R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 8239 del 2008, proposto da Azienda
Agricola Silvano Dalla Libera, rappresentato e difeso dall'avv. Gabriele Pirocchi,
con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, via Salaria, n. 280;
contro
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO – ROMA, sez. II-ter, n. 2893/2008.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2009 il Cons. Rosanna De
Nictolis e uditi per le parti l’avvocato Pirocchi e l’avvocato dello Stato Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’Azienda agricola odierna appellante chiedeva al Ministero delle politiche
agricole, alimentari e forestali l’autorizzazione alla messa in coltura di varietà di
mais geneticamente modificate iscritte nel catalogo comune europeo.
Stante l’inerzia dell’Amministrazione, l’Azienda con nota del 10 marzo 2007
notificava atto di diffida e messa in mora.
Con la nota 18 aprile 2007 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali, in persona del capo del dipartimento delle politiche di sviluppo, ha
comunicato di “non poter procedere all’istruttoria della richiesta di autorizzazione
nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, delle norme idonee a garantire la
coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche (piani regionali),
come previsto anche dalla circolare MiPAAF del 31/03/2006”.
2. Con il ricorso di primo grado è stata impugnata detta nota, nonché tutti gli atti
prodromici ivi compresa la circolare ministeriale del 31 marzo 2006.
Si lamentava:
1) illegittimità del provvedimento di diniego e a monte della disciplina legislativa
nazionale, nella parte in cui subordina ad autorizzazione l’utilizzo di sementi
geneticamente modificate che sono già state autorizzate a livello comunitario e
iscritte nel catalogo comune;
2) illegittimità del provvedimento e della disciplina legislativa nazionale, nella parte
in cui estende agli aspetti sanitari e ambientali le valutazioni relative
all’autorizzazione all’immissione in commercio di sementi geneticamente
modificate, che attengono alla materia della coesistenza;
3) violazione del diritto comunitario sotto il profilo che vi sarebbe
nell’ordinamento italiano un divieto di utilizzo di OGM assunto in violazione degli
obblighi comunitari, non essendo stato previamente notificato alla Commissione
CE;
4) illegittimità del diniego di autorizzazione nella parte in cui si subordina il rilascio
dell’autorizzazione alla previa adozione dei piani regionali di coesistenza; solo
poche Regioni hanno avviato l’iter di approvazione delle norme di attuazione del
principio di coesistenza, restando le altre inerti; alcune leggi regionali reiterano
divieti assoluti di impiego di OGM in agricoltura in contrasto con il diritto
comunitario; tali leggi mal interpretano il principio di coesistenza che atterrebbe ad
aspetti economici e non a quelli socio-sanitari.
Il ricorso di primo grado si conclude con la richiesta di annullamento dell’atto
impugnato e di risarcimento del danno per non aver potuto coltivare sementi
geneticamente modificate nell’anno 2007.
3. Il Tar adito (Tar Lazio – Roma, sez. II-ter), con la sentenza 7 aprile 2008 n. 2893
ha dichiarato il ricorso inammissibile per mancata notificazione ad almeno un
controinteressato, dovendosi intendere per tali le Regioni a cui si imputa di non
aver adottato i piani di coesistenza.
4. Ha proposto appello l’originaria ricorrente, osservando che le Regioni non
possono essere considerate controinteressate, perché non si può ipotizzare che una
pubblica Amministrazione abbia un legittimo interesse alla mancata attuazione di
norme comunitarie. Inoltre il procedimento autorizzatorio è di esclusiva
competenza statale, in quanto il principio di coesistenza attiene ad aspetti
esclusivamente commerciali.
Nel merito, vengono riproposte le censure di cui al ricorso di primo grado.
5. Il Consiglio di Stato, con ordinanza 18 novembre 2008 n. 6132, ha chiesto
chiarimenti al Ministero, forniti con nota depositata il 2 gennaio 2009.
6. Il mezzo di appello con cui si contesta la declaratoria di inammissibilità del
ricorso di primo grado è fondato.
Il procedimento autorizzatorio è di esclusiva competenza statale, e le Regioni non
intervengono in esso né come amministrazioni competenti, né come destinatarie di
comunicazioni o informative.
Le Regioni non possono pertanto essere considerate né nella veste di
amministrazioni resistenti né nella veste di controinteressati.
Né si possono qualificare le Regioni come controinteressate in base all’assunto che
avrebbero interesse al mancato rilascio delle autorizzazioni alla coltivazione di
OGM nelle more dell’adozione dei piani di coesistenza, perché si tratterebbe di un
interesse illegittimo, in contrasto con le direttive comunitarie in materia, e dunque
di un interesse di mero fatto che non le fa assurgere al rango di controinteressati.
7. Occorre pertanto passare all’esame nel merito del ricorso di primo grado.
Giova in diritto considerare che la direttiva 2001/18/CE costituisce il testo
normativo fondamentale, in punto sia di “immissione in commercio” di OGM
(tale essendo, ai sensi dell'art. 2, comma 1, numero 2, di detta direttiva «un
organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato
in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la
ricombinazione genetica naturale»), sia di “emissione deliberata” di OGM
nell'ambiente.
Tali nozioni, benché distinte e fondate su separate previsioni normative sono nel
loro insieme sufficientemente ampie per ricomprendervi ogni fase dell'impiego di
OGM in agricoltura, una volta superate le complesse fasi di autorizzazione previste
dalla medesima direttiva: tali procedure comportano una penetrante valutazione,
caso per caso, degli eventuali rischi per l'ambiente e la salute umana, connessi
all'immissione in commercio, ovvero anche all'emissione di ciascun OGM ai fini
dell'uso agricolo.
Le originarie disposizioni in tema di coltivazione degli OGM sono state specificate
dalla decisione della Commissione n. 2002/623/CE del 24 luglio 2002 (recante
note orientative ad integrazione dell'Allegato II della direttiva 2001/18/CE) che ha
ulteriormente arricchito i criteri cui attenersi per la valutazione del rischio
ambientale, anche con particolare ed espresso riferimento alle “pratiche agricole”.
Sulla base di tali presupposti, il regolamento n. 1829/2003 del 22 settembre 2003
(Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli alimenti ed ai
mangimi geneticamente modificati), disciplinando con analoghe forme di tutela il
regime degli alimenti geneticamente modificati, ha chiarito (art. 7, comma 5) che
«l'autorizzazione concessa secondo la procedura […] è valida in tutta la Comunità»,
ed ha introdotto nel corpo della direttiva 2001/18/CE l'art. 26 bis, secondo il
quale «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la
presenza involontaria di OGM in altri prodotti». Questa stessa disposizione si
riferisce espressamente anche alla «coesistenza tra culture transgeniche,
convenzionali ed organiche».
Con ciò si viene a completare il quadro di tutela approntato dalla normativa
comunitaria in tema di OGM a presidio dell'ambiente e della salute.
Su un piano connesso, ma distinto, la raccomandazione 2003/556/CE del 23
luglio 2003 (Raccomandazione della Commissione recante orientamenti per lo
sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra
culture transgeniche, convenzionali e biologiche) disciplina in modo espresso ed
analitico la coesistenza tra culture transgeniche, convenzionali e biologiche
nell'ambito della produzione agricola, ponendo inoltre come sua esplicita premessa
il principio che «nell'Unione europea non deve essere esclusa alcuna forma di
agricoltura, convenzionale, biologica e che si avvale di OGM» (primo
“considerando”).
Tale raccomandazione, muovendo dalla premessa secondo cui “gli aspetti
ambientali e sanitari” connessi alla coltivazione di OGM sono affrontati e risolti
esaustivamente alla luce del regime autorizzatorio disciplinato dalla direttiva
2001/18/CE, circoscrive espressamente il proprio campo applicativo ai soli
“aspetti economici connessi alla commistione tra culture transgeniche e non
transgeniche”, in relazione alle “implicazioni” che l'impiego di OGM può
comportare sulla “organizzazione della produzione agricola” (introduzione,
paragrafo 1.1).
Si tratta di «orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti rivolte
agli Stati membri», il cui campo di applicazione si estende dalla produzione agricola
a livello dell'azienda al primo punto di vendita, ossia “dal seme al silo” (punto 1.5).
Il fatto che l'impiego di OGM autorizzati in agricoltura sia garantito dalla
normativa
comunitaria
ha
trovato
ulteriore
conferma
nella
decisione
2003/653/CE della Commissione europea del 2 settembre 2003 (relativa alle
disposizioni nazionali sul divieto di impiego di organismi geneticamente modificati
nell'Austria superiore, notificate dalla Repubblica d'Austria a norma dell'art. 95,
par. 5, del Trattato CE), con cui, ai sensi dell'art. 95 del Trattato, è stato respinto
un progetto di legge del Land dell'Austria superiore, inteso a vietare in via generale
sul proprio territorio l'utilizzo di OGM, al fine di proteggere i sistemi di
produzione agricola tradizionali. In questa decisione si è affermato che, in presenza
delle disposizioni comunitarie in materia miranti a “ravvicinare la legislazione degli
Stati membri”, questi ultimi non possono impedire la coltivazione delle sementi
OGM autorizzate, ma semmai eventualmente utilizzare la apposita “clausola di
salvaguardia” di cui all'art. 23 della medesima direttiva, peraltro sempre in
riferimento all'impiego di singoli OGM.
Per ciò che riguarda la normativa italiana in questa materia, il decreto legislativo 8
luglio 2003 n. 224, recependo la direttiva 2001/18/CE, pone un'analitica e
complessa disciplina di tutela allo specifico fine di «proteggere la salute umana,
animale e l'ambiente relativamente alle attività di rilascio di organismi
geneticamente modificati» (art. 1, co. 1).
In tale contesto è stato approvato il d.l. n. 279/2004, conv. in l. n. 5/2005, testo
normativo che esplicitamente si dichiara attuativo della raccomandazione
2003/556/CE, al fine di disciplinare il «quadro normativo minimo per la
coesistenza tra le colture transgeniche, e quelle convenzionali e biologiche» ed
esclude, invece, dalla propria area di competenza le colture per fini di ricerca e
sperimentazione autorizzate ai sensi del d.m. 19 gennaio 2005.
Tale decreto legge, come convertito, con modificazioni, dalla legge n.5/2005, detta
una disciplina volta ad assicurare la «coesistenza» tra colture «transgeniche» (art. 1,
comma 1: «escluse quelle per fini di ricerca e sperimentazione, autorizzate ai sensi
del decreto del ministro delle politiche agricole e forestali adottato, d’intesa con il
ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, in base all’art. 8, co. 6, d.lgs. 8
luglio 2003 n. 224»), «biologiche» (che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b,
«adottano metodi di produzione di cui al regolamento (Cee) n. 2092/91 del
consiglio, del 24 giugno 1991») e «convenzionali» («che non rientrano in quelle
definite alle lett. a e b»). Siffatte colture, infatti, devono essere «praticate senza che
l’esercizio di una di esse possa compromettere lo svolgimento delle altre» (art. 2,
comma 1). Ciò al fine di tutelare le peculiarità e le specificità produttive ed evitare
ogni forma di commistione tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e
biologiche (art. 2, comma 2). In particolare, l’introduzione di colture transgeniche
(che, ex art. 1, comma 2, lett. a, «fanno uso di organismi geneticamente modificati,
secondo la definizione di cui all’art. 3, d.lgs. 8 luglio 2003 n. 224») deve avvenire
«senza alcun pregiudizio per le attività agricole preesistenti e senza comportare per
esse l’obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e
allevamento» (art. 2, comma 2 bis).
L’intervento del legislatore italiano fa seguito alla raccomandazione della
Commissione europea del 23 luglio 2003 2003/556, nella quale vengono formulati
gli orientamenti (non vincolanti) concernenti gli aspetti più strettamente economici
della coesistenza. Secondo la Commissione, «gli agricoltori dovrebbero poter
scegliere liberamente quale tipo di coltura praticare, convenzionale, transgenica o
biologica e nessuna di queste forme di agricoltura dovrebbe essere esclusa
nell’Unione europea. [...] La coesistenza si riferisce alla possibilità per i conduttori
agricoli di praticare una scelta tra colture geneticamente modificate, produzione
convenzionale e biologica, nel rispetto degli obblighi regolamentari in materia di
etichettatura o di standard di purezza» (all. raccomandazione 2003/556 Ce, par.
1.1).
Il d.l. n. 279/2004 è stato espressamente adottato «in attuazione della
raccomandazione della Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003» (art. 1),
atto comunitario che disciplina
“[l’]organizzazione della produzione agricola” per gli aspetti “economici”
conseguenti all'utilizzo in agricoltura di OGM ed, invece, estraneo a profili
“ambientali e sanitari”. Si tratta di un atto comunitario che si inserisce in un
preesistente quadro normativo vincolante, relativo alla prevenzione di potenziali
pregiudizi per l'ambiente e la salute umana legati all'impiego di OGM. Inoltre, nel
formulare tale raccomandazione, la Commissione europea muove dal presupposto,
ormai non più controverso nel diritto comunitario, costituito dalla facoltà di
impiego di OGM in agricoltura, purché autorizzati (Corte cost. n. 116/2006).
Per la parte, quindi, che si riferisce al principio di coesistenza e che implicitamente
ribadisce la liceità dell'utilizzazione in agricoltura degli OGM autorizzati a livello
comunitario, il legislatore statale con l'adozione del citato d.l. ha esercitato la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di tutela dell'ambiente (art.
117, secondo comma, lettera s, della Costituzione), nonché quella concorrente in
tema di tutela della salute (art. 117, terzo comma, della Costituzione), con ciò
anche determinando l'abrogazione per incompatibilità dei divieti e delle limitazioni
in tema di coltivazione di OGM che erano contenuti in alcune legislazioni
regionali.
Infatti, la formulazione e specificazione del principio di coesistenza tra colture
transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il punto di sintesi fra i
divergenti interessi, di rilievo costituzionale, costituiti da un lato dalla libertà di
iniziativa economica dell'imprenditore agricolo e dall'altro lato dall' esigenza che
tale libertà non sia esercitata in contrasto con l'utilità sociale, ed in particolare
recando danni sproporzionati all'ambiente e alla salute.
Con la sentenza della Corte costituzionale n. 116/2006 è stata dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, commi 1 e 2, 7 e 8, del citato
d.l., in quanto ritenuti irrispettosi della competenza legislativa regionale in materia
di agricoltura, atteso che disciplinavano l’adozione da parte delle Regioni di piani di
coesistenza, anziché lasciare alle Regioni la competenza a disciplinare con proprie
leggi tali piani. Più in particolare, ad avviso della Consulta, spetta alle Regioni
disciplinare la produzione agricola in presenza anche di colture transgeniche, e
segnatamente “le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi
territori regionali, notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico
e produttivo” (C. cost. n. 116/2006).
Giova sottolineare che la declaratoria di incostituzionalità ha riguardato anche l’art.
8 del citato d.l., che in via transitoria vietava le coltivazioni transgeniche a fini
commerciali nelle more dell’adozione dei piani di coesistenza.
8. Ciò premesso in diritto, in punto di fatto si deve osservare che dalle stesse
deduzioni depositate dall’Amministrazione emerge che non è contestato che le
varietà di mais geneticamente modificate per le quali è stata richiesta
l’autorizzazione alla messa a coltura sono già iscritte nel catalogo comune europeo,
e dunque non vi sono ostacoli di carattere sanitario o ambientale che ai sensi
dell’art. 23, direttiva 18/2001, giustifichino un intervento precauzionale dello Stato
membro in termini di divieto o di limitazione della coltivazione.
Non è dunque contestato che la richiesta di autorizzazione è in astratto accoglibile.
Sotto tale profilo, non possono trovare accoglimento le censure secondo cui si
sarebbe introdotta una deroga ai sensi dell’art. 23, direttiva 18/2001, come tale
necessitante di notifica agli organi comunitari.
9. Invece, da parte appellata viene opposto l’ostacolo della mancata adozione dei
piani regionali di coesistenza.
La questione di diritto è dunque se la mancata adozione di tali piani possa
costituire ostacolo al rilascio dell’autorizzazione.
Considerati i profili prettamente economici che devono essere regolamentati dai
piani di coesistenza, e considerato che a tali piani sono estranei i profili ambientali
e sanitari, e il principio comunitario della coltivabilità degli OGM se autorizzati, il
rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione non può essere condizionato alla
previa adozione dei piani di coesistenza.
Pertanto, non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali,
venga meno l’obbligo di istruzione e conclusione dei procedimenti autorizzatori
disciplinati, con disposizioni specifiche non toccate, neppure indirettamente, dalla
declaratoria di incostituzionalità, da fonti legislative (e regolamentari) diverse dal
d.l. n. 279/2004. Tanto più che, per stessa affermazione della Consulta, non è più
discutibile il principio comunitario, ormai recepito nell’ordinamento nazionale,
“costituito dalla facoltà di impiego di OGM in agricoltura, purché autorizzati”. Ne
discende, con tutta evidenza, che il blocco generalizzato dei procedimenti di
autorizzazione in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali, esporrebbe lo Stato
italiano a responsabilità sul piano comunitario, rendendo di fatto inapplicabile
nell’ordinamento nazionale quello che è un principio imposto dal diritto
comunitario.
A ciò può essere aggiunto che anche il richiamo al principio di precauzione, a
sostegno dell’impossibilità per l’Amministrazione di istruire e concludere i
procedimenti autorizzativi, si palesa nella specie inconferente, non avendo
l’Amministrazione indicato specifici studi scientifici ai quali potrebbe essere
eventualmente ricondotto un rischio per la salute umana, o altri beni o diritti
fondamentali, derivante dalla conclusione positiva dei medesimi procedimenti.
10. Per quanto esposto, l’appello va accolto e per l’effetto vanno annullati gli atti
impugnati e va dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza
di autorizzazione, entro un termine di novanta giorni decorrente dalla
comunicazione o, se anteriore, notificazione della sentenza. Resta fermo il potere
dell’Amministrazione statale di avviare i procedimenti sostitutivi che l’ordinamento
appresta per il caso di inerzia delle Regioni nel dare attuazione a obblighi
comunitari.
11. Va invece respinta, per difetto di prova, che era onere di parte appellante
fornire, la domanda di risarcimento del danno.
12. La novità e complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese
di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e,
per l’effetto:
a) annulla i provvedimenti impugnati;
b) ordina all’Amministrazione di concludere il procedimento autorizzatorio nei
sensi e termini di cui in motivazione;
c) respinge la domanda di risarcimento del danno.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2009 con
l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Roberto Garofoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
N. 05532/2011 REG.PROV.COLL.
N. 05641/2010 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5641 del 2010, proposto da:
Azienda Agricola Dalla Libera Silvano, in persona del legale rapp.te p.t.,
rappresentato e difeso dall'avv. Gabriele Pirocchi, con domicilio eletto presso lo
studio dello stesso, in Roma, via Salaria n. 280;
contro
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in persona del Ministro p.t.,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge
presso
gli
uffici,
in
Roma,
via
dei
Portoghesi
n.
12;
Ministero della Salute ed Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare, in persona dei rispettivi Ministri p.t., non costituitisi in giudizio;
Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente p.t., rappresentato e
difeso dagli avv. Michela Del neri e Daniela Iuri, con domicilio eletto presso lo
studio dell’avv. Daniela Iuri, in Roma, piazza Colonna n. 355;
e con l'intervento di
ad
adiuvandum:
Confagricoltura Lombardia, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e
difeso dall'avv. Francesco Fasani, con domicilio ex lege presso la segreteria della
sezione, in Roma, alla via Flaminia n. 189;
per l'annullamento
- del decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 19
marzo 2010, con il quale è stata rigettata l'istanza di autorizzazione per la messa in
coltura di varietà di mais transgenico;
- di tutti gli atti prodromici, connessi e consequenziali, ivi compresa la relazione
della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18586 del 15.3.2010, nonché il parere reso
dalla Commissione per i prodotti sementieri geneticamente modificati in data
18.3.2010;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle politiche agricole e
forestali e della Regione Friuli-Venezia Giulia;
Visto l’atto di intervento della Confagricoltura Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2011 il cons. Maria Cristina
Quiligotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza del Consiglio di Stato n. 183/2010 del 19.1.2010 è stato accolto
l’appello proposto dalla società ricorrente avverso la sentenza del TAR LazioRoma, sez. II ter, n. 2893/2008 ed è stato annullato il provvedimento del Ministero
delle politiche agricole e forestali (d’ora in poi soltanto MIPAAF) del 18.4.2007,
con il quale era stato ritenuto di non potersi procedere all’istruttoria sulla richiesta
di rilascio dell’autorizzazione per la messa a coltura di varietà transgeniche in attesa
dell’adozione dei piani di coesistenza di competenza regionale, ordinandosi al
MIPAAF di procedere alla conclusione del procedimento nei sensi di cui in
motivazione nel termine dei 90 giorni dalla notifica della decisione.
Il MIPAF ha avviato il relativo procedimento, acquisendo il parere della
Commissione per i prodotti sementieri geneticamente modificati in data 18.3.2010,
e lo ha concluso con l’adozione del decreto del 19.3.2010, con il quale ha respinto
l’istanza a suo tempo avanzata dalla ricorrente per la messa in coltura di varietà di
mais transgenico.
Con il ricorso di cui in epigrafe, la ricorrente ha impugnato il detto decreto
ministeriale deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:
1. Violazione dell’articolo 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e violazione
ed elusione del giudicato.
Con la richiamata decisione del C.d.S. n. 183/2010 sarebbe stato sancito il diritto
della ricorrente ad ottenere dal MIPAAF il decreto di autorizzazione richiesto con
la conseguenza che si avrebbe un’elusione del giudicato per la riaffermazione del
principio della necessaria previa adozione dei piani di coesistenza e per la mancata
adozione dei piani in via sostitutiva da parte del ministero ai sensi dell’articolo 117,
comma 5, della Costituzione (nonché dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 e
dell’articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005).
L’adozione del decreto impugnato, in quanto di reiezione della detta domanda,
sarebbe, pertanto, in contrasto con il giudicato intervenuto sulla specifica
questione.
Sul MIPAAF sarebbe gravato, infatti, l’obbligo del rilascio dell’autorizzazione
richiesta, semmai integrata con i protocolli di coltura che garantiscano la
coesistenza con altre forme di coltivazione, adottati in sostituzione delle regioni
non adempienti.
Peraltro sarebbe inammissibile il diniego di rilascio adottato sulla base del parere
negativo della regione, atteso che il procedimento in questione sarebbe di
competenza esclusivamente statale; inoltre la richiamata nota regionale non
sarebbe mai stata approvata da parte della giunta regionale e pertanto sarebbe priva
di valore e, comunque, sarebbe basata su di una motivazione del tutto apodittica e
sarebbe incentrata esclusivamente sugli aspetti ambientali che dovrebbero essere
ritenuti, in realtà, estranei alla questione relativa ai piani di coesistenza delle colture.
2. Violazione e falsa applicazione degli articoli 97 e 120 della Costituzione, della
legge n. 5 del 2005, dell’articolo 1, comma 2, del D. Lgs. n. 212 del 2001 e
dell’articolo 8 della legge n. 131 del 2003 ed eccesso di potere per sviamento ed
illogicità manifesta.
Il parere della commissione sarebbe illegittimo in quanto basato su profili
concernenti la coesistenza che, tuttavia, non rientrerebbe negli ambiti di sua
competenza atteso che la stessa dovrebbe esclusivamente verificare se l’OGM sia o
meno iscritto nel catalogo comune.
Peraltro da parte della commissione sarebbe stato effettuato un recepimento
acritico del parere della regione, senza il previo svolgimento di un’adeguata
istruttoria tecnico-scientifica avente ad oggetto la fondatezza delle deduzioni
articolate da parte della regione.
Né, inoltre, il ministero si sarebbe attivato per azionare l’apposito procedimento
finalizzato all’adozione dei richiamati piani di coesistenza in sostituzione delle
regioni inadempienti.
3. Violazione della raccomandazione 556/2003, della direttiva n. 18/01/CE, della
legge n. 5 del 2005 ed eccesso di potere per sviamento.
Il Ministero avrebbe:
- non tenuto nella debita considerazione la distinzione tra gli aspetti ambientali (di
esclusiva competenza comunitaria e già valutati in quella sede) e gli aspetti
economici (di competenza statale) della coesistenza ( al riguardo vedasi la racc.
23.7.2003, n. 556/03, par. 1.2);
- violato il principio della pari dignità delle colture e della libertà di scelta ai sensi
della legge n. 5 del 2005;
- violato l’art. 23 della direttiva 18/01/CE relativamente alla clausola di
salvaguardia in quanto la stessa sarebbe stata sostanzialmente reintrodotta in modo
indiretto, senza tuttavia la previa effettuazione di studi scientifici alla base;
- non notificato l’impugnato decreto agli organi della Commissione (da valutarsi in
quanto adottato in deroga agli obblighi di armonizzazione).
4- Violazione e falsa applicazione della direttiva n. 18/01/CE e della direttiva n.
98/34/CE, nonché dell’articolo 95, par. 5, del trattato CE e dell’articolo 10 della
Costituzione ed eccesso di potere per sviamento.
Il decreto è, altresì, illegittimo in quanto non è stato notificato agli organi della
Commissione europea e, conseguentemente, gli organi comunitari non hanno
potuto svolgere l’esame delle dette disposizioni nazionali adottate in deroga agli
obblighi di armonizzazione di cui al richiamato par. 6 dell’articolo 95 del trattato
CE.
5- Violazione dell’articolo 3, commi 1, 3 e 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
dell’articolo 7, comma 2, del regolamento CE n. 1830/2003 del parlamento
europeo e del Consiglio del 22 settembre 2003 ed eccesso di potere per illogicità
manifesta, errore nei presupposti e contraddittorietà.
È stata, inoltre, depositata una relazione tecnica che contesta punto per punto le
osservazioni della Regione dando atto dello stato della ricerca sul punto e delle
esperienze relative allo stesso tipo di mais in altri stati e proponendo un progetto
di coesistenza tra coltivazioni con i relativi accorgimenti.
E’ intervenuta in giudizio ad adiuvandum, con atto depositato in data 13.8.2010, la
Confagricoltura Lombardia, la quale ha argomentatamene sostenuto le censure
della ricorrente, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
La Regione autonoma Friuli Venezia-Giulia si è costituita in giudizio con comparsa
di mera forma in data 12.7.2010 depositando documentazione: con la successiva
memoria difensiva del 13.7.2010, previa ricostruzione del quadro normativo nella
materia, ha diffusamente controdedotto alle censure avversarie, chiedendo il
rigetto del ricorso.
Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali si è costituito in giudizio
con comparsa di mera forma in data 30.6.2010 ed ha depositato documentazione
concernente la vicenda in data 6.7.2010.
La Regione, con la memoria illustrativa del 27.8.2010, ha insistito per il rigetto del
ricorso.
La ricorrente ha depositato documentazione in data 9.12.2010 e memoria
conclusiva in data 21.12.2010, con la quale ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.
Alla pubblica udienza del 24.1.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla
presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.
DIRITTO
Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (d’ora in poi soltanto
MIPAAF), con il decreto del 19.3.2010, ha respinto la richiesta di messa in coltura
di ibridi di mais geneticamente modificati MON 810, presentata dalla società
ricorrente con la nota del 14.8.2006, sulla base del parere della Commissione per i
prodotti sementieri geneticamente modificati (di cui al D. lgs. n. 212 del 2001),
formulato nella seduta del 18.3.2010, nonché del parere della Regione Friuli
Venezia-Giulia di cui alla nota prot. n. 18586 del 15.3.2010.
Si premette, in ordine alla questione che interessa, che il contenzioso tra le parti va
avanti dal 2007 e sulla vicenda sono intervenute decisioni sia del giudice di primo
grado che del giudice di appello.
In particolare, con la sentenza del TAR Lazio, sez. II ter, n. 2893/2008, relativa ad
una controversia avente ad oggetto il silenzio dell’amministrazione ai sensi
dell’articolo 21 bis della legge n. 1034 del 1971, è stato dichiarato inammissibile per la mancata notificazione del ricorso ad almeno un controinteressato,
dovendosi intendere per tali le regioni alle quali è stato imputato di non avere
provveduto all’adozione dei piani di coesistenza - il ricorso presentato dalla
ricorrente avverso la nota del MIPAAF, con la quale è stato comunicato di non
potersi procedere all’istruttoria della richiesta di cui sopra, nelle more
dell’adozione, da parte delle regioni, dei piani di coesistenza (come previsto dalla
circolare MIPAAF del 31.3.2006); la detta sentenza è stata riformata dalla sentenza
del C.d.S. n. 183/2010 del 19.1.2010 che - avendo superato la questione
preliminare
dell’ammissibilità
del
ricorso
di
primo
grado
nel
senso
dell’insussistenza dei relativi presupposti, per non potere essere le regioni
considerate controinteressate, trattandosi di un procedimento autorizzatorio di
competenza esclusivamente statale - è entrata nel merito, e, dopo avere dedotto
che “non è dunque contestato che la richiesta di autorizzazione è in astratto accoglibile”, ha
puntualmente rilevato che “il rilascio dell’autorizzazione non può essere condizionato alla
previa adozione dei piani di coesistenza”, con la conseguenza che, nell’attesa
dell’adozione di questi, l’obbligo di istruzione e conclusione dei relativi
procedimenti istruttori non viene meno.
Con la successiva sentenza del TAR Lazio, sez. II ter, n. 2378/2010 - resa a
conclusione del giudizio proposto avverso la nota n. 7805 del 30/7/08 del
MIPAAF avente ad oggetto le condizioni per l'iscrizione nel registro nazionale
delle varietà di specie agrarie e la messa in coltura degli ibridi di mais
geneticamente modificati - è stato ribadito che il procedimento di cui trattasi è di
esclusiva competenza statale e che l’inerzia delle regioni nell’adozione dei piani di
cui in precedenza non legittima l’amministrazione statale ad arrestare i
procedimenti di autorizzazione, poiché, operando in tale direzione, “lo Stato Italiano
si esporrebbe a responsabilità sul piano comunitario, rendendo di fatto inapplicabile
nell’ordinamento nazionale quello che è un principio imposto dal diritto comunitario”.
In particolare è stato rilevato come “dal punto di vista normativo, può osservarsi in sintesi
che la normativa comunitaria in materia di OGM (in particolare, la Dir. CE 2001/18/CE
sull'emissione nell'ambiente e l'immissione in commercio), da un lato, ha inteso regolare ogni
aspetto incidente sulla loro circolazione, condizionandola ad un'ampia valutazione ambientale e
sanitaria, dall’altro, ha lasciato agli Stati membri la facoltà di "adottare tutte le misure
opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti" lasciando intendere che,
fra quelle misure, vi sono anche le regole tecniche agronomiche volte ad evitare la commistione del
materiale genetico tra le diverse colture.
La normativa comunitaria, in altre parole, lascia alla legislazione degli Stati membri la
possibilità di adottare ogni misura preventiva in grado di evitare commistioni fra prodotti
individuando le modalità più idonee in grado di far convivere tra loro le tre "filiere".
Per concludere sul punto, mentre la normativa comunitaria si occupa di tutelare l'ambiente, la
vita e la salute di uomini, animali e piante, lo stesso legislatore europeo lascia invece alla
normativa interna la possibilità di adottare le misure più opportune per limitare gli effetti
economici connessi alle potenzialità diffusive degli OGM e, quindi, non compromettere la
biodiversità dell'ambiente naturale in modo da garantire la libertà di iniziativa economica, il
diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare
nazionale.”.
Inoltre “la sentenza della Corte Costituzionale n. 116/2006 … , nel dichiarare l’illegittimità
degli artt. 3, 4, 6, commi 1 e 2, 7 e 8 del D.L. n. 279/2004, ha comunque “salvato” gli artt.
1 e 2 dove è sancito il principio di coesistenza tra le colture.” e “ha quindi fatto salvo il principio
di coesistenza, stabilendo che le diverse colture (tra cui gli OGM) siano praticate senza
reciprocamente compromettersi, in modo da tutelare le peculiarità e le specificità produttive di
ciascuna e in modo da evitare commistioni tra sementi e senza pregiudizi per le attività agricole
preesistenti (che non debbono trovarsi costrette a modificare o adeguare le loro tecniche di
coltivazione e allevamento), assicurando agli agricoltori, agli operatori e ai consumatori la
possibilità di scelta attraverso la separazione delle rispettive filiere.”.
E “In questo quadro”, si è concluso sul punto, “le modalità di attuazione del principio di
coesistenza, proprio in ragione dei fini a cui è ispirato, sono rimesse alla competenza delle singole
Regioni.”.
In via ulteriormente preliminare devono essere affrontate le eccezioni di
inammissibilità del ricorso formulate negli scritti difensivi delle amministrazioni
resistenti.
Con una prima eccezione è stata dedotta l’inammissibilità del ricorso per difetto di
un interesse concreto ed attuale alla decisione nel merito dello stesso, attinendo la
vicenda di cui trattasi alla domanda di messa a coltura relativa all’anno 2007.
La indicata eccezione è, tuttavia, infondata e deve essere respinta: ed infatti,
sebbene risulti in atti che la ricorrente abbia già provveduto alla presentazione di
una analoga domanda per l’anno 2010, tuttavia, ciò che rileva ai dedotti fini è che
la ricorrente ha ripetutamente ribadito il proprio interesse ricollegandolo alla
domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’illegittimità dell’impugnato
provvedimento; questa appare indubbiamente una circostanza dirimente ai fini che
interessano, indipendentemente dall’intervenuta presentazione o meno della detta
domanda risarcitoria.
Peraltro non può trascurarsi che, comunque, le motivazioni addotte da parte
dell’amministrazione ministeriale sono tali e di tale consistenza da determinare un
impedimento
sostanzialmente
permanente
all’adozione
dell’autorizzazione
richiesta dalla società ricorrente e, conseguentemente, i suoi effetti sono destinati a
riverberarsi anche sulla futura attività concernente le diverse e successive annualità
di semina.
Con una seconda eccezione preliminare è stata dedotta l’inammissibilità
dell’impugnazione del parere della regione in quanto atto facoltativo e non
vincolante e pertanto privo di un’autonoma capacità lesiva della sfera giuridica
della società ricorrente.
Anche la predetta eccezione appare destituita di fondamento laddove si consideri
che l’impugnato provvedimento di diniego è stato dichiaratamente adottato anche
sulla base del richiamato parere che, comunque, è stato oggetto di valutazione e
considerazione da parte della apposita Commissione; sebbene, pertanto, la
relazione non contenga indicazioni o direttive di carattere operativo nei confronti
del ministero, è indubbio che, tuttavia, le argomentazioni e le conclusioni ivi
contenute abbiano influenzato l’operato dell’amministrazione, di tal che lo stesso è
venuto a sostanziarsi quale atto essenziale del procedimento stesso.
Peraltro le regioni, sulla base di quanto in precedenza riportato allo stato della
giurisprudenza nella materia, sono competenti all’adozione delle linee guida in
materia di coesistenza e, quindi, dei piani di coesistenza.
La ricorrente ha impugnato il detto decreto deducendone l’illegittimità, con un
primo motivo di censura, per violazione ed elusione del giudicato formatosi sulla
sentenza del C.d.S., sez. VI, n. 183/2010 del 19.1.2010, con la quale sarebbe
asseritamente
stato
l’autorizzazionerichiesta”,
“espressamente
semmai
ordinato
integrata
dai
al
MIPAAF
protocolli
di
di
assentire
coltura
che
garantirebbero la coesistenza con altre forme di coltura.
Il motivo non appare fondato.
E, infatti, la richiamata sentenza, nella parte dispositiva, ordina all’amministrazione
di procedere alla conclusione del procedimento “nei sensi e nei termini di cui in
motivazione”; nella parte motiva, tuttavia, non entra espressamente nel merito della
fondatezza della richiesta di parte ricorrente sotto tutti i relativi profili.
Si ritiene, pertanto, che il contenuto conformativo della decisione consista nel solo
obbligo di procedere alla conclusione del procedimento con l’adozione di un
provvedimento espresso, sia esso di accoglimento ovvero di reiezione della
richiesta della ricorrente.
Sempre in via preliminare si rileva come appaia opportuno soprassedere dall’esame
degli sviluppi concernenti la questione degli OGM verificati negli ultimi mesi in
sede comunitaria; da un lato, infatti, le iniziative assunte non si sono allo stato
concretizzate in provvedimenti puntuali e specifici di immediata e diretta
applicazione nel nostro ordinamento e, dall’altro, comunque, la situazione non
sembra ancora essere addivenuta ad una definitiva sistemazione in quella sede.
Il ricorso è fondato nel merito per le assorbenti considerazioni che seguono.
Come già in precedenza ricordato, è stato riconosciuto definitivamente in sede
giurisdizionale che il procedimento di cui trattasi è di competenza esclusivamente
statale e che l’amministrazione ministeriale, in caso di inerzia da parte delle regioni
nell’adozione dei piani di coesistenza, debba attivare i propri poteri sostitutivi
previsti dalla vigente normativa in materia di attuazione degli obblighi comunitari
gravanti sulle regioni e non possa, pertanto, rifiutarsi di provvedere in caso di
persistente inerzia di queste ultime.
E’ stato, altresì, riconosciuto che, comunque, in quella sede, non possono essere
presi in considerazione aspetti di carattere ambientale e socio-sanitario anche se
riferiti in modo specifico al peculiare contesto territoriale di riferimento (essendo i
detti aspetti di esclusiva competenza comunitaria in sede di autorizzazione della
singola varietà transgenica), avendo ad oggetto i richiamati piani di coesistenza
esclusivamente il profilo economico della coesistenza (connesso alla commistione
tra le diverse tipologie di colture) ed essendo gli stessi finalizzati essenzialmente a
garantire l’assenza del rischio che si verifichi una presenza involontaria di OGM in
altri prodotti coltivati in aree limitrofe (assicurando, attraverso adeguate tecniche
agricole, agli operatori della filiera e, conclusivamente, ai consumatori la possibilità
effettiva di scelta tra prodotti convenzionali, biologici e transgenici).
L’amministrazione, invece, non ha seguito l’indicato iter di legge necessario ad
ovviare alla mancata adozione da parte della Conferenza delle Linee guide generali
sulla coesistenza ed ha tuttavia deliberato sull’istanza della ricorrente adottando
come sostanziale punto di riferimento, sebbene indiretto in quanto assorbito dal
parere della competente Commissione, proprio la relazione della regione
interessata (prevalentemente incentrata sugli aspetti ambientali e socio-sanitari),
con la conseguenza che, nella sostanza, è stato negato il diritto alla scelta tra le
diverse tipologie di coltura, escludendo in fatto proprio la coltura transgenica.
Partendo dalla considerazione che si trattava di un problema complesso e di
difficile soluzione, si è arrivati ad affermare che non vi sono certezze sulla garanzia
della coesistenza tra le diverse tipologie delle colture e che questa, attese le
specifiche caratteristiche del territorio, non può essere garantita.
L’avere acquisito il previo parere della regione direttamente interessata non appare
lesivo di per sé delle prerogative statali nella materia; sebbene infatti il
procedimento di cui trattasi sia di esclusiva competenza statale come più volte
ricordato, tuttavia le coltivazioni vengono ad incidere in modo diretto ed
immediato sul territorio regionale e sono, pertanto, proprio le regioni a disporre
delle informazioni più approfondite ed aggiornate in merito alle caratteristiche del
territorio nel quale si intende effettuare la coltivazione degli OGM.
Ne consegue che l’avere coinvolto, in sede consultiva, la regione ai fini
dell’acquisizione dei dati conoscitivi necessari, nell’ambito dell’istruttoria
conseguente alla presentazione dell’istanza di rilascio dell’autorizzazione di cui
trattasi, non determina di per sé l’illegittimità del decreto adottato a conclusione
del procedimento stesso; e ciò, a maggiore ragione in quanto le valutazioni ivi
contenute non avevano valore definitivo ma avrebbero appunto dovuto
esclusivamente costituire un arricchimento della predetta fase istruttoria, fornendo
elementi utili per l’adozione del provvedimento conclusivo.
Il richiamato parere non costituisce nemmeno un vero e proprio piano di
coesistenza, essendo ancora mancata, per volontà propria delle regioni nel loro
complesso, l’adozione delle presupposte linee guide generali; tuttavia, in concreto,
lo stesso ha avuto una rilevanza dirimente ai fini dell’adozione dell’impugnato
decreto in quanto fatto proprio nel suo intero complesso da parte della
Commissione.
Il decreto è stato, pertanto, adottato in sostanza sulla base quasi esclusiva del
richiamato parere che la regione ha rilasciato, previa richiesta dell’amministrazione,
ma non avendo previamente provveduto alla delineazione del piano di coesistenza
che, invece, rientrava nella sua esclusiva e precipua competenza.
In tal modo si è pervenuti al diniego di rilascio della richiesta autorizzazione sulla
base di un parere espresso proprio da uno dei soggetti cui è direttamente ed
immediatamente imputabile la situazione di stallo istituzionale che si è venuta a
creare in conseguenza della volontà da questi manifestata chiaramente di non
volere adempiere agli obblighi di natura comunitaria gravanti sugli stessi.
Peraltro, alla base del richiamato parere, sono state addotte motivazioni non
pienamente congruenti con l’ambito esclusivo di competenza della regione, come
in precedenza delineato, ed incentrato esclusivamente sulla coesistenza economica
delle diverse colture.
Per le considerazione che precedono, pertanto, il ricorso deve essere accolto
siccome fondato nel merito.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto
annulla il provvedimento impugnato.
Condanna l’amministrazione statale resistente al pagamento in favore della
ricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro
2.000,00 oltre Iva e CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 24 gennaio 2011 e 16
febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Maria Cristina Quiligotti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
N. 01702/2012 REG.PROV.CAU.
N. 10323/2011 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 10323 del 2011, proposto da:
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge
in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
contro
Azienda Agricola Dalla Libera Silvano in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Gabriele Pirocchi, con domicilio eletto
presso Gabriele Pirocchi in Roma, via Farnesina n.136; Confagricoltura
Lombardia;
nei confronti di
Regione Friuli-Venezia Giulia in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avv. Daniela Iuri e Michela Delneri, con domicilio
eletto presso Ufficio Distaccato Regione Friuli Venezia Giulia in Roma, piazza
Colonna, n.355;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA SEZIONE II TER n. 05532/2011,
resa tra le parti, concernente RIGETTO ISTANZA DI AUTORIZZAZIONE
AVANZATA PER LA MESSA A COLTURA DI VARIETÀ DI MAIS
TRANSGENICO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'art. 98 cod. proc. amm.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Agricola Dalla Libera Silvano e
di Regione Friuli-Venezia Giulia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza del Tribunale
amministrativo regionale di accoglimento del ricorso di primo grado, presentata in
via incidentale dalla parte appellante;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2012 il Cons. Roberto
Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Pirocchi e dello Stato Marchini;
Considerato che, salva la decisione nel merito alla luce della richiesta pronunzia
della Corte di Giustizia, dal tenore della sentenza appellata non emerge il
periculum grave ed irreparabile lamentato dalla Amministrazione atteso che per la
messa in coltura di varietà transgeniche si impone un ulteriore provvedimento
espresso del Ministero, allo stato nemmeno richiesto dalla appellata Azienda;
Ritenuto di compensare le spese della attuale fase cautelare;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l'istanza
cautelare (Ricorso numero: 10323/2011).
Spese compensate.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la
segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Alessandro Botto, Presidente FF
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Hadrian Simonetti, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
6 settembre 2012 (*)
«Agricoltura – Organismi geneticamente modificati – Direttiva 2002/53/CE – Catalogo
comune delle varietà delle specie di piante agricole – Organismi geneticamente modificati
iscritti nel catalogo comune – Regolamento (CE) n. 1829/2003 – Articolo 20 – Prodotti
esistenti – Direttiva 2001/18/CE – Articolo 26 bis – Misure intese a evitare la presenza
involontaria di organismi geneticamente modificati – Misure nazionali che, nelle more
dell’adozione di misure fondate sull’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE, vietano la
messa in coltura di organismi geneticamente modificati iscritti nel catalogo comune e
autorizzati come prodotti esistenti»
Nella causa C-36/11,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato con decisione del 14 gennaio 2011, pervenuta
in cancelleria il 24 gennaio 2011, nel procedimento
Pioneer Hi Bred Italia Srl
contro
Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra A. Prechal, dal
sig. L. Bay Larsen (relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 marzo 2012,
considerate le osservazioni presentate:
–
per la Pioneer Hi Bred Italia Srl, da A. Police e F. Degni, avvocati;
–
per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Varone e
G. Aiello, avvocati dello Stato;
–
per il governo spagnolo, da A. Rubio González, in qualità di agente;
–
per la Commissione europea, da D. Bianchi e L. Pignataro-Nolin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 aprile 2012,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 26 bis della
direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001,
sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga
la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 106, pag. 1), come modificata dalla direttiva
2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008 (GU L 81, pag. 45;
in prosieguo: la «direttiva 2001/18»), letto alla luce della raccomandazione della
Commissione 2003/556/CE, del 23 luglio 2003, recante orientamenti per lo sviluppo di
strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche,
convenzionali e biologiche (GU L 189, pag. 36; in prosieguo: la «raccomandazione del 23
luglio 2003»), e della raccomandazione della Commissione del 13 luglio 2010, recante
orientamenti per l’elaborazione di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la
presenza involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche (GU C 200, pag. 1; in
prosieguo: la «raccomandazione del 13 luglio 2010»).
2
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Pioneer Hi Bred Italia
Srl (in prosieguo: la «Pioneer») e il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali
avente ad oggetto la legittimità di una nota di detto ministero in cui si comunicava alla
Pioneer che, nelle more dell’adozione, da parte delle Regioni, di norme atte a garantire la
coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche, il ministero non poteva
procedere all’istruttoria della richiesta di detta società di essere autorizzata alla messa in
coltura degli ibridi di mais geneticamente modificati già iscritti nel Catalogo comune delle
varietà delle specie di piante agricole (in prosieguo: il «catalogo comune»).
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
La direttiva 2001/18
3
La direttiva 2001/18 regola l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati (OGM) nonché l’immissione in commercio degli OGM come tali o contenuti in
prodotti.
4
L’articolo 34 della direttiva 2001/18 fissa la data della trasposizione di quest’ultima al più
tardi al 17 ottobre 2002. L’articolo 36 abroga, alla data del 17 ottobre 2002, la direttiva
90/220/CEE del Consiglio, del 23 aprile 1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di
organismi geneticamente modificati (GU L 117, pag. 15), e stabilisce che i riferimenti a
quest’ultima direttiva si intendono fatti alla direttiva 2001/18 secondo una tabella di
correlazione contenuta in allegato.
5
Conformemente ai suoi considerando 18 e 28, la direttiva 2001/18, al pari,
precedentemente, della direttiva 90/220, instaura procedure e criteri armonizzati per la
valutazione caso per caso dei rischi potenziali derivanti dall’emissione deliberata
nell’ambiente di OGM nonché una procedura comunitaria di autorizzazione per l’immissione
sul mercato dei prodotti di cui trattasi, qualora l’uso previsto di questi ultimi comporti
un’emissione deliberata degli organismi nell’ambiente.
6
7
I considerando 50-52 di tale direttiva recitano:
«50)
Le autorizzazioni esistenti rilasciate in base alla [direttiva 90/220] dovrebbero essere
rinnovate al fine di evitare disparità tra le autorizzazioni rilasciate in base a detta
direttiva e quelle rilasciate in base alla presente direttiva e di tener pienamente conto
delle condizioni relative alle autorizzazioni previste dalla [direttiva 90/220].
51)
Tale rinnovo richiede un periodo transitorio durante il quale le autorizzazioni rilasciate
in base alla [direttiva 90/220] permangono valide.
52)
Al momento del rinnovo dell’autorizzazione dovrebbe essere possibile rivedere tutte le
condizioni dell’autorizzazione originaria, comprese quelle attinenti al monitoraggio e
alla durata dell’autorizzazione».
Per quanto riguarda gli OGM immessi in commercio come tali o contenuti in prodotti, gli
articoli 13-24 della direttiva 2001/18 disciplinano essenzialmente la procedura di valutazione
e di autorizzazione dei prodotti nuovi, il rinnovo dell’autorizzazione dei prodotti esistenti, il
monitoraggio dei prodotti autorizzati, la loro etichettatura nonché una clausola di
salvaguardia che consente l’adozione da parte degli Stati membri di misure restrittive in caso
di rischio per la salute umana o per l’ambiente.
8
Quanto, in particolare, al rinnovo, prima del 17 ottobre 2006, delle autorizzazioni rilasciate
anteriormente al 17 ottobre 2002 a norma della direttiva 90/220, le sue modalità sono
disciplinate dall’articolo 17 della direttiva 2001/18, rubricato «Rinnovo dell’autorizzazione». In
applicazione del paragrafo 9 di tale disposizione, l’operatore interessato che abbia
presentato prima del 17 ottobre 2006 una notifica per il rinnovo di un’autorizzazione può
continuare a immettere in commercio gli OGM alle condizioni indicate in tale autorizzazione
in attesa di una decisione finale in merito al rinnovo richiesto.
9
L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, rubricato «Misure volte ad evitare la presenza
involontaria di OGM», è formulato nei seguenti termini:
«1.
Gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza
involontaria di OGM in altri prodotti.
2.
La Commissione raccoglie e coordina le informazioni basate su studi condotti a livello
comunitario e nazionale, osserva gli sviluppi quanto alla coesistenza negli Stati membri e,
sulla base delle informazioni e delle osservazioni, sviluppa orientamenti sulla coesistenza di
colture geneticamente modificate, convenzionali e organiche».
La raccomandazione del 23 luglio 2003
10
Il considerando 4 della raccomandazione del 23 luglio 2003 così recita:
«La procedura di concessione definitiva dell’autorizzazione prevista dalla [direttiva 2001/18]
comprende, se del caso, misure specifiche in materia di coesistenza miranti alla protezione
della salute umana e dell’ambiente, la cui applicazione è obbligatoria».
11
Il punto 1.1 degli orientamenti allegati alla raccomandazione del 23 luglio 2003, intitolato «Il
concetto di coesistenza», enuncia quanto segue:
«La coltivazione di [OGM] nell’Unione europea non sarà priva di implicazioni
sull’organizzazione della produzione agricola. Da un lato, la possibile presenza accidentale
(involontaria) di colture transgeniche [GM] in colture non geneticamente modificate e
viceversa induce a interrogarsi su come si potrà garantire ai produttori la facoltà di scegliere
tra le diverse filiere di produzione. In linea di massima gli agricoltori dovrebbero poter
scegliere liberamente quale tipo di coltura praticare, convenzionale, transgenica o biologica e
nessuna di queste forme di agricoltura dovrebbe essere esclusa nell’Unione europea.
D’altro canto, questa problematica è legata anche alle scelte dei consumatori: per offrire ai
consumatori europei una reale possibilità di scelta tra cibi transgenici e non transgenici, è
necessario non solo poter contare su un sistema efficace di etichettatura e di tracciabilità, ma
anche su un settore agricolo in grado di fornire questi diversi tipi di prodotti. La capacità
dell’industria alimentare di offrire un’ampia possibilità di scelta ai consumatori va di pari
passo con la capacità del settore agricolo di mantenere filiere di produzione separate.
La coesistenza si riferisce alla possibilità per i conduttori agricoli di praticare una scelta tra
colture geneticamente modificate, produzione convenzionale e biologica, nel rispetto degli
obblighi regolamentari in materia di etichettatura o di standard di purezza.
Se in un dato prodotto agricolo destinato a non contenere [OGM] la presenza accidentale di
[OGM] supera la tolleranza stabilita nella normativa comunitaria, è obbligatorio indicare
nell’etichetta che si tratta di un prodotto contenente [OMG]. In questo caso può derivarne
una perdita di reddito connessa a prezzi di mercato inferiori o a difficoltà di vendita di tali
prodotti. Inoltre, è probabile che gli agricoltori debbano sostenere spese supplementari per
applicare sistemi di sorveglianza e misure intese a rendere minimo il rischio di commistione
tra colture modificate o non modificate geneticamente. Ne consegue che la coesistenza ha
attinenza, da un lato, con il potenziale impatto economico della commistione tra colture OGM
o non OGM e, dall’altro, con l’individuazione di misure di gestione praticabili volte a
minimizzare il rischio di commistione e con il costo di tali misure.
(…)».
La raccomandazione del 13 luglio 2010
12
La raccomandazione del 13 luglio 2010 abroga e sostituisce la raccomandazione del 23
luglio 2003.
13
Gli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010 riprendono e sviluppano le
indicazioni fornite dagli orientamenti allegati alla raccomandazione del 23 luglio 2003.
La direttiva 2002/53/CE
14
Il considerando 11 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al
catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (GU L 193, pag. 1), come
modificata dal regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
22 settembre 2003 (GU L 268, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 2002/53»), recita:
«È necessario che le sementi e le piante alle quali si applica la presente direttiva possano
essere commercializzate liberamente all’interno della Comunità dal momento della loro
inserzione nel catalogo comune».
15
L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva dispone quanto segue:
«1.
La presente direttiva riguarda l’ammissione delle varietà [in particolare, di cereali, nel
catalogo comune].
2.
16
Il [catalogo comune] viene compilato in base ai cataloghi nazionali degli Stati membri».
L’articolo 4 della medesima direttiva così recita:
«1.
Gli Stati membri provvedono affinché una varietà venga ammessa solo ove sia
distinta, stabile e sufficientemente omogenea. Essa deve inoltre possedere un valore
agronomico e di utilizzazione soddisfacente.
(…)
4.
Nel caso di una varietà geneticamente modificata (...), la varietà può essere ammessa
solo se sono state adottate tutte le misure appropriate atte ad evitare effetti nocivi sulla
salute umana e sull’ambiente.
5.
Inoltre, se materiale derivato da una varietà vegetale è destinato ad essere utilizzato [in
un alimento o in un mangime rientrante nel regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi
geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1)], tale varietà può essere accettata soltanto se è
stata approvata in conformità di tale regolamento.
(…)».
17
L’articolo 7, paragrafi 1 e 4, così prevede:
«1.
Gli Stati membri stabiliscono che l’ammissione delle varietà sia subordinata ad esami
ufficiali, effettuati principalmente in campo e volti ad accertare la rispondenza di caratteri
sufficienti per descrivere la varietà. (…)
(…)
4.a)
Nel caso di una varietà geneticamente modificata di cui all’articolo 4, paragrafo 4,
deve essere effettuata una valutazione del rischio per l’ambiente analoga a quella
prevista dalla [direttiva 90/220].
b)
Le procedure atte a garantire che la valutazione del rischio per l’ambiente e di altri
elementi pertinenti siano equivalenti a quella prevista dalla [direttiva 90/220] sono
stabilite su proposta della Commissione con regolamento del Consiglio fo ndato sulla
pertinente base giuridica del trattato. Finché tale regolamento non entrerà in vigore, le
varietà geneticamente modificate sono accettate ai fini dell’inclusione in un catalogo
nazionale soltanto dopo essere state ammesse alla commercializzazione
conformemente alla [direttiva 90/220].
(…)».
18
L’articolo 16 dispone:
«1.
Gli Stati membri vigilano affinché, con effetto a partire dalla data di pubblicazione di
cui all’articolo 17, le sementi delle varietà ammesse in applicazione delle disposizioni della
presente direttiva o in base a principi corrispondenti a quelli stabiliti dalla presente direttiva
non siano soggette ad alcuna restrizione di mercato per quanto concerne la varietà.
2.
A richiesta di uno Stato membro questo può essere autorizzato (…) a vietare l’impiego,
in tutto o in parte del suo territorio, della varietà in questione o a prescrivere le condizioni
appropriate di coltivazione della varietà e, nel caso di cui alla lettera c), le condizioni di
impiego dei prodotti derivanti dalla sua coltivazione:
a)
qualora sia appurato che la coltivazione di tale varietà possa risultare dannosa dal
punto di vista fitosanitario per la coltivazione di altre varietà o specie;
(…)
c)
19
qualora sussistano valide ragioni, diverse da quelle già indicate o che possono esserlo
nel caso della procedura [di ammissione nel catalogo nazionale delle varietà], per
ritenere che la varietà presenta un rischio per la salute umana o l’ambiente».
L’articolo 17 così prevede:
«Conformemente alle informazioni fornite dagli Stati membri e via via che esse le
pervengono, la Commissione provvede a pubblicare nel [catalogo comune] tutte le varietà le
cui sementi e materiali di moltiplicazione, ai sensi dell’articolo 16, non sono soggetti ad
alcuna restrizione di commercializzazione per quanto concerne la varietà (…). La
pubblicazione indica gli Stati membri che hanno beneficiato di un’autorizzazione in base
all’articolo 16, paragrafo 2, o in base all’articolo 18.
(…)
La pubblicazione indica chiaramente le varietà geneticamente modificate».
20
L’articolo 18 così dispone:
«Se è accertato che la coltivazione di una varietà iscritta nel [catalogo comune] possa, in uno
Stato membro, nuocere dal punto di vista fitosanitario alla coltivazione di altre varietà o
specie, presentare un rischio per l’ambiente o per la salute umana, il suddetto Stato membro
può essere autorizzato, su sua richiesta (…), a vietare in tutto o in parte del suo territorio la
commercializzazione delle sementi o dei materiali di moltiplicazione di tale varietà. In caso di
pericolo imminente di propagazione di organismi nocivi, di pericolo imminente per la salute
umana o per l’ambiente, questo divieto può essere fissato dallo Stato membro interessato
nella domanda depositata sin[o al] momento della decisione definitiva che dovrà essere
presa entro tre mesi (…)».
Il regolamento n. 1829/2003
21
22
Conformemente ai suoi considerando 7 e 11, il regolamento n. 1829/2003, applicabile a
decorrere dal 18 aprile 2004 in forza del suo articolo 49, prevede una procedura comunitaria
di autorizzazione unica, utilizzata, in particolare, per i mangimi che contengono OGM o sono
costituiti o prodotti a partire da tali organismi nonché per gli OGM utilizzati come materiale di
base per la produzione di detti mangimi.
L’articolo 16, paragrafi 1, 2 e 7, del regolamento n. 1829/2003 dispone:
«1.
I mangimi [di cui al regolamento n. 1829/2003] non devono:
a) avere effetti nocivi sulla salute umana, la salute degli animali o l’ambiente;
(...)
2.
Nessuno può immettere in commercio, usare o modificare un [mangime geneticamente
modificato rientrante nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1829/2003], a meno che
per esso non sia stata rilasciata un’autorizzazione conformemente alla presente sezione e a
meno che non vengano rispettate le pertinenti condizioni dell’autorizzazione.
(…)
7.
Il rilascio di un’autorizzazione ai sensi del presente regolamento non pregiudica il
disposto [della direttiva 2002/53, in particolare]».
23
L’articolo 20 del medesimo regolamento, rubricato «Status dei prodotti esistenti», prevede
quanto segue:
«1.
In deroga all’articolo 16, paragrafo 2, i prodotti che rientrano nel campo d’applicazione
della presente sezione e che sono stati legalmente immessi sul mercato comunitario prima
della data di applicazione del presente regolamento, possono rimanere sul mercato e
continuare ad essere utilizzati e lavorati purché siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a)
per quanto concerne i prodotti autorizzati in virtù delle [direttive 90/220 o 2001/18] (...),
gli operatori responsabili della loro immissione in commercio notificano alla
Commissione la data in cui essi sono stati per la prima volta immessi sul mercato
comunitario, entro sei mesi dalla data di applicazione del presente regolamento;
(…)
2.
La notifica di cui al paragrafo 1 è corredata degli elementi (...), a seconda dei casi, [dei
quali il regolamento n. 1829/2003 prescrive la presentazione per le domande iniziali di
autorizzazione sul suo fondamento]. (...)
(…)
4.
Entro nove anni dalla data in cui i prodotti indicati al paragrafo 1, lettera a), sono stati
immessi per la prima volta sul mercato, e comunque non prima di tre anni a decorrere dalla
data di applicazione del presente regolamento, gli operatori responsabili della loro
immissione in commercio presentano una domanda conformemente all’articolo 23, che si
applica per analogia.
(…)
5.
I prodotti di cui al paragrafo 1 e i mangimi che li contengono o sono da essi derivati
sono soggetti alle disposizioni del presente regolamento, in particolare del [suo articolo 34,
che si applica] per analogia.
(…)».
24
L’articolo 23, rubricato «Rinnovo delle autorizzazioni», prevede, in particolare, l’applicazione
per analogia dell’articolo 17, paragrafo 2, relativo alle modalità di trattamento, da parte
dell’Autorità nazionale competente e dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (in
prosieguo: l’«Autorità»), di una domanda iniziale di autorizzazione fondata sul regolamento
n. 1829/2003, nonché degli articoli 18 e 19, i quali enunciano, rispettivamente, le condizioni
in cui, da un lato, l’Autorità esprime un parere sulla domanda e, dall’altro, viene adottata una
decisione a livello comunitario. L’articolo 18, paragrafo 3, prescrive in particolare che
l’Autorità, per preparare il suo parere, stabilisca se il mangime soddisfa i criteri fissati
all’articolo 16, paragrafo 1, vale a dire, segnatamente, se non abbia effetti nocivi sulla salute
umana, sulla salute degli animali o sull’ambiente.
25
L’articolo 24, rubricato «Campo di applicazione» e compreso nella sezione 2 intitolata
«Etichettatura», dispone quanto segue:
«1.
La presente sezione si applica ai mangimi di cui [al regolamento n. 1829/2003].
2. La presente sezione non si applica ai mangimi che contengono materiali che contengono,
sono costituiti o sono prodotti a partire da OGM presenti in una proporzione non superiore
allo 0,9% [del] mangime e per ciascun mangime di cui esso è composto, purché tale
presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile.
(...)».
26
L’articolo 34, rubricato «Misure d’emergenza», dispone:
«Quando sia manifesto che prodotti autorizzati dal presente regolamento o conformemente
allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli
animali o per l’ambiente (...), sono adottate misure conformemente alle procedure previste
agli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 [del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione
alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel
campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1)]».
Il regolamento n. 178/2002
27
L’articolo 53 del regolamento n. 178/2002, rubricato «Misure urgenti per alimenti e mangimi
di origine comunitaria o importati da un paese terzo», è così formulato:
«1.
Quando sia manifesto che alimenti o mangimi di origine comunitaria o importati da un
paese terzo possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli
animali o per l’ambiente che non possa essere adeguatamente affrontato mediante misure
adottate dallo Stato membro o dagli Stati membri interessati, la Commissione, agendo di
propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro, (…) adotta immediatamente, in
funzione della gravità della situazione, una o alcune delle seguenti misure:
[sospensione dell’immissione sul mercato o dell’utilizzazione dell’alimento o del mangime di
origine comunitaria, sospensione delle importazioni dell’alimento o del mangime importati da
un paese terzo, determinazione di condizioni particolari e di qualsiasi altra misura provvisoria
adeguata per l’alimento o il mangime di origine comunitaria o importato da un paese terzo].
2.
Tuttavia, in casi urgenti, la Commissione può adottare in via provvisoria le misure di cui
al paragrafo 1, previa consultazione dello Stato membro o degli Stati membri interessati e
dopo averne informato gli altri Stati membri.
Nel tempo più breve possibile e al più tardi entro dieci giorni lavorativi, le misure adottate
sono confermate, modificate, revocate o prorogate (…). Le motivazioni della decisione della
Commissione sono pubblicate quanto prima».
28
L’articolo 54 del medesimo regolamento, rubricato «Altre misure urgenti», è formulato nei
seguenti termini:
«1.
Qualora uno Stato membro informi ufficialmente la Commissione circa la necessità di
adottare misure urgenti e qualora la Commissione non abbia agito in conformità delle
disposizioni dell’articolo 53, lo Stato membro può adottare misure cautelari provvisorie. Esso
ne informa immediatamente gli altri Stati membri e la Commissione.
2.
Entro dieci giorni lavorativi, la Commissione sottopone la questione al [Comitato
permanente per la catena alimentare e la salute degli animali] ai fini della proroga,
modificazione od abrogazione delle misure cautelari provvisorie nazionali.
3.
Lo Stato membro può lasciare in vigore le proprie misure cautelari provvisorie fino
all’adozione delle misure comunitarie».
Il regolamento (CE) n. 641/2004
29
L’articolo 11 del regolamento (CE) n. 641/2004 della Commissione, del 6 aprile 2004,
recante norme attuative del regolamento [n. 1829/2003] per quanto riguarda la domanda di
autorizzazione di nuovi alimenti e mangimi geneticamente modificati, la notifica di prodotti
preesistenti e la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente
modificato che è stato oggetto di una valutazione del rischio favorevole (GU L 102, pag. 14),
compreso nella sezione 2 di quest’ultimo, intitolata «Requisiti aggiuntivi per le notifiche di
taluni prodotti immessi sul mercato prima del 18 aprile 2004», così dispone:
«1.
(…), le notifiche di OGM immessi sul mercato ai sensi della parte C della [direttiva
90/220] o della parte C della [direttiva 2001/18] devono includere copia dell’autorizzazione
rilasciata a norma delle stesse direttive.
2.
La
data
di
pubblicazione
nella Gazzetta
ufficiale
dell’Unione
europea dell’autorizzazione a norma della [direttiva 90/220] o della [direttiva 2001/18] si
considera come data in cui il prodotto è stato immesso sul mercato per la prima volta, a
meno che il notificante fornisca la prova verificabile del fatto che il prodotto è stato immesso
sul mercato per la prima volta in una data successiva».
La normativa nazionale
30
L’articolo 1 del decreto legislativo n. 212, del 24 aprile 2001 (GURI n. 131, dell’8 giugno
2001; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 212/2001»), dispone quanto segue:
«(…)
«2.
(…) La messa in coltura dei prodotti sementieri (…) è soggetta ad autorizzazione con
provvedimento del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro
dell’ambiente e del Ministro della sanità, emanato previo parere della [Commissione per i
prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate], nel quale sono stabilite misure
idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente
modificate non entrino in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali e
non arrechino danno biologico all’ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità
agro-ecologiche, ambientali e pedoclimatiche.
(...)
5.
Chi mette in coltura prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate senza
l’autorizzazione di cui al comma 2, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni o
dell’ammenda fino a 100 milioni di lire. La stessa sanzione si applica in caso di revoca o
sospensione dell’autorizzazione.
(...)».
31
Il decreto legge n. 279, del 22 novembre 2004 (GURI n. 280, del 29 novembre 2004),
emendato e convertito in legge mediante la legge n. 5, del 28 gennaio 2005 (GURI n. 22, del
28 gennaio 2005; in prosieguo: il «decreto legge n. 279/2004»), è diretto all’adozione di
misure di coesistenza in attuazione della raccomandazione del 23 luglio 2003.
32
L’articolo 3 di detto decreto legge prevede l’adozione di tali misure di coesistenza con
decreto di natura non regolamentare del Ministro delle Politiche agricole alimentari e
forestali, adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano ed emanato previo parere delle competenti
Commissioni parlamentari.
33
In forza del medesimo articolo 3 nonché dell’articolo 4 del decreto legge n. 279/2004,
l’emanando decreto di natura non regolamentare deve definire le norme quadro per la
coesistenza, in applicazione delle quali le regioni approveranno i propri piani di coesistenza
mediante l’adozione di provvedimenti ad hoc.
34
In conformità dell’articolo 4, comma 1, del decreto legge n. 279/2004, il piano di coesistenza
è adottato, con proprio provvedimento, da ciascuna regione e provincia autonoma e contiene
le regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo al contempo strumenti che
garantiscano la collaborazione degli enti territoriali locali, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
35
L’articolo 8 del medesimo decreto legge enuncia che, fino all’adozione dei diversi piani di
coesistenza, le colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca e di
sperimentazione, non sono consentite.
36
Con sentenza n. 116 del 17 marzo 2006, pronunciata a seguito di un ricorso proposto dalla
Regione Marche, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, in
particolare, gli articoli 3, 4 e 8 del decreto legge n. 279/2004.
37
Riguardo, in particolare, a detto articolo 4, essa ha dichiarato che tale articolo era lesivo
della competenza legislativa delle regioni in materia di agricoltura, in quanto spetta a queste
ultime esercitare il potere di disciplinare le modalità di applicazione del principio di
coesistenza nei diversi territori regionali, notoriamente differenziati dal punto di vista
morfologico e sul piano della rispettiva produzione.
38
Per quanto concerne l’articolo 8, la Corte costituzionale lo ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo in quanto appariva collegato in modo inscindibile alle altre disposizioni ritenute
illegittime.
39
Pertanto, rimangono in vigore gli articoli 1 e 2 del decreto legge n. 279/2004, dai quali
emerge la volontà del legislatore di avvalersi della possibilità di adottare le misure necessarie
a evitare la presenza involontaria di OGM nelle altre colture, ovverosia le colture
convenzionali e biologiche.
40
In seguito alla sentenza n. 116 del 17 marzo 2006, il Ministro delle Politiche agricole
alimentari e forestali ha adottato la circolare n. 269 del 31 marzo 2006, nella quale considera
che detta sentenza non rimette in discussione la legittimità del divieto di coltivare OGM in
attesa dell’adozione di piani di coesistenza e che la dichiarazione di incostituzionalità
dell’articolo 8 del decreto legge n. 279/2004 deve essere intesa nel senso che, permanendo
il divieto di coltivare OGM, occorre prevedere l’esercizio da parte dell’autorità regionale o
provinciale della sua competenza in materia.
41
Al punto 4 della suddetta circolare è precisato che, una volta che le regioni e le province
autonome abbiano adottato le proprie disposizioni relative alla coesistenza, la complessa
procedura di autorizzazione all’emissione di OGM ai fini della loro coltivazione deve ancora
concludersi positivamente, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo
n. 212/2001, le quali richiedono il rilascio di un’autorizzazione ministeriale.
42
Al punto 5 si conclude che la coltivazione di OGM resta non consentita fino all’adozione
degli strumenti normativi regionali idonei a garantire la coesistenza tra colture convenzionali,
biologiche e transgeniche e all’individuazione di soluzioni adeguate tra regioni confinanti e
che l’inosservanza di tale divieto comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 1,
comma 5, del decreto legislativo n. 212/2001.
Procedimento principale e questione pregiudiziale
43
Con decisione 98/294/CE, del 22 aprile 1998, concernente l’immissione in commercio di
granturco geneticamente modificato (Zea mays L. Linea MON 810) a norma della direttiva
90/220 (GU L 131, pag. 32), la Commissione autorizzava la commercializzazione delle linee
pure ed ibride provenienti dalla linea del mais MON 810, su richiesta della Monsanto Europe
SA (in prosieguo: la «Monsanto Europe»), sul fondamento della direttiva 90/220.
44
L’11 luglio 2004, la Monsanto Europe notificava alla Commissione, ai sensi, in particolare,
dell’articolo 20, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1829/2003, le varietà del mais
MON 810 quali «prodotti esistenti».
45
L’8 settembre 2004, la Commissione approvava l’iscrizione di 17 varietà derivate dal mais
MON 810 nel catalogo comune.
46
La Monsanto Europe non effettuava una notifica all’autorità nazionale competente, prima del
17 ottobre 2006, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2001/18.
47
Il 4 maggio 2007, la stessa chiedeva il rinnovo dell’autorizzazione all’immissione sul
mercato delle varietà del mais MON 810 sulla base dell’articolo 20, paragrafo 4, del
regolamento n. 1829/2003.
48
La Pioneer è una società produttrice e distributrice, a livello mondiale, di sementi
convenzionali e geneticamente modificate.
49
Essa intende coltivare le varietà del mais MON 810 iscritte nel catalogo comune.
50
Il 18 ottobre 2006, essa presentava al Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali
una richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di tali varietà ai sensi dell’articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo n. 212/2001.
51
Con la nota n. 3734 del 12 maggio 2008, il Ministero delle Politiche agricole alimentari e
forestali – Dipartimento delle politiche di sviluppo economico e rurale comunicava alla
Pioneer di non poter procedere all’istruttoria della sua richiesta di autorizzazione alla messa
in coltura di ibridi di mais geneticamente modificati, già iscritti nel catalogo comune, «nelle
more dell’adozione, da parte delle regioni, delle norme idonee a garantire la coesistenza tra
colture convenzionali, biologiche e transgeniche, come previsto dalla circolare del Mipaaf
[Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali] del 31 marzo 2006».
52
Nell’ambito del suo ricorso diretto all’annullamento di detta nota, la Pioneer ha contestato la
necessità di un’autorizzazione nazionale per la coltivazione di prodotti quali gli OGM iscritti
nel catalogo comune.
53
Essa ha contestato peraltro l’interpretazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18
secondo la quale la coltivazione di OGM in Italia non sarebbe consentita fino all’adozione
degli strumenti normativi regionali idonei a garantire la coesistenza fra colture transegeniche,
convenzionali e biologiche.
54
In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se, qualora lo Stato membro abbia ritenuto di subordinare il rilascio dell’autorizzazione alle
coltivazioni di OGM, ancorché iscritti nel [catalogo comune], a misure di carattere generale
idonee a garantire la coesistenza con colture convenzionali o biologiche, l’articolo 26 bis
della [direttiva 2001/18], letto alla luce della [raccomandazione del 23 luglio 2003] e della
sopravvenuta [raccomandazione del 13 luglio 2010], debba essere interpretato nel senso
che, nel periodo antecedente l’adozione delle misure generali:
a)
l’autorizzazione debba essere rilasciata, avendo ad oggetto OGM iscritti nel [catalogo
comune];
b)
ovvero, l’esame dell’istanza di autorizzazione debba essere sospeso in attesa
dell’adozione delle misure di carattere generale;
c)
ovvero, l’autorizzazione debba essere rilasciata, con le prescrizioni idonee ad evitare
nel caso concreto il contatto, anche involontario, delle colture transgeniche autorizzate
con le colture convenzionali o biologiche circostanti».
Sulla questione pregiudiziale
Osservazioni preliminari
55
Al fine di stabilire la portata della questione pregiudiziale occorre, in limine, determinare il
contesto normativo del procedimento principale.
56
In primo luogo, si deve constatare che per le varietà del mais MON 810 non si è proceduto
alla notifica per il rinnovo dell’autorizzazione entro la data del 17 ottobre 2006, di cui
all’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2001/18.
57
In secondo luogo, si deve constatare che l’impiego e la commercializzazione di sementi
delle varietà del maïs MON 810 sono autorizzati su un duplice fondamento.
58
Sono autorizzati in quanto le varietà in causa costituiscono «prodotti esistenti» ai sensi
dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003, essendo state notificate come tali alla
Commissione, conformemente ai paragrafi 1, lettera a), e 4 di detto articolo, l’11 luglio 2004,
ossia anteriormente al 18 ottobre 2004, e avendo costituito oggetto di una domanda di
rinnovo d’autorizzazione il 4 maggio 2007, ossia entro i nove anni previsti a tal fine con
decorrenza dal 5 maggio 1998, data della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della
decisione 98/294, e scadenza il 5 maggio 2007, conformemente all’articolo 11, paragrafo 2,
del regolamento n. 641/2004.
59
L’impiego e la commercializzazione di sementi delle varietà del mais MON 810 sono
autorizzati altresì perché tali varietà sono state iscritte nel catalogo comune disciplinato dalla
direttiva 2002/53.
60
Occorre peraltro rilevare che, sebbene le varietà del mais MON 810 siano autorizzate ai
sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e iscritte nel catalogo comune in
applicazione della direttiva 2002/53, trova applicazione l’articolo 26 bis di quest’ultima.
61
Si osservi, infine, che solo la raccomandazione del 23 luglio 2003 è pertinente ratione
temporis nel procedimento principale.
62
Così delimitato il contesto giuridico di quest’ultimo, si deve ritenere che, con la sua
questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se la messa in coltura di
OGM quali le varietà del mais MON 810 possa essere assoggettata a una procedura
nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di dette varietà sono
autorizzati ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e tali varietà sono state
iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva 2002/53. Il medesimo giudice chiede pure
se l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 consenta a uno Stato membro di opporsi alla
messa in coltura sul proprio territorio di tali OGM nelle more dell’adozione di misure di
coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di OGM in altre colture.
Sull’obbligo di richiedere un’autorizzazione nazionale
63
Il regolamento n. 1829/2003 enuncia, al considerando 1, che la libera circolazione degli
alimenti e dei mangimi sicuri e sani costituisce un aspetto essenziale del mercato interno.
L’articolo 19, paragrafo 5, del medesimo regolamento precisa che l’autorizzazione concessa
conformemente alle procedure di quest’ultimo è valida in tutta l’Unione.
64
Da parte sua, la direttiva 2002/53 enuncia, al considerando 11, che è necessario che le
sementi e le piante alle quali si applica tale direttiva possano essere commercializzate
liberamente all’interno dell’Unione dal momento della loro inserzione nel catalogo comune. Il
suo articolo 16, paragrafo 1, prescrive, di conseguenza, agli Stati membri di vigilare affinché,
con effetto a partire dalla data di pubblicazione nel catalogo comune, le sementi delle varietà
ammesse in applicazione delle disposizioni di detta direttiva non siano soggette ad alcuna
restrizione di mercato per quanto concerne la varietà.
65
Risulta, quindi, che il regolamento n. 1829/2003 e la direttiva 2002/53 mirano entrambi a
consentire il libero impiego e la libera commercializzazione degli OGM sull’intero territorio
dell’Unione, in quanto autorizzati conformemente al primo e iscritti nel catalogo comune in
applicazione della seconda.
66
Risulta peraltro, alla luce dei considerando 9, 33 e 34 del regolamento n. 1829/2003 nonché
degli articoli 4, paragrafi 4 e 5, e 7, paragrafo 4, della direttiva 2002/53, che le condizioni
imposte da questi due atti normativi, rispettivamente, per un’autorizzazione o un’iscrizione
nel catalogo comune rispondono alle necessità di tutela della salute e dell’ambiente.
67
Quanto ai prodotti esistenti il cui impiego e commercializzazione sono autorizzati in virtù
dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003, il legislatore dell’Unione ha considerato, in
sostanza, che tali necessità fossero soddisfatte provvisoriamente, al momento della notifica
di tali prodotti, per effetto della valutazione operata in fase di autorizzazione anteriore a
norma della direttiva 90/220 o della direttiva 2001/18.
68
Mediante il rinvio effettuato dall’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1829/2003
all’articolo 23 e, tramite quest’ultimo, agli articoli 18 e 19 del medesimo regolamento, lo
stesso legislatore ha poi assimilato i prodotti esistenti a prodotti autorizzati inizialmente sul
fondamento del regolamento n. 1829/2003 sotto il profilo della valutazione dei rischi per la
salute e per l’ambiente in fase di richiesta di rinnovo delle autorizzazioni.
69
Emerge da tali constatazioni che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, uno Stato membro
non è libero di subordinare a un’autorizzazione nazionale, fondata su considerazioni di tutela
della salute o dell’ambiente, la coltivazione di OGM autorizzati in virtù del regolamento
n. 1829/2003 ed iscritti nel catalogo comune in applicazione della direttiva 2002/53.
70
Al contrario, un divieto o una limitazione della coltivazione di tali prodotti possono essere
decisi da uno Stato membro nei casi espressamente previsti dal diritto dell’Unione.
71
Fra tali eccezioni figurano, da un lato, le misure adottate in applicazione dell’articolo 34 del
regolamento n. 1829/2003 nonché quelle disposte ai sensi degli articoli 16, paragrafo 2, o 18
della direttiva 2002/53, disposizioni che non sono oggetto del procedimento principale, e,
dall’altro, le misure di coesistenza prese a titolo dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18.
Sul divieto di coltivazione di OGM nelle more dell’adozione di misure di coesistenza
72
Si deve constatare per prima cosa che, come sottolineano il governo spagnolo e la
Commissione, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 prevede solo una facoltà per gli Stati
membri di introdurre misure di coesistenza.
73
Pertanto, nell’ipotesi in cui uno Stato membro si astenesse da qualsivoglia intervento nel
settore, un divieto di coltivazione di OGM potrebbe protrarsi per un periodo di tempo illimitato
e costituire un mezzo per aggirare le procedure previste agli articoli 34 del regolamento
n. 1829/2003 nonché 16, paragrafo 2, e 18 della direttiva 2002/53.
74
Un’interpretazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 che consenta agli Stati membri
di emanare un tale divieto sarebbe dunque contraria al sistema istituito dal regolamento
n. 1829/2003 e dalla direttiva 2002/53, sistema che consiste nel garantire la libera e
immediata circolazione dei prodotti autorizzati a livello comunitario e iscritti nel catalogo
comune, una volta che le necessità di tutela della salute e dell’ambiente siano state prese in
considerazione nel corso delle procedure di autorizzazione e di iscrizione.
75
In definitiva, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 può dar luogo a restrizioni, e perfino a
divieti geograficamente delimitati, solo per effetto delle misure di coesistenza realmente
adottate in osservanza delle loro finalità. Tale disposizione non consente, pertanto, agli Stati
membri di decidere una misura come quella oggetto del procedimento principale la quale,
nelle more dell’adozione di misure di coesistenza, vieta in via generale la coltivazione di
OGM autorizzati ai sensi della normativa dell’Unione e iscritti nel catalogo comune.
76
Alla luce del complesso delle considerazioni precedenti, occorre rispondere alla questione
sollevata nel senso che:
–
la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON 810 non può essere
assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la
commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell’articolo 20 del
regolamento n. 1829/2003 e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo
comune previsto dalla direttiva 2002/53;
–
l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 non consente a uno Stato membro di opporsi in
via generale alla messa in coltura sul suo territorio di tali OGM nelle more dell’adozione
di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di OGM in altre
colture.
Sulle spese
77
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le
spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
La messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais
MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione
quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi
dell’articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente
modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà
delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13
giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole,
emendata con il regolamento n. 1829/2003.
L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
12 marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla
direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008, non
consente a uno Stato membro di opporsi in via generale alla messa in coltura sul suo
territorio di tali organismi geneticamente modificati nelle more dell’adozione di misure
di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente
modificati in altre colture.
Firme