Antonio Labriola scrittore. Fonti, cultura, fortuna

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SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
FACOLTÀ DI MEDICINA E PSICOLOGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE
IN PEDAGOGIA E SCIENZE DELL'EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE
TESI DI LAUREA IN PEDAGOGIA GENERALE
Laureanda
Claudia Stentelli
Relatore
Chiar.mo prof.
Nicola Siciliani de Cumis
Matricola
983588
Correlatore
Chiar.mo prof.
Alessandro Sanzo
ANTONIO LABRIOLA SCRITTORE
FONTI, CULTURA, FORTUNA
Anno Accademico
2011 – 2012
Indice
Premessa .......................................................................................................... IX
Introduzione .................................................................................................... XI
Parte prima – Il “morfologico” e la letteratura ............................................. 1
Capitolo primo – La scrittura di Antonio Labriola ...................................... 3
1.1. Questioni di scrittura ................................................................................ 3
1.1.1. Il problema del cominciamento ..................................................... 3
1.1.2. La filosofia dell’umorismo .............................................................. 5
1.1.3. La scrittura durante la malattia ..................................................... 7
1.2. Lo stile epistolare ....................................................................................... 8
1.2.1. Il carteggio......................................................................................... 8
1.2.2. Discorrendo di Socialismo e filosofia ................................................ 10
Capitolo secondo – Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola .......................................................................................................... 13
2.1. Tra scienza e filosofia .............................................................................. 13
2.1.1. Galileo Galilei ................................................................................. 15
2.1.2. Galileo secondo Italo Calvino ...................................................... 16
2.1.3. Labriola come Galileo? .................................................................. 19
2.2. Alessandro Manzoni ............................................................................... 22
2.3. Giacomo Leopardi ................................................................................... 25
2.3.1. La concezione pedagogica ............................................................ 26
2.3.2. Un analogo messaggio?................................................................. 27
Capitolo terzo – Labriola professore: influenze sui suoi studenti ........... 33
3.1. Giovanni Zannoni .................................................................................... 33
3.1.1. Relazione della commissione per l’esame del titolo del Prof.
Zannoni alla cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana ................... 36
3.1.2. Dalla letteratura alla filosofia ....................................................... 45
3.2. Giulio Natali ............................................................................................. 46
3.2.1. In ricordo di Labriola..................................................................... 47
3.2.3. Gli appunti di Natali alle lezioni di Labriola ............................. 50
3.2.4. Alcune osservazioni a partire dagli appunti............................ 116
3.3. Angelo Fortunato Formiggini .............................................................. 118
3.3.1. Il suicidio ....................................................................................... 120
3.3.2. La filosofia del ridere ................................................................... 121
3.3.3. Alcuni appunti di Formiggini su Labriola ............................... 123
VI
3.4. Emilia Santamaria Formiggini .............................................................. 125
3.4.1. La pedagogia e Tolstoj ................................................................. 126
3.4.2. Il rapporto con Labriola: dalla pedagogia alla prefazione della tesi di laurea ........................................................................ 128
3.5. Luigi Pirandello ...................................................................................... 131
Parte seconda – Direzioni d’indagine ......................................................... 139
Capitolo primo – Recensire tra testi e contesti .......................................... 141
1.1. Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche e didattica ........................................................................................................ 141
1.1.1. Il progetto ....................................................................................... 142
1.1.2. I figli del papuano ............................................................................ 145
1.2. Organizzazione del testo ....................................................................... 147
1.3. Socrate e il principio dialogico ............................................................. 150
1.4. Dalla formazione al Museo d’istruzione ............................................. 152
1.4.1. Labriola conferenziere .................................................................. 157
1.5. Labriola e Don Guanella........................................................................ 161
1.6. La fortuna di Labriola nel ‘900.............................................................. 164
1.7. Terminologia labrioliana ....................................................................... 166
1.8. Il “morfologico” e i suoi sviluppi ......................................................... 170
Appendice I
Tutto in un film .............................................................................................. 173
Appendice II ..................................................................................................... 177
Contenuti del cd rom allegato
Premessa
Elaborato di laurea triennale Antonio Labriola. Tra letteratura e scrittura
Tesi di laurea magistrale Antonio Labriola scrittore. Fonti, cultura, fortuna
Le parole di Labriola nel GRADIT di Tullio De Mauro
Scansioni degli appunti di Giulio Natali
NATALI GIULIO, Antonio Labriola (necrologia), in L’Ateneo veneto
Bibliografia ....................................................................................................... 183
Sitografia .......................................................................................................... 187
Indice dei nomi ................................................................................................. 189
Indice delle tematiche ....................................................................................... 193
A me stessa e alla tenacia
che mi ha portato fino a questo importante traguardo
Ai miei genitori
che, con tanti sacrifici, mi hanno sempre sostenuto
A Roberto
l’amico migliore tra i migliori,
il fratello che non ho mai avuto ma che, fortunatamente, ho incontrato
Premessa
È sempre difficile raccontare e riassumere in poche parole qualcosa di
personale, in questo caso un percorso universitario; è difficile trovare le
parole giuste per non diventare banali e ripetitivi. Per questo motivo ho
affidato l’inizio di questa premessa alle parole di uno scrittore e drammaturgo, Antonio Scavone:
Quando si finisce la lettura di un libro si resta quasi sempre senza parole: la
conclusione di un viaggio, sia pure irreale e immaginifico, ci lascia interdetti, ci
toglie quell’entusiasmo che avevamo quando abbiamo cominciato a leggere per
esempio un romanzo e non ci sentiamo appagati, o risollevati o soddisfatti, pur
se quel libro ci è piaciuto tantissimo. In realtà, quel romanzo aveva cominciato a
piacerci già prima, dopo le prime venti-quaranta pagine (altrimenti l’avremmo
abbandonato), ma solo alla fine possiamo affermare, quasi testimoniare, quanto
ci sia piaciuto e, nello stesso tempo, provare quella sensazione di epilogo e
completezza perché il viaggio irreale ha raggiunto la sua meta, l’incanto che ne
è scaturito si è consumato e si è altresì esaurito quel cumulo di emozioni che il
romanzo ci aveva suscitato e che speravamo di accumulare ben oltre l’ultima
pagina. Ci toccherà, a quel punto, riporre il libro al posto che gli abbiamo assegnato nella nostra biblioteca, giudicarne affettuosamente la stropicciatura delle
pagine lette e rilette e ritenere che ormai, salvo ripensamenti, quel romanzo ha
fatto il suo dovere, ha svolto il suo compito, ha concluso con noi il suo viaggio
dentro la nostra coscienza e la nostra memoria. […].
Prima o poi doveva finire, si dirà, ed è vero, è naturale: ciò che non è naturale e non è vero in letteratura è che un romanzo finisca allorché abbiamo finito di
leggerlo. È vero il contrario: finisce certamente quel viaggio con i personaggi
della storia letta ma comincia il viaggio – l’esplorazione, l’analisi, l’empatia –
che intraprendiamo da soli, con noi stessi e chi ci sta intorno, sulle indicazioni,
le suggestioni, le idee provocate da quel romanzo. Non sappiamo se un libro sia
capace di cambiare la vita di un individuo, ma certamente cambierà molte aspettative. […].
Attraverso la lettura scopriamo non solo – e banalmente – storia e personaggi, ma siamo trascinati dall’abilità dello scrittore nel corpo stesso del romanzo,
nell’ambito più intimo e profondo della narrazione: scopriamo cioè che quel
romanzo ci è piaciuto perché era scritto così: questo significa che abbiamo fatto
nostro uno dei segreti della scrittura e cioè lo stile. Lo stile può essere definito
secondo parametri e strutture critico-estetiche che si prendono a modelli di analisi: lo stile di uno scrittore può essere pregnante e incisivo mentre quello della
X
Premessa
scrittura può essere scorrevole e intrigante. Sono definizioni, come si vede, e in
quanto tali dicono e non dicono oppure fanno luce senza essere illuminanti,
scoprono senza rivelare o viceversa.1
Qualche mese fa girovagando nel web, ho trovato questo breve testo
intitolato Filosofia dello scrivere, un titolo che, dato l’argomento di questa
tesi, mi ha incuriosito molto. Ho letto questo testo prima “tutto di un fiato”, poi con maggiore attenzione. Durante la lettura mi sono resa conto
che le parole di Scavone riassumono esattamente quello che provo di
fronte alla lettura di un libro, quindi di fronte alla letteratura stessa:
un’emozione che mi accompagna sempre mentre leggo, quella stessa
emozione che, credo, mi abbia spinto a scegliere di nuovo, anche per la
laurea magistrale, l’argomento di questa tesi.2
Il presente lavoro è, dunque, una sorta di proseguimento del mio elaborato triennale in varie direzioni d’indagine. Da una parte ho voluto
approfondire e verificare quelle tematiche che non sono state approfondite nel mio precedente lavoro; dall’altra parte, invece, attraverso lo studio di nuovi documenti, ho inteso esplorare parti poco conosciute
dell’“universo Labriola”.
Concludo questa breve premessa ringraziando la Biblioteca Comunale di Macerata, nelle persone di Giuliano Sanseverinati e Pio Cartechini,
per l’invio di alcuni scritti di Giulio Natali, tra cui i suoi appunti (manoscritti) presi durante le lezioni di Filosofia morale e pedagogia tenute da
Labriola nell’anno accademico 1893-94; Carla Fiorenza e Adriana Monaldi per la trascrizione degli appunti sopra menzionati, nel quadro del
loro elaborato d’esame3 di Pedagogia generale del tutto autonomo rispetto alla mia tesi di laurea; i professori Nicola Siciliani de Cumis e Alessandro Sanzo che mi hanno sostenuto dandomi preziosi consigli e
mostrandomi grande disponibilità; tutte le colleghe, laureande, delle lezioni del sabato, con le quali ho condiviso questa bella, a volte problematica, ma soddisfacente esperienza; ed infine un ringraziamento speciale alla mia famiglia e ai miei amici che hanno sempre creduto in me.
A. SCAVONE, Filosofia dello scrivere, in http://www.rebstein.wordpress.com [data
ultima consultazione 12/11/2011].
2 Ho conseguito la laurea triennale il 28 febbraio 2009 con un elaborato intitolato
Antonio Labriola. Tra letteratura e scrittura, relatore Prof. Nicola Siciliani de Cumis,
correlatore Prof. Roberto Sandrucci, voto 105/110.
3 L’elaborato d’esame di Pedagogia generale di Carla Fiorenza e Adriana Monaldi ha come titolo Lezioni di Antonio Labriola alla Sapienza di Roma. Analogie e differenze
tra il docente universitario e il teorico del materialismo.
1
Introduzione
Questa tesi di laurea, percorrendo la vita, gli scritti ed alcune teorie di
Antonio Labriola, vuole mettere in primo piano un Labriola meno conosciuto, non solo filosofo, politico e pedagogista bensì scrittore, letterato e
divulgatore della letteratura.
L’insegnamento filosofico come è dato ora produce effetti cattivi perché quei
giovani che non hanno abbastanza coltura d’ingegno e sono scarsi d’ordinario
di letteratura ne escono boriosi e ben superficiali.4
Da questa affermazione di Labriola, si evince facilmente che la letteratura, intesa sia come scrittura che come studio dei classici, assume un
ruolo molto importante nella formazione, nella carriera e nella pedagogia labrioliane. Pertanto attraverso la conoscenza di questo pressoché
sconosciuto Labriola scrittore, definito da Nicola Badaloni uno scrittore
«d’alta qualità […]: una qualità da far meravigliare come mai anche nelle
storie della letteratura, […], sia stata dimenticata una così viva presenza»5, si potrebbero comprendere ulteriormente le teorie del filosofo.
Attraverso l’utilizzo di un rilevante numero di libri e d’inediti documenti d’archivio, nonché mediante un’opportuna formulazione d’ipotesi,
si vuole invitare il lettore ad una riflessione, dapprima concentrata sullo
stile di scrittura di Labriola, quindi estesa al mondo letterario vero e proprio, che caratterizza originalmente l’esperienza labrioliana.
Nel presente lavoro ricopre una ruolo fondamentale Pasquale Guaragnella, professore ordinario di Letteratura italiana presso la facoltà di
Lingue e letterature straniere dell’Università di Bari, il quale ha scritto
un libro intitolato Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e Luigi Pirandello che può essere considerato il punto di partenza di
questa tesi. Il volume, infatti, diviso in cinque capitoli illustra alcune affinità tematiche e retoriche presenti nella prosa di Labriola e Luigi PiDall’audizione di Antonio Labriola nella seduta di Napoli del 19 febbraio 1873,
in ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, FONTI PER LA SCUOLA IV, L’inchiesta Scialoja sulla
istruzione secondaria maschile e femminile, a cura di L. MONTEVECCHI e M. RAICICH, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1995,
p. 276.
5 P. GUARAGNELLA, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e Luigi Pirandello, Roma, Bulzoni, 2005, p. 9.
4
XII
Introduzione
randello, tra cui la filosofia dell’umorismo e della malinconia. Dunque,
partendo dall’analisi di Guaragnella sulla prosa di Labriola, chi scrive ha
cercato sia di approfondire alcuni aspetti già trattati dall’autore, sia di
toccare argomenti che non ha menzionato nel suo libro. Tra questi argomenti è importante mettere in rilievo i verbali relativi all’avanzamento professionale accademico, appoggiato da Labriola, di Giovanni Zannoni da assistente a professore ordinario, e il manoscritto di appunti presi da Giulio
Natali durante le lezioni di Filosofia morale e pedagogia tenute da Labriola.
In questa direzione il tema centrale della tesi si evince e si riassume
già dal titolo del lavoro: parole chiave che descrivono brevemente ma
efficacemente l’obiettivo della dissertazione. Attraverso le fonti di Labriola, in questo caso letterarie, si delineano la sua esperienza e la sua
cultura che hanno determinato la sua fortuna e la sua notorietà fino ad
oggi.
Entrando nello specifico, il lavoro è suddiviso in due parti. La prima
parte comincia con un capitolo dedicato allo studio minuzioso, già menzionato sopra, condotto da Guaragnella circa lo stile di scrittura labrioliano. Guaragnella analizza la prosa di Labriola mettendo in evidenza
alcune esperienze di scrittura proprie del filosofo, come le sue difficoltà
redazionali, relative al problema del «cominciamento» e l’uso delle tecniche della filosofia dell’umorismo e lo stile epistolare.
Il secondo capitolo sposta l’attenzione su quelle che potrebbero essere
alcune delle fonti o suggestioni letterarie di Labriola. In particolare al
centro di questa sezione ci sono Galileo Galilei, Alessandro Manzoni e
Giacomo Leopardi, tre autori che sembrano aver influenzato la formazione e le esperienze di scrittura labrioliane.
Dopo le fonti letterarie di Labriola si analizzano, nel terzo capitolo, i
rapporti che il filosofo ha avuto con alcuni dei suoi studenti; se ne cercano, quindi, le ragioni sostenibili che in vario modo hanno a che fare con
la letteratura. Tra questi studenti: Giovanni Zannoni, Giulio Natali, Angelo Fortunato Formiggini, Emilia Santamaria Formiggini e Luigi Pirandello.
Essendo presenti in questo capitolo le trascrizioni dei verbali riguardanti Zannoni e degli appunti di Natali, è sembrato opportuno descrivere i criteri ecdotici usati per le suddette trascrizioni. Pertanto, in questo
tipo di lavoro ci si è attenuti al massimo rispetto delle grafie nei documenti. Non si sono di proposito seguite le regole per la composizione tipografica adottata per la griglia editoriale usata per questa tesi. Si è intervenuti solo dal punto di vista della cura esterna della grafica più elementare. In alcune pagine delle trascrizioni è stato ridotto il carattere per
Introduzione
XIII
far entrare, interamente, le pagine nella griglia. Le parole dei documenti
manoscritti che non sono state comprese sono state sostituite nelle trascrizioni dal simbolo “[…]”.
La seconda parte è dedicata alla recensione del libro Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche, didattica6 di Nicola Siciliani de
Cumis. In questa recensione si sono voluti mettere in evidenza gli aspetti
che potevano in qualche modo avere a che fare con il tema della letteratura e della scrittura, ponendo attenzione, nello stesso tempo, anche a
quegli aspetti, sempre letterari, che per svariate ragioni non sono stati
toccati nel libro ma che andrebbero approfonditi.
La tesi si conclude con due appendici. Nella prima sono presenti due
proposte di film su Antonio Labriola, in una delle quali il linguaggio è al
centro dell’attenzione. Mentre nella seconda appendice si è deciso di inserirvi l’indice e l’introduzione dell’elaborato d’esame di Pedagogia generale di Carla Fiorenza e Adriana Monaldi da cui è stata estrapolata la
trascrizione degli appunti di Natali.
In allegato a questo elaborato di laurea magistrale c’è un cd, il cui
contenuto, in parte, rappresenta il contributo di chi scrive al portale Carte di famiglia7, un contributo basato sul percorso universitario di una studentessa che è arrivata alla laurea magistrale.
Il portale Carte di famiglia è un archivio-laboratorio storiograficoeducativo, frutto di «una pluridecennale esperienza archivistica della
famiglia e sulla famiglia, in famiglia e con la famiglia, tra famiglie e per
la famiglia in cui si vuole creare un itinerario individuale e collettivo di
esperienze familiari, che si possono indirizzare ben oltre ambiti familiari
ristretti: un progetto educativo ed un’educazione alla famiglia, che trova
le sue ragioni sul piano dell’interdisciplinarità, del sapere scientifico in
rapporto con la formazione individuale e collettiva, dell’autoeducazione;
ed infine sul piano dell’incremento «di produzione e fruizione della cultura generale, del moltiplicarsi dei rapporti formativi possibili tra didattica e ricerca, dello sviluppo delle modalità d’uso delle documentazioni
prodotte nell’insegnamento-apprendimento».
Il portale, dunque, è una raccolta sistematica, interdisciplinare ed aperta di tipo enciclopedico ed in funzione del binomio didattica-ricerca,
in cui si possono trovare insieme sia indicazioni pedagogiche di autori
N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, Pisa, Edizioni ETS, 2011.
7 www.cartedifamiglia.it e http://archividifamiglia.it/ [Data ultima consultazione
17/09/2012].
6
XIV
Introduzione
“classici” come Kant, Hegel, Labriola, Makarenko, Visalberghi e tanti altri, sia produzioni monografiche di storici specialisti, di insegnanti e
studenti, proprio a partire dalle esperienze della quotidianità. Dunque,
anche della scrittura e della dimensione letteraria degli autori. Labriola
anzitutto.
Dato che lo scopo di questa tesi è quello di approfondire un aspetto
poco conosciuto di Labriola, è possibile che, a volte, il testo possa assumere un carattere episodico e frammentario, ovvero eccessivamente dichiarativo e reiterativo. Si tratta, però, di una scelta consapevole, da parte di chi scrive, che restituisce a questa tesi la stessa frammentarietà con
cui il problema si presenta nell’opera di Labriola, che non è letteraria,
ma che, nello stesso tempo, è condizionata dalla medesima modalità di
scrittura dell’autore nonché dalla sua formazione letteraria.
Ovviamente la versione a stampa del presente lavoro lascia ancora a
desiderare dal punto delle resa tipografico-editoriale. Il lettore, quindi,
potrà trovare una versione più fruibile e maggiormente consultabile, soprattutto per quanto riguarda la decifrazione delle scansioni dei documenti manoscritti, all’interno del cd allegato.
Parte prima
IL “MORFOLOGICO” E LA LETTERATURA
Capitolo primo
La scrittura di Antonio Labriola
1.1. Questioni di scrittura
Gli ambiti in cui si muove Labriola sembrano essere soltanto la filosofia, la politica e la pedagogia in senso stretto e specialistico. In realtà si
occupa anche di altro. Egli, infatti, riesce a toccare diversi campi del sapere, partendo dalla filosofia stessa, per arrivare alla storia, alla psicologia, alla letteratura. Versatile è l’aggettivo giusto che descrive Labriola in
quest’ambito, una persona d’ingegno che si applica con successo in attività e materie più disparate che riuscirà con gli anni ad essere considerato non solo un grande filosofo, ma anche uno scrittore apprezzabile.
Durante il processo di scrittura Labriola è alle prese con un incessante
labor limae che nasce da un forte senso d’insoddisfazione nei confronti
della sua prosa e che lo costringe a modificare e riscrivere i suoi testi, affinché acquistino agli occhi del futuro lettore maggiore valenza di senso.
Le modalità di scrittura usate dal filosofo sono, dunque, molto complesse. Esse sono vivacizzate da un atteggiamento critico nei riguardi della
materia presa in considerazione e animate dalla volontà di mantenere un
tono colloquiale distante dalla severità della retorica.
1.1.1. Il problema del cominciamento
Nella lettera del 15 maggio 1895 indirizzata a Benedetto Croce, suo allievo, amico, corrispondente ed editore, Labriola assume una precisa posizione nell’ambito del dibattito italiano sul materialismo storico. Egli
afferma che la vera difficoltà di redazione di una scrittura sulla concezione materialistica della storia si trova nella mancanza di precedenti letterari italiani da cui prendere spunto: il problema retorico linguistico che
si presenta è relativo al «cominciamento».
In questa direzione si può osservare come Labriola comprendesse bene la situazione politica italiana del periodo; infatti, il filosofo afferma
che l’azione pratica per istruire l’Italia al socialismo non è possibile: unico rimedio per ovviare a questo problema è scrivere libri per istruire
quelli che si credono mostri in materia. Il vero socialismo dunque, coincide con la forma del Manifesto, «il cui discorso costituisce la più complessa traduzione di una dialettica reale, dal momento che esso è iscritto
4
Parte prima – Capitolo primo
come linguaggio della teoria»8, pertanto la forma dei principi del Manifesto non coincide con il concetto d’abstraction9 che li descrive in base alle
qualità loro comuni, bensì con l’attitudine di individuare il movimento
di una formazione sociale che consentirà il riconoscimento del processo
generativo dei nuovi linguaggi, di conseguenza del linguaggio del nuovo.
Risalire al linguaggio del Manifesto significa, quindi, sperimentare un
linguaggio che deve definire il tempo storico in cui si realizza uno scontro tra una vecchia ed una nuova formazione sociale; per questo motivo
Labriola dichiara “vero socialismo” quello francese, in quanto nato proprio sotto la pressione ed il dominio della borghesia. A questo proposito
una traduzione del Manifesto correva il rischio di risultare appena decente, poiché essendo un periodo storico poco favorevole alle rivoluzioni
sociali, il testo originale non sarebbe stato né compreso, né rispettato nelle sue parti più confuse e nascoste. La traduzione italiana del Manifesto,
dunque avrebbe preso gli stessi difetti della traduzione tedesca, la quale,
secondo le tesi di Marx, si è appropriata del Manifesto del socialismo
francese in modo erroneo. I teorici tedeschi del marxismo, inoltre, hanno
scritto «le proprie sciocchezze filosofiche sotto l’originale francese. Attraverso questa procedura anomala esso ha occultato il socialismo, avendo poi la boria di battezzarsi “vero” socialismo»10.
Il problema della traducibilità del Manifesto, quindi dei principi del
materialismo storico ed il conseguente timore di una traduzione erronea,
viene definitivamente assunto nella riflessione labrioliana come un problema di redazione letteraria che si lega alla difficoltà di cominciare a
scrivere qualcosa che non ha precedenti letterari. Ma per quale motivo,
osserva Guaragnella, Labriola dichiara investito di solitudine letteraria
soltanto il linguaggio scritto, senza prendere in considerazione quello
parlato? La risposta a questo interrogativo è da ricercare nella concezione labrioliana relativa alla forma scritta del linguaggio che, per il filosofo, ha la capacità di delucidare le difficoltà oggettive di qualunque dottrina, laddove il discorso orale è inadeguato. A questo punto, scrivere in
modo corretto e chiaro un concetto è più difficile che esporlo oralmente,
P. GUARAGNELLA, op. cit, p. 26.
Per abstraction s’intende il processo di generalizzazione e di riduzione delle informazioni riguardanti concetti o fenomeni osservabili. Di solito il lavoro consiste
nel prendere dai testi solo le informazioni che sono funzionali a particolari propositi.
10 P. GUARAGNELLA, op. cit., p. 26.
8
9
La scrittura di Antonio Labriola
5
perché scrivendo si ha la responsabilità di chiarire tutto quello che oralmente rimane incomprensibile e nascosto.
L’esposizione scritta, o Darstellung (come viene chiamata da Labriola), legata ai meccanismi e alle procedure della costruzione del discorso
che sono inscindibili dall’unità tematica dell’opera, non è una descrizione pura e semplice, ma una forma in movimento che si basa sul pensiero, che è esso stesso un atto di movimento. La narrazione, quindi, deve
spiegare l’oggetto attraverso la spiegazione di se stesso e del suo angolo
visuale; solo in questo modo si può arrivare alla verità che diventa efficace se espressa nel linguaggio delle situazioni, oggetto di studio, concrete e particolari.
Il 13 aprile 1885, Labriola scrive a Engels per annunciargli l’avvenuta
redazione del primo saggio sul materialismo storico, In memoria del Manifesto dei Comunisti. Egli definisce le modalità generative della propria
scrittura come un movimento unidirezionale dalla confusione alla chiarezza e aggiunge: «ho scritto senza guardare né ai libri né ai miei voluminosi estratti di storia del socialismo. Manderò subito via questo scritto
per paura di non rimetterlo secondo il mio solito nella Schublade»11. La
paura di riporre lo scritto nella Schublade (cassetto) è parte integrante
delle riflessioni di Labriola circa le sue opere. La figura del cassetto evoca il rischio di una sbagliata costruzione del testo che sembra non rivelare una forte complessità semantico-formale; in questo caso, però, il cassetto sta ad indicare anche la paura del filosofo di non essere riuscito a
scrivere con un’adeguata efficacia espositiva. Per evitare tale rischio Labriola si cimenta con il genere della scrittura d’occasione: una scrittura
che usa il linguaggio della verità e una struttura discorsiva che non è
semplice esposizione o racconto, ma un insieme di parole e pensieri che
il lettore può sviluppare e moltiplicare.
1.1.2. La filosofia dell’umorismo
Ancora più interessanti e sempre nel segno di un umorismo autoriduttivo,
sono le modalità di scrittura confessate da Labriola a Croce nella medesima lettera: «Continuerò sciancatamente per questo mese – perché non potrei affrettarmi. Ho molte cure e noie per la testa!». Poi cambiando improvvisamente argomento, Labriola viene a dire della più recente ratio studiorum del giovane allievo: «Dei tuoi recenti opuscoli non potrei parlarti se non andando su e giù a
zonzo». Scrivere “sciancatamente”, e dunque senza ordine, avere “noie per la
11 A. LABRIOLA, Carteggio III (1890-1895), a cura di S. MICCOLIS, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 547-548.
6
Parte prima – Capitolo primo
testa” e commentare poi le pagine di un amico andando “a zonzo”: si tratta di
figure topiche della rappresentazione dello scrittore umorista, riassunte da Labriola, con concentrazione lessicale, nel giro di poche righe epistolari.12
La citazione sopra indicata è un ragionamento di Guaragnella, che ci
permette di capire come Labriola, con poche parole scritte in una lettera,
riesca a far buon uso della propria prassi dell’umorismo13. Essa, nella scrittura,
è rappresentata dall’uso che Labriola fa delle digressioni, del carattere
aperto della scrittura, della forma espositiva del dialogo, dello scambio
epistolare e del colloquio, a discapito di un libro che fissa e ferma il
pensiero libero e mobile.
Che i miei due saggi, appena rudimentali, di materialismo storico corrano in
Francia nella forma di un quasi libro, ciò è tutto merito vostro; per averli voi
messi e presentati al pubblico in tale assisa. Non fu mai nelle inclinazioni mie di
faire le livre, secondo il senso che voi francesi, ammiratori e seguaci sempre della
classicità letteraria, date a cotesta espressione.14
Questa seconda citazione nasconde tematiche umoristiche più profonde come il tema del “quasi libro” e del conseguente rifiuto del faire le
livre.
Il tema del “quasi libro” o “libro a venire” e della sua difficile redazione letteraria è un elemento costante nel pensiero labrioliano, ma anche un vero e proprio rito di passaggio per ogni scrittore. Esso è umoristicamente incentrato sulla figura del libro e della sua impossibile compiutezza ed evoca l’immagine, anch’essa umoristica, della piccolezza
dell’uomo, il quale, pur sapendo di non poter avere una conoscenza ed
un potere assoluto, si illude della sua grandezza e di quella dei suoi simili. In questa direzione è singolare ed importante notare come Labriola,
il quale viene annoverato nella schiera di quegli intellettuali di fine Ottocento che avvertono diffidenza per chi ha un atteggiamento negativo
di rinuncia e rifiuto verso tutto, risenta del Leopardi delle Operette morali, ed in particolare di testi Dialogo della Terra e della Luna e Il Copernico.
P. GUARAGNELLA, op. cit., p. 45.
La parola umorismo deriva da “humor”, parola latina che significa umidità, liquido. Essa ha origine nelle teorie della medicina ippocratica che attribuiscono agli
umori l’influenza sulla salute e l’indole degli uomini. L’essenza dell’umorismo
dunque, risiede proprio nel legame con l’emotività, con l’interiorità ereditaria ed
istintuale dell’uomo.
14 P. GUARAGNELLA, op. cit., p. 52.
12
13
La scrittura di Antonio Labriola
7
1.1.3. La scrittura durante la malattia
Durante il mese di agosto del 1902 Labriola subisce un intervento
chirurgico, poiché colpito da un tumore alla gola. Alcune testimonianze
pubbliche di questo periodo sono rappresentate dalle corrispondenze
del filosofo con i suoi fedelissimi amici, soprattutto con Croce.
Lo scambio epistolare in questo spazio di tempo è caratterizzato da
uno stile di scrittura molto freddo, che rientrando nella filosofia
dell’umorismo, non sembra dimostrare la gravità della malattia. In realtà
questa freddezza presto verrà sostituita da un sentimento di malinconia
e paura per la morte imminente.
Le informazioni presenti nelle prime lettere scritte durante la malattia
sono per lo più d’origine medica e riguardano il decorso post operatorio.
In queste missive Labriola vuole dimostrare di non avere cedimenti psicologici di fronte alla malattia, a cui sembra rimanere indifferente e insensibile; l’unica allusione che lascia trasparire delusione e dispiacere riguarda ciò che il cassinate definisce “organo pedagogico” e “strumento
socratico” di grande importanza ai fini dell’insegnamento: la voce che lo
sta per lasciare. In questa triste corrispondenza Guaragnella nota anche
un certo tono umoristico, soprattutto quando il filosofo parla di sé come
un «tracheotomizzato», e del suo corpo come una scomposizione. Si fa
strada insomma il motivo della vita guardata dal di fuori che con uno
sguardo malinconico è capace di smascherare ogni illusione: vive soltanto l’interno del corpo.
«Io continuo ad essere debole, apatico, indolente»15. Apatia e indolenza sono l’esito di una debolezza dovuta al cancro, ma fanno parte anche
del ritratto della malinconia. Con il passare del tempo e con il conseguente aggravamento della malattia, le lettere di Labriola sono interessate da un nuovo sentimento, la disperazione, che però non riesce a rimuovere dal linguaggio labrioliano il gusto sarcastico ed amaro del ridere.
Il 23 maggio 1903 Labriola scrive a Croce: «Son quasi muto!»16. Su
questa frase Guaragnella fa due osservazioni, la prima riguarda il punto
esclamativo, che sta ad indicare il disorientamento e la devastazione che
sta avvenendo nel corpo dell’illustre malato; la seconda invece riguarda
A. LABRIOLA, Epistolario 1896-1904, a cura di V. GERRATANA e A. SANTUCCI, Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 978; cfr. ora ID., Carteggio V (1899-194), a cura di S. MICCOLIS, Napoli, Bibliopolis, 2006, p. 346.
16 Ivi, p. 995.
15
8
Parte prima – Capitolo primo
l’intera frase che nasconde una sorta di presa di distanza, anche in virtù
dell’umorismo, dal suo destino tragico. Infatti, per una persona come
Labriola che ha fondato la propria esistenza sulla qualità della propria
voce, prima in età giovanile esercitandosi da solo per correggere ogni inflessione dialettale, poi nella maturità, con discorsi da professore e oratore, non poter più parlare diventa sicuramente motivo di disperazione.
Le corrispondenze di queste periodo rappresentano il testamento di
un Labriola scrittore che, essendo stato lasciato dalla voce, riesce ad esprimere ugualmente bene, come se stesse parlando, la sua filosofia e le
sue idee, non abbandonando quel linguaggio semplice, per il popolo,
che aveva caratterizzato tutto il suo impegno e la sua carriera.
1.2. Lo stile epistolare
Il primo disegno di una edizione critica dell’epistolario di Antonio Labriola
risale a circa un quarto di secolo fa, quando da non molto avevo deciso di dedicarmi allo studio delle sue idee e della sua vita, nell’ipotesi che potessero costituire un buon punto di vista per meglio comprendere la storia politica e culturale dell’Italia unita. All’epoca erano già stati pubblicati i nuclei più consistenti
delle sue lettere: quelle ad Engels e a Benedetto Croce, a Bertrando e a Silvio
Spaventa, ai Kautsky, a Bernstein e agli altri leaders della socialdemocrazia europea, ad Andrea Costa e a Filippo Turati. Mi parvero evidenti, ad una prima
considerazione, due cose: 1) che fosse intanto utile raccoglierle in una pubblicazione che obbedisse a identici criteri editoriali; 2) che una ricerca più sistematica
in archivi e biblioteche avrebbe potuto arricchire in modo consistente
l’epistolario del filosofo. Mi sarei presto accorto che la riedizione delle lettere
era resa auspicabile pure dalla necessità di correggere i non pochi errori di decifrazione e di datazione presenti in quelle già pubblicate17.
1.2.1. Il carteggio
Il carteggio è una raccolta di lettere di Labriola e a lui indirizzate ordinate secondo un rigoroso criterio cronologico da Stefano Miccolis.18
S. MICCOLIS, Il carteggio di Antonio Labriola, in P. VOZA e L. DURANTE, La prosa
del comunismo critico, Roma-Bari, Palomar, 2006, p. 65.
18 Nel carteggio non sono presenti le lettere che Labriola ha scritto a giornali e riviste che, avendo valenza politica, non appartengono alla sua sfera famigliare e di
amicizia; inoltre non sono presenti neanche le lettere che riguardano il Museo
d’istruzione. Questo tipo di lettere sono raccolte nel libro A. LABRIOLA, Scritti politici 1886-1904 a cura di VALENTINO GERRATANA, Bari, Laterza, 1970.
17
La scrittura di Antonio Labriola
9
Esso è composto da cinque volumi tutti editi Bibliopolis, ed è caratterizzato da una forma di rispetto verso l’integrità di tutti i testi presenti, a
partire dai contenuti per arrivare alla struttura del discorso, al linguaggio, alla morfologia e alla sintassi, per questo motivo non sono state volontariamente corrette le grafie inesatte e le particolarità lessicali in uso
in quel periodo.
Amatissima Rosalia! Questa notte ho dormito bene, e mi trovo adesso abbastanza libero da dolori. Oggi forse rimarrò in casa per l’intera giornata, per non
dar modo alla malattia di progredire. Mi pare dunque di aver adempiuto al mio
dovere nei tuoi riguardi! […] Addio mia Rosalia! Adesso devo chiudere, non
avendo energie sufficienti per continuare. Baciandoti da innamorato, e abbracciandoti teneramente al petto […]19.
Questa lettera è un esempio utile a comprendere che nel Carteggio
non mancano risvolti privati ed intimi, anche se prevale la dimensione
pubblica da intendere sia come corrispondenza privata di Labriola con
amici e personaggi illustri dell’epoca, che come riflessione generale di
argomenti di studio del filosofo.
Lo stile di scrittura che Labriola usa durante i suoi scambi epistolari è
«incisivo, asciutto, essenziale, del tutto privo di svolazzi retorici»20. Miccolis, inoltre, osserva che c’è una netta differenza tra le lettere giovanili,
in cui sono presenti incertezze lessicali e ineleganze sintattiche e quelle
degli anni successivi in cui è evidente una certa conquista di sicurezza e
maggiore padronanza linguistica.
Un percorso ravvisabile anche nella produzione saggistica, secondo Croce:
che giudicò Labriola «prosatore dottrinale alquanto impacciato e opaco nei suoi
volumi», ed invece – «dopo che il pensiero del Marx e l’idea della palingenesi
dell’umanità nel socialismo l’ebbero scosso e inebriato» – sempre più vicino ad
uno stile «impetuoso, saltuario e disgregato ma geniale»21.
A. LABRIOLA, Carteggio I 1861-1880, a cura di S. MICCOLIS, Napoli, Bibliopolis,
2000, p. 17.
20 S. MICCOLIS, op. cit., p. 74.
21 Ibidem.
19
10
Parte prima – Capitolo primo
1.2.2. Discorrendo di socialismo e di filosofia
Il terzo saggio sul materialismo storico è uno scambio epistolare tra
Labriola e Georges Sorel22, composto da dodici lettere in cui, per la prima volta, come già affermato precedentemente, viene proposto uno stile
nuovo, che vuole sostituire la vecchia e noiosa prosa con una scrittura
più semplice, nata in modo naturale da una conversazione amichevole
tra due persone che in questo modo cercano di teorizzare le proprie idee.
Inerente alle analisi condotte attorno questo testo, osserva Guaragnella, è uno studio condotto da Finelli riguardante il motivo per cui nel titolo dell’opera è presente il verbo al gerundio “discorrendo”. La presenza
di questo modo verbale starebbe ad indicare una durata dell’azione del
discorrere; una sorta di continuità nel tempo fatta di pause e riprese dialogiche che denota ulteriormente la preferenza di uno stile di conversazione, ma soprattutto il rifiuto verso un modello di libro che dice tutto.
Inoltre, lo stesso Finelli, alla luce della prefazione di Sorel inclusa nella
traduzione francese dei primi due Saggi sul materialismo storico, afferma
che «il tono dell’esposizione e dell’argomentazione del filosofo cassinate
è di ben più elevato respiro, ben più organicamente filosofico, del modo
di porre le questioni introdotto dall’intellettuale francese»23.
Le teorie labrioliane sull’uso della lettera si legano, come nota ancora
Guaragnella, a quelle di Algarotti, il quale sostiene che «certi pensieri
che hanno un certo che di grazia originale in lettere o in piccoli saggi la
perdono nel metodico apparato di un libro»24. Guaragnella però, in questo caso precisa che la lettera per Labriola non rappresenta un rimedio
per sottrarsi alle responsabilità del comunicare le proprie idee, ma gli
consente di allontanarsi dai «doveri di prosa serrata e legata, che sono
propri del discorrere e del dissertare a tesi»25; ne sussegue che la conversazione in forma epistolare conferma, nel filosofo, una ricerca di tipo socratico caratterizzata da un “principio dialogico”.
GEORGES SOREL (1847-1922), sociologo francese e critico del marxismo, entra in
contatto con Labriola perché i primi due saggi sul materialismo storico vengono
raccolti insieme in una traduzione francese da titolo Essais sur la conception materialiste de l’histoire, con prefazione dello stesso Sorel.
23 P. GUARAGNELLA, L’arte della prosa. In margine al Discorrendo di socialismo e di
filosofia di Antonio Labriola, in P. VOZA e L. DURANTE, op. cit., p. 20.
24 Ivi, p. 27.
25 Ivi, p. 30.
22
La scrittura di Antonio Labriola
11
Il Labriola, d’altra parte, che affida la propria verve maieutica, oltre che alla
sua caratteristica oralità, ad un imponente epistolario pubblico e privato e ad
una notevole quantità di conferenze, dibattiti, interventi giornalistici, prolusioni, prefazioni, interviste, conversazioni, dichiarazioni. E che, così facendo, finisce col richiamarsi ora implicitamente ora per esplicito al suo Socrate, sottolineando a chiare lettere la propria vocazione dialogica.26
Il dialogo quindi è alla base della maieutica. In questo senso il momento dell’apprendimento, dal punto di vista labrioliano, precede
l’insegnamento e nello stesso tempo lo segue: «È insieme causa ed effetto: la prova della indispensabilità tecnica del dialogo, come procedura costitutiva di qualsiasi apprendimento–insegnamento proprio ed altrui»27.
N. SICILIANI DE CUMIS, Il principio “dialogico” in Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i Settecento anni della “Sapienza”
(1303-2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904-2004), a cura di N. SICILIANI DE CUMIS, Roma, Aracne, 2005, p. 174.
27 Ivi, p. 176.
26
Capitolo secondo
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
2.1. Tra scienza filosofia e letteratura
In un numero speciale, intitolato Crosscurrents, del «The Times
Litterary Supplement», dedicato ai legami tra la letteratura ed altre
discipline, era stato chiesto a vari autori europei un breve testo. Tra
questi autori c’era Italo Calvino a cui «era stato chiesto di scrivere su
letteratura e filosofia, ma lo scrittore ha aggirato il tema facendo del suo
articolo una specie di poetica e di mappa delle sue predilezioni
fantastiche»28.
Calvino, in questo articolo, definisce il rapporto tra filosofia e
letteratura una lotta.
Lo sguardo dei filosofi attraversa l’opacità del mondo, ne cancella lo
spessore carnoso, riduce la varietà dell’esistente a una ragnatela di relazioni tra
concetti generali, fissa le regole per cui un numero finito di pedine muovendosi
su una scacchiera esaurisce un numero forse infinito di combinazioni. Arrivano
gli scrittori e agli astratti pezzi degli scacchi sostituiscono re regine cavalli torri
con un nome, una forma determinata, un insieme d’attributi reali o equini, al
posto della scacchiera distendono campi di battaglia polverosi o mari in
burrasca; […]. Ossia: chi scopre queste nuove regole del gioco sono nuovamente
i filosofi, tornati alla riscossa a dimostrare che l’operazione compiuta dagli
scrittori è riducibile a una operazione delle loro, […].
Così continua la disputa, ognuna delle due parti sicura d’aver compiuto un
passo avanti nella conquista della verità o almeno di una verità, e nello stesso
tempo consapevole che la materia prima delle proprie costruzioni è la stessa di
quella dell’altra: parole. […].
È una guerra nel quale i due continenti non devono mai perdersi di vista e
nemmeno intrattenere rapporti troppo ravvicinati. Lo scrittore che vuol fare
concorrenza al filosofo lanciando i suoi personaggi in dissertazioni profonde
finisce nel migliore dei casi per rendere abitabili, persuasive, quotidiane le
vertigini del pensiero, senza farci respirare l’aria delle grandi altezze.29
28 I. CALVINO, Filosofia e letteratura, in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, p. 150.
29 Ivi, pp. 150-151.
14
Parte prima – Capitolo secondo
Calvino vede nell’etica il terreno per un abbraccio tra filosofia e
letteratura. L’etica, secondo lo scrittore, ha costituito sempre un alibi che
ha evitato l’incontro diretto di queste due materie, sicure di trovarsi in
accordo nel compito comune di insegnamento delle virtù.
La letteratura filosofica del mondo può servire tanto a confermare quanto a
mettere in crisi quel che già sappiamo, indipendentemente dalla filosofia
ispiratrice. Tutto dipende da come lo scrittore penetra sotto la crosta delle cose:
[…].30
Nella lotta tra filosofia e letteratura Calvino introduce anche un terzo
elemento, la scienza31. Questa disciplina si trova di fronte dei problemi
simili a quelli della letteratura, come la costruzione di modelli del
mondo continuamente messi in crisi o la continua attenzione alle proprie
convenzioni linguistiche, in modo tale da non considerarle leggi
obbiettive: «una cultura all’altezza della situazione ci sarà soltanto
quando la problematica della scienza, quella della filosofia e quella della
letteratura si metteranno continuamente in crisi a vicenda»32.
Il divario tra cultura umanistica e scientifica, in realtà, è un problema
molto complesso e antico. Si possono addebitare alla cultura umanistica
l’opinabilità, l’arbitrio, una certa imprecisione, viceversa alla sfera
scientifica la difficoltà e una certa aridità. Il linguaggio scientifico,
dunque, deve essere rigorosamente compreso, mentre quello umanistico
può anche essere interpretato. La cultura scientifica però, con il suo
difficile “statuto retorico” e con il suo sguardo prettamente analitico,
stronca l’immaginazione e, col passare del tempo, è riuscita a imporre il
suo rigido modello, che esclude la possibilità per l’uomo di fantasticare
su un’idea, nelle più diverse forme di conoscenza, persino nel territorio
della psicologia, dei sentimenti e della filosofia.
Questo continuo dibattito si può concludere solo con l’unità tra le due
culture, unione che si può raggiungere solo con l’avvento di una nuova
retorica che deve abbracciare lo stile umanistico, rendendolo il più possibile vero e autorevole come quello scientifico che, a sua volta, deve
Ivi, p. 153.
Calvino considera il rapporto tra filosofia e letteratura come un «un matrimonio a letti separati»; con l’introduzione della scienza questo rapporto diventa un ménage à trois. Cfr. Ivi, p. 154.
32 Ibidem.
30
31
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
15
continuare ad esser empirico, sperimentale e oggettivo ma più semplice
e coinvolgente: l’idea, dunque, è quella di creare una retorica che faccia
coincidere il bello con il vero.
La scienza e la letteratura, infatti, presuppongono una libertà di lettura della realtà fondata sull’approvazione di alcuni presupposti sui quali
si costruisce un discorso sul mondo; entrambe usano degli stili espressivi personali, chiaramente riconoscibili e ricorrono alla metafora o alla
similitudine come strumento di divulgazione. Dunque, materie umanistiche e scientifiche ricorrono entrambe al procedimento analogico, in
cui la scienza trasforma l’ignoto in un fenomeno nuovo, mentre la letteratura guarda le cose note con occhio estraneo cogliendo in esse un aspetto ignoto.33
2.1.1. Galileo Galilei
Esponente illustre del divario tra scienza e letteratura è Galileo Galilei, che parlando soprattutto di retorica, ammette che essa con le sue metafore e belle parole oscuri il vero e la ragione a favore delle emozioni e
del giudizio personale.
Quello di Galileo è un periodo in cui la retorica viene attaccata dalla
logica e dalla filosofia della scienza che, negli anni della rivoluzione
scientifica, restringono il loro campo di studio alle sole verità indubitabili escludendo l’opinabile ed il culto della metafora.
[…] alla retorica si rimprovera di pervertire il vero con i trucchi di una persuasione emotiva, privando, […], la libertà di giudizio dei destinatari, trascinati
dalle passioni del cuore ad accettare gli enunciati più allettanti senza scavare la
fallacia occultata dalla bella forma, incapaci di emanciparsi dalla tutela
dell’autorità perché impediti nell’esercizio illuministicamente autonomo della
propria ragione. Siccome insegna a nascondere i suoi espedienti dietro una parvenza di naturalezza, la retorica coinvolge nella condanna l’oratore che se ne
giovi, costretto a dimenticare se stesso per compiacere il suo pubblico con un
messaggio illusorio e caduco nell’ornato esteriore, presto dimenticato dopo la
prima, favorevole impressione.34
Cfr. Tra scienza e letteratura in www.geomatica.como.polim.it [Data ultima consultazione 4/07/2012].
34 A. BATTISTINI – E. RAIMONDI, Le figure della retorica. Una storia letteraria italiana,
Torino, Piccola biblioteca Einaudi, 1990, p. 54.
33
16
Parte prima – Capitolo secondo
Galileo, però, pur ammettendo che la retorica ha effetti maligni sulla
ricerca del vero, non la critica interamente, ma ne mette in discussione
solo le sue parti più deboli. Infatti, il progetto dello scienziato è quello
di una lingua «denotativa e referenziale» che si basa su «termini puri e
propri della sola naturale eloquenza»; questo linguaggio deve riuscire
ad interpretare le materie più confuse e dubbie, come le discipline umanistiche che devono essere adoperate solo da chi sa argomentare bene.
Le argomentazioni, se usate con uno stile chiaro, pulito e preciso, non
hanno più il fine negativo di persuadere, ma sostengono le emozioni nate sotto l’impulso di una retorica rigorosa che si comincia ad avvicinare
alla verità. Neanche con Galilei, dunque, si assiste alla scomparsa della
retorica.
La lingua di Galileo doveva essere insomma capace di unire «al calore della polemica l’evidenza delle immagini, il procedimento logico e
l’evasione poetica, il passare dalla sentenza al motto di spirito,
l’incalzare l’avversario e l’abbandonarlo per inseguire una verità improvvisamente balenata»35. Né va trascurato il fatto, nella comprensione
della natura della prosa galileana, che, per esempio, il Dialogo sopra i
massimi sistemi era condotto più nei modi della conversazione di corte
che in quelli del trattato scientifico, e ciò non poteva non accentuare
l’importanza dell’aspetto retorico letterario. L’insieme di questi elementi
che fanno la singolarità e la varietà della scrittura galileana garantisce
dunque una possibilità, seppur nell’orizzonte scientifico, della bellezza e
della prosa, e mentre viene scavalcata l’opacità della fredda razionalità
matematica, è dalla verità, che da quest’ultima deriva, che viene la garanzia che questa bellezza non sia vuota, ma sia saldamente unita al
pensiero.
2.1.2. Galileo secondo Italo Calvino
Il 24 dicembre 1967 Anna Maria Ortese36 sul Corriere della Sera scrive
una lettera ad Italo Calvino.37
L. POLATO, Lo stile e il labirinto. Leopardi e Galileo, e altri saggi, Milano, Franco
Angeli, 1991, p. 17.
36 Anna Maria Ortese è tra i pochi scrittori italiani ad aver saputo praticare ad altissimo livello la professione di giornalista e d’inviato raccontando l’Italia del suo
tempo. La critica italiana internazionale la pone oggi tra le figure più grandi della
letteratura europea, al pari di Vitginia Woolf.
35
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
17
Caro Calvino,
non c'è volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di conquiste dello spazio,
ecc., io non provi tristezza e fastidio; e nella tristezza c'è del timore, nel fastidio
dell'irritazione, forse sgomento e ansia. Mi domando perché.38
La risposta di Italo Calvino è immediata e viene pubblicata sul medesimo giornale lo stesso giorno.
Cara Anna Maria Ortese,
guardare il cielo stellato per consolarci delle brutture terrestri? Ma non le sembra una soluzione troppo comoda? Se si volesse portare il suo discorso alle estreme conseguenze, si finirebbe per dire: continui pure la terra ad andare di
male in peggio, tanto io guardo il firmamento e ritrovo il mio equilibrio e la mia
pace interiore. Non le pare di "strumentalizzarlo" malamente, questo cielo?
Io non voglio però esortarla all'entusiasmo per le magnifiche sorti cosmonautiche dell'umanità: me ne guardo bene. Le notizie di nuovi lanci spaziali sono episodi d'una lotta di supremazia terrestre e come tali interessano solo la storia
dei modi sbagliati con cui ancora i governi e gli stati maggiori pretendono di
decidere le sorti del mondo passando sopra la testa dei popoli.
[...] Chi ama la luna davvero non si accontenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di
Leopardi, gran poeta lunare...39
Per Calvino, dunque, Galileo non è solo un grande scienziato e un
grande filosofo, ma anche un «grande» scrittore, anzi «il più grande
scrittore della letteratura italiana di ogni secolo».
Calvino fa delle osservazioni circa il linguaggio di Galileo che secondo il suo punto di vista non è usato come uno strumento neutro, bensì
Questo scambio epistolare tra Cortese e Calvino, specialmente per le affermazione di Calvino circa Galileo scrittore, ha suscitato all’epoca non poche polemiche.
Calvino, infatti, per spiegare le sue affermazioni ha risposto alle critiche nel saggio
Due interviste su scienza e letteratura contenuto nel libro Una pietra sopra.
38
www.scienzeinrete.it/book/export/html/384 [data ultima consultazione
11/11/2011].
39 Ibidem.
37
18
Parte prima – Capitolo secondo
«con una coscienza letteraria, con una continua partecipazione espressiva, immaginativa, addirittura lirica»40 e osserva, inoltre, che anche Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone ammira la prosa di Galilei per la precisione ed eleganza.
Se attentamente riguarderemo in che soglia consiste l’eleganza delle parole,
dei modi, delle forme, dello stile, vedremo quanto sovente anzi sempre ella
consista nell’indeterminato, […]; o in qualcosa d’irregolare, cioè nelle qualità
contrarie a quelle che principalmente si ricercano nello scrivere didascalico o
dottrinale. Non nego io già che questo non sia pur suscettibile di eleganza, massima in quelle parti dove l’eleganza non fa danno alla precisione, vale a dire
massimamente nei modi e nelle forme. E di questa associazione della precisione
coll’eleganza, è splendido esempio lo stile di Celso, e fra’ nostri, di Galileo.41
Secondo Calvino, attraverso l’utilizzo di un linguaggio preciso, esatto
ed elegante allo stesso tempo, come quello della scienza di Galileo in
particolare, la scrittura e la poesia diventano la forma di conoscenza
dell’inesplorabile, capaci di aiutare e compensare la scienza nella ricerca
vero: «l’esercizio letterario, quindi, si fa portatore di una istanza di ricerca, intromettendosi anche là dove uno non se lo aspetterebbe, e prendendosi responsabilmente la libertà di dire qualcos’altro, che forse la
scienza non può, per i suoi stessi statuti, permettersi di dichiarare»42. La
letteratura, dunque, fornisce allo scienziato un esempio di coraggio
nell’uso della creatività e dell’immaginazione per portare alle estreme
conseguenze un’ipotesi; mentre la scienza può procurare alla letteratura
parole ed immagini nuove rispetto a quelle codificate che è solita utilizzare, e la consapevolezza che i risultati raggiunti da essa
nell’interpretazione del mondo fanno parte di una serie infinita di approssimazioni.43
[…] anche Dante cercava attraverso l’opera letteraria di costruire un’immagine
dell’universo. Questa è una vocazione profonda della letteratura italiana che
passa da Dante a Galileo: l’opera letteraria come mappa del mondo e dello sci-
I. CALVINO, Due interviste su scienza e letteratura, in Una pietra sopra. Discorsi di
letteratura e società, cit., p. 186.
41 G. LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, Milano, Oscar Mondadori, 2008, vol. I, p. 477.
42 www.osservatorioacquaviva.it/view/sezioni/didattica/novità/pdf [Data ultima
consultazione 12/11/2011].
43 Cfr. I. CALVINO, op. cit., pp. 190-191.
40
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
19
bile, lo scrivere mosso da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria. È una vocazione che esiste in tutte le letterature
europee ma che nella letteratura italiana è stata direi dominante sotto le più varie forme, e ne fa una letteratura così diversa dalle altre, così difficile, ma anche
così insostituibile.44
2.1.3. Labriola come Galileo?
Labriola s’inserisce nel divario tra cultura umanistica e scientifica auspicando la nascita di una retorica nuova che sappia unire le due culture. L’eloquenza per Labriola dovrebbe creare un linguaggio non definito, pronto a cambiare le sue regole in base alla materia e al contesto che
gli si presenta davanti.
Innanzitutto è importante osservare che la retorica di Labriola risente
molto dell’esperienza degli autori che hanno affrontato questa tematica
in precedenza. Il filosofo è maggiormente influenzato dall’idea di un
linguaggio che sappia coinvolgere l’intero popolo, ma riprende come
modello peculiare di scrittura Galilei.
La interpretazione materialistica della storia è un problema troppo intricato.
E del resto quel ciarlatano di Loria ha ora talmente imbrogliato la matassa in
questo paese di arruffoni e di dotti analfabeti, che non si sa più come cavarne le
mani.45
Questa lettera, scritta da Labriola il 20 dicembre 1894 a Croce, è la
dimostrazione della sua ammirazione per Galilei. Infatti, espressioni
come «problema troppo intricato», «imbrogliare la matassa» e «dotti analfabeti» si possono far risalire ad alcune pagine del Saggiatore in cui lo
scienziato di Pisa, conversando con un «dotto analfabeta», afferma lo
schema di un linguaggio chiaro ed esatto contrapposto al «labirinto» o ai
«grovigli» nei quali sarebbe da riconoscersi il linguaggio dei «ciarlatani»46.
Labriola denuncia nella cultura umanistica il rischio sempre presente
del culto della retorica, quando questa assume il valore di una semplice
convenzione abusando di mezzi letterari tradizionali, che farebbero velo
Ivi, p.187.
A. LABRIOLA, Carteggio III 1890-1895, cit., pp. 495–496.
46 Cfr. P. GUARAGNELLA, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola
e Luigi Pirandello, cit., p. 18.
44
45
20
Parte prima – Capitolo secondo
alle cose reali, a loro volta condizionate da miti che andrebbero dimenticati nello stesso modo in cui sono stati rimossi dal linguaggio scientifico.
Il filosofo rifiuta le forme classicheggianti della scrittura, e la «convenienza» che è parte integrante della retorica, a favore di una nuova convenienza ed una nuova adeguatezza, che non lavorano più nell’ambito
della retorica classica, la quale essendo soggetta a continui cambiamenti
ha sostituito il continuo provare a scrivere con il pulito andamento del
raccontare, bensì in un laboratorio di scrittura scientifica che esclude gli
abiti di un’arte del dire tradizionale, per sostituirli con nuove creazioni
che verranno richieste ogni qual volta il caso e la conoscenza ne avranno
bisogno.
Per Labriola, la forma letteraria che, maggiormente, si fa portatrice di
ricerca e conoscenza della verità è la forma epistolare, in cui è presente
una spontanea eleganza espressiva che rovescia i valori di una retorica
ordinata e composta. La forma epistolare è un modo di sperimentare il
proprio stile umoristico, ed è caratterizzata dalla scelta di una scrittura
semplice che rimanda ad uno stile sperimentale alla continua ricerca del
nuovo e della verità, lontano da certezze codificate.
La conversazione presente nel terzo Saggio, sotto forma di scambio
epistolare, denuncia da una parte l’origine di una ricerca di tipo socratico, caratterizzata da dubbi, domande e risposte problematiche, ma
dall’altra fa apparire, erroneamente, il testo poco impegnativo e leggero,
a tal punto da poter essere definito “libercolo”, vale a dire libro di scarsa
importanza.
Nicola D’Antuono, parlando dell’influenza che la formazione linguisticoglottologica ha avuto nell’elaborazione del pensiero labriolano, ha evidenziato
come questi abbia sempre aspramente polemizzato con i letterati italiani, considerati “verbosi”, “retorici”, troppo spesso “disinteressati” nei confronti delle
sorti della cultura nazionale. Benché fosse un amante nonché un pregevole studioso della classicità, Labriola odiava gli specialismi disciplinari, e perseguiva
un modello di “cultura socratica” che nello stile della prosa si configurava come
“attualizzazione” del discorso come vitalizzazione della “dialogicità” del pensare che, in opposizione a quello che costituirà in seguito il modello crociano,
nel “discorrere” della prosa aperta interloquisce con l’uditore assente, non imponendo definizioni conclusive.47
Dietro la prosa labrioliana, quindi, si nasconde grande modernità, e la
prosa moderna non può più servirsi del modello composto della retorica
classica. Ma su cosa si basa la retorica labrioliana? Essa si basa sul dialo47
http://www.gramscitalia.it/bari2.htm [Data ultima consultazione 27/11/2011].
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
21
go, sul ritmo della conversazione spezzata e su una prosa appassionata,
espressione della volontà dell’uomo moderno che vuol comprendere tutto, rimanendo consapevole delle proprie possibilità.
Da questa analisi emerge un evidente punto d’incontro tra Galileo
Galilei e Labriola. Oltre ad essere due illustri filosofi, entrambi auspicano la nascita di un linguaggio preciso ed esatto, ma anche semplice ed
elegante che sappia unire la cultura scientifica a quella umanistica nella
direzione dell’interpretazione del mondo e della ricerca della verità: Labriola, dunque, come Galileo, può essere considerato sia filosofo che
scrittore.
Ormai molti anni fa, in un volume di storia della Letteratura italiana coordinata da Carlo Muscetta, uno studioso, concludendo un breve, ma denso profilo
critico di Antonio Labriola, rilevava con sicurezza interpretativa che nonostante
il filosofo cassinate dichiarasse «di scrivere senza artifici, in realtà dimostrava
un gusto saggistico, degno al tutto della sua ammirazione per Bruno, Galileo e
Diderot […]»: a tal punto che si sarebbe potuto sostenere che «l’attenzione di
Labriola alla sua scrittura era non meno continua dei suoi interessi ai problemi
di linguistica, di etimologia, di semantica (gli era familiare l’iniziatore di questa
scienza, Michel Bréal)». Per questo Nicola Badaloni – lo studioso a cui si alludeva – auspicava che, «sulla base di analisi particolareggiate», ci si impegnasse finalmente a dimostrare «l’alta qualità» di Labriola scrittore: una qualità «da far
meravigliare come mai anche nelle storie della letteratura, che pur danno a Croce e a Gramsci la collocazione che esigono, sia stata dimenticata una così viva
presenza». In verità quell’invito è stato ripreso in misura parziale lungo il corso
di questi anni, laddove sarebbe invece opportuno accogliere positivamente
l’esigenza di sviluppare uno studio sistematico intorno alla prosa di Labriola.48
P. GUARAGNELLA, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e
Luigi Pirandello, cit., pp. 9-11. In questa citazione si nomina anche Giordano Bruno,
al quale Labriola era molto interessato: «Non si può dire se abbia pensato a una vera
e propria biografia di un altro di quei testimoni della eroica sicurtà del vero di cui
aveva scritto in gioventù, Socrate e Spinoza. In ogni caso la caduta della tensione
attorno a Bruno dopo l’89 e la svolta politica di Labriola, dal radicalismo democratico al socialismo avvenuta nei mesi successivi, lo distolsero dall’impresa. Nelle lezioni di febbraio-marzo 1900 sul Destino storico di Bruno, riaffiora però il desiderio di
una più compiuta biografia di Bruno e resta il rimpianto per la lacuna principale
nelle fonti, le carte del processo romano della quale Labriola reclamava pubblicamente la pubblicazione. […], Labriola muove dall’esigenza di studiare Bruno nello
stretto rapporto tra biografia e dottrina (dobbiamo rifarci sulla vita perché vita e filosofia sono una cosa sola in lui), non per enfatizzare una volta di più la coerenza
48
22
Parte prima – Capitolo secondo
2.2. Alessandro Manzoni
Marzio Zanantoni, nel saggio Antonio Labariola e Alessandro Manzoni.
Alcune considerazioni sulla ricerca di un modello letterario nazionale49, analizza il legame che intercorre tra il filosofo di Cassino e il celebre autore dei
Promessi sposi. Egli inizia lo studio circa questo tema partendo da due
considerazioni sulla prosa di Labriola, la prima riguardante la sua scarsa
capacità comunicativa, la seconda invece inerente alla sua attenzione
sulla forma letteraria della sua scrittura.
Per quanto riguarda la scarsa comunicabilità della prosa labrioliana,
Zanantoni mette a confronto varie tesi che rappresentano giudizi dei
contemporanei del filosofo nonché suoi lettori più interessati; tra questi
si trovano Franz Ehrardt, Croce e Lev Davidovič Trotzkij50. Ehrardt definisce lo stile di Labriola «gonfio» e la sua espressione poco chiara; le critiche più dure provengono però da Croce51.
del suo “eroismo”, […]. D’altra parte egli non si nasconde la difficoltà di ricostruire
un autore che non è autore biografico come Tasso e Rousseau, di cui non esistono
lettere e restano poche testimonianze di prima mano, di cui non è dato scorgere la
formazione e la genesi (che anzi ci troviamo innanzi già bello e formato), […]». A.
LABRIOLA, Giordano Bruno. Scritti editi e inediti (1888-1900), a cura di S. MICCOLIS e A.
SAVORELLI, Bibliopolis, Napoli, 2008.
49 Il saggio in questione si trova in P. VOZA – L. DURANTE, op. cit., pp. 321–328.
50 LEV DAVIDOVIČ TROTZKIJ (1879 -1940), uomo politico russo tra i maggiori esponenti del bolscevismo. Condusse una tenace lotta contro lo stalinismo, che accusava
di aver tradito il proletariato creando uno stato burocratico, antidemocratico e nazionalista.
51 A questo proposito è importante ricordare che il rapporto tra Croce e Labriola
non è stato sempre idilliaco. Infatti nel 1897 Croce pubblica una riflessione contro le
ricadute dogmatiche del socialismo teorico, rilevando che «la continuazione
dell’opera politica di Marx è assai più difficile della continuazione della sua opera
scientifica», inoltre osserva come una simile questione è sollevata da tutti i più avveduti marxisti tranne Labriola, del quale ammonisce l’ultimo libro. Cfr. P. GUARAGNELLA, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e Luigi Pirandello,
cit. p. 81. Labriola risponde alla critica dell’amico in modo molto polemico, accusandolo di essere un «indifferente alle lotte della vita», un «epicureo contemplante»
e un «letterato» ossia una persona che sa inventare idee, ma che non può fare scienza, poiché sarebbe pedante e avrebbe continue difficoltà nello spirito di conseguenza. «[…] Labriola imputava a Croce di non tener conto delle ripercussioni dei suoi
interventi in un campo pratico al quale rimaneva per costituzione estraneo e indifferente. “Tu hai l’aria di un epicureo che medita sulle forme del pensiero ignaro della
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
23
Per Croce, Labriola è «un ingegno poco schematico e bisogna leggerlo tra le
righe»; e ancora: «Non è didattico, non ordinato, non ha la tattica della discussione minuta ed analitica»; ed infine ecco la cifra stilistica che secondo Croce,
contraddistingue il cassinate: egli «…disprezzando poi come scolasticismo ogni
lavoro di elaborazione formale, viene di fatto ad usare concetti imprecisi che
sono piuttosto impressioni d’insieme».52
È ulteriormente importante la testimonianza di Trotzkij che, nonostante fosse rimasto entusiasmato dalla lettura dei Saggi, definisce la
prosa labrioliana «dilettantismo brillante». A favore dello stile di Labriola, Zanantoni riporta il giudizio di un importante studioso come Nicola
Badaloni, che riconosce nel filosofo un rilevante gusto saggistico, una
ricca retorica e ritiene di doverlo inserire tra gli scrittori di alta qualità.
La seconda questione su cui Zanantoni pone il suo accento riguarda il
grado di attenzione che Labriola posa sulla sua scrittura. A questo proposito l’autore del saggio cita frammenti di quattro lettere, le prime due
scritte da Labriola, le altre da Manzoni.
Dalle lettere di Labriola.
Non mi risolvo a mettere in opuscolo la “genesi del manifesto comunista”
che ho tutta chiara nella testa… Non è pigrizia… non è difetto di mezzi letterari… non è incertezza di concezione… Né crederà che mi manchi il coraggio morale… La vera difficoltà sta nella mancanza di precedenti letterari nazionali a
cui riferirsi, siano pure erronei o sbagliati – e nella mancanza di condizioni na-
vita” gli aveva detto in una lettera del febbraio 1898, un “epicureo contemplante” al
cui pacifico ozio, la realtà del lavoro si presenta come cosa esterna. Alla risposta risentita di Croce, Labriola replicava assegnandogli i confini di “studioso per diletto”
e “letterato”: “Io persevero nella mia antica opinione di distinguere i filosofi e scienziati dai letterati: c’è una profonda differenza dal considerare la scienza e la filosofia […] come missione, […], al considerarla come semplice passatempo di intellettualismo”». Cfr. M. MAGGI, Etica, politica, ideologia: modelli filosofici nell’Italia del Novecento, in Filosofia e politica. Studi in onore di Girolamo Cotroneo, a cura di G. FURNARI
LUVARA, s.l., Rubettino, 2005, pp. 223-224. Il rapporto di Labriola con Croce, pur
continuando fino alla morte del cassinate, da questo momento in poi diventa più
freddo, poiché basato su forti incomprensioni mai risolte, probabilmente fondate
non solo sulla critica di Croce, ma anche sull’antitesi labrioliana circa la figura del
filosofo e quella del letterato.
52 M. ZANANTONI, Antonio Labriola e Alessandro Manzoni. Alcune considerazioni sulla
ricerca di un modello letterario nazionale, in P. VOZA – L. DURANTE, op. cit. p. 323.
24
Parte prima – Capitolo secondo
zionali precedenti… In altri termini nella mancanza di qualunque punto di riferimento.53
Io mi trovo, per scrivere gli altri opuscoli, in una curiosa difficoltà. La difficoltà del troppo… Io non voglio convertire tutto il materiale storico come mezzo di esemplificazione di una dottrina… per fare questa inversione e conversione sotto un angolo visuale scelto a disegno io devo fare un lavoro tutto nuovo.54
Le altre citazioni da Manzoni.
Oltre alle difficoltà che dipendono da me, l’argomento ne presenta molte, e
tutte… mi prendono un tempo infinito… Ma che colpa ho se mi sembra che il
mio modo di affrontare la questione sia nuovo?55
Quanto alle difficoltà che presenta la lingua italiana nel trattare questi soggetti sono… reali e grandi… Questo fatto, questo triste fatto è… la povertà della
lingua italiana… una lingua che è stata corrotta, sfregiata proprio dagli scrittori
che hanno trattato le materie più importanti negli ultimi tempi, cosicché non vi
sarebbe per le buone idee un modello generale di espressione riconoscibile in
ciò che è stato fatto fin’ora in Italia. Manca completamente a questo povero
scrittore il sentimento… di comunione con il lettore, la certezza di maneggiare
uno strumento egualmente conosciuto da entrambi.56
Zanantoni scorge una straordinaria somiglianza tra le lettere dei due
autori; entrambi usano gli stessi termini, hanno la stessa consapevolezza
del nuovo, lo stesso identico problema, vale a dire quello della creazione
di una lingua modello, che li porta ad avere la medesima idea per un
progetto relativo allo stesso genere letterario: il romanzo storico per
Manzoni e la storia narrata materialisticamente per Labriola. Manzoni
però, nota Zanantoni, dopo molte fatiche riesce a realizzare il suo progetto scrivendo I promessi sposi, mentre Labriola a causa della sua malattia, non riesce a mantenere la sua promessa di scrivere un libro di storia
che chiarisse il metodo d’insegnamento della stessa materia.
Zanantoni conclude il suo saggio affermando che Labriola, nonostante non fosse riuscito a portare a termine i suoi progetti, è stato uno dei
pochi filosofi del movimento socialista italiano a sentire, come Manzoni,
Cit. da Ivi, p.325.
Ibidem.
55 Ibidem.
56 Cit. da Ivi, p. 326.
53
54
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
25
il problema di una redazione letteraria nuova da applicare ad avvenimenti storici specifici e concreti.
2.3. Giacomo Leopardi
E poi, ancora, ricordo mio padre che nelle lezioni di magistero legale commenta Leopardi, con cadenza e ritmo un po’ moventi come si usava dai nostri
vecchi, ma con spirito giovanile e modernissimo. Egli leggeva e commentava
Leopardi, Egli l’antisentimentale per eccellenza, che non conosceva debolezze
lagrime e rimpianti.57
Queste poche parole, prese da una lettera di Teresa Labriola intitolata Mio padre, sono l’unica testimonianza delle lezioni universitarie che
Labriola teneva su Giacomo Leopardi. Purtroppo non sono ancora stati
trovati documenti che possano raccontare il contenuto di queste lezioni,
ma tra il poeta di Recanati e il Cassinate, nonostante la lontananza temporale, si possono ugualmente rilevare molte analogie nonché sostanziali differenze.
Ho passato dei giorni di cattivo umore ultraleopardiano. […] Non conosco
Recanati per pigliare dagli uomini e dalle cose come l’ispirazione a scrivere. Vi
avrei buttato in carta una delle solite generalità su gli operai; che io amo davvero, e per ciò non voglio fare oggetto di retorica. Se avessi avuto vena e voglia di
scrivere avrei messo assieme una pagina su Leopardi per contrapporre lui pessimista, lui ammiratore dell’antichità, lui persuaso che il mondo da secoli degrada, al nostro ideale di emancipazione progressiva e trionfale dell’intero genere umano.58
Dalla lettera citata sopra emergono due basilari differenze. La prima
riguarda la diatriba tra pessimismo e ottimismo. Quest’antitesi è presente in Italia forse più che altrove, soprattutto per le vicende storico politiche del paese, e trova dalla parte dell’ottimismo coloro che fanno della
filosofia la loro professione, ad esempio Vico, Croce e in qualche modo
Labriola, mentre dalla parte del pessimismo la poesia italiana più alta
Teresa ed Antonio Labriola, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i Settecento anni della “Sapienza” (1303-2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904-2004), cit, uno dei pannelli della mostra.
58 A. LABRIOLA, Carteggio II (1881-1889), a cura di S. MICCOLIS, Napoli, Bibliopolis,
2003, pp. 496–497.
57
26
Parte prima – Capitolo secondo
che, da Petrarca a Leopardi, professa più o meno dichiaratamente il pessimismo esistenziale59.
La seconda differenza che emerge dalla lettera riguarda una divergenza attitudinale che intercorre tra le due personalità. Infatti, se Labriola è un grande oratore, ma non si ritiene capace di scrivere bene, Leopardi è esattamente l’opposto, uno scrittore di grande valore che forse a
causa del suo aspetto fisico poco gradevole e del suo carattere schivo
non riesce ad esporre una dialettica tale da eguagliare la sua scrittura.
Esempio di questo disagio è lo Zibaldone di pensieri, opera cominciata dal
poeta nel 1817 e terminata nel 1832, in cui sono raccolti pensieri e frammenti poetici, ma soprattutto esperienze e ricordi di un Leopardi segreto
e disperato.
2.3.1. La concezione pedagogica
All’inizio del secolo scorso i teorizzatori delle dottrine pedagogiche,
partendo dall’assunto che la conoscenza degli esseri umani comporta
un’analisi su vari livelli pluridimensionali, cominciano ad interrogarsi
sulla possibilità di una pedagogia scientifico-sperimentale. Labriola può
definirsi proprio un anticipatore di queste teorie che si muovono verso
la creazione di una pedagogia come scienza.
Il filosofo concepisce l’insegnamento come un insieme di variabili sociali ed individuali utili ad un’educazione che sia capace di aprire lo spirito degli educandi verso nuovi interessi. Nucleo di questa pedagogia è
il rapporto tra teoria e pratica, in cui il filosofo attribuisce maggior importanza all’aspetto pratico, ritenendo che per acquisire buona padronanza delle regole e dei teoremi insegnati non bisogna far altro che applicarli, in quanto l’applicazione è uno dei migliori metodi d’apprendimento.
La figura del maestro riveste un ruolo essenziale nell’ideologia pedagogica di Labriola. Il maestro deve essere in grado d’insegnare mediante
una didattica basata su tecniche mirate alla maturazione dello spirito,
deve saper trasformare l’interesse dell’educando in abitudine attraverso
un rapporto d’empatia capace di rendere l’allievo ed il maestro uno spirito unico.
Leopardi matura la sua concezione pedagogica in un ambiente in cui
tutti coloro che sentono il bisogno di dare vita ad una società migliore
pensano solo a modificare ordinamenti politici e sociali ed a instaurare
59 Cfr. G. PRESTIPINO, Tre voci nel deserto. Vico, Leopardi, Gramsci per una nuova logica storica, Roma, Carocci editore, 2006, p. 82.
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
27
nuovi rapporti economici, senza mai pensare a come preparare le generazioni future a vivere in quel determinato ambiente. In questa situazione, e forse a causa dell’educazione che ha ricevuto, Leopardi sviluppa
una particolare sensibilità ed un interesse costante verso i problemi educativi. Egli critica aspramente i vecchi metodi pedagogici, consistenti nel
tenere l’“aio” come custode dei figli e afferma che «l’educazione che ricevono, quelli che sono educati, è un formale tradimento ordinato dalla
forza contro la debolezza , dalla vecchiezza, contro la gioventù. I vecchi
vengono a dire ai giovani: fuggite i piaceri della vostra età, perché sono
contrari ai buoni costumi», in questo modo i giovani vivono male
l’educazione, diventano ribelli nei confronti degli educatori che restano
inevitabilmente distanti dai loro allievi, «sicché tutto quello che può ragionevolmente sperare e cercare il buon educatore, è d’istallare né suoi
figli tanta dose di virtù».
Il poeta di Recanati attribuisce al sapere l’origine dell’infelicità
dell’uomo, poiché esso è nemico della felicità e la ragione è nemica della
natura; aggiunge poi che il giovane che non è soggetto alle fatiche
dell’educazione possiede grande intelligenza ed è sempre pronto
all’azione adoperando tutte le forze a lui disponibili.
Rimanendo in linea con il suo pensiero Leopardi dichiara che c’è molto da imparare dall’idea di educazione delle civiltà antiche greche e romene, le quali hanno formato personalità virtuose e coraggiose; infatti,
nell’ideologia educative del poeta, come in quella labrioliana, si possono
notare dei richiami alla maieutica ed al principio dialogico di Socrate,
quale metodo educativo efficace.
2.3.2. Un analogo messaggio?
Fino agli inizi del secolo scorso molti critici continuavano ad affermare che il pessimismo leopardiano era dato esclusivamente dal suo aspetto fisico, soltanto Walter Binni dà una nuova visione di Leopardi. Egli,
infatti, conferma che la poesia leopardiana costituisce una dimostrazione
di pessimismo, ma non dato dal suo aspetto fisico, bensì dalla riflessione
che il poeta di Recanati ha sul destino dell’uomo. Binni è stato il primo
ad accorgersi che l’ultima fase poetica di Leopardi non è decadente, ma
chiara e aggressiva. Il famoso poeta in questa fase cambia il modo di fare
poesia con l’intento di far capire maglio le sue idee, diventa un Leopardi
“progressivo” che critica l’ottimismo della borghesia e tutte le aspirazioni di grandezza dell’uomo. Egli con la Ginestra, suo ultimo canto, lancia
un messaggio in cui è presente una sorta di ottimismo nel pessimismo:
28
Parte prima – Capitolo secondo
l’individuo deve trovare il coraggio e la speranza di sopravvivere unendo le proprie forze con quelle degli altri uomini contro la natura.
Leopardi scrive la Ginestra a Napoli, mentre vede l’«impietrata lava»
del Vesuvio, che è simbolo della crudele potenza e indifferenza della natura, distruggere il paesaggio circostante. L’unico fiore che riesce a crescere in questo scenario è la ginestra, o fiore del deserto, che è metafora
della «nobile natura che l’uomo può raggiungere». Secondo il poeta,
quindi, gli individui hanno il compito di opporsi alla forza della natura
unendosi in una «social catena», ma rimanendo sempre consapevoli della possibile distruzione. L’uomo, dunque, deve agire come l’umile ginestra, la quale attende alle pendici del vulcano la catastrofe imminente,
pronta a piegarsi sotto la lava, ma senza mai arrendersi con viltà di fronte al destino.
Questa sorta di testamento ideale che Leopardi lascia nella Ginestra in
un certo senso può assomigliare alla teoria politica labrioliana della lotta
di classe. Secondo Labriola la lotta di classe è necessaria, ma deve rimanere per un primo periodo imprescindibilmente legata alla produzione
borghese; la rivoluzione del comunismo fa parte, quindi, di un futuro
lontano, che fa del presente una gara economica fra le nazioni, per la
conquista di strumenti indispensabili per lo sviluppo.60A questo proposito è stato trovato un piccolo articolo che potrebbe dimostrare la somiglianza tra la teoria politica labrioliana e il testamento di Leopardi lasciato nella sua ultima opera. Nell’articolo si fa riferimento a una mozione di
Labriola che voleva far estendere la propaganda socialista e lo spirito di
resistenza a tutti gli operai italiani e ad un’esperienza che Leopardi riteneva inutile.
Secondo questa teoria, non potevano essere i proletari del periodo ad annientare la borghesia, bensì i loro nipoti e pronipoti, che avrebbero raggiunto il loro scopo, ossia quello di sconfiggere la borghesia, soltanto grazie ad un’educazione adeguata.
60
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
29
Figura 1 Scansione dell’articolo che si trova nella Biblioteca di Macerata, in una raccolta di articoli e appunti su Antonio Labriola messi insieme da Giulio Natali.
Il congresso di Zurigo, pochi giorni innanzi che i fatti di Aigues-Mortes venissero a funestarci, aveva votata una proposta del professore Labriola, intesa
ad estendere la propaganda socialista e segnatamente lo spirito di resistenza fra
30
Parte prima – Capitolo secondo
gli operai italiani, per modo che costoro non abbiano più, andando all’estero, a
fare concorrenze perniciose e a seminar liti, rinvilendo il salario.
Io non saprei, come italiano, approvare uno dei considerando della risoluzione votata dal congresso di Zurigo, e precisamente là dove dice che i delegati italiani sono preoccupati, non della sorte dei loro connazionali, ma degli impedimenti che quella concorrenza crea all’azione dei socialisti nei paesi stranieri. No
io non sono animato da uno spirito abbastanza ardente di amore universale o di
fratellanza internazionale (con morti e feriti) per dividere queste disinteressate
preoccupazioni.
Ma è innegabile che idealmente la mozione del congresso di Zurigo ha del
buono, e v’era nel pensiero che la ispirava qualche cosa di profetico, o almeno
un presentimento dettato da quella esperienza che Giacomo Leopardi trovava, a
torto, in ogni caso inutile.
Però io sono d’avviso che meglio ancora della propaganda socialista, a non
far accoppare gli operai italiani in Francia, giovi… il non mandarceli.61
L’articolo benché non riconducibile ad un autore preciso, tuttavia
viene qui ripreso come dimostrazione dell’interesse di Labriola per Leopardi. Entrando nel merito, l’autore afferma, dunque, che la mozione di
Labriola approvata dal Congresso di Zurigo era ispirata da
«quell’esperienza che Leopardi trovava, a torto, in ogni caso inutile»;
l’esperienza leopardiana in questione, potrebbe essere quella della «social catena», inutile poiché, per lo stesso poeta, le forze della natura sono
sempre più forti dell’uomo. Se, nel pezzo, si facesse davvero riferimento
alla «social catena», allora questo preciso pensiero di Labriola potrebbe
essere stato ispirato dalla più matura teoria di Leopardi.
Per facilitare la lettura dell’articolo si è deciso di trascriverlo. Si è ritenuto altresì utile descrivere brevemente i fatti di Aigues Mortes di cui si fa riferimento. Gli
accadimenti ad Aigues Mortes nell’agosto 1893 sono stati il coronamento di un periodo di tensione, tra lavoratori italiani e francesi, destinato a sfociare in un bagno di
sangue. L’oggetto del contendere è stato il sistema del cottimo fra gli operai addetti
ai lavori di levage del sale, sembrava, infatti, che i francesi lavorassero meno degli
italiani. Per questo motivo sono scoppiati vari litigi fra gli operai, nel quale hanno
perso la vita dieci italiani e sono stati feriti 7 francesi. Antonio Labriola in un manifesto redatto la mattina del 20 agosto 1893 a nome del circolo socialista di Napoli
scrive: “Al di sopra e d’intorno ai barbaramente trucidati e ai barbari trucidatori di
Aigues Mortes, non sta soltanto di qua l’Italia, di là la Francia, come due sistemi di
politica. Al di sopra dei trucidati e dei trucidatori, come al di sopra di Francia e
d’Italia insieme, sta il sistema capitalistico tutto intero”. Cfr. www.biellesitessitoridiunità.it
[Data ultima consultazione 04/07/2012].
61
Fonti letterarie e suggestioni culturali di Labriola
31
Il legame politico che intercorre tra Leopardi, che auspica una rinascita del genere umano che fraternamente si unisce in libere istituzioni per
fronteggiare le insidie della natura, e la proposta labrioliana della lotta
di classe è in alcuni casi anche divergente. L’attenzione che Leopardi
pone verso i fenomeni politici porta il poeta a considerare la “civiltà media” come punto d’equilibrio della società umana. Questa civiltà si esprime meglio nelle libere repubbliche antiche, dove regna una concezione di vita basata sull’uguaglianza, senza egoismo in cui i propri interessi si armonizzano con quelli della comunità.62 Come si può notare fino a questo punto le due concezioni politiche sembrano convergere ma è
proprio adesso che si allontanano bruscamente. Infatti, se da una parte si
trova Labriola che, pienamente fiducioso della rivoluzione comunista, ci
annuncia la vittoria sulla borghesia e la conseguente nascita di una società nuova, egalitaria e libera, dall’altra c’è Leopardi che, insistentemente rivolto verso l’ideale del mondo classico e non riuscendo a distinguere
la comunità antica da quella moderna, crede impossibile il raggiungimento di una società simile a quella delle repubbliche antiche, affermando inoltre che la libertà e l’uguaglianza dei cittadini si fondano inevitabilmente sull’esistenza della schiavitù.
Il confronto tra Leopardi e Labriola termina con l’ipotesi di
un’analogia legata alla critica. Entrambi gli autori, infatti, sono stati definiti contraddittori in merito alle loro mutazioni di pensiero; in realtà il
contrasto che esiste nelle loro ideologie non è una contraddizione, ma un
diverso modo di concepire la realtà con il passare del tempo. Il pensiero
di queste due personalità può essere visto come un pensiero in continuo
movimento, irrequieto e disciplinato allo stesso tempo, che si basa sulla
riproduzione e lo sviluppo delle sue tematiche fondamentali.
62
Cfr. G. LEOPARDI, op. cit.,vol. 2, p. 931-932.
Capitolo terzo
Labriola: influenze sui suoi studenti
3.1. Giovanni Zannoni
Sebbene della vita di Giovanni Zannoni si sappia poco, ciò nonostante egli, indirettamente, rappresenta una dimostrazione dell’interesse di
Labriola per la letteratura, considerata uno dei mezzi per arrivare alla
filosofia.
Zannoni è uno studente di Labriola presso l’università di Roma “La
Sapienza”, dove consegue la laurea in lettere nel 1887. È docente nei licei
romani e collaboratore alla Cultura di Bonghi. Dal 1895 è libero docente
di Storia letteraria del Rinascimento nell’ateneo romano, passando di
ruolo nel 1900 per la cattedra di Lessicografia italiana.
La Relazione della commissione per l’esame del titolo del Prof. Giovanni
Zannoni alla cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana è un documento, formato da due allegati uno dei quali firmato da Labriola, della
commissione che aveva il compito di stabilire se Giovanni Zannoni da
assistente della cattedra di Letteratura italiana poteva assumere
l’incarico di professore straordinario per la cattedra di Grammatica e
Lessicografia italiana, divenuta poi semplicemente di Stilistica italiana.
In questo documento Labriola, elogia il lavoro dello Zannoni come assistente e ritiene giusto e utile l’insegnamento della grammatica e lessicografia come esercizi per gli studenti a scrivere bene, criticando i suoi colleghi che ritenevano questa materia e le sue applicazioni «poco convenienti alla gravità ed alla altezza dell’insegnamento universitario, e ripugnando i titoli letterari e la capacità specifica del richiedente»63.
63 Allegato B. della Relazione della Commissione per l’esame dei titoli pel Prof. Giovanni
Zannoni alla cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana.
34
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
35
Figura 2 Scansioni del verbale presente nell'Archivio studenti dell'Università
di Roma "La Sapienza", che dimostra la frequenza di Zannoni nell'ateneo romano e la frequenza al corso di Pedagogia di Labriola.
36
Parte prima – Capitolo quarto
3.1.1. Relazione della commissione per l’esame del titolo del
Prof. Giovanni Zannoni alla cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana 64
Allegato A
Il compito della Commissione designato dalla Facoltà è stato molto
agonale. Libero docente per la Letteratura del Rinascimento, da quattro
anni, il prof. Zannoni, da due anni designato come professore assistente
alla cattedra di Letteratura italiana, nel passato anno scolastico e nel presente, per le esercitazioni dei giovani nello stile italiano, ha disimpegnato il suo ufficio con molta lode e con singolare profitto dei giovani. Nel
tempo stesso che egli faceva lezioni di storia letteraria sul periodo del rinascimento, nel quale è noto il suo singolare valore, attese con amore alla dichiarazione di testi con osservazioni sopra lo stile molto profittevoli
per gli studenti del primo anno di letture ai quali il suo insegnamento
era particolarmente rivolto. Favorito poi di una larga e minuta erudizione bibliografica, in ispecie nella letteratura del quattrocento, egli fu di
validissimo aiuto ad alcuni giovani che avevano scelto come soggetto di
tesi argomenti che si rifacevano a quel tempo, ed in particolar modo al
giovane Adelchi De Fabio che conseguì la lode per una tesi su Leonardo
Bruni e meritò pure il Premio della Fondazione Corsi. Per questi meriti
didattici, la Commissione si è trovata unanime nel riconoscere al Prof.
Zannoni i titoli sufficienti per il conseguimento della cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana. Solamente ricordando che nell’accademia
Scientifica Letteraria di Milano esiste presso la cattedra di Letteratura italiana quella di Stilistica, in conformità del voto già fatto in questa Facoltà quando il Prof. Cugnoni ricopriva la cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana e latina, perché egli rivolgesse particolarmente il suo
insegnamento ad esercitare i giovani a bene scrivere l’italiana, la Commissione propone che la cattedra da affidarsi, come a Straordinario al
Professore Zannoni, venga ad intitolarsi di Stilistica Italiana.
Roma 24 Gennaio 1900.
Giuseppe Cugnoni Presidente
Angelo De Gubernatis relatore
Ernesto Monaci
64 Trascrizione dei due allegati della Relazione della commissione per l’esame del titolo del Prof. Giovanni Zannoni alla cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana64.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
37
38
Parte prima – Capitolo quarto
Figura 3 Scansione dell'allegato A della Relazione.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
39
Allegato B
Del Professor Zannoni la Facoltà ebbe occasione di occuparsi, se non
erro tre volte. I verbali possono far fede di ciò che quelle volte fu detto e
fu visibilmente che lo Zannoni esprimeva di assumere l’incarico della
Stilistica, e il pensiero manifestato dal Prof. De Gubernatis, che al tale insegnamento si desse importanza come ad una preparazione e ad un sussidio degli studi più generali e più complessi della Letteratura, alcuni
dei miei colleghi apposero la più viva resistenza, e escludendo la oppurtunità di quegli esercizi sussidiari, e dichiarando quegli esercizi stessi
come poco convenienti alla gravità ed alla altezza dell’insegnamento universitario, e ripugnando i titoli letterari e la capacità specifica del richiedente. Ora codesta opposizione non c’è più e gli stessi opponenti
d’allora all’assistentato si dichiarano favorevolissimi all’istituzione
dell’insegnamento stabile della Stilistica italiana.
A me non tocca, né l’ingrata parte di confessare che io abbia cambiato
d’opinione, né l’ufficio di discutere proprio e precisamente in merito la
questione della importanza della Stilistica. Come allora dicevo; se al
Prof. De Gubernatis (si trattava invero di creare un assistente alla sua
cattedra!) ciò conviene io non ho né ragione né ruolo di oppormi; ora dico: se alla maggioranza dei professori di lettere e filosofia piace di rendere stabile l’insegnamento della Stilistica, facciano pure, che io, come
professore di filosofia, non ho niente da obbiettare.
Ma come allora dicevo 1) non doversi aggravare l’obbligo della frequenza da parte degli studenti, 2) che quel corso di stilistica dovesse considerarsi come costituente uno dei tre anni della letteratura italiana, e non
come un quarto anno aggiunto, 3) che quel corso non potesse costituire
materia di un esame specifico:- ora ripeto le stesse cose ed aggiungo
che, non potendo la Facoltà non potendo considerare gli studenti come
dei sudditi tassabili ad arbitrio, conviene, che, a misura che gli insegnamenti crescano, si trovino i necessari temperamenti , perché, di fronte alla obbligatorietà tassativa, nasca il concetto delle obbligatorietà relative e
subordinate. E come voglio sperare che la nostra Facoltà degli insegnamenti debba produrre pure degli storici, dei filologi, dei glottologi, dei
filosofi, se mai l’Italia dovrà scientificamente progredire, così spesso anche si vorrà riconoscere, che l’insegnamento della Stilistica possa essere
tassativamente obbligatorio per i soli frequentatori di alcune delle sezioni della Scuola di Magistero. Questa opinione fu altra volta sostenuta
d’alcuni dei colleghi che allora si opposero alla nomina dello Zannoni.
Vengo ora a lui. Come non fui contrario l’altra volta, non gli sarò contra-
40
Parte prima – Capitolo quarto
rio ora. Ma confesso che, non trovo alcuna ragione, perché lo Zannoni
passi dalla posizione di assistente, che parve quasi inverosimile tre anni
fa a parecchi colleghi, a quella di straordinario. Se lo Zannoni avesse
chiesto l’incarico io glielo avrei accordato a piene mani. Ma posta, come
è posta dal Ministero, la questione; cioè dire, se lo Zannoni possa essere
straordinario di stilistica, io dichiaro che ciò esorbita dalla competenza
della Facoltà, e che tale incompetenza non è sanata dal parere di una
commissione scelta nel seno della Facoltà stessa. Il Ministro, per
l’interpretazione che dà alla legge (la quale interpretazione è a mio credere giusta e fondata) ha il potere di nominare degli straordinari. Faccia
dunque se crede. Ma io come membro della Facoltà, che ha il solo potere
di proporre degli incarichi, memore del modo come lo Zannoni entrò
nell’insegnamento universitario, e conscio del fatto che in faccende così
delicate non c’è accorgimento né prudenza che bastino, intuendo di
sfuggire alla costrizione della scelta fra il si ed il no, ed al ripiego del voto segreto per palla nera o bianca, presento un voto motivato e personale
così concepito: “Consiglio al Ministro d’istituire l’insegnamento della
Stilistica con la cautela e restrizione sopra indicata, e gli consiglio di offrirne l’incarico allo Zannoni, che ha già dato buona prova di se e che
decreto ne avrà una maggiore e migliore nell’avvenire.
Roma, 24 Gennaio 1900
Antonio Labriola
Per copia conforme
Il Direttore della segreteria
F. Darettis
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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Parte prima – Capitolo quarto
Figura 4 Scansione dell'allegato B della Relazione.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
45
3.1.2. Dalla letteratura alla filosofia
Le pagine dell’Allegato B della Relazione della Commissione per l’esame
dei titoli del Prof. Giovanni Zannoni alla cattedra di Grammatica e Lessicografia, oltre a presentare un Labriola che valuta positivamente un insegnante e la sua materia, hanno una valenza pedagogica nascosta e profonda.
Durante l’Inchiesta Scialoja, un’indagine condotta dal 1872 al 1875
sull’istruzione secondaria maschile e femminile, in cui si mette in discussione la formazione iniziale dei docenti e il reclutamento degli stessi,
Labriola parla dei limiti degli insegnanti e dell’insegnamento della filosofia. Egli afferma che per comprendere questa materia non bastano solo
la psicologia e la logica, ma bisogna preparare le menti ad intendere
quello che vogliono insegnare i professori. A questo proposito egli crede
che l’insegnamento filosofico debba cominciare con il secondo e terzo
anno di liceo e debba far parte della cultura generale. La filosofia deve
entrare in contatto con l’alunno come un altro elemento d’intelligenza,
capace di educare le menti alla semplicità e profondità. Per arrivare a
questo obiettivo è basilare l’insegnamento della letteratura: bisogna «riunire l’insegnamento della filosofia e delle lettere in una sola persona»65.
In ciò vi è stato gran diverbio se l’insegnamento della filosofia vada unito
con quello delle lettere o [delle] matematiche. Io credo che chi dal punto di vista
più strettamente pedagogico consideri il liceo, creda che l’insegnamento della
filosofia vada unito con quello delle lettere, giacché è naturale che il primo elemento di riflessione filosofica nasce dalla coltura reale delle lettere e della storia.
[…] Io non credo quindi che se si riduce l’insegnamento della filosofia alla psicologia ed alla morale ne venga del danno. Ma l’insegnamento filosofico, limitato alla logica ed alla psicologia e a qualche concetto filosofico morale, può qualche poco essere contemperato coll’insegnamento pedagogico che può dare la
coltura del giovine senza cognizioni sistematiche.66
Dopo aver espresso il suo parere circa la filosofia, Labriola, comincia
a criticare gli insegnanti ed il loro metodo di lavoro, affermando che si
mette troppo in rilievo l’insegnamento della teoria a discapito della pratica e dell’esercizio. Egli sostiene, dunque, che la letteratura, che non
comprende solo l’esercizio di lettura e studio dei classici ma anche
65
66
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, FONTI PER LA SCUOLA IV, op. cit., p. 278.
Ivi, p. 277.
46
Parte prima – Capitolo quarto
l’esercizio di scrittura, e un mezzo che aiuta gli studenti a creare ed esprimere in modo corretto le proprie riflessioni.
Devo fare una osservazione sul componimento italiano. È una cosa spaventevole a dirsi: i nostri giovani scrivono peggio di quello che si scriveva quaranta
anni fa. La causa è questa che i professori di lettere italiane, buoni come erano
una volta, che mettevano molta cura nella lettura de’ classici, sono andati diminuendo: ed è andato invece crescendo il capriccio della teoria nelle nostre scuole ginnasiali e liceali. Bisogna trovare un serio provvedimento a ciò. I nostri
giovani cominciano a riflettere troppo, e quindi scrivono malissimo perché non
trovano il bandolo per iscrivere. Io ho trovato pochi professori che si sieno formati questo concetto: non s’è mai detto loro che al giovane bisogna far dire
quello che è capace di dire. […] si faccia scrivere a scuola, e che il professore
porti con se a casa i componimenti e li corregga […].67
In questa direzione il documento ha una valenza pedagogica nascosta. Infatti Zannoni, con la cattedra di Grammatica e Lessicografia italiana, impartendo agli studenti esercizi di grammatica, scrittura, lettura,
non farà altro che aiutarli a formulare pensieri corretti: la letteratura e le
sue discipline affini, dunque, possono essere considerate come un mezzo
valido per comprendere tutte le materie filosofiche.
3.2. Giulio Natali68
Giulio Natali nasce il 15 agosto 1875 a Pausola, una cittadina a pochi
chilometri da Macerata. Frequenta il liceo di Macerata ma la sua formazione è in gran parte da autodidatta. Ottenuto il diploma si iscrive alla
facoltà di Lettere e Filosofia presso l’università di Roma “La Sapienza”,
dove frequenta le lezioni di Filosofia morale e pedagogia e Filosofia della storia di Labriola, e dove si laurea nel novembre del 1897.
Dopo aver conseguito la laurea, per molti anni gira l’Italia lavorando
come insegnante nelle scuole medie inferiori o superiori, fino al 1921,
anno in cui interrompe l’insegnamento per dedicarsi alla direzione del
provveditorato agli studi di Potenza. Due anni dopo gli viene offerta la
Ivi, p. 282.
Cfr. P. ZANNOTTI, Giulio Natali: l’uomo e lo studioso, in Studi Maceratesi n.25,
Montolmo e centri vicini, Ricerche e contributi, Atti del XXV Convegno di Studi Maceratesi- (Corridonia 18-19 novembre 1989), Macerata, Centro di Studi Storici maceratesi, Pollenza (MC), Tipografia S. Giuseppe, 1991.
67
68
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
47
direzione del provveditorato di Sondrio che egli rifiuta per tornare al lavoro d’insegnante, definito dallo stesso Natali “porta della vita”, poiché
permette all’uomo di partecipare direttamente alla vita.
Nel 1914 il Natali torna ad insegnare e dal 1915 al 1918, ottenuta la libera docenza in Letteratura italiana, insegna nelle Università di Genova
e di Roma. Subentra a Luigi Pirandello, per volere dello scrittore stesso,
nel 1919 alla cattedra di Linguistica e Stilistica del I biennio nel Regio
Istituto Superiore di Magistero a Roma dove insegna fino al 1938. Quando diventa facoltà universitaria, Natali prende l’incarico di professore di
Letteratura italiana nel corso triennale per aspiranti alla direzione didattica.
Nel 1939 diventa professore di ruolo di Letteratura Italiana nella facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania e dal 1946 insegna
anche alla facoltà di Magistero da poco fondata.
La vita di Natali è stata un’intensa attività di ricerca letteraria. Impegnato culturalmente in molte aree, già quindicenne scrive su giornali e
riviste e nel 1895, proprio quando è studente all’Università di Roma
pubblica uno scritto di 36 pagine su Torquato Tasso.
Muore il 20 ottobre 1965, ormai novantenne, a Roma.
3.2.1. In ricordo di Labriola69
Sembra che la natura che non per nulla i poeti ànno chiamato madre in parto
ed in voler matrigna dell’uomo, voglia di quando in quando inconsciamente vendicarsi degli ardimenti umani. L’uomo, per illuminare la sua notte, strappa
all’ètere vibrante la scintilla prometèa: la natura spegne ben altra scintilla, la
scintilla del genio e del sapere, distruggendo con le fiamme i tesori di un insigne biblioteca. Antonio Labriola, come il suo maestro Socrate, fece della sua vita
un apostolato di verità mercè la parola che sortì da natura eloquente incisiva
nervosa colorita: la natura lo à colpito negli organi della voce: un male di gola
tremendo lo à tolto al nostro affetto e alla speranze della scienza e del proletariato di tutto un mondo civile.
Cosi una delle più lucide e robuste menti che abbiano mai onorato l’Italia, si
è spenta: così noi giovani, esciti dalla sua scola, abbiamo perduto il nostro maestro, l’uomo del quale riconosciamo il fervore dei nostri sentimenti, le orienta-
69 In questo paragrafo per quanto riguarda le citazione dall’articolo di Natali si è
deciso di non correggere, e quindi di mantenere parole e regole grammaticali non
più utilizzate nella grammatica odierna.
48
Parte prima – Capitolo quarto
zioni del nostro pensiero, la tendenza a offendere la nostra anima vibrante in
mezzo alla follia, il bisogno di tuffarci nelle correnti della vita sociale.70
Questo è il preambolo di un articolo scritto da Giulio Natali,
sull’Ateneo Veneto nel 1904 in onore della morte di Labriola, suo professore.
Il necrologio si divide in tre parti. La prima è una presentazione generale, sia fisica che caratteriale di Labriola; la seconda e la terza parte,
invece, riassumono rispettivamente Labriola sia dal punto di vista lavorativo, quindi nella sua carriera di filosofo, politico, pedagogista e professore, sia dal punto di vista stilistico delle sue opere, quindi della sua
scrittura. Sebbene l’articolo sia diviso in più parti, tuttavia nella sua totalità traspare una profonda stima e ammirazione da parte di Natali verso
il suo professore che egli definisce «una stupenda mente italiana, che in
succosa ed efficace prosa ritrae la visione nitida e objettiva [sic] della storia e della vita»71.
Di seguito sono riportati alcuni passi del necrologio, poiché chi scrive
crede che utilizzare interamente le parole di Natali sia più efficiente di
una parafrasi del suo pensiero.
Natali, dunque, comincia a descrivere Labriola in questo modo:
Bisognava conoscere Antonio Labriola per comprendere l’altezza e la vastità
della sua mente e la fecondità dell’opera sua. I suoi libri gli daranno la gloria
immortale: ma l’uomo e il maestro valeva anche di più. Le sue lezioni per lungo
ordine d’anni saranno un desiderio vano. Il sapere era diventato in lui sapienza,
che è quanto dire conoscenza degli uomini e della vita e conoscenza delle necessità della storia. Nulla in lui di accademico e di cattedratico: ma nessuno onorò la cattedra più di lui, che se ne valse a rifar le teste e le coscienze di più generazioni. Spirito irrequietamente curioso, in continuo movimento, non conobbe mai i dolci ozii del pensiero contemplativo, e continuamente si rinnovò. Tutta la sua vita fu una polemica con gli avversarii, con gli amici, e con sé stesso. La
sua versatilità, la sua dottrina profonda, organica, di prima mano pose a servizio della redenzione umana. Fu soprattutto un grande filosofo della storia: e la
critica storica portò in ogni categoria di conoscenze e di pubbliche istituzioni.
Ma la glacialità del pensiero scientifico e della concezione critica delle cose non
spense in lui la fiamma del sentimento. Fu, com’è il genio, un solitario: ma non
amò la solitudine sterile del filosofo che vive ne piccolo mondo de’ suoi sistemi,
70
71
G. NATALI, Antonio Labriola (necrologia), in L’Ateneo veneto, Venezia, 1904, p. 1.
Ivi, p. 7.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
49
cieco e sordo alle luci e alle voci della vita; si quella solitudine che fa rifuggire le
libere menti del partito, dal reggimento, dalla chiesuola, da qualunque costrizione morale e intellettuale. Ma disse la sua parola, ascoltata con deferenza anche da’ suoi avversarii, in tutte le più alte quistioni civili: e com’era in relazione
co’ maggiorenti del partito socialistico in Europa, così era in relazione co’ più
autorevoli uomini politici, che spesso gli chiedevano l’ajuto del suo senno e del
suo acume. Fu primo a spargere nel vecchio suolo di Roma la semenza delle
nuove idee; primo diede alla vecchia Roma la nuova coscienza umana.72
E continua:
[…] I suoi discorsi erano avvenimenti: […] ricordo il citato discorso
L’Università e la libertà della scienza: uno dei più nobili e coraggiosi che siano mai
pronunziati nelle aule delle Università italiane. […].
Parliamo del professore. Mente organica e unitaria, per quanto nulla affatto
sistematica, anzi evolutiva (uso la solita parola per dir: dialettica) («nella concezione dialettica s’intende di formulare un ritmo del pensiero, che riproduca il
ritmo della realtà che diviene»); de’ primi a far conoscere Herbart in Italia; dilucidatore, com’egli diceva, del determinismo interno di Leibnitz e del determinismo economico di Marx, insegnò a Roma, con mirabile unità di metodo, pedagogia, filosofia morale, filosofia della storia. Chiamandolo professore, io non l’ò
messo nel branco di certi professori. Egli fu vero maestro: cioè, come il suo maestro Socrate ti formava e t’indirizzava il pensiero. E l’ironia era la sua arma lucida e tremenda, con cui egli rifletteva e perseguiva l’ironia delle cose. L’arte
dell’insegnamento orale era in lui spontanea, duttile, pronta, adatta ai singoli
casi, ricca di attinenze e di riferimenti, meravigliosa di motti, di aforismi, di arguzie, e, tal volta di commossa e commovente eloquenza.73
Parlando del marxismo e dello stile di scrittura labrioliano Natali
conclude l’articolo affermando che:
Se è vero ciò che scrisse l’Engels, la storia del Manifesto dei Comunisti deve rispecchiare fino a un certo segno quella de la società contemporanea, io oso dire
[…] che il sicuro ingresso del socialismo italiano nella storia è segnato dalla
pubblicazione del primo saggio del Labriola intorno al Materialismo storico;
[…]: tanto più che in Italia, per le peculiari condizioni della produzione economica, il socialismo non può esser altro che, da una parte «preparare
72
73
Ivi, p. 2.
Ivi, p. 4.
50
Parte prima – Capitolo quarto
l’educazione democratica del popolo minuto», dall’altra, rivoluzionare le menti
con la nuova concezione della vita che sta in fondo al Marxismo.
[…] Questo filosofo, che primo in Europa à osato parlar di marxismo da una
cattedra universitaria, è riescito a fare della dottrina di Marx una dottrina italiana. E veramente il marxismo rielaborato dal Labriola è congruo e consono alle
tradizioni filosofiche del nostro paese, dove Leonardo, il Machiavelli, G. Bruno,
Galileo, G. B. Vico distrussero per sempre la scolastica. Tutta una letteratura
ormai fiorisce attorno a questi Saggi; e il realismo storico forma la gloria di tutta
una scola italiana, di cui il Labriola è il venerato maestro.
[…] Il Labriola possiede uno stile che è quanto dire una personalità artistica.
[…] Questo stile del mio maestro, tutto muscoli e nervi, tutto cose, il cui tono è
conveniente all’indole dell’argomento, e che nasce spontaneo dal fondo delle cose, è
suo unicamente e interamente suo: e con esso tornano in onore le gloriose tradizioni della scuola italiana che comincia con Galileo.
[…] I letterati, studiando questi libri, impareranno il modo di comprendere
la genesi e il processo degl’istituti sociali, impareranno che il pensare e il sapere
sono operosità in fieri, che le formule, come dicea Bacone, sono impari agli aspetti sottilmente variati e pieghevoli della realtà; gli scienziati impareranno a
fare un libro, valendosi di un proprio stile.74
3.2.2. Gli appunti di Natali alle lezioni di Labriola75
Nell’anno accademico 1893-94 Natali segue il corso di Storia della pedagogia76 di Labriola presso l’Università di Roma “La Sapienza”, e durante le lezioni lo studente prende appunti.
Questi appunti (manoscritti) sono conservati presso la Biblioteca Comunale di Macerata, e grazie ad una collaborazione via mail tra la biblioteca in questione e la Cattedra di Pedagogia generale dell’Università
di Roma “La Sapienza”, sono stati resi utili ai fini di questo lavoro.
Ivi, pp. 5-7.
La Biblioteca Comunale di Macerata, nelle persone di Giuliano Sanseverinati e
Pio Cartechini, ha inviato alla Cattedra di Pedagogia generale I anche gli appunti di
Natali in riferimento alle lezioni di Filosofia della storia e di Filosofia morale sempre
di Labriola. Questi appunti non saranno usati in questa sede poiché non attinenti
all’argomento della tesi, ma, in un secondo tempo saranno inseriti nella parte del
portale Carte di famiglia che chi scrive sta curando.
76 In realtà, anche se la dicitura sul manoscritto riporta Storia della pedagogia,
Labriola non ha mai insegnato questa materia bensì Filosofia morale e Pedagogia.
74
75
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
51
Dagli appunti emerge il programma del corso di Labriola. Esso si
suddivide in due parti, che pur sembrando indipendenti tra loro tuttavia
sono complementari: la prima parte analizza la pedagogia a prescindere
dalla didattica, la seconda, invece, si sofferma proprio sul metodo didattico e sugli obiettivi finali dell’istituzione scolastica.
Di seguito, nelle pagine pari, saranno inserite le immagini del manoscritto e nella pagine dispari le loro relative trascrizioni, frutto di un difficile lavoro di due studentesse, Carla Fiorenza e Adriana Monaldi, per
l’esame di Pedagogia generale I, vale a dire un elaborato dal titolo Lezioni di Antonio Labriola alla Sapienza di Roma. Analogie e differenze tra il docente universitario e il teorico del materialismo.
52
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
53
Ginnastica e donne – scuola classica
La ginnastica può e deve entrare nella scienza dell’educare.
Platone dice che essa deve attendere alla forza e all’eleganza. Deve
realizzare il tipo ideale della forma umana.
I greci giocavano alla palla, al disco, al giavellotto e plasmavano in
carne viva statue belle come marmi dei fori
Le donne anche avevano giochi ginnici. Le donne del rinascimento
giocavano alla palla e le vediamo, dice […], l’educazione della donna
Milano 1892, negli affreschi del castello di Ferrara e Palazzo Borromeo Milano.
Oggi il gioco della palla è […] di […] le nostre donne, prendendo con
brutto verso il nome inglese di “(Caron –[…])”
L’istruzione classica ha per fine di mantenere e assicurare le condizioni della cultura letteraria e scientifica affinché per essa si svolga il
pensiero razionale con perenne incremento e […] delle arti, delle lettere e della scienza .
La scuola tecnica ha per fine “di applicare con criteri positivi le invenzioni, le scoperte e le idee tutte che costituiscono il prodotto teoretico della scienza ne campo delle produzioni, delle industrie e dei
commerci” (“La scuola classica nel processo biologico storico nel pensiero – Udine 1888”)
Riforma universitaria un po’ di diritto […] nella facoltà di lettere:
meno diritto e più antropologia psicologia nella facoltà di legge
54
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
55
Suddivisione del corso di pedagogia
I) Concetto generale della pedagogia nei rapporti con le altre discipline filosofiche con le discipline pratiche che le servono di supporto.
II) Ricerche intorno all’indole e ai limiti della didattica, come arte
speciale della pedagogia e come dottrina strumentale dell’andamento
pratico della scuola.
III) Classificazione pedagogico-didattica delle varie parole.
Didattica speciale della scuola secondaria classica confrontata con la
scuola popolare.
IV) Lezioni di ammaestramenti circa il far lezione e di lezioni vere e
proprie circa un dato argomento.
SUDDIVISIONE
I)
a) definizioni della pedagogia
b) partizione della pedagogia […]
c) concetto, possibilità e limiti dell’educazione in generale (l’arte
dell’educazione è l’educare con […] disegno secondo un determinato
ideale)
d) relazioni della pedagogia con altre parti della filosofia e specialmente con la psicologia e con l’etica
e) proposizioni generali del concetto di formazione psichica come
fondamento dell’educazione
f) forme storiche dell’educazione e ideale pedagogico
g) discipline sussidiarie della scienza dell’educazione
II)
a) definizioni della didattica
b) suddivisione in generale e particolare – in generale e speciale (arte speciale della pedagogia)
c) teoria della cultura come funzione psicologica
d) concetto del metodo – didattica e metodica
e) del piano didattico
f) della materia dell’insegnamento – fra classificazione in cose, segni
e parole, ovvero in mondo naturale , mondo umano e forme astratte del
pensiero, o cognizioni finali
g) tecnica dell’insegnamento
III)
a) concetto generale della scuola
b) classificazione delle scuole
56
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
57
b) finalità didattiche della scuola secondaria a confronto con la scuola
popolare materia dell’insegnamento della scuola secondaria presa
nell’unità del suo effetto educativo
c) risoluzioni di tale materia nelle singole discipline. Unità del piano
didattico e varietà delle discipline
d) didattica speciale delle singole discipline, così raggruppate:
α) lingua nazionale; β)lingue morte o straniere; γ) storia civile; δ) geografia (morfologia geografica) distinzione fra mondo umano e mondo naturale; ε) gruppo delle conoscenze fisico-chimico- naturali, ζ)
conoscenze formali: matematica e logica; η) composizione stili e mezzi tecnici della ragione e del pensiero. Unità dell’insegnamento, connesso […] discussione di alcuni problemi pratici intorno all’andamento
della scuola secondaria classica in Italia e critica dei vigenti programmi.
Bibliografia pedagogica
Platone- Repubblica VII – Leggi VII;
Aristoltele- Trattato dei governi; V;
Plutarco- L’educazione dei figlioli;
Montaigne – Leggi;
Locke;
Herbart;
Kant – Libretto d’oro;
Kant – Critica della ragion pura
Spencer- dell’educazione
Dorin […]
Pietro Siciliani in un opuscolo sulla riforma dell’insegnamento della
pedagogia, deplorò il fatto che le scuole universitarie di pedagogia
sono quasi deserte, questo non a Roma.
Il problema pedagogico è il fondamento del problema sociale: se in
Italia si introducesse la scuola popolare si darebbe splendidamente
principio ad una serie di riforme assolutamente […] da tempi morti.
58
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
59
Università di Roma
1893 – ‘94
G. Natali
La pedagogia di Herbart creatore dell’attività educativa scientifica e
razionale ha oggi il primato nei paesi tedeschi e tende ad estendersi
in Italia per opera del prof. Labriola socialista e dell’altro socialista
prof. L. Credaro, che presto pubblicherà un libro su Herbart
Pedagogia Prof. A. Labriola
(Aula A)
La metodologia è la scienza generale di metodi destinati a scoprire e a
conoscere la verità; la didattica è la scienza rivolta ad insegnarla, la
pedagogia è la scienza applicata a determinare le condizioni migliori
del soggetto per il retto sviluppo del pensiero e dell’azione, secondo i
fini supremi del VERO, del BUONO e del BELLO, che sono poi quelli
della filosofia.
L.Ferri
60
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
61
Pedagogia
Soggetto
del corso
Programma delle lezioni
1) di alcune nozioni preliminari sulla pedagogia, in quanto disciplina
scientifica;
2) trattazione della didattica, della scuola secondaria con alcuni confronti con quella popolare;
Andamento del corso (quesiti) (queste due parti sono indipendenti: la
prima è scientifica [ riguardano la pedagogia come disciplina filosofica, la si può trattare a sé, indipendentemente dalla scienza scolastica
didattica]; la seconda è una parte speciale, pratica, la cui trattazione
riguarda il fine peculiare della scuola. La prima parte deve essere
trattata in servizio della seconda.
Parte generale, ossia concetti direttivi pedagogici:
Quesiti:
I) concetto dell’educazione. Suo fondamento e suoi limiti;
II) l’arte dell’educazione, ossia dell’educazione condotta a disegno
secondo un determinato ideale;
III) definizione della pedagogia in quanto disciplina scientifica. Sua
partizione;
IV) fonti della pedagogia in quanto disciplina scientifica (psicologia,
logica, sociologia, ecc;
V) del valore pratico della pedagogia (questi concetti potrebbero essere invertiti). Tra questa parte e la seconda (didattica) c’è una serie di
concetti intermedi:
I) definizione della didattica, in quanto parte della pedagogia. Divisione di essa in generale e speciale;
II) ricerca della definizione della cultura in quanto fine dell’attività
didattica;
III) ricerca del concetto fondamentale del metodo, in quanto forma
del processo didattico. Metodo e metodica;
IV) della scuola in quanto istituzione e in quanto applicazione pratica della didattica. Classificazione delle scuole. Dopo questi concetti
intermedi viene l’oggetto proprio della didattica della scuola secondaria confrontata con quella popolare.
I) natura oggetto e limite didattico della scuola secondaria confrontata ecc;
II) ricerca e circoscrizione del piano didattico;
III) materia dell’insegnamento e sua divisione
62
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
63
secondo uno di questi criteri, cioè a cose, parole e segni, ovvero mondo naturale, mondo umano e cognizioni formali.
IV) criteri della metodica speciale per rispetto alle singole discipline;
V) le singole discipline, cioè: a) lingua nazionale, b) lingue morte o
straniere, c) incremento della […] presentazioni del pensiero nel parlare e nello scrivere, d) morfologia geografica, e) nozioni sulla storia e
sulla vita sociale, f) assicurazione sul mondo fisico-ossia nozioni di fisica propriamente detta di chimica e storia naturale, g) nozioni formali, ossia la matematica e la cosiddetta filosofia, h) lo stile e i mezzi
tecnici della rappresentazione del pensiero;
VI) unità dell’insegnamento, come esso si ottenga e come se ne possa
avere la riprova con un sistema razionale di esami
(N. B. queste lezioni […] in esercizi pratici di esposizione e di conferenza.)
Concetti essenziali: 1) definizione e partizione dell’educazione, […]
servire alla didattica, 2) concetto della cultura, 3) concetto del metodo
e dell’insegnamento, 4) capacità e limiti dell’insegnamento.
Che cosa sia la scuola secondaria classica
Concetto […] di questa scuola. La scuola secondaria si chiama così
per un pregiudizio che è effetto dell’istituzione napoleonica della
scuola. Napoleone considera la cultura divisa a seconda di scuola
primaria o di scuola secondaria e di università. Di questo ordinamento politico – sociale è a noi venuto il brutto viso di […] scuola di elementi:
dunque è stato assodato che l’odierna scuola secondaria è una scuola
elementare. Ora la difficoltà sta nel confrontarla con la scuola popolare tipo di scuola che è fine a sé stessa. Con i nomi di primaria e di secondaria è possibile questo confronto. Per noi, scuola popolare e
scuola classica sono ambedue scuole elementari dal maggiore o minore incremento.
Il ginnasio dovrebbe essere indipendente dalla cosiddetta primaria;
ed esso potrebbe preparare gli alunni […] propria scuola preparatoria, o qualche corso della scuola popolare. La quale, è evidente, non
può essere obbligatoria per
64
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
65
per quelli che conseguiranno gli studi classici. Com’è oggi la scuola
primaria è solo preparatoria alla secondaria, e non è affatto popolare,
perché chi esce da essa non ha per nulla una preparazione elementare
completa.
Carattere della scuola classica. Essa, che come la popolare, deve essere indipendente, consiste nella preparazione generica alle scienze che
si insegnano all’università (vi sono università nelle quali è incorporato in questa scuola di preparazione – in America e in Inghilterra).
La scuola secondaria classica deve avere per fine una disciplina centrale proporzionata ai fini dell’università: altrimenti è irrazionale (noi
abbiamo fatto scuole classiche secondarie ad altri fini. Tanto è vero
che molti uffici si hanno con la licenza liceale e tanti prendono la licenza liceale solo per essere dispensati dalla leva facendo il volontariato di […]).
Dunque la scuola popolare raccoglie la totalità di quelli che hanno il
dovere di istruirsi elementarmente (che sono i più); la scuola secondaria, invece, raccoglie la totalità di quelli (che sono i meno) che si
preparano all’esercizio della professione; e presenta la selezione delle
capacità generali (Il Labriola preferisce al nostro sistema di accedere
all’università con la licenza liceale quello inglese di acceder
all’università per mezzo di esami di ammissione pensando egli che,
così è migliore la selezione)
L’accesso all’università presuppone l’acquisto di nozioni generali.
Queste nozioni generali si ottengono per tre maniere di mezzi:
1) (orientazione materiale) nozioni di storia e geografia
2) cognizione formale (cognizione necessaria in qualunque studio)
3) uso dei mezzi formali e tecnici (che deve prevedere lo studio scientifico e monografico)
Pedagogia
Concetti di
Didattica Generale Dobbiamo premettere concetti di didattica generale e di pedagogia.
La didattica generale sta a sé e ha fondamento in preconcetti generali: la didattica speciale di cui ci occupiamo è determinata da un suo
fine pedagogico non definiremo a pedagogia con la vecchia e larga, è
però poco chiara, definizione per cui essa considererebbe le materie
scientifiche o letterarie in quanto s’indirizzano all’educazione ma la
definiremo
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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partendo dal concetto della vera didattica. Questa riguarda il fine della cultura; è una forma di attività insegnativa diretta ad ottenere la
cultura. La quale è la premessa psicologica de concetto di didattica; e noi dobbiamo […] didattica permettere il concetto di cultura. La didattica, orbene, in quanto considerasi la forma producente la cultura,
ha relazioni con la pedagogia.
La pedagogia si divide in tre parti a sé […] che riguarda: 1) la disciplina 2) la formazione del carattere 3) la cultura. Un numero di mezzi
diretti a disciplinare le abitudini, è ciò che costituisce la disciplina esterna la quale cessa d’essere importante, quando, cresciuta l’opera
dell’educazione, comincia ad […] disciplina interna, ovvero disciplina
diretta alla formazione del carattere. La formazione del carattere secondo lato della pedagogia risulta dall’armonia delle qualità. Il centro
della formazione del carattere è la cultura, la quale costituisce il terzo
lato della pedagogia. Essa sta di mezzo tra la disciplina esterna e la
disciplina interna.
L’umanesimo è, pressappoco il nostro equivalente storico.
Nel mezzo […] la didattica delle arti e mestieri […] quanto è preparazione alla scienza. Resta il complesso delle abitudini spirituali che ci
fan dire colto, o no, un uomo.
La didattica sarà da noi considerata solo in quanto è rivolta alla cultura.
La pedagogia è il complesso delle investigazioni scientifiche dell’arte di
educare. In essa, ovunque, si suppone la possibilità dell’educazione.
Ogni uomo, nascendo non sa nulla; a poco a poco giocando impara.
Sviluppa poi sentimenti, affezioni, passioni, ragione, attitudini e la
sua formazione ha molti gradi. Quando la personalità è formata, la
forma dello sviluppo è proporzionale alla forma degli sforzi fatti […]
dell’educazione.
Ecco che l’arte di educare è un arte empirica e che l’infallibilità
dell’educazione è un’idea utopica e falsa.
Il fondamento dell’arte dell’educare è il conoscere lo sviluppo:
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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è naturale, perciò, che la prima scienza sussidiaria della pedagogia sia
la psicologia, i cui progressi sono stati sempre proporzionali a quelli
della pedagogia. La pedagogia e la psicologia si sono aiutate a vicenda; e la pedagogia talvolta ha offerto materia, prove sperimentali e
fatti alla psicologia.
La psicologia è la generalizzazione della scienza dello sviluppo. Altra
fonte è l’antropologia, o psicofisica o dottrina delle differenze umane,
che è lo studio di fenomeni […] tra corpo e spirito ([…])
[…] la psicologia troppo generale, anche l’antropologia come sottostrato, aiuta la pedagogia.
Terza fonte è l’etica, in quanto scienza del fine ottimo della volontà,
in quanto criterio per giudicare il bene o il male.
L’educazione consiste nel mettere l’educando in condizione tale che
sviluppando, egli possa raggiungere la sua personalità.
L’etica è un ideale di natura […] perché la nostra attività educativa
non riesca da impedimento al risultato che ci proponiamo.
Quarta fonte è la sociologia. La pedagogia infatti esiste solo in quanto fonte sociale. La sociologia consiste nella cognizione del complesso
dei rapporti sociali, rispetto a cui l’educazione deve essere data. Non
bisogna ripetere il pregiudizio volgare, per cui la pedagogia è diretta
a far buoni cittadini e buone madri.
Di come l’educazione è impartita in un tempo in cui il carattere non è
per ancora (ad intendere ancora) formato, si richiede solo che i principi didattici siano proporzionali a ciò che si dovrà rappresentare o
fare nel mondo.
Quinta fonte è la politica il complesso delle discipline riguardanti le
funzioni dello stato; la scienza dell’amministrazione, che studia non i
rapporti delle cose attinenti all’amministrazione (questo è il compito
del diritto amministrativo), ma l’ordinamento amministrativo.
Ultima fonte è l’esperienza didattica del maestro, acquistata attraverso le generazioni
Sommario a completamento di quanto predetto fino ad ora predefinito il carattere intrinseco e l’ufficio della scuola secondaria.
Si escluse una posizione intermedia tra la scuola primaria e Università.
Si ammise il parallelismo delle scuole primarie e secondarie come
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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due forme di istruzione elementare – il che rinvia al concetto di cultura. Si stabilì il carattere intrinseco dell’università per assicurare la necessità di una preparazione generale ad essa. Questa preparazione
definisce didattica della scuola secondaria, da questa sicuramente esclusi altri fini accessori.
In questa scuola così definita si parla di didattica speciale, la quale
così rimanda a criteri della didattica generale, e questa alla loro volta
rimandano a preconcetti pedagogici indicati nella prima parte del
corso di quest’anno.
N.B. Con questi preliminari rimase stabilito il concetto del corpo, di
cui v. il programma dettato
Poi si passò a […], in modo generico, sul concetto della didattica per
mostrare come qui didattica non si intenda nel senso di forma e processo di qualunque insegnamento tecnico scientifico, ma nel senso
della forma e del processo di quell’insegnamento che ha per oggetto
la cultura.
Queste dichiarazioni ci porteranno a indicare le parti dell’arte educativa, e per essa, alla pedagogia. Si mostra come la cultura sia il fine
dell’azione educativa e, per questa si giunse a dare una descrizione
preliminare della pedagogia in quanto disciplina scientifica dell’arte
di educare e di questa disciplina si indicano le fonti, […] qua e là una
breve nozione del concetto generale dell’educazione, per […] del concetto di applicazione abusiva che si fa della parola educazione.
Chiarimenti della
definizione:
la pedagogia è la disciplina scientifica dell’arte di educare.
Diciamo disciplina scientifica perché la pedagogia non è una vera
scienza giacché non ha principi (la fisica ha principi fisici) ma soltanto
regole di condotta, regole quasi empiriche. La parola scienza si addice
alla psicologia, alla sociologia ecc., ai complessi di dottrine razionali.
L’arte di educare che ha oggi avuto dalla scienza è diventata una disciplina scientifica (mentre prima era del tutto empirica), ma non già
una vera scienza. Così la geografia, non è una scienza, perché non esistono principi puri geografici; non una disciplina scientifica.
La parola educazione in genere, è usata troppo lautamente
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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o anche troppo ristrettamente. Infatti, si dice comunemente educazione, per dire galateo, anche, si confonde l’educazione con
l’incremento di tutte le facoltà umane, con la formazione del vero
uomo. Invece l’azione pedagogica deve essere intesa soltanto come
l’azione riflessa sul bambino che gli adulti hanno sulla naturale
formazione degli educandi. Il Lessing -seguendo gli scrittori- fa in
questo modo, la storia della civiltà, considerandola come lo sviluppo pedagogico dell’umanità. Altro pregiudizio è quello per cui
all’educazione si dia un limite fisico.
L’educazione fisica non riguarda la pedagogia, bensì l’igiene. Soltanto
l’educazione fisica può aver sussidio dalla scienza dell’educazione.
Definizione
Dell’educazione:
ora, così ristretto il campo, possiamo definire l’educazione come la
tendenza di condurre a disegno lo sviluppo naturale secondo un certo indirizzo o indeterminato ideale.
Parti della
Pedagogia:
La pedagogia è una disciplina razionale, filosofica, essa comprende:
1)storia dell’educazione;
2)storia degli ideali dell’educazione;
3)dottrina della cultura, disciplina, formazione del carattere
4)didattica speciale (per noi quella della scuola classica)
Definizione della
Didattica:
La didattica è lo strumento formale per dirigere le materie
dell’insegnamento al fine di produrre la cultura
Pregiudizi
Cultura:
1) Il […] ammette questo principio pedagogico: fa d’uopo procedere
dal noto all’ignoto. Questo processo di formazione deve essere sostituito ad un processo genetico, psicologico
2) L’educazione ha limiti d’età dice Hegel: bisogna educare pensando
che il fanciullo diverrà uomo. Pregiudizio è il pensare che si possa violentare la formazione naturale
3) In pedagogia non esiste l’educazione fisica bensì la psichica.
E il fatto che la pedagogia riguardi la vita psichica, ne dice il valore
pratico dell’educazione.
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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[…] generali
Dell’ideale Pedagogico:
Dicendo ideale si intende l’idea tipo-l’idea che o che è, vista dinanzi
alla mente, quando operiamo. Dal momento che la pedagogia è una
disciplina che mia a regolare la pratica e dal momento che qualunque
attività pratica suppone un ideale, così ogni attività pedagogica, ogni
cultura, suppone un ideale. C’è la difficoltà di non potersi formare a
piacimento l’ideale pedagogico il quale deve avere persino elementi
[…] corrispondenza […] condizioni del tempo.
Finalità pedagogiche oggi:
L’ideale della educazione antica si riduce alla formazione del cittadino patrizio. Ma oggi il nostro ideale è essenzialmente popolare, […]
l’educazione oggi non è più un privilegio, ma una necessità di tutti.
Noi non possiamo seguire l’ideale antico; né il religioso; né
l’antireligioso, perché offenderemo così la libertà umana, né il prettamente scientifico (il quale è un elemento […], così come vorrebbe il
Siciliani, il fondamento dell’educazione). Il nostro ideale che deve essere per tutti, non per una classe di nobili, per un ceto di poeti, non
per una categoria di persone antireligiose, è il più complesso che non
paia.
Studiando la storia della pedagogia dalla fine del secolo XVIII a noi,
attraverso la scienza pedagogica moderna (Rousseau, Pestalozzi,
Herbart) si avranno enunciati così fatti: l’educazione è diretta al futuro uomo – l’educazione deve mirare all’universalità del carattere umano – l’educazione deve mirare a tutte le finalità […], l’uomo deve
avere tutte le fasi dello spirito ugualmente sviluppate (Herbart). Essendoci nella mente di […] avanzi di vecchie idee e desideri incerti
[…] è naturale che questo avesse più un ideale per il combattimento.
Il nostro ideale non è neutrale – ma è l’ideale della libertà.
Un’azione […]: l’ideale odierno di educazione non può essere esclusivamente patriottico. Oggi lo spirito di razionalità sepolta dalle condizioni stesse in cui si vive; appare oggi che il concetto patriottico voluto a disegno, sarebbe orma di pregiudizi. Di qui altra illazione: la
cultura deve essere tale che sviluppi gradatamente e successivamente
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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le varie attitudini dello spirito. L’assenza di questo ideale pedagogico
si riassume nel concetto della cultura. L’uomo educato è soltanto
l’uomo colto.
(la pedagogia riguarda lo sviluppo armonico delle facoltà umane).
(Prima di passare al concetto di cultura occorre la spiegazione di alcune parole avanzate. L’ideale è la configurazione che nella nostra
mente prende un’opera pratica, in quanto la si sviluppa compiuta.
L’ideale risulta dalla vita pratica, dipende dalla nostra volontà e dalla
nostra elezione nella pratica, l’ideale è cosa concreta: l’ideale, applicato alla natura, è più un’astrazione).
Concetti di cultura
Prendiamo il fenomeno della cultura senza occuparci della sua intensità e del suo grado. L’uomo non può essere educato se non è colto.
Vediamo per enunciazione negativa, prima in che consiste la cultura
e confrontiamo la cultura con la tecnica (che riguarda qualunque
produzione per […]) La tecnica non è universale è sempre particolare;
infatti la tecnica se può essere rivolta a principi generalissimi, non è
più nulla: la tecnica non avendo principi generali, entra nella cultura
solo accessoriamente. La tecnica ci […] all’uso o alle trasformazioni di
strumenti utili alla pratica della vita. La tecnica può essere ridotta a
certe forme che aberrino il processo. La tecnica ammette un grado di
sviluppo astratto, tanto che ad esso si può giungere con un processo
scientifico: non vuol dire questo, però, che la tecnica dia qualcosa di
scientifico. Vediamo se la cultura sia un caso particolare della scienza.
Chi dice scienza, intende specificazione di un ramo del sapere si può
essere grandissimi scienziati e uomini senza cultura. La scienza è universale impegno. La scienza è specifica (la cultura in essa è universale (la cultura è la verificazione pratica dell’ideale pedagogico). Altra
ragione per cui la scienza non può darci il carattere decisivo della cultura è questo : l’ideale pedagogico deve rispondere prima alle condizioni
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formazione dello spirito, ma non è tutto lo spirito. La cultura non è la
tecnica e non è la scienza, non è neppure, come un tempo si è creduto,
la religione. La scienza è la soluzione del problema[…], la religione
del problema vita: però questo è più consono allo spirito, e qui più
prossimo all’ideale pedagogico. Ma pure oggi, l’educazione non può
essere intesa come cultura. Abbiamo, nel secolo XV, il precedente
dell’umanesimo, che è la forma dell’universalità del pensiero, la forma artistica, specialmente. Dunque l’umanesimo, nella interazione,
risponde al concetto di cultura, ma ebbe un’estrinsecazione solo
nell’arte e diede origine alla scuola umanistica, scuola enciclopedica
limitata al pensiero antico. Invece, alle origini dell’umanesimo, c’era
pressappoco il concetto della cultura. La scienza non può essere la
cultura perché unilaterale; non può essere la religione, si avvicina
all’umanesimo deve essere (omnilaterale).
L’essenza della cultura
Uomo colto è colui che, aldilà della pratica e la naturale rozzezza, allarga la base della sua impressionalità empirica aldilà del suo interesse mediato. La cultura consta di interessi spirituali. Questa è la teoria
Herbartiana. I greci volevano che l’uomo fosse […] (bendisposto ad
[…]). La cultura è attività; noi sappiamo ciò che noi stessi abbiamo
prodotto. L’interesse è il tendere al sapere: la forma essenziale della
cultura sta in ciò che essa deve tendere al sapere e però la pedagogia
deve avere solo il compito di assecondare questa tendenza.
Interesse empirico
(l’esposizione fatta fin ora è ipotetica: noi si fa il disegno generale astratto da qualunque cultura).
Nell’interesse è l’empirico. Non vi è limite alcuno all’interesse empirico. Ma non tutto ciò che si può ridurre a regola ordinata è cultura; e
non indirizzando l’interesse empirico a un fine pedagogico, siamo nel
campo della vita, non già della pedagogia. Nella pedagogia volgare si
confonde la parte con il tutto (così il cosiddetto metodo delle cose, il
metodo obiettivo tedesco rappresenta per i moderni tutto l’interesse
empirico, mentre in realtà, è un interesse particolare). Come si può,
per esempio, mostrare
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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a un bambino oggettivamente il concetto di Dio, di amicizia, ecc.
Una certa relazione con l’interesse empirico è ciò che oggi si chiama
nomenclatura.
Il dare a questa, però troppa importanza produce il predominio del
nominalismo e del formalismo sul realismo e così ci si abitua ad avere
più parole che attitudini nella ricerca della verità. Secondo Pestalozzi
la scuola consiste nella percezione (non nella intuizione come si dice
oggi) delle sensazioni. La scienza può essere il fine della cultura ma
non è la cultura: solo questa deve essere rispondente allo spirito
scientifico. L’osservazione deve perciò, collimare con la verità
scientifica. L’interesse empirico è base della cultura, perché prepara all’osservazione e alla considerazione obiettiva delle cose. Il sapere di non sapere è la possibilità di sapere e lo spirito empirico
impedisce che nello spirito umano entri la superstizione e la ciarlataneria. L’esercizio dell’interesse empirico crea l’abito della serietà,
della sobrietà che ha azione sulla formazione del carattere.
Ecco i benefici positivi della cultura (nota a queste osservazionipassando dalla pedagogia generale alla didattica speciale questo concetto di interesse spirituale diventa riuscito. Non possiamo essere più
dogmatici, sentendo di continuare l’esperienza del passato con gli ideali nostri).
Herbart seppe coordinare il problema pedagogico a psicologico e […]
L’interesse simpatetico non è da confondere con l’estetica : perché il
primo si può trovare anche nelle […] di […] né è da confondere con il
sociale; che è peraltro preparazione al simpatetico.
Sarebbe bene ritrarre artisticamente l’immagine dell’uomo colto che
segue tutti gli interessi.
Il problema pedagogico è psicologico storico sociale.
L’interesse sociale sta nel conoscere se stessi in rapporto alla convivenza sociale.
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Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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Enumerati gli elementi della cultura si è notato che quello della cultura è il concetto capitale di tutta la pedagogia. Prima di stabilire qual è
la ratio degli studi da spiegare, bisogna formarsi un’idea della cultura, che è un complesso di funzioni spirituali. La pedagogia scientifica
si riduce così alla teoria della […] educativa.
Divisione della cultura a seconda degli interessi spirituali
Il Labriola, secondo la traduzione herbartiana, divide la cultura a secondo dei sei interessi spirituali, per la vita naturale e sociale. Il primo interesse è empirico, ed è il primo elemento della libertà umana
ed è esercitato nella capacità di osservare con discernimento.
L’arte si compone di tecnica e di estetica- è un veicolo dell’interesse
estetico – il quale viene dopo l’interesse empirico.
Le altre forme nei nostri atteggiamenti, nel nostro io (immagini, compresi ricordi, pensieri, effetti su di noi dall’interno e dall’esterno) vi
sono due lati distinti o noi siamo osservatori e ragionatori o noi adoperiamo solo il sensitivo. Di qui l’interesse reazionale e l’interesse
simpatetico, parallelo al sociale e l’interesse complessivo della vita,
speculativo o religioso.
Lo spirito colto è il contrario dello spirito unilaterale; lo spirito colto
è di multilateralità che deve assorbire tutte le nozioni di sé e del
mondo esterno. La cultura è unitaria ha per oggetto l’unità dello spirito. Nella pedagogia l’unità deve essere la base.
Alla separazione delle materie si deve provvedere a poco a poco.
L’imparare è una promessa.
L’interesse estetico non è l’arte: questa ne è la forma perfetta.
L’interesse estetico dipende dall’abitudine. Nell’interesse simpatetico
(nel riprodurre, cioè in me lo stato psichico degli altri) non ci può essere che partecipazione. In questo sta l’interesse della storia e della
poesia. Ma finiscono qui gli interessi spirituali? Il Labriola segue
l’Herbart, unico filosofo che portò a principi scientifici la pedagogia.
L’Herbart aggiunge un’altra forma – quella dell’interesse religiosospeculativo secondo il Labriola.
Se la cultura è il punto di partenza della didattica essa ci deve dare lo
sviluppo armonico delle facoltà, come male si dice oggi – ossia lo sviluppo integrale delle attitudini delle forme dello spirito.
La cultura deve metter capo ad una concezione della vita. Essere religioso non vuol dire occuparsi di religione: non bisogna atrofizzare o
togliere di mezzo i problemi ma cercare di risolverli scientificamente.
La parola religione ha 2 sensi oramai: o il complesso delle dottrine ecclesiastiche o il bisogno di […] nella vita. (L’anima non è
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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così immortale ma maturati gli uomini non vogliono morire. Un articolo di fede è che la storia dell’umanità è una pedagogia secondo il
Lessing). Il naturalismo puro non basta alla cultura.
Dalla lezione
L’intendimento è il fine ultimo della lezione. Intendere – per es. un
autore vale mettersi in condizione di poterlo bene intendere. Il metodo non consiste nell’insegnare, ma nel processo dell’imparare.
Leggere vale capire – 3 gradi possono essere nello intendimento d’un
autore: 1) grammaticale - 2) stilistico e -3) storico (in senso largo).
Il fine è il completo intendimento, lo strumento è la filologia.
Del piano Didattico
Secondo il Labriola, il piano didattico richiama all’unità rappresentata dal disegno da noi fatto della cultura. Il piano didattico è la serie
dei mezzi preordinati a produrre l’effetto unitario della cultura.
Ora, che cosa con che ordine e successione si deve insegnare? Veniamo al concreto, la materia deve essere universale, si tale è la cultura.
La 1° divisione della materia, dunque, è questa: mondo naturale e
mondo umano. Questi due mondi si specificano poi in fisica, storia
ecc.
Il pensiero è il ponte tra l’uomo e la natura
La materia divisa in mondo naturale e mondo umano non esclude discipline intermedie: certe forme […] dal pensiero ricorrenti in ogni
manifestazione della realtà.
Anche la divisione si aumenta della parte sussidiaria alla cognizione
del mondo umano e del mondo naturale. Questo avviene anche nella
vita. Questi veicoli sono la filosofia, la matematica ecc. La differenza
fra i diversi tipi di cultura generale sta nella quantità di queste conoscenze.
La scuola classica ha svantaggio nell’allargamento di questa riguardo
alla storia.
Per quale ragione la scuola classica si distingue? Non potendo trovare
nella materia la differenza dal tipo scuola popolare dal tipo scuola
classica? La ragione è l’idea del processo storico sul quale si fonda
tutto l’insegnamento universitario – ad eccezione di quella della matematica pura- perché la matematica ha questo vantaggio che una
volta scoperta, le sue leggi prendono il loro posto. La matematica si
può studiare in modo antistorico. Altro carattere: l’ovvietà non è possibile, se chi vi entra non abbia appreso l’interpretazione ad eccezione
della matematica
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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Ancora del piano didattico (esame)
Il programma è, una cosa amministrativa e per questo non è il piano
didattico, avvicinandosi al quale è buono.
[…] hanno importanza solo come connotazione del risultato della cultura. […] essi debbono essere semplici e o complessi. Il piano didattico, nella scuola dei […] che […]. Il maestro è un professionista specifico, […].
Le discipline devono essere […] in modo che siano […] della mente.
Il piano didattico è la forma degli sforzi fatti per produrre in singole
discipline la cultura. Una delle necessità del piano didattico […]
l’insegnamento si […] con l’esercizio pratico per l’incremento della
capacità media. Già due sistemi sono unificati […] La scuola deve tener conto […] il maestro deve esercitare un opera collettiva e […]
Non deve darsi prevalenza all’idea herbartiana.
[…] al giudizio degli scolari siano fatti collegialmente[…]
Sunto e complemento delle lezioni fatte
1)Sul titolo si sono fatte spiegazioni preliminari per spiegare cosa sia
la didattica specifica e confrontarla coi problemi speciali della pedagogia.
2)Prima di entrare nell’argomento, cioè prima di svolgere: concetti
fondamentali pedagogici che devono […] di guida alla didattica speciale, si fece una preliminare […] del concetto di scuola primaria […]
la sua vera forma di preparazione […]
(1°) Università escludendo a) il concetto umanistico b) il pregiudizio
di una gerarchia fissa 1) scuola primaria 2) secondaria, […] c) il concetto astratto formale di una cultura generale senza meta fissa.
3)fatta la definizione della scuola secondaria si passa ad esporre alcuni concetti generali pedagogici che formano le premesse della didattica speciale, avvertendo che non trattiamo […] della pedagogia per se
stessa come disciplina compiuta. E prima di […]. Si dia ragione di
questa il fine della pedagogia = disciplina scientifica dell’arte
dell’educare, si dia ragione del perché disciplina scientifica e non
scienza (paragone con la geografia), si dia ragione del fatto
dell’educare sulle varie vicende storiche e degli ideali che questo fatto ha già in sé stesso.
Prima di dimostrare come questo fatto abbia originato un’arte riflessa
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[…] così poi più tardi, sorgendo la scienza e la filosofia, quest’arte già
esistente abbia dato luogo ad una discussione sui mezzi, sui fondamenti, sui fini, sui limiti.
Si passò ad assegnare le fonti della pedagogia: psicologia, etica, antropologia, sociologia, scienze dello Stato (quest’ultima solo per ciò
che si riferisca all’elemento pratico della scuola).
Si passò a esaminare per sé stesso il concetto dell’educazione per ridurlo a quello di sviluppo e di formazione in genere, salvo ad aggiungerci poi il proposito, l’interesse, il disegno d’influire sulla normale formazione. E perciò si segnarono i limiti naturali di ogni azione
educativa, i quali constano nella base fisica della vita, nei gradi dello
sviluppo, nelle condizioni di età e di sesso e nella reazione individuale cosicché si restringa l’azione educativa in modesti confini del possibile, escludendo ideali fantastici e concetti convenzionali.
Poi si passi a discutere dell’ideale dell’educazione secondo la condizione presente della civiltà e della scienza ed escludere le forme latenti, come la […] religiosa o patriottica o di classe o di chiesa ed anche le
forme unilaterali, come l’artistica o la scientifica si […] al concetto
della totalità armonica degli interessi.
Per questa via si giunge alla definizione di cultura, ed esclusa la tecnica o la scienza come tali, si dichiari la forma complessa della cultura; e poscia si passò ad analizzare gli elementi, di […] esponendo con
pratiche dichiarazioni ed esempi, che cosa sia l’interesse empirico, razionale, estetico, simpatetico, sociale e speculativo.
Fatta questa […] della cultura si ripete alla partizione della pedagogia, la quale, oltre ad abbracciare la didattica (e di questa è principio e
fondamento il concetto della cultura) abbiamo anche la disciplina e al
formazione del carattere.
Di queste due parti, di cui si deve la caratteristica, quest’anno non ci
occupiamo. E riprendendo il concetto già sviluppato della cultura,
mettemmo questa in correlazione la
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scuola secondaria, con la popolare , per questa come qualunque scuola che non sia espressamente scientifica, miri appunto a sviluppare la
cultura in […] che la didattica pedagogica è l’arte pratica di servirsi
della materie dell’insegnamento per dare incremento alla cultura.
Distingueremo la didattica generale e particolare e diremo in che
modo vadano trattate le questioni del corso di quest’anno […] sulla
didattica speciale della classe. Prima di passare alla didattica della
scuola secondaria, “pigliamo” le materie una per una, discorreremo
della materia dell’insegnamento in genere distinguendola: mondo naturale, umano, cognizioni formali, ammettendo d’altra parte come
possibile anche l’altra distinzione in cose, parole e segni.
Dopo si discute del problema del piano didattico, in che modo si deve
trattare di questa questione: data la varietà delle discipline e degli insegnanti in una stessa scuola, dati che questi devono essere divisi in
anni, corsi, gradi dato, che ciascun alunno è in una medesima consistenza […] in atto di sviluppo, dato che il risultato della cultura debba essere unitaria, come si fa ad ordinare la scuola in tante discipline
e da tanti insegnanti […] per mezzo di un meccanismo scolastico,
l’unità della cultura?
Questo problema dell’unità finale ci porta ad ammettere come l’unità
di tutta la scuola si debba considerare come tante unità subordinate
per cui di anno in anno si ottenga una unità parziale col raggruppamento delle discipline.
Facemmo una punta, discorremmo della tecnica della lezione considerata come […] attiva del maestro della scuola, subordinato sempre
al disegno e subordinato all’unità del piano didattico.
Del metodo
Il metodo è il processo della mente dello scienziato nel ricercare la verità. Questo nella scienza: nella pedagogia il metodo pedagogico è il
processo dell’imparare, si deve sorprendere la forma della mente nel
processo dell’imparare. Questo è il metodo oggettivo: qui sta
l’intuizione di Pestalozzi.
Veniamo alla didattica particolare:
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La lingua nazionale è l’essenza della cultura, bisogna trattarne in
quanto essa entra nell’insegnamento e in quanto oggetti
d’insegnamento. Questa doppia posizione non si nota nelle altre
materie perché tutte le altre materie si imparano strettamente, esplicitamente, non anche indirettamente ed implicitamente come la
lingua nazionale. La lingua è insegnata come organo letterario e
l’insegnamento è necessariamente artificiale, ma poi serve per insegnare tutte le altre cose ([…] trasversalità). Qualunque insegnamento linguistico si divide in tre […] di:
grado grammatica – stilistico – letterario: ordinamento rispondente
pressappoco all’antico: grammatica, retorica, letteratura.
Periodo grammaticale non è la sola grammatica ma l’acquisto e il
possesso della coscienza grammaticale. Gli strumenti sono relativizzati con componimenti mentre questi dovrebbe giungere gradatamente con esercizi. Nel 2° periodo […] non si intende imparare a
memoria la retorica, le cui figure sono il paradigma dello stile. Filologia e stilistica sono gli elementi di questo 2° periodo. La lettura diventa più complicata (la […] tutta la retorica è inopportuna). Nel 3° periodo si considera l’opera nella sua totalità. L’arte si ripiglia il significato che aveva per lo Schopenauer. Un tempo il latino si imparava anche indirettamente in quanto si insegnava in latino. Oggi invece no: si
insegna il latino. L’insegnamento è fine a se stesso. Riguarda la questione se si deve studiare il latino, è questa una questione di regressione, si può dire. Il latino è cosa nuova. Il greco è altra cosa, perché è
più lontano. Si dice: le lingue classiche servono alla ginnastica intellettuale. […] tanto vale allora prendere il russo. Nel sec. XIX la lingua
latina non può essere trattata con […] gli umanisti, i quali non sono
altro che oppositori dell’800 medio. L’umanesimo lasciò un tipo di insegnamento seguito dal […] (post umanesimo). Oggi è cresciuta la
scienza e non possiamo tornare […] perché torneremmo alla nostra
fanciullezza, all’età del […]. Oggi il latino non è studiato per scrivere
in latino, ma pere intendere le opere: l’insegnamento deve essere fatto[…]. La […] minima del maestro è leggere gli antichi.
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Di che latinità intendiamo noi parlare? La scelta deve essere fatta da
Terenzio e Tacito. Questa la letteratura classica che ebbe azione sulla
letteratura moderna. Bisogna scegliere la forma classica e questo insegnamento diventa esemplare perché la grammatica comincia a diventare un oggetto aggettivo di studio. E questo è un esercizio che
non è ginnastica: il processo deve essere oggettivo, realistico; dobbiamo cominciare a imparare la lingua direttamente. Il latino non ha
scrittori per l’infanzia.
Chi vorrebbe sopprimere la lingua antica, toglierebbe il mezzo di
comprendere nell’antichità nella sua vita profonda e “nelle relazioni
che ha con la cultura europea”.
Trezza, Scienza Scuola, Padova 1887.
Lo studio delle lingue “è mezzo, non fine” Lo studio dei testi: ecco il
laboratorio delle scuole classiche.
La nostra scuola classica risulta dalla fusione della nostra scuola umanistica con un po’ di conoscenze realistiche fornite dalla scienza
moderna e un po’ di filosofia. È un ibridismo senza capo né coda.
Non ha un fine sociale, né si propone la cultura.
Nelle lingue antiche predomina un carattere obiettivo e sintetico; nelle moderne, soggettivo, adatto, analitico: Di qui la superiorità
dell’insegnamento della 1° […] per falsificare le intelligenze.
96
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
97
Dal greco. Per una cultura veramente classica il greco è essenziale.
Nulla i latini […] ai greci, tranne la giurisprudenza. Parlando di cultura
generale, scolastica, il greco […] vestigione non può […] presto per economia di tempo, mentre il latino va cominciato con metodo pratico, intuitivo, leggendo. Il greco va cominciato con la grammatica. La difficoltà
principale del greco sta nel […] psicologico di parole con le altre lingue
che già sostituiamo. Si debbono studiare le parole mediante […] categorico – logico (che non c’è). Imparare la lingua, si […] autori facili. Compito unico dello studio del greco: capire gli autori greci . Nel greco c’è
l’unico primo elemento: il grammaticale e però non è necessaria la riproduzione scritta. Il latino ha 2 elementi: grammaticale, stilistico […]. E
se il greco è rivolto al primo elemento grammaticale, perché conservarlo? Dato che la scuola secondaria prepara all’università, è necessario
studiare gli elementi del greco che […] con tutti i vari elementi di varie
scienze come complementi di cultura, è necessario fare il confronto di
una lingua […] con la propria e la […], la […]. A questo riguardo si può
sostituire al greco una lingua moderna. […] ad esempio la sostituzione
[…] fatta da chi è filologicamente preparato nel tedesco o nell’italiano;
perché se è […]
98
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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[…] male l’insegnamento non è educativo, se è solo materiale o commerciale non ha più elementi della cultura e non risponde ai fini della
scuola.
Della geografia. È una disciplina scientifica, morfologica. In Italia non
c’è l’insegnamento preparatorio geografico (le lauree dovrebbero essere più specialistiche in Italia, ci vorrebbe un gruppo speciale geografico-storico). Per la geografia ci vuole geografia storica-elementi di
fisica- di matematica. La preparazione è una vasta lettura. Quello che
si deve insegnare si vede dal risultato. Il risultato dell’italiano è lo
scrivere, del latino è l’intenderlo, del greco il […]. Il risultato della geografia è l’abito fantastico della configurazione terra. Il […] ha detto
che noi siamo una nazione antigeografica: ha voluto forse intendere
che noi non […] la geografia, ma questo è vero. Insegnamento della
geografia: deve essere diretto, deve avere uno schema suo proprio. La
partizione della geografia non può essere materiale: da principio deve
essere reso evidente il disegno (carta geografica), poi il segno deve essere tradotto in elementi […]. Questo è il concetto del metodo intuitivo – la geometria, la fisica, la geografia, in Austria si fanno 2 volte: la
prima volta concretamente, la seconda teoricamente. Questa è, certamente, indispensabile per la geografia. La geografia deve essere
preceduta da esercizi di disegno, perché si capisca la rappresentazione del concreto. In Svezia si adoperano atlanti con il senso della proporzione: in Svezia ci sono le migliori scuole. La morfologia geografica consta di […] della civiltà innata […] con […].
Nessuno può sapere tutta la storia e tutta la geografia. Però c’è bisogno di […] una […] connessa a tutta la cultura, qualunque sia. Poi
[…] la geografia trova aiuto nella fisica e nella matematica .
100
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
101
Perciò la geografia è una delle materie che devono risultare non per
esame diretto , ma indiretto […].
Geografia è uomo moderno. Dopo l’8° secolo di dice […].
Storia Il nome è troppo largo e multiforme. La storia è l’indirizzo sbagliato – è insegnata con preconcetti. Si impone la morale e questo non
va.
L’uomo per essere educato e colto deve conoscere le evoluzioni umane come sono realmente avvenute. L’insegnamento deve essere oggettivo.
La storia non può essere studiata nella sua totalità. La descrizione,
disse il Labriola nel suo libro sull’insegnamento – la descrizione geografica e la veduta storiografica compie l’insegnamento.
L’insegnamento si fa con metodo diretto e con i sussidi stessi. Prevalga nell’insegnamento l’esposizione. La storia va insegnata sociologicamente, complessivamente, morfologicamente, secondo la fisica sociale, […] genetico. Nella storia bisogna […] e stabilire le differenze
storiche nella mente, non cercare la connessione.
La poesia sviluppa il sentimento simpatetico, ci dà emozione estetica
[…] psicologica! Quello che c’è di comune negli uomini, non è storia,
ma è storia naturale. L’atteggiamento del maestro varia secondo le
materie. Il maestro deve saper parlare – la lezione deve avere fondamento nell’esposizione: i libri di testo devono essere aiutati da altre
letture – lo spirito come il corpo ha bisogno di un po’ di storia; leggere molti volumi, magari senza critica.
La storia si deve studiare in […] come oggi la vita. Riassumendo:
l’insegnamento della storia è il più complesso, perché risponde a tutti
gli interessi.
Abbiamo in tutti i fatti […] all’uomo in quanto si sviluppa […] deve
essere esposta, […] i paesi di cui non si può fare la storia, […].
L’analisi sociologica di fatti. Dunque ci vuole morfologia storica, storia della civiltà. Poca storia monografica si deve insegnare. Deve essere fatto con molti […] l’insegnamento (aggiungere al libro di testo i
classici storici).
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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Della cosiddetta filosofia
Filosofia nella filosofia sarebbe necessario introdurre un po’ di sociologia,
tanto da far capire i rapporti fondamentali della convivenza sociale.
Dati i sei interessi spirituali […], Herbart della filosofia è dato un insegnamento pratico che vorrebbe il Labriola: un insegnamento della filosofia a sé è
escluso.
Ogni professore deve essere educato filosoficamente. Data l’unità concreta
dell’insegnamento, tanto per la preparazione di professori, quanto per gli
studi liceali, un insegnamento a sé non ha ragione di essere.
Esso è una tradizione scolastica che oggi deve abolirsi.
Ma noi dobbiamo solo domandarci che grado di […] debba subire
l’insegnamento del liceo. Oggi, veramente, s’è assai ridotto l’insegnamento
della storia e s’insegna la filosofia in quanto fa parte della cultura generale
data per […] all’Università.
O lo Stato o […] ([…]) la scuola secondaria non può consigliare un sistema
filosofico.
L’insegnate di filosofia sarà un insegnante di qualche altra materia che aggiungerà al suo l’insegnamento elementare della filosofia. Dal 1891 si è occupato il Labriola contro il vecchio sistema.
Il Labriola non ammette un professore appassito.
Nell’ Università, secondo lui, ci debbono essere molti corsi filosofici ma non
legati ad altri corsi universitari.
(1887 – opuscolo del Labriola nel Congresso dei professori a Milano).
Le sole cose che insegnarono i rudimenti della logica e della psicologia, nomenclatura etica, elementare messe in relazione con la storia. Questo insegnamento complementare va fatto – secondo il Labriola- solo negli ultimi 2
anni del liceo.
Nel prof. deve essere la coscienza della rispondenza tra questi e gli altri insegnamenti. Perciò l’insegnamento deve essere pratico-l’insegnamento logico, per es. solo diretto a portare nello spirito l’abito all’astrazione logica.
(firma appena leggibile)
Lettura non è possibile in filosofia
Cognizioni scientifiche = matematica
Questa può essere pratica e teoria. L’insegnamento pratico va prima di tutto,
poi come per la geografia, l’insegnamento deve essere ripetuto teoricamente.
Dunque, ci deve essere da prima un insegnamento di geometria intuitiva
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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e aritmetica strumentale (questo deve corrispondere, per es. al periodo grammaticale).
Aldilà dell’argomento proposto e di una parte di algebra è impossibile andar oltre (e per il tempo e perché dopo comincia la disposizione
particolare della matematica).
La scuola generale deve occuparsi di ciò che è a tutti accessibile: algebra, morfologia geometrica.
Nella trigonometria comincia ad apparire il concetto di fusione […].
Proprietà generali di numeri – di forma dei numeri e forme geometriche – concetto della fusione: ecco quello che occorre per loro cultura.
Il professore matematico di solito non è pedagogista, è scienziato.
Perciò per questo deve evitare che il prof. di matematica diventi […].
L’obiettivo dell’insegnamento di fisica è trasformare l’oggetto naturale […] in oggetto di istruzione.
Il prof. non si deve mettere a far la critica della filosofia e oltre a questa si deve aggiungere: far distinguere qual è da quello come si presenta allo scolaro.
La fisica dei […] per poter sempre […] dall’insegnamento.
Quando i positivisti dicono che il fondamento dell’educazione deve
essere la scienza, dimenticano che il fondamento dell’educazione è il
cervello dello scolaro.
La scienza è un’astrazione. Un bambino è come un popolo primitivo,
forma il mito.
Dunque nella scuola bisogna fare il percorso dell’umanità.
L’oggetto della pedagogia è soltanto, se mai, di formare la disposizione scientifica.
Così dicasi per la storia naturale .
Si deve trasformare lo spirito dello scolaro dallo stato primitivo allo
stato di categorie di oggetti. Ci vuole la trasformazione del fenomeno
in concetto scientifico
Riassunto della Didattica speciale della scuola secondaria classica,
designazione del fine, dei limiti e dei nuovi metodi
dell’insegnamento di […] delle discipline che entrano nel piano didattico della suola
106
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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secondaria classica.
A) Lingua nazionale perché nazionale e non italiana – insegnamento diretto
e indiretto della lingua nazionale perché si presenta […] dall’indiretto – in
che precisamente consiste l’insegnamento indiretto – fine psicologico dello
studio della lingua – lingua parlata e lingua scritta.
Della Lingua […] storica della cultura nazionale di quanto bisogna retrocedere nell’ordine storico – […].
Studio riflesso […] della lingua e interpretazione della lingua non parlata […].
I tre periodi grammaticale, stilistico, estetico letterario perché non entri nel
piano didattico lo studio sistematico della storia della letteratura.
Teoria dell’inserimento degli autori – storia dello stile e fino a che punto la
scuola possa formare un certo stile.
Della composizione e sue proporzionalità a tutta la materia
dell’insegnamento
B) Latino perché si studi ora il latino […].
Non più […] né organo diretto della cultura ma, non di meno, né filosofia né
linguistica. Di nuovo i tre periodi. Di nuovo della […] I confini storici del latino che entra nella regola. Del […] latino come semplice sussidio della morfologia e della sintassi. Del modo di cominciare l’insegnamento praticamente, finché si arrivi, poco per volta al paradigma.
C) Greco Difficoltà . Si comincia più tardi. Perciò si può cominciare addirittura dalla grammatica mentre il latino no a grammatica ed esercizi.
Confini storici ed il greco […] non si può studiare con tutti i gradi del latino.
Si arriva alla semplice traduzione. Ipotesi del greco facoltativo e della sostituzione di una lingua moderna. Difficoltà di tale sostituzione, perché si abbia un insegnamento non materiale o commerciale, ma realmente antico – filologico e di effetti pedagogico.
D) Storia fine dell’insegnamento – carattere studio della vita sociale – forme
di essa. Scelta dei fatti – non semplice ordine cronologico. Lezione del professore altri […] necessità della lettura in che debba consistere l’esame di storia.
E) Geografia Intendo […] sia morfologia geografica. Insegnamento diretto e
indiretto. Fine dell’insegnamento diretto: materia che si ripete due volte –
Punto di partenza: l’intuizione – lettura della carta geografica dalla cosa al
segno, e dal segno alla cosa – elementi generali di morfologia non affastellamento
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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di nomi lezione fatta dal maestro manuale breve e comprensivo – difficoltà della lettura della carta geografica – uso di altri sussidi
F) Filosofia in che senso vada inteso qui questo nome impossibilità
dell’insegnamento della vera e propria filosofia. Incremento del pensiero
come implicito in tutte le parti dell’insegnamento[…]. Limiti di tale propedeutica - prima riflessione sulla forma logica del pensiero – primissima enunciazione e classificazione dei fatti psichici – delucidazione […]
dei rapporti fondamentali etici e giuridici.
G) Parte riguardante fisica, matematica, storia naturale,
N. B. Queste tesi di didattica speciale rimandano ai seguenti quesiti presupposti nella prima parte del corso, di cui fu dettato il sunto, e cioè, regressivamente:
1) piano didattico della scuola secondaria
2) che cosa vuol dire piano didattico e la sua unità
3) della scuola secondaria come una delle […] dirette a promuovere la
cultura generale.
4) del metodo
5) della cultura generale e teoria degli interessi spirituali
6) della cultura in generale, come uno degli elementi dell’educazione
7) partizione della Pedagogia
8) in che senso la pedagogia sia disciplina scientifica dell’arte
dell’educare
9) dell’educazione, delle sue possibilità e limiti
10) dell’educazione come fatto individuale e sociale e dell’ideale pedagogico
illazioni, e non deduzioni […] queste applicazioni pratiche del sistema
pedagogico di queste materie. Le materie devono essere insegnate per
rispondere a quell’ideale di cultura che abbiamo esposto.
Kant dimostrò esser appunto […] una cosa è buona in teoria, cattiva in
pratica Storia = avere una […] cronologica, o meglio, morfologica, entro
cui assegnare i vari fatti. Storia delle teorie essenziali della […] questa
può insegnare a tutti. Siccome la cultura deve essere pratica e deve avere
relazione […] in cui viviamo.
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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QUASI TUTTA LA PAGINA È ILLEGIBILE, SI COMPRENDONO
SOLO LE ULTIME FRASI.
La matematica e la fisica sono scienze […] immutabili.
Tutta l’aritmetica si fonda sulla tavola pitagorica e tutta la geometria
è quella di Euclide […] sul teorema di Pitagora.
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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I) Concetto generale della pedagogia […]
II) Rapporto della pedagogia con altre discipline […]
III) Partizione della pedagogia in dottrina della cultura […] formazione del carattere
IV) Concetto generale […] differenze tra didattica generale e speciale
ed essendo il corso destinato ad illustrare la didattica della scuola secondaria, si determina il fine di questa, segnando anche le differenze
che essa ha oggi con la scuola popolare
V) Concetto generale della cultura. Difficoltà di tale […].
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Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
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X) la teoria dell’apprendimento e la tecnica della lezione
XI) la materia dell’insegnamento – lingua nazionale
XII) storia e geografia (morfologia geografica)
XIII) brevi nozioni su delle questioni scientifiche propriamente dette:
fisica, chimica, filosofia e matematica
XIV) […]
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Parte prima – Capitolo quarto
3.2.3. Alcune osservazioni a partire dagli appunti
Per riassumere brevemente il manoscritto di Natali, si può affermare
che da esso emerge una sostanziale definizione di educazione, che si delinea come «la tendenza di condurre a disegno lo sviluppo naturale secondo un certo indirizzo o un determinato ideale»77.
Oltre ad essere descritto minuziosamente un sistema scolastico e un
metodo didattico nei suoi punti di forza e nei suoi limiti, il filo conduttore degli appunti sembra essere il concetto di cultura intesa come «fine
ultimo dell’educazione»; essa, infatti, non è né tecnica, né scienza, né religione bensì un’attività: «la forma essenziale della cultura sta in ciò che
essa deve tendere al sapere» e la pedagogia «deve avere solo il compito
di assecondare questa tendenza»78.
Ma quali sono i punti d’incontro tra la teoria pedagogica di Labriola e
quella di Natali? In qualche modo la frequenza alle lezioni universitarie
labrioliane ha influito sulla formazione dello studente? La risposta sembra essere affermativa, infatti dagli scritti di Natali emergono molte teorie educative che Labriola potrebbe condividere. Ad esempio entrambi
considerano la lettura, quindi la letteratura, uno strumento fondamentale per lo studio dell’italiano, per la composizione scritta, per la dialettica
e la buona espressività, per la formazione della cultura; infatti come afferma Natali:
[…] dalla lettura prendono le mosse e le osservazioni grammaticali e le considerazioni stilistiche; dalla lettura trae alimento l’arte del comporre; delle letture è, in fondo, una rassegna storia letteraria.
[…] D’accordo col professore di filosofia, il professore di lettere italiane potrebbe ne’ licei invogliare gli alunni alla lettura dei classici della filosofia. Io ho
sempre vagheggiato un’Antologia della prosa filosofica e scientifica italiana, con la
quale si vorrebbe molto opportunamente a riempire un’altra deplorevole lacuna
della nostra cultura.
[…] Qualcuno oggi vorrebbe soppresso l’esercizio del comporre, sostenendo
che la scuola deve dare cognizioni, non espressioni. E sta bene: ma ciò non toglie
che la scuola non possa favorire lo sviluppo delle espressioni individuali. Si sostituisca se mai […], l’esporre al comporre; ai temi da svolgere, assegnati dal professore d’italiano, si sostituiscono le esposizioni e i riassunti delle lezioni delle
singole materie, corretti dai singoli professori. E anche questo è esercizio utile;
77
78
Dagli appunti di Natali alle lezioni di Storia della pedagogia di Labriola, p. 11.
Ivi, p. 22.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
117
ma non basta. Senza dire che pur troppo è rara l’intesa tra colleghi, e molti professori trascurano la forma, orale e scritta, delle esposizioni, tantoché gli scolari
in altre lezioni disimparano, spesso, o si fanno un dovere di dimenticare, il poco
che ànno imparato alla lezione d’italiano.79
Un altro punto d’incontro tra l’illustre professore ed il suo allievo riguarda l’insegnamento della storia: una materia molto importante che lo
stesso Labriola, come si evince dal manoscritto, considera complessa
perché si identifica con tutti i processi di trasformazione della società.
In riferimento all’insegnamento della storia Natali crede che essa:
[…] si fa consistere tutta nelle guerre o nei trattati di pace, nelle mitre dei papi o
nelle corone dei re: mentre, concepita non in modo unilaterale e con criterii unicamente cronologici, ma organicamente o morfologicamente, in quanto considerazione del succedersi delle varie forme della civiltà, sarebbe il più complesso
insegnamento, […].80
E prosegue:
Così non si dovrebbe insegnar soltanto la storia politica e militare, ma e la
storia del lavoro, del costume, dell’arte, della religione, della scienza.81
Queste parole sarebbero state di certo condivise da Labriola in quanto
promotore dell’insegnamento occasionale della storia a discapito di
quello ordinato in linea regressiva o progressiva:
Perciò si trarrà occasione, così dalla interpretazione dei libri di lettura, come
anche dalla esposizione geografica, per ingenerar nell’animo dei discenti l’abito
di percorrere facilmente le serie ascendenti e discendenti dei fatti storici, e per
dare ad un tempo medesimo una qualche precisione a moltissime notizie di archeologia, di etnografia, di tecnica e d’arte, che vengano di volta in volta comunicate […].82
G. NATALI, L’insegnamento dell’italiano e della storia dell’arte nelle scuole medie, in
Rivista di Filosofia e Scienze affini, diretta e amministrata dal prof. Giovanni Marchesini, s.l., s.e., Marzo-Aprile 1907-Anno IX, Vol. I, N. 3-4, pp. 1-9.
80 Ivi, pp. 10-11.
81 Ivi, p. 10.
82 A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, a cura di N. SICILIANI DE CUMIS, UTET, Torino
1981, pp. 337-341 in Il «piano didattico» dell’insegnamento della storia, in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i Settecento anni alla “Sapienza”
79
118
Parte prima – Capitolo quarto
Un argomento, quest’ultimo, che rende maggiormente plausibile una
sorta di rapporto di “figliolanza” tra Labriola e Natali, soprattutto se
messo in relazione al concetto di cultura che entrambi condividono; vale
a dire una cultura che non è erudizione, ma «attività dello spirito», per
cui l’individuo non si accontenta di possedere semplicemente un numero più o meno rilevante di nozioni, vuole conoscere la loro connessione.83
3.3. Angelo Fortunato Formiggini84
Amante del libro e della cultura ha dedicato tutta la sua vita, come per missione alla diffusione della cultura, ha dato tutto se stesso alla parola scritta, fino
alla morte. La morte di un ebreo […] che rifiuta l’odio razziale, perché animato
dal suo spirito umanistico e pacifista, eclettico e conciliante, perché non capace
di comprendere il truce volto dell’odio, lui che ha colto nel riso uno dei fondamenti della vita umana.85
Angelo Fortunato Formiggini, editore, fondatore di riviste, scrittore,
filosofo dell’umorismo, bibliofilo, collezionista, nasce a Collegara, frazione di Modena da una famiglia ebraica con antenati di Formigine un
tempo gioiellieri degli Estensi e poi finanzieri. Frequenta il liceo Galvani
di Bologna, ma viene espulso nel 1896 per aver scritto e distribuito nel
liceo un poemetto nel quale sono presenti satire sui professori e studenti.
Conclude gli studi nel liceo Muratori di Modena e si scrive alla Facoltà
di Giurisprudenza laureandosi con la lode nel 1901, con la tesi La donna
nella Torah in raffronto con il Manava-Dharma-Sastra. Contributo storicogiuridico a un ravvicinamento tra la Razza ariana e la semita, nella quale sostiene che ariani e semiti in origine erano lo stesso popolo. Nel 1902
Formiggini si trasferisce a Roma e s’iscrive alla Facoltà di Lettere e filo-
(1303-2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904-2004), cit., uno dei pannelli della mostra.
83 Cfr. G. NATALI, L’insegnamento dell’italiano e della storia dell’arte nelle scuole medie,
cit., p. 12.
84 Cfr. it.wikipedia.org/wiki/Angelo-Fortunato-Formiggini [data ultima consultazione 13/11/2011].
85 http://liceoformiggini.scuolaer.it/allegato.asp?ID=13469 [data ultima consultazione 13/11/2011].
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
119
sofia dove segue le lezioni di Antonio Labriola e conosce Emilia Santamaria, che sposa nel 1906.
L’attività editoriale di Formiggini nasce per gioco in occasione della
festa mutino-bononiense, da lui organizzata il 31 maggio 1908 alla Fossalta. In questo evento, per celebrare la rinata amicizia tra bolognesi e
modenesi fa stampare a sue spese due volumi, uno dei quali porta la
prefazione86 di Giovanni Pascoli, il quale definisce Formiggini come «il
filosofo del riso, e del riso proprio dell’uomo come pianto, egli suol ragionare eloquente, con la sua lunga e bruna faccia malinconica»87.
Nel 1909 la Casa editrice Formiggini lancia il primo numero della collana Profili; il successo riscosso da questa pubblicazione convince Formiggini ad aumentare le dimensioni dell’azienda e nel 1912 crea I classici
del ridere.
Interventista, nel 1915 parte volontario per il fronte di guerra ma viene subito congedato. Nel 1918 fonda L’Italia che scrive (ISC), un periodico
mensile di informazione libraria che si occupa di tutte le questioni inerenti alla vita del libro italiano in quanto fondamentale alla vita nazionale. Nel 1921 è amministratore dell’ IPCI (Istituto per la Propaganda della
Cultura Italiana) e in queste vesti propone il progetto della Grande Enciclopedia Italica, che viene bocciato da Giovanni Gentile. A questo rifiuto
Formiggini reagisce pubblicando, nel 1923, La ficozza filosofica del fascismo
e la marcia sulla Leonardo.
La ficozza, in dialetto romanesco, è il bernoccolo che spunta sulla testa in
conseguenza di un colpo ricevuto: per lui, Gentile era il colpo e l’escrescenza
cresciuta sulla testa del fascismo. Il libro è insieme un bilancio della sua attività,
una satira anti-gentiliana e uno sfogo, ironico e amaro, per la prepotenza subita:
il Formiggini resta un ammiratore di Mussolini e, se pure intravede quanto di
autoritario si cela nel fascismo, si limita a osservare che «il fascismo è una gran
bella cosa visto dall’alto; ma visto standoci sotto fa un effetto tutto diverso».88
La casa editrice Formiggini, pur cambiando proprietà e nome, comincia a declinare negli anni Trenta con l’avvento delle leggi razziali e la
La prefazione si trova nel volume Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari.
http://liceoformiggini.scuolaer.it/allegato.asp?ID=13469 [data ultima consultazione 13/11/11]. Nel sito non è presente nessun riferimento bibliografico all’opera di
Pascoli da cui è stata estrapolata la frase.
88 it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Fortunato_Formiggini [data ultima consultazione 13/11/2011]
86
87
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Parte prima – Capitolo quarto
propaganda antisemita; Formiggini decide di tornare a Modena dove si
suicida. Di quegli anni sono importanti gli scritti, pubblicati nel dopoguerra, Parole e libertà, in cui l’autore, oltre all’invettiva antifascista, invita gli ebrei a sciogliere la propria identità culturale e religiosa.
3.3.1. Il suicidio
Il 27 giugno 1938 la commissione per la razza, creata dal governo fascista formula la teoria razziale: in questo periodo Formiggini prende
coscienza della sua imminente fine, e dichiara la volontà di suicidarsi in
un’epigrafe scritta il 21 agosto dello stesso anno. Il 17 novembre vengono emanati i Provvedimenti per la difesa della razza italiana e il 28 Formiggini parte per Modena con un biglietto di sola andata per suicidarsi
il giorno successivo, gettandosi dalla torre Ghirlandina. Pochi giorni
prima del suo gesto scrive un’epigrafe per spiegare la sua volontà di
morire:
Né ferro né piombo né fuoco
possono salvare
la libertà, ma la parola soltanto.
Questa il tiranno spegne per prima.
Ma il silenzio dei morti
rimbomba nel cuore dei vivi.89
Formiggini è stato il primo ebreo a suicidarsi a causa delle leggi razziali, un suicidio di protesta. Nel punto dello schianto è presente una
lapide con scritto, in dialetto modenese, “il tovagliolo di formaggino”,
volontà espressa nelle molteplici lettere scritte in quei giorni ma mai
spedite: « non sudario ma tovagliolo, che era parola più allegra e simposiale, idonea a suggerire la limitatezza – l’angustia quasi – in cui certa
morte espleta il suo agevole lavoro»90.
[…] il Dizionario del fascismo di Einaudi, che alla voce dedicata all’editore afferma «Nel 1938, l’intensificarsi della campagna antisemita fece maturare in Formiggini – prima ancora della promulgazione delle leggi razziali, e anche della
http://liceoformiggini.scuolaer.it/allegato.asp?ID=13469 [data ultima consultazione 13/11/2011].
90
www.bibliomanie.it/angelo-fortunato-formiggini-editore-opposizione-italiafascista-castronuovo-htm [data ultima consultazione 13/11/2011].
89
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
121
pubblicazione del “Manifesto degli scienziati razzisti” – l’idea di un suicidio di
protesta. Fra giugno e novembre, con una serie di poesie ed epigrafi amareggia
Mussolini, ai modenesi, egli prese congedo.91
3.3.2. La filosofia del ridere
L’ideologia di Formiggini si basa sulla necessità della tolleranza religiosa e politica, sulla solidarietà e sulla «percezione possibile di più veri
relativi anziché del vero assoluto»92.
Durante il periodo universitario alla Sapienza di Roma Formiggini è
stato allievo di Labriola. Il maestro, sullo studente, ha esercitato delle influenze soprattutto per quanto riguarda il socialismo93 e la proposta pedagogica di abolire la religione nelle scuole elementari. Formiggini crede
superfluo l’insegnamento della religione nelle scuole elementari e necessario quello critico-scientifico nelle scuole universitarie, perché a favore
del libero pensiero, fondato sulla libertà e su discussioni profonde.
[…] i giovani (…) debbono acquistare la tolleranza scientifica per tutti i sentimenti e per tutte le opinioni, il senso della relatività delle cose e delle idee (…)
La filosofia deve soprattutto esercitare la sua funzione civile nel liberare la mente dagli errori e dai pregiudizi che la ingombrano […].94
Centrale nel pensiero di Formiggini è la filosofia del ridere, argomento e titolo della sua seconda tesi di laurea presso l’Università di Roma
“La Sapienza”. Egli considera il riso come una manifestazione della vita,
un elemento diagnostico per comprendere il carattere dell’individuo.
Ogni moda che s’affaccia o che scompare porta seco scaturigini di riso: esilara tanto il damerino, «la macchietta», che si fa precursore della moda mettendosi due pantaloni larghi larghi mentre tutti ancora li portano stretti, quanto e più
ancora esilarano i ritardatari. La pelliccia del compianto prof. Antonio Labriola
Ibidem.
A. F. FORMIGGINI, Filosofia del ridere. Note e appunti, a cura di LUIGI GUICCIARDI,
Bologna, Editrice Cleub, 1989, p. 8.
93 Formiggini, in relazione al socialismo, che egli considera all’avanguardia del
libero pensiero, non è influenzato soltanto da Labriola, ma anche dalla riforma del
sistema di pubblica istruzione in direzione della meritocrazie della ragione e dalla
necessità della lotta fiscale dello Stato contro la proprietà e il capitale. Cfr. Ivi, p. 24.
94 Ibidem.
91
92
122
Parte prima – Capitolo quarto
ha suscitato, per parecchi lustri, l’ilarità degli studenti e dei giornali giocosi di
Roma; a Modena c’è un professore di filosofia che delizia i suoi concittadini ogni volta che, nelle grandi occasioni, o nei funerali, si arma di uno storico cilindro «qual istrice pungente».95
Il riso nella vita di Formiggini, dunque, è stato una costante che è riuscita ad influenzare anche la morte dell’editore modenese; infatti anche
nel suo suicidio troviamo tracce di umorismo, dalla volontà di avere sul
luogo della tragedia una targa con scritto in dialetto «il tovagliolo del
formaggino», alla stessa scelta del suicidio per le leggi razziali che avrebbero tolto completamente il riso dalla vita dell’editore.
Il 28 febbraio 1907 si laureò a Bologna, […], con una tesi in Filosofia morale,
dal titolo che riassume un programma di vita e di lavoro, dell’uomo e
dell’editore: La filosofia del ridere. “Il ridere – scrive Ernesto Milano – sua esigenza insopprimibile e irrefrenabile perché interamente radicato nel proprio temperamento che lo porta necessariamente al comico, è assurto in Formiggini in
dottrina, e di qui pratica di vita”. E per usare le parole dello stesso Formiggini:
“il ridere non si trova in tutti gli animali; nel vero e completo senso della parola
si trova solo nell’uomo e costituisce…il più caratteristico sigillo dell’umanità.96
La filosofia dell’umorismo, come è stato affermato nei capitoli precedenti, ha caratterizzato anche la vita, l’opera, il pensiero e la scrittura di
Labriola97. Essa ha influenzato anche, quindi, la formazione della filosofia del ridere di Formiggini, ad un punto tale che Formiggini stesso si
potrebbe considerare la filosofia dell’umorismo labrioliana fatta persona.
Già il Programma didattico annunciava infatti una filosofia morale positivistica,
coi dati emergenti della «scientifica tolleranza» e della «relatività evolutiva della
morale» (via via mediati tra Spencer e Ardigò, Tarozzi e Labriola), […].
Ivi, p. 158.
liceoformiggini.scuolaer.it/allegato.asp?ID=13469 [data ultima consultazione
13/11/2011].
97 In relazione al rapporto che intercorre tra Labriola e Formiggini, è significativo
ricordare che il maestro aveva una grande stima verso il suo allievo; infatti,
nell’anno accademico 1902-1903, quando Labriola era già privo di voce per la sua
malattia dettava e faceva poi leggere i suoi appunti proprio a Formiggini. Inoltre,
l’editore modenese partecipò al funerale di Labriola prendendo la parola per un discorso commemorativo. Cfr. C. PADRONI, Emilia Formiggini Santamaria. Storica della
pedagogia e della scuola, Roma, Aracne, 2004, p. 106.
95
96
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
123
Nell’intersezione a breve raggio fra programmazione didattica e disamina critica, colpisce infatti nell’opera maggiore un’analoga distanza da ogni linea crociana (a partire dall’interesse «filosofico» ed «estetico» del ridere) , […].98
3.3.3. Alcuni appunti di Formiggini su Labriola99
Roma 4.II.1903
Il problema pedagogico della istruzione religiosa nelle scuole laiche.
Avendomi oggi il prof. Labriola richiesto quale fosse il titolo della mia tesi,
formulai il titolo soprascritto.
Ne parlai jeri anche approssimativamente col prof. Credaro, cui anzi mostrai
ed offrii il mio opuscolo «La coltura religiosa in Italia».100
Scopo della mia tesi sarebbe il dimostrare come in Italia si dovrebbe fare tutto il contrario di quello che ora si faccia, cioè abolire l’insegnamento religioso
nelle scuole elementari ed introdurre invece l’insegnamento critico scientifico
nelle scuole universitarie, seguendo l’esempio delle altre nazioni.101
Roma 9.II.1903
Antonio Labriola.
Ecco un giorno che io non dimenticherò tanto presto: Antonio Labriola ha
subito una operazione di tracheotomia nell’ultimo autunno. Quest’anno fa lezioni alla università dettando alla meglio. L’illustre uomo ha l’abitudine di farsi
accompagnare da qualcuno da Aragno dopo aver fatto lezione. Oggi
l’accompagnai io pure; vi erano anche il dott. Ettore Zoccoli e il dott. Marucci.
Durante il tragitto fra la Sapienza e l’Aragno egli dichiarò: Formiggini è un giovane che mi è simpatico molto; lo ringraziai. Da Aragno offrì il caffè a me pure.
Durante la conversazione saltò su a parlare anche degli Ebrei. Disse che sono
tutti sporchi e vigliacchi, che non hanno né morale né religione. Disse di non
capire come in Italia, dove saranno in tutto 40.000 ebrei, vi sia un ebreo ministro, che un ebreo non dovrebbe diventar generale, che gli ebrei dovrebbero sì
avere diritti civili, ma che non dovrebbero partecipare alle funzioni dello Stato.
Che Heine fu grande, ma che fece la spia. Compiere un atto sodomitico passivo,
Ivi, p. 12.
Il libro A. F. FORMIGGINI, Filosofia del ridere. Note a appunti, cit., è diviso in due
parti. La prima parte è formata da una dissertazione sulla filosofia del ridere, mentre la seconda parte è composta da una raccolta di appunti di Formiggini di cui fanno parte gli appunti presenti in questo paragrafo.
100 A. F. FORMIGGINI, op. cit., p. 207.
101 Ivi, p. 207.
98
99
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Parte prima – Capitolo quarto
egli disse, senza però usare nessuna perifrasi, era cosa pensabile in un letterato,
ma far la spia è roba da ebrei.
Gli dissi che le sue teorie mi sembravano essere in stridente contrasto coi
suoi principi ultra liberali; dissi che noi abbiamo il dovere di opporci agli odii
atavici di razza, che ammesso anche che la razza sia degenerata ed inferiore noi
dobbiamo sollevarla, non condannarla come già nel Medio Evo ad un inferiorità
forzata.
Non ebbi però il cuore di dirgli con chi parlasse per non procurargli una seccatura. Conto però una volta o l’altra di ritornare con lui sopra questo penoso
argomento.
È più sconfortante la sola deposizione del Labriola contro gli Ebrei che non
quella di tutti i preti o pretizzanti unti insieme.102
La «Corda Fratres» e la Filosofia della Storia.
Si potrebbe, esaminando i prodromi dell’attuale spirito di umana fratellanza
e studiando il parere che su questo punto espressero i Filosofi, intessere una
serica ed utile tesi di laurea.
Roma, 18.VI.1903103
Ivi, pp.207-208. Da questa nota di Formiggini emerge la figura di un Labriola
“antisemita”. In realtà Labriola, prediligendo un rapporto dialettico con i suoi discenti, potrebbe aver mosso questa forte critica al popolo ebraico solo come forma di
provocazione per generare un interessante dibattito politico. Il pensiero di Labriola
su tale argomento, infatti, sembra essere di natura politica e non prettamente culturale e razziale, tuttavia rappresenta sicuramente un lato della personalità e del modo di pensare del cassinate; lato decisamente inaspettato, poiché Labriola si è sempre dichiarato contrario ad ogni forma di razzismo, come di mostrano queste parole: «A penetrare le ragioni effettive della relatività del progresso occorreva ben altro.
Bisognava innanzi tutto rinunziare a quei pregiudizii, i quali sono impliciti nella
credenza, che gl’impedimenti alla uniformità del divenire umano riposino esclusivamente sopra cause naturali ed immediate. Codesti impedimenti naturali, o sono
assai problematici, come è il caso delle razze, nessuna delle quali ha in sé l’ingenito
privilegio della storia, […]». Cit. da N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra
nuove carte d’archivio, ricerche, didattica, cit., pp. 349-350.
103 Ivi, p. 210. La Corda Fratres è un’associazione internazionale di studenti per
avere un unione tra diversi popoli: «Era lo stesso atteggiamento, la stessa aspirazione alla fraternità universale, che dovettero animarlo quando, giovane studente di
filosofia a Roma, e diligente trascrittore delle lezioni di Antonio Labriola, divenne
presidente dei Corda Fratres, associazione internazionale fra studenti, che si batteva
per “la concorde unioni di popoli diversi e lontani”, per un avvenire di fiducia, di
rispetto, di intese – in una parola per il trionfo di comuni valori umani». Cit. da C.
PADRONI, op. cit., pp.105-106.
102
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
125
Ieri ho dato l’esame di Filosofia della Storia col prof. Labriola. Mi interrogò
sull’idea del «progresso». Io con felice improvvisazione mostrai, come già il
Professore aveva fatto nella scuola, quanto più lato sia il concetto generico di
evoluzione che non quello specifico di progresso. Ma poi aggiunsi come l’idea
del progresso possa essere anch’essa considerata secondo diversi aspetti. Così,
dissi, si potrebbe rifar la storia considerando di quanto nei secoli e nelle epoche
successive l’umanità si sia avvicinata all’idea della Pace Universale.
Roma 29.VI.1903104
3.4. Emilia Santamaria Formiggini
Emilia Santamaria nasce a Roma nel 1877. Nel 1899 si iscrive
all’Università di Roma “La Sapienza” dove segue, tra gli altri, i corsi di
filosofia di Antonio Labriola; si laurea nel 1903 in filosofia con una tesi
dal titolo Le idee pedagogiche di Leone Tolsoj, relatore Luigi Credaro.
Nel 1906 inizia ad insegnare presso le scuole di Genova e Bologna e
sposa Angelo Fortunato Formiggini. Tra il 1909 e il 1912 stampa le sue
più importanti opere di carattere storico-educativo, L’istruzione popolare
nello Stato Pontificio (1824-1870)105 e L’istruzione pubblica nel Ducato Estense
(1772-1860).
Durante la prima guerra mondiale presta la sua opera come infermiera in un ospedale da campo; successivamente si trasferisce a Roma dove
il Ministero della Pubblica Istruzione le affida l’insegnamento di filosofia
nel liceo Umberto I, che condurrà per tre anni. Nel periodo di lavoro
romano la studiosa collabora alla Rivista Pedagogica diretta da Luigi Credaro, il quale rappresenta una figura di spessore sullo scenario filosofico
italiano dell’epoca.
Nel 1919 Santamaria adotta un bambino di 3 anni e comincia ad organizzare in un diario le sue esperienze di madre, che pubblicherà nel
1926 col titolo Giornale di una madre.
Nel 1938 il marito colpito dalle leggi razziali si suicida gettandosi da
una torre di Modena e nel 1941 il Ministero della Pubblica Istruzione, in
possesso della documentazione dell’arianesimo della Santamaria, la induce ad un riposo forzato; nel 1943, rifiutandosi di giurare fedeltà al reA. F. FORMIGGINI, op. cit., 207.
Questo libro coincide, quasi completamente, con il testo delle seconda tesi di
laurea in Lettere, che Santamaria ha discusso il 20 aprile 1905, sempre con relatore
Credaro.
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105
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Parte prima – Capitolo quarto
gime fascista, viene esonerata dalla libera docenza, per poi venir riabilitata nel 1946.
Tra il 1948 e il 1971 continua a pubblicare vari volumi tra cui
un’opera su Fröebel. Muore nel 1971 all’età di 94 anni.
3.4.1. La pedagogia e Tolstoj
La formazione della Santamaria è difficilmente sintetizzabile in un
unico indirizzo. Ella definisce la propria posizione nella prefazione del
Giornale di una madre.
Oggi per timore di essere giudicati pedestri, pratici, empirici, parecchi che
potrebbero scrivere utili cose educative sono condotti a intrattenersi di preferenza su problemi d’indole generale o su ricostruzioni storiche, studi che corrispondono anch’essi senza dubbio a un bisogno della nostra disciplina, me che
restando estranei alla maggioranza degli educatori, non hanno quel risultato al
quale principalmente mira la pedagogia. Essa è anche sguardo al passato e costruzione organica, ma vuole principalmente compenetrare di sé la coscienza
dei presenti e futuri educatori.106
La pedagogista rispetta alcune idee del positivismo come il valore
delle scienze particolari e il valore dell’esperienza contro l’apriorismo;
inoltre accetta «quel ruolo primario affidato alla psicologia, pure se condanna la pedagogia sperimentale svolta nei laboratori»107.
Centrale, dunque, è l’interesse della Santamaria verso le teorie pedagogiche, in particolare verso la pedagogia di Leone Tolstoj, oggetto della
sua prima tesi di laurea.
Già negli anni dell’università la Santamaria viene alimentando l’interesse
per l’aspetto storiografico degli studi pedagogici e pone al centro della sua tesi
di laurea in filosofia la figura di Leone Tolstoj pedagogista; si tratta comunque
di una scelta coraggiosa che intende fornire precise risposte sia sul piano teoretico che su quello etico, in un momento in cui, rispetto al pensatore russo, prevalevano ancora le posizioni tipiche di un indirizzo critico di tradizione ottocentesca. Questo era proiettato alla conferma dell’indiscussa genialità del narratore e nello stesso tempo non esitava a respingere le drastiche teorie sociali e artistiche del pensatore. Era fiorita un’intera letteratura di “critica a Tolstoj” tesa a
106
107
Cit. da C. PADRONI, op. cit., p. 15.
Ivi, p. 16.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
127
sostenere che “le teorie avevano ucciso in lui l’artista”, dunque a svalutare
l’aspetto teoretico del pensatore del grande Russo mentre la sua arte non veniva
indagata nella ricca complessità, e la narrativa era recepita nella sua pregnanza
letteraria in un’ottica scevra da teorizzazioni. Anche l’aspetto pedagogico di
Tolstoj venne a lungo sottovalutato e questo fu uno motivi che indusse la Santamaria a occuparsene, consapevole dell’evidente latitanza dell’attività critica;
[…].108
Per Tolstoj l’educazione è «una tendenza al dispotismo morale assunto nella sua integrità»109. Egli è convinto che la natura abbia una bassa
capacità di sviluppo tale da non riuscire a supportare né l’attività razionale dell’uomo, tantomeno la scienza: «l’educazione è solo la pressione
di uno spirito su di un altro, con lo scopo di forzare l’allievo ad assimilare una somma di abitudini intellettuali e morali»110. Dando al termine
educazione un valore negativo, Tolstoj, conseguentemente, considera
l’istruzione pubblica, l’obbligo scolastico e la figura del maestro inutili,
poiché incapaci di fornire all’allievo i contenuti e le competenze che egli
desidera ricevere. Alla base della teoria pedagogica dello scrittore russo,
infatti, c’è «un’idea di libertà incondizionata: il fanciullo deve essere libero di frequentare o no la scuola, di ascoltare le lezioni o di andarsene,
di ridere, correre, scherzare, gridare o fare quanto altro vi venga in mente»111.
Il giudizio di Tolstoj, critico e in parte iconoclasta, nei confronti
dell’educazione, e avverso alle leggi che regolavano l’obbligo scolastico (che, a
suo parere, andava abolito), è spiegato dall’autrice attraverso l’accusa precisa
che Tolstoj muoveva alla particolare configurazione dell’istruzione pubblica
tipica della Russia sua contemporanea e attraverso la rilevazione della diretta
responsabilità di chi dirigeva ed esercitava l’insegnamento in modo insufficiente e arbitrario. Per Tolstoj la scuola, con le sue costrizioni, si presentava dunque,
agli occhi del bambino, come un luogo di privazioni, nel quale le proibizioni
impedivano lo sviluppo dell’indipendenza e dell’individualità della persona, la
quale, di fatto, doveva piegarsi alla volontà del maestro che di volta in volta adottava il metodo più vantaggioso ai suoi fini.112
Ivi, p. 105.
Ivi, p. 108.
110 Ibidem.
111 Ivi, p. 109.
112 Ivi, p. 109-110.
108
109
128
Parte prima – Capitolo quarto
Secondo Tolstoj la scuola è “scuola del popolo”, popolo identificato
nella classe dei contadini, per lo scrittore russo l’unica classe realmente
produttiva, mezzo per il progresso e per la civiltà.
Pur essendo affascinata dalla pedagogia di Tolstoj, Santamaria ha una
considerazione diversa dell’educazione.
La Santamaria scava in profondità nelle ragioni storiche e sociali che hanno
portato Tolstoj a formulare le sue convinzioni, ma nel contempo muove precise
critiche nei confronti degli aspetti più apertamente paradossali di tali pensiero:
così rispetto a un’idea di libertà incondizionata, da anteporre a qualsiasi altro
principio di metodologia didattica, oppone, in sede educativa, un esercizio della
libertà vincolato a norme che assicurino la convivenza civile, a sua volta articolata e regolamentata da leggi, nel rispetto di un ordine riconosciuto e voluto
dalla collettività.113
3.2.2. Il rapporto con Labriola: dalla pedagogia alla prefazione della
tesi di laurea
Tra le personalità che hanno influenzato la formazione della Santamaria c’è sicuramente quella di Labriola. Ella ha fatto propri alcuni principi dell’ideologia labrioliana come l’antidogmatismo e l’antiaccademismo:
le lezioni di Labriola, infatti, assumevano «i toni di una conversazione familiare e rifuggiva sempre degli schemi rigidi della lezione cattedratica»114.
Un altro punto d’incontro tra i due pedagogisti riguarda proprio la
pedagogia. Entrambi credono in una pedagogia che non s’identifica soltanto con la scienza ma, anche, con la meditazione, con la ricerca e il superamento di tutto quello che ostacola il libero sviluppo dell’individuo,
a favore del libero sviluppo dell’umanità.115
Si tratta di indicazioni di cui la Santamaria si è nutrita sia nella pratica educativa che nei risultati teorici calati nelle sue pubblicazioni; un esempio è il
Giornale di una madre il diario di un’azione vera, di un’educazione non fittizia
ma reale, nel cui sviluppo è bandita ogni astrazione.116
Ivi, p. 111.
Ivi, p. 16.
115 Cfr. Ivi, p. 17.
116 Ivi, p. 17.
113
114
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
129
Il rapporto tra Labriola e Santamaria è caratterizzato, dunque, da una
stima reciproca che porta la studiosa a chiedere al suo professore una
prefazione per la pubblicazione della sua tesi di laurea su Tolstoj.
L’autrice di questo scritto mi richiede d’un breve preambolo, come se io rivolgessi la parola ai lettori in vece sua.
A tale onesta domanda io non so opporre rifiuto. Ebbi a scuola, uditrice intelligente, paziente, attentissima per quasi cinque anni, la signorina Santamaria,
che tenni sempre in conto d’una studente modello. Alla sua buona volontà
nell’apprendere, alla sua intelligenza, alle sue doti del suo carattere serio e operoso, io rendo volentieri questo schietto attestato di stima.
Questo scritto va considerato per quel che è; e ossia per una tesi di laurea,
che ora vien fuori per le stampe proprio tal quale come essa fu sottoposta
all’esame della Commissione che ebbe a farne molto lusinghiero giudizio nel
Luglio dell’altro anno. Ora io devo dire, qui, che in questo lavoro io non ebbi
parte alcuna. Non fui io a suggerirne il tema alla signorina allora candidata.
Non concorsi alla redazione nemmeno con l’indicare, o titoli di libri o […].
Ammiro il coraggio della scrittrice, che volle assoggettarsi alla non lieve fatica,
tanto più ardua per lei, che, come da supporre, non conosca la lingua russa. Mi
rendo conto della soddisfazione, che ella può aver provato, nel presentarsi alla
laurea con un tema insolito. Ma non intendo però di venir qui esperimendo, così per incidente le mie vedute sulla Russia e su Tolstoi. Insomma il lettore sappia che l’autrice parla per conto suo, e che io non isto qui a mettere sotto il mio
patrocinio le opinioni sue.
Non è questa la prima volta che il Tolstoi vien fatto argomento ad una tesi di
laurea. Ne fu svolta una molto ampia all’Università di Roma - curioso caso! appunto da una signorina uscita d’una famiglia di rivoluzionari russi. Quel lavoro è di ampie proporzioni, e abbraccia tutto l’insieme della filosofia di Tolstoi;
- se tal nome di filosofia è mai appropriabile ai pensamenti del singolare autore.
Negli appunti bibliografici, che la Santamaria reca in fine di questa dissertazione, manca precisamente il nome di quella dottoressa Axelvod.
Il lavoro della dottoressa russa mira a penetrare tutto l’intimo dei pensieri
del Tolstoi, e li sottopone a severe critiche, in tono spesso polemico. La dottoressa italiana, si muove sopra un terreno, dirò, più pratico. Si dedica cioè ad esaminare, sotto l’aspetto dell’applicabilità positiva, le idee pedagogiche del solitario russo.
Non mi pare sia qui il luogo di polemizzare su la utilità positiva delle vedute
di Tolstoi, quanto al partito che può trarne questo nostro mondo occidentale.
Dico, di volo, come io per conto mio mi sento troppo lontano dalla Russia, la
quale ci offre così spesso i duplicati in ritardo, e punto genuini, delle forme di
130
Parte prima – Capitolo quarto
vita e di pensiero che da noi appartengono oramai al regno delle cose che furono, perché io possa considerare il Tolstoi per qualcos’altro di più d’un singolare
obietto di curiosità.
Ma, tornando alla buona autrice di questo scritto, semplice e modesto, io
faccio a lei il vivo ed affettuoso augurio, che, progredendo negli studi, possa
rendersi ben merita della scuola italiana.117
Come si evince dalla prefazione, Labriola prende le distanze dalle teorie di Tolstoj in quanto, a suo parere, «molto lontano e superato dalle
condizioni storiche e culturali conquistate dal progresso occidentale,
quindi confinato nel ruolo di illustre rappresentante dell’arretratezza di
una civiltà e di un sentire tipici della società russa del tempo»118. Il filosofo, vedendo la Russia da lontano, realizza su di essa un discorso storico.
Egli, infatti, afferma di sentirsi troppo distante dal mondo russo, poiché
a confronto con l’Europa occidentale esso è rimasto indietro. La Russia
deve imborghesirsi, deve trasformare la terra in merci per cominciare a
produrre, e al tempo stesso deve trasformare in proletari gli ex comunisti delle campagne.
Sul tema Russia Labriola asserisce quanto segue:
E poi non è forse l’Europa stessa suddivisa alla sua volta in un suo proprio
Oriente ed Occidente? La linea di demarcazione non è certo assegnabile come in
un tracciato topografico; e nessuno vorrebbe dire, che, al di là di essa, vegeti ancora sonnolenta la preistoria scitica e sarmatica. Ma è sempre vero che la Russia,
al confronto di questi stati dell’Europa mediana e occidentale, sorti e svoltisi da
costanti rivoluzioni, che han rimescolato così spesso tutti gli elementi sociali
dall’imo della superficie, e dalla periferia al centro, e viceversa, rimane per noi
come un qualcosa di straniero, che sa sempre di bizantino e di mongolico tuttora. La posizione attiva è sempre tenuta, alla fin delle fini e nel tutt’insieme, dai
neo-germani e dai neo-latini: e ci troviamo perciò rimandati alla lunga tradizione della civiltà mediterranea antica, continuatasi nella unità cattolica del medioevo.119
117
E. SANTAMARIA, Le idee pedagogiche di Leone Tolstoi, Bari, Laterza, 1904, pp. V-
VI.
C. PADRONI, op. cit., p. 106.
Cit. da N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio,
ricerche, didattica, cit., p. 350.
118
119
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
131
3.5. Luigi Pirandello
Luigi Pirandello, prima di un diverbio con un professore di latino che
lo costringe a trasferirsi a all’università di Bonn, è stato studente di Labriola presso la facoltà di Lettere dell’Università di Roma.120 Di Labriola,
Pirandello fa menzione all’interno di una lettera ai suoi genitori, riportata sotto, datata 9 febbraio 1889, in cui, in maniera umoristica, l’illustre
studente racconta di una giornata di tensioni studentesche.
All’università oggi grande dimostrazione di studenti: hanno fischiato un
professore, Antonio Labriola, che ieri spingeva gli operai a insorgere. Molti e
molti però lo hanno applaudito – si è fatto baccano, un baccano indescrivibile:
vi rimando al principio del canto terzo dell’inferno dantesco. Tra i tanti fischi e
tanti applausi distruggentesi per comporre un pandemonio, io ho riso, conservando il mio sangue freddo, oltre che per imposizione del medico, anche perché
più che a rabbia mi moveva a pietà tutta quella gente ragionevole, che ragionava così malamente e in diverso modo, senza rispetto alcuno delle opinioni che
possono benissimo essere contrarie, me debbono discutersi sobriamente in un
luogo, che almeno dovrebbe essere fatto per questo. Come andrà a finire?121
Cfr. P. GUARAGNELLA, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e Luigi Pirandello, cit., p. 121.
121 L. PIRANDELLO, Lettere giovanili da Palermo a Roma 1886-1889, Roma, Bulzoni,
1993, p. 317.
120
132
Parte prima – Capitolo quarto
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
133
Figura 5 Scansioni del verbale presente nell'Archivio studenti dell'Università
di Roma "La Sapienza", che dimostra l'iscrizione di Pirandello nell'ateneo
romano e la frequenza al corso di Filosofia della storia di Labriola
134
Parte prima – Capitolo quarto
Inoltre, per testimoniare ulteriormente l’avvenuto incontro tra i due
autori in questione, il nome di Labriola si trova anche in una biografia di
Pirandello.
Ma tra i professori, che erano, oltre i già ricordati, il Bonghi, il Labriola,
[…], uno ve n’era che stimò subito il giovane Pirandello. Era Ernesto Monaci,
fra i pochi universitari di allora che tenessero a mantenere viva e aggiornata la
cultura accademica (un altro era il Labriola).122
La prima importante analogia riguarda il legame che intercorre tra
Labriola e Pirandello de I vecchi e giovani, nella rappresentazione della
vicenda dei Fasci siciliani e dello scandalo della Banca Romana. Nel
romanzo Pirandello si misura con un’Italia post-risorgimentale, una
Roma parlamentare infangata dallo scandalo della Banca Romana e una
Sicilia trattata come terra di conquista, dove è costante la presenza dei
Fasci. Labriola tratta questi argomenti in alcune lettere indirizzate ad
Engels, e in alcune corrispondenze giornalistiche con una rivista tedesca.
Egli racconta la situazione italiana del periodo, affermando che la Banca
Romana è ormai arenata, ed è «un ammasso di cambiali inesigibili e di
conti correnti che non occorrono». Il filosofo inoltre, dà ai suoi
corrispondenti anche notizie, che riguardano la formazione dei Fasci
siciliani, e la loro prossima rivolta, affermando di non tenerla per nulla,
poiché il capitano di questa rivoluzione «passa ore allegre con le cocotte
del “Caffé delle Varietà”». Il 9 gennaio 1894 Labriola informa Engels
circa la figura di Alessandro Tasca, che ha fondato il giornale Il Siciliano,
e che è stato costretto alla fuga. Questo personaggio appare anche nei
Vecchi e giovani, con il nome di Lando Laurentano, fuggiasco insieme agli
altri compagni.
Una successiva analogia, forse più nascosta, tra i due autori, ci fa
notare Guaragnella, è da ricercare nel mutismo, dovuto al cancro alla
gola, che colpisce Labriola. Questo silenzio forzato rimanda al silenzio,
dovuto ad uno shock, che danneggia Serafino Gubbio, protagonista
dell’omonimo romanzo pirandelliano I quaderni di Serafino Gubbio
operatore.
In questo romanzo narra la vicenda di Serafino, un cineoperatore che
quotidianamente annota in un diario tutti gli avvenimenti che riguardano le persone che lavorano nel suo ambiente, in particolare la storia di
un’attrice russa. Nella scena finale del romanzo Serafino riprende meccanicamente con la sua cinepresa una scena terribile. L’amante
122
G. GIUDICI, Luigi Pirandello, Torino, UTET, 1963, p. 110.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
135
dell’attrice russa sta girando una scena in cui deve uccidere una tigre e
invece di uccidere l’animale uccide l’attrice, per vendicarsi della sua insensibilità verso gli uomini e per la sua gelosia. Serafino, che sta filmando la scena, per lo shock diviene muto e rinuncia ad ogni forma di sentimento e di comunicazione.
Importante nell’opera è la figura della mano che gira la manovella
nell’intento di catturare la finzione della realtà recitata dagli attori. In
questo caso ci si trova di fronte ad un inasprirsi della condanna sancita
da Platone alla drammaturgia che, secondo il celebre filosofo greco, è
finzione della realtà: la riproduzione cinematografica costituisce la convenzionale ripetizione meccanica di quella finzione. Complementare alla
figura della mano è quella dell’occhio che essendo silenzioso rappresenta per sinestesia l’occhio della macchina. Mano e occhio, dunque, sono
due immagini che, nel testo, si trovano insieme in una forma particolare
di scrittura che appare mossa da una «pulsione si direbbe passionale di
reazione alla passività cui la macchina lo costringe. La stessa parte del
corpo, la mano, scrive tanto la grande banalità del mondo quanto la tragedia della vita!»123.
Serafino Gubbio e Labriola, in due contesti diversi, si sentono entrambi dei vegetali, due persone senza sentimenti, che hanno la sensazione di non vivere più dal momento in cui la voce li ha abbandonati.
A determinare un legame importante tra Labriola e Pirandello è comunque l’utilizzo della filosofia dell’umorismo come strumento con cui
rappresentare nella prosa teorie, vicende e personaggi.
Pirandello teorizza il concetto di umorismo nel Saggio del 1908, definendolo un processo di rappresentazione della realtà basato sulla riflessione, che non è più un elemento secondario, ma assume un ruolo di notevole importanza, poiché solo attraverso essa si possono capire realmente gli eventi, allontanandosi dal caos delle sensazione e dei sentimenti.
La riflessione è “come un demonietto che smonta il congegno, del fantoccio
messo su dal sentimento; lo smonta per vedere come è fatto; scarica la molla, e
tutto il congegno ne stride convulso”, come stridono i personaggi sotto l’occhio
acuti dello scrittore; […].124
P. GUARAGNELLA, Il pensatore e l’artista. Prosa del moderno in Antonio Labriola e
Luigi Pirandello, cit., p. 158.
124
http://balbruno.altervista.org/index-224.html [data ultima consultazione
10/11/2011].
123
136
Parte prima – Capitolo quarto
La riflessione dunque non si nasconde mai, né potrebbe essere eliminata o smascherata dalla coscienza, cosa che invece può succedere con i
sentimenti; «non è come lo specchio, davanti al quale l’uomo si rimira,
ma si pone davanti a ciascuno come un giudice, analizzando vicende e
personaggi, con obiettività e imparzialità, scomponendo l’immagine di
tutte le cose, le vicende e i personaggi stesi nelle loro componenti: da
questa scomposizione nasce quello che Pirandello chiama avvertimento
del contrario»125. Con l’umorismo, dunque, proprio per l’attività di riflessione, che «genera il sentimento del contrario, il non saper più da
qual parte tenere, la perplessità, lo stato irresoluto della coscienza»126
sembra nascere una nuova visione della vita, dove si entra più profondamente nella realtà e dove si verifica lo scontro tra illusione e riflessione.
Il sentimento del contrario, quindi, distingue lo scrittore umorista dal
comico, perché riesce ad assumere un atteggiamento diverso nei confronti della realtà. Al comico manca la riflessione, all’avvertimento del
contrario egli si accontenterà soltanto di sgonfiare l’illusione ridendone
solamente; l’umorista, invece, attraverso il ridicolo vedrà il lato serio e
doloroso della vita, smonterà l’illusione ma non per riderne solamente,
bensì per provare anche compassione.
Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa da quale orribile manteca (composizione di olii vari, ndr.), e poi tutta goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere.
Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione
comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene
in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse
nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa
soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le
rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane
di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andare oltre a quel primo avvertimento, o
piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto
125
126
Ibidem.
Ibidem.
Labriola professore: influenze sui suoi studenti
137
passare a questo sentimento del contrario, ed è tutta la differenza dal comico
all’umoristico.127
A questo punto, si può ipotizzare che Labriola prima e Pirandello poi,
abbiano usato la filosofia dell’umorismo come tecnica di scrittura poiché
essa sostiene che il compito dello scrittore umorista sia quello di «smascherare tutte le vanità che possono albergare nell’animo umano, la velleità d’aver scoperto i fondamenti della vita e il dramma del rendersi
conto che quei fondamenti restano sconosciuti»128. Inoltre, è importante
dire che, mentre chiunque può percepire l’aspetto comico, in quanto cosa o comportamento che avviene in modo contrario a quello che tutti ritengono normale, l’aspetto umoristico viene compreso e sentito solo da
coloro che usano la riflessione, e quindi non dalla massa poiché questa
segue regole generali accettate cecamente che, quindi, non permettono la
riflessione individuale, importante sia per Labriola che per Pirandello.
127
L. PIRANDELLO, Cento novelle, Santarcangelo di Romagna (Rn), R.L., 2008, p.
XIV.
128
http://balbruno.altervista.org/index-244.html [data ultima consultazione
10/11/2011].
Parte seconda
DIREZIONI D’INDAGINE
Capitolo primo
Recensire Labriola tra testi e contesti
1.1. Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche, didattica
Il libro Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche, didattica a cura di Nicola Siciliani de Cumis è un «libro “per saggi”, volti
nell’insieme a chiarire l’intrinseca organicità dell’esperienza storicofilosofica, etico-politica, individuale e sociale di Antonio Labriola, è finalizzato anzitutto ad ulteriori ricerche concernenti l’intero Labriola, sul
presupposto, per l’appunto, di tale essenziale, non disattendibile unitarietà»129.
Dal punto di vista di chi scrive e conseguentemente in base al tema
centrale di questa tesi, forse a causa del numero rilevante di pagine, accanto ai diversi profili di Labriola filosofo, politico, pedagogista e insegnante, non viene dato il giusto rilievo al Labriola scrittore e linguista:
[…] uno studioso, concludendo un breve, ma denso profilo critico di Antonio Labriola, rilevava con sicurezza interpretativa che nonostante il filosofo cassinate dichiarasse «di scrivere senza artifici, in realtà dimostrava un gusto saggistico, degno al tutto della sua ammirazione per Bruno, Galileo e Diderot […]»:
a tal punto che si sarebbe potuto sostenere che «l’attenzione di Labriola alla sua
scrittura era non meno continua dei suoi interessi ai problemi di linguistica, di
etimologia, di semantica […]». Per questo Nicola Badaloni – lo studioso a cui si
alludeva – auspicava che, «sulla base di analisi particolareggiate», ci si impegnasse finalmente a dimostrare «l’alta qualità» di Labriola scrittore: una qualità
«da far meravigliare come mai anche nelle storie della letteratura […] sia stata
dimenticata una così viva presenza».130
Il testo costituisce dunque, da una parte, una base per le ricerche e
indagini didattiche per gli studenti131 del modulo di Pedagogia generale
N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, , cit., p. 9.
130 Cfr. infra, p. 21.
131 Il coinvolgimento degli studenti può riportare al significato di maieutica labrioliana vale a dire l’insegnamento un’attività ordinata destinata a produrre
un’ulteriore attività.
129
142
Parte seconda – Capitolo primo
dei corsi di laurea triennale e magistrale in Scienze dell’educazione e
formazione e Pedagogia; dall’altro un ulteriore e significativo risultato
delle ricerche pluridecennali del “Laboratorio Labriola”, in quanto propone uno studio «sul tema della formazione dell’opera di Antonio Labriola e sul Labriola, in quanto uomo di cultura, personalità di studioso,
educatore politico»132.
Un Labriola dopo Labriola, in altri termini, che pur nei limiti soggettivi e oggettivi della multilaterità e insieme dell’unitarietà dell’indagine, prova a restituire
organicamente un intreccio in via di ipotesi significativo delle diverse e complesse visioni prospettiche della medesima maieutica labrioliana. La quale viene
qui rievocata, ora “per analogia” ora “per differenza”, nel suo farsi formativamente attiva due volte “da un secolo all’altro”: tanto all’interno, cioè, della vicenda intellettuale, universitaria, etico-politico-culturale e pedagogica di Labriola e della dimensione otto-novecentesca, che ad essa fu peculiare; quanto
nella successiva ripresa dei termini di una storia a suo modo memorabile e soggettivamente istruttiva, ancora cento anni dopo, nel passaggio dal Novecento al
Duemila.133
1.1.1. Il progetto
Il “Laboratorio Labriola” dunque, attraverso il lavoro universitario di
Siciliani de Cumis, ha avanzato una «proposta di unificazione, riordino,
catalogazione e messa in uso delle Carte di Antonio Labriola, esistenti
negli archivi dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” ed in altre sedi archivistiche romane, pubbliche e private»134.
Qui appresso, pertanto, sono riportati alcuni passaggi essenziali del
progetto di archiviazione sopra descritto.
Il sottoscritto prof. Nicola Siciliani de Cumis, di seguito a ciò che ha potuto
accertare e documentare anche di recente, […], ritiene doveroso fare presente
l’esistenza in diversi luoghi della “Sapienza”, di un importante Fondo
d’archivio, concernente variamente le attività universitarie di Antonio Labriola,
dal 1873 al 1904. E le loro conseguenze didattiche e scientifiche nel corso del
Novecento.
Ivi, p. 15.
Ivi, pp. 10-11.
134 Ivi, p. 20.
132
133
Recensire Labriola tra testi e contesti
143
Si tratta in particolare, di lettere ufficiali, relazioni tecniche, verbali di facoltà, atti di concorso, registri d’esame, tesi di laurea, appunti di lettura, marginalia
in volumi acquistati da Labriola, bibliografie, emerografie, dossier di vario tipo,
ecc. Carte d’archivio cioè, di notevole momento per la storia della “Sapienza”; e
che, direttamente e/o indirettamente, attestano l’incidenza di Labriola nella
formazione di filosofi, pedagogisti, psicologi, sociologi, giuristi, letterati, professionisti, sacerdoti, uomini politici, giornalisti ecc. Giacché le relazioni universitarie di Labriola si estendono ad ambiti culturali e sociali cittadini, nazionali e
internazionali molto ampi; e considerato, che la stessa idea labrioliana di università comporta rapporti con altre università, con scuole di ogni ordine e grado,
con movimenti politici, con movimenti politici, associazioni culturali, professioni, giornali, istituzioni ed enti di diverso tipo. Ed è ciò, per l’appunto, di cui
nel Fondo d’archivio risulta ampiamente traccia.135
Di qui, la ragione per cui viene naturale l’idea di una ricomposizione archivistica dell’insieme: e, intanto, delle Carte labrioliane di cui l’Università di Roma “La Sapienza” dispone, nelle sue diverse sedi; quindi degli altri Fondi
d’archivio concernenti Labriola e la sua Università. Ricomposizione archivistica
d’insieme che, nella sua peculiarità e completezza, risulterebbe essenziale, sia
per un’effettiva conoscenza delle attività del Labriola professore universitario,
nell’Università in cui quotidianamente operò per un trentennio; sia perché, così
facendo, si otterrebbe contestualmente una pressoché inedita ricostruzione della
vita culturale della “Sapienza”, nelle sue relazioni con numerose e significative
istanze culturali, sociali, istituzionali del suo tempo […].136
Ne segue che,
[…] l’esigenza che tutte le Carte universitarie della “Sapienza” in vario modo
riferibili a Labriola (quelle fin qui reperite e quelle ancora da reperirsi), possano
essere ricomposte, riordinate e rese unitariamente disponibili al pubblico degli
studiosi e di quanti siano interessati al fatto che si serbi memoria di ciò che di
peculiare, di fondamentale e di profondamente innovativo Labriola ha rappresentato nei trent’anni e passa delle sue attività universitarie, e successivamente,
nella storia della vita scientifica e didattica della Prima Università di Roma.137
Ivi, pp. 20-21.
Ivi, p. 21.
137 Ivi, p. 22.
135
136
144
Parte seconda – Capitolo primo
Il progetto del “Laboratorio Labriola”, in base alle carte trovate, risponde pienamente agli obiettivi appena descritti nelle citazioni sopra.
In realtà, però, non vanno dimenticati gli importanti rapporti tra Labriola e i linguisti herbartiani tedeschi, in particolare con Wilhelm Von
Humboldt, il quale identifica il linguaggio come un prodotto e una manifestazione del vissuto e della cultura di un popolo. L’apprendimento
della lingua, dunque, consiste nell’acquisizione di un nuovo punto di vista sul mondo: una teoria, questa di Von Humboldt sulla lingua, che Labriola potrebbe condividere di sicuro.
Qui appresso, per dimostrare la possibile approvazione di Labriola
alle teorie linguistiche di Von Humboldt vengono riportati alcuni appunti presi da Emilio Taramasso e da Giulio Natali alle lezioni di Filosofia morale e pedagogia di Labriola rispettivamente negli anni accademici
1888-89 e 1893-94. Dagli appunti di Taramasso:
La scuola popolare è fondata sulla lingua nazionale, la quale non deve mai
essere adoperata con senso storico e filologico. Raramente vi si può introdurre
l’uso di una lingua straniera.138
Il punto di partenza del metodo è la parola. Un vecchio adagio dice: Tantum
scimus, quantum mamoriae tenemus, ma sarebbe meglio dire quantum verbis exprimere possumus. […] La dichiarazione ha per oggetto il definito ed è poggiata sulla parola; essa al principio è tutto, e in seguito va decrescendo. L’esposizione
suppone un lavoro più subbiettivo e personale del maestro; abbisogna della
preparazione delle parole, e di essere preceduta dalla dichiarazione.139
Dagli appunti di Natali:
La lingua nazionale è l’essenza della cultura, bisogna trattarne in quanto essa entra nell’insegnamento e in quanto oggetti d’insegnamento. Questa doppia
posizione non si nota nelle altre materie perché tutte le altre materie si imparano strettamente, esplicitamente, non anche indirettamente ed implicitamente
come la lingua nazionale.140
È importante ricordare, a questo punto, che il primo dossier a cura
del “Laboratorio Labriola” che risponde alle esigenze del progetto è stato Antonio Labriola e «La Sapienza». Tra testi, pretesti e contesti 2005-2006
edito Nuova Cultura. Questo testo raccoglie quasi tutto quello che «è
stato scritto e detto pubblicamente, a margine della mostra documentaN. SICILIANI DE CUMIS, Studi su Labriola, Urbino, Argalia, s. d., p. 252.
Ivi, p. 261.
140 Cfr. infra, p. 93.
138
139
Recensire Labriola tra testi e contesti
145
ria del marzo-maggio 2005, su Antonio Labriola e la sua Università. Il Gusto
della Filosofia; e sul relativo catalogo. Nella forma in qualche modo della
recensione»141. Il volume è, dunque, una raccolta di scritti che può essere
vista sia come un estemporaneo prolungamento delle attività per il centenario della morte di Labriola, sia come libro costituito da recensioni al
catalogo Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1383-2003) a cento anni dalla morte di Labriola
(1904-2004): «insomma, […], una sorta di catalogo sul catalogo; ovvero
un documentario storico, a parte obiecti, relativamente al medesimo tema
Labriola alla “Sapienza”. Una sorta di antologia di letture in medias res,
variamente utili a spiegare, a integrare, a correggere quel che si è fatto
fin qui e si continua a fare; ad aprire possibili, ulteriori piste d’indagine,
muovendo per l’appunto dal presente, provvisorio punto d’arrivo»142.
1.1.2. I figli del Papuano
“Come fareste a educare moralmente un papuano?”, domandò uno di noi
scolari, tanti anni fa – credo trent’anni fa, – al Prof. Labriola, in una delle sue lezioni di pedagogia, obiettando contro l’efficacia della pedagogica.
“Provvisoriamente (rispose con vichiana ed hegeliana asprezza l’herbartiano
professore) lo farei schiavo, e questa sarebbe la pedagogia del caso, salvo a vedere se ai suoi nipoti e pronipoti si potrà cominciare ad applicare qualcosa della
pedagogia nostra”.143
Mentre in Labriola dopo Labriola, viene offerto al lettore un quadro
completo di Labriola, nel volume, sempre di Siciliani, I figli del papuano.
Cultura, culture, intercoltura, interculture da Labriola a Makarenko, Gramsci,
Yunus partendo dalla «formazione di Antonio Labriola e dalla significatività del ruolo che in essa svolge la “questione del Papuano”»144 e dalla
«gamma amplissima delle occasioni variamente “interculturali” di studio (corsi di lezioni, elaborati e tesi di laurea, convegni ecc.)»145 che Siciliani ha potuto realizzare, con i suoi collaboratori e studenti durante la
sua carriera di professore universitario, viene approfondito il tema
Ivi, p. 29.
Antonio Labriola e «La Sapienza». Tra testi, contesti, prestesti 2005-2006, a cura di
N. SICILIANI DE CUMIS, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2007, p. XIII.
143 A. LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit., p. 467.
144 N. SICILIANI DE CUMIS, I figli del papuano. Cultura, culture, intercultura, interculture da Labriola a Makarenko, Gramsci, Yunus, Milano, Edizioni Unicopoli, 2010, p. 21.
145 Ibidem.
141
142
146
Parte seconda – Capitolo primo
dell’intercultura attraverso il racconto di varie storie autobiografiche; il
tema centrale del libro dunque è l’intercultura illustrata dall’autore attraverso il Poema pedagogico di A. S. Makarenko e l’opera di Labriola,
Gramsci e Yunus. Intercultura, dunque, non solo intesa come «incontro
tra persone provenienti da contesti territoriali, sociali e culturali differenti»146, ma anche come un insieme di «culture, invece, che si incontrano, che si interrogano, che interagiscono, che si arricchiscono a vicenda,
dando così luogo a un effettivo scambio interculturale e magari, come
precisano gli specialisti, transculturale. Non un’unica espressione di intercultura, non un modo unitario di intenderla, non interculture come
“punti d’arrivo”: ma molteplici aspetti ed esperienze di uno stesso fenomeno. Come puri e semplici “punti di partenza”»147.
Senza voler scomodare il vecchio Socrate […], basti ricordare adesso che il
nesso didattica-ricerca è un opzione metodologica […], e che una siffatta opzione metodologica è supportata a mio avviso dalle esigenze espresse via via in ciò
che di meglio producono le teorie e le pratiche della “ricerca come antipedagogia”, dello “sperimentalismo educativo”, della “ricerca-azione”, e che ben si
connette con quel che di meglio deriva dai recenti dibattiti su “quantitàquantità” in educazione, sul “coraggio” si e no degli “intellettuali”, sul rapporto
tra “alta” e “bassa” cultura, sul “giornale in classe” ecc. ecc.
[…] La mia ipotesi è allora questa: che proprio muovendo da un presupposto metodologico di tal fatta, e dalle imprescindibili questioni di merito che esso
comporta, l’educazione interculturale, tra le esperienze didattiche e indagine
scientifica […], non sia un optional, un genere di lusso o l’abito del dì di festa,
ma una necessità quotidiana, una condizione elementare vitale, un presupposto
della normalità educativa. E ciò tanto nel senso che l’educazione interculturale
(e per certi versi transculturale) è affare dei ricercatori, degli studiosi di molte
discipline, degli uomini di scienza, di tutte le scienze, nell’esercizio delle loro
funzioni, quanto nel senso che un’educazione interculturale/transculturale è
davvero riuscita quando realizza gli obiettivi-limite di qualsiasi altra didattica,
al massimo grado delle sue possibilità critiche, in relazione stretta con la ricerca.148
Ivi, p. 17.
Ivi, p. 19.
148 Ivi, pp. 44-45.
146
147
Recensire Labriola tra testi e contesti
147
I figli del Papuano, per concludere, essendo un testo formato soprattutto da racconti di storie autobiografiche è contaminato dall’idea labrioliana dell’autobiografia come educazione; infatti, l’ultimo Labriola:
[…] da un punto di vista strettamente pedagogico ed auto pedagogico, tra
autobiografia ed educazione, […] contiene per così dire tutto il se stesso precedente, in ogni senso possibile. Nel senso, intanto, della ricerca della genesi del
“nuovo”, in rapporto alla procedure dell’agire storiografico nel presente […]; e,
dunque, nel senso di una vera e propria proposta pedagogica, addirittura didattica, in tema d’insegnamento e apprendimento della competenza storica.
[...] In altre parole: come Labriola applica a se stesso il criterio autoeducativo
del conoscersi autobiograficamente e del farsi conoscere biograficamente, al fine
di risolvere, “adesso”, un problema educativo del presente e svolgere l’azione
formativa più conveniente a ciò utile, così, più in generale, egli propone di estendere l’uso di un metodo siffatto alla conoscenza storica del presente. Di tutto il presente come parte del suo presente, e, viceversa: del suo presente, come
parte di tutto il presente.149
1.2. Organizzazione del testo
Il testo Labriola dopo Labriola è suddiviso in tre parti, un’appendice, Idee per un film su Labriola, e una postfazione di Giovanni Mastroianni.
La prima parte intitolata Terminologia pedagogica comprende tre capitoli. Nel primo capitolo, Antonio Labriola critico della cultura del suo tempo.
I concetti, le parole, i segni si vuole presentare un Labriola uomo di cultura
e maestro di critica, partendo proprio dal suo modo d’intendere i concetti di «cultura e di critica, e dal suo percepirsi, nei diversi momenti della
vita, quale critico della cultura del proprio tempo […]»150. Secondo Labriola,
l’attività culturale e critica si realizza, oltre che nei luoghi d’istruzione,
ogni qualvolta c’è uno scambio dialettico tra più persone: si fa riferimento, dunque, al principio dialogico di Socrate, tema centrale del secondo
capitolo Il principio “dialogico” in Labriola. Il dialogo socratico diventa un
vero e proprio metodo di ricerca, che mette al suo centro il soggetto che
riflette; «Socrate è e propone l’uomo della parola e della coscienza alla
149 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit., pp. 273-274.
150 Ivi, p. 39.
148
Parte seconda – Capitolo primo
ricerca del sapere e della virtù attraverso il dialogo tra gli uomini»151. La
prima parte del testo si chiude con un capitolo dedicato al “criterio del
morfologico”. Secondo Labriola il termine morfologico è una «parola che
[…] esprime tutto in breve»152 e che nella formazione labrioliana sembra
avere una funzione sia di chiarimento critico del passato, ma anche di
trasformazione dell’esperienza in atto.153
La seconda parte, La formazione e la cosa formata, ha come inizio uno
studio sul padre di Antonio Labriola, Francesco Saverio, che ha avuto un
ruolo centrale nella formazione del pensiero labrioliano, non solo come
esempio umano e culturale di un genitore, ma anche per alcune sue scelte politiche, interessi di studio e capacità didattiche. Il capitolo pertanto
presenta prima una descrizione di Francesco Saverio Labriola, poi alcune sue lettere di auto-presentazione.
La raccolta di saggi prosegue con un capitolo, Sulla prima pedagogia
universitaria romana e Don Guanella. Illazioni e ipotesi, dedicata ad un «confronto possibile» tra Don Luigi Guanella e Antonio Labriola; un accostamento tra questi due figure di intellettuali, non tanto «sui principi
primi, […]. Quanto è piuttosto sulle cause seconde delle assunzioni etiche
ed operosità pedagogiche di entrambi […]»154. Insomma un comparazione tra «Labriola filosofo dell’immanenza e insegnante laico, dagli anni
Sessanta dell’Ottocento in avanti; don Guanella uomo di fede ed educatore, esattamente nello stesso periodo […]»155.
Nel terzo capitolo, Un Labriola da Museo, sono presenti una serie di
scritti inediti riguardanti il periodo in cui Labriola era alla direzione del
Museo d’istruzione e formazione. Il quarto e il quinto capitolo, invece,
offrono al lettore, rispettivamente, documenti sulle conferenze pedagogiche e didattiche del 1880 a Venezia di cui il protagonista principale e
presidente era Labriola e tre testi di argomento didattico nell’ambiente
scolastico di Roma.
Nel capitolo sesto viene presentata la tesi di laurea in filosofia di Luigi Basso con relatore Labriola discussa il 27 giugno 1886 dal titolo Sul
Socrate perché in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i
Settecento anni alla “Sapienza” (1303-2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola
(1904-2004), cit., uno dei pannelli della mostra.
152 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit., p. 73.
153 Cfr. da Ivi, pp. 73-74.
154 Ivi, p. 136.
155 Ivi, p. 128.
151
Recensire Labriola tra testi e contesti
149
metodo delle scienze sociali, in cui si registra l’influenza dell’esperienza labrioliana sui temi della filosofia della storia.
La seconda parte si conclude con un piccolo capitolo dedicato a Giuseppe Michele Ferrari allievo di Labriola, per il quale il cassinate si esprime in un giudizio accademico circa sua possibilità di carriera.
La terza parte del volume, Tra filosofia, università, educazione, vita si
apre con due capitoli, Antonio Labriola a centosessant’anni dalla nascita e
Labriola filosofo, che ci offrono entrambi una descrizione generale di Labriola: una presentazione che «non può prescindere dal carico unificante
della sua intelligenza critica, dal riconoscimento delle peculiarità della
sua verve maieutica e dal valore pedagogico aggiunto (per così dire) del
farsi della sua particolare vicenda formativa. Dal fatto, cioè, che la sua
opera, in un modo o nell’altro, si allaccia dia logicamente ma distintivamente, alla compresenza di familiari e maestri, colleghi ed allievi e alla
interferenza di uditori e interlocutori, oppositori e sodali, corrispondenti, editori, lettori, ecc.»156.
Il terzo capitolo, Rileggendo L’università e la libertà della scienza, offre
al lettore un’interpretazione del discorso di Labriola per l’appunto su
L’università e la libertà della scienza per l’inaugurazione dell’anno accademico 1896-1897. Questo discorso colpisce per la «trasparenza delle intenzioni pedagogiche e la chiarezza degli ideali universitari che
l’ispirano»157, perché riesce a far emergere dei valori universitari vale a
dire «una sequenza logica di orientamenti ideali che, nell’economia generale della trattazione, permette di tradursi in una notevole gamma di
termini, espressioni , accezioni, sentimenti, opinioni, concetti, giudizi e,
per l’appunto valori»158.
Il testo prosegue con una sezione dedicata al rapporto tra Labriola e
Maria Montessori, un legame universitario tra allieva ed insegnante, che
potrebbe trasformarsi in una significativa interferenza tra la pedagogia
romana dell’Otto-Novecento, solitamente filosofica e i metodi montessoriani fondamentalmente pedagogici.159
Il quinto capitolo Dal Pane e la fortuna di Labriola nei primi decenni del
Novecento (Note promemoria) analizza «il contributo, unico nei suoi caratteri, del Dal Pane editore e storico dell’opera di Labriola»160 ed individua
Ivi, p. 271.
Ivi, p. 295.
158 Ivi, p. 297.
159 Cfr. da Ivi, pp. 309-310.
160 Ivi, p. 320.
156
157
150
Parte seconda – Capitolo primo
«un certo numero di collegamenti per così dire formativi nei due sensi:
nella direzione di Dal Pane (Dal Pane si forma alla scuola di un certo Labriola: […]); e nella direzione di Labriola (Labriola viene formato e riformato, ricostituito ad opera di Dal Pane: ed occorrerà vedere come)»161.
Il capitolo La Russia di Labriola. Materiali per una lezioni ha il proposito didattico di far conoscere agli studenti alcuni testi di Labriola sulla
Russia per comprendere meglio il punto di vista del filosofo su questo
tema.
Nell’ultima sezione della terza parte, Ultime del “Laboratorio Labriola”.
In ricordo di Eugenio Garin, a cent’anni dalla nascita (1909-2009) dopo una
breve presentazione di Eugenio Garin, descritto come un insegnante che
«insisteva […], sull’importanza della “concretezza” e della “crescita” dei
contenuti di ricerca, nei rapporti dell’insegnamento con
l’apprendimento […]» 162, sono posizionate tre tesi di laurea specialistica su Labriola discusse nell’anno accademico 2008-2009 presso
l’Università di Roma “La Sapienza”.
Il libro si conclude, come già detto, con una postfazione, intitolata Labriola si, Labriola no, di Giovanni Mastroianni, il quale afferma che il libro:
[…] sostiene l’«intrinseca organicità dell’esperienza storico-filosofica, pedagogico-didattica, etico-politica, individuale e sociale di Antonio Labriola», e introduce a «ulteriori ricerche concernenti l’intero Labriola, sul presupposto, per
l’appunto, di tale essenziale, non disattendibile unitarietà».163
1.3. Socrate e il principio dialogico
È […] sul versante dello sfruttamento “improprio” del modello socratico,
che vengono offerti i risultati forse più originali e insieme sicuramente stimolanti. Una volta di più, qualora ce ne fosse bisogno, vediamo confermato non
solo il valore centrale della figura di Socrate, innegabilmente prima, ogni volta
che si voglia seriamente volgere lo sguardo, all’aspetto della moralità, ma anche
il suo carattere enigmatico. Socrate appare allora “dissolto” in una prisma interpretativo che non è quello “alto” e secolare delle varie interpretazioni filosofiche, ma quello forse più “basso” ma ugualmente degno di attenzione di altri
canali e mezzi di comunicazione.
Ibidem.
Ivi, p. 355.
163 Ivi, pp. 391.
161
162
Recensire Labriola tra testi e contesti
151
[…] È qui che il lettore si trova meglio guidato, sulla strada di una comprensione nuova della fortuna di Socrate, tutta contemporanea, ma sempre e comunque debitrice nei confronti di questo infaticabile “tafano d’Atene”, che non
ci lascia mai tranquillamente adagiare nelle nostre presunte certezze.164
L’esperienza labrioliana, durante tutto l’arco della sua formazione, risente sempre dell’influenza di Socrate. Labriola, infatti, affidando la sua
verve maieutica, oltre che alla sua peculiare oralità, anche ad una quantità rilevante di lettere, conferenze, dibattiti e interventi giornalistici, finisce senza meno col richiamare il principio dialogico di Socrate.
È dunque il Socrate magister quello considerato da Labriola, vale a dire il Socrate che «si rapporta agli altri e dialoga (indirettamente) con gli
altri, Labriola compreso: perché chi gli sta di fronte (l’interlocutore di
turno), per apprendere alcunché da lui (maestro sui generis), consente a
Labriola medesimo di apprendere ciò che Socrate riuscirà ad insegnargli.
Meglio ciò che Labriola, nel monologo con lui, domanderà di imparare.
In funzione del “dialogo”»165. Ne segue che:
il momento dell’apprendimento dal punto di vista del “maestro” socratico delineato da Labriola, precede l’insegnamento di Socrate e nondimeno segue ad esso.
È insieme, causa ed effetto: la prova della indispensabilità tecnica del dialogo,
come procedura costitutiva di qualsiasi apprendimento-insegnamento proprio
ed altrui. Ed al tempo stesso la prova della sua impossibilità. Socrate non esisteva prima, smetterà di esistere dopo.166
Da queste parole si evince l’importanza tecnica e strategica della lingua intesa come «luogo naturale della conservazione e delle possibili innovazioni culturali»167 e come «laboratorio della morale»168 per dare inizio ad un processo di lotta e di trasformazione sociale. Infatti, afferma
Labriola:
Socrate perché in Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i
Settecento anni alla “Sapienza” (1303-2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola
(1904-2004), cit., uno dei pannelli della mostra.
165 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit., p. 55.
166 Ibidem.
167 Ivi, p. 61.
168 Ibidem.
164
152
Parte seconda – Capitolo primo
Questo processo di trasformazione non ha luogo solo per l’azione di quei
motivi intrinseci di esame e di critica, che possono dirsi teorici; ma emerge necessariamente dalle collisioni pratiche fra la volontà dell’individuo e l’opinione
tradizionale espressa nel costume; e, più tardi assume il carattere d’una lotta sociale fra classe e classe, individuo e individuo.169
Il dialogo, quindi, rappresenta «mediazione e possibilità di comunicazione tra le idee e l’essere, e dunque come eventualità del contatto delle intelligenze con l’essere. Un contatto, che se non si verifica, è la morfologia del
formativo a risultare costitutivamente intaccata, alterata; e, in certe situazioni, dirà altrove Labriola, resa del tutto impossibile»170. Da queste considerazioni ne segue che l’attività dell’insegnamento per essere svolta
esige, secondo Labriola, che il destinatario dell’insegnamento già in partenza abbia «un’iniziale maturità di vedute, stabili capacità critiche, conformazioni culturali avanzate»171, e che:
si formi e maturi, […], in cooperazione con gli insegnanti […], ossia dialogicamente. Anche se ciò non può avvenire che nei limiti consentiti dalla «ragione tecnica» e dalla «pedagogia nostra», su cui si fonda lo stesso principio dialogico che
accomuna docenti e discenti, in quanto «commilitoni sotto l’insegna di quella libera e spregiudicata ricerca, che per noi e per voi tutti è diritto e dovere ad un
tempo».172
1.4. Dalla formazione al Museo d’istruzione
Luigi Dal Pane nella sua opera biografica su Antonio Labriola ha dedicato alcune pagine a Francesco Saverio Labriola, padre di Antonio. Dal
Pane in relazione al rapporto padre-figlio descrive Francesco Saverio in
questo modo:
[…] Dal padre ricevette la prima educazione e il saldo avviamento agli studi
e, in specie, a quelli storici. Era infatti Francesco Saverio Labriola uomo di alti
sensi e di estesa erudizione, benché non eccellesse per intelligenza. Si ha
A. LABRIOLA, Opere volume II: La dottrina di Socrate secondo Senofonte Platone ed
Aristotele (1871), a cura di L. DAL PANE, Milano, Feltrinelli, 1961, p. 75 in N. SICILIANI
DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche, didattica, cit., p. 61.
170 Ivi, p. 69.
171 Ivi, p. 71.
172 Ivi, p. 72.
169
Recensire Labriola tra testi e contesti
153
l’impressione talvolta di accentuazioni retoriche nel suo linguaggio. Dai documenti relativi alla sua carriera di insegnante e di studioso, emerge una figura
moralmente integra, ma segnata da non poche sventure. In una lettera del
provveditore per gli studi primari e secondari della provincia di Napoli, 11 febbraio 1869, si legge che Francesco Saverio Labriola era «un antico insegnante,
laborioso, onestissimo e povero». Di zelo instancabile, non ricusava mai nessuna fatica ordinaria e straordinaria. Conosceva bene il latino, meno il greco. Di
varie cognizioni, era versato specialmente in storia e geografia. Si dedicava anche a ricerche archeologiche. Collaborò al Corpus delle iscrizioni del Mommsen,
scrisse memorie archeologiche e storiche, che in gran parte non furono pubblicate per mancanza di mezzi e si ebbe anche riconoscimenti autorevoli.173
Nella formazione di Labriola, dunque, la figura del padre ha un ruolo
educativo fondamentale non solo «per l’impegno culturale e l’esempio
umano e professionale, che il genitore viene offrendo quotidianamente
in famiglia, ma anche perché certi interessi di studio e certe scelte politiche, e le stesse quotidianità del “buon padre di famiglia” e quelle didattiche dell’insegnante che cerca di fare il suo dovere, di migliorarsi con lo
studio personale e nondimeno di sbarcare il lunario, devono pur lasciare
un qualche segno di ammirazione e di gratitudine in Antonio»174.
È importante ricordare che padre e figlio per un periodo sono stati
anche colleghi nel ginnasio Principe Umberto di Napoli ed entrambi sono stati al centro di discussioni “ispettive” e “valutative” analoghe circa
la loro attività didattica.
In particolare, Antonio Labriola viene giudicato negativamente da
Giacomo Lignana175, famoso glottologo, per scarso rendimento scolastiIvi, p. 102.
Ivi, p. 104.
175 Giacomo Lignana (Tronzano, 1827-Roma, 1891). Professore di Filologia comparata all’Università di Napoli dal 1861 al 1871, quindi di Storia comparata delle
lingue classiche e di Sanscrito all’Università di Roma. Di famiglia nobile e agiata,
Lignana compie gli studi universitari a Torino e poi si perfeziona all’estero presso i
maggiori indianisti dell’epoca, Lassen e Spiegel. Tornato in Italia e tentata con poco
successo la carriera politica, nel 1861 accetta la cattedra di Filologia comparata, detta
poi Lingue e letterature comparate, all’Università di Napoli. Intanto, grazie agli
stretti rapporti con Cavour e all’ottima conoscenza delle lingue straniere, gli sono
affidate diverse missioni diplomatiche. Negli anni napoletani insegna inoltre al Collegio dei Cinesi, di cui è direttore dal 1868 al 1870, quando chiede il trasferimento
all’Università di Roma, dove insegnerà Storia comparata delle lingue classiche e
Sanscrito. Nei lavori del periodo napoletano viene sostenuta apertamente la polige173
174
154
Parte seconda – Capitolo primo
co. L’ispettore, come dimostra la citazione sottostante, legato alla «dimensione genetica» dello studio della lingua non riesce a rilevare «accanto ai “limiti tecnici” dell’insegnante Labriola, il valore didattico delle
strade da lui percorse a scuola con i propri scolari»176.
L’ingegno e il sapere di questo Professore, che è il Sig. “Labriola” ci avevano
fatto sperare di trovare nella 3^ Ginnasiale una rettificazione dell’insegnamento
delle classi precedenti. Ma pur troppo il metodo non è punto migliore né diverso. Gli alunni seguitano a pronunciare scorrettamente, come nelle classi precedenti, il latino. Lo studio della quantità delle sillabe che il Programma Governativo introduce nella 3^ Ginnasiale, e che forse sarebbe utile incominciare, con
una dovuta misura, fin nella I^, è fatto senza alcuna connessione con la teoria
della formazione delle parole e delle forme grammaticali. Questo elemento così
intrinseco nella parola antica è raccomandato alla memoria dei giovani senza
alcuna spiegazione.177
Nella formazione di Labriola ha influito anche la personalità e
l’insegnamento di Bertrando Spaventa. Giuseppe Vacca, con i suoi studi
su Spaventa, Labriola e gli hegeliani di Napoli178 ha contribuito «[…] a
far rivivere storicamente nella concretezza delle loro distinte eppur congiunte progettualità filosofiche, politico-culturali e educative, temi e
problemi formativi effettivamente in comune tra il liberale e democratico Spaventa (il “maestro”) e il liberale, democratico, quindi radicale, infine socialista e marxista Labriola (l’“allievo”)»179.
nesi delle lingue e la superiorità delle lingue indoeuropee la cui affinità trova fondamento, secondo Lignana, nelle equazioni romantiche lingua/nazione e lingua/cultura. In campo universitario è incaricato di redigere diverse proposte di riforma, tra cui quella relativa alla ridenominazione degli insegnamenti universitari
del 1876. www.filmod.inina.it/antenati/Lignana.htm [data ultima consultazione
03/05/2012].
176 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit., p. 105.
177 Ibidem.
178 Si pensi ai contributi di Vacca su “politica e filosofia”, “unificazione nazionale” e “egemonia culturale” in Bertrando Spaventa, e agli scritti su Labriola “nella
politica e nella scuola” della Destra storica e della Sinistra nell’Italia post-unitaria.
Inoltre, si ricorda la più recente partecipazione di Vacca alle celebrazioni per il centenario della morte di Labriola e l’adesione al progetto di riordino, digitalizzazione
e pubblicazione delle “Carte Labriola”. Cfr. Ivi, p. 151.
179 Ibidem.
Recensire Labriola tra testi e contesti
155
Le influenze di Spaventa su Labriola sono molteplici; basti pensare
che mentre Spaventa insegna all’Università di Napoli, comincia a concepire quel disegno politico di ricostruzione e unificazione culturale della
società italiana sull’esempio dei modelli più alti della cultura borghese
europea, che Labriola nel corso della sua carriera recepisce ed amplia
progressivamente.
Di impronta originariamente spaventiana sono infatti in Labriola […]
l’indirizzo hegelo-herbartiano del proprio “piano degli studi” e la «positiva»
opposizione al positivismo. Altrettanto spaventiano, è l’impegno di Labriola a
tradurre l’antica ipotesi sulla «circolazione del pensiero europeo» in puntuali
traduzioni filosofiche, pedagogiche e politiche, in attente analisi giornalistiche,
in concrete comparazioni scolastiche internazionali. Ed è in larga parte di provenienza spaventiana l’attenzione di Labriola rivolta alle problematiche
dell’«ideale» e delle «passioni», della «natura» e della «mente», della «storia» e
del «lavoro», della «scienza» e della «tecnica», della «quantità» e della «qualità»:
e, dunque, della produzione , trasmissione e moltiplicazione del «sapere» e del
«fare», nell’università, nella scuola, nella società civile.180
Il “disegno di unificazione culturale” diventa, dunque, una missione
pedagogica che, partendo dagli insegnamenti di Spaventa, e con le dovute modifiche, Labriola trasforma in attività quotidiana di filosofo, politico, mediatore culturale, conferenziere e direttore del Museo
d’Istruzione e Educazione.
Il Museo d’Istruzione e Educazione nasce nel 1874 da un’idea del ministro della Pubblica Istruzione, Ruggero Bonghi, in collaborazione col
ministro dell’Agricoltura Industria e Commercio. L’idea era quella di
creare una sorta di “mostra” permanente finalizzata a promuovere
l’istruzione pubblica individuando i mezzi per migliorarla e ad offrire
materiali utili per una comparazione tra i sistemi d’istruzione italiani e
di altri paesi.181
Labriola svolge la funzione di direttore del Museo dal 1877 al 1891, ed
in questo periodo, il Museo, diventa il luogo privilegiato per la formazione degli insegnanti, attraverso l’organizzazione di conferenze. La divulgazione, infatti, diventa l’attività primaria di questa istituzione, eIvi, p. 154.
Il significato politico e culturale relativo alla creazione del Museo d’Istruzione
e Educazione può essere ben compreso solo mediante un’analisi delle esigenze del
periodo, vale a dire la costituzione di un’identità e di una cultura nazionale.
180
181
156
Parte seconda – Capitolo primo
spressa principalmente «adunando personalità di spicco dell’istruzione,
ma anche onesti lavoratori impegnati nell’educazione del popolo. Dentro i locali del Museo o fuori le mura, non faceva differenza: le conferenze divennero importanti occasioni di confronto e scambi di esperienze
scolastiche varie»182.
Che cosa sono infatti le Conferenze pedagogiche presiedute da Labriola, se
non dei veri e propri seminari o brevi corsi di aggiornamento per insegnare ad
insegnare in una determinata scuola secondaria? Non sono esse stesse, le Conferenze magistrali […], il più importante luogo tecnico (nazionale, ma localizzato), della mediazione scientifica e didattica tra scuole elementari e “normali”,
scuola secondaria, università e società nel loro complesso?
La persuasione più profonda del Labriola docente universitario, sembra infatti essere proprio questa: che tra l’azione educativa dell’università da esercitarsi sulla scuola, l’azione della scuola sulla scuola, l’azione della scuola sulla
società, della società sulla scuola e di tutte le possibili istanze culturali sulla politica, vi sia oggettivamente un rapporto di reciproca, continuativa e formativa
interferenza. D’onde la necessità, che un siffatto molteplice rapporto vada gestito e migliorato tecnicamente, arricchito di genuina cultura alla luce del contesto
storicamente in movimento, da governare, trasformare e (dice così) rivoluzionare
dall’interno di un preciso disegno politico di adeguamento alle “cose” e di radicale modificazione dell’“esistente reale”.183
Qui di seguito viene riportato un passo di un testo labrioliano
d’argomento didattico sull’insegnamento del latino e dell’italiano, collocato temporalmente immediatamente dopo la presa di servizio di Labriola come direttore del Museo.
Il Lionetti insegna il latino con cura, con metodo e con diligenza. Concentra
principalmente la sua attenzione su la traduzione, ed usa di cotesto esercizio
per ripetere la grammatica e per dare largo ammaestramento in tutte quelle cose di fatto che occorrono nella lettura e nella spiegazione. […] Il latino, in somma, egli l’insegna nei giusti limiti della qualità ginnasiale, e gli alunni intendono Virgilio e Sallustio più che mediocremente bene. […].
182
183
Ivi, p. 158.
Ivi, pp. 208-209.
Recensire Labriola tra testi e contesti
157
Lo stesso posso dire dell’italiano, ma con qualche attenuazione. Le nozioni
di retorica e storia letteraria sono insegnate con ordine, e la lettura è fatta con
libertà; ma gli alunni non scrivono né abbondantemente né correttamente.184
Quella di Labriola, pertanto, non è una didattica “museale” nel significato di inoperosa e stantia, bensì «una didattica pedagogicamente attiva e innovativa», che egli ha potuto sperimentare prima come giovane
professore di ginnasio-liceo di Napoli, poi come docente universitario ed
infine come direttore del Museo d’Istruzione e Educazione, ossia, in
questo luogo, come “educatore di educatori”.
1.4.1. Labriola conferenziere
L’attività di conferenziere rappresenta un altro pezzo del mosaico che
forma la multiforme carriera di Labriola. Importanti sono le conferenze
di Venezia del 1880 riproposte da Siciliani.
Il materiale recuperato e ordinato a cura di Nicola Siciliani de Cumis, mette
in luce un’importante prova riguardante il continuum tra le lezioni tenute nel
Museo Pedagogico (il direttore era lo stesso prof. Antonio Labriola) e gli scambi
di idee che avvenivano in queste conferenze magistrali, a riprova di una tensione professionale a tutto vantaggio dei maestri, che non vengono abbandonati
alla loro circoscritta anche se importante preparazione teorica, ma guidati dalle
esperienze didattiche di coloro che si trovano nelle medesime condizioni.185
Una delle caratteristiche che danno maggior valore a queste conferenze è quello di permettere ai maestri elementari d’incontrarsi sul terreno della pratica; infatti, nello specifico, gli argomenti esaminati riguardano l’insegnamento della grammatica, la pratica della composizione, la geografia, la lettura, l’educazione alla lettura, l’adozione di testi
specifici e la progettazione di banchi adeguati all’età degli studenti.
Dato l’argomento di questa tesi di laurea, chi scrive riporterà di seguito soltanto alcuni estratti di queste conferenze veneziane, in particolare gli estratti relativi alla grammatica, alla lettura e alla pratica di composizione.
Dalla prima conferenza:
184
185
Ivi, p. 211.
Ivi, p. 172.
158
Parte seconda – Capitolo primo
Nell’aula Magna del R. Convitto M. Foscarini sono convenuti in gran numero gli invitati alle conferenze.
Alle 11 ant. il Presidente, Cav. Labriola, apre la seduta, col dire che le conferenze, cui egli ha l’onore di presiedere in Venezia, non sono che una continuazione di quelle tenute ne’ decorsi anni di Roma al Museo Pedagogico, colla differenza che lì si poteva disporre di molte collezioni scolastiche per far intendere con maggior chiarezza le idee che si andavano mano mano svolgendo nelle
discussioni, mentre qui bisognerà contentarsi di discorrere insieme.
[…] Stabilisce quindi una traccia sugli argomenti da trattarsi nelle discussioni. Prima di tutto si parlerà della lettura. La quale ha tanta importanza
nell’educazione intellettuale e morale. Si lascerà [sic] da parte ogni questione
tecnica, ma, a partire dal presente in cui il bambino ha superato tutte le difficoltà del sillabario, si stabiliranno i mezzi più opportuni affinché la lettura riesca di
profitto. La lettura deve servire di eccitamento all’osservazione e quindi allo
sviluppo delle facoltà intellettuali e morali; infatti quando il fanciullo legge,
legge delle parole che rappresentano, o cose del mondo reale, o sentimenti
dell’animo, o fatti della natura, o fatti dell’uomo. L’importante è fargli conoscere il significato e l’uso della parola, non già qual parte grammaticale sia, perché
nella scuola popolare ciò sarebbe, non solamente di nessuna utilità pratica, ma
di nessuna convenienza. Le astruserie grammaticali lasciamole alle scuole superiori; nella scuola popolare tutto va insegnato praticamente, correggendo
l’errore, quando c’è, nel modo più semplice, senza spiegare contro qual regola
di grammatica si picchi.
[…] Secondo tema da svolgersi nelle conferenze sarà quello della composizione. La scuola popolare non dimentichi il suo fine: pochissimi di quelli che la
frequentano diventeranno scienziati o letterati. Si deve dare un’istruzione utile;
convien dunque far acquistare attitudine a scrivere con chiarezza ciò che si sa o
si pensa: ecco l’estetica delle belle lettere nelle scuole popolari!186
Dalla seconda conferenza:
Il Cav. Labriola, mette alla discussione il I° tema: Scopi della lettura e mezzi più
acconci per raggiungerli.
Prende la parola il Cav. Rosa, […].
Stabilisce quindi gli scopi della lettura: Far intendere soprattutto; ottenere
che si legga, se non perfettamente, almeno senza difetti di pronuncia e senza
cantilena; dare al nostro fanciullo quel corredo di cognizioni utili per la vita.
186
Ivi, pp. 173-176.
Recensire Labriola tra testi e contesti
159
Se non si riesce ad intendere, lo scopo della lettura è perduto. Ora il fanciullo
non sa darsi ragione di ciò che legge, o perché non intende il significato di qualche parola, o, quel che peggio, il nesso delle parole.
A superare queste difficoltà il Maestro faccia nella scuola molti esercizi pratici, specie se il dialetto si scosta molto dalla lingua, valendosi pur anco del dialetto stesso, non come linguaggio della scuola, ma come mezzo di riscontro tra
il vocabolo del dialetto e il vocabolo della lingua. […].
Il Presidente approva quanto fu detto dal Cav. Rosa, e aggiunge che la lettura nelle scuole darebbe migliori risultati, ove i maestri sapessero legger bene.
La lettura è sciatta e declamatoria. Convien tenere la via di mezzo, e correggere soprattutto gli errori che hanno una forma tipica in tutta la scolaresca.187
Dalla sesta conferenza:
Il Presidente, parlando de’ compiti per imitazione e per traccia, dice che i
compiti per imitazione scritta, più che esercizi del pensiero, sono esercizi di
memoria; quelli per traccia scritta sono parimenti della vecchia scuola, perché i
fanciulli, per lo più scarsi d’idee, o ripetono press’a poco ciò che la traccia contiene, o vi aggiungono frascherie, lungaggini, o fraselle leggicchiate qua e là.
Conviene dunque che il componimento sia proprio una cosa che si va componendo, a poco a poco, mediante i consigli e gli aiuti del maestro, il quale proposto un tema, addestra i fanciulli ad osservare, a riflettere a trovare; né fa mettere
il nero su bianco se non quando l’argomento sia ben meditato in tutte le sue
parti ed i fanciulli abbiano delle idee sicure e ordinate.188
Dalla settima conferenza:
Aperta la seduta alle 12 meridiane, il Presidente, dopo la lettura del processo
verbale, riassume le sue convinzioni sull’insegnamento della grammatica.
“Grammatica” è un nome molto vasto, è la scienza della lingua, e come tale,
non è certo materia di scuola popolare. I maestri, i quali non vogliono o non
sanno usare nella scuola l’insegnamento vivo ed efficace della lingua, trovano
molto comodo di avere un libro e un sunto di grammatica da spiegare pagina
per pagina, ordinatamente, senza riflettere se per usare bene, parlando o scrivendo, un avverbio, il fanciullo debba aspettare fino al giorno in cui il maestro,
seguendo la traccia del libro gli farà la lezione dell’avverbio. Ripete che nelle
scuole popolari conviene insegnare, fra le cose utili, le più utili, che la gramma187
188
Ivi, pp. 176-178.
Ivi, pp. 190-191.
160
Parte seconda – Capitolo primo
tica non è fra le cose più utili, (sempre relativamente all’istruzione popolare) e
che il frutto che darebbe questo insegnamento lo si può ottenere egualmente
coll’insegnamento della lingua viva.189
Dalla decima conferenza:
I° Grammatica
Ritenuto che l’insegnamento nella scuola popolare (elementare, inferiore e
superiore) ha i propri limiti, da una parte nella utilità delle cose da insegnarsi
per la vita reale degli allievi, e dall’altra nella comprensività di questi ;
Considerando che l’insegnamento della lingua dev’essere impartito mediante la conversazione cogli alunni, l’osservazione sulle cose, la buona lettura, gli
esercizi di composizione, e debba essere sussidiato da poche norme desunte
dalla pratica;
Ritenuto essere necessario di porre in armonia il metodo d’insegnamento
della lingua colle esigenze della legge rispetto all’ammissione nelle scuole secondarie;
La Conferenza esprime il voto: che all’ammissione nelle scuole secondarie
non abbia da esigersi l’esame sulle regole e definizioni grammaticali, ma basti
che il candidato dia prova di saper usare la lingua correttamente.190
In ambito di conferenze è importante ricordare anche il discorso pronunciato da Labriola il 14 novembre 1896 per l’inaugurazione dell’anno
accademico 1896-97 e messo a stampa all’inizio del 1897 col titolo
L’università e la libertà della scienza.
La conferenza per Labriola è stata molto di più di un semplice incontro universitario; essa ha rappresentato l’occasione in cui il filosofo ha
potuto descrivere tecnicamente il suo modo di vedersi professore, definendo «teoricamente e praticamente i limiti e le possibilità della scienza,
o meglio della tecnica, […], che liberamente e necessariamente compete
alla funzione universitaria specifica»191. Infatti, in questo modo Labriola
ha avuto l’opportunità di:
[…] prospettare riassuntivamente una propria tavola di valori intellettuali e
morali; l’opportunità di discorrere alla luce del presente, di ciò che era accaduto
da trenta anni a quella parte e di ciò che, allo scadere del secolo, si poteva intraIvi, pp. 191-192.
Ivi, p. 204.
191 Ivi, p. 296.
189
190
Recensire Labriola tra testi e contesti
161
vedere di nuovo per gli anni a venire. L’opportunità in altri termini, di effettuare per se stesso e per gli altri un “consuntivo filosofico” ed un “preventivo pedagogico” (se così si può dire), che avesse d’occhio l’etica: quella specificamente
diretta ad influire sulle attività culturali e scientifiche dell’università, quell’altra
politicamente idonea ad interferire nella vita dell’Italia nazione, nella prospettiva internazionale dell’epoca.192
1.5. Labriola e Don Guanella
Il capitolo dedicato a Don Luigi Guanella nasce dall’esigenza di esaminare scientificamente, da diversi profili, la figura del sacerdote. Partendo dalla sua «pedagogia di sicuro impatto innovativo, soggettivamente
inseparabile dalla fede e nondimeno oggettivamente valida per sé»193, Siciliani
attua un ragionamento «per analogia e differenza, sugli ambiti di competenza, d’intervento e di operosità che, in quanto educatore, appartengono a Don Guanella, quando siano rivisitati alla luce della pedagogia universitaria romana a lui contemporanea e successiva. E ciò, mediante
alcune puntuali osservazioni, congetture metodologiche, esemplificazioni di merito, illazioni ed ipotesi»194.
Vita e scritti, fonti e fortuna, nozioni tecniche e cultura generale, religiosità e
tavoli di valori, assunzioni ideologiche, convinzioni politiche e ambiti sociali
d’intervento, azioni caritative e “combattimenti” morali, incidenze pedagogiche
e congruenze e/o incongruenze operative, possibilità e limiti, dimensioni storico-retrospettive e spaccati prospettici: sono questi altrettanti motivi d’indagine,
variamente riconducibili alla semplicità ed insieme alla complessità della figura di
don Guanella, come circoscritta materia d’indagine e come agente determinato
di formazione. […].
Né si dovrebbe mancare di osservare in tale ambito di considerazioni, per
quanto unilateralmente e frammentariamente, il lessico peculiare di don Guanella. Sembrerebbero infatti non pochi gli spunti di riflessione da proporre per un
dizionarietto delle idee guanelliane, fatto di lemmi, definizioni, moduli concettuali,
spaccati monografici esemplificativi, delimitazioni tecniche, aperture problematiche, in vario modo riconducibili, da un lato, al pedagogismo originario di don
Guanella, alla sua fede incrollabile nell’educabilità umana (una fede nella fede),
Ivi, p. 297.
Ivi, p. 125.
194 Ivi, p. 124.
192
193
162
Parte seconda – Capitolo primo
ed al carattere specifico, inconfondibile, della sua progettualità formativa;
[…].195
Dopo aver presentato in maniera generale l’opera di Don Guanella
l’autore si cimenta in un confronto a distanza tra il sacerdote «antiliberale, anticarbonaro e antimassone» e Labriola «liberale, democratico e massonico»: un confronto sulla loro “verve educativa”, su «quell’analogo eppur
diverso voler “pensare agli altri” ed “agire per gli altri”, che vede «da un
lato l’atteggiamento di Don Guanella ed il suo originario rivolgersi alla
gente religiosa del popolo […]; da un altro lato, la posizione del Labriola
liberale […], impegnato invece a ragionare di diritti e di doveri del “popolo minuto” con il proprio prossimo, qualunque egli fosse»196.
Il confronto ha inizio con alcune indicazioni didattiche guanelliane
presenti nel testo Nella scuola. Queste indicazioni potrebbero essere condivise anche da Labriola in quanto asseriscono che “per ben insegnare”
ciò che conta è il «doppio insegnamento», che «si chiama analiticosintetico» e procede «ascendendo e discendendo» esprimendosi in «forma dialogica»197. Difatti come afferma Don Guanella:
Io offro un libretto nel quale con semplicità di dettato, e con chiarezza di
pensieri come meglio potei, presento al maestro una norma per dirigere con
vantaggio l’insegnamento elementare […]. Per questo il maestro deve attendere
con studio per accrescere grado a grado egli stesso nello studio e nella bontà
della vita […]. Però è bene che il buon maestro accresca la sua piccola libreria
scolastica, che badi ai testi di scuola migliori da adattarsi [Lezione probabile:
adottarsi]. È bene che si associ ad un savio periodico scolastico a fine di conoscere il progresso didattico delle scuole in diversi paesi. Ha dei comuni e degli
istituti che provvedono ad una piccola biblioteca di buoni libri scolastici. Chi si
adopera in ciò mostra di ben intendere l’importanza di un saggio insegnamento.198
E prosegue:
Dopo aver parlato vuole intendere se lo scolaro ha ben appreso. A tale scopo
incomincia un discorso con il quale muove lo scolaro una domanda per averne
Ivi, pp. 125-126.
Ivi, pp. 136-137.
197 Cfr., Ivi, p. 141.
198 Ivi, p. 141.
195
196
Recensire Labriola tra testi e contesti
163
la risposta. Questo è forma di insegnamento che si chiama dialogica. […] si
chiama anche forma socratica, perché il filosofo Socrate l’ebbe per primo in uso
[…]. La forma espositiva corrisponde al metodo analitico d’insegnamento e la
forma dialogica al modo sintetico.199
Da queste parole si evince che, per Don Guanella, sono indispensabili
per un efficace metodo d’insegnamento la preparazione dell’educatore,
il suo sapere scientifico e la sua pedagogica. In questo senso il legame
con Labriola diventa sempre più solido, giacché sembrerebbe che entrambi appoggino l’idea della «sapienza tecnica» nel«santuario della scienza», della «maestria individuale e collettiva» e del «potenziale generalizzato di
intelligenza critica e di assunzione di responsabilità»: «idee da attivare e valorizzare sia nella coscienza del singolo sia collettivamente, in famiglia e
in società, e tanto nelle aule scolastiche e universitarie quanto nelle parrocchie, negli istituti religiosi, nelle diverse dimensioni ecclesiali. E così
nel presente come in prospettiva»200.
Infatti, Labriola durante le sue lezioni di Filosofia morale e pedagogia
sosteneva che:
La pedagogia è la scienza dell’arte dell’insegnare, e l’uomo è un organismo
entro cui è una facoltà psichica. Noi non andremo a cercare se l’uomo sia composto di corpo e di anima; per noi l’importante è di constatare l’esistenza
dell’attività psichica. L’insegnante ha bisogno di conoscere il processo di questa
attività, e se il maestro non lo conosce, sbaglia tutto il suo insegnamento. Egli
talvolta sbaglia perché non conosce il prima e il dopo della mente del fanciullo.
Questi sono gli addentellati per far capire. Questa attività è tutta differente dalle
altre; essa non è tecnica, ma filosofica. Questo fattore porta con sé la psicologia.
[…] Ma oltre al fattore psicologico vi sono i fattori sociali, didattici e scolastici, i quali sono fattori concorrenti. Cosicché la coltura popolare è un tentativo di
modificare le attività concorrenti ad uno stato sociale secondo un ideale prefisso. La didattica astratta è l’adattamento della materia e del libro all’attività psichica del fanciullo. La didattica suppone un tirocinio, perché per fare il maestro
ci vuole la tecnicità didattica, e il maestro deve tener molto a questa tecnica come i maestri tedeschi tengono alla loro pedanteria che dà loro un carattere speciale. Il maestro deve essere quindi essere per fare imparare, in guisa che la didattica diventi tecnica.
199
200
Ivi, p. 142.
Ivi, p. 146.
164
Parte seconda – Capitolo primo
[…] La scuola popolare è nata dal bisogno di portare un certo grado di coltura nei vari ordini sociali; quindi la necessità dello stato d’imporre la scuola popolare in ragione di una pratica empirica, d’ispezione le scuole e d’imporre regolamenti e programmi.
Il punto centrale della pedagogia è nel metodo, e questo è il processo della
mente che impara. Il metodo intuitivo e oggettivo si dice che sia il trionfo della
pedagogia moderna, e deve risultare non nel far vedere ma dal far osservare. La
metodica naturale diventa il fondamento della pedagogia.
Essendo la pedagogia una scienza filosofica da tradursi in pratica, il maestro sarà
docile ai portati della scienza per saperli adattare all’insegnamento. Il limite
didattico della scuola popolare è stabilito in ciò: in quale condizione di spirito si
troverà colui che la percorre? Quali debbono essere gli studi di chi insegna,
quali i programmi per produrre negli scolari l’effetto prestabilito?
Gli effetti di tutto ciò si riducono alla coltura. La coltura popolare sta nella
forma didattica che permette di comunicare ai fanciulli un certo numero di cognizioni, e viene stabilita dall’interesse empirico, razionale, simpatetico, morale,
estetico, religioso. Essa è un fatto complesso dello spirito che può variare nella
qualità, non nella quantità.201
1.6. La fortuna di Labriola nel ´900
La terza ed ultima parte del testo Labriola dopo Labriola descrive gli
sviluppi a proposito della vita, della filosofia e della pedagogia di Labriola nel corso del secolo scorso.
La trattazione si apre con un capitolo dedicato alle lezioni conclusive
di Labriola all’Università di Roma, «estrema testimonianza di un alto
magistero scientifico e didattico» e per Labriola «il suo testamento spirituale e, per più versi, la sintesi concettuale e morale di tutta una vita di
studi, d’insegnamento, d’impegno etico-politico e civile»202. Esse, rappresentando il “Quarto saggio” sulla concezione materialistica della storia, si muovono in due direzioni; da un lato, verso una ricostruzione del
processo di formazione storica, dall’altro verso una sintesi dell’intera autobiografia intellettuale di Labriola nei suoi elementi essenziali.
Gli argomenti oggetto delle lezioni sono molteplici ed è per questo
che esse possono risultare frammentarie. Tuttavia, partendo proprio da
N. SICILIANI DE CUMIS, Studi su Labriola, cit., pp. 245-281.
Ivi, p. 270. Il titolo di queste lezioni è Da un secolo all’altro. Considerazioni retrospettive e presagi ossia il “Quarto saggio” intorno alla concezione materialistica della
storia.
201
202
Recensire Labriola tra testi e contesti
165
questa “frammentarietà”, ci si può interrogare sulla possibilità che queste lezioni possano essere una sintesi complessiva della «vicenda filosofica, pedagogica, etico-politica dell’uomo di scienza, alla luce di un po’
tutta la sua vita»203, in quanto:
Una presentazione complessiva di Labriola […] in quanto sommaria, non
può prescindere dal carico unificante della sua intelligenza critica, dal riconoscimento delle peculiarità della sua verve maieutica e dal valore pedagogico aggiunto (per così dire) del farsi della sua particolare vicenda formativa. Dal fatto,
cioè, che la sua opera, in un modo o nell’altro, si allaccia dialogicamente ma distintivamente, alla compresenza di familiari e maestri, colleghi ed allievi e alla
interferenza di uditori e interlocutori, oppositori e sodali, corrispondenti, editori, lettori, ecc.204
Innanzitutto è lo stesso Labriola a confermare questa possibilità, poiché seguendo il «filo dei suoi ragionamenti» si può notare un certo «tono
riepilogativo» di esperienze precedenti cioè «un racconto del “Sé”, mediante ricorrenti sortite autobiografiche»; in questo senso l’ultimo Labriola «contiene […] tutto il se stesso precedente»205, con l’obiettivo di una
vera e propria proposta pedagogica e didattica circa l’apprendimento e
l’insegnamento della conoscenza storica.
Una proposta pedagogica, dunque, destinata a molti, che non abbia
un ruolo preordinato:
[…] un’educazione nazionale alla storia che, al di là di ogni verbalismo, è l’altra faccia dell’insegnamento della storia.
La storia, due volte magistra vitae: che, come res gestae, soggettivamente insegna; e che, come historia rerum gesta rum, viene oggettivamente raccontata dagli
storici ed insegnata a scuola.
La storia, come contenuto necessario della filosofia della storia. La storia, come
pratica educativa volta a illuminare le «differenze che effettivamente corrono
fra le condizioni italiane e quelle degli altri paesi»: e quindi di far capire, pedagogicamente, «la misura effettuale di ciò che l’Italia è e può di fronte alle grandi
concorrenti della storia attiva», nel «mondo dei popoli direttivi», dunque non
passivi.206
Ivi, p. 271.
Ibidem.
205 Ivi, pp. 272-273.
206 Ivi, pp. 282-283.
203
204
166
Parte seconda – Capitolo primo
Se si discorre sulla fortuna che le teorie di Labriola hanno avuto nel
secolo scorso, non bisogna dimenticare di menzionare Luigi dal Pane, il
quale, grazie alla sua opera monografica Antonio Labriola. La vita e il pensiero, ha fornito un’esposizione unitaria del filosofo e ha delineato «con
molti documenti fondamentali la genesi prossima e meno prossima di
quel Labriola interprete di Marx»207. L’opera è dunque un insieme di «diversi contenuti con unico centro metodologico: Labriola»208, ed inoltre:
[…] è punto d’arrivo e, insieme, di partenza con riferimento principale
all’itinerario del singolo studioso di Labriola, Dal Pane: e Dal Pane, parallelamente alla monografia citata e alla sua fortuna, produce e continuerà a produrre
una lunga serie di altri saggi labrioliani; ma è soprattutto la monografia che aiuta nella comprensione di più d’una circostanza della formazione e della circolazione del pensiero di Labriola (dal 1920 in poi), quanto per gli anni a venire
(dopo cioè il 1935).209
Insomma, come afferma Siciliani:
[…] ciascuna maniera filosofica di essere del Labriola (vuoi hegeliana ‘in andata’, vuoi herbartiana-neokantiana a qualche ‘fermata’, vuoi hegeliana ‘in arrivo’) in nessun caso s’intende nelle sue movenze procedurali effettive, nelle sue
motivazioni pratiche reali, se non all’interno di un disegno critico-pedagogico e
politico-educativo o politico tout court, nell’ambito culturale, sociale, universitario-professionale, che è proprio del Labriola.210
1.7. Terminologia labrioliana211
Per comprendere Labriola in qualità di critico della cultura del proprio
tempo occorre iniziare dal suo stesso modo di intendere proprio i concetti
di critica e cultura, cercando nell’intera sua esperienza la loro fonte.
Ma che cosa significa critica secondo Labriola? Che vogliono dire per lui coltura e cultura del suo tempo? C’è la possibilità nell’insieme dell’opera labrioliana
da un capo all’altro del suo prodursi, nel tempo di rintracciare i termini di una
Ivi, p. 329.
Ivi, p. 330.
209 Ivi, pp. 320-321.
210 Ivi, p. 293.
211 Cfr. Ivi, pp. 39-50.
207
208
Recensire Labriola tra testi e contesti
167
risposta in qualche modo unitaria a tali interrogativi? E, anche al di là degli
scatti d’umore del professor «Rabbiola» e delle caratteristiche “esecuzioni capitali” del «piccolo Robespierre del Caffè Aragno», come bisogna intendere più in
generale, in Labriola, la nettezza, la drasticità e crudezza di talune sue opinioni
ed espressioni su alcuni uomini di cultura del proprio tempo?
Se è vero infatti, secondo Labriola, che «le idee non cascano dal cielo» e che
la storia delle idee «non consiste nel circolo vizioso delle idee che spiegano se
stesse» […] è altrettanto vero che le idee, quelle che sono frutto del positivo lavoro della critica, non si trovano né gratis sotto i cavoli né con lo sconto ai mercati generali, e tanto meno con quelle stesse facilitazioni culturali e semplificazioni concettuali che, al tempo di Labriola, vengono secondo lui praticando nella «Scienza», in filosofia, i neokantiani e gli idealisti, gli spiritualisti e i positivisti acritici.212
È importante dunque, capire il significato di alcune espressioni di Labriola, che nascondono la sua inconfondibile verve ironica e autoironica:
«idiosincrasie umane, che sembrano introdurre per così dire geneticamente sia gli aspetti teoretici, tecnico-conoscitivi, sia a quelli eticopolitici ed educativi della dottrina, di cui la “pedagogica” è parte»213.
[…], rimane per noi il problema di quale rilievo teoretico ed etico-politico attribuire alle stesse fulminanti definizioni labrioliane del «pontificato scientifico»
e «ritardatario» del «de generatore reazionario del geniale Saint Simon» e dei
suoi epigoni, ovvero di quell’altro «grande eunuco» e «gran pontefice» del positivismo, «quintessenza di borghesismo nemicamente anarchico», «a volte un
Kantiano inconsapevole e a volte un Hegel in caricatura» che sembra assommare tanto i difetti di un volgare empirismo mascherato di scientificità, quanto gli
eccessi di una particolare teologia camuffata di razionalità.
Egualmente, sul piano della subitaneità di certe frequenti reazioni verbali ed
epistolari, occorre andare al di là della immediatezza delle circostanze e della
schiuma variopinta, eccessiva, dell’insulto: e cercare invece di comprendere, più
in generale, il senso complessivi della frequenza, schiettezza e durezza con cui,
da parte di Labriola, avviene lo svillaneggiamento di questi filosofi «scemi»,
«scemi di mente» (figli e magari nipoti di altri professori «idioti» e «poveri scemi»), e di quel letterato «vanesio», e di quest’altro narciso che fa «la storia intima delle sue letture, fino alla fotografia della penna della quale si serve».
212
213
Ivi, p. 40-41.
Ivi, p. 42.
168
Parte seconda – Capitolo primo
Se per Labriola, infatti, risulta immediatamente incontenibile il biasimo per
quel certo filosofo «vilissimo […] inconcludente ciarlatano […] neocommendatore e […] lustrascarpe di ministri», è altrettanto irrefrenabile il giudizio variamente maturato sull’«ultrasiciliano» pensatore, «un po’ infatuato di sé, un po’
presuntuoso», che viene negando «la comprensione filosofica della natura e della
storia».[…].
Non meraviglia, quindi, in un siffatto quadro di repulse sommarie […], la
definizione, una volta, di «ciucciarello» per il filosofo neokantiano responsabile
delle sue «fesserie» antropologiche, della taccia di «bestia» per il pedagogista di
grido e di «buono, ma pusillanime» per un altro professore nell’esercizio della
sua funzione. Né stupisce la liquidazione senza appello di quelle filosofie di autori conclamati, che si spacciano per “nuove” ma che non sono nient’altro che
«coglionerie» filosofiche, niente di più che «filosofie di privato uso ed invenzione». E la dice lunga il «pasticcio» che questo noto scrittore impersona con la sua
«faccia tosta […] infinita» di «imbroglione», di «plagiario», cioè di «un mixtum
compositum di megalomania, di camorra letteraria e di vanità di mala femmina
sputtaneggiata».214
Queste espressioni sono simbolo della dimensione scientifica consapevolmente presente in Labriola, in quanto ricerca di criteri di verità filosofiche e di valori culturali. Esse, simboleggiano anche quell’impegno
storico, politico e pedagogico di costruire una nuova cultura della critica
individuale e sociale.
In questo senso si forma nel Labriola una sorta di deontologia professionale che include, da una parte, l’avversione alle unilateralità «di scuola o di setta» e ai due pregiudizi della cultura, ossia «il volgare tradizionalismo e lo specialismo esagerato»; dall’altra parte, l’antipatia verso
quel tipo di pedagogista che si allontana dal senso della vita e della cultura generale prediligendo l’educazione formale e diretta, a discapito
dell’educazione indiretta, sempre preferibile. È dunque interessante per
Labriola:
[…] far lezione di diritti e doveri agli operai; e la propensione a dialogare,
piuttosto che con colleghi d’accademia, con stiratrici e sartine; e ad avere a che
fare, ai vari livelli, con insegnanti elementari, giornalisti, tipografi, agitatori sociali e sindacali, militanti di partito, ministri, burocrati, preti, editori, organizzatori culturali, professionisti, cittadini qualsiasi.215
214
215
Ivi, p. 41-42.
Ivi, p. 44.
Recensire Labriola tra testi e contesti
169
L’idea di critica e cultura del suo tempo sembra affermarsi, quindi, nel
Labriola più maturo come:
[…] opposizione alla «fallacia delle opinioni», al “vuoto” di scienza, al «verbalismo» […] e a tutto ciò che, in un modo o nell’altro, rappresenta per lui quel
mal vezzo italiano […] per cui «il culto e l’impero delle parole» finisce per corrodere la mente, ottundere le capacità critiche e sostituirsi al «senso vivo e reale
delle cose» a tutto vantaggio di una qualche «falsa coscienza». […]; la critica,
come attività del «correggere, rettificare e esaminare le opinioni altrui» e come
«ricerca storica» in opposizione a «qualsiasi» idea di «filosofia della storia» a
mo’ di «dommatica del nostro secolo» […].216
Labriola diventa così «pedagogo del sé, che vuol farsi al tempo stesso
pedagogo dell’altro sé»; che usa la propria esperienza per mettere in discussione tutto quello che gli sembra criticabile in sé stesso e negli altri:
«un Labriola, che quanto più osserva e relativizza la prima persona, tanto più prende le distanze anche dalla seconda e dalle terza persona. Per
raggiungere, così facendo, il “noi”, il “voi”, gli “essi”, quali ipotetici
soggetti di educazione»217.
Labriola sente la necessità di operosità critica, che da «osservazione,
disamina, analisi e notazione dei difetti di una determinata posizione
mentale o azione pratica» arriva a significare iniziativa pedagogica finalizzata alla risoluzione di un problema etico-politico; si tratta di
un’attività intellettuale e culturale qualificata e aulica che non è mai fine
a se stessa, bensì diretta a produrre e far produrre attività: un intervento
pedagogico nelle realtà umane più diverse. In relazione alla cultura del
suo tempo questa attività si esprime sia attraverso «biasimo, censura,
correzione, rimprovero, discussione, negazione», sia come «capacità di
informazione, notazione, recensione, rassegna, trattazione, giudizio, integrazione, cooperazione, formazione, approfondimento, interpretazione»218.
Questa di Labriola è, dunque, un’attività formativa inerente alla dimensione morfologica dell’esperienza, che nascendo dall’incrocio quotidiano tra teoria e pratica si viene a formare come conoscenza, etica e politica. Inoltre rappresentandosi nell’opera pedagogica si riflette nella stoIbidem.
Ivi, p. 46.
218 Ivi, p. 48.
216
217
170
Parte seconda – Capitolo primo
ria individuale e collettiva degli uomini, vale a dire nella loro vita e nella
loro «capacità di storicizzazione del sé». «Quindi […] in una autobiografia
che è […] un’educazione».219
1.8. Il “morfologico” e i suoi sviluppi
Labriola definisce il morfologico come la «parola che a mio avviso esprime tutto in breve»220, vale a dire una parola che «tra consuntivi teoretici e preventivi etico-politico-pedagogici, sembra svolgere una funzione, che è insieme di chiarimento critico del passato e di trasformazione dell’esperienza in atto»221.
Dal punto di vista labrioliano, infatti:
il morfologico sembra esprimersi “intuitivamente” e sintetizzare “qualitativamente” nei suoi “momenti” e “moventi” […], la peculiarità e unità
dell’assunto teorico-pratico dei Saggi sul materialismo storico; ed offrire d’altra
parte una chiave per comprendere meglio, complessivamente un po’ tutto il
Labriola filosofo, politico, storico, pedagogista, pubblicista, insegnante. Il Labriola parte viva ed attiva, esso stesso geneticamente, del «processo genetico» che
vuol intendere obiettivamente e modificare morfologicamente. Il Labriola «resultato storico» sia soggetto che oggetto di storia, che è insomma da comprendere
metodologicamente nella sua particolare fisionomia biografica ed autobiografica, filosofica, pedagogica, etico-politica, economica, didattica, ecc., procedendo
«dalle condizioni ai condizionati, dagli elementi della formazione alla cosa formata». Il Labriola che racconta come storico e che si racconta come individuo; e
che, così procedendo, rifà la storia della storia, il processo formativo, il “cosmo” di
quella intera unità che filosoficamente e pedagogicamente lo riguarda come morfologia di una totalità culturale in formazione. […].
[…] Labriola delle “preformazioni” e delle “neoformazioni” storiche e sociali, che incidono dialetticamente sull’individuale e sul collettivo, o come egli preferisce dire, geneticamente, dunque, morfologicamente, sullo psicologico, sul
sociologico, sull’economico, sull’etico, sull’educativo e sul politico-sociale.222
Ivi, p. 49.
A. LABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, cit., p. 35.
221 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit., p. 73.
222 Ivi, pp. 73-75.
219
220
Recensire Labriola tra testi e contesti
171
In questa direzione il criterio del morfologico rimanda alla teoria epigenetica (epigenesi) intesa come «il vero metodo speculativo (intuitivo)
[…] inerente nelle cose stesse»223. Il processo genetico, dunque, secondo
Labriola è all’origine del criterio del morfologico e della concezione epigenetica della storia, ed essendo al di fuori dei pregiudizi che ostacolano
la conoscenza, riesce a cogliere i motivi e lo sviluppo delle azioni umane,
quindi della storia umana, cioè della «storia tutta d’un pezzo», la stessa
che detta «le regole del suo farsi», che determina i tempi e i ritmi degli
avvenimenti.
[...] il criterio del morfologico non è anticipazione di cose ma solo adesione
alle cose. E quindi: è anzitutto riproduzione intelligente ma storicamente dipendente
di forme, comunque aderenti alle condizioni date, in quanto risultano organiche
all’insieme. È poi immersione critica totale e totalizzante in un processo di realtà storiche complesse, qui ed ora conoscibili, analizzabili, sintetizzabili in una forma. È ancora
proposito etico-politico-pedagogico, decisamente aperto al nuovo, ma limitato ed autolimitantesi a priori nelle cause e negli effetti, perché storicamente connesso alle circostanze e da queste determinato. È infine intervento “didattico”, sia di chi insegna nella
scuola istituzionale o istituzionalizzabile (la scuola popolare), sia degli stessi ideali politico-sociali-educativi di cui, d’accordo con la storia, l’educazione dispone.224
Educativo, ad esempio, è il modello di Giordano Bruno, il quale spezzando «del tutto le catene della scolastica» ha vivo in sé storicamente,
quindi morfologicamente, «il sentimento della nuova esperienza, a cui la
natura avesse ad assoggettarsi, per rivelarci le sue proprie leggi»225; oppure l’esempio di Giuseppe Mazzini che da repubblicano ha contribuito
a formare «per autorità di plebisciti, il nuovo principato; il quale atto,
come per simbolo e per indizio, designa il presente ufficio e la futura
storia delle nostre istituzioni»226.
Il morfologico, quindi:
[…] attiene alla storia dell’intera formazione labrioliana, nei suoi specifici
“momenti” e “moventi”; riguarda al tempo stesso, sia il Labriola che apprende
sia il Labriola che insegna. E concerne e spiega il Labriola che, nell’arco della
Ivi, p. 76.
Ivi, p. 78.
225 Ivi, p. 79.
226 Ibidem.
223
224
172
Parte seconda – Capitolo primo
vita, riflette filosoficamente e si impegna politicamente; il Labriola liberale prima, radicale ad un certo punto, quindi socialista, infine marxista…
E marxista, per l’appunto, nei termini espliciti, pratico-concettuali, del “morfologico”, che Labriola comincia col dedurre dal concetto di previsione storica
[…].227
Previsione storica che non è «una data cronologica, né la dipintura anticipata di una configurazione sociale, come fu ed è proprio delle antiche
e nuove profezie ed apocalissi»228, ma significa che la società in un determinato momento del suo processo ne scopre la causa, «fa luce a sé
stessa per dichiarare la legge del suo movimento»229.
Donde deriva, morfologicamente, una diversa cognizione delle “cose” e della
“storia” passate; una nuova ma alquanto pesante consapevolezza delle necessità e dei condizionamenti della vita umana presente; e, per il futuro, un più accorto senso del limite non disgiunto tuttavia da una evidente frustrazione delle
possibilità d’intervento umano nelle cose; e, dunque, un’idea mentalmente ancora hegeliana della previsione storica e del “progresso”.230
Ivi, pp. 83-84.
A. LABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, cit., p. 35.
229 Ibidem.
230 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit. p. 86.
227
228
Appendice I
Tutto in un film
«Fino a che punto la vita e l’opera del primo marxista teorico italiano,
e maggior filosofo della seconda metà dell’Ottocento si possono prestare
oggi, ad una “trasposizione” sullo schermo?»231 In una lettera a Eugenio
Garin, Siciliani de Cumis risponde proprio a questa domanda esponendo la sua personale idea per un film su Labriola:
Carissimo Professore,
come Le anticipai a voce l’idea di un film su Antonio Labriola, oggi, per
quanto possa apparire a prima vista fuori tempo, a me continua a risultare di
estremo interesse. Paradossalmente, è a maggior ragione per il fatto che di marxismo si parla attorno a noi poco o niente da parte degli ex marxologi (mentre i
novant’anni dalla morte di Labriola sono praticamente passati sotto silenzio),
che una rappresentazione “poetica” dell’uomo-personaggio acquista un senso
complessivo forse più ampio e drammatico. […].
Che so io, comincerei il film della morte di Antonio, meglio da alcune circostanze immediatamente commemorative nel pubblico e nel privato: facendo
pronunziare brevi, significative battute (quasi nella forma dell’inchiesta) a docenti e studenti-universitari, a Benedetto Croce, alla moglie Rosalia, ai figli Teresa e Franz dovrebbe venir fuori, già da questa specie di prologo,
un’immaginazione veriteria del Labriola: e dunque una figura impegnata nella
ricerca e nella didattica, una personalità di forte carattere, difficile, tesa, incline
alla polemica, loquace per natura, costretta quindi per la gravità del male, il
cancro che lo ha ucciso, ad un atroce silenzio […].
Il film, io già lo vedo. In idea. Rosalia vedova e la casa (la sua vita) senza Antonio. I figli, la nuora, i colleghi, gli studenti, i giornalisti, gli studiosi. […]. Tutti
raccontano il loro Labriola, il loro Antonio (inventerei ad un certo punto un diminutivo confidenziale, familiare Nino). Ciascuno ricorda, e la storia va avanti
mediante opportuni, differenziati usi del “flashback”. [...].
L’importante sarebbe però valorizzare alcuni momenti della vira di Labriola,
come specialmente perspicui ai fini della esplicitazione visiva, filmica […].232
Antonio Labriola e la sua università. Mostra documentaria per i settecento anni della
“Sapienza” (1303-2003). A cento anni dalla morte di Labriola (1904-2004), cit., p. 492 (ultimo pannello della mostra).
232 N. SICILIANI DE CUMIS, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d’archivio, ricerche,
didattica, cit., pp. 383-385.
231
174
Appendice I
A confermare l’idea di Siciliani potrebbe essere lo stesso Labriola, o
meglio il suo metodo d’insegnamento. Infatti, Ilaria Amaldi, in un suo
testo Due film su Labriola, tra Stanislavskij e Brecht, dopo aver definito il
metodo didattico labrioliano come un «rapporto organico e dialettico tra
messaggio (contenuto) e canale (mezzo)» afferma che «affrontare lo studio
di Labriola attraverso la visione di corti cinematografici, acquista un valore che va oltre quello prettamente espositivo»233, poiché sembra dare
maggior credito alle teorie pedagogiche del filosofo le quali prevedevano:
[…] l'esigenza di svecchiare la metodologia didattica attraverso l'utilizzo di
strumenti e di atteggiamenti alternativi che rispondano in modo esauriente alla
volontà di fuggire dal nozionismo in favore della valorizzazione della singola
personalità. L'esercizio di molte "attitudini pratiche" produrrà quella "orientazione certa dell'intelligenza" a cui fa riferimento il Labriola, ed è la ragione prima, come già sottolineato, che muove con passione il suo operare. Il cinema può
diventare così uno strumento educativo, capace di produrre apprendimento attraverso una "didattica partecipativa e lieta", grazie alla fruibilità immediata ed
alla capacità di coinvolgimento multisensoriale che lo contraddistingue. Questo
si verifica perché il cinema resta comunque, qualsiasi sia il suo ambito, uno
spazio creativo, di "fantasia" dove il regista al pari di un ricercatore scientifico si
muove seguendo gli impulsi delle proprie intuizioni filtrandole attraverso la
propria esperienza emotiva e/o intellettuale. Ed è questa un'esperienza che, rispecchiandosi nel binomio creatività/gioco, sembra appartenere a quelle attività
definite "serie ma ludiformi" che danno valore all'uso del gioco nell'educazione.
«Il ruolo del gioco» osserva Visalberghi «ignorato da gran parte della cultura
filosofico-pedagogica tradizionale […] è oggi considerato un fattore, indirettamente educativo e direttamente formativo, fondamentale nella formazione umana».234
A questo proposito è bene citare due corti cinematografici sulla vita,
il pensiero e l'opera di Labriola realizzati dai registi Domenico Scalzo e
Corrado Veneziano per conto della Cattedra di Pedagogia I dell'Università degli studi di Roma "La Sapienza".
I. AMALDI, Due film su Labriola, tra Stanislavskij e Brecht, in N. SICILIANI DE CUCari studenti faccio blog…magari insegno. Per una didattica della Pedagogia generale
2006-2007, Editrice Nuova Cultura, Roma, 2006, cd allegato al testo, pp. 2-3.
234 Ivi, p. 3.
233
MIS,
Tutto in un film
175
La proposta di Domenico Scalzo s’intitola Antonio Labriola e la sua Università. L’immagine principale del corto è costituita da due attori
(Giorgio Spaziani e Daria Siciliani de Cumis), che interpretano, a leggìo,
sia in prima che in terza persona, brani, selezionati da Siciliani de Cumis, estrapolati dal repertorio, pubblico e privato, di Labriola. Al fianco
degli attori è presente uno schermo sul quale, in armonia con le letture
degli attori, vengono proiettate immagini di repertorio raccolte nel filmato Il mondo di Labriola Immagini…1870-1904, il quale «è costituito essenzialmente da immagini che mostrano con accurata alternanza il professore, il filosofo, l'uomo, i suoi luoghi, il suo operato e i momenti più
salienti di una società in evoluzione»235:
Sono immagini montate con accurata alternanza che evidenziano come il
pensiero e l'attività di Labriola fossero il risultato di un modo fortemente dilatato di approcciare la filosofia e l'insegnamento, ossia un atteggiamento intellettuale costantemente inserito nella realtà sociale e nelle sue inarrestabili evoluzioni. La sua funzione di docente, viene ricordato, non risulta mai accademica,
mai sterile o fine a se stessa.236
Il cortometraggio di Corrado Veneziano, invece, intitolato Antonio Labriola e il gusto della filosofia potrebbe essere uno «strumento necessario
per creare un ponte tra passato e presente, per scoprire quella continuità
della storia» che Labriola stesso «perseguiva con fervore nel suo impegno di docente e pedagogo»237.
Il film narra la storia di una studentessa alle prese con la preparazione della tesi di laurea su Labriola, un argomento ritenuto semplice dalla
protagonista. L’incontro con il mondo labrioliano però stravolge i suoi
piani, e attraverso un percorso fatto di ricerche, libri, e luoghi, la ragazza
si ritroverà immersa in «uno studio sempre più attento e riflessivo, stimolato da una curiosità generata dalla complessa e poliedrica natura
dell'attività labrioliana»238.
Non ci sono riferimenti visivi a Labriola e al suo tempo. Egli viene raccontato agli spettatori da una voce fuori campo che ne riporta stralci di pensieri ed
affermazioni. Talvolta questi vengono riportati dalla voce della stessa protago-
Ivi, p 7.
Ibidem.
237 Ivi, p. 11.
238 Ivi, p. 12.
235
236
176
Appendice I
nista, che sembra scoprili sui testi della sua ricerca e poi elaborarli nella sua
mente. Altre volte, invece, la voce fuori campo ha un timbro maschile, quasi a
voler rievocare nell'immaginazione del pubblico il "colore" originale di quella
voce del passato. Labriola, in un certo qual modo, non viene "rappresentato" ma
"scoperto" a poco a poco, nei luoghi che lo hanno ospitato e nelle pagine dei libri che conservano il percorso del suo operato. Questo scoprirlo in un contesto
attuale, diverso, forse evoluto, quale quello del XXI° secolo, innesca nella protagonista un istintivo meccanismo di "giudizio" e di analisi critica. Questo sembra
invitarla ad una continua destoricizzazione del pensiero e dell'azione dell'eroe a
favore di una attualizzazione, di un incontro con il presente introducendo un
po' di quel senso della "continuità della storia" che lo stesso Labriola auspicava.
[…] E inoltre vengono descritte le peculiarità specifiche di quel suo tempo: dalla
forte percentuale di analfabetismo, responsabile dell'alto tasso di delinquenza,
di povertà e di degrado sociale; all'emergere di tesi e di principi innovativi, quali il darwinismo o le nuove teorie della fisiologia, che rivoluzionarono radicalmente la concezione della natura. E ancora viene sottolineato il valore dell'insegnamento e della scuola popolare nella consapevolezza che «la scienza deve diventare pane del popolo», e l'educazione del popolo deve mirare alla conquista
di un'autonomia culturale volta all'organizzazione di classe e all'abolizione del
salariato. La scuola è dunque «critica viva e progettuale», e proprio a proposito
di questo si inserisce una considerazione del Labriola sulla "politica della coerenza" che fa eco ad un clima di corruzione, clientelismo, omertà e di una deviata attenzione verso la "proprietà" da parte della classe politica […].239
239
Ivi, pp. 12-13.
Appendice II
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” –
FACOLTÀ DI MEDICINA E PSICOLOGIA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE
ESAME DI PEDAGOGIA GENERALE 1
Adriana Monaldi
Carla Fiorenza
Matricola
1085238
Matricola
1127885
Lezioni di Antonio Labriola
alla Sapienza di Roma
Analogie e differenze tra il docente universitario
e il teorico del materialismo
(6 cfu Prof. Nicola Siciliani de Cumis)
L’educazione in Italia durante il periodo fascista
e il movimento cooperativo
(1922-1943)
(3 cfu Prof. Agostino Bagnato)
Celéstine Freinet:
i metodi attivi e la pedagogia popolare
La cooperazione come sfondo per integrare e rafforzare le esperienze educative
dei singoli individui.
(3 cfu Agostino Bagnato)
La scrittura cooperativistica nella visione antipedagogica
di Tolstoj
(3 cfu Nicola Siciliani de Cumis)
178
Appendice II
Indice
Premessa (di Carla Fiorenza) .......................................................................... ……VII
Introduzione (di Adriana Monaldi)........................................................................... IX
Parte prima - Lezioni di Antonio Labriola alla Sapienza di Roma.
Analogie e differenze tra il docente universitario e il teorico del materialismo
Capitolo primo – Appunti d’autore (di Adriana Monaldi - Carla Fiorenza)
1.1. Giulio Natali: biografia ............................................................................ 17
1.2. Antonio Labriola visto da Eugenio Garin ............................................. 18
1.3. Gli appunti-scaletta ragionata delle lezioni secondo Labriola ........... 21
1.4. Ripartizione delle lezioni desunta dal manoscritto ............................. 22
Capitolo secondo – Connessioni tra il Catalogo e il manoscritto
(di Carla Fiorenza)
2.1. La Storia: morfologico e dialogico ........................................................ 25
2.2 Le altre materie di studio: la lingua come essenza della
cultura ............................................................................................................... 30
Capitolo terzo – Connessioni tra In memoria del manifesto dei
comunisti e il manoscritto (di Adriana Monaldi)
3.1. Il Labriola teorico del materialismo nel suo primo saggio ................. 35
3.2 L’ideologia che si fa pedagogia ............................................................... 38
Parte seconda - L’educazione in Italia durante il periodo fascista e il movimento cooperativo (1922-1943) (di Adriana Monaldi)
Capitolo primo – L’educazione in Italia durante il periodo
fascista (1922-1943)
1.1. Introduzione sull’educazione fascista: libro e moschetto fascista perfetto! .................................................................................................. 43
1.2. La bonifica libraia del 1938 e il convegno di Bologna ......................... 47
1.3. La censura colpisce “Mickey Mouse” ................................................... 48
1.4. Libri, storie, fiabe del consenso ............................................................. 49
Capitolo secondo – Le cooperative nel ventennio ..........................................
2.1. L’attività cooperativa durante il regime................................................ 53
2.2. L’educazione nelle cooperative .............................................................. 56
Parte terza – Celéstine Freinet: i metodi attivi e la pedagogia
popolare. La cooperazione come sfondo per integrare e rafforzare le esperienze educative dei singoli individui. (di Carla Fiorenza)
Appendice II
179
Capitolo primo – La metodologia fondata sulla cooperazione: la
pedagogia e le tecniche di Célestine Freinet
1.1. La cooperazione educativa in Italia ...................................................... 61
1.1.1. Perché la pedagogia popolare: le tecniche di Freinet.................. 62
1.1.2. Il metodo cooperativo di Freinet e il concetto di programma: i piani di lavoro.......................................................................... 64
1.1.3.Spunti teorici, metodologici, pratici di Freinet:
l’educazione sociale .................................................................................. 65
Capitolo secondo –Nuove forme di cooperativismo a scuola
2.1. Il programma d’azione comunitaria e il gemellaggio elettronico............................................................................................................... 69
2.2.1 Da Freinet all’apprendimento cooperativo o cooperative
learning. ........................................................................................................ 72
2.2.2. Una sperimentazione di apprendimento cooperativo
con i genitori ............................................................................................... 74
Parte quarta – La scrittura cooperativistica nella visione antipedagogica di Tolstoj
Capitolo primo – Forme esplicite e implicite di didattica collettiva (di Adriana Monaldi - Carla Fiorenza)
1.1. Tolstoj: uno scrittore educatore. ............................................................ 79
1.2. Osservazioni sull’esperienza didattica e letteraria di Tolstoj ............ 80
1.3. Tolstoj e Makarenko: il collettivo diviene strategia educativa. I ragazzi di campagna e i besprizornye ................................................... 81
Capitolo secondo – Esperienze collettive
2.1. Un’esperienza al CPFP “Adriatico” di Roma: nuove direzione per una grammatica delle emozioni (di Adriana Monaldi)........................ 85
2.1.1. Finalità del corso .............................................................................. 86
2.1.2. Osservazioni sulla metodologia ..................................................... 89
2.2. Esperienze tra i banchi di scuola (di Carla Fiorenza) .................................... 89
Appendice I: trascrizione del manoscritto e necrologio di Natali su Labriola .................................................................................................................. 95
Appendice II: trascrizione da Quale scuola? di Tolstoj: I ragazzi di
campagna devono imparare da noi a scrivere o noi da loro? .......................... 137
Biblio-sito-emerografia .................................................................................... 153
Indice dei nomi ................................................................................................ 157
Indice delle tematiche....................................................................................... 159
180
Appendice II
Introduzione
Nell’anno accademico 1893-’94 all’Università di Roma “La Sapienza“
Antonio Labriola teneva le sue lezioni di pedagogia avendo avuto un
incarico universitario proprio a Roma come professore straordinario di
Filosofia, Morale e Pedagogia nel 1874.
Nel 1887 ebbe l’incarico di insegnare Filosofia della Storia e nel 1902
venne trasferito alla cattedra di Filosofia teoretica.
Fu proprio in quegli ultimi anni di insegnamento che un suo allievo
nell’a.a. 1893-’94 prese quegli appunti dalle sue lezioni, che, quasi centoventi anni dopo sono il punto di partenza di questo lavoro.
L’allievo in questione era un certo Giulio Natali di cui sarà esposta
successivamente una breve biografia.
Questo scritto è il prodotto di un lavoro di ricerca a quattro mani il
cui spunto di riflessione è stato dato dal Prof. Nicola Siciliani de Cumis,
in possesso delle fotocopie degli appunti di Natali. Gli scritti originali
sono conservati presso la biblioteca Mozzi - Borgetti di Macerata dove
Giulio Natali
volle lasciare il suo notevole patrimonio bibliografico che, insieme a studi, abbozzi e manoscritti, si è rivelato di fondamentale importanza per ricostruire la
sua figura e la sua opera […]240.
Con l’aiuto del Centro Studi Maceratesi (nella persona del Prof. Pio
Cartechini, Presidente del Centro) di Macerata abbiamo potuto ricevere
il n. 25 di «Studi Maceratesi», su cui è stato pubblicato un contributo di
Paola Zannotti intitolato Giulio Natali: l’uomo e lo studioso che ci ha
permesso di dare uno sguardo alla vita dell’autore degli appunti e di
scrivere una sua piccola biografia, seguita dalla biografia di Antonio Labriola, derivata dallo scritto di Eugenio Garin sul filosofo cassinate.
Il passo successivo ci ha viste impegnate nella trascrizione degli appunti, apparsa da subito molto difficile a causa, sia dell’inchiostro sbiadito, sia dello stile grafico dell’autore che difficilmente spaziava le parole. Ancora altre difficoltà sono state date dall’uso antico della lingua itaCfr. P. ZANNOTTI, Giulio Natali: l’uomo e lo studioso, in Studi Maceratesi n.25,
Montolmo e centri vicini, Ricerche e contributi, Atti del XXV Convegno di Studi Maceratesi- Corridonia 18-19 novembre 1989, Macerata, Centro di Studi Storici maceratesi, Pollenza, MC, Tipografia S. Giuseppe, 1991.
240
Appendice II
181
liana per cui molti vocaboli usati allora sono oggi decaduti. Inoltre cancellature, scarabocchi, scritture a margine e pezzi di foglio mancanti ci
hanno fatto spesso pensare che fosse un lavoro impossibile.
Alla fine della trascrizione ci siamo impegnate nella ricerca di parole
chiave che ci facessero riflettere sul contenuto implicitamente politico
delle lezioni, vista la svolta che il professore avrebbe avuto da lì a poco,
per fare confronti con il Labriola teorico del materialismo storico e con la
visione labrioliana della pedagogia.
Il presente lavoro, nella prima parte, vuole quindi, partendo dalla difficile trascrizione degli appunti del Natali, soffermarsi sulla concezione
pedagogica del professore così come viene riportata dall’allievo per creare, laddove possibile, delle linee di connessione con il pensiero politico
di Antonio Labriola, «quando già cominciava a pensare socialista»241, ed
in quest’ottica sarà dato spazio allo scritto In memoria del manifesto dei
comunisti del 1895, cosicché si possa fare un parallelo tra l’uomo politico
e l’uomo educatore.
La ricerca di connessioni ed analogie è stata il passo successivo per
poter scrivere le seguenti pagine, che sono state elaborate anche considerando il catalogo Antonio Labriola e la sua Università, oltre ai libri citati
nella bibliografia.
Nella parte seconda viene approfondito il Paragrato 5.4 “L’educazione
durante il periodo fascista”, pag 103-107, del capitolo V parte prima del testo
di Educazione e Cooperativismo nell’Europa contemporanea (a cura della
cooperativa di Villa Mirafiori). L’approfondimento è stato scelto dall’autrice
per un puro interesse personale sviluppato negli anni per merito (o per colpa!) dei ricordi paterni.
Nel primo capitolo, paragrafo 1, si parlerà (in maniera generale), delle azioni svolte nel periodo fascista dal punto di vista pedagogico-educativo.
I tre paragrafi seguenti considereranno la letteratura in generale e si
soffermeranno su quella dell’infanzia.
Nel capitolo secondo sarà trattata l’attività cooperativa durante il regime con riferimento all’impatto educativo delle cooperative nella società del periodo fascista.
La terza parte approfondisce le tematiche relative alla pedagogia popolare, contenute nel capitolo VI del succitato testo, di cui il principale
ispiratore è stato il maestro e pedagogista francese, Célestin Freinet
(1897-1966). Proprio la sua esperienza tra i banchi lo condusse alla ferma
241 Commento del Prof. N. SICILIANI DE CUMIS durante il colloquio per l’esame di
Pedagogia Generale, Roma, 2011.
182
Appendice II
convinzione che la scuola ha il compito di inventare nuovi metodi, nuove tecniche, al fine di coinvolgere i ragazzi, tutti, anche i più demotivati.
Temi centrali di un’impostazione pedagogica fondata sui bisogni degli
alunni e sulla valorizzazione dell’esperienza concreta sono la partecipazione attiva e la comunicazione intersoggettiva. L’idea di Freinet di creare relazioni al di fuori della classe attraverso la corrispondenza interscolastica può essere considerato il primo esempio di contatto e interscambio che si è poi evoluto, grazie alle tecnologie sempre più avanzate, sino
a forme di gemellaggio elettronico o formazioni a distanza.
La conoscenza approfondita della realtà socio-culturale, degli interessi del soggetto che apprende, anche alla luce di confronti con altre situazioni e luoghi del pianeta, permette – proprio come suggerito e sostenuto dalla pedagogia popolare – di impostare il processo di formazione
muovendo da dati e contesti reali in cui assumono valore centrale
l’aspetto comunicativo e cooperativo.
Infine, la quarta e ultima parte, è stata scritta partendo da un testo di
Lev Nikolaevič Tolstoj, di cui si riporta la trascrizione in appendice.
Sono state approfondite tematiche inerenti la didattica collettiva e si è
cercato di rintracciare forme di scrittura cooperativa nello scrittore pedagogista e, in forme implicite, anche nell’opera educativa di Anton Semënovič Makarenko, entrambi russi. Sono state poi descritte azioni cooperativistiche diverse, svolte all’interno di due diversi contesti formativi.
Il presente lavoro è composto da quattro parti perché frutto di approfondimenti di due studentesse che hanno lavorato per alcune parti cooperativamente e per altre individualmente. I nomi di chi ha svolto i singoli
approfondimenti sono riportati nell’indice.
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184
Bibliografia
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http://www.rebstein.wordpress.com [ultima consultazione: 12 novembre 2011].
Indice dei nomi*
ALGAROTTI FRANCESCO, 10
ALIGHIERI DANTE, 18
AMALDI ILARIA, 174 e n.
ARDIGÒ ROBERTO, 122
ARISTOTELE, 57, 152n.
BACONE FRANCESCO, 50
BADALONI NICOLA, XI, 21, 23, 141
BAGNATO AGOSTINO, 177
BASSO LUIGI, 148
BATTISTINI ANDREA, 15n., 183
BERNSTEIN LEONARD , 8
BERTONDINI ALFEO, 183
BINNI WALTER, 27
BONAPARTE NAPOLEONE, 63
BONGHI RUGGERO, 33, 134, 155
BREAL MICHEL, 21
BRUNO GIORDANO, 21 e n., 22n., 50,
141, 171
BRUZZO SERGIO, 184
CALVINO ITALO, 13 e n., 14 e n., 16, 17
e n., 18 e n., 19, 183
CARTECHINI PIO, X, 50, 180
CAVOUR, CAMILLO BENSO (Conte di),
153n.
CELSO, 18
COPERNICO, 6
COSTA ANDREA, 8
COTRONEO GIROLAMO, 23n.
CRABA FRANCESCA, 184
CREDARO LUIGI, 59, 123, 125 e n.
CROCE BENEDETTO, 3, 5, 7, 8, 9, 19, 21,
22 e n., 23 e n., 25, 173
CUGNONI GIUSEPPE, 36
D’ANTUONO NICOLA, 20
DAL PANE LUIGI, 149, 150, 152n., 164,
166, 183
DE FABIO ADELCHI, 36
DE GUBERNATIS ANGELO, 36, 39
DE MONTAIGNE MICHEL, 57
DIDEROT DENIS, 21, 141
DOVETTO FRANCESCA, 175
DURANTE LEA, 8n.,10n., 22n., 23n., 185
ENGELS FRIEDERICH, 5, 8, 49, 134
EUCLIDE, 111
FAENZA LILIANA, 184
FERRARI GIUSEPPE MICHELE, 149
FERRAROTTI FRANCO, 185
FINELLI ROBERTO, 10
FIORENZA CARLA, X, XIII, 51, 177
FORMIGGINI ANGELO FORTUNATO, XII,
118 e n., 119, 120 e n, 121 e n., 122
e n., 123 e n., 124 e n, 125 e n., 183
FREINET CELESTINE, 177, 178, 179, 181,
182
FRÖEBEL FRIEDRICH, 126
FURNARI LUVARA GIUSI, 23n., 183
GALILEI GALILEO, XII, 15, 16 e n., 17 e
n., 18, 19, 21, 50, 141
GARIN EUGENIO, 150, 173, 178, 180,
184
GENTILE GIOVANNI, 119
GERRATANA VALENTINO, 7n., 8n., 183
GIUDICI GASPARE, 183
GRAMSCI ANTONIO, 21, 25n., 145, 146
GRILLINI ANDREA, 184
* Ovviamente nell’indice non è stato inserito il nome di Antonio Labriola.
190
Indice dei nomi
GUANELLA LUIGI (Don), 148, 161, 162
GUARAGNELLA PASQUALE, XI e n., XII,
4 e n., 6 e n., 7, 10 e n., 19 e n.,
20n., 21n., 22n., 23n., 131n., 134,
135n., 183
GUBBIO SERAFINO, 134, 135
GUGLIELMI GUIDO, 183
GUICCIARDI LUIGI, 121n., 123n., 183
HEGEL G. W. FRIEDRICH, XIV, 73, 167
HEINE HEINRICH, 124
HERARDT FRANZ, 22
HERBART JOHANN FRIEDRICH, 49, 57,
59, 75, 81, 83, 103
HUMBOLDT WILHELM (Von), 144
HUPALO ALINA, 184
KANT IMMANUEL, XIV, 57, 189
KAUTSKY KARL JOHANN, 8
KONOVALENKO ELENA, 184
LABRIOLA FRANCESCO SAVERIO, 148,
152, 153
LABRIOLA MICHELANGELO FRANCESCO,
173
LABRIOLA TERESA, 25 e n., 173
LAURENTANO LANDO, 134
LEIBNIZ G. WILHELM, 49
LEONARDI GILBERTO, 184
LEONARDO DA VINCI, 50
LEOPARDI GIACOMO, XII, 6, 16n, 17, 18
e n., 25 e n., 26, 27, 28, 29, 30, 31 e
n., 184
LESSING G. EPHRAIM, 73, 85
LIGNANA GIACOMO, 153 e n.
LISKOVA OLGA, 184
LOCK JOHN, 57
LORIA ACHILLE, 19
MACCHIAVELLI NICCOLÒ, 50
MAGGI MICHELE, 23n.
MAKARENKO ANTON SEMËNOVIČ, XIV,
145, 146, 179, 182, 184
MANZONI ALESSANDRO, XII, 22, 23n.,
24
MARCHESE RICCARDO, 184
MARCHESINI GIOVANNI, 117n.
MARCHI DEMIRO, 184
MARTINELLI RENZO, 184
MARX KARL, 4, 9, 22n., 49, 50, 166
MASTROIANNI GIOVANNI, 147, 150, 185
MATTIA EMANUELA, 184
MAZZINI GIUSEPPE, 171
MICCOLIS STEFANO, 5n., 7, 8 e n., 9 e n.,
22n., 25n., 183, 184
MICKEY MOUSE, 178
MILANO ERNESTO, 122
MONACI ERNESTO, 36, 134
MONALDI ADRIANA, X e n., XIII, 51,
177
MONTESSORI MARIA, 149
MONTEVECCHI LUISA, XIn., 183
MOSCONI GIUSEPPE, 184
MUSCETTA CARLO, 21
MUSSOLINI BENITO, 119
NATALI GIULIO, X, XII, 29, 46 e n., 47,
48 e n., 49, 50 e n., 59, 116 e n., 117
e n., 118 e n., 144, 178, 180, 184
ORTESE ANNA MARIA, 16 e n., 17
PADRONI CARLOTTA, 122n., 125n.,
130n., 184
PASCOLI GIOVANNI, 119 e n.
PATERNÒ BEATRICE, 184
PESTALOZZI JOHANN HEINRICK, 75, 81,
91
PETRARCA FRANCESCO, 25
Indice dei nomi
PIRANDELLO LUIGI, XI e n., XII, 4n.,
19n., 21n., 22n., 47, 131 e n., 133,
134, 135 e n., 136, 137, 184
PITAGORA, 111
PLATONE, 53, 57, 135, 152n.
PLUTARCO, 57
POGGI STEFANO, 163, 164
POLATO LORENZO, 16n., 184
PRESTIPINO GIUSEPPE, 25, 184
RAICICH MARINO, XIn., 183
RAIMONDI EZIO, 15n., 183, 184
ROUSSEAU JEAN JACK, 22n., 75
RYBČENKO ANNA, 184
SALLUSTIO, 156
SANDRUCCI ROBERTO, Xn.
SANSEVERINATI GIULIANO, X, 50n.
SANTAMARIA EMILIA, XII, 119, 126,
127, 128, 129, 130 e n., 184
SANTUCCI ANTONIO, 7n., 183
SANZO ALESSANDRO, X
SAVORELLI ALESSANDRO, 22n., 184
SCALZO DOMENICO, 174, 175
SCAVONE ANTONIO, IX, X e n.
SCHOPENHAUER ARTUR, 93
SENOFONTE, 152n.
SICILIANI DE CUMIS DARIA, 175
SICILIANI DE CUMIS NICOLA, X, XII,
XIII, 11n., 124n., 131n., 117n.,
124n., 131 n., 141 e n., 142, 143, 144
n., 145 e n., 146 e n., 147n., 148n.,
149, 151n., 152n., 154n., 157, 161,
164n., 166, 170n., 172n, 173 e n.,
174 e n., 175, 177, 180, 181n., 184
SICILIANI PIETRO, 57, 75
SOCRATE, 11, 21n., 27, 47, 49, 145, 146,
147, 148 e n., 150, 151 e n., 152n.
SOLMI SERGIO, 26n.
SOREL GEORGES, 10 e n.
191
SPAVENTA BERTRANDO, 8, 154 e n., 155
SPAVENTA SILVIO, 8
SPAZIANI GIORGIO, 175
SPENCER HERBERT, 57, 123
SPINOZA BARUCH, 21n.
SPRENGER ROSALIA (Von), 9, 173
TACITO, 95
TARAMASSO EMILIO, 144
TASCA ALESSANDRO, 134
TASSO TORQUATO, 22n., 47
TERENZIO, 95
TOLSTOJ LEV NIKOLAEVIČ, 125, 126,
127, 128, 129, 130, 179, 182
TROTZKIJ LEV DAVIDOVIC, 22 e n., 23
TURATI FILIPPO, 8
UGAROVA MAŠA, 184
VACCA GIUSEPPE, 154 e n.
VENEZIANO CORRADO, 174, 175
VICO GIAN BATTISTA, 25 e n., 50
VIRGILIO, 156
VISALBERGHI ALDO, XIV, 174
VOZA PASQUALE, 8n., 10n., 22n., 23n.,
185
WIDMAR BRUNO, 185
WOOLF VIRGINIA, 16n.
YUNUS MUHAMMAD, 145, 146
ZANANTONI MARZIO, 22, 23 e n., 24
ZANNONI GIOVANNI, XII, 33, 34, 35,
36, 37, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46
ZANNOTTI PAOLA, 46n., 180, 181n., 185
ZOCCOLI ETTORE, 123
Indice delle tematiche ricorrenti
Abstraction, 4 e n.
Antropologia, 69
Apprendimento, XIII, 151
Autobiografia, 147, 165, 170
Banca romana, 134
Borghesia, 4, 27, 31
Comico, 136
Composizione, 157, 159
Comunismo, 28
Corda Frates, 124 e n., 125n.
Critica, 167, 168, 169
Cultura, 14, 67 e sgg., 116, 118, 144,
145, 146, 167, 168, 169
Cultura scientifica, 14, 19, 21
Cultura umanistica, 14, 19, 21
Darstellung (composizione scritta), 5
Destoricizzazione, 188
Dialettica, 26, 116
Dialogo, 6, 10, 11, 20, 148, 150, 151,
152
Didattica, 27, 53 e sgg., 157, 165, 174
Disperazione, 7, 8
Donna, 53
Ebraismo, 123, 124
Educazione, 26, 27, 53 e sgg., 116, 127,
147, 163, 169, 170, 174
Educazione del popolo, 176
Empirismo, 79, 81, 83
Epigenesi, 171
Esercizi letterari, 18, 33, 45, 46
Estetica, 81, 83
Etica 14, 69, 89, 161
Faire le livre (quasi libro), 6
Famiglia, XIII
Fasci siciliani, 134
Film, 173
Filosofia, 3, 13 e n., 14 e n., 33, 45, 103,
107, 175
Filosofia dell’umorismo, XI, XII, 5, 6 e
n., 7, 20, 121, 122, 123, 135, 136
Geografia, 71, 99, 101, 107, 115, 156
Ginnastica, 53
Gioco, 174
Grammatica, 46, 93, 95, 97, 156, 157,
159, 160
Greco, 97, 107
Insegnamento, XIII, 7, 11, 14, 26, 33,
39, 40, 49, 53 e sgg., 117, 151, 162,
175
Insegnamento della storia, 117
Intercultura, 145, 156
Ironia, 49, 167
Labor limae, 3
Laboratorio Labriola, 142, 144
Latino, 95, 107, 156
Leggi razziali, 118, 119, 120, 122, 124 e
n.
Letteratura, X e sgg., 3, 13 e n., 14 e n.,
15 e n., 17 e n., 18, 19, 33, 36, 39,
45, 50, 93, 116
Lettura, IX, X, 15, 46, 85, 116, 156, 157,
158, 159
Libercolo, 20
Libertà, 75, 120
Libro, IX, X, 6, 10, 118
Lingua, 16, 17, 24, 57, 63, 93, 97, 154
194
Indice delle tematiche ricorrenti
Lingua nazionale, 57, 63, 93, 107, 115,
144
Lingua classica, 93, 95
Linguaggio, XIII, 4, 5, 7, 8, 9, 16, 17,
18, 19, 21, 144
Linguaggio del nuovo, 4
Linguaggio scientifico, 14, 20
Linguaggio umanistico, 14
Linguistica, 21
Logica, 15, 45, 57, 103
Lotta, 13, 14, 174
Lotta di classe, 28, 30
Maestro, 26, 69, 127, 128, 151, 163, 164
Maieutica, 10, 11, 27, 147, 151
Malattia, 7, 19, 24
Malinconia, XII, 7
Marxismo, 4, 49, 50
Matematica, 57, 85, 95 99, 103, 109,
111
Materialismo storico, 3, 5, 6, 9, 19, 24,
49, 164, 171
Metafora, 15
Morfologia, 9
Morfologico, 13n, 146, 170, 171, 172,
178
Morte, 7
Museo d’Istruzione e Formazione,
148, 152, 155 e n., 156, 157
Mutismo, 135
Natura, 27, 28, 30, 85
Naturalismo, 85
Operosità critica, 169
Organo pedagogico, 7
Ottimismo, 25, 27
Papuano, 145
Parola, 13, 15, 63, 91, 144
Pedagogia, 3, 26, 53 e sgg., 128, 161,
163, 165
Pedagogia scientifico sperimentale,
26
Pessimismo, 25, 27
Pessimismo esistenziale, 25
Poesia, 18, 83, 101
Politica, 3, 69
Positivismo, 126, 155
Principio dialogico, 10, 11, 27, 147,
150, 151, 152, 163, 178
Problema del cominciamento, 3
Progresso, 125, 128, 172
Prosa, XII, 3, 9, 10, 16, 18, 21, 22, 23,
48
Psicologia, 3, 14, 45, 69, 89, 163
Ragione, 15, 27
Religione, 79, 121
Retorica 3, 15, 16, 19, 20, 21, 23, 26, 49,
93, 157
Riso, 118, 119, 121, 122
Rivoluzione comunista, 31
Rivoluzione scientifica, 15
Romanzo storico, 24
Russia, 129, 130, 148
Schiavitù, 31
Schublade (cassetto), 5
Scienza, 13, 14 e n., 15 e n., 17n., 18, 79
e sgg., 128, 147, 161
Scienza dello sviluppo, 69
Scrittura d’occasione, 5
Scrittura, IX, XI, 3, 5, 6, 7, 9, 10, 18,
20, 21, 22, 23, 26, 46, 48, 122
Scuola classica, 53, 65, 85, 87
Scuola popolare, 57, 61, 63, 87, 144,
164
Scuola secondaria, 61, 63, 87, 103, 105
Sentimento del contrario, 136
Social catena, 28, 30
Indice delle tematiche ricorrenti
Socialismo, 3, 4, 5, 9, 49, 121 e n.
Sociologia, 69, 89, 103
Stile epistolare, XII, 8, 9, 19, 20
Storia, 3, 24, 101, 107, 165, 172
Storia della pedagogia, 75
Suicidio, 120, 122
Umanesimo, 67, 79, 93
Umorismo, 8, 135, 136
Unificazione culturale, 155
Uomo, 85
Verità, 13, 15, 21, 91, 168
Voce, 8, 47
195
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012
presso il Centro Stampa Pioda, Roma
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