Anno XXXI, 1/31 maggio 2010, n.9 15 LA RIVISTA DELLA SCUOLA della filosofia occidentale Anzi è da sottolineare che, come accadde nelle colonie dell’Asia minore, pure in queste della Magna Graecia, la civiltà che si sviluppò sorpassò quella delle città della madrepatria. Anche in questa zona del Mediterraneo i coloni inizialmente sono solo contadini che fondano colonie agricole, commercianti che sfruttano la loro bravura nell’arte della navigazione, ma pure uomini di poco conto o di malaffare; però nel tempo superarono i loro connazionali materialmente e spiritualmente; sicché la civiltà che si sviluppò nelle città della Magna Graecia, dal punto di vista filosofico, può vantare grandi tradizioni. In Italia meridionale bisogna ricordare soprattutto la scuola fondata da Pitagora a Crotone e quella fondata da Parmenide ad Elea; per non dire dei singoli pensatori (in Sicilia), come Empedocle di Agrigento o Gorgia di Leontini. Guardando la car ta geografica dell’epoca, è facile comprendere come i Greci fossero arrivati sulle coste del golfo di Taranto e del mar Ionio, fondando Crotone, Sibari, Metaponto, Locri, Reggio; poi, sulle coste del mar Tirreno, fondando Cuma, Neapolis (Napoli), Posidonia (Paestum), Elea (Velia); e sulle coste della Sicilia, fondando Camarina, Siracusa, Catana (Catania), Zancle (Messina), Panormus (Palermo), Selinunte. Questi esempi ci ricordano che le colonie della Magna Graecia, nel corso dei secoli VI e V a.C., parlavano il greco più degli stessi Greci della madrepatria. In letteratura Stesicoro (poeta epico-lirico, vissuto a Imera e Catania tra il VII e il VI secolo a.C.), Epicarmo (drammaturgo e commediografo, vissuto a Siracusa tra il VII e il VI secolo a.C.), Ibico (poeta, autore di encomi, (vissuto nel VI secolo a.C., nativo di Reggio, vissuto pure a Samo) sono solo un esempio della vasta attività che si sviluppò pure nell’ambito della letteratura e della produzione teatrale. La città di Crotone La città di Crotone fu fondata nel 707 a.C. dai coloni Achei che, secondo la leggenda, sarebbero emigrati in Italia per obbedire ad un oracolo di Delfi; inizialmente Crotone subì l’influenza di un’altra colonia, quella di Sibari, che dovette seguire nella distruzione di Siri; ma già nel VII secolo a.C. si trovò in una posizione di primo piano. Dopo la sconfitta subita nel 560 a.C. da parte della città di Locri, Crotone risorse politicamente e militarmente, sotto il governo aristocratico instauratosi subito dopo; a questo periodo risale il trasferimento (tra il 540 e il 530 a.C.) di Pitagora da Samo a Crotone, che ne garantì lo sviluppo culturale con la fondazione della scuola che prese il suo nome; nel 510 i Crotoniati, guidati da Milone, sconfissero e distrussero la città di Sibari, assumendo la supremazia totale in tutto il territorio; supremazia che fece di Crotone la città più importante della Magna Graecia peninsulare. Crotone si distingueva nel commercio e nella politica; nello sport i suoi atleti trionfavano alle Olimpiadi; culturalmente, oltre la scuola di Pitagora, bisogna ricordare quella di medicina con Democene e Alcmeone. La scuola pitagorica Dopo la scuola ionica, il secondo punto di riferimento nell’ambito della filosofia presocratica, è rappresentato dalla scuola pitagorica, fondata da Pitagora a Crotone (città della Magna Graecia, situata sulla costa ionica dell’odierna Calabria), nel 530 a.C. circa. I motivi, che spinsero Pitagora a trasferirsi da Samo (cioè dalla Ionia) a Crotone (nella Magna Graecia) sono poco noti; sembra che dipendessero dal dissidio di natura politica sorto con Policrate (tiranno di Samo). La fondazione di questa scuola e lo sviluppo che ne seguì con i secondi pitagorici confermano la floridezza di questa area geografica, destinata a segnare un predominio culturale e filosofico per alcuni secoli. Anche se i temi trattati dai pitagorici risultano diversi da quelli trattati dagli ionici, in ogni caso testimoniano la ricchezza e la varietà di una filosofia, che già alle sue origini e nel corso di appena due secoli mostra i segni indelebili di una cultura ormai millenaria. Pitagora Vita e opere Sulla nascita e sulla prima parte della vita di Pitagora si sa poco o nulla; anzi tutto il suo periodo di permanenza a Samo è avvolto da mistero; di certo si sa che, in età matura (cioè intorno ai quaranta anni), fu costretto ad abbandonare la Ionia per contrasti sorti con Policrate, tiranno di Samo. Il suo trasferimento dalla Ionia nella Magna Graecia dovette risalire al periodo intercorso tra il 540 e il 530 a.C., cioè al periodo in cui la città di Crotone si era ripresa dopo la sconfitta subita dalla città di Locri e a Samo vigeva la tirannide di Policrate. Porfirio ricorda che “Pitagora a quarant’anni, vedendo la tirannide di Policrate farsi più dura di quanto fosse lecito ad uomo libero soppor tare un governo assoluto, partì per l’Italia” (Vita di Pitagora, 9). Se collochiamo il trasferimento di Pitagora a Crotone verso il 530 a.C., possiamo ritenere che fosse nato intorno al 580-575 a.C. e che sia vissuto quasi un secolo o comunque a lungo, essendo morto tra la fine del VI o l’inizio del V secolo a.C. Gli si attribuiscono molti viaggi compiuti da giovane: in Egitto, in Babilonia, in Persia, dove avrebbe incontrato Zarathustra. Ciò conferma la fama, di cui godette pure in vita, per cui si mosse tra leggenda e storia; tale circostanza è confermata dalle varie Vite di Pitagora, tra cui quelle scritte da Porfirio e da Giamblico (entrambi filosofi neoplatonici, vissuti nel III secolo d.C.). Probabilmente non scrisse nulla, sebbene gli venissero attribuiti i Tre libri e i Versi aurei. Acusmatici e matematici Il suo insegnamento era caratterizzato dalla regola del silenzio che dovevano rispettare tutti gli allievi ammessi alla scuola, che per certi versi si presentava come una setta religiosa frequentata da una casta ristretta, distinta in acusmatici e in matematici; akoúô (αϕκουϖω) significa ascoltare e il termine derivato acusmatico (αϕκουσµατικοϖ⌡) è colui che ascolta o, meglio, è disposto ad ascoltare per apprendere; máthêma (mavqhma) significa scienza e il suo derivato mathêmaticós (µαθηµατιχοϖ⌡) significa uomo di scienza, ovvero che possiede la scienza e quindi è abilitato a parlare. Pertanto ai primi era imposto il silenzio ed avevano solo il diritto di seguire, da semplici ascoltatori, le lezioni del maestro, mentre ai secondi era consentito prendere la parola, ponendo domande o esprimendo opinioni personali. Per questa regola, mantenuta e osservata all’interno della scuola, è sempre stato difficile distinguere la dottrina del maestro da quella degli altri pitagorici, i quali spesso, per convalidare la propria tesi, si richiamavano al fatto che l’avesse detto proprio il maestro; l’espressione greca αυϕτο∧⌡ε[φα corrisponde a quella latina “ipse dixit”, proprio per suffragare che lo “disse lui stesso” e quindi non è suscettibile di discussione, in quanto risale al maestro. Filosofia e matematica Nonostante le leggende, tramandate sulla sua vita e sul suo pensiero, a Pitagora si deve l’invenzione del ter mine filosofia (φιλοσοφιϖα), che supera quello di sofia (σοφιϖα) in uso presso la scuola ionica. Infatti la sua dottrina presenta una grossa novità per il carattere matematico di cui è impregnata; se gli ionici si distinsero per il forte interesse nutrito verso lo studio della natura, i pitagorici si distinsero per il forte interesse mostrato nei confronti della matematica. Secondo Pitagora il numero è la chiave di volta per spiegare l’armonia che regola la vita dell’universo, perché ne costituisce pure l’elemento primo. Non a caso Aristotele sottolinea che, poiché i pitagorici ritenettero che “tutte le cose (...) fossero fatte a immagine dei numeri e che i numeri fossero ciò che è primo in tutta quanta la realtà, pensarono che tutti gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto il cielo fosse armonia e numero” ( Metafisica , A, 5, 985b-986a). In questo caso ci si trova di fronte ad una filo- sofia che ritiene di dovere spiegare il divenire della natura, presuppendo un ordine cosmico, da spiegare, a sua volta, attraverso il rapporto che esiste tra i numeri. La teoria dei contrari Pitagora partiva dalla coppia dei numeri pari e dispari, entrambi derivati dal numero uno, da cui appunto derivano tutti gli altri numeri, a partire dal due (con l’aggiunta di uno) e dal tre (con l’aggiunta di due); il numero uno è quindi l’elemento primo, cui seguono il primo numero pari (il due) e il primo numero dispari (il tre); in assoluto la serie dei numeri pari e dispari dipende dal numero uno (per questo detto parimpari), in quanto, se aggiunto ad un numero pari, diventa dispari, mentre, se aggiunto ad un numero dispari, diventa pari. Oltre alla coppia pari-dispari, i pitagorici indicavano altre coppie di contrari; in tutto dieci: 1) limite-illimite, 2) dispari-pari, 3) uno-molteplice, 4) destro-sinistro, 5) maschio-femmina, 6) fermo-mosso, 7) retto-curvo, 8) luce-tenebra, 9) buono-cattivo, 10) quadrato-rettangolo. Da una parte ponevano gli opposti (limite, dispari, uno, destro, maschio, fermo, retto, luce, buono, quadrato), che rappresentano la perfezione della natura, e dall’altra parte gli opposti (illimite, pari, molteplice, femmina, mosso, curvo, tenebra, cattivo, rettangolo), che ne rappresentano l’imperfezione. A Filolao si fa risalire il frammento con il quale si afferma che “armonia nasce esclusivamente da contrari, perché armonia è unificazione di plurimescolati elementi e consenso di dissenzienti” (Nicomaco, Arithm. II, 19). I pitagorici avevano appreso la teoria dei contrari dagli ionici; ma a differenza di Anassimandro e di Eraclito (che avevano concepito contrari materiali), i pitagorici elaborarono contrari astratti, secondo i quali è regolata la vita del cosmo e degli uomini. L’apparente molteplicità si risolve nell’unità, posta a simbolo dell’armonia che regna nell’ordine fisico-cosmico della natura, ossia delle sfere che ruotano attorno al fuoco centrale del cosmo; tale unità è posta pure a simbolo della vita dell’uomo, la cui anima rappresenta l’armonia, contrapposta alla disarmonia che sembra prevalere nella vita terrena. La simbologia del numero Il divenire del cosmo e la vita dell’uomo sono dunque paragonate e raffrontate alla simbologia del numero; oltre il numero uno, i pitagorici tenevano in grande considerazione il numero tre e il dieci. Il tre era considerato un numero perfetto e santo, perché comprendeva il principio, il mezzo e la fine; altrettanto perfetto e santo era considerato il numero dieci, risultante dalla somma dei primi quattro numeri (1+2+3+4=10), stante a rappresentare, in fisica, i quattro elementi della natura (terra, acqua, aria, fuoco) e, in geometria, il punto, la linea, la superficie e il corpo. Il dieci rappresentava la perfezione per eccellenza, in quanto grande, onnipotente, pancreatrice, inizio e guida nella vita degli dei e degli uomini. Non a caso i numeri, che seguono la prima decina, risultano meramente ripetitivi dei primi dieci. Il numero quaternario (da non confondere con il semplice numero quattro) è costituito dalla somma dei primi quattro numeri, la cui somma fa dieci e che costituisce la famosa tetractys (τετρακτυϖ⌡); graficamente, dava origine al triangolo decadico, costituito da tre lati, la cui misura equivaleva a quattro, in quanto i punti venivano allineati orizzontalmente e disposti l’uno sotto l’altro in senso verticale. Tra l’altro, partendo sempre dall’unità, sul lato sinistro, si dava origine ad una progressione dal cubo pari (1,2,4,8), mentre, sul lato destro, si dava origine ad una progressione dal cubo dispari (1,3,9,27). Secondo la tradizione, i pitagorici giuravano sulla tetractys nel seguente modo: “No, per colui che diede alla nostra anima la tetractys, in cui è la fonte e la radice dell’eterna natura” (Aezio, I, 3, 8). In tal modo si può dedurre che il numero era considerato, oltre che entità aritmetica, principio metafisico, regolativo di ogni cosa. La cosmologia I pitagorici forse esageravano nella loro concezione del cosmo, quando presupponevano un’anti-terra, che avrebbe portato a dieci il numero dei corpi celesti, dei quali solo nove erano visibili (terra, sole, luna e i cinque pianeti allora noti). Ma alcune loro intuizioni risultano geniali, come la sfericità della terra, sostenuta da Filolao; l’eliocentrismo, concepito da Aristarco; la rotazione della terra intorno al proprio asse, intuita da Ecfanto. Infatti riuscivano a spiegare l’alternarsi del giorno e della notte con il movimento che la terra compie intorno al sole, considerato stella fissa che occupa il centro dell’universo. Spiegavano soprattutto la relatività dei luoghi del cosmo; il sopra e il sotto scomparvero nelle loro teorie e si cominciò a parlare di distanza più o meno grande e più o meno piccola dal centro. Metempsicosi e psicagogia Infine non è da trascurare la loro psicologia. L’anima costituisce la parte immateriale del corpo; l’armonia tra le due parti dello spirito e della materia dipende dalla giusta tensione che si determina tra i due opposti, allegoricamente rappresentati dai due bracci della lira. La tensione tra i due estremi della corda deve risultare né troppo forte né troppo debole. In ogni caso l’anima costituisce l’opposto della materialità, alla quale è legata nella vita terrena solo temporaneamente, per espiare le colpe commesse nella vita prenatale; si trova imprigionata nel corpo (σωµα), come in una tomba (σηµα), che risulta una vera e propria prigione, dalla quale tende a liberarsi, per tornare nell’ iperuranio . Questa teoria della metempsicosi, ossia della trasmigrazione delle anime, la ritroveremo in Empedocle e nello stesso Platone. L’anima, puro spirito, vive una propria esistenza, separata da quella dei corpi, composti di sola materia; cade sulla terra, perché ha commesso una colpa che deve espiare; a seconda della gravità della colpa viene immessa in un corpo più o meno evoluto (secondo la scala gerarchica degli esseri viventi in natura). A questo proposito risulta di particolare importanza la psicagogia (ψυχαγογιϖα), ossia la teoria secondo la quale occorre educare l’anima a ripristinare il proprio stato di purezza, pur trovandosi imprigionata nella materia del corpo; non solo l’astinenza da certi cibi (come la carne), ma pure l’osservanza del silenzio, è finalizzata all’instaurazione di un rapporto equilibrato tra il nostro corpo e la nostra anima, che altrimenti non riusciremmo a cogliere e a scoprire. Gli altri pitagorici La lista dei pitagorici è abbastanza lunga; non si tratta solo degli allievi diretti di Pitagora a Crotone, ma pure di quanti in altre città praticarono tale tipo di filosofia, che si diffuse nella parte peninsulare della Magna Graecia; non a caso Aristotele definì tali filosofi genericamente “italici”, proprio perché i pitagorici, oltre che a Crotone, si erano insediati in molte altre città della Magna Graecia. Infatti per tutto il VI e il V secolo a.C. troviamo pitagorici a Crotone, a Sibari, a Metaponto, a Taranto, a Reggio; intorno alla metà del IV secolo a.C. si determina la decadenza del pitagorismo, dopo avere annoverato nomi rilevanti. Tra i tanti meritano una menzione particolare: Filolao (vissuto a Crotone nella seconda metà del V secolo a.C.), famoso per avere concepito la dicotomia tra illimite (α[πειρον) e limite (πεϖρα⌡), rispettivamente simboli della imperfezione e della perfezione, diffuse la dottrina pitagorica pure in Grecia, durante un soggiorno a Tebe; Archita (vissuto a Taranto tra il V e il IV secolo a.C.) si distinse per avere liberato il pitagorismo da ogni forma di misticismo, trasferendo la sua attenzione sul piano delle discipline scientifiche (geometria, aritmetica, musica, astronomia); per non dire del suo interesse per la musica, avendo dimostrato che il suono deriva dal movimento e dall’urto di due corpi e dalla capacità dell’aria di trasmettere il suono da una parte all’altra. A questo scopo, secondo l’insegnamento del medico Alcmeone (vissuto a Crotone nel VI secolo a.C.), risulta di grande utilità l’utilizzo della musica a scopi terapeutici; si deve proprio ad Alcmeone l’avere presupposto che la musica si “deposita” nei nervi acustici del cervello; l’avere scoperto i nervi acustici e l’avere “localizzato” l’intelletto nel cervello e non nel cuore. “Ciò che mantiene la salute, dice Alcmeone, è l’equilibrio delle potenze: umido secco, freddo caldo, amaro dolce, e così via; invece il predominio d’una di esse genera malattia, perché micidiale è il predominio d’un opposto sull’altro” (Aetio, V, 30, 1). I pitagorici saranno ricordati a più riprese; oltre che da Platone e da Aristotele, dai neoplatonici del III secolo d.C., Porfirio e Giamblico, con lo scopo di contrapporre la tradizione della filosofia greca a quella della nascente filosofia cristiana. Non è da trascurare il debito che la scienza moderna, ed in particolare la matematica, deve alla scuola pitagorica; ad esempio, al cosiddetto teorema di Pitagora si richiamano il primo e il secondo teorema di Euclide. A.Fundarò (Segue in uno dei prossimi numeri)