Forze Armate La riforma strutturale delle Forze Armate: tra integrazione e specializzazione Generale Vincenzo Camporini Capo di Stato Maggiore della Difesa L’ approvazione della L. 25/97, nota anche come “Riforma dei Vertici della Difesa”, ha consentito di innestare nel tessuto istituzionale nazionale i principi ed i criteri necessari per poter adeguare rapidamente ed efficacemente lo Strumento Militare alle sfide che scaturiscono dagli attuali e futuri scenari operativi. Ciò è stato reso possibile dalla lungimiranza di personalità del mondo istituzionale nazionale che hanno saputo cogliere la tendenza dell’evoluzione geo-strategica in atto e hanno agito anticipando i tempi, anziché adottare una linea d’azione attendista che sarebbe stata deleteria per le sorti dello Strumento Militare nazionale. Tanta è la strada fatta, con risultati assai significativi: ne è evidenza la ricercata disponibilità nazionale a schierare nei più diversi teatri le nostre truppe e la qualità della leadership dei nostri quadri, unanimemente riconosciuta, qualche volta con un pizzico di invidia. Tuttavia, il processo di trasformazione iniziato rappresenta solo il punto di partenza di un percorso di ottimizzazione ad un tempo possibile ed ineludibile. Il “benchmark” è l’ambiente nel quale ci muoviamo, la cui trasformazione è non solo costante ma contraddistinta da parametri evolutivi spesso esponenziali. In tale contesto deve essere ricercata e attuata la massima interoperabilità con i Paesi NATO e UE, nella consapevolezza che il target capacitivo è dato dai livelli di minaccia e di rischio per il nostro Paese. Ciò non consente pause riflessive, poiché il rischio di perdere il vantaggio capacitivo è significativo: la natura conosce solo la legge della sopravvivenza del più adatto. Ma il cambiamento non è un valore di per sé e si deve basare da un lato, appunto sull’ambiente che cambia, dall’altro su presupposti concettuali che affondano le loro radici in presupposti concettuali a loro volta validati dai successi del presente. L’arte operativa nazionale Sino ad oggi, la trasformazione dello Strumento Militare nazionale è stata condotta basandosi sulla determinazione ostinata di capi lungimiranti che hanno saputo sconfiggere l’ostile immobilismo delle strutture, restie al cambiamento. Oggi lo scenario non muta: la resistenza al cambiamento è un vizio inestirpabile, contro cui bisogna battersi senza risparmio. E ciò nonostante sia convinzione formalmente condivisa che le mo- Intervento del Generale Vincenzo Camporini al Centro Alti Studi per la Difesa, in occasione del seminario “A 10 anni dalla riforma strutturale delle Forze Armate” 4 Informazioni della Difesa n. 2 - 2009 derne forme di combattimento richiedono un grado di integrazione maggiore rispetto ad un passato, dove la compartimentazione spinta delle tre “componenti” classiche degli strumenti militari (forze terrestri, marittime e aero-spaziali) era predominante, in ossequio al dogma che la specializzazione facesse premio sulla capacità di poter condurre operazioni Integrate (prevalenza del particolare sull’architettura generale). La problematica, pur affrontata con decisione sul finire degli anni ’70 da altri Stati quali la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, è rimasta nel nostro Paese, fino all’inizio degli anni ’90, nel limbo a causa della differente dimensione (di limitata portata) e della posizione strategica in cui l’Italia era immersa in quegli anni. A fronte di un pericolo immanente come quello derivante dalla minaccia dell’ex Patto di Varsavia, l’Italia dedicò tutte le sue risorse all’organizzazione del livello tattico, di esclusiva pertinenza nazionale, “delegando” alla multinazionalità dell’ambito NATO la soluzione delle problematiche di livello operativo e strategico-militare. Ciò ha provocato, di fatto, il “congelamento” del pensiero militare nazionale (e buona parte della cultura militare) per circa 50 anni. Non poteva essere diversamente e la difficoltà, oggi, a rigenerare un pensiero militare ne è stato uno degli effetti diretti, forse il più pesante. La L. 25/97, quindi, ha rappresentato il punto di cambiamento ed ha dovuto superare in “primis” una grossa carenza culturale nazionale; definendo un livello operativo, dove attraverso l’integrazione ragionata del quadro tattico in quello strategico si giungesse a pianificare e condurre la partecipazione nazionale alle campagne militari. clo di pianificazione, operativa o generale, la natura e la dimensione dei citati fattori determinati all’inizio del ciclo sarà, con molta probabilità diversa da quella risultante alla fine del ciclo stesso, costringendoci a riavviare la pianificazione. Tale problematica può essere superata solo se si accetta la “natura di sistema complesso” per lo strumento militare e si abbandona la pianificazione basata sulla scissione del problema in componenti “non complessi” e lineari. Lo strumento militare è, quindi, un sistema complesso di tipo aperto, soggetto agli elementi di influenza menzionati, che ne determinano la ripartizione in macroaree omogenee (ad es. le singole F.A.), la dimensione complessiva e anche l’articolazione interna delle singole F.A. A tal riguardo, basti pensare all’impatto dell’Irregular Warfare sulla tipica articolazione delle forze in combat, combat support e combat service support. Tale approccio, inoltre, ci porta a considerare il sistema complesso denominato “strumento militare” come non coincidente con la sommatoria delle singole F.A., ma composto anche da quegli elementi abilitanti Il sistema militare Quanto sopra, ci invita a fare un’altra riflessione particolarmente importante: “come soddisfare le carenze capacitive (che non sono solo l’acquisizione di nuove piattaforme) in un mondo in forte e rapida evoluzione, anche in termini di minaccia?” La soluzione, almeno in termini concettuali, possiamo trovarla attraverso lo studio dell’esatta natura dello strumento militare ed alla comprensione delle cause che portano a risultati insoddisfacenti. In passato, l’attenzione si è soffermata, in maniera istintiva, sulla sola componente operativa, vista peraltro come una sommatoria di capacità elementari, talvolta anche compartimentate, rispondenti ad una minaccia potenziale di tipo lineare (ad es. Patto di Varsavia). I fattori di influenza, quali quelli macroeconomici, tecnologici, industriali, geo-strategici e ovviamente militari si pensava fossero importanti, ma venivano al più considerati lo sfondo, che poteva in qualche modo condizionare gli esiti, ma in quanto fuori della possibilità di controllo, esulavano dalla sfera di interesse del livello militare. Oggi, che siamo più profondamente consapevoli della fondamentale importanza di tali fattori di influenza, questi si manifestano come estremamente In alto: volo di un Typhoon dell’Aeronautica Militare instabili e cambiano rapidamente nel tempo. In un ci- In basso: fase di una esercitazione della Marina Militare Informazioni della Difesa n. 2 - 2009 5 Il Gen. Camporini accompagna il Sottosegretario Cossiga in visita ai Teatri operativi del livello strategico militare e operativo che le F.A. in quanto immerse, prevalentemente, nel livello tattico di competenza, non percepiscono, correttamente aggiungo, come strettamente correlate alle loro competenze. Teoria per la costruzione operativa Per superare questo gap concettuale, è necessario elaborare una architettura teorica in grado di comprendere l’insieme delle esigenze di uno Strumento Militare moderno e non solo la sua componente operativa di F.A., che rimane senz’altro il “core business” delle F.A., ma insufficiente a garantire, di per sè, il successo nelle operazioni. Questa architettura che deve collocarsi al vertice concettuale della strategia militare, deve avere come scopo quello di: “definire le relazioni tra le altre discipline militari, tenendo conto delle minacce emergenti nei tre domini di riferimento, ovvero, fisico, cognitivo e morale. In tal senso deve poter fissare/delineare: - la teoria generale delle operazioni; - il sistema dell’apprendimento; - il sistema culturale; - il sistema di comando; - il sistema organizzativo e logistico; - il sistema di manovra”. I sistemi componenti Da quanto sin qui detto, emerge come l’architettura del sistema complesso ci ponga di fronte all’evidenza di superare, in senso evolutivo, l’attuale strutturazione delle Forze Armate. In particolare, possiamo dire che la “teoria generale delle operazioni” dovrà poter descrivere il concetto di impiego delle Forze Armate al fine di soddisfare gli scopi e i compiti definiti dalla politica militare e di sicurezza nazionale. Da essa discenderà tutto il quadro dottrinale nazionale futuro, in stretta aderenza agli impegni assunti anche in ambito multinazionale (NATO, EU e UN). 6 Informazioni della Difesa n. 2 - 2009 Per ciò che concerne i sistemi, possiamo così circoscriverli: - il sistema di apprendimento: “analizza e consente la formazione degli operatori a com prendere la strutturazione dell’apprendimento. Abilita, inoltre, allo sviluppo del pensiero militare in differenti contesti strategici”. Ci indica cioè come il sistema complesso reagisce agli errori. Questo sistema si avvale del ciclo delle lezioni apprese e identificate ai vari livelli; - il sistema culturale: “forma gli operatori a comprendere il valore della cultura e a ..esplorare le tendenze e i cambiamenti nella dimensione politica, strategica e di influenza delle tipologie di combattimento”. Indica come il sistema si educa. Assume un’importanza ancora maggiore che nel passato, poiché deve formare il personale ad operare in un sistema complesso e a fronteggiare con i corretti strumenti gli elementi di influenza esterni. La contestualizzazione strategica dell’operazione deve avvenire da parte di tutti, anche dei comandanti ai minori livelli ordinativi, altrimenti il confronto con le forze avverse è perso in partenza; - il sistema di comando: “forma e addestra gli operatori a progettare le organizzazioni militari deputate alla concettualizzazione dei problemi di apprendimento”. In tale settore, lo strumento militare nazionale deve sicuramente effettuare uno sforzo eccezionale, poiché la stasi “concettuale” che ha preceduto la Legge di Riforma dei Vertici ha portato a perdere le capacità di individuare e concettualizzare le problematiche capacitive delle Forze Armate. Non siamo gli unici ad avere o avere avuto questo problema che ha toccato finanche le F.A. statunitensi. Occorre però cercare di recuperare il tempo perduto sia in ragione della minaccia con cui dobbiamo confrontarci sia per le pesanti riduzioni del Bilancio per la Il Ministro La Russa e il Generale Camporini in visita al GIS Difesa che non ci consentono e non ci consentiranno scelte non sperimentate. (Il Centro Innovazione della Difesa, per esempio, rappresenta una prima risposta); - il sistema organizzativo e logistico: “forma e addestra gli operatori ad analizzare il potenziale delle strutture organizzative e la loro ottimizzazione”. La situazione generale mondiale e nazionale non lascia spazio a ridondanze non operative (o a sovrastrutture non “aderenti”). Le F.A. devono definire un sistema organizzativo e logistico agile, snello e senza inutili ridondanze. Ciò consentirà di salvaguardare al massimo il “core business” della Difesa e cioè il sistema operativo. Se non si troverà la lucidità di compiere un’analisi rigorosa sul sistema in argomento, trasmetteremo inefficienza alle future generazioni; - il sistema di manovra: “esplora le tipologie di combattimento, forma gli operatori a progettare delle forme di combattimento aderenti alla contestualizzazione strategica”. Attraverso la corretta strutturazione di tale sistema saremo in grado di affrontare con successo le nuove sfide. Anche in questo caso, si tratta di formare una nuova mentalità nei nostri quadri. Occorrerà stimolare in tal senso il processo formativo degli ufficiali superiori e dei generali. Carenze da colmare L’analisi sin qui condotta, ci spinge a dire che esistono dei campi ben definiti su cui poter incentrare l’azione evolutiva delle F.A. italiane. Lo sforzo da compiere è senz’altro rilevante ma non impossibile e ciò grazie all’azione intrapresa circa 12 anni orsono (L. 25/97). In particolare, occorre focalizzare l’attenzione su: - leadership a livello dirigenziale: la maggioranza dei quadri direttivi continua ancora a operare tatticamente a livello operativo. Sembra un gioco di parole ma non lo è. Gli Ufficiali vivono gran parte della loro carriera immersi nel livello tattico e in strutture di F.A.. Tale dimensione finisce per sembrare sufficiente alla soluzione dei problemi anche di livello operativo e strategico militare. Si commette, in tale modo, l’errore di pensare che “l’eccellenza tattica” possa supplire alla mancanza di un livello operativo. Così non è ! Dobbiamo migliorare la preparazione dei quadri in tal senso, cominciando dalla formazione militare superiore; - livello operativo nazionale: l’applicazione della L. 25/97 ha portato enormi progressi a livello strategicomilitare, conferendo autorità di comando e direzione al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Il livello operativo nazionale necessita ancora di interventi, poiché carente in larga parte di fattori abilitanti che consentano la corretta espressione dell’arte operativa. Ancora una volta rimaniamo troppo legati al livello tattico e alle sue capacità; - eccellenza tattica: è fondamentale per conseguire il successo nelle operazioni e va perseguita dalle F.A., in un ambito di corretto bilanciamento e contestualizzazione delle capacità. L’eccellenza tattica non deve essere posta in contrasto con le capacità del livello operativo. Servono entrambe. Solo la loro simultanea realizzazione ci garantisce di raggiungere gli obiettivi assegnati dal livello strategico; - sistema di approvvigionamento: l’evoluzione della minaccia ci impone di avere uno strumento agile e reattivo, che si sappia adattare rapidamente alle esigenze. Tale adattamento è chiaramente di carattere capacitivo ma non può prescindere da un nuovo approccio all’acquisizione delle capacità. In passato occorrevano dai Predator Esercitazione di elisbarco dell’Esercito Italiano Le Forze da sbarco della Marina Militare in azione Informazioni della Difesa n. 2 - 2009 7 15 ai 20 anni tra il lancio di un programma di ricerca e sviluppo e l’introduzione in servizio di una piattaforma da combattimento. Ora ciò non è più sostenibile. Rischieremmo di introdurre in servizio mezzi e velivoli tecnologicamente vetusti ancorché nuovi, condizionando pesantemente il raggiungimento del livello capacitivo richiesto. È necessario il ricorso a forme diverse di sviluppo e quindi di procurement; - continuo dialogo tra livello politico e militari (Sistema Paese): è un must! Senza dialogo non si riuscirà a trovare un corretto bilanciamento tra esigenze e risorse globali disponibili. Anche nei momenti più difficili per una Nazione occorre che questo dialogo rimanga aperto e fattivo, pena l’incomprensione delle esigenze dello strumento militare e, quindi, la sua perdita di efficacia. viene definito “interagency”. Le F.A., quindi, dovranno essere in grado, anche a livello operativo di teatro e locale (ovvero tattico), di operare in staff misti civili-militari, al fine di dare attuazione alle linee strategiche definite dalla nazione e dall’eventuale coalizione/ organizzazione multinazionale responsabile dell’intera operazione. In tale contesto è fondamentale che il personale militare conosca chiaramente in cosa consiste il supporto militare al comprehensive approach e alle operazioni di stabilizzazione. Si tratta, quindi, di una nuova frontiera dell’integrazione, in cui personale, appartenente ai cosiddetti instruments of national power, deve lavorare al fine del perseguimento degli stessi obiettivi strategici. In tale contesto, la specializzazione del personale militare non deriva più, quindi, dall’appartenenza a una F.A. piuttosto che a un’altra, ma dall’essere espressione della compagine militare piuttosto che di quella civile. La frontiera tra integrazione e specializzazione si apre di nuovo, verso nuove prospettive che sono ancora da esplorare nella loro interezza. Si torna comunque alla supremazia della strategia diretta, in contrapposizione a quella indiretta del periodo della Guerra Fredda, che in questa fase storica rappresenta sicuramente il “modo” preferenziale di espressione della Strategia di un Paese. In conclusione, possiamo certamente affermare che la strada intrapresa con la L. 25/97 si muove nel senso indicato dall’evoluzione dei tempi. L’essersi mossi in tempo con i principali Paesi Europei ci ha portato a non dover subire iniziative negative in campo militare ma, al contrario, ci ha consentito di muoverci in maniera pro-attiva nei maggiori contesti strategici mondiali. Molto è stato fatto, ma molto resta da fare, soprattutto in termini di evoluzione della mentalità operativa e del completamento delle capacità abilitanti del livello operativo e strategico. Tuttavia, le sfide nel medio-lungo termine verteranno soprattutto sulla nuova frontiera dell’integrazione (e quindi della specializzazione) che vede militari e civili formare degli staff integrati sino a livello locale. Si tratta sicuramente di una sfida che non possiamo non cogliere poiché ne va della nostra capacità di saper gestire attivamente e con successo le crisi e quindi di essere e restare rilevanti. n Sfide future Appare ora sufficientemente chiaro come trasformazione, che rammento essere un processo, continuo, di integrazione in senso interforze, e specializzazione di componente non siano affatto concetti tra loro in contrapposizione. L’integrazione non è, quindi, fine a se stessa ma deve essere attuata nella misura in cui serve a supportare il livello operativo nazionale, nella considerazione che le singole componenti (e quindi le F.A.) hanno la stessa dignità e importanza. In questo senso, la Difesa italiana ha finora avviato un iter virtuoso, cercando di identificare quelle capacità che pur risiedendo in una F.A. hanno comunque una valenza interforze e limitando la costituzione di organismi Joint a quelli indispensabili e pragmaticamente fattibili per l’attivazione di capacità di comando e controllo del livello strategico-militare e operativo. Si tratta ora di fare un ulteriore passo avanti, allo Attività di cooperazione civile - militare a Kabul scopo non solo di razionalizzare ancora più radicalmente lo strumento militare in quanto tale, ma anche di dare concretezza a un concetto che oggi, da intuizione con contorni sfumati, è diventato patrimonio dottrinario condiviso e cioè che la condotta di un conflitto o di una campagna militare fino alla sua completa risoluzione, prevedono sì un ruolo importante per lo strumento militare, ma in perfetto sincronismo con gli altri settori strategici nazionali, sotto la guida del livello politico, in quello che oggi viene definito comprehensive approach. La sfida futura, quindi, non è più quella di garantire l’integrazione in senso interforze (che deve essere considerata un dato di fatto), ma in senso interministeriale e interdipartimentale, in quello che in ambito internazionale 8 Informazioni della Difesa n. 2 - 2009