Enrico Grassi
Lo Stato debole
[La difficoltà della gestione politica deriva dalla molteplicità delle parti da soddisfare,
ma anche dalla molteplicità degli aspetti in cui si distingue ciascuna parte, individuo o gruppo
che sia, in quanto tutti avanzano pretese diverse ed opposte a seconda dell’aspetto che si
prende in considerazione, per il groviglio di correlazioni che ognuno di noi contiene in sé]
Ogni settore sociale è inserito entro una particolare sfera
dell’amministrazione per rendere possibile la gestione della complessità. I
settori sono dotati di proprie risorse, anche per evitare che un possibile
contenzioso tracimi oltre il suo confine. Il sotto-sistema cerca di risolvere i
problemi sindacali, cittadini, scolastici, amministrativi prima entro la struttura
di appartenenza (sindacato locale, circoscrizione, ecc.), poi fa appello ai
sistemi confinanti superiori (sindacato nazionale, Ministeri, ecc.), fino ad
arrivare allo Stato nella persona del ministro o del presidente. La riduzione di
complessità non si ottiene quindi con la creazione di sotto-sistemi autonomi,
come pretende Luhmann (1), ma, al contrario, con il rinvio alla sfera superiore,
in quanto capace di inglobare il contenzioso in un ambito più ampio, ove sono
disponibili le risorse politiche ed economiche, che mancano alla sfera di
appartenenza. (2).
Non si riesce tuttavia quasi mai a risolvere soddisfacentemente i
problemi. Con l’affermarsi della democrazia pluralista aumentano le forze che
concorrono alla formazione delle decisioni, moltiplicandosi le difficoltà della
mediazione (3). La “debolezza” dei governi dipende dal fatto che ogni
1 - N. Luhmann ha utilizzato il metodo di Bertalanffy-Aschby in modo conservatore (si veda la sintesi di
A. Fabris in L’organizzazione in una società in cambiamento, Etas Kompass, Milano 1975), assegnando
ai sotto-sistemi una funzione di controllo, di filtro selettivo, per rendere stabile e inattaccabile il sistema
nel suo insieme, alla maniera di T. Parson. L’idea che i sistemi democratici riescano a neutralizzare la
crisi mondiale, l’opposizione, il malcontento diffuso – quello che viene chiamato l’ambiente –
specializzando la serie di sottosistemi competenti di potere di cui si compone il Politische Plannung,
incontrollabile dal pubblico, non spiega i grandi cambiamenti cui le società vanno perennemente
incontro. Giustamente J. Habermas gli rimprovera la sostituzione della struttura con la funzione, che in
realtà presuppone sempre una struttura sistemica (J. Habermas-N. Luhmann, Theorie der Gesellschaft
oder Sozialtechnologie, Suhrkamp, Frankfurt/Main 1971; trad. it., Teoria della società o tecnologia
sociale, Etas-Kompass, Milano 1973, p. 100-104). Successivamente Luhmann si è reso conto che il
sistema è assediato da nuove domande, da nuove povertà, dai problemi della natura (Politiche Teorie
im Wohlfahrtstaat, Günter Olzog, München/Wien, 1981; trad. it., Teoria politica nello Stato del
benessere, Angeli, 1983. J. Habermas aveva a lungo polemizzato con Luhmann su questi temi,
sostenendo la possibilità dell’agire razionale, della lotta pratica, della polemica, partendo dalla
constatazione che la funzionalità di un sistema non può mai giungere ad “impedire che si verifichi un
processo di illuminazione” (Habermas-Luhmann, Teoria della società o tecnologia sociale, cit., p. 174).
2 - L. Bertalanffy intende proprio in questo senso il suo metodo, ossia che un aumento di
specializzazione si accompagni con un aumento di interdipendenza. Dello stesso avviso mi sembra R.
Mayntz, dove scrive che i sottosistemi sono sia autonomi che connessi reciprocamente, ossia che
l’amministrazione è una funzione della collaborazione orizzontale dei sottosistemi (Soziologie der
öffentlichen Verwaltung, Müller Juristischer Verlag, Heidelberg-Karlsruhe,1978; trad. it., Sociologia
dell’amministrazione pubblica, il Mulino, Bologna 1982, p. 28). G. F. Lanzara e F. Pardi polemizzano
fenomenologicamente in L’interpretazione della complessità, Guida, Napoli 1980, con i teorici della
complessità e della processualità, dopo averle ridotte a facoltativi punti di vista (pp. 16-19, 76),
trasformando lo strutturalismo ontologico in metodo strutturale. La realtà sociale non sarebbe altro che
un groviglio incerto di relazioni (p. 82), ridotte ad una pluralità di posizioni soggettive (p. 176). Anche
l’oggettivo adattamento dinamico di Bertalanffy viene recuperato attraverso le mediazioni che il soggetto
compirebbe tra ambiente incerto e mutevoli principi di organizzazione (p. 179).
3 - G. Bateson ha identificato complessità e scarsa flessibilità del sistema politico, consistente nella
difficoltà di ritrovare l’equilibrio in seguito a possibili turbamenti (esempio dell’acrobata), cercando
idealisticamente la soluzione, oltre che nel decentramento, in una rinnovata cultura, nella scuola che
forgia la mentalità dei giovani. La soluzione di C. Offe alla crisi da complessità è solo apparentemente
più semplice, imputando al capitale la responsabilità della crisi, senza tuttavia darci una soluzione
praticabile (C. Offe, “Ingovernabilità”: Lineamenti di una teoria conservatrice della crisi, Relazione
presentata al Convegno di Studi “Società Civile e Stato”, tenutasi all’Istituto Filosofico Aloisianum di
Gallarate dal 6 all’8 ottobre del 1978; pubblicato in “Fenomenologia e Società”, II, 5, 1979, pp. 54-65;
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soggetto - ogni classe, ogni gruppo - oltre agli interessi particolari, presenta
interessi trasversali, dovuti alle molteplici relazioni e correlazioni entro cui
esiste, tali per cui un qualsiasi provvedimento, se risponde alle esigenze di
una parte di una comunità, ne escluda altre. Si potrebbe dire con una
massima che la crescita delle contraddizioni dialettiche (correlazioni)
determini la crescita delle contraddizioni formali.
Molti credono che la separazione del settore pubblico da quello privato
impedisca al governo di attuare la chimerica «volontà generale». Offe infatti
attribuisce la Unregierbarkeit (ingovernabilità) alle due vie divergenti
imboccate dal capitalismo, la privatizzazione della produzione, per un verso,
la sua socializzazione, per un altro, in quanto rendono incompatibili le
condizioni di funzionamento del sistema (4). In realtà, la frantumazione è
ancora più profonda, essendo impossibile attuare un progetto olistico che
risponda ad interessi contrastanti, sia perché lo stesso governo è sintesi di
volontà distinte ed opposte, sia ancora perché ciascuno di noi è un insieme di
interessi inconciliabili (5).
La difficoltà deriva quindi dalla molteplicità delle parti da soddisfare, ma
anche dalla molteplicità degli aspetti in cui si distingue ciascuna parte,
individuo o gruppo che sia, in quanto tutti avanzano pretese diverse ed
opposte a seconda dell’aspetto che si prende in considerazione, per il
groviglio di correlazioni che ognuno contiene in sé (6). Si pensi, come
ripubblicato in C. Offe, Ingovernabilità e mutamento delle democrazie, il Mulino, Bologna 1982).
4 - C. Offe scrive nell’opera sopra citata che “la società capitalistica è caratterizzata da una
incompatibilità strutturale crescente, dovuta al fatto che nuovi sistemi parziali o nuovi elementi strutturali
entrano in contraddizione sul piano funzionale con la logica di valorizzazione privata del capitale” (p.
65). Posizione simile a quella di Habermas, che vedeva la contraddizione di base del sistema nella
struttura dicotomica del mercato, ove tutto è trattato come merce, anche la merce particolare del lavoro.
In tal modo il capitalismo non avrebbe la possibilità di armonizzare “integrazione sistemica” e
“integrazione sociale”.
5 - Nella stessa opera Offe aveva scritto che “la frattura che nelle prime fasi dello sviluppo capitalistico
passava tra i grandi gruppi di status si trasferisce, per così dire, entro ciascun individuo. Gli individui si
trovano inseriti, per quanto riguarda certi aspetti della loro attività, entro ambiti funzionali «privilegiati»,
mentre altri aspetti appartengono agli ambiti sotto-privilegiati” (p. 54).
6 - Sul problema del governo debole è utile la sintesi della discussione in atto che Portinaro ci offre in
La teoria politica contemporanea e il problema dello Stato, in A. Panebianco (a cura di) L’analisi della
politica, il Mulino, Bologna 1989. Alle stesse conclusioni arriva nell’introduzione a Stato, il Mulino,
Bologna 1999, da cui risulta che i politologi di varie tendenze concordano sulla perdita di poteri e di
funzioni da parte dello Stato. Per la destra ha perduto il monopolio della forza, per i liberali molte delle
funzioni dello Stato sono o possono essere svolte dai privati, per la sinistra lo Stato subisce le decisioni
dei monopoli. In ogni caso, lo Stato risulta impotente di fronte alle dinamiche che scienza e tecnologia
hanno impresso agli sviluppi dello sfruttamento dell’atomo, delle biotecnologie, della chimica. Né è in
grado di adeguarsi al superamento dello Stato-nazione nell’epoca della mondializzazione o di
controllare la moneta, il lavoro, il fisco, il credito. Territorio, popolo e potere non sono più sotto il suo
controllo. A conclusione, l’autore si chiede se lo Stato è morente o in una delle tante fasi di
ristrutturazione per adattarsi alle nuove realtà. Le ambiguità non ci permettono una soluzione chiara del
dilemma. C. Donolo e F. Fichera in Il governo debole, De Donato, Bari 1981, ispirandosi a C. Offe,
mostrano di comprendere, su questa linea di pensiero, che nel mondo moderno cresce la conflittualità
non più solo tra capitale e lavoro, coesistendo più logiche, più principi organizzativi, più modelli. Si
verificherebbe una sorta di antinomicità tra governabilità e democrazia, giacché la diffusione dei poteri
nelle società complesse conduce a logiche settoriali, a interessi di parte, a specializzazioni che mutano
la forma del potere in modo tale che sia le decisioni che le realizzazioni risultino impedite dalle
interferenze reciproche tra settori, in un processo non più discensivo e lineare, essendo venuta a
mancare l’interazione tra le parti. Il prezzo della democrazia consisterebbe nella proliferazione di
domande e nella conseguente impossibilità di mettere tutti d'accordo e di trasmettere i comandi. I due
autori tuttavia non vedono che ogni singolo cittadino ed ogni gruppo sociale sono conflittuali anche al
loro interno, e non solo rispetto ad altri gruppi, ad altre logiche. Sulle posizioni di Offe si trova anche A.
Wolfe in The limits of legitimacy, Free Press, New York e Collier Macmillan, London 1977; trad. it., I
confini della legittimazione, De Donato, Bari 1981, dove mostra la contraddizione del capitalismo, che
chiede allo Stato di intervenire attivamente nella programmazione economica e, al tempo stesso, di
astenersene (p. 383). R. Inglehart in Modernization and postmodernization, Princeton University Press,
Princeton, 1997; trad. it., La società postmoderna, Editori Riuniti, 1998, pur in un impianto
essenzialmente idealistico, ha diffusamente analizzato la formazione di nuovi bisogni (qualità della vita,
ambiente, pace, autorealizzazione), mostrando come il sistema, nel mutare identità, produca nuovi
significati e nuovi segni e renda “più difficile il compito della classe dirigente” (p. 417). D. Zolo porta alle
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esempio, alla complessa e “schizofrenica” condizione di una donna in
rapporto ai problemi del lavoro, della famiglia, dell’aborto, del divorzio, dei
permessi per il puerperio, della scuola, degli asili, della sanità, dell’età
pensionabile, e si vedrà che le risposte potranno essere diverse ed opposte,
proprio in quanto trasversali, e, in qualche caso, ricombinarsi con quelle di
una donna appartenente ad un’altra classe sociale, dipendendo in parte dal
tipo di famiglia in cui vive, dalla città, dal quartiere, dalla casa di proprietà, dal
marito collaborativo, dalla religiosità, dalla cultura, dall’ignoranza (7).
Il governo è debole perché non riesce a favorire compiutamente
nessuna delle parti, se queste per un verso invocano la gestione privata della
produzione, ma per un altro quella amministrativa o volontaria. Ciò dipende
dal fatto che ciascuno di noi è al tempo stesso produttore, cittadino, natura,
genitore, sportivo, amante dell’arte, e per ognuno di questi aspetti è parte di
un gruppo, tale per cui ciò che vuole in un settore lo rifiuta in un altro,
manifestando una molteplicità di “personalità” spesso incompatibili, giacché
non solo l’Io psicologico è “diviso”, ma anche l’individuo sociale e politico.
Tutti possiamo osservare la condizione doppia di grandi masse di lavoratori e
di pensionati che sono al tempo stesso salariati e detentori di piccole quote
azionarie attraverso i fondi pensione, o l’invocazione e, al tempo stesso, il
rifiuto dello Stato da parte di industria e commercio privati. È infinito l’elenco
delle attrazioni-repulsioni che alla rinfusa si intrecciano in ciascuno di noi, sia
fuori che dentro la corporazione di riferimento, come quelle del capitalista per
il lavoro e il non-lavoro, dei cittadini per il desiderio di automobili e per la
vivibilità delle città, per l’industria che produce e l’aria pulita, per il controllo
pubblico e la privacy, per la grande e la piccola distribuzione, per i mezzi
privati e i mezzi pubblici, per la tolleranza di alcuni comportamenti e
l’intolleranza di altri equivalenti, per la moralità e il permissivismo, per
l’uguaglianza e la discriminazione nei confronti delle donne, per l’accettazione
e il rifiuto degli extra-comunitari, per la famiglia monogamica e il desiderio
poligamico, per il bisogno di socialità e la chiusura nel privato, per la scuola
pubblica e la scuola privata.
Possiamo ormai constatare che il potere politico è passato dal sovrano
assoluto dello Stato-persona alla società civile, alle corporazioni, ai sindacati,
ai partiti, al Parlamento, alla Corte costituzionale, alla Banca centrale,
all’Esercito, secondo un processo intrinseco alla nascita e allo sviluppo degli
Stati democratici e alla continua proliferazione di centri reali di forza entro la
società civile. Il potere non ha cessato di esistere, è stato solo distribuito fra
tutti i gruppi economici, politici, sindacali, religiosi, militari di maggiore impatto,
a cui si aggiungono i nuovi poteri regionali o, in senso opposto, sovranazionali, che hanno assunto alcuni tipi di gestione (fiscale, monetaria,
militare). Non si è verificata quindi una perdita di potere in senso assoluto, ma
una sua dislocazione policentrica. In estrema sintesi, potremmo dire che il
potere è stato prima di uno, poi anche di pochi, dopo anche di molti, ove
estreme conseguenze il concetto di governo debole, facendolo dipendere dalla diffusione della
democrazia, non più in grado di ridurre gli attuali rischi sociali. Dopo aver identificato la democrazia con
una nuova forma di elitismo dittatoriale, radicalizzando alcune espressioni di Schumpeter, conclude
proponendo il “modello Singapore”, che presenta come “novità” l’antica teoria del dispotismo illuminato.
7 - Non intendo revisionare il concetto economico di classe, che rimane primario, ma semplicemente
coniugarlo con gli altri aspetti della vita. Pur in un contesto diverso, A. Sen si scaglia da tempo, fino al
più recente Identity and violence, Allen Lane, London 2006; trad. it., Identità e violenza, Laterza, RomaBari 2006, contro le gabbie mono-identitarie. T. Todorov scrive che “gli esseri umani non hanno alcuna
difficoltà ad assumere più identità alla volta, e dunque a provare molteplici solidarietà. Questa pluralità è
la regola, non l’eccezione (Identità: a che cosa apparteniamo, “la Repubblica”, 30 giugno 2006). T.
Geiger nei Saggi sulla società industriale (scritti tra il 1949 e il 1963), UTET, Torino 1970, in polemica
con il materialismo storico, sottrae al concetto di classe la connotazione economico-produttiva, finendo
per sostituirla con il colore della pelle, con la religione, da cui deriva una subordinazione rovesciata tra
operaio e nero, tra operaio ed ebreo, facendo assumere al secondo termine il posto del primo, come
fecero le femministe nel rapporto tra appartenenza di classe e donna.
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l’anche sta a significare che le forme precedenti di potere non sono
scomparse del tutto, essendosi coordinate o subordinate con le successive.
L’unica perdita secca di potere da parte dello Stato – e delle nuove forze che
lo hanno occupato - si ha solo quando alcuni comportamenti, diventando
irrilevanti, fuoriescono dal controllo sociale.
Va comunque tenuto presente che se il potere dello Stato centrale
risulta in qualche modo indebolito, non lo è il potere oggettivo, lo zoccolo
duro, rappresentato dalla struttura economica multimodale dell’intero sistema,
che si erge di fronte a tutti con il duro aspetto dell’oggettività.
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