Skip to primary navigation Skip to content Skip to footer IL BARATTOLO DELLE IDEE LA FILOSOFIA PER TUTTI header-right Main navigation o o o o o o Filosofia Gli spilli Filosofia Pre-socratica Filosofia antica Filosofia medievale Filosofia moderna Filosofia post hegeliana Appunti traduzioni Claudia Rademacher Arte In cucina Ai fornelli il lievito Il pane pizza Poesie Rime e congiuntivi A corpo libero Dall’amore All’amore Rabbia e colpa Ricomporsi Disegni A Francoforte Primi disegni Ritorno A colori I parte A colori II parte A colori III parte o o o o o Il bianco Il nero Maxi Ultimi lavori Il diario Relazione Riflessioni Vecchi post Social plus+ Forum plus Libri, Film, Opere D’Arte Relazioni Pensieri Presentati Login Chi sono OTTOBRE 19, 2016 BY IL BARATTOLO DELLE IDEE LEAVE A COMMENT Fichte Tweet DAL CRITICISMO ALL’IDEALISMO: 1) La cosa in sé 2) dualismo fenomeno noumeno 3) dualismo forma materia 4) rapporto tra apriori e aposteriori Questi sono i temi che maggiormente vengono messi in luce all’indomani della pubblicazione delle critiche kantiane, da pensatori come Reinhold, Maimon ecc. e che finiranno con il culminare nell’idealismo (lo stesso Fichte inizia la sua elaborazione sulla scia di una rivisitazione del pensiero kantiano). Il problema principale è quello del rapporto tra fenomeno e noumeno, che nel sistema kantiano restava inconoscibile eppure necessariamente anticipato in ogni atto conoscitivo. L’operazione tentata, che poi culminerà con l’idealismo è quella di introiettare il noumeno all’interno della conoscenza, che è poi un superare la dicotomia tra sapere e realtà. Contestualmente, ad influenzare il pensiero filosofico di quegli anni sarà il romanticismo, per cui a ragione è possibile sostenere che l’idealismo è una filosofia romantica, mentre di fatto non tutto il pensiero romantico è ascrivibile sotto la categoria di idealismo. PREMESSE: – L’io è considerato principio formale e materiale della conoscenza, la sua attività determina il pensiero della realtà oggettiva, ma anche la realtà stessa nel suo contenuto materiale. Mentre la deduzione di Kant è trascendentale nel senso che giustifica la validità di condizioni soggettive, per Fichte la deduzione è assoluta o metafisica, in quanto dall’Io stesso non deduce soltanto le condizioni soggettive, ma anche la realtà dell’oggetto stesso. In Kant la deduzione mette capo al rapporto tra l’io come pura appercezione e l’oggetto fenomenico, per Fichte invece è il principio assoluto che pone il soggetto e l’oggetto fenomenici in virtù, della sua attività creatrice (intuizione trascendentale). I PRINCIPI O MOMENTI DELLA DEDUZIONE: – Il problema generale è quello della ricerca di un principio, che deve essere incondizionato e attivo. Esso non può essere infatti una cosa, in quanto la cosa è sempre in virtù dell’atto che la pone e non può neanche essere finito, in quanto se così fosse apparirebbe limitato e determinato da qualcos’altro. Il principio deve perciò essere un atto incondizionato che si pone da sé. Questo principio è l’autocoscienza l’Io che pensa se stesso o qualcosa fuori da sé. Il processo di autodeterminazione è infatti correlato al processo di determinazione della cosa. Tale movimento per Fichte è espressione della libera attività dell’Io che nel porsi, oppone a se un Non-io, determinando in tal modo un limite interno, che finitizza tanto l’Io, quanto il Non-io. Nell’atto conoscitivo l’io pone se stesso in quanto cosciente di sé, esce fuori di sé per cogliere l’oggetto e poi lo riporta alla coscienza. La realtà della cosa, infatti, senza la consapevolezza di un Io che la percepisce è nulla: su tali basi poggia l’idealismo (mentre per il criticismo il noumeno aveva realtà separata dalla coscienza, che anzi è impossibilitata a conoscerlo). Possiamo dire che qualcosa esiste soltanto rapportandolo alla nostra coscienza, ovvero, se esso è per-noi. A sua volta la coscienza è tale solo in quanto è coscienza di sé medesima ovvero autocoscienza. l’essere-per-noi (dell’oggetto) è possibile soltanto sotto la condizione della coscienza e questa solo sotto la condizione dell’autocoscienza.: la coscienza è il fondamento dell’essere, l’autocoscienza il fondamento della coscienza. – Nella dottrina della scienza l’intenzione è quella di passare dall’idea di una conoscenza come amore per il sapere, ad una scienza che rappresenti questo stesso sapere assoluto e perfetto. Per fare ciò occorre trovare un principio di validità che si fondi sul principio stesso. In essa saranno dunque contenuti i principi per fare scienza e non contenuti nuovi, viene perciò gettata una nuova luce che mostra i processi e le strutture attraverso cui si sono creati i contenuti: “E’ soltanto il sapere universale pervenuto al sapere di sé medesimo, alla consapevolezza e al dominio di sé“. – L’intuizione intellettuale è il principio del sapere e benché di ciò sia consapevole solo il filosofo essa è presente in tutti gli atti della conoscenza (come l’appercezione kantiana). Essa è il principio del sapere la coscienza, come coscienza di qualcosa. Mentre la coscienza si rivolge ad un oggetto essa è altresì coscienza di sé, l raggiungimento di tale consapevolezza (del concepire sé dietro la concezione dell’oggetto) è il compito della filosofia, la quale avvia un metodo costruttivo e genetico. La genesi non è quella dell’essere, ma quella della coscienza del sapere dell’essere (senza la quale l’essere stesso non sarebbe alcunché di determinato, ovvero non avrebbe esistenza oggettiva): Il sapere concreto si presenta come unità, totalità di elementi, non distinguibile. Bisogna allora analizzare, ovvero scomporre questa totalità nelle condizioni necessarie in modo da vederla risorgere di fronte alla coscienza proprio a partire dalle condizioni secondo cui è stata scomposta. Lungo questo percorso emergeranno i momenti formali nel loro significato costitutivo, il riconoscimento di tali elementi non come singole percezioni ma come atto che abbraccia tutt’assieme la totalità delle percezioni possibili è l’intuizione intellettuale. IL PRINCIPIO DI IDENTITA’ : L’io puro indica la legge unitaria e formale della ragione. La filosofia deve dunque muovere dal principio di identità A=A. Tale principio che sin dai tempi di Aristotele era stato posto a fondamento di ogni filosofia per Fichte non è affatto il principio primo, ma presuppone l’esistenza dell’Io che lo pone: Se A è dato deve essere formalmente identico a se stesso. Il principio che sin dai tempi di Aristotele non necessita di alcuna ulteriore giustificazione assume tuttavia per via ipotetica l’esistenza di A, e la sua validità dipende da tale assunzione. Esso non può dunque costituire il principio primo della scienza. E’ infatti l’Io che pone l’esistenza di A, che senza l’identità dell’Io sono Io non si giustifica. Il rapporto di identità è dunque posto dall’Io nella misura in cui giudica se stesso, e in tale giudizio riconosce innanzitutto la propria esistenza. L’io non può porre il rapporto di identità se non pone prima se stesso, ovvero se non pone la sua esistenza: l’esistenza dell’Io ha dunque la stessa necessità del rapporto logico A=A, in quanto L’io non può affermare nulla senza affermare la sua esistenza (non è posto da altri ma si pone da sé). TALE AUTOCREAZIONE COSTITUISCE L’INTUIZIONE INTELLETTUALE CHE L’IO HA DI SE’ STESSO. L’essere dell’Io inoltre, essendo un atto e non un fatto, segue dal suo operare ed è il risultato della sua libertà: l’Io è TAT/HANDLUNG attività agente/prodotto della sua attività. Il principio di identità è il fatto da cui muovere per dedurre la necessità che un contenuto sia identico a se stesso . IL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE: L’Io oppone a sé il NON-IO, ovvero, il suo opposto (oggetto, mondo, realtà). Il mondo è dunque opposto all’Io come un opposizione interna, come un principio di determinazione che è opposizione e differenziazione. Il secondo principio non è deducibile dal primo, tuttavia questo fatto deve accadere affinché ci sia una coscienza. – Si oppone ad A un NON-A che si nega quale predicato di A. La loro opposizione è possibile solo in quanto i due termini sono pensati nell’Io e rientrano, pur opponendosi, nell’unità della coscienza che li ha posti entrambi. L’unità di A e Non-A è l’unità della diversità (pensa al logos eracliteo), questa unità del conoscere si costituisce in virtù della diversità, che dunque insieme all’unità è un carattere fondamentale della conoscenza. Se infatti il pensiero rimanesse nella forma dell’identità con se stesso non diventerebbe concreto sapere di qualcosa. L’oggetto per la coscienza esiste, infatti, soltanto quando viene identificato con determinazioni o predicati, e nel farlo gli oppone tutte le determinazioni contrarie (Omnia determinatio est negatio). Dato uno spazio (l’Io) infinito e perciò stesso indeterminabile, nel momento in cui si pone al suo interno un oggetto (l’Io stesso in quanto posto dall’identità Io sono Io), verrà internamente differenziato tra lo spazio occupato dall’oggetto e quello non occupato. Tale oggetto costituisce infatti un limite, che per un verso esclude tutte le altre modificazione di quel dato spazio (un triangolo non è un quadrato), per altro verso pone la differenza rispetto ha tutto ciò che è fuori da esso. Lo spazio che prima appariva indiscriminato è adesso distinto in un io e un non-io. In base al secondo principio non si può dare nessun oggetto di conoscenza fintanto che non si fissa un certo quid, attribuendogli particolari determinazioni e dunque distinguendolo da tutte le altre possibili determinazioni. L’io procede nella sua attività sulla base di questo movimento di posizione e opposizione che è poi il movimento della conoscenza stessa. L’intuizione intellettuale attraverso la quale il sapere si costruisce è legata all’identità e all’opposizione, all’affermazione e alla negazione. L’IO NELL’OPPORSI AL NON-IO SI TROVA LIMITATO DA ESSO: Il terzo principio pone la situazione concreta del mondo, quella da cui parte ogni sostanza individuale nell’atto di conoscere. Una molteplicità di Io finiti hanno di fronte a loro una molteplicità di oggetti altrettanto finiti. Avendo posto il Nonio, l’Io si è determinato rispetto ad esso e dunque limitato, differenziato e con ciò finitizzato. Esso adesso è un io divisibile (o empirico) esattamente come lo è il Non-io che viene a costituirsi di fronte a lui. – Il terzo principio della scienza rappresenta il momento della sintesi di ciò che era compreso nei momenti precedenti in forma di affermazione e opposizione, tesi e antitesi. Questo perché il sapere si attua e si realizza non soltanto pensando l’identità e l’opposizione, ma al contempo la determinabilità di un termine attraverso l’altro (ovvero la reciprocità e la co-originarietà della relazione). L’Io è determinato da ciò che determina, L’Io è ciò che è solo opponendosi a qualcos’altro da lui, l’io è posto dall’Io e poi è negato da ciò che è posto, ovvero dall’atto del suo stesso porre. Se l’uno negasse in modo assoluto l’altro, non sarebbe in realtà possibile neanche il posizionamento (L’Io nel porsi eliminerebbe la sua opposizione e tornerebbe allo stadio di iniziale indiscriminazione, ovvero a quello antecedente il suo posizionamento. Ma senza posizionarsi non sarebbe cosciente e dunque non sarebbe), ecco che allora la relazione reciproca tra i due termini non è assoluta, ma solo parziale. In base a ciò è errato presupporre una realtà determinata, sia l’Io o l’oggetto. Sia il realismo dogmatico (dalla cosa si deduce la sostanza) che l’idealismo dogmatico (dalla sostanza si deduce la cosa) non tengono presente il momento centrale della sintesi che è l’unità dei due momenti (unità come processo indefinito di avvicinamento). L’oggetto particolare è l’unità delle funzioni del sapere, ma questo si esercita e realizza mediante l’oggetto. Non occorre attribuire alla coscienza tutta la realtà e considerare l’oggetto come una sua funzione, né viceversa attribuire all’oggetto tutta la realtà, ciò che importa è la posizione e l’opposizione, l’agire e il patire, ovvero le categorie della determinabilità reciproca. Soltanto quando questo rapporto è considerato sotto le categorie di causa e sostanza, la relazione si sbilancia a favore dell’uno o l’altro termine. Se attribuiamo realtà al Non-io, come ad un ché di indipendente, allora il Non-io sarà causa del patire dell’Io, come sostanza. Se invece muoviamo dall’Io come sostanza, allora ciò che prima era considerato come il risultato di un’azione estranea e indipendente, diviene autolimitazione dell’Io, per la quale tra patire e agire non c’è differenza qualitativa, ma quantitativa (il patire è un attività diminuita). Le due concezioni sono però omogenee, in quanto avendo assolutizzato uno dei due termini non riescono a spiegare l’altro nella sua diversità e nel suo opporsi e finiscono coll’annientarlo. Per l’idealismo critico trascendentale l’opposizione non si risolve rimanendo nell’attività teoretica, innalzandosi praticamente al di sopra delle barriere e riconoscendo nelle barriere l’espressione di un compito morale. Il non-io è lo strumento della realizzazione dell’io che si fa libero attraverso la sua attività. La ragion pratica è l’imperativo categorico della ragion pura, l’attività teoretica è un dovere comandato dalla legge morale. L’Io è infinito in quanto raccoglie in sé il finito, ma tale attività è un continuo sforzo (streben) che non si conclude mai. L’io è libero perché si fa libero; è libero in quanto non è posto e tuttavia deve opporre a se qualcosa per realizzarsi. CHIARIFICAZIONI: – I tre principi non vanno interpretati in ordine cronologico, ma logico. L’io presuppone il non-io. L’io presuppone un Non-Io in modo tale da esistere concretamente di fronte ad esso con un io finito. la Natura non è una realtà autonoma, ma qualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della vita dell’Io, in relazione all’io e e dentro l’Io. – L’io è finito (perché limitato dal non-Io) e infinito (perché lo ricomprende entro sé). -L’io infinito più che sostanza è allora la meta ideale, una missione dell’io finito, sforzo infinito verso la libertà, lotta inesauribile contro il limite, contro la natura esterna (la cosa) ed interna (gli istinti irrazionali e l’egoismo). – lo streben è la tensione inesauribile dell’Io, che se davvero riuscisse a fagocitare i suoi ostacoli smetterebbe di esistere. – la deduzione delle categorie avviene dai tre principio AFF., NEG,,LIMIT. (categorie della qualità, che corrispondono ai tre momenti dell’Io UNITA’, PLURALITA’ TOTALTA’, categorie della quantità, che corrispondono alla caratteristica di divisibilità, indivisibilità – L’IO come SOSTANZA, il non-Io come CAUSA, l’Io determinato come EFFETTO LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA: LA DOTTRINA MORALE: Dall’azione reciproca dell’Io sul non-Io nasce la conoscenza. Perché il non-Io pure essendo un effetto dell’Io appare alla coscienza come un qualcosa di sussistente per sé? Come si spiega che l’Io è causa di una realtà di cui non ha esplicita coscienza? E se essa non ha realtà autonoma cosa la distingue da un sogno? – L’immagine produttiva che per Kant era l’attività con la quale l’intelletto schematizza il tempo secondo le categorie, fornendo le condizioni formali dell’esperienza in Fichte produce i materiali stessi della conoscenza. – Il Non- Io pur essendo un prodotto dell’Io non è una parvenza ingannatrice, ma una realtà di fronte cui si trova ogni Io-empirico, il processo di conoscenza è percià un processo di interiorizzazione del Non-Io. – La centralità della libertà, come concetto pratico, esercizio della libera volontà, rende l’idealismo di Fichte un idealismo etico. L’io si deve realizzare come libera attività infinita, e dunque risolvendo in sé ogni realtà. Nell’atto del pensare, l’unità tra materia (dato sensibile) e forma (strutture trascendentali) non si realizza mai. Nel tentativo di penetrare la materia strutturandola secondo rapporti formali, la riflessione, infatti, si vede rinviare ad un processo infinito, in base al quale raggiunto un risultato è spinta ad andare avanti. Ma proprio in questa irrequietezza, che non s’arresta in nessuno dei suoi risultati, consiste l’essenza del pensiero e la sua funzione. Per Fichte, cnonostante il dato e il pensato non con-giungeranno mai, tale congiungimento è sempre ricercato e che esso la ragion d’essere del pensare stesso, l’essenza della sua libertà (e la libertà è ciò che distingue l’io dalle cose). Fichte sostituisce con queste considerazioni l’Io della ragion pratica a quello della ragion pura, determinandolo principalmente come libertà di fronte alla propria interna legge morale. E’ l’Io che infatti impone a se stesso l’esigenza di comprendere in sé ogni realtà, che pone vale a dire la libertà non come un suo attributo, ma come un dovere, ovvero come un esercizio o una condotta morale. La libertà è per questa ragione un’aspirazione all’infinità, all’identità tra il proprio essere e l’essere delle cose e tale aspirazione conduce l’Io all’oggetto (conoscere è infatti un appetire l’oggetto, un renderlo simile al soggetto). Nell’unità di sapere e dovere, o meglio nel primato del dovere (come libero esercizio della libertà) quale ragione e motivazione al sapere si esprime l’essenza della libertà: la legge morale ordina alla ragione di penetrare con le proprie leggi la sfera dell’empirico. Se la conoscenza presuppone, ma non spiega il perché di un Io che ha di fronte a sé un non-io finito, perché l’Io pone il non-io realizzandosi come io conoscente finito? Il motivo è di natura pratica: “agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché agiamo”. L’io pratico è la ragion d’essere dell’Io teoretico (idealismo etico). Noi esistiamo in quanto agiamo e il mondo esiste soltanto come teatro delle nostre azioni. Agire significa imporre al non-Io la legge dell’Io, ossia forgiare noi stessi e il mondo alla luce di liberi progetti razionali. L’agire assume la forma del puro dovere, rappresenta l’imperativo del trionfo dello Spirito sulla materia, mediante la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione e alla plasmazione della realtà esterna secondo il nostro volere: Per realizzare se stesso l’Io (libertà) deve agiree agire moralmente, secondo il proprio dovere. Nella sua azione egli non potrebbe essere libera se essa non incontrasse una quale resistenza, un’opposizione al proprio dovere, un ché di negativo. Solo mediante il posizionamento del Non-Io, l’Io si realizza quale attività morale. Tale realizzazione è però un tentativo di superare il limite (l’ostacolo è la materia, l’impulso sensibile), tramite il quale L’Io mira a farsi “infinito” come suo dovere. – la realizzazione di tale fine non è individuale ma collettiva e il dotto ha il compito di MAESTRO ed EDUCATORE del genere umano. L’ESPOSIZIONE DEL 1802-1802: L’ASSOLUTO – Il sapere che si analizza scopre il proprio fondamento, cui è però impossibilitato ad accedere in quanto esso rappresenta un non- sapere. Questo fondamento è chiamato assoluto e rappresenta l’origine (non l’oggetto) del sapere. Esso è principio di ogni essere e sapere, soggetto e oggetto., unità anteriore ad ogni scissione (risulta dunque un tamponamento del versante soggettivo e un’accentuazione del momento oggettivo o naturale: Idealismo della ragione a-soggettivo). – Il sapere è manifestazione dell’essere, non è un prodotto dell’individuo, ma gli individui ne hanno in qualche misura accesso. All’interno del sapere e mediante esso resta dunque un’eccedenza d’essere rispetto al sapere. – L’assoluto è Dio come libertà che deve particolarizzarsi nel mondo. Il sapere pur dovendo raccogliere il mondo in forma oggettivata (un immagine infedele), serve a raccogliere il molteplice delle sue particolarizzazioni e fra in modo che esso acquisisca il tratto della razionalità. L’ESPOSIZIONE DEL 1804: L’assoluto non è comprensibile esso è piuttosto un non sapere e può essere approssimato solo per via negativa, ovvero, definendo l’ambito del sapere e rimandando ciò che sta al di là di là di questo sapere. La conoscenza dell’assoluto è una radicalizzazione del sapere che giunge a negare se stesso, le cui caratteristiche vengono concepite come la semplice differenza. Il mondo sensibile è fenomeno, manifestazione dell’assoluto che nell’atto in cui si manifesta ne fa risaltare l’assenza e l’assoluta irriducibilità rispetto alla semplice manifestazione. Il fenomeno tuttavia rimane sempre un che di essenziale in quanto la fenomenizzazione dell’assoluto è necessaria alla sua realizzazione. Il sapere è il razionale dispiegarsi della totalità e comprensibilità la dottrina non esibisce nella luce del sapere l’autodispiegamento dell’assoluto, ma la sua ricostruzione (e ciò preserva la differenza tra l’Io e l’Assoluto). More from my site Schelling: riassunto. L’identità di Spirito e Natura Kant: critica della ragion pratica Leibiniz Kant: critica della ragion pura Hegel: La fenomenologia Spinoza Condividi: Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra) Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra) Fai clic qui per condividere su Google+ (Si apre in una nuova finestra) Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra) Fai clic per condividere su WhatsApp (Si apre in una nuova finestra) Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra) FILED UNDER: FILOSOFIA MODERNA TAGGED WITH: FICHTE IDEALISMO TRASCENDENTALE IO NON-IO ASSOLUTO INTUIZIONE PURA Previous Post Next Post Pingback: Il malato terminale, vivere la morte – Il barattolo delle idee() I liked a @YouTube video https://t.co/udppbepvKA farina: come sceglierla | impastiamo | CasaSuperStar About 5 hours ago Footer Filosofia Appunti Gli spilli o Filosofia antica o Filosofia medievale o Filosofia moderna o Filosofia post hegeliana Percorsi Traduzioni o Claudia Rademacher Più letti Ludwig Wittgenstein: giochi linguistici e immagini del mondo Schelling: riassunto. 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