autismo e schizofrenia: nuove idee ed esperienze

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rivista della società italiana di psico - neuro - endocrino - immunologia diretta da Francesco Bottaccioli
PNEINEWS
I NUOVI SAPERI DELLA SCIENZA E DELLA SALUTE
AUTISMO E
SCHIZOFRENIA:
NUOVE IDEE
ED ESPERIENZE
Rivista bimestrale - n. 6 - anno VIII - Novembre Dicembre 2014
SOMM ARIO
www.sipnei.it
PNEINEWS - n° 6 Anno 2014
EDITORIALE
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SE SI VEDE L’INTERO
EMERGONO NUOVE IDEE
Francesco Bottaccioli
NUOVE IDEE SULLA SCHIZOFRENIA
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LA RADICE INTESTINALE DELLA SCHIZOFRENIA
Paola Emilia Cicerone
A colloquio con Emily Severance della Johns Hopkins University
Osservazioni antiche sul ruolo dell’infiammazione intestinale, generata anche da intolleranze e allergie al
cibo, sulla patogenesi delle malattie mentali gravi come la schizofrenia, trovano oggi conferme rilevanti
che aprono la strada a una nuova visione e a nuovi trattamenti della malattia psichiatrica per eccellenza.
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SCHIZOFRENIA. UNA MALATTIA POLIEDRICA
DELLA PERSONA INTERA
Gli scarsi risultati della terapia farmacologica, orientata dalla vetusta teoria della schizofrenia come
disordine recettoriale della dopamina, spingono a battere nuove strade per la comprensione
di un fenomeno patologico multifattoriale, eterogeneo e fluttuante.
Francesco Bottaccioli
DOSSIER STAMINALI
PNEINEWS. Rivista bimestrale della Società Italiana di
Psiconeuroendocrinoimmunologia.
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OLTRE LA RIGENERAZIONE TISSUTALE
Le funzioni immuno-modulanti delle cellule staminali neurali nelle patologie neuroinfiammatorie
Direttore Responsabile
Francesco Bottaccioli - [email protected]
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AUTISMO: LE NUOVE FRONTIERE Le diagnosi di disturbi dello spettro autistico sono in forte crescita a livello internazionale.
Ad oggi non ci sono trattamenti farmacologici efficaci, mentre si stanno prospettando approcci
integrati che prevedono diete speciali, l’integrazione sensoriale e la terapia comportamentale.
Uno studio pilota mostra anche la via del trapianto di cellule staminali.
Hanno collaborato a questo numero
Nicola Antonucci, Francesco Bicci,
Francesco Bottaccioli, Paola Emilia Cicerone,
Stefano Pluchino, Dario Siniscalco, Giulio Volpe
Giulio Volpe, Iacopo Bicci e Stefano Pluchino
Dario Siniscalco, Nicola Antonucci
SIPNEI LIGURIA
Il cervello della pancia
Intestino, emozioni, cibo, salute
Sabato 28 febbraio 2015
Starhotel President, Corte Lambruschini, Genova
Relatori: Bottaccioli, Guerci, Massone,
Lozio, Lanaro, Valente, Filippeschi, Barabino
[email protected]
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2
Illustrazione di copertina
Margherita Allegri - www.margheallegri.com
Impaginazione e grafica
Argento e China - www.argentoechina.it
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Autorizzazione del Tribunale Bologna n° 8038 del 11/02/2010
Redazione
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PNEI NEWS | n. 6 Novembre Dicembre 2014
EDITORIALE
Se si vede l’intero
emergono nuove idee
Francesco Bottaccioli – Fondatore e Presidente on. SIPNEI
S
ull’ultimo numero dell’anno di Science viene riportato
il discorso con cui Philip Sharp, professore di biologia al
Massachusetts Institute of Technology (MIT), conclude il
mandato di Presidente dell’American Association for the
Advancement of Science1. Il centro del suo ragionamento è che
il livello delle sfide che deve affrontare la specie umana in rapida
crescita, sia come numero di abitanti del Pianeta (9 miliardi) sia
come livello dei consumi (con l’ingresso nel mercato globale
di centinaia di milioni di consumatori cinesi e indiani), è
talmente elevato che richiede un salto nella integrazione delle
conoscenze scientifiche. Occorre, dice Sharp, una convergenza
tra scienze della vita, scienze sociali e scienze fisiche. Solo
questa convergenza, afferma lo scienziato, potrà accelerare
l’innovazione di cui abbiamo vitale e urgente bisogno. Per
innovare occorre quindi integrare le conoscenze, rompere le
paratie stagno che separano le scienze, strutturare una costante
fertilizzazione reciproca. Ormai, l’integrazione delle conoscenze,
come necessità vitale per la specie umana, sembra essere
diventato un ideale scientifico assodato, che campeggia sulle
bandiere delle più importanti istituzioni scientifiche del mondo.
In realtà, non è proprio così. Intanto perché sotto un ideale
scientifico nuovo si celano vecchie e screditate idee, come la
ricerca di tecnologia per produrre cibo in grande quantità
(magari OGM), senza mettere in discussione il livello, la
gerarchia e le caratteristiche dei consumi occidentali, la struttura
produttiva e sociale su cui poggiano, che stiamo esportando nel
resto del mondo. E poi perché i nuovi teorici dell’integrazione
non criticano i presupposti epistemologici, di mercato e
organizzativi su cui si fonda la storica separazione tra le scienze.
È per questo che nelle loro mani l’integrazione delle scienze è
purtroppo destinata al fallimento. E con essa l’innovazione.
Dalle più recenti ricerche nel campo delle malattie psichiatriche
gravi, di cui ci occupiamo in questo numero, abbiamo esempi
di come una visione unitaria possa produrre nuove idee e
sostenere nuove pratiche di cura, anche altamente innovative.
PNEI NEWS | n. 6 Novembre Dicembre 2014
La schizofrenia, dalle sue prime teorizzazioni, più di cento anni or
sono, fino ad oggi, è considerata una inspiegabile e scarsamente
curabile malattia del cervello. Lo stesso dicasi per i più recenti
Disturbi dello spettro autistico. La società è passata dal trattare
queste persone come pericoli da cui proteggersi, chiudendoli
in istituzioni totali, ad una tolleranza mal digerita, garantita
da trattamenti psicofarmacologici a vita e dal sacrificio delle
famiglie. La psichiatria, in tutte le sue poliedriche manifestazioni
novecentesche (dalla psicanalisi alla psicoterapia cognitiva fino
alla psicofarmacologia e all’uso di tecnologie invasive), ha visto
solo la mente del paziente . E l’ha trovata deficitaria, sconnessa,
delirante. Non si è posta il problema di vedere questa mente
incardinata nel vissuto psichico e nell’organismo intero. Adesso,
la ricerca inizia a studiare le relazioni tra alimentazione, stato
dell’intestino, livello di infiammazione periferica, disordini
immunitari (in senso allergico e autoimmune), stress, trauma e
stato della mente. Si scoprono connessioni di grande interesse,
che aprono la strada ad interventi preventivi e terapeutici
davvero efficaci e lineari, gestibili con una rivoluzione delle idee
sui determinanti di salute più che con uno spettacolare salto
tecnologico, che però non può essere trascurato.
Come documenta il nostro Dossier, dedicato all’uso delle
cellule staminali nelle patologie neurologiche e psichiatriche
gravi, la strada dell’uso dei precursori neurali è ancora lunga
e irta di trabocchetti e ostacoli da superare, con grande
serietà e senza improvvisazioni, ma è una strada percorribile
che, integrata alle cure dei determinanti fondamentali della
salute (alimentazione, attività fisica, gestione dello stress e
dei conflitti emozionali, parsimonia e oculatezza nell’uso dei
farmaci), può contribuire a segnare una svolta decisiva nella
cura dei disturbi psichiatrici gravi, di cui continueremo ad
occuparci anche nei prossimi numeri.
1. Sharp P.A. (2014) Meeting global challenges: discovery and innovation through
convergence, Science 346: 1468-1471
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INTERVISTA
Nuove idee sui disturbi psichiatrici gravi
La radice intestinale
della schizofrenia
A colloquio con Emily Severance della Johns Hopkins University
Paola Emilia Cicerone - Giornalista scientifica
Osservazioni antiche sul ruolo dell’infiammazione intestinale, generata anche da intolleranze e allergie al cibo,
sulla patogenesi delle malattie mentali gravi come la schizofrenia, trovano oggi conferme rilevanti che aprono la
strada a una nuova visione e a nuovi trattamenti della malattia psichiatrica per eccellenza.
S
e l’approccio alle malattie mentali sta cambiando, è
anche merito di ricercatori come Emily Severance
della Johns Hopkins School of Medicine. Se fino a qualche
anno fa l’unica strategia terapeutica possibile per trattare la
schizofrenia sembrava quella di farmaci, non sempre efficaci e
dagli effetti collaterali pesanti, ora si sta cominciando a seguire
altre strade. E a valutare gli effetti sulle malattie dell’ambiente,
della dieta o di altri elementi come lo stress. Con prospettive
importanti per la terapia e per la prevenzione. In prima linea
in questo tipo di ricerche c’è proprio Severance, autrice di studi
importanti sulla relazione tra le malattie mentali e l’intestino,
o meglio l’infiammazione causata da cibi o agenti patogeni Tra
cui uno recentissimo che evidenzia una maggior presenza di
anticorpi contro le proteine del latte nel fluido cerebrospinale
di soggetti al primo episodio di schizofrenia. L’abbiamo
intervistata, per farci raccontare il suo percorso di ricerca.
«Credo si possa dire che esiste un sottoinsieme di persone
affette da malattie mentali come la schizofrenia o l’autismo,
la cui condizione è causata o influenzata da problemi legati
all’apparato digerente», spiega Severance . «Sappiamo già
che i farmaci utilizzati per trattare le malattie psichiatriche
possono causare problemi gastrointestinali, ma ci sono anche
conferme del fatto che questi disturbi non sono legati al
trattamento, ma sono una caratteristica della patologia. Nel
corso degli ultimi anni, ho cercato di mettere in relazione vari
fattori di rischio per la schizofrenia con un’origine comune
nel tratto gastrointestinale, e di individuare un collegamento
coerente dal punto di vista biologico tra questi processi e il
cervello».
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…Collegamento intestino cervello sul quale oggi
abbiamo idee più chiare
L’idea generale è che l‘ infiammazione renda l’intestino
permeabile a varie sostanze, tra cui alimenti digeriti e
alterazioni della flora intestinale. Partendo da questo
presupposto, si possono ipotizzare almeno due scenari,
che però non sono ancora stati pienamente dimostrati.
E’ possibile che le sostanze generate dagli alimenti o dal
microbiota - l’insieme degli organismi che popolano
il nostro apparato digerente- attraversino la barriera
gastrointestinale per entrare nel sangue e da qui arrivino
al cervello, influenzandone il funzionamento. Oppure che
queste sostanze, entrando in contatto col sangue, attivino
una risposta immunitaria generando molecole che, come
abbiamo scoperto recentemente, agiscono sul funzionamento
del cervello. In sintesi, quello che non sappiamo ancora è
se le alterazioni del funzionamento cerebrale siano causate
direttamente da alimenti e batteri, oppure dall’attivazione del
sistema immunitario dovuta alla loro presenza.
Ricerche di questo tipo rivoluzionano l’idea stessa di
malattia mentale. A che punto ci si è resi conto che
poteva valere la pena di seguire questa strada?
La relazione tra disturbi gastrointestinali e malattie mentali
è nota almeno dal diciannovesimo secolo, e forse anche da
prima. Un’accelerazione della ricerca, soprattutto per quanto
riguarda il ruolo del glutine, è legata agli studi realizzati da F.
Curtis Dohan negli anni 1960-1970. È stato Dohan a osservare
una correlazione diretta tra la disponibilità del frumento in
PNEI NEWS | n. 6 Novembre Dicembre 2014
tempo di guerra, e i ricoveri per schizofrenia, individuando
una riduzione dei sintomi della malattia legata all’eliminazione
del frumento dalla dieta. Ho cominciato a lavorare su questo
tipo di collegamento quando ci siamo resi conto che nei
pazienti con schizofrenia si evidenziava un’attivazione del
sistema immunitario da parte di elementi diversi, come virus
e parassiti, o anche una reazione autoimmune. Questo ci
ha spinto a cercare elementi che scatenassero una reazione
immunitaria nell’intestino.
E la sua storia personale? Com’è arrivata a occuparsi
di un settore tanto diverso da quello dei suoi primi
studi?
«Sono sempre stata attratta dalla biologia e nel corso degli
anni l’ho studiata in diverse forme, dalla zoologia alla
biologia marina alle neuroscienze, fino a individuare il mio
attuale settore di interesse. Le malattie di cui mi occupo
rappresentano una condanna crudele per molte persone, e uno
dei miei obiettivi è comprendere i processi fisiologici alla base
di queste patologie, per arrivare a trattamenti personalizzati.
Ma perché questo sia possibile, c’è ancora molto lavoro da
fare, per sviluppare marker in grado di migliorare la diagnosi
e caratterizzare il tipo di risposta immunitaria di ciascun
individuo.
Insomma, non si parla più di malattie del cervello
ma di malattie che colpiscono l’intero organismo,
con la sua storia e le sue interazioni con l’ambiente…
In effetti, anche se il cervello c’entra molto, sono convinta
che una causa fondamentale della malattia mentale
possa trovarsi altrove. E che un riflesso delle alterazioni
biologiche che la causano - di origine genetica ma anche
ambientale - possa emergere anche da sistemi diversi,
come quello gastrointestinale.
si tratti unicamente di una malattia genetica, in altri sia
causata dall’ambiente, mentre per altri ancora si tratta di
una predisposizione genetica che li rende vulnerabili a fattori
ambientali. Per esempio, una mutazione in un gene collegato
al sistema immunitario potrebbe scatenare la malattia in chi è
esposto - magari in fase prenatale - a un antigene alimentare o
a un agente patogeno. L’epigenetica, in quanto tale, è un altro
modo di valutare le interazioni tra geni e ambiente.
Ci sono alcuni elementi ricorrenti nei suoi studi,
come le indagini sulla caseina e sul glutine ma anche
sul lievito.
Il glutine e la caseina sono fondamentali in questo processo,
per quanto ho già spiegato, ma anche perché potrebbero
rappresentare un’opportunità terapeutica: se un individuo
è intollerante a queste sostanze, escluderle dalla dieta
potrebbe ridurre sensibilmente i sintomi della malattia.
Sfortunatamente fino ad oggi gli studi fatti per testare questa
ipotesi hanno fornito risultati contraddittori, forse perché non
è facile identificare preventivamente i soggetti che potrebbero
trarne beneficio. Non tutti i malati mentali soffrono di
intolleranze alimentari, ed è importante individuarli anche
perché eliminare dalla dieta alimenti come questi, ricchi di
proteine e altri importanti nutrienti, rappresenta comunque
un rischio.
E per quanto riguarda il lievito? Generalmente i
probiotici sono considerati un alimento salutare.
E’ vero che il Saccaromyces cerevisiae è incluso in molti
probiotici, e in genere può essere considerato benefico, ma
Quale ruolo gioca l’epigenetica in questo modello?
E’ il fatto che non sia stato possibile individuare una
precisa origine genetica della schizofrenia a spostare
l’attenzione su altri fattori?
Comprendere il ruolo dei fattori epigenetici potrebbe aiutarci
a capire perché sia così difficile individuare le basi genetiche
di una patologia che sembra avere una forte componente
ereditaria. La maggior parte dei ricercatori pensa che la
schizofrenia sia causata da una combinazione di fattori
genetici ed ereditari. E’ possibile che in alcuni soggetti
PNEI NEWS | n. 6 Novembre Dicembre 2014
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INTERVISTA
Nuove idee sui disturbi psichiatrici gravi
qualunque squilibrio della flora intestinale può causare
infiammazione. In particolare misurare gli anticorpi contro
il Saccaromyces, come abbiamo fatto nel nostro studio,
permette di misurare efficacemente la permeabilità intestinale:
è uno dei test usati pe diagnosticare le malattie infiammatorie
intestinali.
Possiamo dire che esiste un’affinità tra la barriera
gastrointestinale e la barriera ematoencefalica?
Si tratta di strutture molto simili dal punto di vista cellulare.
Di conseguenza, se esiste una disfunzione di questa barriera,
ad esempio di origine genetica, in combinazione con
una qualunque infezione sistemica, anche originata nell’
intestino, questo potrebbe agire sui difetti della barriera
ematoencefalica».
Per quanto riguarda l’infiammazione, dobbiamo
considerarla un sintomo, o un disturbo in quanto
tale?
E’ esattamente quello che stiamo cercando di capire.
Sappiamo però che quella associata alla schizofrenia non è una
risposta infiammatoria classica. Sembra invece che si tratti di
un’infiammazione moderata particolarmente evidente nelle
prime fasi della malattia.
In alcune delle sue ricerche lei ha studiato i possibili
collegamenti tra la schizofrenia e un parassita, il
Toxoplasma gondii. Può darci qualche dettaglio ?
Il T. gondii è un parassita che arriva all’interno del cervello
dove forma delle cisti. Vari studi su animali mostrano
alterazioni del comportamento in soggetti colpiti da questo
parassita, mentre sappiamo dalla ricerca clinica che nei malati
di schizofrenia la risposta immunitaria a questo parassita
è particolarmente elevata. Anche se finora, per quanto mi
risulti, l’esame post mortem dei cervelli dei malati non ha mai
permesso di individuare la presenza di cisti. Io però ritengo che
l’associazione tra il parassita e la malattia sia dovuta al fatto
che il T. gondii è fondamentalmente un parassita intestinale,
e che l’infezione causa un’infiammazione nelle aree colpite. E
questo, ancora una volta, potrebbe generare una permeabilità
dei tessuti e permettere a cibo e batteri di riversarsi nel sangue.
Esistono altri fattori che dobbiamo prendere in
considerazione, come lo stress?
Non c’è dubbio che lo stress alteri le condizioni del tratto
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gastrointestinale, generando infiammazione e favorendone
la permeabilità. Tra gli altri fattori ambientali che potrebbero
contribuire, vorrei ricordare le infezioni - batteriche, virali,
fungine o parassitarie- le tossine, gli inquinanti e i farmaci.
Alcune delle ricerche prendono in considerazione
altre patologie, come il disturbo bipolare o l’autismo.
E’ possibile che queste malattie possano avere
un’origine comune ?
È probabile che il disturbo che chiamiamo schizofrenia, così
come il disturbo bipolare o l’autismo, siano modi di definire
un range eterogeneo e più ampio di patologie e questo rende
molto più difficile individuarne le cause, fare diagnosi e
definire un trattamento.
E’ ancora presto per pensare tradurre questi studi
in opportunità terapeutiche, almeno per alcuni
pazienti?
Non credo che sia presto per considerare nuove terapie
e strategie di prevenzione, specialmente per soggetti che
possono essere identificati mediante uno screening che tenga
conto dei biomarker già disponibili. Ovviamente le terapie
dovranno essere rigorosamente testate. Penso che un obiettivo
importante ai fini della prevenzione possa essere quello di
monitorare infiammazione e attivazione immunitaria delle
future mamme durante la gravidanza.
DALLA BIOLOGIA MARINA
ALLE NEUROSCIENZE
Severance ha cominciato la
sua carriera come zoologa
marina, laureandosi nel 1993
all’Università del Maryland e
poi, mentre già lavorava come
ricercatrice presso strutture
private,
specializzandosi in
Biologia, con una tesi sui coralli
all’Università della Florida
del Sud dove ha cominciato
a occuparsi di farmacologia.
Dal 2004 è alla Johns Hopkins dove attualmente ricopre
l’incarico di Assistant Professor.
PNEI NEWS | n. 6 Novembre Dicembre 2014
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