QE Definizione
http://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/quantitative-easing.html
Il Quantitative easing (Qe) è una politica monetaria non convenzionale con cui una banca centrale mira a
rilanciare l'economia. La banca centrale acquista sul mercato titoli di vario tipo (generalmente titoli di
stato, ma non solo) stampando moneta. Questa politica da un lato ha l'effetto di tenere bassi i tassi
d'interesse, dall'altro lato inietta sul mercato una grande massa di liquidità a basso costo.
QE (Facoltativo)
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2015-01-27/the-lemmings-of-qe-174414.shtml?uuid=ABLIsskC
Predictably, the European Central Bank has joined the world's other major monetary authorities in the greatest
experiment in the history of central banking. By now, the pattern is all too familiar. First, central banks take the
conventional policy rate down to the dreaded “zero bound.” Facing continued economic weakness, but having run out
of conventional tools, they then embrace the unconventional approach of quantitative easing (QE).
The theory behind this strategy is simple: Unable to cut the price of credit further, central banks shift their focus to
expanding its quantity. The implicit argument is that this move from price to quantity adjustments is the functional
equivalent of additional monetary-policy easing. Thus, even at the zero bound of nominal interest rates, it is argued,
central banks still have weapons in their arsenal.
QE Funziona? http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-22/ecco-perche-qe-funzionama-non-come-usa-075322.shtml?uuid=ABNGD2hC
Con il «Quantitative easing» la banca centrale fa una cosa semplicissima: stampa moneta e con i
soldi “nuovi” compra sul mercato finanziario titoli di Stato (o di altro tipo). Il primo effetto di
questa manovra è sul cambio: più si stampa moneta, infatti, più la valuta si deprezza. 1Questo
effetto in Europa c'è in gran parte già stato, perché il mercato si è mosso in anticipo sulla Bce:
l'euro dallo scorso giugno ha infatti perso il 16% sul dollaro e il 7,8% sulle valute dei 19 maggiori
partner commerciali dell'Europa. La svalutazione offre un indubbio sostegno all'export Ue. Anche
per un Paese come l'Italia, il cui Pil è prodotto per il 30% proprio dalle esportazioni e che ha un
importante settore turistico.
L'altro effetto positivo, in parte già registrato perché il mercato finanziario si è mosso d'anticipo, è
sui tassi d'interesse. Se la Bce compra titoli di Stato, è ovvio che questi possono pagare interessi
sempre più bassi. Proprio in attesa del «bazooka» molti titoli di Stato europei hanno addirittura
schiacciato i rendimenti sotto zero: calcola Bofa Merrill Lynch che in Europa siano in negativo titoli
per 1.200 miliardi di euro. Anche i BTp italiani hanno i rendimenti ai minimi storici. Possibile che
ora i loro tassi risalgano un po' (come accadde negli Usa), ma il beneficio per gli Stati è - e resta indubbio. Purtroppo è in gran parte annullato, in termini reali, dalla bassa inflazione, ma il «Qe» ha
proprio l'obiettivo di farla risalire.
Se si ridimensionano i titoli di Stato, l'effetto è di far calare sui mercati finanziari anche i
rendimenti delle altre obbligazioni: quelle bancarie e aziendali (perché competono con i titoli di
1
SI VEDA APPENDICE
Stato per attrarre i risparmiatori). Il beneficio, dunque, arriva anche a loro. E, insieme a tutto
questo, si riducono altri tassi d'interesse: qualche giorno fa l'Euribor2 (l’Euribor è il tasso di
interesse sui prestiti interbancari non garantiti, fornito da un panel di banche) a un mese è
addirittura sceso sotto zero e quello trimestrale (su cui sono indicizzati i mutui di molte persone) è
intorno allo zero. Questo dà una mano a chi ha le rate del mutuo da pagare ogni mese e, dunque,
all'economia.
La notizia: il piano anticrisi della BCE (Draghi)
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-23/piano-anti-crisi-ad-ampio-raggio063646.shtml?uuid=ABNscmiC
1 Le quantità in gioco
La Bce ha promesso quindi di ampliare gli acquisti, finora non quantificati, fino a 60 miliardi al
mese per un periodo che va da inizio marzo a fine settembre 2016.
Il programma sarà però interrotto solo quando «vedremo una sostenuta correzione nella tendenza
dell’inflazione che sia coerente con il nostro obiettivo di ottenere un’inflazione al di sotto ma
vicino al 2% nel breve termine». È questo l’aspetto che più ha impressionato i mercati: la Bce è
pronta ad ampliare durata e quantità degli acquisti se questi passi risultassero necessari a
raggiungere l’obiettivo del 2%, che riacquista dunque la sua centralità perduta, o almeno
appannata da altre valutazioni (come quella di “lanciare i messaggi giusti” a banche e governi).
Sono previsti anche altri vincoli.
(L’obiettivo del 2%:
https://www.ecb.europa.eu/ecb/educational/facts/monpol/html/mp_002.it.html
https://www.ecb.europa.eu/ecb/educational/facts/shared/img/slides//slide_mp_002.it.png)
Per ogni emittente, per esempio lo Stato italiano, è previsto un limite del 33% dei titoli
emessi (la Bank of England nel suo quantitative easing ha acquistato il 30% dei Gilt britannici) e per
ogni emissione un tetto del 25%.
2 I titoli acquistabili
La Bce acquisterà titoli privati, pubblici e sovranazionali purché in euro ed emessi da agenzie di
Eurolandia. A questi ultimi è destinato il 12% degli acquisti. Per quanto riguarda i titoli di Stato, ai
2
Euribor is short for Euro Interbank Offered Rate. The Euribor rates are based on the interest rates at which a a panel
of European banks borrow funds from one another. Euribor and LIBOR are comparable base rates. Euribor is the
average interbank interest rate at which European banks are prepared to lend to one another. LIBOR is the average
interbank interest rate at which a selection of banks on the London money market are prepared to lend to one
another.
quali secondo Citigroup saranno destinati circa 43 miliardi al mese, saranno acquistati in quantità
proporzionali alle quote di capitale detenute dai singoli Stati dell’Unione monetaria nella Bce.
3 La divisione dei rischi
La Bce, ha spiegato Draghi, ha come principio base la condivisione dei rischi, che ha spesso trovato
ampie eccezioni. Anche in questo caso. Per venire incontro alle preoccupazioni, un po’ ipotetiche,
dei critici, e in particolare della Bundesbank, le eventuali perdite sui bond acquistati ricadranno
sulle singole banche centrali nazionali.
4 Le altre misure
Gli acquisti di titoli, il quantitative easing, non sono l’unica decisione presa ieri dalla Banca centrale
europea, che ha mantenuto invariato il tasso di riferimento allo 0,05%, ma ha abbassato quello applicato
alle Tltro, le aste triennali di liquidità finalizzate ai prestiti per le aziende non finanziarie: a queste
operazioni, che hanno cadenza trimestrale, sarà applicato lo stesso tasso principale dello 0,5%, senza la
maggiorazione dello 0,10% (allo 0,15%) prevista finora. Le due Tltro effettuate nel 2014 hanno un po’
deluso per la limitata partecipazione delle banche, mentre troveranno ora negli acquisti di titoli una forte
concorrenza come fonte di liquidità. Restano in piedi inoltre tutti gli altri programmi della Bce: a cominciare
dagli Omt, varati e mai lanciati: sono acquisti di titoli chiesti dai governi di Stati in difficoltà che si
impegnano a rispettare rigorose condizioni. Per le Omt i rischi saranno, per la stessa natura dell’intervento,
totalmente condivisi.
5 Verso l’economia reale
Gli acquisti di titoli della Bce continueranno a essere definiti, come è già avvenuto con quelli della
Fed, un quantitative easing. A rigore la Bce punta soprattutto su un credit easing, a rendere
letteralmente più facile il credito. Tecnicamente è un «effetto di riequilibrio di portafoglio»: in
sostanza la Bce acquista i titoli dalle banche che in cambio ricevono liquidità. Con questo denaro
possono ridurre i debiti, possono accendere depositi alla Bce - pagando gli interessi, ora negativi oppure, con maggiore profitto, possono investirli ancora. I titoli finanziari, a quel punto, offriranno
rendimenti molto bassi. Si spera quindi che le banche si dedichino ai prestiti alle aziende, magari
redistribuendo la liquidità - Draghi ne ha fatto un accenno in conferenza stampa - all’interno di
Eurolandia con operazioni “all’estero”. Le aumentate dimensioni del bilancio Bce dovrebbero
inoltre, di per sé, aumentare le aspettative di inflazione, oggi davvero basse. Non mancherà infine
- i mercati ieri lo hanno ricordato - un effetto anche sull’euro, complice anche la stretta in arrivo
negli Stati Uniti.
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-24/il-bazooka-puo-creare-l-embrioneeurobond-094757.shtml?rlabs=3
Profilo economico. Da questo punto di vista la domanda principale è se il Qe rilancerà la crescita
economica e l’occupazione. Tutti speriamo che la sequenza degli eventi sia quella che sottotraccia ha
indicato Draghi. Ovvero che l’acquisto di titoli di Stato sotto la direzione del Sistema europeo di Banche
centrali e con il rischio per l’80% gravante su ogni singola banca centrale nazionale, dovrebbe liberare
risorse presso le banche commerciali che in tal modo dovrebbero aumentare il credito a economia, imprese
e famiglie. A tal fine dovrebbe contribuire anche la riduzione dello spread applicato alle prossime sei
immissioni di liquidità previste nel programma (Tltro*) di prestiti alle banche a condizione che le stesse li
girano all’economia. Draghi nella sua presentazione ha fatto una valutazione complessiva della situazione
economica dell’Eurozona rilevando come il miglioramento delle condizioni di finanziamento dell’economia
con una prospettiva temporale lunga, il basso prezzo del petrolio e la ripresa dell’economia mondiale
dovrebbero favorire la ripresa europea che tuttavia sconta ancora la necessità di aggiustamenti fiscali e
strutturali nei singoli Paesi con riferimento ai quali non ci devono essere rallentamenti.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-24/bce-confindustria-qe-aumento-pil-dell-18percento2015-2016-113252.shtml?rlabs=1
Il quantitative easing recentemente annunciato dalla Bce si tradurrà per l'Italia in un aumento del Pil dell'1,8%
nell'arco di due anni: +0,8% nel 2015 e +1% nel 2016. È quanto stima il Centro studi di Confindustria, che calcola
la spinta complessiva alla crescita che deriverà da minori tassi e cambio più debole. CsC aggiunge che per le
imprese ci sarà un risparmio di 3,2 miliardi sugli interessi per le imprese. «L'acquisto di titoli per 1.140 miliardi di
euro varato dalla Bce - spiega il Centro studi di Confindustria - determina una riduzione di 1,1 punti dei tassi a
lunga e causa una svalutazione dell'11,4% nel tasso di cambio della moneta unica. Parte di questi effetti sono già
stati anticipati dai mercati, perciò le ricadute su Pil e conti delle imprese saranno più rapide».
Spinta alla crescita da minori tassi e cambio più debole
I calcoli del centro studi Confindustria si riferiscono al biennio 2015-2016 durante il quale sarà attivo il
meccanismo di `Qe´. L'ampiezza del `Qe´, in base alle elaborazioni del Csc, «è tale da diminuire i tassi reali sui
titoli a lungo termine di 109 punti base». «Parte di tale ribasso è stata già realizzata dai mercati in vista proprio
della decisione Bce», si legge ancora nello studio, «inoltre, il `Qe´ produce un indebolimento del tasso di cambio
effettivo dell'euro, che il Csc quantifica dell'11,4%, anch'esso in parte già avvenuto».
Per ulteriori approfondimenti
http://www.lavoce.info/wp-content/uploads/2015/01/Dossier_Quantitative-Easing_UPDATED.pdf
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-24/e-se-fosse-atene-salvare-l-euro-092053.shtml?rlabs=2
Appendice Tassi di interesse e tassi di cambio
Tasso di cambio Nominale. E Prezzo estero della valuta nazionale. Esempio cambio nominale euro-dollaro=prezzo in
dollari dell’euro= numero di dollari necessari a comprare un euro es E= 1.50
Quando gli investitori devono scegliere fra titoli nazionali e esteri considerano due variabili: i rendimenti dei titoli
(tasso di interesse) e le aspettative sui tassi di cambio.
L’equazione di arbitraggio è: it= it* -[(Eet+1-Et)/Et] dove
it= tasso di interesse nominale nazionale
it* =tasso di interesse nominale estero
Et = tasso di cambio nominale al tempo t
Eet+1- =tasso di cambio nominale atteso nel periodo successivo E= 1.1
[(Eet+1-Et)/Et] è il tasso di apprezzamento (se il valore è negativo “deprezzamento”) atteso. Per se i mercati si
aspettano che il prezzo dell’euro in dollari passi da 1.50 a 1.20 il valore fra parentesi è negativo
Il significato dell’equazione è che sono indifferente fra acquistare un titolo denominato in euro o in dollari se il tasso
di interesse (rendimento) di area euro è uguale al rendimento dei titoli denominati in dollari (i*) meno
l’apprezzamento (o più il deprezzamento) atteso. Cioè se mi aspetto che nel periodo successivo l’euro valga di meno
acquisto titoli in Euro se il loro rendimento è maggiore del rendimento dei titoli in dollari. Se non ci sono aspettative
di apprezzamento o deprezzamento sono indifferente fra acquistare titoli in euro o dollari a parità di rendimenti
nominali
it= it*
se Eet+1=Et
Dall’equazione di arbitraggio discende che la relazione tra tasso di cambio nominale e tasso di interesse nazionale è
crescente. Cioè maggiore il tasso di interesse maggiore è il tasso di cambio. Ovvero a tassi elevati nell’area euro
corrisponde un Euro “forte”
LETTURA FACOLTATIVA (critica) SU Grecia e Euro “E
se fosse Atene a salvare l’euro?”
di Adriana Cerretelli con un reportage di Mariano Maugeri
E se un giorno, tra quattro o cinque anni, si scoprisse che alla fine è stata la Grecia a salvare l’euro, che la bestia
nera del club dei ciechi virtuosi è riuscita a farli rinsavire?
Ed è riuscita a farli rinsavire, con un bagno nella realtà purificata da troppa dottrina ideologica, convertendoli
alla logica di una governance flessibile e pragmatica?
L’interrogativo può suonare paradossale proprio quando nell’Eurozona riemerge la minaccia Grexit, cioè l’ipotesi
che il paese possa presto essere messo alla porta, invitato a lasciare la moneta unica o provocato al punto di
convincersi a farlo da solo. Può sembrare anche una provocazione e un po’ lo è. Ma forse meno di quanto non
appaia a prima vista.
Dopo sei anni di crisi che non passa, con l’Eurozona stremata da una crescita al lumicino regolarmente
ridimensionata dalla varie previsioni internazionali, da una disoccupazione che investe 26 milioni di persone
eguagliando la somma della popolazione di Belgio e Olanda, dalla deflazione con la caduta media dei prezzi dello
0,2% in dicembre per la prima volta dal 2009, dall’euroscetticismo che avanza dovunque minando la tenuta dei
partiti tradizionali e la stabilità dei Governi.
Dopo questa lunga prova provata che la politica fin qui seguita ha abbattuto il deficit medio (2,3%) ma non il
debito (95%) penalizzando comunque seriamente lo sviluppo, non è affatto escluso che proprio dalle imminenti
elezioni ad Atene arrivi lo shock politico capace di imprimere una sterzata costruttiva alla governance europea,
oggi in mezzo al guado.
La Grecia, che rappresenta il 2% del Pil euro e il 3% del suo debito, è stata il principio e al tempo stesso il
paradigma della crisi diventata presto contagiosa perchè il paese si è trasformato nel laboratorio di una
governance europea improvvisata, ideologizzata, devastante nei fatti e quindi insostenibile in termini politici,
sociali ed economici.
La troika ne ha applicato le direttive diventando l’incubo dell’Eurozona, il moloch anti-democratico da
combattere e distruggere. I dati dicono che in 5 anni la Grecia ha perso il 25% del Pil, ha visto salire i disoccupati
al 25%, i giovani al 55% insieme alla fuga massiccia di cervelli (150.000 persone). Però il debito, che doveva
scendere, è schizzato dal 125 a quasi il 180%. «Nemmeno dopo la guerra avevamo vissuto una simile
recessione» denuncia Dimitrios Papadimoulis, sinistra radicale, vicepresidente dell’Europarlamento.
Per questo di fatto è l’Europa il grande elettore di Syriza, l’Europa che ha sconfitto l’attuale Governo di centrodestra negandogli le concessioni che presto sarà costretto a fare al suo successore. Il partito di Alexis Tsipras, in
testa ai sondaggi promettendo la fine dell’austerità e il rinegoziato sul debito, è il figlio naturale di questi errori
molto più che la creatura riuscita di un abile populista. A riprova, tuttora quasi l’80% dei greci resta favorevole
alla moneta unica.
Di fronte all’evidenza dei problemi scatenati più che risolti in Grecia, il primo riflesso di un’Eurozona sempre più
dominata dalla cultura nordico- tedesca è stato lo stesso emerso all’inizio della crisi: scorciatoia Grexit.
Ma Grexit è molto più facile da dire che da fare: non trova basi legali nei Trattati Ue, quindi l’espulsione è
impossibile se l’interessato non condivide. Peggio, provocherebbe un effetto domino molto simile a quello che in
passato ha propagato il contagio ellenico in tutta l’Eurozona, scatenando un attacco speculativo in grande stile
sul debito sovrano. E relativa destabilizzazione dell’euro, tuttora irrisolta.
Oggi, si ripete, il pericolo è più contenuto: le banche tedesche e francesi, allora sovra-esposte ad Atene, non
corrono più grossi rischi. Il debito ellenico è più pubblico che privato. Però il potenziale di destabilizzazione
politica dell’area è intatto, in parte inesplorato e per questo anche più insidioso.
I partiti euro-scettici, nazionalisti, populisti o comunque alla ricerca di un’altra Europa, proliferano nell’Unione.
Quest’anno, tra regionali e nazionali, ci saranno elezioni in 7 paesi dell’euro su 19. In Spagna, Francia, Olanda i
partiti anti-sistema sono in cima ai consensi popolari. Ma anche in Portogallo e Finlandia le contestazioni sono
molto forti.
Grexit dunque farebbe subito volonterosi proseliti. E direbbe ai mercati che la moneta unica non è irreversibile,
la politica del ”whatever il takes” del presidente della Bce, Mario Draghi, non è più credibile e il suo quantative
easing vano. Isolando la Grecia invece di stemperarne i problemi con un negoziato europeo, si suonerebbe di
fatto una nuova carica per la speculazione galvanizzata dal rischio-sfascio. Senza contare che un suo default
costringerebbe i Governi dell’euro, che finora hanno puntellato il paese sborsando essenzialmente garanzie, a
coprirle con denaro vero dei contribuenti.
Nasce da qui, dalla constatazione che dall’euro non si può tornare indietro a meno di non essere disposti, tutti
senza eccezione, a pagare il salatissimo prezzo del disastro collettivo, la speranza di una svolta intelligente nella
governance dell’Eurozona.
Il programma Juncker di investimenti da 315 miliardi di euro in 3 anni per rilanciare la crescita e, soprattutto,
l’iniezione di flessibilità interpretativa nell’applicazione del patto di stabilità sono segnali concreti di realismo:
non significano sconfessione ma ragionevole allentamento delle politiche di rigore, dosi più limitate e tempi più
lunghi, per renderle sostenibili. E utilizzo degli “sconti” per accelerare le riforme, cioè la modernizzazione
dell'economia europea in perdita di competitività mondiale.
Significano invece che Francia e Italia, seconda e terza economia dell’euro, in marzo non saranno sanzionate per
i loro ritardi. Evitando così una crisi politica dal potenziale ben più dirompente di quella greca.
Naturalmente per poter funzionare e scongiurare il peggio, l’implosione dell’euro, la nuova politica di Juncker ha
bisogno della collaborazione di tutti gli attori della partita: sia della serietà dei Governi che devono fare riforme e
risanamenti veri sia del senso di responsabilità di quelli che, a dispetto delle loro virtù, non riescono più a
crescere quanto dovrebbero e quindi dovrebbero avere interesse a un’Europa più convergente, dinamica e
risanata.
Nella nuova logica ispirata da due campioni di realismo come Juncker e Draghi e imposta da una realtà politica
ed economica europea che non si può continuare a ignorare, le rivendicazioni greche andranno accolte quel
tanto che basta a disinnescare una crisi che non conviene a nessuno. Per questo, dopo essere stata a lungo il
problema, la Grecia potrebbe un giorno ritrovarsi attribuito un po’ di merito per la soluzione dei troppi problemi
dell’euro ancora aperti.
24 gennaio 2015