Storia della scienza per le lauree triennali Prof. Giuliano Pancaldi 2011-12 Modulo 4 “Il posto dell’uomo nella natura” da Darwin a oggi con molte incertezze Questa immagine stava sul frontespizio di Il posto dell’uomo nella natura, un fortunato libro di Thomas Huxley che tra i primi sosteneva pubblicamente, nel 1863, le origini animali dell‟uomo. Huxley era un buon amico di Darwin ed era impegnato in molti dibattiti pubblici sull‟evoluzione. Libri come questo raggiunsero una notevole popolarità, oltre che tra i lettori borghesi, anche presso i ceti popolari di Londra, ai quali Huxley si rivolgeva in molte delle sue conferenze pubbliche. Secondo alcuni interpreti la “predicazione alle masse” di una concezione evoluzionistica della natura e dell‟uomo equivaleva a promuovere una sorta di “religione laica” dell‟evoluzione, di cui personaggi come Darwin e Huxley erano i nuovi “sacerdoti” (abbiamo discusso di questo tema nel Forum). In una lezione precedente, descrivendo come è nata la teoria della selezione naturale, abbiamo sottolineato che Darwin era interessato, oltre che al “problema delle specie” dal punto di vista del naturalista, anche ad argomenti connessi alle vicende della specie umana e delle società a lui contemporanee, come per esempio l‟andamento delle popolazioni. Si ricordi a questo proposito il ruolo importante svolto dalle idee dell‟economista Malthus nella genesi della teoria darwiniana della selezione [vedi i punti 1 e 2 della teoria di Darwin, nel Modulo 1]. In effetti, un interesse per le origini animali dell’uomo accompagnò le riflessioni di Darwin sull’evoluzionismo per tutto il corso della sua vita. Ma egli si pronunciò pubblicamente sull‟argomento soltanto nel 1871, cioè dodici anni dopo l‟Origine delle specie, in un‟opera apposita intitolata L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto al sesso. Darwin era convinto che fosse meglio trattare pubblicamente il delicato tema delle origini animali dell‟uomo soltanto dopo che si era affermata una concezione evoluzionistica del vivente in generale. Un interesse antropologico, tuttavia, è documentato in Darwin già durante il viaggio intorno al mondo, per esempio quando si trova di fronte agli abitanti della Terra del Fuoco, che considera tra gli esseri più “primitivi” da lui incontrati: Darwin vide per la prima volta da vicino i fuegini nel dicembre del 1832 e nel suo diario di viaggio annotò: “E‟ di gran lunga lo spettacolo più curioso e interessante al quale ho assistito. Non avrei mai creduto che la differenza tra l‟uomo civilizzato e il selvaggio fosse tanto grande. Essa è maggiore della differenza tra un animale selvatico e un animale domestico, in quanto nell‟uomo c‟è una maggiore capacità di miglioramento [improvement].” Da affermazioni come questa è evidente che Darwin tendeva a combinare le riflessioni sulle origini animali della specie umana con le sue idee sul “progresso” della società in cui viveva. L‟interesse di Darwin per la specie umana è ben documentato anche quando, negli anni 1838-39, concepisce per la prima volta la teoria della selezione naturale. Allora teneva sui temi antropologici, filosofici e religiosi una serie di appunti in quaderni separati dai quaderni dedicati al “problema delle specie”. Alcuni frammenti tratti da quei quaderni confermano che per Darwin gli animali e l‟uomo occupavano uno “spazio continuo”, come esigeva ormai la sua concezione evoluzionistica del vivente. Ecco per esempio come paragonava il “libero arbitrio” [la capacità di scegliere senza essere condizionati da una stretta necessità] di un bambino con quello degli animali: “Per quanto concerne il libero arbitrio, osservando un bambino giocare non si può dubitare che egli ne sia dotato. E così è per tutti gli animali, e dunque anche per un‟ostrica e un polipo (e in qualche caso forse anche per una pianta, sebbene non avvertendo dolore e piacere le sue azioni siano inevitabili e modificabili solo col mutare delle abitudini). Ora si può immaginare che il libero arbitrio dell‟ostrica sia un effetto diretto dell‟organizzazione, attraverso la capacità che gli conferiscono i suoi sensi di avvertire dolori e piaceri. Se le cose stanno così il libero arbitrio è per la mente ciò che il caso è per la materia.” C‟è in affermazioni come queste l‟eco di una filosofia empirista e anti-idealistica che si mescolava con il punto di vista evoluzionistico, che Darwin stava adottando anche per spiegare le origini dell‟uomo. Si vedano anche affermazioni come queste: “Platone… sostiene nel Fedone che le „idee dell‟immaginazione‟ derivano dalla preesistenza dell‟anima: leggi scimmie al posto di preesistenza.” “Che gli uomini abbiano alcuni istinti come quelli della vendetta o della rabbia che… devono essere da lui controllati per il raggiungimento della felicità non è affatto strano: se egli fosse dotato di un intelletto inferiore, quegli istinti potrebbero essere necessari… La mente dell‟uomo non è più perfetta degli istinti degli animali rispetto alle mutevoli contingenze o rispetto al corpo di cui gli uni e gli altri sono dotati. La nostra discendenza [dalle scimmie] è all’origine delle nostre passioni cattive!! Il Diavolo nelle vesti di babbuino è nostro nonno!” Su temi del genere, si è detto, Darwin mantiene in pubblico il più assoluto silenzio fino al 1871. E‟ una forma di autocensura che egli giudica opportuna per prevenire o ridurre per quanto possibile l‟opposizione di parte religiosa alla sua teoria dell‟evoluzione. Nell‟Origine delle specie del 1859 Darwin, in effetti, citava una sola volta l‟uomo in una frase conclusiva, in cui accennava soltanto alla possibilità che la teoria dell‟evoluzione un giorno avrebbe gettato luce anche sulle origini della specie umana. In realtà, il pubblico sapeva bene che se si ammetteva una concezione evoluzionistica della vita, difficilmente l‟uomo poteva fare eccezione. Così, nonostante l‟autocensura di Darwin, nei dibattiti pubblici provocati dall‟Origine le implicazioni per la specie umana vennero subito poste all‟ordine del giorno e diventarono oggetto delle discussioni più accese. La ragione di ciò è molto semplice: Mentre la teoria della selezione naturale e i materiali di prova pubblicati da Darwin a partire dal 1859 erano sostanzialmente nuovi, le idee evoluzionistiche erano antiche, circolavano negli ambienti intellettuali radicali fin dalla fine del Settecento e già allora erano state estese a comprendere la specie umana. Per esempio, il nonno di Charles Darwin, Erasmus, ai primi dell‟Ottocento aveva descritto (in versi!) un‟evoluzione che si estendeva “dalla farfalla al re” (Erasmus Darwin giocava sul nome della farfalla monarca e sul monarca in quanto re). Non pochi naturalisti dell‟età dell‟Illuminismo, inoltre, avevano insistito sulle somiglianze di struttura e anatomiche tra l‟uomo e le scimmie. Erasmus Darwin (1731-1802), nonno di Charles, in un dipinto di Wright of Derby. Certo, nei decenni centrali dell‟Ottocento a differenza che ai tempi di Erasmus queste idee radicali sulle origini naturali dell‟uomo erano guardate con sospetto: anche per questo Charles Darwin evitò a lungo di trattarle. Ma quando con l‟Origine rilanciò l‟idea di evoluzione esse riemerso immediatamente nel dibattito pubblico. E qualcuno, a maggior ragione dopo la pubblicazione del libro che Darwin infine pubblicò nel 1871 sull‟Origine dell’uomo provò a rivoltarle, per così dire, contro lo stesso Darwin rappresentandolo così: Dal giornale satirico Hornet, 22 marzo 1871 “L’uomo non è altro che un verme”: una rappresentazione dell’evoluzione - e di Darwin come discendente dai vermi - sul giornale satirico Punch. Darwin sull’origine dell’uomo Nel 1871 dunque, constatato che – dopo il successo dell‟Origine delle specie – la maggior parte dei biologi aveva adottato un punto di vista evoluzionistico, Darwin pubblicò la sua opera sull‟uomo: due volumi per complessive 900 pagine. Darwin vi sosteneva la legittimità di considerare anche le caratteristiche più peculiari della specie umana – la ragione, i sentimenti morali, il sentimento religioso e la vita sociale – da un punto di vista strettamente naturalistico. Per Darwin quelle caratteristiche potevano essere tutte spiegate con un lento processo evolutivo della specie umana a partire dagli animali più antichi. Alla teoria della selezione naturale ora Darwin aggiungeva – per spiegare alcuni tratti particolari, come lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari (per esempio la coda vistosa del pavone), che non sembrano avere rilevanza per la sopravvivenza [confronta il punto 4 della teoria della selezione, nel Modulo 1] – la teoria della selezione sessuale. Secondo questa teoria alcuni caratteri del maschio, irrilevanti per la sopravvivenza, sono il frutto di una scelta compiuta dalle femmine nella ricerca del partner per l‟accoppiamento. Nello stabilire il grado di parentela dell’uomo con le scimmie Darwin ipotizzava, ora anche pubblicamente, un legame molto diretto di discendenza tra la specie umana e le scimmie dette catarrine (vedi in proposito: http://it.wikipedia.org/wiki/Catarrhini) Un piccolo di scimmia catarrina Con questo Darwin dava voce probabilmente anche alla sua adesione, privata ma sempre più netta con il passare degli anni, a favore di un sostanziale ateismo; un atteggiamento che preferiva comunque definire in pubblico agnostico. Darwin, in ogni caso, restò sempre contrario a un’esplicita propaganda antireligiosa ed evitò di dare un sostegno pubblico ai molti suoi segnaci che si impegnavano invece in quel tipo di propaganda, assai diffusa negli ultimi decenni dell‟Ottocento. La questione della stretta parentela tra l‟uomo e gli animali diventò il filo conduttore dominante nelle ricerche di molti evoluzionisti nella seconda metà dell‟Ottocento. Darwin stesso aveva insistito su questo tema pubblicando nell‟Origine dell’uomo tavole come la seguente, che stabilivano un confronto diretto tra l‟embrione umano (sopra) e l‟embrione di un cane (sotto): Molti seguaci di Darwin poi credevano – a differenza di Darwin [si ricordi quanto è stato detto nel Modulo 3 a proposito del “caso” nella teoria darwiniana] – che gli studi sull‟evoluzione potessero offrire una ricostruzione completa della storia della vita sulla terra. Chi nutriva questa fiducia, a rigore non darwiniana, si impegnò nella costruzione di “alberi genealogici” comprendenti tutte le forme di vita, come questo famoso albero di Ernst Haeckel (1874): In questa rappresentazione di Haeckel è bene notare che la specie umana non discende direttamente dalle scimmie, ma da un tronco o antenato che ha in comune con le scimmie. Gli alberi genealogici della vita – dai monera [oggi chiamati procarioti: animaletti formati da una sola cellula priva di nucleo] all‟uomo – proposti da alcuni evoluzionisti verso la fine dell‟Ottocento, ebbero molto successo tra il pubblico, probabilmente perché offrivano una “genealogia naturale” dell‟uomo che poteva facilmente essere contrapposta alla creazione divina della tradizione religiosa. Tuttavia, curiosamente (ma non troppo?), in alberi genealogici come questo l‟uomo si trovava comunque “in cima all‟evoluzione”, come nella tradizione giudaico-cristiana si trovava “in cima al creato”. Anche i laici, a quanto pare, avevano qualche messaggio edificante da far passare a proposito dell‟uomo: il messaggio perlopiù era quello del progresso, che secondo molti di loro era “scritto nelle leggi della natura” ed era nelle mani dell‟uomo, anziché di Dio. Naturalmente tutto ciò alimentava non poche ambiguità a proposito dei rapporti tra scienza e religione e polemiche tra gli stessi evoluzionisti. Obiettivo 2 del corso Come viene rappresentato l‟albero genealogico della specie umana oggi? Oggi, si direbbe, gli scienziati preferiscono mettere in evidenza insieme alle loro conoscenze anche i dubbi, i punti interrogativi che restano quando tentiamo di ricostruire una genealogia completa della specie umana. Ecco per esempio come rappresenta la situazione un grande museo di storia naturale americano: http://humanorigins.si.edu/evidence/human-fossils/species/human-family-tree L‟”albero” ha in parte uno sviluppo orizzontale, oltre che verticale, il che ridimensiona i possibili equivoci generati dalla rappresentazione di alcune forme come “più alte” di altre. Cliccando sui diversi “antenati” otterrete una descrizione dettagliata delle incertezze che rimangono, oltre che delle conoscenze che abbiamo. Troverete anche immagini e informazioni sui reperti più interessanti che documentano la nostra storia evolutiva. In questa ricostruzione divulgativa si trova, da due anni circa, un antenato la cui scoperta, nel 2004, aveva scatenato accese controversie tra gli esperti. Si tratta del piccolo “Homo floresiensis, soprannominato “hobbit”: un metro di altezza, un cervello incredibilmente piccolo, capace però di modellare strumenti e vivo ancora “appena” 17.000 anni fa, e quindi vissuto insieme ai Neanderthal e a Homo sapiens. Solo due aani fa circa si è raggiunto il consenso tra gli esperti per includerlo nel nostro albero genealogico. Qualcuno pensava che si trattasse di un caso di malformazione eccezionale di pochi individui: la stessa cosa che un secolo fa alcuni pensavano dei Neanderthal. Negli ultimi anni su alcune prestigiose riviste scientifiche sono stati pubblicati articoli che affermano che dovremmo davvero accettare Homo floresiensis come una specie e includerlo in qualche modo nel nostro albero genealogico. Ma dove e come esattamente? Homo floresiensis (scoperto nel 2003, annunciato nel 2004, negli ultimi anni si è ammesso che rappresenta una specie a sé e che appartiene all’albero genealogico degli umani) Ricostruzione di Homo floresiensis, da http://humanorigins.si.edu/resources/multimedia/image/ihomo-floresiensii-femalereconstruction-based-lb-1-john-gurche-human-ori Homo floresiensis. Di fianco e sotto: ricostruzioni, frammenti, confronti. Qualche anno fa la possibile collocazione del Floresiensis come specie a sé stante era ipotizzata in questo “albero genealogico” degli ominidi: Qui Floresiensis è rappresentato come un discendente dell‟Erectus sopravissuto eccezionalmente fino a diventare contemporaneo del Neanderthalensis e del Sapiens. Notate le differenze tra questo “albero” recente della specie umana e quello di tutte le forme di vita proposto da Haeckel a fine Ottocento. La grande quercia a sviluppo verticale (= progresso?) di Haeckel ha lasciato il posto a un cespuglio, che combina un notevole sviluppo orizzontale con uno sviluppo verticale. In effetti, se mettiamo Homo floresiensis tra i nostri antenati dobbiamo ripensare radicalmente i modi e i tempi dell’evoluzione che ci riguarda. Homo floresiensis, si è detto, aveva, appena 17.000 anni fa, caratteristiche molto “primitive” (un metro di altezza, un cervello molto piccolo …) che prima del 2004 attribuivamo a ominidi vissuti più di tre milioni di anni fa, come la famosa Lucy, o Homo afarensis (qui sotto). Su Lucy: http://it.wikipedia.org/wiki/Australopithecus_afarensis e http://en.wikipedia.org/wiki/Lucy_%28Australopithecus%29 e http://it.wikipedia.org/wiki/Lucy_%28ominide%29 Eppure, Homo floresiensis - a quanto pare - produceva strumenti che ritenevamo associati a un cervello di dimensioni molto più grandi. Nel 2007-8, tuttavia, erano stati pubblicati studi che affermavano – a proposito di Floresiensis – la tesi del “cretinismo” di pochi individui colpiti da qualche malattia, che non andrebbero considerati dunque come rappresentanti di una specie nostra antenata (Nature, 6 March 2008, p.12). Dai rapporti su questi studi emerge tra l‟altro che chi ha pubblicato su questi temi non ha sempre potuto lavorare sui resti originali di cui si discute, ma soltanto su dei calchi. I resti autentici ritrovati nell‟Isola di Flores sarebbero riconducibili ad appena nove o dodici individui, di cui si conosce finora un solo cranio. Come Darwin comprese bene lavorando a Londra tra gli esperti sulla questione delle specie tra il 1836 e il 1838, nella identificazione delle specie vi erano sempre – e ci sono ancora oggi! – molti dubbi. Altre sorprese e dubbi sono venuti nel 2010 da dei nuovi studi sui Neanderthal. Ricostruzione di un uomo di Neanderthal, da http://humanorigins.si.edu/resources/multimedia/image/ihomo-neanderthalensisi-adult-malereconstruction-based-shanidar-1-john-g Nel 2010 è stata smentita un‟altra convinzione che aveva resistito a lungo a proposito delle origini dell‟uomo. Si credeva che i Neanderthal non si fossero mai incrociati con i Sapiens. Il completamento di una mappa genomica ottenuta dai resti di tre Neanderthal, nel maggio del 2010, sembra dimostrare che alcuni gruppi della nostra specie hanno avuto dei Neanderthal tra i loro diretti antenati. Ecco come si può rappresentare questa nuova ipotesi: http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/8660940.stm L‟autore della nuova ricerca – Svante Paabo - con un teschio di Neanderthal: http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/8660940.stm Che ci piaccia o no, incertezze, dubbi, ipotesi rischiose e smentite clamorose – come sottolineava Feynman nel motto proposto per questo corso – sono davvero il pane quotidiano della scienza. ___________