Il carcere, meccanismo di esclusione e di controllo

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Il carcere, meccanismo di esclusione e di controllo
di Zygmunt Bauman
L’immediata contiguità di agglomerati vasti e crescenti di «rifiuti umani», che hanno buone
probabilità di diventare duraturi o permanenti, suscita l’esigenza di politiche di segregazione più severe
e di misure di sicurezza straordinarie, per evitare che siano minacciate la «salute della società» e il
«normale funzionamento» del sistema sociale. Oggi i famigerati compiti di «gestione delle tensioni» e di
«mantenimento dei patterns», che, secondo Talcott Parsons, ogni sistema deve eseguire per sopravvivere,
si riducono quasi per intero alla rigorosa separazione dei «rifiuti umani» dal resto della società, alla loro
esclusione dal quadro giuridico in cui vengono condotte le occupazioni vitali del resto della società, e
alla loro «neutralizzazione». I «rifiuti umani» non possono più essere rimossi e trasportati in discariche
lontane e privati efficacemente dell’accesso alla «vita normale». Pertanto, occorre sigillarli in contenitori
a tenuta stagna.
Tali contenitori sono forniti dal sistema penale. Secondo David Garland, che presenta una
sintesi concisa ed esatta della trasformazione in corso, le carceri, che nell’era del riciclaggio «fungevano
da ‘ultimo girone’ del settore correzionale», oggi sono «concepite molto più esplicitamente come
meccanismo di esclusione e di controllo». Sono le mura, e non quel che accade al loro interno, a essere
«ormai considerate come la componente più importante e preziosa dell’istituzione» 31 . L’intenzione di
«riabilitare», «riformare», «rieducare» e restituire le pecorelle smarrite al loro gregge viene tutt’al più
elogiata a parole, ma soltanto occasionalmente, e , quando ciò avviene, alle lodi fa da contrasto un coro
furibondo di assetati di sangue, con i rotocalchi popolari che giocano la parte di direttori d’orchestra, e
le parti soliste affidate ai politici di primo piano. Esplicitamente, la principale e forse unica finalità delle
carceri non è uno smaltimento qualsiasi dei rifiuti umani, ma uno smaltimento definitivo, ultimativo.
Chi è respinto una volta è respinto per sempre. Per un ex detenuto scarcerato con la condizionale, il
ritorno alla società è quasi impossibile e il ritorno in galera quasi certo. Anziché guidare e agevolare il
percorso di «rientro nella comunità» dei carcerati che hanno scontato la loro condanna, la funzione dei
probation officers [gli ufficiali giudiziari incaricati di sorvegliare i detenuti in libertà vigilata, N.d.T.] è tenere
la comunità al sicuro da un pericolo perpetuo lasciato temporaneamente a piede libero. «Gli interessi
dei rei condannati, ammesso e non concesso che vengano presi in considerazione, sono visti come
radicalmente opposti a quelli del pubblico» 32 . Effettivamente si tende a considerare chi delinque come
«intrinsecamente cattivo e malvagio», «diverso da noi». Ogni similitudine è puramente accidentale…
Non può esservi reciproca intelligibilità, nessun ponte di comprensione, nessuna comunicazione reale fra
«noi» e «loro»…
Che l’indole del delinquente sia il prodotto di geni corrotti o dell’essere stati allevati in una cultura
antisociale, l’esito è lo stesso: una persona che sta fuori dalla legalità, fuori da ogni possibilità di redenzione, fuori
dal civile consesso…
Chi non si adatta o non si può adattare va scomunicato ed espulso con la forza 33 .
In sintesi, le carceri, come tante altre istituzioni sociali, sono passate dal compito di riciclare i
rifiuti a quello di smaltirli. Sono state destinate alla linea del fronte nella battaglia per risolvere la crisi in
cui è precipitata l’industria dello smaltimento dei rifiuti per effetto del trionfo globale della modernità e
della nuova saturazione del pianeta. Tutti i rifiuti sono potenzialmente tossici – o almeno, essendo
definiti rifiuti, sono considerati un fattore di contaminazione e di disturbo dell’ordine -. Se riciclarli non
conviene più e le opportunità relative (almeno nella situazione attuale) non sono più realistiche, il modo
giusto di trattare i rifiuti è accelerarne la «biodegradazione» e decomposizione, isolandoli al tempo
stesso dall’habitat dei normali esseri umani nel modo più sicuro possibile.
31
Garland, The Culture of Control cit., pp. 177-78.
Ivi, p. 180.
33
Ivi, pp. 184-85.
32
Il lavoro, la previdenza sociale e il sostegno delle famiglie erano i mezzi con cui un tempo gli ex detenuti
venivano reinseriti nella società. Con il declino di queste risorse, la carcerazione è diventata una missione di più
lungo periodo, dalla quale gli individui hanno scarse prospettive di ritornare allo stato di libertà non sorvegliata…
Oggi il carcere viene utilizzato come una sorta di riserva o di zona di quarantena in cui individui presunti
pericolosi sono segregati in nome della pubblica sicurezza 34 .
La costruzione di altre carceri, la pena detentiva per un maggior numero di reati, al politica della
«tolleranza zero» e condanne più lunghe e più severe vanno lette come altrettanti tentativi di ricostruire
l’industri in crisi della smaltimento dei rifiuti su un fondamento più confacente alle nuove condizioni
del mondo globalizzato.
Tratto da: Zygmunt Barman, Vite di scarto. Editori Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 106-108
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