z.compl00.rutherford..

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Sezione d’urto Rutherford – Esperimento di Geiger e Marsden
Il modello di atomo proposto da Thomson consisteva in una sfera di carica Ze positiva
delle dimensioni atomiche (10-8 cm) entro la quale erano distribuiti Z elettroni,
ciascuno di carica –e in modo da rendere l’atomo nel complesso neutro. Le oscillazioni
degli elettroni rendevano conto della radiazione elettromagnetica emessa.
L'esperimento di Rutherford (anche detto esperimento di Geiger e Marsden) fu un
esperimento effettuato per sondare la struttura dell'atomo eseguito da Hans Geiger e
Ernest Marsden nel 1909, sotto la direzione di Ernest Rutherford al laboratorio di
fisica dell'Università di Manchester. Concepito per provare la validità del modello
atomico di Thomson, detto modello a panettone (plum pudding model), diede dei
risultati contrastanti rispetto a quel modello e portò alla concezione del modello
atomico di Rutherford o modello planetario dell'atomo.
Un fascio di particelle alfa generate dal decadimento radioattivo di radio furono
dirette ortogonalmente ad un foglio sottile d'oro (fig. A.1). Il foglio d'oro era
circondato da un foglio circolare ricoperto di solfuro di Zinco (ZnS) usato come
rivelatore: il solfuro di Zinco emette scintille luminose quando viene colpito da
particelle alfa.
fig. A.1 apparato sperimentale usato
Secondo il modello di Thomson, allora maggioritario, le particella alfa avrebbero dovuto
attraversare il foglio d'oro venendo deflesse al più di pochi gradi, anche considerando
la possibilità di diffusione multipla: misurando la deflessione delle particelle si
potevano ricavare informazioni sulla distribuzione di carica elettrica all'interno
dell'atomo. Tuttavia venne osservato che alcune particelle (1/8000) venivano riflesse
ad angoli anche maggiori di 90°.
Questo era un evento completamente imprevisto, come risulta dalle parole di
Rutherford:
« Fu l'evento più incredibile mai successomi in vita mia. Era quasi incredibile quanto lo
sarebbe stato sparare un proiettile da 15 pollici contro un foglio di carta velina e
vederlo tornare indietro e colpirti. Pensandoci, ho capito che questa diffusione
all'indietro doveva essere il risultato di una sola collisione e quando feci il calcolo vidi
che era impossibile ottenere qualcosa di quell'ordine di grandezza a meno di
considerare un sistema nel quale la maggior parte della massa dell'atomo fosse
concentrata in un nucleo molto piccolo. Fu allora che ebbi l'idea di un atomo con un
piccolissimo centro massiccio e carico ».
Rutherford interpretò i risultati sperimentali in un lavoro del 1911 intitolato "The
Scattering of α and β Particles by Matter and the Structure of the Atom” (La
diffusione di particelle α e β e la struttura dell'atomo). Rigettò definitivamente il
"modello a panettone" di Thomson dato che secondo quel modello né le particelle con
carica negativa (ossia gli elettroni), né la distribuzione di carica positiva che doveva
contenerli sarebbero stati in grado di produrre deflessioni così marcate.
Rutherford quindi propose che la carica positiva dell'atomo fosse concentrata in uno
spazio con un volume molto minore delle dimensioni atomiche, in questo modo era
possibile spiegare le deflessioni osservate.
Questa concentrazione centrale di carica, successivamente denominata nucleo atomico,
portava a concludere che la maggior parte del volume atomico fosse costituito da
spazio vuoto.
Infatti, dalla conservazione dell'energia cinetica, fu in grado di calcolare che il raggio
della carica centrale negli atomi d'oro doveva essere più piccolo di 3.4 x 10−14 m,
mentre l'atomo d'oro aveva un raggio noto di 1.5 x 10−10 m. Rutherford usò per i suoi
calcoli le leggi della meccanica classica dato che a quell'epoca non era disponibile la
teoria quantistica.
Quest'esperimento e la successiva incompatibilità del modello atomico di Rutherford
con la teoria classica dell'elettromagnetismo portarono alla formulazione da parte di
Bohr di un nuovo modello atomico che costituì la base delle prime teorie quantistiche.
Rifacendo i calcoli usando la teoria quantistica si ottiene lo stesso risultato trovato da
Rutherford.
Fig. A.2 differenza tra modello di Thomson e modello di Rutherford
In figura A.2 è schematizzata l’interazione di una particella α con l’atomo: nell’ipotesi
del modello di Thomson (alto) nella zona occupata dall’atomo il campo elettrico è
mediamente zero (legge di Gauss) e le particelle alfa subiscono lievi deflessioni.
Nell’ipotesi del modello di Rutherford (basso), il campo elettrico dell’atomo è nullo a
distanze maggiori delle orbite elettroniche (legge di Gauss), ma è intenso e repulsivo
all’interno delle shell elettroniche.
Vediamo ora di trattare l’interazione in maniera più quantitativa.
Consideriamo l’interazione tra una particella puntiforme di massa m e carica elettrica
ze e un’altra particella puntiforme di massa M e carica elettrica Ze. Sia v la velocità
relativa tra le due particelle. Facciamo l’ipotesi che v≪c, in modo da poter utilizzare le
leggi della meccanica classica, e che sia m≪M, in modo da poter trascurare l’effetto del
rinculo della particella M (nessuna di queste ipotesi è restrittiva e sono in ottima
approssimazione valide nel caso specifico dell’esperimento di Rutherford). Trattiamo il
problema in un sistema di riferimento che ha origine nella posizione della particella M ,
e definiamo il parametro d’urto, b, come la distanza tra la linea di volo della particella
m e la posizione della particella M (Fig. A.3).
Fig. A.3 Diffusione di Rutherford
La forza che agisce tra le due particelle è
zZe2 
F=
r
2
r
Il campo elettrico è conservativo e la diffusione della particella m nel campo della
particella M è elastica. Se p e p’ sono gli impulsi iniziale e finale, si ha:
|p| = |p’| ; ∆p = |p - p’| = 2p sin($ /2)
dove θ è l’angolo di diffusione della particella m. Poiché l’energia totale è positiva, la
traiettoria è aperta e la particella m descriva un’iperbole con asintoti definiti dalle
direzioni di p e p’.
L’impulso trasferito p è per simmetria dovuto alla componente trasversa FT della forza
coulombiana lungo la traiettoria della particella m:
+∞
Δp =
∫F
T
−∞
+∞
dt = ∫
−∞
zZe2
r
2
cos ψ dt
dove ψ è l’angolo tra l’asse di simmetria del moto e il raggio vettore r, e si ha:
ψ( t = −∞ ) = −( π / 2 − θ / 2)
ψ( t = +∞ ) = +( π / 2 − θ / 2)
Infatti, per P→∞ la semiretta QP diventa parallela alla semiretta OP e l’angolo a→$ /2
La velocità della particella è:
v=
dr
dt
=
dr 
dψ 
r+r
n (dove n è il versore tangente alla traiettoria)
dt
dt
Il momento angolare: L = r ∧ p = m
dr

dψ
dψ  

r ∧ r + mr
r ∧ n = mr2
r∧n
dt
dt
dt
2 dψ
L
=
mr
risulta normale al piano della traiettoria e di modulo
dt
Il momento angolare per forze centrali è una costante del moto e pertanto:
L = mr2
dψ
= pb
dt
dove b è il parametro d’urto.
dt m
=
dψ
Pertanto si ha la relazione: r2 pb
Sostituendo nell’espressione di Δp:
+∞
Δp =
∫
−∞
zZe
r
2
2
ψ
cos ψ dt =
+∞
∫
ψ
−∞
zZe2m
pb
cos ψ dψ =
zZe2m
pb
(
)
2cos θ / 2
dove si sono usati gli estremi di integrazione in ψ ricavati sopra.
Pertanto:
Δp =
zZe2m
pb
2
(
)
(
)
2cos θ / 2 = 2p sin θ / 2
da cui si deriva la relazione tra l’angolo di diffusione ed il parametro d’urto:
(
)
tan θ / 2 =
zZe2m
pb
2
=
zZe2
2E ⋅ b ;
b=
zZe2
(
)
2E ⋅ tan θ / 2
fig. A.4 Relazione tra angolo θ e parametro d’urto b
L’elemento di superficie bersaglio che corrisponde ad un angolo di diffusione tra θ e θ
+dθ è definito dalla corona circolare compresa tra i parametri d’urto b e b+db
2
⎛ zZe2m ⎞
1
dθ / 2
dσ = 2πb ⋅ db = 2π ⎜
⎟
2
p
⎝
⎠ tan θ / 2 sin 2 θ / 2
(
) (
che si può riscrivere nel seguente modo:
2
(
) ( )
( )
⎛ zZe2m ⎞ 2π sin θ / 2 cos θ / 2 dθ / 2
dσ = 2π ⎜
⎟
2
⎝ p ⎠
sin 4 θ / 2
)
L’elemento infinitesimo di angolo solido in coordinate polari è dato da:
dΩ = sin θ ⋅ dθ ⋅ dϕ . Poiché il problema presenta simmetria cilindrica, non essendovi
dipendenza da ϕ, si può integrare sull’angolo azimutale e si ottiene: dΩ = 2π ⋅ sin θ ⋅ dθ
Notando che:
(
) (
)
2π sin θ / 2 cos θ / 2 dθ / 2 =
π
2
sin θ ⋅ dθ =
dΩ
4
,
possiamo riscrivere nel seguente modo:
2
dσ ⎛ zZe2 ⎞
1
=⎜
⎟
dΩ ⎝ 4E ⎠ sin 4 θ / 2
(
dσ
dΩ
)
è la sezione d’urto Rutherford differenziale e rappresenta la probabilità che una
particella di energia E e carica z venga deflessa, interagendo con una carica Z di massa
M>>m ad un angolo θ rispetto alla direzione iniziale.
La sezione d’urto differenziale diverge per θ → 0, quindi non è definita su tutto
l’angolo solido. Questo è dovuto al fatto che il potenziale coulombiano ha raggio
d’azione infinito. Nella realtà non esistono cariche elettriche isolate: qualunque carica
è in qualche modo schermata da cariche di segno opposto. Se consideriamo, ad
esempio, un sistema atomico in cui il raggio medio degli orbitali elettronici vale < r >,
per parametri d’urto superiori ad < r > il campo coulombiano è nullo (legge di Gauss) e il
valore minimo dell’angolo di diffusione di una particella di energia cinetica E vale:
(
)
tan θmin / 2 =
zZe2
2E⋅ < r >
La distanza minima di avvicinamento del proiettile al bersaglio si ha quando il vettore r
è perpendicolare al vettore p. Dalla conservazione del momento angolare e dell’energia:
L = r ∧ p = rmin p = b ⋅ p 0
E=
p2
2m
+
zZe2
rmin
=
p20
2m
dove p0 è la quantità di moto iniziale, b il parametro d’urto e l’angolo di diffusione è:
(
)
tan θ / 2 =
zZe2m
p20b
Dalle relazioni precedenti si ottiene:
(
)
2
rmin
− 2b ⋅ tan θ / 2 ⋅ rmin − b2 = 0
(
) (
(
))
rmin = b ⋅ tan θ / 2 + b 1 + tan θ / 2
Essendo:
rmin
b=
2
zZe2
(
1/ 2
=b
(
)
1 + sin θ / 2
(
)
cos θ / 2
)
2E ⋅ tan θ / 2 , si può riscrivere:*
(
)
zZe2 1 + sin θ / 2
=
⋅
2E
sin θ / 2
(
)
Tale relazione permette di ricavare, da una misura dell’angolo di deflessione, il valore
di rmin e quindi una stima delle dimensioni del bersaglio.
Rutherford, Geiger e Marsden misurarono deflessioni fino ad angoli di 150° e
ricavarono quindi un valore di rmin = 4⋅10-12 cm, quattro ordini di grandezza inferiore
al raggio atomico!
La scoperta del neutrone
Dopo la scoperta di Rutherford e di Frederick Soddy della trasformazione artificiale
dei nuclei esposti a particelle α, seguirono numerosi esperimenti per studiare questo
fenomeno. Nel 1928 Bothe e Becker osservarono che nella reazione di particelle α,
emesse dal Polonio con energia di ≈ 5.4 MeV , con nuclei di Berillio venivano prodotti
Carbonio e una radiazione non ionizzante, cioè neutra, molto penetrante:
α + Be → C + radiazione neutra penetrante
In realtà la reazione che avveniva era la seguente:
4
He
2
+ 94Be → 126 C + n
Nel 1930 Irene Curie e Frederic Joliot osservarono che questa radiazione neutra,
attraversando un assorbitore di materiale idrogenato produceva emissione di protoni
con energia cinetica fino a circa 5.3 MeV e interpretarono la radiazione neutra come
fotoni che emettono protoni per effetto Compton:
4
He
2
+ 94Be → 136 C + γ
γ +p→γ +p
9
13
Per la conservazione dell’energia deve essere: E γ = Tα + mα + m( Be) − m( C)
Nel 1931 Chadwick studiò l’effetto della radiazione neutra su Idrogeno e altri nuclei
(Elio, Azoto, Ossigeno, ...) determinando la velocità di rinculo dei nuclei da misure di
percorso in una camera a ionizzazione.
Chadwick osservò che:
• per emettere un protone con energia cinetica fino a Tp = 5.3 MeV per effetto
Compton, i fotoni emessi nella reazione devono avere energia fino a Eγ = 50 MeV ;
• questo valore di energia è troppo elevato e non è compatibile con la conservazione
9
13
dell’energia nella reazione: E γ = Tα + mα + m( Be) − m( C) = 16 MeV
• la conservazione dell’energia e dell’impulso è invece assicurata se nella reazione viene
prodotta una particella neutra con massa approssimativamente uguale alla massa del
protone
4
He
2
+ 94Be → 126 C + n
Chadwick determinò la massa del neutrone con una precisione del 10%. Egli sperimentò
che questa radiazione era in grado di far rinculare a grande velocità non solo protoni,
ma anche He, Li, Be, B, C, O e Ar. L’ipotesi di effetto Compton nucleare divenne
estremamente improbabile.
Supponendo urti elastici di queste particelle con i nuclei bersaglio, il massimo
trasferimento di quantità di moto dal proiettile (sconosciuto) al bersaglio (noto) si ha
per urto centrale con retrodiffusione del proiettile a 180o.
Se chiamiamo p ed m rispettivamente la quantità di moto e la massa del proiettile
(incognite) , P la la quantità di moto del bersaglio dopo l’urto (misurata) ed M la sua
massa (nota), per un urto centrale si avrà:
p2
p'2
P2
=
+
p = p' + P e:
2m 2m 2M
Con un po’ di algebra si ricava:
2p = P
M+m
M
Chadwick ripetè la misura usando bersagli di idrogeno e di azoto:
2p = PH
MH + m
(
MH
2p = v H M H + m
2p = PN
)
MN + m
MN
(
2p = v N M N + m
)
Chadwick dedusse la velocità (massima, urto centrale) dei nuclei idrogeno ed azoto da
una misura del loro percorso (massimo):
vH
vN
=
MN + m
MH + m
=
14 + m
1+m
=
3.3 ⋅ 109 cm / s
0.47 ⋅ 10 cm / s
9
=7
e ricavò per la massa incognita il valore m ≈ 1 amu.
Misure più precise vennero fatte studiando altri processi di produzione di neutroni in
reazione di particelle α con nuclei.
2
Il nucleo di deuterio, l’isotopo 1 H dell’Idrogeno, è stato scoperto pochi mesi dopo il
neutrone da Urey ed è stato interpretato come uno stato legato protone-neutrone.
Nel 1934 Chadwick e Goldhaber ossevarono che la fotodisintegrazione del deutone:
γ +d→p+n
non avviene con fotoni di energia Eγ = 1.8 MeV , ma è prodotta da fotoni con Eγ = 2.6
MeV e determinarono con maggior precisione la massa del neutrone:
939.1 MeV /c2 ≤ mn ≤ 939.9 MeV /c2
I valori attuali delle masse del protone, neutrone, deutone e dell’energia di legame Bd
del deutone sono:
mp = 938.27231 ± 0.00028 MeV /c2
mn = 939.56563 ± 0.00028 MeV /c2
md = 1875.61339 ± 0.00057 MeV /c2
Bd = 2.224589 ± 0.00002 MeV
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