Luigi Mariani

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I PAESAGGI ATMOSFERICI CREMONESI
Luigi Mariani1
1. Introduzione
L'approccio climatologico classico all'analisi di un territorio individua le variabili meteo-climatiche
(radiazione solare, temperatura, precipitazioni, vento, copertura nuvolosa, ecc.) come una risorsa o come un
vincolo per le attività umane. In tal modo ci si colloca nella logica utilitaristica tipica del pensiero occidentale
e di cui troviamo consistenti tracce riferite ai fenomeni atmosferici nei Meteorologica di Aristotile, nelle
Naturales questiones di Seneca o nello stesso Vangelo di Luca.
Ciò che spesso sfugge è invece la dimensione paesaggistica dei fenomeni oggetto di indagine meteoclimatica, per cui un paesaggio perde gran parte del proprio significato qualora venga privato della
componente atmosferica.
Si tratta di una chiave di lettura originale, sulla quale emergono spezzoni in lavori più ampi come ad esempio
il testo di fisica dell'atmosfera di Dutton (1986) e su cui, in riferimento al territorio lombardo, è stato scritto
qualcosa negli anni passati (Mariani e Sturani, 1998).
Più che nella climatologia, l'ancoraggio culturale per questo tipo di riflessione va allora ricercato nella storia
dell'arte e nell'indagine della realtà portata avanti nei secoli dagli artisti, a partire da quel Giorgione che nella
Tempesta pone al centro della scena un cumulonembo colto nell'attimo dello scoccare di un fulmine, che
illumina di luce livida le quinte architettoniche classicheggianti ed i due personaggi allegorici (la zingara e lo
zerbinotto). Dal 1508 (anno in cui venne dipinta la Tempesta) si rivela in vari casi possibile interpretare in
chiave realistica le nubi proposte dagli artisti nelle loro opere, fatto questo in grado di aprire nuovi ed inediti
spazi di interdisciplinarietà.
Il territorio cremonese si colloca in vicinanza delle catene delle Alpi e degli Appennini, instancabili
produttori di nubi, spesso bellissime: dai cumuli imponenti agli altocumuli lenticolari alle diverse specie di
cirri.
Le nubi si classificano in generi e specie utilizzando un sistema internazionale di classificazione che risale al
1802 ed il cui creatore, Luke Howard, si ispirò alla classificazione binomia (genere e specie) del regno
animale e vegetale, messa a punto nel XVIII° secolo da Linneo. L’inglese Howard, chimico per professione
e meteorologo per passione, amava iniziare le sue conferenze divulgative con la frase «come pesci sul fondo
di un oceano siamo insensibili alla maggior parte di quanto passa sopra le nostre teste...» che ci conduce a
riflettere sul nostro spesso superficiale rapporto con l’atmosfera e i suoi fenomeni.
Il presente lavoro si fonda su una chiave di lettura «circolatoria» dei fenomeni atmosferici tipici del nostro
territorio. La ragione di ciò va ricercata nel fatto che il sistema climatico, responsabile dei fenomeni
atmosferici, ha come fine principale il riequilibrio termico fra equatore e poli. Tale riequilibrio viene operato
per l’80% tramite la circolazione atmosferica mentre il restante 20% compete agli oceani. Alla luce di tale
realtà, cercare di leggere i fenomeni atmosferici senza riferirsi direttamente alla circolazione è un pò come
provare a spiegare la fisiologia umana senza considerare la circolazione sanguigna. Questa considerazione
può apparire banale ma sfugge oggi a gran parte della comunità scientifica, afflitta da una visione
riduzionistica a base chimica (tanta CO2 tanta temperatura) che non rende certo onore alla complessità di un
sistema che conosciamo ancora in ridottissima misura.
Il lavoro si muove in un contesto interdisciplinare, mirando a redigere un inventario dei caratteri climatici del
territorio utilizzabili per una lettura in chiave paesaggistica. Tale attività viene riferita nello specifico ai
caratteri meteo-climatici e al paesaggio della provincia di Cremona.
In particolare il lavoro attinge a metodi propri dei seguenti ambiti disciplinari:
1.climatologia statica classica: utilizzata per collocare in un contesto globale il clima del territorio cremonese
(Mariani, 2002).
2.climatologia dinamica a macro e mesoscala (Mariani, 2002; Giuliacci, 1985).
3.meteorologia a mesoscala (Fea, 1988): l’analisi a mesoscala delle strutture meteorologiche viene utilizzata
1
Dipartimento di Produzione vegetale dell’Università degli Studi di Milano
per descrivere i fenomeni oggetto di analisi.
Si perviene così a un inventario dei fenomeni meteorologici del territorio cremonese, classificati in base al
tipo di circolazione che li determina ed evidenziando altresì le peculiarità e gli effetti sul paesaggio.
2. Clima e agricoltura: alle radici di un rapporto antico
La culla dell’agricoltura europea si colloca nella mezzaluna fertile - territorio compreso fra gli odierni Stati di
Israele, Siria, Turchia ed Iraq - e la sua nascita coincide con la domesticazione dei cereali, avvenuta circa
10.500 anni orsono (Salamini et al., 2002). Dal suo nucleo originario, tale rivoluzionaria tecnologia si diffuse
sia verso oriente sia verso occidente. Tuttavia verso oriente la diffusione fu rallentata dalle catene montuose e
dai deserti dell'altopiano iranico mentre a sud fu frenata dal deserto arabico. Prime terre di conquista per i
popoli di cerealicoltori furono così il Nord Africa e l'Europa, a partire dai Balcani e dalle fertili terre dell'Europa centrale.
La marcia dell’agricoltura dai siti d’origine verso occidente è riassunta in modo assai efficace dalla figura 1
(le date, espresse in anni da oggi, sono riferite a siti preistorici datati con carbonio 14). Da tale figura si può
ricavare che la velocità d’avanzata media fu di 500 km ogni 500 anni e cioè di 1 km l’anno.
È interessante osservare che se l’agricoltura in Europa ha potuto mantenersi fino ad oggi senza incorrere nella relativamente rapida decadenza che ha interessato invece la mezzaluna fertile ed il Nordafrica (aree oggi
minacciate dal deserto) il merito va soprattutto ad un clima che ha mantenuto immutati alcuni suoi tratti salienti, consentendo all’agricoltura stessa di superare tutte le crisi che nei secoli l’hanno travagliata.
In altri termini l’intenso sfruttamento agricolo del suolo in condizioni climatiche non ottimali si traduce in un
potente fattore d’innesco della desertificazione minando alla base la fertilità dei suoli; se ciò in Europa non ha
avuto modo di verificarsi per oltre cinque millenni il merito va in gran parte al clima europeo ed è per tale ragione che può essere interessante approfondire struttura e meccanismi caratteristici di un clima rivelatosi tanto benigno verso l’uomo.
Per comprendere il clima europeo occorre partire dalla constatazione che il clima è frutto del sistema climatico, sistema a cui partecipano l’atmosfera, gli oceani (ivi compresi i ghiacci oceanici) e le terre emerse (con le
aree forestali, i ghiacciai, i deserti, le aree coltivate, i corsi d’acqua e le falde) ed il cui scopo principale è
quello di garantire il riequilibrio energetico fra le diverse aree del pianeta. In tale riequilibrio è cruciale il ruolo della circolazione atmosferica ed oceanica, tanto da poter dire che impossibile capire la macchina del clima se non si adotta un “logica circolatoria” (sarebbe un po’ come se si pretendesse di capire la fisiologia umana senza considerare la circolazione sanguigna).
In particolare il riequilibrio energetico globale del pianeta è garantito per il 20% dalle correnti oceaniche e
per l’80% dalla circolazione atmosferica (Pinna, 1972). Può stupire che un fluido gassoso con una così ridotta capacità di contenere calore come l’atmosfera terrestre (tutta l’atmosfera ha una capacità termica inferiore
a quella di un metro di acqua marina) possa trasportare tanta energia. Il fenomeno si giustifica con il fatto che
l’atmosfera dispone di un eccezionale vettore d’energia, l’acqua, la quale passando da liquida a gassosa assorbe moltissima energia, liberandola nel processo inverso (la condensazione). Per inciso questo è uno dei
tantissimi ruoli chiave che l’acqua gioca nell’ecosistema.
L’atmosfera è un pellicola gassosa sottilissima che avvolge il pianeta, come consente di intuire la figura 2,
che mostra la stratosfera e gli strati atmosferici più bassi (di gran lunga i maggiori responsabili del riequilibrio energetico) ed in particolare la troposfera, sede delle nubi e dei fenomeni meteorologici.
Ma come funziona la circolazione atmosferica a livello globale? Per spiegarlo in modo semplice ma efficace
basta pensare ad una vaschetta piena d’acqua. Se si espone un lato della vaschetta ad una fonte di calore,
l’acqua inizierà a salire per ricadere dal lato opposto dando così luogo ad una struttura circolatoria, una cella
convettiva. A questo semplice modello si ispirò Hadley nel 17° secolo, ipotizzando la presenza di un’unica
grande cella convettiva innescata dal riscaldamento solare alle basse latitudini; secondo tale ipotesi l’aria risalirebbe all’equatore per ricadere ai poli. In natura tuttavia tale cella non è stabile perché la Terra ruota, dando
così origine alla cosiddetta forza deviante di Coriolis, per la cui azione la cella si spezza in tre celle.
Il moto dell’aria in tali tre celle dà luogo ad una zona a circa 30° di latitudine in cui l’aria scende, originando
una fascia di alte pressioni (gli anticicloni subtropicali, il cui rappresentante a noi più noto è l’anticiclone del-
le Azzorre) ed una zona a circa 60° di latitudine in cui l’aria sale dando luogo ad esempio alla fascia depressionaria che staziona a Nord della Gran Bretagna, nota ai meteorologi come ciclone d’Islanda.
Sempre per effetto della forza di Coriolis, l’aria ruota in senso orario intorno alle aree di alta pressione mentre intorno alle aree di bassa pressione la rotazione è antioraria. In virtù di ciò gli anticicloni subtropicali ed i
cicloni delle latitudini medio-alte agiscono come enormi ingranaggi che spingono le masse d’aria da ovest
verso est; si spiega così la genesi delle correnti occidentali (westerlies), il grande fiume d’aria che scorre alle
medie latitudini del pianeta e di cui tutti noi constatiamo la presenza quando le immagini dei satelliti meteorologici ci mostrano le perturbazioni muoversi dall’Atlantico verso l’Europa ed il Mediterraneo. Le grandi
correnti occidentali sono un sistema assai efficace per trasferire calore dall’equatore verso i due poli. Infatti
tali correnti sono instabili e tendono con facilità ad ondularsi, generando le perturbazioni (i sistemi frontali
con i fronti freddi e caldi) che agiscono trasferendo masse d’aria artica verso latitudini tropicali e masse
d’aria subtropicale verso i poli.
Con questi elementi siamo in grado di comprendere a grandi linee la circolazione a scala euro – mediterranea
(figura 3), la quale è strettamente legata a due grandi motori, l’anticiclone delle Azzorre ed il ciclone
d’Islanda.
Quando tali motori sono molto robusti agiscono come ingranaggi spingendo le correnti atlantiche, miti e apportatrici di pioggia, verso l’Europa. Ovviamente l’area interessata dalle correnti atlantiche (e dunque dalle
precipitazioni) sarà diversa a seconda della posizione dei “motori”; inoltre l’orografia interferisce parecchio
con tali fenomeni; ad esempio le Alpi intercettano l’umidità dell’aria, per cui il sud delle Alpi e la Valpadana
possono risultare prive di precipitazioni anche in presenza di vigorose correnti atlantiche da nordovest.
Viceversa se nel periodo invernale vi è debolezza del ciclone d’Islanda e dell’anticiclone delle Azzorre (e
dunque delle correnti occidentali), la massa d’aria siberiana (che è molto fredda e “pesante” ed è dunque
spesso indicata come anticiclone russo – al centro della Siberia in inverno la pressione può salire fino a 1070
hPa) può liberamente tracimare verso il Mediterraneo provocando ondate di freddo polare, fenomeno questo
che può essere anche indicato come monsone invernale europeo per la somiglianza con l’analogo fenomeno
che ha luogo nel subcontinente indiano e nell’Asia sudorientale.
È grazie all’azione di queste tre grandi strutture (ciclone d’Islanda, anticiclone della Azzorre e anticiclone
russo) che l’area europea può essere influenzata dalle principali masse d’aria che occupano le aree limitrofe
ed in particolare:
a) le masse d’aria umida e mite che hanno la loro sede sul Mediterraneo;
b) le masse d’aria umida e relativamente mite (aria polare marittima) che hanno sede sull’Oceano Atlantico; si osservi che tali masse d’aria, per quanto miti, risultano sempre più fredde rispetto a quella mediterranea; ciò si rivela cruciale per la formazione di perturbazioni in forma di sistemi frontali o vortici, particolarmente frequenti nel periodo che va dall’autunno alla primavera;
c) l’aria polare continentale che ha sede al centro del continente eurasiatico e che risulta particolarmente
fredda ed asciutta in inverno;
d) l’aria artica, molto fredda in tutte le stagioni;
e) l’aria subtropicale, che ha sede nella fascia omonima e che si presenta come torrida e con contenuto
d’umidità che si accresce durante il passaggio sul Mediterraneo.
Il clima europeo nasce in sostanza dall’azione delle strutture della circolazione2 sulle masse d’aria che di volta in volta si disputano il predominio sull’area euro-mediterranea.
In tale contesto dinamico giocano un ruolo fondamentale le catene montuose (Alpi e Pirenei in primis ma
anche i rilievi meno potenti della penisola iberica e dell’area centro-europea) che agiscono sulla circolazione
atmosferica alterandola profondamente. In particolare i rilievi intercettano l’umidità dalle masse d’aria in arrivo dando luogo a caratteristiche intensificazioni orografiche delle precipitazioni.
2
Non solo i grandi motori sopra descritti ma anche strutture “più piccole” come ad esempio le saccature atlantiche, depressioni a
forma di V il cui transito è tipico dei mesi autunnali, invernali e primaverili o le depressioni mobili del Mediterraneo, innescate
dall’irruzione di masse d’aria fredda nella media troposfera. Fra queste ricordiamo, per il contributo al quadro precipitativo dell’area
in esame, le depressioni del Golfo di Genova, le depressioni delle Baleari, le depressioni africane e quelle con minimo sull’Italia
Centro-meridionale e sullo Ionio. La disposizione di tali strutture (orientamento dell’asse, estensione verso sud, ecc.) determina le aree e i versanti più esposti alle precipitazioni.
Da rilevare che il moto incessante di tali masse d’aria si traduce in una variabilità accentuata delle condizioni
meteorologiche (nuvolosità, temperatura, precipitazioni, venti, radiazione solare, ecc.) il cui risultato ultimo è
tuttavia la sostanziale stabilità del clima europeo su cui come prima ricordato si è fondato lo sviluppo
dell’agricoltura e della civiltà del nostro continente negli ultimi millenni.
Questo inquadramento iniziale mette in luce il ruolo del clima e della circolazione nella produzione agricola,
ruolo che i georgici latini amavano sintetizzare nella frase “annus fructificat non tellus”.
Dal punto di vista classificatorio, alla luce dei caratteri macrocircolatori sopra illustrati, l’area della provincia
di Cremona partecipa tanto del clima dell’Europa Centrale che del clima del Mediterraneo, configurandosi
come mesoclima di transizione fra tali due macroclimi, transizione dimostrata macroscopicamente dal regime delle precipitazioni. Infatti il clima dell’Europa centrale presenta un caratteristico massimo pluviometrico
estivo, frutto delle perturbazioni atlantiche che le grandi correnti occidentali spingono verso il continente, cui
si associa un evidente minimo pluviometrico invernale; al contrario il Mediterraneo presenta un massimo
precipitativo invernale frutto delle perturbazioni che in tale periodo interessano l’area, cui si associa un minimo pluviometrico estivo. La pluviometria della provincia di Cremona si distribuisce in modo tale da manifestare un minimo invernale, segnale di tipo centro-europeo, ed un minimo estivo, segnale di mediterraneità
che tende a divenire senpre più evidente man mano che scendiamo verso sud, spingendoci verso il confine
meridionale della Provincia.
3. I paesaggi atmosferici della provincia di cremona
Dopo l’inquadramento climatico generale effettuato nel paragrafo precedente, diviene più immediatamente
comprensibile l’analisi dei fenomeni atmosferici che interessano il territorio cremonese nel corso dell’anno e
che viene svolta analizzando per ciascun fenomeno il tipo circolatorio di riferimento e le caratteristiche
salienti in termini di copertura nuvolosa.
In particolare la ciclogenesi sul Golfo Ligure genera sul territorio cremonese una nuvolosità compatta per
strati e nembostrati con associate precipitazioni di intensità da debole a moderata. Da non escludere in tali
condizioni sono inoltre i cumulonembi temporaleschi con gli associati rovesci. Del tutto diverse appaiono le
nubi tipiche degli episodi di foehn che in media si presentano sulla provincia in 15-25 giorni l’anno, con
massimi sulla parte nord del territorio (Ambrosetti et al., 2000). Il foehn da luogo ad alcune nubi
caratteristiche (altocumuli lenticolari, fractocumuli); i fenomeni sono il cielo sereno limpido, il vento in
folate, la bassissima umidità relativa.
Le stesse situazioni anticicloniche possono essere accompagnate da velature per cirri e cirrostrati e da foschie
o nebbie.
Oggetto di discussione sono inoltre le caratteristiche ciclicità giornaliere ed annuali che i fenomeni sopra
evidenziati manifestano (ad esempio vengono discussi gli effetti cromatici indotti dalle diverse elevazioni del
sole nei vari periodi del giorno e dell'anno).
Le considerazioni svolte sono raccolte nell’inventario dei fenomeni meteorologici caratteristici del territorio
cremonese (allegato 1).
Dal lavoro emerge la possibilità concreta di introdurre i fenomeni atmosferici come elementi di valutazione
delle peculiarità di un paesaggio.
La conoscenza dei paesaggi atmosferici rappresenta un elemento senza dubbio rilevante per consentire di
descrivere in modo completo un territorio. La sensibilizzazione della collettività su tali aspetti dev’essere a
giudizio dello scrivente una ragione d’impegno per chi è vicino a tali tematiche.
4. Riferimenti bibliografici
Dutton J.A., 1986, Dynamic of atmospheric motions, Dover, New York
Ambrosetti P., Mariani L. e Scioli P., 2000, Climatology of north foehn in Canton Ticino and west Lombardy, in Atti del 6° Convegno di Ingegneria del Vento (IN-VENTO-2000), Università di Genova, Diseg
Fea, G., 1988, Appunti di meteorologia fisica e descrittiva, Ersa, Bologna
Giuliacci M., 1985. Climatologia storica e dinamica della Valpadana, Cnr, Milano
Mariani L., 2002, Dispensa di agrometeorologia, Clesav, Milano
Mariani L. e Sturani E., 1998. Il concorso determinante del clima, in Comprendere il paesaggio: studi sulla
pianura lombarda, Electa, Milano
Figura 1 – La marcia dell’agricoltura verso Occidente dal suo areale d’origine nella Mezzaluna fertile. Le
due traiettorie di terra e di mare (frecce rosse) sono supportate dalle isoquante tratteggiate. Le date, frutto
di analisi effettuate con il carbonio 14, sono espresse in anni da oggi, per cui ad esempio l’agricoltura
raggiunse l’Irlanda 5100 anni orsono (Cavalli Sforza, 1993 - modificato).
Figura 2 – L’atmosfera terrestre fotografata dallo shuttle Atlantis nell’agosto 1992 La banda grigiastra al di
sopra della tropopausa è il residuo dell’eruzione del vulcano Pignatubo del 1991 (fonte: NASA).
Figura 3 – Schema di massima della grande circolazione euro-mediterranea.
Scheda sui fenomeni meteorologici
FENOMENO
ALTOSTRATI
CARATTERI DISTINTIVI
Coltre nuvolosa grigiastra o bluastra, di
aspetto striato, fibroso o uniforme e che
risulta sottile al punto da lasciar vedere il
sole. Altezza della base fra 2000 e 6000 m
Banco, distesa o coltre di nubi bianche,
grigie o bianco-grigie, aventi
generalmente ombre proprie e composte
di elementi (lamelle, rotoli, ciotoli, ecc.)
che per la maggior parte hanon larghezza
comrpesa fra 1 e 5 gradi (da 1 a 3 dita a
braccio teso). Altezza della base fra 2000 e
6000 m
Formazione di cristalli di ghiaccio su
oggetti in coincidenza con temperature
dell’aria inferiori a 0°C
FENOMENI METEOROLOGICI ASSOCIATI
Agli altostrati non sono associate precipitazioni.
CIRRI,
CIRROCUMULI
E
CIRROSTRATI
Nubi alte (base ad altezza superiore a 6000
m). L’altezza fa si che siano composte
unicamente di ghiaccio.
FOEHN O
FAVONIO
aria limpida e tempo ventoso; vento
moderato da settentrione con rinforzi in
folate. In occasione del foehn si assiste a
sensibile aumento della temperatura con
associato un forte calo dell’umidità
relativa.
FULMINI
Scariche elettriche fra nubi e suolo. Da
distinguere dai lampi (scariche fra nube e
nube)
Manicotti di ghiaccio si sviluppano su
tronchi, rami o altri oggetti.
Gli accumuli possono talora assumere un
peso tale da produrre caduta di rami o alberi.
Formazione di ghiaccio dovuta a gocce di
pioggia che cadono su superfici a
temperatura inferiore a 0°C.
Cumulonembi (vedi voce “rovesci”)
(vedi voce “rovesci”)
Perché il fenomeno abbia luogo occorre la presenza
di vento. Sul territorio cremonese si tratta di un
evento raro.
Caduta di ghiaccio in chicci dai
cumulonembi. Fenomeno temibile per i
gravi impatti sulle attività agricole
Cumulonembi (vedi voce “rovesci”)
Le condizioni meteo che provocano questi fenomeni
sono tutte riconducibili alla presenza di
precipitazioni a temperature inferiori a zero gradi
centigradi ed in presenza di vento sostenuto.
Alle condizioni che danno luogo ad una gelata deve
seguire un rapido peggioramento dovuto ad
esempio al rapido avvicinarsi di una depressione
atlantica.
(vedi voce “rovesci”)
ALTOCUMULI
BRINATE
GALAVERNA
GELICIDIO O
VETRONE
GRANDINE O
“TEMPESTA”
CIRCOLAZIONE CARATTERISTICA
Le stutture circolatorie in grado di produrre altostrati
sono diverse. Ad esempio si ha genesi di tali nubi in
occasione dello scorrimento di aria calda in quota
che precede l’arrivo di un fronte caldo.
Le stutture circolatorie in grado di produrre
altocumuli sono svariate. Altocumuli lenticolari
particolarmente belli si determinano ad esempio in
condizoni di foehn
FREQUENZA DEL FENOMENO, EFFETTI SUL PAESAGGIO
Queste nubi sono composte di acqua liquida (stato sopraffuso) e di
cristalli di ghiaccio. Il colore più o meno intenso dipende tanto dalla
composizione quanto dall’altezza del sole e dal periodo dell’anno.
Di solito si verificano con cielo sereno o poco
nuvoloso mentre la presenza di nubi compatte e
spesse fa regredire il fenomeno.
Le brinate estese si registrano in genere nel periodo
fra ottobre e aprile, con rischio climatico
significativo fra la seconda decade di ottobre e la
prima di aprile. Brinate estese seguono in genere ad
irruzioni fredde con apporto di masse d’aria polare
continentale (aria siberiana) o artica.
Il soleggiamento è solo parzialmente smorzato da
tali tipi di nubi, che non sono in grado di dar luogo a
precipitazioni. Da rilevare come fenomeno
particolare la caduta di cristalli di ghiaccio dai cirri.
Tali cristalli creano scie lunghe alcune centinaia di
metri prima di sublimare scomparendo molto prima
di giungere al suolo.
Altocumuli, lenticolari e non.
All’origine dei cirri stanno fenomeni circolatori
diversi. Ad esempio le velature di cirri si hanno in
occasione di scorrimenti di aria calda in quota
mentre cirri sono generati dal disfacimento di nubi
cumuliformi convettive.
La brinata non è in sé un evento dannoso ed anzi la liberazione di
calore sensibile dovuta a ocondensazione e ghiacciamento del vapore
acqueo compensa in piccola parte il raffreddamento degli organi
vegetali dovuto alla gelata. La sua cattiva fama è legata al fatto che è
spesso è sintomo della gelata. Le brinate producono effetti cromatici
notevoli soprattutto dopo l’alba, quando i cristalli di ghiaccio riflettono
la luce solare.
Nubi bianche e senza ombre proprie, presentano cromatismi assai vari
in funzione sia della composizione sia dell’altezza del sole.
Agli altocumuli non sono associate precipitazioni.
Il fenomeno può aver luogo in presenza di compatti
strati di nubi che riempiono rapidamente il cielo
nella fase successiva ad una gelata.
Veloci correnti settentronali, spesso associate ad un
promontorio anticiclonico atlantico in espansione
verso l’arco alpino, investono le Alpi ove la massa
d’aria è soggetta ad un fenomeno termodinamico
cartteristico che ne modifica profondamente le
caratteristiche rendendola calda ed asciutta.
Queste nubi sono composte di acqua liquida (stato sopraffuso) e di
cristalli di ghiaccio. Il loro colore, dal bianco al grigio madreperlaceo
al rosa, dipende tanto dalla composizione quanto dall’altezza del sole
e dal periodo dell’anno.
La presenza di foehn si verifica mediamente 25 giorni l’anno al limite
settentrionale dlel provincia e 15 giorni l’anno al limite meridionale,
sul Po.
Cielo sereno limpido, di un azzurro intenso. Gli altocumuli si
caratterizzano per sfumature madreperlacee legate alla compresenza
di acqua e ghiaccio. Il cromatismo di tali nubi varia al variare dell’ora
del giorno
I fulmini ed il tuoni ad essi associati sono un tipico effetto dei veloci
moti verticali che si registrano nei cumulonembi e che determinano la
separazione delle cariche elettriche.
In presenza di galaverna il paesaggio assume caratteristiche uniche
specie quando la luce del sole gioca con gli arabeschi prodotti dal
ghiaccio.
Il gelicidio non è particolarmente evidente e ciò costituiscie un fattore
di pericolo per coloro che, a piedi o in auto, si trovano ad di fronte a
tale fenomeno.
La grandine è un evento dannoso per l’agricoltura, un tempo in grado
di dar luogo a vere e proprie carestie. Non vi è nulla di più triste delle
colture danneggiate dalla grandine, anche se le impressioni iniziali
sul’entità del danno possono rivelarsi eccessive.
Limitazione più o meno drastica della
visibilità (per visibilità orizzontali inferiori
ai 1000 m si parla di nebbia per visibilità
inferiori ai 100 m si parla di nebbia fitta).
La nebbia in banchi si sviluppa allorchè la
fonte di umidità necessaria per la
formazione di nebbia si presenta solo in
aree particolari (es: vicinanza di corsi
d’acqua, zone umide, marcite).
La nevicata può avvenire con fiocchi assai
diversi per forma e dimensione.
Nelal maggior parte dei casi il fenomeno si verifica
con cielo sereno o poco nuvoloso
La maggior parte dei casi di nebbia si riscontra in
presenza di condizioni anticicloniche, in cui un
anticiclone dinamico mantiene un’inversione
termica con base al suolo. Da considerare
comunque che la nebbia può svilupparsi in
condizioni circolatorie assai diverse.
Gli effetti sul paesaggio sono considerevoli: i contorni degli oggetti
divengono sfumati, i colori e gli stessi suoni sono alterati.
Le tipiche nubi “da neve” in Valpadana sono gli
strati e i nembostrati
La situazione circolatoria caratteristica della nevicata
in provincia di Cermona è quella per cui un sistema
frontale atlantico interessa l’area determinando uno
scorrimento di aria caldo-umida mediterranea su un
“materasso freddo” pre-esistente, frutto ad esempio
del precedente ingresso nel «catino padano» di aria
artica o polare continentale
ONDATE DI
CALDO
In ambito padano il fenomeno si
manifesta con alte temperature sono
accompagnate da vento debole ed elevata
umidità relativa (condizioni di afa)
Il cielo si presenta per lo più sereno con velature per
cirri. Attività di nubi convettive ad evoluzione diurna
(cumuli umili, qualche cumulo congesto o
cumulonembo) può accompagnare l’evolversi del
fenomeno.
PIOGGE
ESTESE E
PERSISTENTI
Tali piogge presentano intensità che
vanno dagli 1-2 agli 8-10 mm l’ora
Nubi basse (strati) e medie (nembostrati) sono le
nubi caratteristiceh di tali fasi.
ROVESCI
Gocce di pioggia di dimensioni tali da
rimbalzare su superfici rigide (strade
asfaltate, platee di cemento). L’intensità
della pioggia in occasione dei rovesci è in
genere elevata, aggirandosi su valori
istantanei di 20 mm/ora e oltre fino a
superare nei casi più estremi i 100 mm /
ora.
Le nubi che producono rovesci sono i
cumulonembi, spesso organizzati in famiglie (linee
temporalesche) che si muovono sulla pianura come
grandi vele spinte dal vento dominante nella media
troposfera.
Le ondate di caldo di lunga durata (1-2 settimane in
media) sono legate a strutture anticicloniche
caratteristiche (promontori subtropicali) che
producono apporto di aria torrida da latitudini più
meridionali, spesso resa umida dal passaggio sul
Mediterraneo. Ondate di caldo di breve durata ma
forte intensità sono attribuibili all’effetto del foehn
ovvero al fenomeni di compressione dovuti alle
correnti a getto.
Sono determinate dallo scorrimento di aria calda
mediterranea su aria fredda preesistente. Tale
fenomeno si genera in presenza di un sistema
frontale atlantico. In tali occasioni il catino padano si
riempie di nubi (strati e nembostrati sono le più
caratteristiche) e si verificano piogge deboli o
moderate per lo più continue e vento per lo più da
est – sudest. A volte l’area cremonese può risultare
esclusa dalle precipitazioni allorchè si qualifichi
come zona di alimentazione di sistemi precipitanti
più ad ovest.
I cumulonembi si sviluppano in corrispondenza con
situazioni frontali (es: temporali da fronte freddo) e,
in estate, in corrispondenza con irruzioni di aria
fredda atlantica nella media troposfera. Da segnalare
i temporali serali e notturni prodotti dal
raffreddamento per irragiamento verso lo spazio di
nubi convettive sviluppatesi nele ore pomeridiane.
Durante la nevicata i nembostrati conferiscono al cielo il caratteristico
aspetto plumbeo. La presenza di suolo innevato si verifica
mediamente 5 – 10 giorni l’anno e conferisce al paesaggio effetti
cromatici unici. Da notare anche l’effetto mattutino e serale, allorchè
la neve assume tonalità rosee e l’effetto notturno allorchè la neve,
riflettendo la luce della luna o le luci artificiali, determina una
luminosità del tutto particolare: “A mezzanotte la luna batteva sulla
neve ed era come di giorno” (Giovanni Guareschi, Mondo piccolo,
Rizzoli, Milano, 1953)
Uno dei tratti caratteristici delle ondate di caldo è dato dalla presenza
di velature con cielo lattigginoso e paesaggio che appare di
conseguenza più piatto e monotono.
STRATOCUMU
LI
Nubi basse ed a ridotto sviluppo verticale,
la cui genesi è spesso legata ad effetti
orografici dovuti all’interazione dell’arco
alpino o appenninico con la circolazione.
Agli stratocumuli non sono di norma associate
precipitazioni.
NEBBIA
ESTESA e
NEBBIA IN
BANCHI
NEVICATA
Le stutture circolatorie in grado di produrre
stratocumuli sono svariate. Si possono ad esempio
avere stratocumuli in coinidenza con promontori
anticiclonici oppure nella fase di varabilità che
La pioggia ed il cielo grigio smorzano i colori rendendo il paesaggio
piatto e monotono: “Era una sera di febbraio e pioveva e le strade
delal bassa erano piene di fango e di malinconia.” (Giovanni
Guareschi, Mondo piccolo, Rizzoli, Milano, 1953). Le situazioni
alluvionali sono spesso associate alle fasi di piovosità persistente
tipiche dei periodi autunnali e primaverili: “Andò a spalancare la
finestra e, in fondo, sull’orizzonte di quella gran distesa d’acqua che
pareva il mare, c’era la riga deltramonto, sottile sottile, come se
l’avessero disegnata col lapis rosso” (Giocvanni Guareschi, ibidem).
I cumulonembi sono giganti meteorologici, con altezze che possono
raggiungere e talora superare i 10 km. I cumulonembi maturi
presentano la caratteristica “incudine”, dovuta al fatto che la nube
raggiunge l’invisibile confine con la stratosfera (tropopausa).
Quantomai varie sono le caratteristiche cromatiche assunte dai
cumulonembi in funzione della loro composizione, dell’altezza del
Sole e delle ombre portate da nubi vicine.
I colori di queste nubi sono oltremodo variabili in funzione della
genesi, dello spessore, della composizione (acqua liquida ed eventuali
cristalli di ghiaccio), dell’altezza del sole e del periodo dell’anno.
STRATI
TROMBE
D’ARIA
Coltre di nubi grigie e a base uniforme, Se
il sole si rende visibile attraverso la coltre
esso si presenta come un disco senza
alcun alone
Struttura vorticosa relativamente rara,
associata ad un cumulonembo.
Gli strati possono dar luogo a pioviggine, pioggia o
neve.
Cumulonembi (vedi voce “rovesci”)
segue ad un passaggio frontale.
Le stutture circolatorie in grado di produrre altostrati
sono varie. Ad esempio si ha genesi di strati in
occasione degli scorrimenti d’aria calda in quota che
precedono l’arrivo di un fronte caldo.
La tromba d’aria concentra in un piccolo spazio la
vorticità, determinando fenomeni violenti quali
sradicamenti di alberi, scoperchamento di tetti, ecc.
I colori di queste nubi sono alquanto variabili in funzione della genesi,
dello spessore, della composizione (acqua liquida ed eventuali cristalli
di ghiaccio), dell’altezza del sole e del periodo dell’anno.
La tromba d’aria è un evento estremo in grado di produrre danni a
cose e persone. E’ sinonimo di tornado.
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