la sinovite tossica - Chirurgiarticolare

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S PA L L A
RICERCA
Frattura di clavicola
Quale trattamento in età pediatrica?
Epidemiologia
dell'ipovitaminosi D
Non si può fare molto per
prevenirle, perché sono
quasi sempre conseguenza
di traumi sportivi, cadute
o incidenti; in compenso
le fratture alla clavicola
guariscono spesso da sole a
patto di immobilizzare efficacemente l’osso, anche
per ridurre il dolore e il
rischio di eventuali complicanze.
Recentemente l’opzione
chirurgica è tornata in
auge in seguito a studi
scientifici che hanno
segnalato diversi casi di
non-unione, dolore, deficit funzionali della spalla e
in generale una scarsa soddisfazione dei pazienti sottoposti al trattamento
conservativo, che rimane
comunque la prassi più
seguita.
In particolare, una metaanalisi
effettuata
da
Zlowodzki nel 2005 sulla
base di una revisione sistematica della letteratura
internazionale ha riportato una riduzione dell’86%
del rischio di non-unione
ottenuto grazie all’intervento chirurgico su fratture del corpo mediale della
clavicola rispetto al bendaggio immobilizzante.
Data la situazione, alcuni
ortopedici di diversi centri
ospedalieri di Denver, in
Colorado, hanno deciso di
effettuare un sondaggio tra
tutti i membri della
Pediatric Society of North
America per conoscere gli
orientamenti degli esperti.
Come si può intuire dalla
scelta dei destinatari, l’indagine si è svolta con riferimento a fratture occorse
in bambini e adolescenti e
restringendo il campo a
quelle localizzate nel
corpo mediale, che sono
comunque le più frequenti.
Le risposte fornite mostrano una notevole disparità
nelle preferenze di trattamento a seconda che si
considerino adolescenti
già più vicini all’età adulta
oppure soggetti più giovani e bambini.
Gli ortopedici pediatrici
americani si sono quasi
unanimemente espressi a
favore del trattamento
conservativo per i ragazzi
fino ai 15 anni.
Negli adolescenti con età
superiore, le opinioni sono
meno omogenee, anche se
solo una minoranza degli
esperti ritiene opportuno
ricorrere alla chirurgia.
Agli ortopedici pediatrici
consultati è stato anche
chiesto se la loro scelta di
intervenire
chirurgicamente su un paziente
oppure decidere per un
trattamento conservativo
dipenda dalle indicazioni
della letteratura scientifica
riguardo alle fratture negli
adulti o da altri fattori.
È emerso che i risultati
degli studi recenti documentati in letteratura e
l’età del paziente sono elementi ritenuti validi per
operare una buona scelta.
Gli autori della revisione
trovano molto interessante la considerazione simultanea di questi due fattori,
«perché in letteratura non
sono stati fatti tentativi si
determinare l’età a partire
dalla quale il trattamento
chirurgico dovrebbe essere
preso in considerazione;
anzi, tutti gli studi pubblicati hanno considerato
adulti e adolescenti come
un’unica popolazione».
Il fatto che la clavicola
rotta sia in corrispondenza
dell’arto dominante ha
un’influenza sulla scelta
del 23% degli ortopedici,
mentre circa la metà di
loro tende a valutare più
favorevolmente la chirurgia se il paziente è uno
sportivo.
Il sesso del paziente non
esercita invece nessuna
influenza sulla scelta operata dal medico e anche il
fatto che l’ortopedico sia
un uomo o una donna non
determina orientamenti
differenti verso l’opzione
chirurgica o quella conservativa.
Renato Torlaschi
Carry PM, Koonce R, Pan Z,
Polousky JD. A survey of physician opinion: adolescent
midshaft clavicle fracture
treatment preferences among
POSNA members. J Pediatr
Orthop.
2011
JanFeb;31(1):44-9.
LA SINOVITE TOSSICA
A dispetto del suo nome inquietante, la sinovite tossica non è una malattia pericolosa: associata nella
mente dei pazienti a qualcosa di estremamente negativo possiamo invece definirla come un'infiammazione
transitoria della sinovia a quasi esclusione dell’articolazione dell’anca.
Generalmente di breve durata, presenta dei piccoli
segni prodromici come la zoppia, deambulazione scorretta, vago dolore diffuso e irradiato al ginocchio.
Colpisce generalmente i bambini in età pre puberale,
maggiormente i maschi rispetto alle femmine, con una
prevalenza di 4 a 1.
I sintomi che iniziano sfumati sono quasi sempre unilaterali, vengono indicati dal bambino con un vago
dolore all’arto inferiore e osservati dai genitori con
una evidente zoppia di fuga, una mancanza di voglia
nel gioco e una riduzione spontanea dell’attività fisica.
Quasi sempre si associa una febbricola, mai importante, che si aggira intorno ai 37.5-38 gradi.
Alcuni studi associano questa condizione a pregresse
infezioni virali (citomegalovirus, varicella, herpes,
mononucleosi), che causano una risposta autoimmune
capace di generare uno stato di infiammazione generale e localizzata.
La sinovia dell’anca durante l’età dello sviluppo è
sicuramente sottoposta a stress meccanici notevoli: il
gioco e lo sport gravano quasi totalmente sul cingolo
pelvico, rendendo questa zona particolarmente delicata e facilmente soggetta a transitori stati di indebolimento.
Alla comparsa dei sintomi il medico deve principal-
mente fare diagnosi differenziale con l’artrite settica,
così da impostare una adeguata terapia (sia nel primo
ma soprattutto nel secondo caso).
Una volta inquadrato bene il problema clinico, sono
possibili alcuni accertamenti diagnostici come l’ecografia e la radiografia convenzionale, che possono aiutare a confermare il sospetto diagnostico.
Il trattamento, che può essere assolutamente nullo
nei casi di una forma estremamente leggera, varia in
funzione dell’età del bambino e della condizione clinica.
Si possono dare cure sintomatiche che nell’immediato
risolvano dolore e febbre, fino a consigliare periodi di
riposo, astensione dal carico e la quasi immobilità dell’arto inferiore.
Normalmente il decorso fisiologico della patologia è
di 7-10 giorni, con graduale scomparsa dei dolori e
ripresa delle normali funzioni articolari. Nella maggior
parte dei casi non si assiste a recidive, che comunque
vengono segnalate sempre e solo durante il periodo di
accrescimento e maturazione dello scheletro.
Al giorno d’oggi non esiste una prevenzione che possa
segnalare i soggetti a rischio rispetto a quelli che non
saranno colpiti da questo problema.
Resta quindi al medico, e nello specifico allo specialista pediatra od ortopedico, la capacità di una diagnosi
rapida e corretta, nell’impostare ove necessario una
terapia farmacologica e nel tranquillizzare i genitori
riguardo alla moderata pericolosità della malattia.
Lorenzo Castellani, Matteo Laccisaglia
È ben noto il ruolo della
vitamina D nel favorire
l’assorbimento del calcio
assunto attraverso l’alimentazione e la sua importanza
fin dall’età evolutiva. Lo
stato della vitamina D nell’organismo è generalmente
accertato misurando la concentrazione plasmatica di
25-idrossivitamina D (25OH-D) che è il precursore
della forma attiva della
vitamina. Non si è ancora
raggiunto un accordo tra
gli specialisti nello stabilire
i valori normali di riferimento, ma nel caso dei
bambini una recente revisione scientifica ha suggerito le soglie di 20 e 32 ng/ml,
rispettivamente come indicatori di deficienza e di
insufficienza di 25-OH-D.
Obesità,
pigmentazione
scura della pelle, alimentazione carente in vitamina D
e scarsa esposizione al sole
sono ritenuti fattori di
rischio per l’ipovitaminosi
D nei bambini, mentre l’interesse degli ortopedici è
soprattutto rivolto a curarne gli effetti, che comprendono un’aumentata difficoltà di guarigione dopo
fratture o interventi chirurgici.
Joshua
Parry
della
University of Texas ha
coordinato un gruppo di
studio per determinare i
livelli di vitamina D tra i
pazienti pediatrici sottoposti a interventi di chirurgia
ortopedica, quindi proprio
tra i soggetti in cui l’ipovitaminosi è particolare fonte
di problemi. Su un campione composto da 70 bambini, da cui erano stati esclusi
i soggetti con disturbi di
metabolismo osseo, i medici di Houston hanno ottenuto risultati preoccupanti:
il 90% dei giovani esaminati aveva livelli di 25-OH-D
inferiori ai 32 ng/ml e il
16% presentava gravi
carenze con concentrazioni
inferiori a 12 ng/ml.
I risultati dello studio confermano alcuni dei fattori
di rischio comunemente
accettati per l’ipovitaminosi D ma non altri. L’etnia
africana, un’età più elevata
(quindi i soggetti adolescenti più dei bambini) e la
stagione invernale sono
state associate a insufficiente vitamina D. In particolare, gli adolescenti di etnia
africana mostrano ipovitaminosi D più spesso degli
ispanici e questi ultimi più
dei ragazzi di origine nordeuropea. Questo dato era
già stato quantificato in
maniera impressionante da
uno studio precedente che
aveva indicato probabilità
20 volte superiori di carenze severe di vitamina D tra i
giovani
afroamericani
rispetto ai bianchi. Parry e
colleghi non hanno invece
trovato conferma di ricerche che indicavano un
maggior rischio tra le ragazze rispetto ai coetanei
maschi. In modo analogo
non sono state rilevate concentrazioni più alte di 25OH-D tra i bambini provenienti dal Messico che
erano presenti nel campione studiato, come era invece stato suggerito da altri
lavori, che avevano spiegato i risultati con l’abitudine
dei piccoli messicani di passare più ore all’aria aperta
rispetto agli statunitensi. La
variazione dell’idrossivitamina D con le stagioni è
stata invece rilevata come
previsto, con livelli più
bassi in inverno, ma simili
in primavera, estate e
autunno. Lo studio dei
ricercatori texani ha un
valore epidemiologico, ma
non si è spinto a verificare
la probabile relazione che
intercorre tra la concentrazione plasmatica di 25-OHD e le complicanze degli
interventi chirurgici o la
rapidità della guarigione
dell’osso, approfondimenti
suggeriti per ulteriori indagini.
Renato Torlaschi
Parry J, Sullivan E, Scott AC.
Vitamin D sufficiency screening in preoperative pediatric
orthopaedic patients. J Pediatr
Orthop
2011
AprMay;31(3):331-3.