad un solo commercialista, nel web la pubblicità funziona mettendo a disposizione, per ciascuna pagina visualizzata, tanti piccoli spazi (i banner, ad esempio) a tanti inserzionisti. I consumatori in Rete, senz’altro, hanno una tipologia di azioni diversa da quelli nel mercato reale. Anzitutto, si dice che oggi, grazie ad Internet, il consumatore è “uno che la racconta”: si calcola che ogni anno, circa 20 miliardi di dollari non verrebbero spesi se i prodotti da acquistare non venissero scoperti o approfonditi online. È pratica consolidata, ormai, informarsi su Internet prima di comprare un prodotto, cercare informazioni sul prodotto stesso e sulle esperienze altrui. È invece ferma a circa il 15/20% la percentuale di acquisti “fatti online”. Oltre che raccontarla, il 5 consumatore in Rete produce: in un mercato in cui ciascun individuo è nicchia di per sé, il consumatore produce conoscenza, condivide e scambia beni, pervade i mercati secondari, si sposta tra opinioni e confronti, configurando di volta in volta il mercato basato sui suoi interessi. Si parla, in tal proposito, di prosumer: consumatore che insieme produce e consuma (producer + consumer). Infine, il consumatore in Rete distribuisce: tramite un processo di social sharing, i beni vengono condivisi e scambiati. Se pensiamo al primo e più diffuso di questi fenomeni, il peer to peer per file musicali, riscontriamo come spesse volte è stato visto in termini di pirateria e danneggiamento al mercato musicale. Più che dire “scaricare musica da Internet”, dovremmo usare l’espressione “condividere musica tramite Internet”. Ricerche di mercato e studi di settore hanno rilevato come i cosiddetti “scaricatori” di musica di solito scaricano canzoni che dal vero non avrebbero acquistato, e la maggior parte di loro sono consumatori di musica non motivati. L’intero fenomeno, inoltre, su basa planetaria di milioni di utenti, è una forma economica ed efficace di promozione della musica. Il mercato in Rete crea un valore relativo del contenuto. Questo può comportare nuovi criteri per la costruzione di fiducia (su Ebay, ad esempio, la fiducia sul venditore viene stimata in base alle esperienze dei precedenti acquirenti), ma anche costruzione di giudizi di merito, predisposizione, soddisfazione. Senza dimenticare la qualità culturale di un libero mercato: disporre liberamente di contenuti letterari, musicali e cinematografici rende il cittadino digitale un individuo incentivato al consumo ed alla produzione di contenuti culturali. Politica Afferma Giuseppe Granieri che “nei network tutto è politica, a diversi livelli”. La formula dei software come “scienza politica fatta applicazione” rivela uno di questi primi livelli: mantenere, migliorare, risolvere e gestire le interazioni tra utenti ai fini della stabilità della mente sociale distribuita in Rete. È necessaria un’azione dialogica all’interno dei singoli gruppi, che stanno in Rete nei relativi spazi pertinenti. L’ancestrale Costituzione di Slashdot, basata sulle leggi di “moderazione, metamoderazione per i moderatori e karma per i cibernauti”, applicata fin dagli albori della Società della Rete, fino ad oggi è parsa essere funzionante, e le prospettive di applicazioni politiche attualmente in uso o in definizione nei network non sembrano prevedere grossi cambiamenti. Diversa è la questione per quel che riguarda la politica agita nella Rete. Granieri afferma che “tutto ciò che funziona nella comunicazione politica di massa, non funziona in rete”. In passato, ci sono storie di realizzazioni politiche avvenute grazie ad Internet (in America, la campagna elettorale di Howard Dean nel 2004) o fallimenti sotto le aspettative (il blog di Romano Prodi, aperto nel 2005 e chiuso dopo sole 3 pubblicazioni). Più recentemente, potremmo fare riferimento al fenomeno Beppe Grillo, che per il suo “V-Day” ha raccolto in piazza migliaia di persone, organizzando il tutto sul web. Sono politica agita anche il formarsi di gruppi d’opinione, i dibattiti politici che si confrontano (anche trasversalmente) grazie a communities, gruppi d’interesse, blog e mura di discussione. E tutto questo non è fine a se stesso. In America, vengono chiamati influentials coloro che in piccole comunità locali sanno interpretare il loro ruolo e riescono ad accreditare un proprio punto di vista su questioni di genere politico. Questi “influentials”, o opinion-leader, sono efficaci al 10%, nel senso che uno su dieci di loro è effettivamente influente sugli altri cittadini, per la scelta del voto o altro. Ebbene: in Rete, gli “influentials” hanno un potenziale sette volte maggiore a quello riscontrabile “dal vero”. Vengono chiamati Online Political Citizens (OPC) gli opinion leader che si esprimono attraverso Internet, ed il 70% di loro è effettivamente influente sugli altri cittadini. 6 Fare attivismo socio-politico in Rete, almeno fino ad ora, è stato più efficace che dal vero. I blog, ad esempio, potrebbero avere la funzione di migliorare la rappresentanza di un politico, attraverso l’argomentazione delle aspettative politiche, il rispetto dell’elettore, l’approfondimento delle proprie visioni. Tutte cose non possibili nella politica dei mass media, dove hanno parola solo pochi rappresentanti e si deve parlare in tempi che vanno dai 10 secondi dell’intervista in un tg ai 3 minuti di intervento in un talk show. In Rete la comunicazione è più potente, efficace, democratica, diretta: si tratta di vedere come la politica possa porsi in questione con questi nuovi paradigmi. La possibilità di uno sviluppo tecnico della democrazia non va visto in termini di rifiuto, ma in termini di diversione. Per ora, senza dubbio, non c’è nessun interesse da parte della politica di sviluppare davvero l’interattività, nel senso di lasciar intervenire davvero i cittadini sui contenuti e sui dibattiti politici. Il modello televisivo ha imposto che il dibattito venisse fatto tra politici, e non tra politico e cittadino. In America, ad ogni modo, molti politici consultano i propri blog e ne fanno un polso per tastare l’opinione pubblica in maniera diretta, senza che grossi quotidiani o reti televisive stiano lì a “fare di conto” e presentare i rapporti su opinione pubblica o consenso / dissenso degli elettori; in Italia, almeno fino ad ora, le sole vere votazioni mediali che si siano viste sono quelle per espellere i candidati dalla casa del Grande Fratello. Con i network, senza dubbio, viene implementata la possibilità di “fare democrazia”: che non è il potere del popolo, ma potere dei “demos”, che nell’antica Grecia erano piccole società locali, determinati gruppi instauratasi su determinate qualità condivise. Internet come albore di una nuova civiltà? Che dire: le polis virtuali già ci sono, i cittadini pure, non c’è Stato, ma c’è Governo. Non ci sono Leggi, ma Regolamentazioni. Non si insegna, si apprende collettivamente. La cultura non si vende, si diffonde. Le parole non volano, ma restano (scritte). Ubiquità, conoscenza, libero accesso, collaborazioni, iper-visioni, serendipity. Niente confini. Benvenuti. [email protected]