Che farà?“Io sono leninista. Lenin voleva distruggere lo Stato e

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direttore
redazione
progetto grafico
simone siliani
gianni biagi, sara chiarello,
emiliano bacci
aldo frangioni, rosaclelia ganzerli,
michele morrocchi, sara nocentini,
barbara setti
Con la cultura
non si mangia
93
260
N° 1
Che farà?
“Io sono leninista. Lenin voleva
distruggere lo Stato
e questo è anche il mio obiettivo.
Voglio buttare tutto giù e distruggere
tutto l’establishment di oggi.”
Steven Bannon
consigliere strategico di Trump
editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze
Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012
Da non
saltare
19
NOVEMBRE
2016
pag. 2
Sara Nocentini
[email protected]
di
L
a vittoria della Sindaca
Ceccardi alle elezioni amministrative del Comune
di Cascina ha portato per la
prima volta in Toscana una
candidata della Lega Nord alla
guida di una roccaforte del PCI,
e delle sue successive evoluzioni,
fino all’attuale PD. Un risultato
eclatante che, sebbene limitato
ad un Comune di circa 45.000
abitanti, contiene un valore
simbolico rilevante, su cui la
Sindaca e la coalizione di destra
che la sostiene ha continuato a
investire anche dopo l’esito delle
amministrative.
Ceccardi è infatti salita spesso
agli onori delle cronache per la
sua rigidità su temi di forte impatto sociale, scagliandosi contro il Governo e le normative
nazionali e regionali in merito
alle unioni civili all’accoglienza
dei profughi migranti.
Tra i temi che hanno scaldato la
competizione elettorale e ancor
di più hanno animato i primi
mesi di governo cittadino vi è il
futuro (e il presente) della Città
del Teatro, nota istituzione culturale del Comune di Cascina,
di rilievo regionale e recentemente riconsociuta Centro di
Produzione Teatrale dal decreto
di apporvazione della distribuzione del Fondo Unico per lo
Spettacolo, interessato anch’esso
purtroppo da vicende portatrici di incertezze sul futuro dei
finanziamenti al settore.
L’attacco della nuova maggioranza alla passata gestione
del Teatro è stato frontale: si
criticano i conti, la gestione e
i costi della programmazione
artistica e la strategia di investimenti per la manutenzione
dell’immobile e il nuovo cda,
che ha sostituito i dimissionari
Michelangelo Betti (Presidente)
e Fabiano Martinelli (Vicepresidente) con Andrea Buscemi
e Matteo Arcenni, ha avocato
a sé direzione amministrativa e
artistica, esautorando di fatto la
direzione artistica di Donatella
Diamanti, legata al Teatro da un
contratto triennale, a garanzia
del programma culturale che ha
permesso al teatro di ottenere
l’importante riconoscimento
ministeriale come Centro di
Produzione Teatrale.
Nelle ultime settimane il clima
La Città
del teatro
si è fatta
si è nuovamente surriscaldato,
per il mancato coinvolgimento
della Diamanti per la conferenza stampa di presentazione
della nuova stagione, nella quale
non mancano sorprese e colpi
di scena.
Alla Direttrice artistica Diamanti abbiamo chiesto di aiutarci a
capire la situazione che è venuta
a crearsi a Cascina.
Diamanti, l’attacco della giunta
Ceccardi e dei suoi rappresentanti
nel Cda del Teatro presenta toni
di una durezza inaspettata, con
critiche rivolte a tutti gli ambiti
di gestione del teatro. Quali sono
le accuse che vengono mosse al
vecchio CdA e a lei in particolare?
In rapida successione, mi sono
state rivolte accuse un po’ di
ogni tipo. Come nella favola
di Fedro Il lupo e l’agnello, si è
cominciato imputandomi (nello
stesso momento) sia di aver
verde
fatto del teatro un luogo troppo
di nicchia e non aperto alle
realtà locali, sia esclusivamente
radicato sul territorio e di un
respiro non sufficientemente
nazionale. Poi si è passati – a
dispetto di una crescita enorme
nel numero degli spettatori e
nei finanziamenti ricevuti da
Ministero e Regione, quindi
contro ogni dato esistente e
facilmente consultabile – ad
attribuirmi responsabilità dirette nella esposizione debitoria
della Fondazione. Non paghi,
fallita anche questa via di
contestazione, sono cominciate
le richieste di dimissioni, a loro
dire coerenti col fatto di aver
espresso prima delle elezioni
una personale preferenza. Come
se ciò fosse preclusivo di una
qualunque possibile forma di
collaborazione, insomma. Da
ingenua romantica, innamorata
del mio lavoro e di ciò che La
Città del Teatro è nel tempo
diventata, ho provato ad andare
avanti, cercando ripetutamente
di poter essere parte del processo decisionale legato alla sfera
artistica (ciò che attiene al mio
Da non
saltare
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pag. 3
contratto, in sostanza), ma ogni
tentativo è risultato inascoltato.
Il suo lavoro all’interno del teatro
è stato orientato dall’obiettivo
ambizioso di collocare una realtà
culturale decentrata all’interno
del ricco e variegato panorama
culturale toscano, riuscendo a
combinare qualità delle produzioni, accoglienza di artisti
e formazione del pubblico più
giovane, con la capacità di fare
rete con le altre realtà culturali di
riferimento. Lei ritiene che il suo
esautoramento indebolisca al punto di snaturare la filosofia stessa
della Città del Teatro e dunque la
sua stessa collocazione nel sistema
teatrale toscano?
Cascina rappresenta una realtà
particolare, sia per la sua storia,
sia per la collocazione nel territorio. Da una parte ha infatti
Pisa, con un grande Teatro
come il Verdi da sempre attento
a quanto di meglio la scena
nazionale propone nel cosiddetto teatro di tradizione (cosa che
non esclude certo altre valide
iniziative legate al presente);
dall’altra c’è Pontedera, dove il
Teatro Era – ora diventato teatro Nazionale, dopo la fusione
con la Pergola di Firenze – ha
costruito una sua solida fama
nel campo della sperimentazione. Si trattava dunque di trovare
una via e spazi che consentissero
di soddisfare quanto rimaneva
di quanto offerto dalle realtà
limitrofe. Da qui è nato il percorso che ha fatto della Città del
Teatro un Centro di produzione
teatrale votato alla ricerca e
alla sperimentazione rivolto in
particolar modo, per vocazione
e per mandato ministeriale, alle
nuove generazioni.
Qual è a suo avviso il rischio più
grande che corre oggi la Città del
Teatro?
Lo snaturamento di quel progetto a cui facevo riferimento
prima. Giusto per esemplificare,
negli ultimi due anni abbiamo
Intervista
a Donatella Diamanti
direttrice artistica
del teatro di Cascina
avuto il piacere di ospitare sul
nostro palcoscenico e di creare
giornate-evento intorno a loro
(con una pluralità di spettacoli
connessi ad ognuno dei temi
di volta in volta toccati) Emma
Dante, Marco Paolini, Elio De
Capitani, Zingaretti, Lella Costa
e tanti altri, fino a Silvia Gallerano col suo spettacolo vincitore
del Festival di Edimburgo. Proposte che hanno sempre riscosso
tanta attenzione del pubblico,
con la soddisfazione di una sala
sempre gremita e partecipe. Ho
un profondo rispetto per loro
personalmente e come professionisti e non voglio quindi con
questo eccepire nulla sulla qualità del loro lavoro, ma mi pare
evidente che un cartellone che
prevede Gianfranco D’Angelo,
Anna Mazzamauro, Marisa Laurito, Barbara Bouchet, Corinne
Clery e svariate performance
della compagnia del Presidente
non sia più esattamente in linea
con la voglia di sperimentare
linguaggi fin qui non praticati e
di cercare contatti con le nuove
generazioni.
riunione
di
famiglia
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pag. 4
I Cugini Engels
Le Sorelle Marx
Il cadetto di Guascogna Dario da Vinci alla riscossa
Questa è la storia dei tre sindaci
e del capo comico della città di
Florentia. Romanzo d’appendice
che avrebbe potuto essere scritto da
Alexandre Dumas, “I tre moschettieri e il il cadetto di Guascogna”.
Eccovi la sinossi.
Il capo comico di Florentia, al
secolo Dario Nardella, è ormai
convinto che il cardinale Richelieu
di via Cavour, il bianco-porporato
Eugenio Giani, voglia scalzare dal
trono il monarca assoluto, Matteo
Renzi I, attraverso la presa di
Florentia, il bastione renziano più
avanzato del regno. Il guascone è
tanto coraggioso quanto irruento
e per fermare le losche trame del
cardinale Eugenio, decide di assoldare i tre valorosi moschettieri del
re - Athos (Pieraccioni), Porthos
(Panariello) e Aramis (Conti) –
chiamandoli a difendere la città.
A tal fine, consigliato dalla sua
Constance Bonacieux, consegna in
una sontuosa cerimonia pubblica
le chiavi della città ai tre moschet-
tieri, affinché ogni sera chiudano i
portoni e veglino a difesa dell’urbe.
Ecco le immortali parole del
guascone: “Sono tre ambasciatori
di Firenze e della fiorentinità in
Italia e nel mondo, e questo grazie
alla loro professionalità, al loro
estro, alla loro creatività. Come
abbiamo fatto alcuni mesi fa, per
i grandi Morandi e Baglioni [che
fiorentini di certo non erano, bensì
soldati di ventura della marca di
Bologna e del papato], anche oggi
riconosciamo il valore di questi
artisti. Firenze è fucina e città di
talenti e voi ne siete le più alte
espressioni”. Spumante e pasticcini hanno concluso la cerimonia.
Il cardinale Giani si rodeva per
essersi perso il buffet.
Ma i tre moschettieri, si sa, sono
dei buontemponi e, chiusa la porta
della sala delle cerimonie (con
il capo comico dentro), si sono
autoproclamati sindaci della città
e se ne sono andati a festeggiare in
taverna.
Dario da Vinci, al secolo Dario
Parrini (arcigno segretario regionale
toscano del PD e già sindaco della
nobile cittadina), pare sia molto
preoccupato e contrariato. Fonti
vicine all’intellettuale prestato (anzi
regalato) alla politica ce lo rappresentano di umore nero per l’accordo che
il sindaco di Milano Sala e quella
di Torino Appendino hanno siglato
a Londra nel nome di Leonardo
da Vinci, manifestando la comune
volontà di celebrare insieme i 500
anni dalla morte di Leonardo. Certo,
Dario da Vinci non si capacita di
come questi due figuri abbiano potuto pensare di parlare di Leonardo
bypassando Dario da Vinci. E nelle
parole dei due sindaci è convinto,
nella sua ormai acclarata mania
di persecuzione, che vi sia l’intento
principale di annichilire la “sua”
Vinci. Com’altro leggere le parole di
Sala, «Siamo qui per promuovere le
due città, non ha senso ragionare in
un’ottica di competizione. I nostri
avversari sono le grandi capitali»? O
quelle della Appendino, «Possiamo
competere con molte città, ma con
Milano non ha senso. Abbiamo ruoli
complementari, credo sia utile allearci per competere con altri territori»?
Ma è ovvio: vogliono allearsi per
muovere guerra alla “mia” Vinci, si
sta dicendo ossessivamente Dario,
Ma soprattutto non sopporta il fatto
che i due sindaci si siano incontrati a
Londra e non abbiano chiesto a lui,
noto traduttore dall’inglese di articoli
per l’Unità, di fare da interprete.
Dario da Vinci, ciglia più aggrottate
del solito, medita vendetta, tremenda vendetta: sarà il grande tessitore
dell’alleanza strategica fra Anchiano (frazione natale di Leonardo)
e Amboise (città in cui morì) per
schiacciare le due cittadine del nord.
La guerra dei bonzi, cominciata è.
avere anche noi il murus ruptus e
ribattezzare il modesto lungarno
Torrigiani, grande opera ingegneristica del Giuseppe Poggi con un
nuovo nome: lungarno del Muro
Torto come il più famoso viale del
Muro Torto tra il Pincio e Villa
Borghese.
Fioriranno le leggende anche per
il nuovo lungarno così come è
successo per il muro capitolino?
San Pietro stesso difende il muro
romano: da lì nessun invasore è
mai passato.
Ma è anche il “muro malo” dove
si seppellivano prostitute, ladri e
suicidi…
Intanto chiediamo l’intercessione
di San Giovanni Battista (quello
del Vangi chiamato a vegliare sul
Muro Torto) che ci liberi dalle
future prese per i fondelli che
immancabilmente arriveranno.
Certo non dai romani… con loro
sarà facile controbattere, ma con
gli altri?
Il Fratello di Malevich
Il muro gobbo fiorentino
Finalmente anche Firenze ha il
suo “muro torto”.
L’invidia che da sempre hanno le
figlie minori della caput mundi
può addirittura arrivare a queste
perversioni.
L’occasione data dallo scoppio
del tubo con il muraglione del
Poggi che ha retto l’urto ma non è
crollato era troppo ghiotta.
Tale era la forza di voler emulare la Roma classica che nessuno
è riuscito a convincere le varie
istituzioni a fare ciò che doveva
essere fatto per logica e opportunità: raddrizzare il muro.
Intanto rimarrà a imperitura memoria di un non-evento, dato da
un misto di fatalità e negligenza,
e nessuno si ricorderà di ciò che
oggi appare un miracolo: aver ricostruito, pardon aver consolidato
un muraglione spanciato in pochi
mesi…davvero un bel risultato.
Così nella Firenze del terzo
millennio potremmo bearci di
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pag. 5
Fotografia globalizzata
Danilo Cecchi
[email protected]
di
L
a fotografia, secondo una
delle più azzeccate definizioni, è un ritaglio operato
contemporaneamente nello
spazio e nel tempo. La fotografia
permette di estrarre dal continuum
spazio temporale che ci avvolge
senza soluzione di continuità dei
distillati, più o meno concentrati,
contenuti in un preciso intervallo
temporale, definito dalla velocità di
otturazione, in una precisa cornice
spaziale, definita dal mirino, ed in
un preciso contesto prospettico,
definito dall’obiettivo. La massima lunghezza focale e la minima
distanza di ripresa permettono di
concentrare al massimo il distillato
della realtà visiva, mentre viceversa la minima lunghezza focale e
la distanza di ripresa all’infinito
permettono di diluirlo. Se molti
fotografi hanno sfruttato in chiave
espressiva le inquadrature “strette” e le conseguenti immagini
fortemente “ritagliate”, altri hanno
cercato di liberarsi da questa gabbia
ideologica cercando invece inquadrature ampie, sempre più ampie
e possibilmente omnicomprensive.
Fino dalla metà dell’Ottocento la
fotografia panoramica ha sfondato
i limiti laterali dell’inquadratura,
sia in fase di ripresa, con le fotocamere ad obiettivo ruotante o interamente ruotanti, con rotazione
fino a 360 gradi, sia in maniera più
artigianale, incollando le diverse
riprese parziali fino a ricreare l’intero giro d’orizzonte. Oggi con la
tecnologia digitale questa operazione viene gestita da programmi
evoluti che fondono insieme le
diverse riprese compensando anche
i piccoli inevitabili scarti fra i
bordi delle diverse immagini, che
formano alla fine una immagine
unica. Dall’altra parte la tecnologia
ottica ha cominciato ad offrire fino
dalla seconda metà dell’Ottocento
degli ottimi obiettivi grandangolari
in grado di abbracciare un campo
molto ampio, arrivando in epoca
moderna a coprire angoli sempre
maggiori. Dove non arrivano i
grandangolari classici arrivano gli
obiettivi emisferici, in grado di
superare i 180 gradi, ma fornendo
anch’essi delle immagini delimitate dalla cornice del mirino o dai
bordi del formato. Forse proprio
a causa di questi limiti, le fotocamere panoramiche e gli obiettivi
super grandangolari o emisferici
sembrano non bastare più a
placare la smania di includere in
una sola immagine tutto il visibile.
In base allo stesso principio con
cui si confezionano le immagini
panoramiche incollando immagini
diverse, la tecnologia digitale ha
reso possibile la fusione di nume-
rose immagini (anche riprese con
il cellulare) in modo da ricostruire
immagini a “tutto tondo”, non
solo tutto attorno al punto di
vista, ma anche al di sopra ed al di
sotto di esso, delle vere e proprie
“panoramiche sferiche”. Per sem-
plificare ancora di più la realizzazione di questo tipo di immagini,
alcune industrie hanno messo sul
mercato delle fotocamere speciali, di forma circolare o sferica,
provviste di numerosi obiettivi che
puntano in tutte le direzioni, e di
un programma che fonde in una
sola immagine “globale” la somma
di tutti gli scatti realizzati contemporaneamente. Questo tipo di
immagini “globali” o, se preferiamo, “globalizzate”, al contrario
delle immagini panoramiche,
super grandangolari ed emisferiche, non possono essere stampate
su supporti cartacei, ma possono
essere visionate sullo schermo del
computer, scegliendo e variando a
piacere il punto di vista. In questo
modo l’immagine globale cancella
il concetto di “mirino”, dato che
tutto viene incluso nell’inquadratura, senza “ritagli” e senza limiti
di “cornice”. Ogni immagine
globale finisce così per assomigliare
alla rappresentazione della scena
di un delitto, dove tutto viene
registrato, in modo da permettere
al detective di turno di visionare
più volte il luogo senza dovervi
ritornare e senza che niente venga
alterato. Fotografando tutto si
evita la fatica di scegliere il punto
di vista, evitando di trascurare dei
dettagli che forse, con il senno di
poi, potrebbero rivelarsi importanti. In questo senso l’immagine
globale rappresenta una scorciatoia.
Nel dubbio su cosa è importante
e cosa no, si sceglie il tutto. Ma
la stessa immagine diventa anche
impersonale. Niente più libero
arbitrio, niente indagine attorno
all’oggetto per scoprirne i lati
nascosti, nessuno spirito di osservazione per trovare temi interessanti.
Solo delle registrazioni integrali
in attesa di un osservatore che
invece della realtà possa scrutare la
registrazione stessa esplorandola,
cercandovi lui stesso significati,
scorci visivi, dettagli illuminanti.
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NOVEMBRE
2016
pag. 6
Laura Monaldi
[email protected]
di
I
n occasione della Giornata
internazionale contro la
violenza sulle donne (25
novembre), Alessandra Borsetti
Venier, in collaborazione con
L’Associazione MultiMedia91 e
AParte Associazione Pecci Arte,
ha ideato e curato la manifestazione Scarpe Rosse 1522
e la mostra Rosso di Donna,
portando a Prato il fior fiore
dell’arte contemporanea emergente e non. L’evento sensibilizzerà il pubblico sulle tematiche
della violenza fisica e psicologica
nonchè del femminicidio. Il
tutto sarà articolato in tre parti:
la prima prevede l’installazione
“Scarpe Rosse 1522” in Piazza
delle Carceri con il saluto delle
autorità e alcune performance
sul tema; la seconda presenta la
mostra d’arte contemporanea
“Rosso di Donna” nella Sala
Campolmi della Biblioteca
Lazzerini, successivamente il
primo dicembre sarà organizzata una serata con interventi di
esperti, intervallati da letture,
performance e video sul tema
della prevenzione. Si tratta di un
progetto importante e internazionale, iniziato nel 2014 e
tuttora in progress che toccherà
molte città italiane con l’obiettivo di sensibilizzare le masse
su una problematica crescente
che nemmeno l’Arte poteva
ignorare. Pregio dell’idea della
curatrice è stata l’intuitiva idea
di rivalutare l’Arte anche dal
punto di vista critica e militante,
poiché in una società degenerata
e degenerativa solo l’immagine
può essere in grado di colpire
il fruitore direttamente senza
filtri. Riscoprire il valore sociale
dell’opera d’arte nelle manifestazioni di interesse pubblico è una
prerogativa per tutti coloro che
hanno veramente colto il senso
della creazione estetica, lontana
dal mero esercizio formale.
Gli Artisti in mostra: Egizia
Agatone, Marcello Aitiani,
Francesco Alarico, Resmi Al
Kafaji, Paolo Amerini, Fernando
Andolcetti, Gianni Antenucci,
Francesco Aprile, Agostino Arrivabene, Mariele Artemise, Mario Artioli Tavani, Laura Balla,
ViIttore Baroni, Elena Barthel,
Lina Basile, Francesco Battaglini, Emanuele Bencivenni, Luisa
Bergamini, Carla Bertola, Lea
Rosso di donna
Bilanci, Daniela Billi, Tomaso
Binga, Mariella Bogliacino,
Alessandra Borsetti Venier, Leonardo Bossio, Bottega, Antonino Bove, Liliana Brosi, Rossana
Bucci, Maurizio Buscarino,
Rosaspina Buscarino Canosburi, Gloria Campriani, Carlo
Cantini, Silvia Cardini, Silvia
Capiluppi, Myriam Cappelletti, LeoNilde Carabba, Marco
Cardini, Anna Cassarino, Nadia
Cavalera, Cinzio Cavallarin,
Maria Chiara Cecconi, Andrea
Chiarantini, Alessandro Ciappi,
Antonio Ciarallo, Roberto
Coccoloni, Alice Corbetta, Enzo
Correnti, Fiorella Corsi, Vanessa
Costantini, Mattia Crisci, Gian
Luca Cupisti, Massimo D’Amato, Serena D’Angelis, Flaminio
Da Deppo, Andrea Dami,
Anne&Mario Daniele, Albina
Dealessi, Teo De Palma, Fabio
De Poli, Luca De Silva, Adolfina
De Stefani, Paolo Della Bella,
Giampietro Degli Innocenti,
Maria Di Pietro, Marcello
Diotallevi, Serenella Dodi,
Tamara Donati, Gianni Dorigo, Graziano Dovichi, Laura
VdB Facchini, Mariapia Fanna
Roncoroni, Riccardo Farinelli,
Mirella Ferrari, Dino Ferruzzi,
Luc Fierens, Antonia Fontana,
Lorenzo Fontanelli, Kiki Franceschi, Aldo Frangioni, Ignazio
Fresu, Gabriella Furlani, Carla
Fusi, Giovanni Galizia, Alberto
Gallingani, Caroline Gallois,
Mauro Gazzara, Carlo Gianni,
Chiara Giorgetti, Alessandro
Goggioli, Cristina Gozzini,
Andrea Granchi, KPK (kantierepostkontemporaneo), Riccardo
Guarneri, Carla Iacono, Indy,
Roberto Innocenti, Donato
Landi, Melania Lanzini, Bruno
Larini, Adriana Leati, Alfonso
Lentini, Ines Lenz, Ilze Jaunberga, Lucy Jochamowitz, Riccardo
Lanciotto Magris, LeonaK,
Margherita Levo Rosenberg,
Oronzo Liuzzi, Federico Lombardo, Dario Longo, Antonio
Lo Presti, Gian Paolo Lucato,
Paolo Lumini, Marta Luppi, Aldo Lurci, Gianna Paola
Machiavelli, Riccardo Macinai,
Gustavo Maestre, Ruggero
Maggi, Manuela Mancioppi,
Antonello Mantovani, Andrea
Marini, Silke Markefka, Luca
Matti, Donatella Mei, Andrea
Meini, Renato Meneghetti,
Marcello Meucci, Massimo
Mion, Ubaldo Molesti, Fernando Montà, Fernando Montagner, Fernanda Morganti,
Helmut Morganti, Susanne Niemann, Lisa Nocentini, Murat
Onol, Toshihiro Oshima, Silvia
Paci, Lucia Paese, Paolo Pallara, Luciano Pancani, Antonio
Panino, Marcello Paoli, Giovanni Parrillo, Uber Passatelli, Lia
Pecchioli, Rita Pedullà, Marina
Pezzoli, Nella Pizzo, Giampie-
ro Poggiali Berlinghieri, Erika
Polizzi, Elena Salvini Pierallini,
Lamberto Pignotti, Alessia
Porfiri, Nadia Presotto, Stefania Puntaroli, Roberto Pupi,
Yi Qiu, Giovanni Raffaelli,
Augusto Ranfagni, Elvira Ratti,
Laura Repetti, Rosella Restante,
Angelo Ricciardi, Ina Ripari,
Marino Rossetti, Enzo Rossi-Roiss, Tokio Rumando, Cesare Saccenti, I Santini Del Prete,
Antonella Sassanelli, Antonio
Sassu, Costanza Savini, Franco
Sciusco, Rosali Schweizer, Gianna Scoino, Giuseppe Secchi,
Danilo Sergiampietri, Rolando
Sforzi, Fulgor Silvi, Simoncini.
Tangi, Giovanna Sparapani,
Isabella Staino, Sabine Stange, Stellalpina, Antje Sträter,
Kinichi Tanaka, Anthony Tang,
Daniela Tartaglia, Camilla Testori, Roberto Testori, Vittorio
Tonali, Hideka Tonomura,
Margherita Torri, Micaela Tornaghi, Matilde Tortora, Felisia
Toscano, Nino Tricarico, Elena
Trissino, Stefano Turrini, Fabiola Ungredda, Giovanna Ugolini,
Adam Vaccaro, Antonia Valle,
Tommaso Vassalle, Adriano
Veldorale, Margherita Verdi,
Valeria Vian, Simona Vignali,
Laura Viliani, Tatiana Villani,
Alberto Vitacchio, Ivano Vitali,
Andrea Vizzini, Nikolai Vogel,
Cassandra Juliette Wainhouse,
Deva Wolfram, Elisa Zadi.
19
NOVEMBRE
2016
pag. 7
Cristina Pucci
[email protected]
di
U
n bel signore, elegante,
ha qualche anno... ma
non vuol dire. Un talento
fiorentino senza dubbio, un po’
defilato come succede a scenografi e costumisti, che compaiono nei “titoli di coda”, anche
se il loro contributo a successo e
splendore delle rappresentazioni
teatrali e liriche è fondamentale.
Sono stata a trovare Giancarlo
Mancini, a casa sua, per ascoltarlo sul suo lavoro. Tralascio il
curriculum formativo e la lunga
carriera di insegnante all’Istituto
d’Arte di Potenza e poi di Firenze e dico subito che ha al suo
attivo più di cento spettacoli,
teatro, opere, balletti, rievocazioni storiche, fra cui quella dei
700 anni dei Grimaldi, Principi
di Monaco, ha collaborato
con registi di gran calibro in
giro per l’Italia...La casa di una
persona con velleità artistiche e
creative importanti è in grado
di raccontarcele e di mostrarne
tracce e sintesi significative.
Mi accoglie, appena entrata,
un modello della lanterna del
nostro Cupolone, in partenza
in verità per i festeggiamenti del
cinquantennale dell’alluvione,
Giancarlo un po’ se ne dispiace,
gli mancherà. Appoggiati qua
e là modellini delle scenografie di vari spettacoli di cui mi
mostra i meccanismi mobili per
i cambi di scena, perfettamente
funzionanti, sia pure in queste
di
Remo Fattorini
Segnali
di fumo
Il popolo vota, si astiene, si
esprime, parla, ma non dice più
quello che i politici vorrebbero
sentirsi dire. E ciò accade sempre
più spesso. La politica non riesce
più ad orientare il voto e l’informazione è sempre meno influente. Basta guardarsi intorno per
vedere che ormai la gente ragiona
e sceglie sulla base della propria
esperienza.
E’ accaduto in Ungheria, con il
referendum sull’accoglienza dei
richiedenti asilo, dove nonostante l’impegno del governo Orban
Giancarlo Mancini
tra Ionesco
e la Compagnia delle Seggiole
dimensioni ridotte, maschere
enormi di varie fogge e colori,
cappelli dai variopinti piumaggi, alcuni appoggiati su antiche
forme di legno, tutti andati
in scena ovviamente, broccati
e stoffe di particolare e rara
bellezza. Alle pareti, incorniciati, disegni di costumi per lo più
suoi, due fatti, per il balletto
Alcina, da Anna Anni, amica da
poco scomparsa ed altro talento
nostrano. Mi parla di un se
stesso bambino che, con l’orecchio incollato alla vecchia radio,
tuttora funzionante, ascoltava
“Cosi è se vi pare” di Pirandello.
La prima scenografia la mise su
a 11 anni, di ritorno dalla Turandot, con un foulard azzurro
della madre illuminato da un
abat-jour preparò una specie di
set per “lucean le stelle”. Inizia
la sua carriera come attore, ricorda che, mentre lavorava con
Vinicio Gioli, per la messa in
scena del suo “Libertario”, venne fuori che non sapevano a chi
rivolgersi per scene e costumi, si
fece avanti e lasciò tutti a bocca
aperta mostrando, già pronti,
figurini e bozzetti, li aveva
preparati per diletto ed interesse. Grande e ripetuto successo
da cui fu proiettato al Teatro
dell’Oriolo con cui collaborò
per molti anni. Ama molto il
ricordo di un “Pierino e il lupo”
con regia di Micha Van Hoecke,
del quale conserva i disegni,
precisi e ricchi di dettagli tali da
definire i personaggi e trasfor-
mare, che so, un bambino in
un cacciatore, sottolinea la cura
nella scelta di tessuti invecchiati.
Dice:” il costumista, lo scenografo, sono lavori da dietro le
quinte per i quali necessitano
un po’ tutte le arti e i mestieri,
conoscenze di stili,di architettura, storia, artigianato, bisogna
saper mettere le mani, pensare
e trovare tutte le cose che
servono.” Racconta entusiasta
la nascita di effetti ed immagini
suggestive per un Orfeo ed Euridice, viva ancora l’emozione
provata quando fu annunciato
che Ionesco e moglie sarebbero
venuti all’Oriolo per assistere
al “Rinoceronte”, anche grande
paura, si diceva che non avesse
quasi mai approvato le messe
in scena della sua opera, invece
tutto bene. Una foto immortala la loro stretta di mano. Dal
2009 collabora con la Compagnia delle Seggiole che mette in
scena visite “animate” di luoghi
strepitosi, Casa Martelli, La Petraia, i sotterranei della Pergola,
l’Istituto Geografico Militare e
i cui testi sono spesso scritti da
Riccardo Ventrella e Marcello
Lazzerini. Passione per il suo
lavoro ed amore per tutte le sue
creazioni sono stati la costante
della sua vita.
non sono riusciti a raggiungere il
quorum.
E’ accaduto in Colombia, dove i
cittadini hanno bocciato l’accordo di pace tra governo e Farc che
avrebbe messo la parola fine a 52
anni di guerra civile.
E’ accaduto nel Regno Unito con
il referendum sull’uscita dall’Unione europea, dove dalle urne è
uscito un esito opposto a quello
voluto dall’ex premier Cameron
e non solo.
E’ accaduto negli Usa con l’elezione del nuovo presidente degli
States, dove la candidata sostenuta dall’establishment e dai più
importanti media è stata sconfitta
da un rozzo miliardario osteggiato persino dal proprio partito.
Perché quando ha pronunciarsi si
chiamano i cittadini con l’intento
di legittimare scelte dei governi o
dell’establishment
i risultati vanno
nella direzione opposta, le proposte
vengono bocciate
e i loro candidati
rispediti a casa?
Qualcuno dirà:
sono i rischi della
democrazia diretta.
Di sicuro è la
democrazia rappresentativa a non
funzionare più. Nel
corso degli ultimi 10 anni sono
stati indetti, in giro per il mondo, ben 40 referendum all’anno,
il triplo rispetto a prima dell’89,
anno della caduta del muro. Fino
ad allora gli elettori sceglievano
un partito in base al suo programma, alle sue idee, alla sua
etica, alle sue modalità. Oggi non
funziona più così.
Con la rivoluzione
digitale (internet,
social, ecc.) è saltata
l’intermediazione
tradizionalmente
svolta dai partiti
e dai mass media.
E gli effetti sono
tutti sotto i nostri
occhi: le élite pur di
conseguire i propri
obiettivi ci raccontano realtà falsate
con promesse da marinaio. Così,
venuto meno il senso di appartenenza, ognuno va dove lo porta
il cuore. Vedremo come andrà
finire in Italia il 4 dicembre dove
è l’establishment a condurre
una battaglia “contro” l’establishment. Vedremo se gli elettori
scopriranno il trucco.
M
19
NOVEMBRE
2016
pag. 8
ercoledì 23 novembre 2016 ore 20.45 la
Compagnia Nuvole in
Viaggio presenta Lo zio Vanja
di Anton Pavolovic Cechov, una
delle sue opere più importanti
insieme al Gabbiano. La storia
è conosciuta. Si svolge in una
tranquilla tenuta di campagna
che il quarantenne Vanja e
l’adolescente Sonja amministrano al solo scopo di finanziare la
carriera intellettuale di Serebrjakov. Per una serie di avvenimenti la tranquilla e monotona
vita di campagna si rovescia. Il
dramma si consuma comicamente e la commedia esplode
tragicamente, anche se non ci
saranno ne’ morti ne’ feriti. I
protagonisti sopravvivono e riprendono la loro routine con la
consapevolezza che c’è stato un
momento in cui la vita è passata
loro accanto e avrebbero potuto
coglierla ma ora è tardi e non
resta che aspettare e sperare che
passi di nuovo.
Il ritmo è al centro dell’azione scenica di questa pièce.
Quell’equilibrio, garantito dalla
lontananza del convulso ritmo
cittadino da quello placido della
tenuta di campagna, viene scardinato dalla pericolosa e forzata
convivenza.
Un baule, monolite simbolico,
al centro della scena rappresenta
la quadratura di una vita solida,
concreta, fatta di appuntamenti
scanditi dalla natura, dal tempo.
Fatta di fatica fisica e di impegni
economici che tengono lontane
le paturnie alto-borghesi e consentono di vivere senza troppa
ricerca di un senso da dare alla
illusoria felicità. Il cambio di
ritmo impatta con le psicologie
dei personaggi. Ed ecco che
tutto si stravolge. Gli orari, i
tempi, i modi. Il baule è al centro del continuo trasformismo
e con esso tutti i personaggi
che vi ruotano intorno. Pieni e
vuoti di scena, cambi repentini
di atmosfera con la complicità delle luci e delle musiche,
dialoghi che raggiungono vette
sconosciute di salvifica ipocrisia
alternati a monologhi che si
inabissano nel pantano di verità
insopportabili.
Da questa opposizione ne
scaturisce una deflagrazione,
un big bang emotivo che sarà
devastante soprattutto per quel
mondo che alla fine, costretto a
restare sulla propria inutile orbita si vede incapace di riprodurre
una qualsiasi forma di vita.
Unica salvezza proiettarsi in
una sospensione spazio temporale. Rifugiarsi in una visione
astrale per la nipote e inabissarsi
nel vuoto che rimane fino a
diventarne parte per lo zio. Lo
zio Vanja. L’adattamento e la
regia sono di Paolo Ciotti, attori
Simonetta Agresti, Francesca
Becagli, Aristide Borini, Alessandra De Luca, Silvia Frullini,
Veniero Jenna, Marco Ranfagni,
Rebecca Zigliotto aiutoregia
Giulia Bartolacci disegno luci
Diego Cinelli. Il gruppo teatrale
La centralità
Lo zio Vanja
del baule al Cestello di Firenze
Nuvole in viaggio è nato in Mugello, lavorando, poi, nel territorio del Chianti Fiorentino e
del centro-città di Firenze. Sotto
la direzione artistica di Paolo
Ciotti, attore e regista, Nuvole
in Viaggio ha collaborato con
le più importanti realtà teatrali
della provincia fiorentina. Dal
2010 al 2015 ha portato avanti
le sue attività di formazione e
produzione teatrale presso il
Teatro Comunale Regina Margherita di Barberino Val d’Elsa
come compagnia residente.
Dal 2010 in collaborazione
con Catalyst Theatre Company, Nuvole in Viaggio crea
un progetto gemello del CLAP
denominato CLAP Mugello
che trova sedi e occasioni di
produzione teatrale presso il
Teatro Giotto di Vicchio e il
Teatro Corsini di Barberino del
Mugello. Dal 2012 Nuvole in
Viaggio fonde la sua attività di
formazione e produzione con
l’associazione partner Cantiere
Obraz dando vita alla Scuola
Triennale di Formazione Teatrale con residenza artistica presso
il Teatro di Cestello in Firenze e
ad oggi in piena attività. Il lavoro del CLAP Mugello prosegue
attualmente in collaborazione
con il Comune di Scarperia-San
Piero con sede operativa presso
Villa Adami, edificio storico di
proprietà dell’amministrazione.
19
NOVEMBRE
2016
pag. 9
Alessandro Michelucci
[email protected]
di
M
olti popoli trovano nella
musica la forza di superare
esperienze tragiche: guerre,
genocidi, carestie. Non stiamo
parlando soltanto di vicende
lontane, ma anche di eventi che
hanno segnato l’Europa in tempi
recenti, come le guerre che hanno
accompagnato la disintegrazione
della Jugoslavia.
Fra il 1992 e il 1996 Sarajevo,
capitale della Bosnia Erzegovina,
è vittima del più lungo assedio
avvenuto dopo la Seconda Guerra
Mondiale. Ma la città non perde
la propria vivacità culturale.
Attorno a Bekim Medunjanin si
raccoglie un gruppo di artisti che
continuano a creare, nonostante
la guerra imponga mille precauzioni. La voglia di restare attivi
stimola una vitalità che vince
ogni paura: la gente si riunisce
in luoghi sicuri per parlare, bere
una birra, ascoltare musica dal
vivo. Bekim organizza corsi di
musica per i ragazzi, molti dei
quali hanno perso i genitori in
seguito alla guerra. Questa scena
culturale, che ovviamente non
si esprime soltanto nella musica,
non tarda a dare frutti concreti.
Nel 1995, ancora in piena guerra,
nasce il Festival internazionale del
jazz, mentre due anni dopo vede
la luce il Festival del cinema. In
campo musicale emerge Amira,
una giovane cantante che nel
Sergio Favilli
[email protected]
di
Ricordate questi versi?? Al Re
Travicello piovuto ai ranocchiMi levo il cappello e piego i
ginocchi – Calò nel suo regno
con molto fracasso – Le teste
di legno fan sempre del chiasso
– Ecco!! Poiché qualche saggio
diceva che occorre conoscere per
giudicare, sabato pomeriggio
mi sono quasi infiltrato nella
manifestazione leghista che si è
tenuta in Santa Croce per innalzare a furor di popolo Matteo
Salvini al ruolo di premier!! A
Firenze lo hanno già soprannominato “Gerundio” per la sua
spiccata conoscenza della lingua
italiana e bisogna riconoscergli
una buona dose di coraggio per
aver organizzato la manifestazione in suo onore proprio nella
città della Crusca. Che Matteo
Salvini sostenga a spada tratta il
Monodie balcaniche
2001 diventa la moglie di Bekim
Medunjanin.
Nata nel 1972, l’artista è strettamente legata alla sevdah, un genere popolare che riveste un ruolo
centrale nella cultura bosniaca.
Affine per certi versi al fado e al
rebetiko, questa musica affonda le
proprie radici nell’era ottomana.
Il termine deriva infatti dal turco
sevda: il legame con l’area d’origine è tuttora vivo, come conferma
il disco Sevda (Kalan, 2015) della
cantante turca Fatma Parlakol.
Amira esordisce come ospite del
gruppo Mostar Sevdah Reunion
nel CD A Secret Gate (Connecting Cultures, 2003). Il nome
della formazione evidenzia la sua
stretta affinità con la cantante.
Rosa (Snail Records, 2005) è
il primo CD come titolare. In
Zumra (Gramofon, 2009) Amira
viene affiancata da Merima
Ključo, una fisarmonicista bosniaca che vanta un curriculum
impressionante.
Il suo lavoro più recente è
Aritmia (autoproduzione, 2016),
realizzato insieme al chitarrista
Miroslav Tadic.
Amulette (World Village/Harmonia Mundi, 2011) segna l’affermazione mondiale della cantante.
Nel disco spicca la presenza
dell’ottimo pianista serbo Bojan
Zulfikarpasic, che compare anche
nel successivo Silk & Stone (World Village/Harmonia Mundi,
2014).
Nel periodo che intercorre fra i
due dischi Amira collabora con il
catalano Jordi Savall, uno dei più
prestigiosi interpreti di musica
antica, insieme al quale registra
Bal-Kan (Alia Vox, 2014).
Recentemente è uscito Damar
(World Village/Harmonia Mundi, 2016), sesto CD della cantante bosniaca, registrato nei Real
World Studios di Peter Gabriel.
I brani sono tradizionali dell’area
balcanica – Bosnia, Macedonia e
Serbia – tranne due. Gli arrangiamenti sono in grado di avvicinare
a questa musica anche chi non si
interessa di musica tradizionale.
“Vjetar ružu poljuljkuje” odora
di flamenco, mentre “Oi golube,
moj golube” è un pezzo melanconico e intenso.
Questa musica è un cuore che
batte, una materia viva che
respira.
Dotata di una voce versatile e
ricca di pathos, Amira ci stimola
ad abbandonare lo stereotipo che
associa la Bosnia alle guerre degli
anni Novanta. Questa terra ha
dato molto alla cultura europea.
Pensiamo a scrittori come Ivo
Andrić, Premio Nobel 1961; a
Goran Bregovic, un musicista
che non ha bisogno di presentazioni; a Danis Tanović, vincitore
dell’Oscar con il film No Man’s
Land (2001). E naturalmente a
cantanti come Amira.
Matteo Gerundio di legno verde
programma di Mr. Trump è un
suo personale problema, ma che
i leghisti, padani o no, credano
al fatto che il Matteo di Ghisa
possa diventare premier rappresenta una vera e propria mutazione genetica di massa, da bravi cittadini irreprensibili, dopo
aver abbandonato l’idea di una
secessione nordista, si sono pian
piano mimetizzarsi con improbabili felpe multicolori. Stranamente il salvifico Travicello
Salvini in Santa Croce era in
giacca, come ben si conviene ad
un futuro leader, ma era fortemente amareggiato in quanto,
passando davanti alla Nazionale
, un manipolo di fiorentini ,
sulla celebre aria di Spadaro, lo
abbia accolto con un “La porti
un coglione a Firenze”!!!! Il successivo bagno di folla lo ha ben
presto riportato di buon umore
e, dopo aver invitato Mr. Trump
e Mr. Farage ad un pranzo di
lavoro per ridisegnare l’ordine
mondiale ha concluso il suo
discorso con una affermazione
che non lascia dubbio alcuno
: - Io ci metto la faccia!! - In me
resta un dubbio al quale non so
rispondere : - Con Salvini a Palazzo Chigi quale altra parte del
corpo ci metterebbe il popolo
italiano??- Noi toscani abbiamo già Pinocchio, simpatico
e famoso burattino di legno,
di un altro pezzo di legno, per
giunta verde, non sappiamo che
farcene!!
19
NOVEMBRE
2016
pag. 10
Promenade de l’Art Deco
Simonetta Zanuccoli
[email protected]
di
A
chi è stato più volte a Parigi e ormai conosce tutti
i luoghi “da non perdere”
consigliati dalle guide turistiche,
e si appresta a ritornarci voglio
consigliare un soggiorno a tema:
passeggiare per le sue strade alla
scoperta di uno stile architettonico e decorativo dal fascino
senza tempo, l’Art Deco, del
quale Parigi è piena di luoghi
simbolo. Questa corrente, che
ha avuto l’apice del suo splendore attorno ai ruggenti anni
20, con il suo modernismo
fatto di eleganza, geometria e
simmetria, era nato in opposizione all’Art Noveau, dalle
linee flessuose e decori a forme
organiche, del quale ci rimangono, praticamente intatti, molte
bellissime facciate di palazzi
(altra visita a tema. Solo nel 16°
arrondissement se ne può vedere
una sessantina fatti dai maggiori
architetti del movimento).
Il modernismo dei primi decenni del 900 aveva portato a
preferire il più sobrio, ma non
meno decorativo, Art Deco soprattutto per gli edifici destinati
al commercio, come i grandi
magazzini, e all’intrattenimento, come sale concerto o teatri,
per il forte impatto visivo, e
quindi di richiamo, che aveva
nel pubblico. Naturalmente
non mancavano i palazzi privati
che, con le loro facciate nelle
quali risalta l’attenta sovrapposizione di materiali diversi, i
ricchi decori interni con intarsi
d’oro e argento, i pannelli di
tessuto finemente disegnati, i
dettagli in ceramica..., diventavano emblema di distinzione
sociale. Tra questi la splendita
Maison de Verre del 1928, in rue
Saint-Guillaume 31, considerata
dal New York Times la più bella
casa di Parigi, con i suoi 3 piani
rivestiti di piastrelle di vetro
e di una struttura metallica a
vista e la Maison Dorel, in rue
de Tocqueville 45, costruita nel
1921, la cui facciata di quattro
piano in perfetto stile Art Deco
è impreziosita di ceramiche e
mosaici colorati. Non solo tutti
i grandi magazzini dell’epoca,
come Samaritaine, Printemps,
Galeries Lafayette e Bon Marché,
vere cattedrali del commercio
nella Parigi borghese con le loro
grandi cupole in ferro e vetro
Maison de verre
Palais de Tokio
che lasciavano penetrare dall’alto fiotti di luce sulla mercanzia,
ma anche gli eleganti teatri,
sempre frequentatissimi dalla
stessa società, si erano adeguati
allo stile di gran moda.
Gli esempi più famosi sono
ancora intatti nel loro splendore: il theatre de Champs Elysées
del 1913, in avenue Montaigne
15, con l’originale facciata che
unisce Classicismo e Art Deco
con all’interno la bellissima
sala con la copertura in vetro
ornata di decori vegetali dorati,
le Folies Bergére, in rue Richer
32, locale, a dir poco, spettacolare del quale ho già raccontato
la storia in un mio precedente
articolo, il theatre Michodiére,
in rue Michodiére 5, la cui sala
rossa e oro rimane ancora un
gioiello intatto. E naturalmente
il mitico Grand Rex, in avenue
Montaigne 15, costruito nei
primi anni 30 da Jacques Haik,
ricco produttore cinematografico, che con la sua facciata
angolare che si sviluppa tutta in
altezza e la sala dove si proiettano film e si fanno spettacoli che
diventa essa stessa una scenografia è stato dichiarato monumento storico. Ma la passeggiata per
Parigi alla scoperta dei tesori
Art Deco potrebbe continuare
all’infinito e portarvi a visitare
il Palais de Chaillot, il Palais
de Tokio, il Palais del la Porte
Dorèe, la piscina Lutetia, luogo
straordinario, monumento
storico e oggi fascinoso negozio
di Hermes e poi a fermarvi per
un meritato ristoro alla brasserie La Coupole, in boulevard
Montparnasse 102, vero gioiello
di Art Deco e simbolo della vita
artistica di Montparnasse, con i
mosaici d’ispirazione cubista e
i lampadari del famoso maestro
vetraio Jean Perzel o da Prunier,
in avenue Victor Hugo 16, uno
dei ristoranti più caratteristici
del periodo per i suoi intarsi a
losanghe d’oro su marmo nero e
i decori blu intenso.
19
NOVEMBRE
2016
pag. 11
Paolo Marini
[email protected]
di
A
Firenze, nella Villa Medicea di Castello, ha sede
una istituzione particolarmente prestigiosa – l’Accademia
della Crusca – la cui missione è
la salvaguardia e lo studio della
lingua italiana. Intervistiamo il
Prof. Claudio Marazzini, linguista e saggista, e suo Presidente
dal maggio 2014.
La prima domanda, quasi d’obbligo, verte sul ruolo di questa
Istituzione: svolge essa funzione di
‘notaio’ - ovvero di accertamento
dei cambiamenti che l’italiano
subisce nel tempo - o si erge anche
a ‘giudice’ dell’uso corretto della
lingua?
“Giudice” è una parola troppo
forte, perché implica le sentenze
di condanna o di assoluzione.
Quanto al notaio, è troppo
disinteressato: fa quello che
dicono i clienti. Noi siamo
osservatori che partecipano
con passione alla vita della
lingua. Siamo piuttosto medici
(che diagnosticano malattie e
cattive abitudini poco salutari)
ed educatori (che indicano vie
migliori)..
Quali omologhe istituzioni straniere assomigliano o si differenziano di più dal modello della
nostra Accademia?
A parte l’autorità esercitata
direttamente con maggiore
o minore imperio, noi siamo
analoghi all’Académie française
e alla RAE, la Real Academia
Española.
Che rapporto sussiste nell’evoluzione della lingua tra la signoria
dell’uso e le regole della grammatica e del corretto scrivere/parlare?
E’ possibile che prevalga e sia
accettato un uso contrario a dette
regole, tale da modificarle?
Certo, è accaduto già in passato.
Manzoni parlava del “Signor
Uso”.
Si possono fare esempi in tal
senso?
Per esempio, la grammatica
del Cinquecento, con il grande
Bembo, il principe dei grammatici rinascimentali, condannò il
“lui” soggetto. I toscani continuarono a usarlo, e Manzoni lo
mise nei Promessi Sposi. A quel
punto i grammatici manzoniani
lo misero di nuovo nelle loro
grammatiche. Gli italiani di
oggi lo adoperano certamente,
anche se a volte qualcuno si
La resistenza
‘scrittore’ (con i 140 caratteri di
twitter, con gli sms, con i ‘post’
nei social networks, ecc.) responsabilizza oppure no, nell’uso della
lingua?
Con quello non si è “scrittori”.
Si è solo “scriventi”. C’è un po’
di differenza.
La stessa questione si pone, nello
specifico, con i periodici esclusivamente digitali...
Il problema è diverso. La
questione che si pone in questo
caso è quella della prevalenza
dei dilettanti e della crisi dei
del congiuntivo
ricorda di Bembo, si spaventa e
corregge “lui” in “egli”.
Quanto al congiuntivo, si deve
dare per morto o ci sono segni di
vitalità?
Il congiuntivo in frase ipotetica
o nelle sfumature di opinione
recede, ma in altri casi resiste benissimo: “Vorrei che fosse qui”,
con verbo di volontà, è praticamente senza alternative. Ha mai
sentito “Vorrei che è qui?”.
L’italiano è considerato una
lingua aristocratica, di poeti,
letterati e uomini di legge. Come
evolve con l’esplosione dell’ICT?
Che cosa è l’ICT? Lo sa che è
sconsigliato usare le sigle? Sono
oscure! Sono peggio dell’indicativo al posto del congiuntivo!
Come interagisce l’Accademia
della Crusca con l’insegnamento
della lingua italiana nella scuola
dell’obbligo e nelle istituzioni
scolastiche superiori?
Dedichiamo appositi corsi ogni
anno agli insegnanti toscani.
Abbiamo un rapporto di collaborazione formalizzato con la
provincia di Trento, che gode
di autonomia nell’organizzazione della scuola. Siamo tra i
protagonisti nell’organizzazione
delle Olimpiadi dell’Italiano.
Abbiamo rapporti con istituti
universitari di tutto il mondo.
Che cosa si può dire del grado di
innovazione dei nostri docenti
nelle tecniche di insegnamento
della lingua?
Dipende dal docente. Non tutti
hanno formazione linguistica.
Ci sono molti letterati puri, con
animo poetico e lirico. Costoro
non sempre hanno interesse per
l’aspetto tecnico dell’insegnamento della lingua.
Esistono indagini in tal senso?
Credo basti verificare la disciplina di laurea. Ma anche chi
ha una formazione diversa può
imparare cose nuove. Basta non
lasciar che sia colonizzato dai
pedagogisti generalisti e dai
tecno-maniaci.
Quale “centro irradiatore della
lingua” - per usare un termine
gramsciano – è dominante o più
influente ai nostri giorni?
Accanto ai tradizionali centri
dell’Italia centrale, Roma in
testa, agisce molto Milano.
Sappiamo che il rapporto tra gli
italiani e la lettura è scadente (nel
2015 i lettori sono il 42% della
popolazione - fonte: Istat 2016),
mentre moltissimi prima o poi si
cimentano con la pubblicazione
di libri ma... si può essere buoni
scrittori senza lettura?
Credo di no. Ma il rapporto
con il libro porta bene anche
quando nasce male. Quindi lasciamoli scrivere e pubblicare da
sé, magari libri elettronici, cioè
e-book, che costano meno.
La possibilità anche immediata
– ormai quasi per tutti - di essere
professionisti.
Monitora l’Accademia il fenomeno del linguaggio nelle riviste on
line?
Credo che le esperte della
Consulenza facciano a volte
anche questo. Il Presidente un
po’ meno, forse a torto. Però ora
c’è on line una rivista di lingua,
specializzata e accreditata in
categoria A dall’ANVUR (l’organo di supercontrollo dell’Università). La pubblica l’Università
di Milano. Quella l’ho letta. Si
chiama Italiano Lingua Due
(http://riviste.unimi.it/index.
php/promoitals/index/)
È definibile un qualche tratto
comune - dal punto di vista
linguistico s’intende - ai varii e
variegati periodici on line?
Lei va troppo nel difficile.
Occorre interpellare le addette
di Crusca alle pagine Facebook
et similia.
È possibile interpellare l’Accademia per la soluzione di quesiti
specifici?
Si capisce! Certo! Questo è il
compito in cui è impegnata
ogni giorno la Consulenza,
diretta dal prof. Paolo D’Achille. Fra l’altro il motore di ricerca
trova facilmente le riposte
già date, che sono centinaia.
Quindi, spesso, non occorre
nemmeno porre la domanda,
perché la risposta c’è già (http://
www.accademiadellacrusca.it/it/
lingua-italiana/consulenza-linguistica).
19
NOVEMBRE
2016
pag. 12
Appello al presidente
del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi
e al Ministro per i beni
e le attività culturali Dario Franceschini
per
Lara Vinca Masini
Signor Presidente, signor Ministro
siamo assolutamente certi che i vostri uffici sono
incorsi in un errore, in un equivoco quando
hanno rifiutato i benefici della Legge “Bacchelli”
alla nota studiosa Lara Vinca Masini per assenza
dei requisiti di “chiara fama”. È l’unica spiegazione plausibile perché gli uffici e la Commissione
Consultiva che istruisce queste pratiche non possono non comprendere quale decisivo apporto
gli studi critici, il lavoro di organizzazione culturale e la valorizzazione delle arti contemporanee
di Lara Vinca Masini hanno dato alla cultura,
e a quella italiana in particolare, nel mondo.
Infatti, Lara Vinca Masini ha ottenuto il Premio
dei Lincei per la critica 1986; è membro effettivo
dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte
dal 1967; è stata membro della Commissione
italiana per le arti visive e per la sezione architettura alla Biennale di Venezia 1978; ha fatto
parte della Giuria Internazionale della Biennale
Architettura 2000 insieme ai maggiori critici
e direttori di musei di arte contemporanea del
mondo; e soprattutto parlano per lei le centinaia
di pubblicazioni sulla storia dell’arte contemporanea e di critica, come quelle nate dalla collaborazione con G.C.Argan, o i due volumi “Arte
Contemporanea. La linea dell’unicità” (Firenze,
1989), “Art nouveau” (Firenze, 1975), così come
le centinaia di manifestazioni e mostre che Lara
ha curato, quali la “Prima Triennale Itinerante
di Architettura Contemporanea” (1966-67) o
“Umanesimo, Disumanesimo nell’Arte Europea
1890-1980” (Firenze 1980).
Per questo ci permettiamo di fare appello a
Voi, affinché questa incomprensibile equivoco e
questa ingiustizia prima di tutto morale vengano riparati, riconsiderando la vostra decisione e
rimettendo l’onore a Lara Vinca Masini riconoscendone la “chiara fama”, perché Lara ha
certamente “illustrato la Patria attraverso meriti
acquisiti nei campi delle scienze, delle lettere,
delle arti” come prevede la Legge “Bacchelli”.
Fiduciosi nell’accoglimento di questo nostro
appello, formuliamo i nostri più calorosi saluti.
19
NOVEMBRE
2016
pag. 13
di John
E
Stammer
l’Architettura (come tutta
l’arte, in genere), che è
un’amante gelosa, laddove
non si realizza-per tante ragioni
che non dipendono da noi- colpisce con l’angoscia”. Così scriveva circa 16 anni fa Francesco
Gurrieri nella presentazione di
uno dei libri di Alessandro Gioli
“Segni e Disegni”. Un libro che
racchiude molte delle bellissime “tavole” del Gioli. Tavole,
come si chiamavano una volta
i disegni che rappresentano
progetti o idee progettuali, di
architetture sognate, disegnate,
e spesso anche iconiche nella
loro astratta rappresentazione
del reale come quella intitolata S.Maria in Trastevere. Nel
nuovo libro di Alessandro Gioli,
“Per finta e per davvero” edito
da Altralinea Edizioni di Firenze, non ci sono tavole, non ci
sono disegni. Ci sono invece
parole, pensieri, sensazioni e
idee (passate, presenti e future).
Ci sono fotografie di Franco
Busignani che illustrano una
Firenze insolita, quasi inedita.
Una città vista dall’occhio “di
due architetti nullafacenti”
che la osservano davvero e
non vedono solo quello che ci
viene costantemente ricordato
di vedere. Non vedono solo la
città che il mondo guarda per
la sua bellezza. Vedono anche il
resto della città, vedono parti di
città diverse e vedono anche i
luoghi della “bellezza” con occhi
diversi. Nel suo libro Alessandro Gioli decide di raccontare
la città così com’è oggi. Un
racconto senza l’angoscia di
15 anni prima dove il disegno
dell’architetto reclamava una
visione del futuro. Un racconto dove traspare spesso una
venatura di tristezza, di una
melanconia che, anche dove si
contestano alcune delle scelte
fatte nello sviluppo urbano e si
definiscono prospettive diverse
dello sviluppo della città, pervade il libro. “Fare l’architetto era
stato per loro lottare contro - la
pretenziosa distinzione- così
avevano definito le tante costruzioni private, senza principi e
senza storia,.....” così racconta
Gioli quasi in apertura del libro,
continuando poche pagine
dopo. “Ancora nei primi passi
della professione “il pubblico”
Busignani) si muovono per la
città, partendo da porta Romana, perchè la più vicina alle loro
abitazioni, per percorrerla in
lungo e in largo e discutere di
cosa è stato fatto, di cosa è stato
pensato e non realizzato, di
come si sarebbe potuto fare. Un
percorso che consente al lettore
di incontrare luoghi non comuni e di conoscere storie non banali di questa “amata città”, per
dirla con il titolo di un libro di
Alberto Breschi anche lui, come
Alessandro Gioli, professore nella Facoltà di Architettura di Firenze. Un libro per “ragionare”
di Firenze, per lasciare agli altri,
Muoversi in città
era un’entità sacra, il punto più
alto da raggiungere; credevano
veramente che lavorare per il
pubblico fosse un dovere, da
svolgere con il massimo impegno”. Idee, ideali, convinzioni
condivise con molti architetti
che in quegli anni si affacciavano al mondo della professione.
Questo nuovo libro di Gioli è
quindi una passeggiata per la
città di Firenze guardata con
Lido Contemori
[email protected]
di
Il migliore
dei Lidi
possibili
14 novembre 2016:
la luna era
così vicina alla terra
che sembrava
il sole
Disegno di Lido Contemori
Didascalia di Aldo Frangioni
occhi diversi da quelli che la
scrutavano per poter progettare. E’ una passeggiata “per
rivedere la città senza fretta e
senza altri pensieri se non quelli
suscitati dagli sguardi dei loro
occhi nuovi”. Ed è con questa
condizione inedita, e felicemente trovata nell’intimo della loro
anima, che i due architetti che
dialogano nel libro (e nei quali
è facile riconoscere il Gioli e il
e in primo luogo ai lettori, un
propria interpretazione della città. Perchè, come ha detto Mario
Primicerio alla presentazione del
libro nel saloncino delle Murate
(citando una affermazione letta
su una confezione della Barilla
come lui stesso ha dichiarato)
è quello che abbiamo detto a
renderci unici. E anche quello
che abbiamo scritto.
19
NOVEMBRE
2016
pag. 14
Michele Morrocchi
twitter @michemorr
di
M
entre come ampiamente
previsto su queste pagine
McDonald ha portato in
causa il Comune di Firenze per
il diniego all’apertura del suo
negozio in piazza del Duomo,
un altro negozio fa parlare
le cronache cittadine, questa
volta per una chiusura. Si tratta
dell’Old England Store, bastione britannico in quel di Firenze,
uno dei pochi residuati della
stagione degli anglobeceri nella
nostra città. L’Old England
chiude più per il progresso del
commercio online che per il
“libero mercato” come invece
anche il sindaco ha scritto sui
social. Quando trovo la maggior parte dei prodotti ad un
costo analogo, se non inferiore,
online con la comodità della
consegna a casa spesso gratuita,
per quale motivo il cliente non
dovrebbe sceglierlo? Non ne
faccio questione di merito né
do giudizi, ma dire che la colpa
per cui chiude l’Old England
Store è di minimarket, internet
point e fast food appare quanto
meno riduttiva. Perché magari
la colpa, se di colpa si dovesse
trattare, andrebbe comunque
divisa con le grandi catene
commerciali di abbigliamento,
cibo o high tech la cui apertura
di mega store a due passi dal
vecchio negozio ora in chiusura
è stata salutata dall’amministrazione come una grande
conquista e una valorizzazione
Anche la vecchia Inghilterra
soccombe
alla lotta
di classe
del centro storico fiorentino.
Lo abbiamo scritto altre volte
e lo ripetiamo, se si individua
il nemico nei soli minimarket
si compie una scelta che va
nella direzione di una lotta di
classe, si persegue il disegno
politico della Disneyland del
rinascimento. Anche quando il
sindaco afferma che nulla può
fare, in attesa di una salvifica
legge nazionale, sbaglia. Come
detto varie volte le amministrazioni possono, invece che
il solo vietare (dopo) i menù
senza peposo, svolgere politiche
attive: urbanistiche, sociali e di
mobilità. Invece di favorire la
residenza nel centro storico si
è perseguito la strada del suo
consumo da parte di visitatori
e turisti, non ci si stupisca o
ci si addolori che poi, questi,
non siano i migliori clienti
delle “botteghe artigiane” e che
queste poi chiudano.
Le forme della memoria di
Pasquale Comegna
Massimo Cavezzali
[email protected]
di
Scavezzacollo
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Gli scioperíi di Ranaldi
La Galleria Il Ponte, inaugura
una mostra di Renato Ranaldi
in cui vengono presentati tre
nuclei di opere di periodi diversi. Si parte, cronologicamente, dagli Angolari (1973-74)
installati al piano interrato della
galleria, lavori in cui l’accostamento di due tele crea un
angolo che funziona come una
quinta teatrale, dove gli oggetti
che fanno da protagonisti reali o rappresentati – sembrano
sovvertire e mettere in crisi la
canonica bidimensionalità del
supporto pittorico in favore
dell’invenzione di una spazialità
non convenzionale. Al primo
piano, invece, le pareti sono
“tappezzate” di disegni in nerochina su carta, una selezione fra
i trentadue scioperíi raccolti nel
libro omonimo, insieme ad un
racconto dello stesso Ranaldi
e ad una postfazione di Bruno
Corà, pubblicato dalle edizioni
Gli Ori nel 2016, che verrà presentato da Bruno Corà, Marco
Meneguzzo e Angelika Stepken
lo stesso sabato 19 novembre
al Museo di Antropologia ed
Etnografia di Firenze
Memorie del contemporaneo
Gli archivi e le raccolte di arte
contemporanea in Italia sono il
tema del convegno Memorie del
contemporaneo a cura di Alessandra Acocella e Caterina Toschi,
fondatrici, nel 2011, di Senzacornice. Laboratorio di ricerca
e formazione per l’arte contemporanea. Fonte ricchissima, in
parte ancora inesplorata, per
lo studio delle vicende storiche
e artistiche del secolo scorso, i
materiali e i documenti degli
archivi d’arte sono oggetto di
un attuale e vivace dibattito che
coinvolge sempre più le istituzioni pubbliche e private.
È all’interno di questo contesto che si inserisce il convegno
di martedì 22 e mercoledì 23
novembre nell’Auditorium di
Sant’Apollonia a Firenze (via
San Gallo 25 – ingresso gratuito). Coordinato da un comitato
scientifico composto da Barbara
Cinelli (Università degli Studi
Roma Tre), Flavio Fergonzi
(Scuola Normale Superiore di
Pisa), Alberto Salvadori (Osservatorio per le Arti Contemporanee Fondazione CRF) e Tiziana
Serena (Università degli Studi di
Firenze).
Hyperion al Pecci
Uno dei più potenti ed enigmatici
pezzi del teatro musicale italiano
del secondo Novecento, Hyperion
di Bruno Maderna torna sulle
scene grazie all’allestimento della
compagnia di teatro contemporaneo Muta Imago, che si confronta
con un capolavoro musicale. L’Hyperion dei Muta Imago è
un viaggio che rapisce e da cui è
difficile tornare indietro. Il senso
dell’opera è l’infinita domanda
che pone al pubblico di ieri e di
oggi: qual è il posto dell’uomo nel
mondo? Se lo chiedeva Friedrich
Hölderlin nell’omonimo romanzo del 1797 da cui Hyperion è
stato tratto. Se l’è chiesto Bruno
Maderna, che per tutti gli anni ‘60
del Novecento ha lavorato senza
sosta all’opera. Se lo chiede infine
Muta Imago, gruppo teatrale che
come dice il nome stesso con la
potenza dell’immagine rende quasi
superflua la parola. Flauto, voce e
danza si uniscono in uno spettacolo totale in cui un giovane uomo
si isola dal mondo per cercare nel
rapporto con la natura una verità
più alta.
Sabato 19 novembre ore 21.00
Ingresso 15 euro Centro per l’Arte Contemporanea
Luigi Pecci Prato
L
immagine
ultima
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Dall’archivio
di Maurizio Berlincioni
[email protected]
E
rrata corrige! Rimettendo a posto alcuni negativi di quella estate ho ritrovato, in calcio d’angolo, un’altra immagine interessante scattata nella zona. L’ironia del ritrovamento casuale ha voluto che il soggetto fosse un uomo, ovviamente molto religioso, colto di spalle
mentre si sta avviando ad uscire, senza rendersene conto, da questa “mia” ultima scena ripresa in quel troppo breve soggiorno in un
quartiere così diverso e interessante. Mi è sempre dispiaciuto il fatto di non aver più trovato il tempo e il modo di ritornare un’altra volta sui
miei passi.
NY City, agosto 1969