FICHTE (1762-1814) Opere principali: Prima e Seconda introduzione alla dottrina della Scienza, Fondamenti dell’intera dottrina della Scienza, La missione dell’uomo, Discorsi sulla Nazione Tedesca, Lezioni sulla missione del dotto. Fichte ha pensato la sua filosofia come “Dottrina della Scienza” per distinguerla dalla “Critica” Kantiana: egli vuole elevare una costruzione positiva del sapere su uno stabile fondamento; e, poiché il nome di scienza designa un sapere sistematicamente connesso nelle sue parti e fondato su di un principio certo, il termine di “Dottrina della Scienza” è, per lui, ben appropriato allo scopo. Kant si era posto questo problema: “come è possibile l’esperienza?” ed era giunto all’IO (io penso), quale suprema condizione di essa. La sua deduzione è trascendentale cioè diretta a giustificare la validità delle condizioni soggettive della conoscenza; ed implica sempre un rapporto tra l’io e l’oggetto fenomenico. Alcuni filosofi post-kantiani si erano posti il problema dell’origine del materiale sensibile. Ne dimostrano impossibile la derivazione della “cosa in sé” e tendono ad attribuire all’attività soggettiva la produzione del materiale sensibile e di risolvere nell’iol’intero mondo delle conoscenze. Fichte ne trae le conseguenze: se l’io è l’unico principio, non solo formale ma anche materiale del conoscere , è evidente che l’io è non solo finito (in quanto ad esso si oppone una realtà eterna), ma infinito (in quanto è l’unica sorgente di questa stessa realtà. La deduzione di Fichte è metafisica, perché deve far derivare dall’io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere. Il principio della “Dottrina della Scienza” è l’io o autocoscienza, nelle ultime opere l’infinito diventerà l’Essere o Dio. La “Dottrina della scienza” e la struttura dell’idealismo fichtiano” Il primo principio dell’idealismo fichtiano è “l’io pone se stesso”. Il principio del sapere per la filosofia tradizionale, quello di identità: A=A. Ma lo si può considerare primario? Esso afferma che se A è dato allora A è uguale a se stesso. Il legame logico c’è, anche se “A che è dato” è un’ipotesi. Ora la validità che A sia posto dipende dall’io che lo pone; senza l’identità dell’io (IO = IO) l’identità logica non si giustifica. L’una è un’identità data, l’altra è un’identità che si pone, e , ponendosi, pone anche quella. Il principio originario è dunque lo stesso: non è posto da alcunché di altro, ma sussiste sempre per se stesso, si autopone; esso si convalida da sé. Se è condizione di sé medesimo allora “costituisce sé stesso”, è autocreazione . L’Io è l’Io assoluto, l’Egida, l’intelligenza (agire e nient’altro). L’Io non è un fatto ma un atto. Nella metafisica classica (metafisica dell’essere) si diceva: “operari sequitur esse”(l’azione consegue all’essere delle cose), l’essere è la condizione dell’agire. La nuova posizione idealistica (metafisica dell’Azione) afferma l’opposto “esse sequitur operari”(l’azione precede l’essere). Ora si può parlare veramente di “Rivoluzione Copernicana”: ammettere un mondo preesistente allo spirito ne compromette la validità ( è possibile che le leggi della natura derivino da proprietà inerenti alle cose stesse). Ammettere un mondo preesistente allo spirito è, inoltre, un’affermazione puramente a-critica, in cui il pensiero “dogmaticamente” si spiega. Ammettere invece, che l’Io sia il principio della realtà è “Idealismo”. L’Idealismo dunque si contrappone ala dogmatismo. La preferenza del primo rispetto al secondo dimostrata, secondo Fichte, sia da motivi pratici (“io sono quel che mi fo”,l’idealismo risponde all’energia e all’indipendenza del carattere, il dogmatismo alla fiacchezza e all’adattabilità), sia da motivi teoretici (l’Idealismo muove da un atto dell’intelligenza, il quale non soltanto si giustifica da sé , ma spiega anche l’essere ; il dogmatismo, partendo dall’essere, rimane inevitabilmente chiuso nell’essere, non può da questo passare al pensiero, in una catena, un nesso causale,in cui è sempre un essere che determina un altro essere, ma non si incentra mai l’essere che è cosciente di sé, che non solo è ma sa di essere, il pensiero coerentemente svolto , conduce al materialismo e al meccanicismo spinoziano). Il secondo principio dell’idealismo fichtiano è “l’IO oppone a sé un non-io”. Al principio della “posizione” (tesi) o autogestione dell’Io si contrappone un secondo principio (antitesi). L’attività dell’Io non si esaurisce nel suo porsi, altrimenti sarebbe qualcosa di statico, d’immobile, in contraddizione con la sua natura . In realtà, non può esservi attività, né movimento, senza un’opposizione o un urto (anstos). E quindi l’apposto dell’Io deve essere necessariamente un non-io (oggetto, mondo, natura). L’io, quale spontaneità creatrice, non può “produrre” senza produrre “qualcosa” di determinato e quindi senza “oggettivarsi” in un “quid” che esso si troverà da vanti come “altro” da sé, come non-io. La presenza del “quid “ anche se necessaria è tuttavia qualcosa di irrazionale: la produzione è infatti inconscia, inconsapevole (l’ “immaginazione produttiva”,che in K.formava schemi e categorie, in Fichte diventa “creatrice inconscia” degli oggetti: delimitandosi produce continuamente la materia del nostro conoscere). Si tratta, però,di un’irrazionalità inclusa in una razionalità superiore: l’oggetto non si pone da sé, ma è posto dall’io stesso (come momento necessario dello spiegamento della propria vita) ed è quindi nell’Io. Di fronte alla positività del porre,l’opporre è una negatività, cioè un’esperienza dell’Io a ripiegarsi,a riflettersi,a invertire il momento espressivo.Questa funzione è della più grande importanza, perché da essa ha inizio la coscienza di qualche cosa (Hegel). Se il primo momento è quello della libertà,cioè dell’autonomia del soggetto che si pone, il secondo è quello della necessità, cioè dell’urto che lo arresta e lo circoscrive, o anche della riflessione, che lo costringe a ritornare su se stesso. Senza libertà, mancherebbe ogni impulso al movimento; senza riflessione, il movimento si disperderebbe, come una corrente che ristagna in una sconfinata pianura. La riflessione è appunto l’origine che contenendo le acque ne avvia il moto. Il non-io non è una mera parvenza. L’oggetto è una realtà, anche se è tale solo in virtù dell’Io. In questo senso Fichte afferma che “la dottrina della scienza è realistica”: non si può spiegare in nessun modo la coscienza della natura finita (degli uomini) se non si ammette una forza contingente ad essa : “ Appena all’io si oppone un non-io, l’io al quale è opposto il non –io e l’io sono posti come divisibili”; il concetto di limite amplifica la divisione (tra ciò che è contenuto nel limite è ciò che è al di là da esso), e quindi,ad opera inconscia dell’immaginazione produttiva,la molteplicità di esistenze empiriche,oggettive, è correlativa una molteplicità di esistenze empiriche soggettive. Il terzo principio dell’idealismo fichtiano si concretizza quando “l’io oppone a se stesso un non-io divisibile” (la reciproca limitazione e l’opposizione nell’Io dell’io limitato al non-io limitato). Il terzo principio rappresenta il momento della sintesi. L’opposizione avviene nell’io e non è racchiusa solo nel fatto che l’io elimini il non-io e viceversa, ma l’uno delimita l’altro e viceversa: “limitare” significa saper comprimere solo in parte, perciò è implicito il concetto di divisibilità. Dai tre principi esaminati Fichte deduce le tre categorie della qualità: affermazione, negazione, limitazione più quelle dell’azione reciproca dell’io e del non-io da cui nascono sia la conoscenza (rappresentazione) sia l’azione morale. L’attività conoscitiva si fonda sull’aspetto per cui l’”io viene determinato dal non-io”. Il materiale dell’immaginazione produttiva è prodotto, come è stato detto, in modo inconscio (perciò ci appare come altro da noi) ed è un materiale grezzo di cui la coscienza, a tappe successive, si riappropria attraverso la sensazione,l’intuizione sensibile,l’intelletto, il giudizio. Tutto ciò avviene poiché la coscienza del limite significa necessita e possibilitàdi rimuoverlo, di spostarlo più in là, e quindi, per l’io, di svilupparsi per rinchiudere in sé una parte sempre più ampia del non-io e tendere a ricostruire gradualmente , per via di riflessione conscia, la propria natura di Io assoluto. L’IO supera sempre il limite che si oppone alla sua attività, ma il limite riappare sempre più oltre,si sposta ma non scompare (Streben): la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa; senza il non-io, la coscienza non sarebbe nata. Quindi il riappropriarsi non è mai totale, definitivo: all’autocoscienza pura l’io può solo avvicinarsi sempre di più. L’attività pratica (morale) si fonda sull’aspetto per cui l’ “Io determina il non-io”. Abbiamo precedentemente detto che la limitazione dell’io da parte del non-io è l’urto dell’io contro il non-io sono necessari perché vi sia la coscienza , perché vi sia, cioè, da una parte il rappresentare e dall’altra un mondo di oggetti rappresentati. Il motivo non viene spiegato; la ragione è data dalla natura del nostro compito morale. Noi conosciamo per agire, l’io , per realizzarsi nella sua infinità, deve incontrarsi nelle resistenza che l’oggetto gli oppone e dar luogo così al suo sforzo. Ma lo sforzo che tende a ricondurre l’oggetto (la natura) alla pura attività dell’io cioè a trionfare di esso e ad affermare su di esso il potere della ragione (nella morale è l’uso che determina il non-io); è l’attività morale . il non-io è lo strumento mediante cui l’io si realizza moralmente. Il non-io diventa un momento necessario per la realizzazione della libertà dell’io. Essere libero significa farsi libero, e farsi libero significa allontanare incessantemente il limite opposto dal non-io all’io empirico (streben,superamento). L’io pone il non-io per potersi realizzare come libertà (idealismo etico) Fichte si sente il profeta della vita immorale e ritiene di aver fondato più saldamente l’imperativo categorico e il primato della ragion pratica su quella teoretica; le sue sfere di attività non sono estranee l’una all’altra:L’io che “pensa” è lo stesso io che “deve” e “pensa” per compiere ciò che “deve”. Il dovere consiste nel superamento delle condizioni dell’io empirico attraverso cui tendere infinitamente alle condizioni dell’io Puro (fine in sé), secondo l’esigenza che la massima della volontà possa valere come legge eterna dell’Io: missione dell’uomo e dunque l’autoperfezionamento all’infinto. Poiché l’uomo non può perfezionarsi anche vivendo in società, la sua missione morale consiste nel farsi libero rendendo liberi gli altri e mirando alla progressiva unificazione dell’organizzazione sociale nella ricerca della libertà. Ciascuno si sente congiunto a tutti coloro che nel passato lavoravano per lo stesso scopo : l’immortalità è non dell’io-empirico (uomo), ma della sua opera. Società e stato 1. 2. 3. Stato di polizia: Fichte parte da una concezione di stato di polizia, a cui egli attribuisce il compito di difendere i diritti naturali ; il corpo, la proprietà privata e quindi il diritto al lavoro: nello stato non ci devono essere né poveri né disoccupati. Stato Socialista:Perché lo stato possa assicurare ciò, bisogna che concentri in sé tutta l’organizzazione della produzione (“Stato commerciale chiuso”). Lo stato è così indipendente e sacrario: Autarchia Stato nazionale: ma affinché ciò possa accadere ,bisogna che ogni stato abbia i suoi confini naturali, si che qualsiasi competizione tra gli stai scompaia (“Discorsi sulla Nazione Tedesca”, contro Napoleone che aveva tolto l’indipendenza alla Germania). Morale e Religione L’Io, nella legge morale,acquista coscienza dell’ideale infinito da attuare; nella vita religiosa ha coscienza dell’ordine universale, di un ordine vivente delle cose, che è l’ordine divino, la vita divina, Dio stesso. SCHELLING (1775-1854) Schelling, nella sua opera "Sistema dell'idealismo trascendentale" si ricollega a Fichte, in quanto anche per lui la filosofia dello spirito è storia dell'autocoscienza; è ricostruzione della serie degli atti per cui lo Spirito realizza se stesso. Ma ciò che lo interessa non è tanto il tendere infinito dell'Io, bensì quel momento del processo , nel quale il non-Io si genera nella sua opposizione, quel momento dell'attività dell'Io, in cui si obietta e diventa natura. Per Fichte, la natura è proiezione e strumento dell'Io morale, il teatro dell'azione morale, Schelling, invece elabora una dottrina in cui il mondo della natura ha una sua autonoma consistenza rispetto all'Io, anche se non sia estranea allo spirito, sia anzi espressione dello spirito stesso, essendo scaturito al pari del mondo e dello spirito , da una realtà indifferenziata , che non è natura più che spirito, nè spirito più che natura, ma identità dell'uno e dell'altro, di io e di non io, di soggetto e oggetto: ASSOLUTO la sostanza di Spinoza è il principio dell'infinità oggettiva l'Io di Fichte è il principio dell'infinità soggettiva Schelling vuole unire le due infinità nel concetto di un Assoluto che non è riducibile nè al soggetto nè all'oggetto, perchè deve essere il fondamento dell'uno e dell'altro. Ben presto egli si accorge che una pura attività soggettiva (Io fichtiano) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (sostanza spinoziana) non potrebbe spiegare l'origine dell'intelligenza, della ragione e dell'Io. Il principio supremo dev'essere quindi un ASSOLUTO (o Dio) che sia insieme oggetto e soggetto, ragione e natura, cioè che sia l'unità,l'identità o l'indifferenza di entrambi. La filosofia della natura La Natura è la preistoria della coscienza, è intelligenza pietrificata, è Spirito visibile, come lo Spirito è Natura invisibile. Nella Natura agisce quella stessa attività intelligente che opera nel pensiero; con le stesse leggi e con lo stesso procedimento dialettico: inconsciamente nella natura, consciamente nel pensiero. L'azione dell'intelligenza nella natura si manifesta come interazione di materia e forma, come spontaneo organizzarsi della materia in forme viventi, come vitalità del tutto e delle singole parti, potenziatesi in gradi sempre più elevati (in virtù di un'antitesi tra forza positiva e forza negativa, ossia una polarità , analoga a quella dell'energia elettrica, che è legge immanente di tutta la natura). Nella natura si distinguono tre potenze: 1. 2. 3. Si manifesta nella forza di gravità; Si manifesta nella luce, elettricità, magnetismo e processi chimici; Si attua nella vita organica. Al culmine di questo processo di potenziamento vi è la sensibilità che segue l'accendersi -nell'universo- della luce della coscienza con cui ha inizio lo sviluppo dello Spirito. La Filosofia dello Spirto ( filosofia trascendentale: come carattere dell'Assoluto: libero, incondizionato) L'attività teoretica, l'attività pratica, L'arte. La sensazione è lo stadio iniziale della nuova fase di sviluppo, lo sviluppo dello Spirito, tendente a ripercorrere appunto alla luce della coscienza- quel processo di attività inconsapevole da cui esso é emerso, a riconquistare o meglio a rivendicare come suo -per via di riflessione- quello che esso ha prodotto nell'ombra dell'incoscienza. In quest’opera lo spirito si manifesta come Spirito teoretico e come Spirito pratico: l'Io teoretico tende ad avere rappresentazioni che si accordino con la natura, ossia vuol determinare la sua attività rappresentativa (cosciente) per mezzo dell'oggetto (che è inconscio). L'Io pratico tende a tradurre le sue libere rappresentazioni in realtà oggettiva, vuole cioè adattare l'oggetto (inconscio) alla sua attività di soggetto ( conscio). Nella prassi la libertà dell'Io viene limitata : non può volere tutto, deve necessariamente volere qualcosa , la natura è il limite nella forza dell'Io, gli "altri" il limite dell'esercizio della sua libertà . Il riconoscimento degli altri introduce il problema morale: la libertà degli altri è il limite consapevolmente accettato dalla libertà individuale. L a garanzia che la libertà di uno non impedisca la libertà altrui è compito dell' "etica" e si realizza attraverso il diritto . La Storia è per la filosofia pratica ciò che la natura è per la filosofia teoretica. C'è in essa perciò lo stesso sviluppo organico , lo stesso incessante progresso che fanno della storia un piano provvidenziale che si realizza gradualmente nel tempo, "la storia nel suo complesso è una rivelazione dell'Assoluto continua e graduale". L'arte L'identità di soggetto e oggetto, di ideale e reale , di conscio e inconscio, de libertà e necessità, è colto soltanto dall'Arte, l'arte è organo (strumento) della filosofia in quanto questa è coscienza dell'Assoluto). L'opera d'arte consta, infatti, di due elementi: 1. 2. Il primo è quello che si ottiene con la riflessione ,che è insegnato e appreso, che si può raggiungere con la tradizione e con l'uso; L'alto è l 'elemento incosciente , che non può essere insegnato, ma è dato da una libera inclinazione della natura. L'artista è spento alla produzione involontariamente, come per un esterno "afflato divino". La bellezza è suggestione d'infinito. E' il soggetto che sente questa suggestività dell'opera d'arte, non distingue più se l'infinito è - che essa suggerisce - sia realmente in esso, o sia invece soltanto in se medesimo. Vi è appunto identificazione di Soggetto e Oggetto, di IO e NATURA, Perciò l'arte è, secondo Schelling, organo della filosofia, in quanto questa è coscienza dell'Assoluto, e l'Assoluto è identità indifferenziata di io e non io, unita di Natura e Spirito. Il "genio" vero non c'è che nel campo dell'arte ( un problema scientifico può essere risolto genialmente da molteplici ingegni ordinari), "Solo il genio artistico è creatore", è "l' intelligenza che opera come natura". L'arte è per il filosofo la cosa più alta, perchè gli apre il sacrario dove in eterna è originaria unione brucia come in una fiamma sola ciò che nella natura e nella storia è divino. Il problema del Male Il dramma umano che consiste nella lotta fra il bene e il male, fra la libertà e la necessità, è il rispecchiarsi di un originario conflitto di opposte forze che sono alla base della stessa esistenza e della stessa vita di Dio : lo spirito che è amore purissimo (luce) e la natura , che è fondo oscuro (tenebre). Nelle prime opere Schelling affermava che il male era apparente. Per Fichte il male è un semplice ostacolo che l'Io si pone per superarlo. E' compito del dotto guidare gli uomini a vincerlo e quindi finisce di esistere. La Filosofia positiva L'ultimo Schellig ha distinto una "filosofia negativa" da una "filosofia positiva" e si è dedicato a quest'ultima. Filosofia negativa, quella fino a questo momento professata, cioè la speculazione intorno al "quid", all'essenza delle cose. Filosofia positiva : quella che concerne "l'esistenza effettiva delle cose". La prima concerne la Possibilità logica (costruita sulla ragione) delle cose, la seconda riguarda la loro esistenza reale ( costruita sulla religione e sulla rivelazione) nelle ultime opere la storia è vista da Schelling come progressiva realizzazione di Dio nel mondo; l'uomo deve allora comprendere Dio. Due sono i modi in cui questa comprensione si realizza: 1. 2. la religione naturale, in cui la conoscenza della divinità avviene attraverso il mito; quella rivelata, in cui Dio si rivela direttamente all'uomo come perno dello sviluppo storico.