Fichte : Il barattolo delle idee : http://ilbarattolodelleidee.org

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OTTOBRE 19, 2016 BY IL BARATTOLO DELLE IDEE LEAVE A COMMENT
Fichte
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DAL CRITICISMO ALL’IDEALISMO:
1) La cosa in sé
2) dualismo fenomeno noumeno
3) dualismo forma materia
4) rapporto tra apriori e aposteriori
Questi sono i temi che maggiormente vengono messi in luce all’indomani
della pubblicazione delle critiche kantiane, da pensatori come Reinhold,
Maimon ecc. e che finiranno con il culminare nell’idealismo (lo stesso Fichte
inizia la sua elaborazione sulla scia di una rivisitazione del pensiero kantiano).
Il problema principale è quello del rapporto tra fenomeno e noumeno, che nel
sistema kantiano restava inconoscibile eppure necessariamente anticipato in
ogni atto conoscitivo. L’operazione tentata, che poi culminerà con l’idealismo
è quella di introiettare il noumeno all’interno della conoscenza, che è poi un
superare la dicotomia tra sapere e realtà.
Contestualmente, ad influenzare il pensiero filosofico di quegli anni sarà il
romanticismo, per cui a ragione è possibile sostenere che l’idealismo è una
filosofia romantica, mentre di fatto non tutto il pensiero romantico è ascrivibile
sotto la categoria di idealismo.
PREMESSE:
– L’io è considerato principio formale e materiale della conoscenza, la
sua attività determina il pensiero della realtà oggettiva, ma anche la realtà
stessa nel suo contenuto materiale. Mentre la deduzione di Kant è
trascendentale nel senso che giustifica la validità di condizioni soggettive, per
Fichte la deduzione è assoluta o metafisica, in quanto dall’Io stesso non
deduce soltanto le condizioni soggettive, ma anche la realtà dell’oggetto
stesso. In Kant la deduzione mette capo al rapporto tra l’io come pura
appercezione e l’oggetto fenomenico, per Fichte invece è il principio assoluto
che pone il soggetto e l’oggetto fenomenici in virtù, della sua attività creatrice
(intuizione trascendentale).
I PRINCIPI O MOMENTI DELLA DEDUZIONE:
– Il problema generale è quello della ricerca di un principio, che deve
essere incondizionato e attivo. Esso non può essere infatti una cosa, in
quanto la cosa è sempre in virtù dell’atto che la pone e non può neanche
essere finito, in quanto se così fosse apparirebbe limitato e determinato da
qualcos’altro. Il principio deve perciò essere un atto incondizionato che si
pone da sé. Questo principio è l’autocoscienza l’Io che pensa se stesso o
qualcosa fuori da sé. Il processo di autodeterminazione è infatti correlato al
processo di determinazione della cosa. Tale movimento per Fichte è
espressione della libera attività dell’Io che nel porsi, oppone a se un Non-io,
determinando in tal modo un limite interno, che finitizza tanto l’Io, quanto il
Non-io. Nell’atto conoscitivo l’io pone se stesso in quanto cosciente di sé,
esce fuori di sé per cogliere l’oggetto e poi lo riporta alla coscienza. La realtà
della cosa, infatti, senza la consapevolezza di un Io che la percepisce è nulla:
su tali basi poggia l’idealismo (mentre per il criticismo il noumeno aveva realtà
separata dalla coscienza, che anzi è impossibilitata a conoscerlo). Possiamo
dire che qualcosa esiste soltanto rapportandolo alla nostra coscienza, ovvero,
se esso è per-noi. A sua volta la coscienza è tale solo in quanto è coscienza
di sé medesima ovvero autocoscienza. l’essere-per-noi (dell’oggetto) è
possibile soltanto sotto la condizione della coscienza e questa solo sotto la
condizione dell’autocoscienza.: la coscienza è il fondamento dell’essere,
l’autocoscienza il fondamento della coscienza.
– Nella dottrina della scienza l’intenzione è quella di passare dall’idea di
una conoscenza come amore per il sapere, ad una scienza che
rappresenti questo stesso sapere assoluto e perfetto. Per fare ciò occorre
trovare un principio di validità che si fondi sul principio stesso. In essa
saranno dunque contenuti i principi per fare scienza e non contenuti nuovi,
viene perciò gettata una nuova luce che mostra i processi e le strutture
attraverso cui si sono creati i contenuti: “E’ soltanto il sapere universale
pervenuto al sapere di sé medesimo, alla consapevolezza e al dominio di sé“.
– L’intuizione intellettuale è il principio del sapere e benché di ciò sia
consapevole solo il filosofo essa è presente in tutti gli atti della conoscenza
(come l’appercezione kantiana). Essa è il principio del sapere la coscienza,
come coscienza di qualcosa. Mentre la coscienza si rivolge ad un oggetto
essa è altresì coscienza di sé, l raggiungimento di tale consapevolezza (del
concepire sé dietro la concezione dell’oggetto) è il compito della filosofia, la
quale avvia un metodo costruttivo e genetico. La genesi non è quella
dell’essere, ma quella della coscienza del sapere dell’essere (senza la quale
l’essere stesso non sarebbe alcunché di determinato, ovvero non avrebbe
esistenza oggettiva):
Il sapere concreto si presenta come unità, totalità di elementi, non
distinguibile. Bisogna allora analizzare, ovvero scomporre questa totalità nelle
condizioni necessarie in modo da vederla risorgere di fronte alla coscienza
proprio a partire dalle condizioni secondo cui è stata scomposta. Lungo
questo percorso emergeranno i momenti formali nel loro significato costitutivo,
il riconoscimento di tali elementi non come singole percezioni ma come atto
che abbraccia tutt’assieme la totalità delle percezioni possibili è l’intuizione
intellettuale.
IL PRINCIPIO DI IDENTITA’ : L’io puro indica la legge unitaria e formale della
ragione. La filosofia deve dunque muovere dal principio di identità A=A. Tale
principio che sin dai tempi di Aristotele era stato posto a fondamento di ogni
filosofia per Fichte non è affatto il principio primo, ma presuppone l’esistenza
dell’Io che lo pone: Se A è dato deve essere formalmente identico a se
stesso. Il principio che sin dai tempi di Aristotele non necessita di alcuna
ulteriore giustificazione assume tuttavia per via ipotetica l’esistenza di A, e la
sua validità dipende da tale assunzione. Esso non può dunque costituire il
principio primo della scienza. E’ infatti l’Io che pone l’esistenza di A, che
senza l’identità dell’Io sono Io non si giustifica. Il rapporto di identità è dunque
posto dall’Io nella misura in cui giudica se stesso, e in tale giudizio riconosce
innanzitutto la propria esistenza. L’io non può porre il rapporto di identità se
non pone prima se stesso, ovvero se non pone la sua esistenza: l’esistenza
dell’Io ha dunque la stessa necessità del rapporto logico A=A, in quanto L’io
non può affermare nulla senza affermare la sua esistenza (non è posto da altri
ma si pone da sé). TALE AUTOCREAZIONE COSTITUISCE L’INTUIZIONE
INTELLETTUALE CHE L’IO HA DI SE’ STESSO. L’essere dell’Io inoltre,
essendo un atto e non un fatto, segue dal suo operare ed è il risultato della
sua libertà: l’Io è TAT/HANDLUNG attività agente/prodotto della sua attività. Il
principio di identità è il fatto da cui muovere per dedurre la necessità che un
contenuto sia identico a se stesso .
IL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE: L’Io oppone a sé il NON-IO, ovvero, il
suo opposto (oggetto, mondo, realtà). Il mondo è dunque opposto all’Io come
un opposizione interna, come un principio di determinazione che è
opposizione e differenziazione. Il secondo principio non è deducibile dal
primo, tuttavia questo fatto deve accadere affinché ci sia una coscienza.
– Si oppone ad A un NON-A che si nega quale predicato di A. La loro
opposizione è possibile solo in quanto i due termini sono pensati nell’Io e
rientrano, pur opponendosi, nell’unità della coscienza che li ha posti entrambi.
L’unità di A e Non-A è l’unità della diversità (pensa al logos eracliteo), questa
unità del conoscere si costituisce in virtù della diversità, che dunque insieme
all’unità è un carattere fondamentale della conoscenza. Se infatti il pensiero
rimanesse nella forma dell’identità con se stesso non diventerebbe concreto
sapere di qualcosa. L’oggetto per la coscienza esiste, infatti, soltanto quando
viene identificato con determinazioni o predicati, e nel farlo gli oppone tutte le
determinazioni contrarie (Omnia determinatio est negatio).
Dato uno spazio (l’Io) infinito e perciò stesso indeterminabile, nel momento in
cui si pone al suo interno un oggetto (l’Io stesso in quanto posto dall’identità Io
sono Io), verrà internamente differenziato tra lo spazio occupato dall’oggetto e
quello non occupato. Tale oggetto costituisce infatti un limite, che per un
verso esclude tutte le altre modificazione di quel dato spazio (un triangolo non
è un quadrato), per altro verso pone la differenza rispetto ha tutto ciò che è
fuori da esso. Lo spazio che prima appariva indiscriminato è adesso distinto in
un io e un non-io. In base al secondo principio non si può dare nessun
oggetto di conoscenza fintanto che non si fissa un certo quid, attribuendogli
particolari determinazioni e dunque distinguendolo da tutte le altre possibili
determinazioni. L’io procede nella sua attività sulla base di questo movimento
di posizione e opposizione che è poi il movimento della conoscenza stessa.
L’intuizione intellettuale attraverso la quale il sapere si costruisce è legata
all’identità e all’opposizione, all’affermazione e alla negazione.
L’IO NELL’OPPORSI AL NON-IO SI TROVA LIMITATO DA ESSO: Il terzo
principio pone la situazione concreta del mondo, quella da cui parte ogni
sostanza individuale nell’atto di conoscere. Una molteplicità di Io finiti hanno
di fronte a loro una molteplicità di oggetti altrettanto finiti. Avendo posto il Nonio, l’Io si è determinato rispetto ad esso e dunque limitato, differenziato e con
ciò finitizzato. Esso adesso è un io divisibile (o empirico) esattamente come lo
è il Non-io che viene a costituirsi di fronte a lui.
– Il terzo principio della scienza rappresenta il momento della sintesi di ciò
che era compreso nei momenti precedenti in forma di affermazione e
opposizione, tesi e antitesi. Questo perché il sapere si attua e si realizza non
soltanto pensando l’identità e l’opposizione, ma al contempo la determinabilità
di un termine attraverso l’altro (ovvero la reciprocità e la co-originarietà della
relazione). L’Io è determinato da ciò che determina, L’Io è ciò che è solo
opponendosi a qualcos’altro da lui, l’io è posto dall’Io e poi è negato da ciò
che è posto, ovvero dall’atto del suo stesso porre. Se l’uno negasse in modo
assoluto l’altro, non sarebbe in realtà possibile neanche il posizionamento
(L’Io nel porsi eliminerebbe la sua opposizione e tornerebbe allo stadio di
iniziale indiscriminazione, ovvero a quello antecedente il suo posizionamento.
Ma senza posizionarsi non sarebbe cosciente e dunque non sarebbe), ecco
che allora la relazione reciproca tra i due termini non è assoluta, ma solo
parziale.
In base a ciò è errato presupporre una realtà determinata, sia l’Io o l’oggetto.
Sia il realismo dogmatico (dalla cosa si deduce la sostanza) che l’idealismo
dogmatico (dalla sostanza si deduce la cosa) non tengono presente il
momento centrale della sintesi che è l’unità dei due momenti (unità come
processo indefinito di avvicinamento). L’oggetto particolare è l’unità delle
funzioni del sapere, ma questo si esercita e realizza mediante l’oggetto. Non
occorre attribuire alla coscienza tutta la realtà e considerare l’oggetto come
una sua funzione, né viceversa attribuire all’oggetto tutta la realtà, ciò che
importa è la posizione e l’opposizione, l’agire e il patire, ovvero le categorie
della determinabilità reciproca. Soltanto quando questo rapporto è
considerato sotto le categorie di causa e sostanza, la relazione si sbilancia a
favore dell’uno o l’altro termine. Se attribuiamo realtà al Non-io, come ad un
ché di indipendente, allora il Non-io sarà causa del patire dell’Io, come
sostanza. Se invece muoviamo dall’Io come sostanza, allora ciò che prima
era considerato come il risultato di un’azione estranea e indipendente, diviene
autolimitazione dell’Io, per la quale tra patire e agire non c’è differenza
qualitativa, ma quantitativa (il patire è un attività diminuita). Le due concezioni
sono però omogenee, in quanto avendo assolutizzato uno dei due termini non
riescono a spiegare l’altro nella sua diversità e nel suo opporsi e finiscono
coll’annientarlo.
Per l’idealismo critico trascendentale l’opposizione non si risolve rimanendo
nell’attività teoretica, innalzandosi praticamente al di sopra delle barriere e
riconoscendo nelle barriere l’espressione di un compito morale. Il non-io è lo
strumento della realizzazione dell’io che si fa libero attraverso la sua attività.
La ragion pratica è l’imperativo categorico della ragion pura, l’attività teoretica
è un dovere comandato dalla legge morale. L’Io è infinito in quanto raccoglie
in sé il finito, ma tale attività è un continuo sforzo (streben) che non si
conclude mai. L’io è libero perché si fa libero; è libero in quanto non è posto e
tuttavia deve opporre a se qualcosa per realizzarsi.
CHIARIFICAZIONI:
– I tre principi non vanno interpretati in ordine cronologico, ma logico. L’io
presuppone il non-io. L’io presuppone un Non-Io in modo tale da esistere
concretamente di fronte ad esso con un io finito. la Natura non è una realtà
autonoma, ma qualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della
vita dell’Io, in relazione all’io e e dentro l’Io.
– L’io è finito (perché limitato dal non-Io) e infinito (perché lo ricomprende
entro sé).
-L’io infinito più che sostanza è allora la meta ideale, una missione dell’io
finito, sforzo infinito verso la libertà, lotta inesauribile contro il limite, contro la
natura esterna (la cosa) ed interna (gli istinti irrazionali e l’egoismo).
– lo streben è la tensione inesauribile dell’Io, che se davvero riuscisse a
fagocitare i suoi ostacoli smetterebbe di esistere.
– la deduzione delle categorie avviene dai tre principio
AFF., NEG,,LIMIT. (categorie della qualità, che corrispondono ai tre momenti
dell’Io
UNITA’, PLURALITA’ TOTALTA’, categorie della quantità, che corrispondono
alla caratteristica di divisibilità, indivisibilità
– L’IO come SOSTANZA, il non-Io come CAUSA, l’Io determinato come
EFFETTO
LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA:
LA DOTTRINA MORALE:
Dall’azione reciproca dell’Io sul non-Io nasce la conoscenza.
Perché il non-Io pure essendo un effetto dell’Io appare alla coscienza come
un qualcosa di sussistente per sé? Come si spiega che l’Io è causa di una
realtà di cui non ha esplicita coscienza? E se essa non ha realtà autonoma
cosa la distingue da un sogno?
– L’immagine produttiva che per Kant era l’attività con la quale l’intelletto
schematizza il tempo secondo le categorie, fornendo le condizioni formali
dell’esperienza in Fichte produce i materiali stessi della conoscenza.
– Il Non- Io pur essendo un prodotto dell’Io non è una parvenza ingannatrice,
ma una realtà di fronte cui si trova ogni Io-empirico, il processo di conoscenza
è percià un processo di interiorizzazione del Non-Io.
– La centralità della libertà, come concetto pratico, esercizio della libera
volontà, rende l’idealismo di Fichte un idealismo etico. L’io si deve realizzare
come libera attività infinita, e dunque risolvendo in sé ogni realtà.
Nell’atto del pensare, l’unità tra materia (dato sensibile) e forma (strutture
trascendentali) non si realizza mai. Nel tentativo di penetrare la materia
strutturandola secondo rapporti formali, la riflessione, infatti, si vede rinviare
ad un processo infinito, in base al quale raggiunto un risultato è spinta ad
andare avanti. Ma proprio in questa irrequietezza, che non s’arresta in
nessuno dei suoi risultati, consiste l’essenza del pensiero e la sua funzione.
Per Fichte, cnonostante il dato e il pensato non con-giungeranno mai, tale
congiungimento è sempre ricercato e che esso la ragion d’essere del pensare
stesso, l’essenza della sua libertà (e la libertà è ciò che distingue l’io dalle
cose). Fichte sostituisce con queste considerazioni l’Io della ragion pratica a
quello della ragion pura, determinandolo principalmente come libertà di fronte
alla propria interna legge morale. E’ l’Io che infatti impone a se stesso
l’esigenza di comprendere in sé ogni realtà, che pone vale a dire la libertà non
come un suo attributo, ma come un dovere, ovvero come un esercizio o una
condotta morale. La libertà è per questa ragione un’aspirazione all’infinità,
all’identità tra il proprio essere e l’essere delle cose e tale aspirazione
conduce l’Io all’oggetto (conoscere è infatti un appetire l’oggetto, un renderlo
simile al soggetto). Nell’unità di sapere e dovere, o meglio nel primato del
dovere (come libero esercizio della libertà) quale ragione e motivazione al
sapere si esprime l’essenza della libertà: la legge morale ordina alla ragione
di penetrare con le proprie leggi la sfera dell’empirico.
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Se la conoscenza presuppone, ma non spiega il perché di un Io che ha
di fronte a sé un non-io finito, perché l’Io pone il non-io realizzandosi
come io conoscente finito?
Il motivo è di natura pratica: “agiamo perché conosciamo, ma conosciamo
perché agiamo”. L’io pratico è la ragion d’essere dell’Io teoretico (idealismo
etico). Noi esistiamo in quanto agiamo e il mondo esiste soltanto come teatro
delle nostre azioni.
Agire significa imporre al non-Io la legge dell’Io, ossia forgiare noi stessi e il
mondo alla luce di liberi progetti razionali. L’agire assume la forma del puro
dovere, rappresenta l’imperativo del trionfo dello Spirito sulla materia,
mediante la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione e alla plasmazione
della realtà esterna secondo il nostro volere: Per realizzare se stesso l’Io
(libertà) deve agiree agire moralmente, secondo il proprio dovere. Nella sua
azione egli non potrebbe essere libera se essa non incontrasse una quale
resistenza, un’opposizione al proprio dovere, un ché di negativo.
Solo mediante il posizionamento del Non-Io, l’Io si realizza quale attività
morale.
Tale realizzazione è però un tentativo di superare il limite (l’ostacolo è la
materia, l’impulso sensibile), tramite il quale L’Io mira a farsi “infinito” come
suo dovere.
– la realizzazione di tale fine non è individuale ma collettiva e il dotto ha il
compito di MAESTRO ed EDUCATORE del genere umano.
L’ESPOSIZIONE DEL 1802-1802: L’ASSOLUTO
– Il sapere che si analizza scopre il proprio fondamento, cui è però
impossibilitato ad accedere in quanto esso rappresenta un non- sapere.
Questo fondamento è chiamato assoluto e rappresenta l’origine (non
l’oggetto) del sapere. Esso è principio di ogni essere e sapere, soggetto e
oggetto., unità anteriore ad ogni scissione (risulta dunque un tamponamento
del versante soggettivo e un’accentuazione del momento oggettivo o naturale:
Idealismo della ragione a-soggettivo).
– Il sapere è manifestazione dell’essere, non è un prodotto dell’individuo, ma
gli individui ne hanno in qualche misura accesso. All’interno del sapere e
mediante esso resta dunque un’eccedenza d’essere rispetto al sapere.
– L’assoluto è Dio come libertà che deve particolarizzarsi nel mondo. Il sapere
pur dovendo raccogliere il mondo in forma oggettivata (un immagine infedele),
serve a raccogliere il molteplice delle sue particolarizzazioni e fra in modo che
esso acquisisca il tratto della razionalità.
L’ESPOSIZIONE DEL 1804:
L’assoluto non è comprensibile esso è piuttosto un non sapere e può essere
approssimato solo per via negativa, ovvero, definendo l’ambito del sapere e
rimandando ciò che sta al di là di là di questo sapere.
La conoscenza dell’assoluto è una radicalizzazione del sapere che giunge a
negare se stesso, le cui caratteristiche vengono concepite come la semplice
differenza.
Il mondo sensibile è fenomeno, manifestazione dell’assoluto che nell’atto in
cui si manifesta ne fa risaltare l’assenza e l’assoluta irriducibilità rispetto alla
semplice manifestazione. Il fenomeno tuttavia rimane sempre un che di
essenziale in quanto la fenomenizzazione dell’assoluto è necessaria alla sua
realizzazione. Il sapere è il razionale dispiegarsi della totalità e comprensibilità
la dottrina non esibisce nella luce del sapere l’autodispiegamento
dell’assoluto, ma la sua ricostruzione (e ciò preserva la differenza tra l’Io e
l’Assoluto).
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Si certo :). Ovviamente ha un gusto molto particolare sia per l'impasto che pe ril condimento....
Ma veramente buon… https://t.co/RWmFzUMAG7 giugno 1, 2017 8:20 pm
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