Gaia Mangili – Università degli Studi di Bergamo, Giurisprudenza Vanessa Beecroft, “Sculture viventi” Mi ha colpito molto, tra le opere che abbiamo analizzato alla Galleria d’arte moderna e contemporanea, la performance, in schermo, di Vanessa Beecroft “Sculture viventi”, realizzata nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo a Palermo, dove l’artista di origine italiana, ha diretto un gruppo di 27 donne coperte da uno strato di trucco bianco mescolate a 13 sculture in gesso. Tale opera vuole indagare sulla condizione della donna nell’arte e nella vita attraverso il corpo e soprattutto vuole denunciare gli “abusi” che subisce, forse anche inconsapevolmente, dalla nostra società. Le sue donne, confuse con quelle finte di gesso, credo vogliano farci riflettere: sono davvero tutte uguali le donne? Non devono avere caratteri troppi personali ma anzi, devono seguire un determinato canone di bellezza loro imposto dal mondo? Non devono avere una propria personalità, anche dal punto di vista estetico? Io credo sia proprio così, purtroppo. E credo sia proprio questo il messaggio della Beecroft. Un visitatore non può che rimanere “a bocca aperta” di fronte a tale rappresentazione, in cui alcune donne, tutte nude e molto belle, mostrano i loro corpi ricoperti di trucco bianco, senza vergogna, senza espressione: insomma, così come delle statue di gesso. Eppure se ben ci ragioniamo, è proprio la società che impone loro tale aspetto e tale comportamento, con i modelli che di continuo propina e lo stesso è sempre accaduto nell’arte tramite i vari modelli artistici che hanno caratterizzato le diverse epoche fino ad arrivare ad oggi. Pensiamo alla donna della televisione, per esempio veline, modelle, letterine, showgirl: basta poco per notare come siano tutte uguali (stessa tipologia di aspetto fisico, non troppo cervello nè personalità, poco vestite, tutte molto belle), come siano tutte trattate esclusivamente come “oggetti” e basta altrettanto poco per notare che queste ultime si lascino di fatto, forse inconsapevolmente, trattare in tale modo, quasi come fosse normale che la donna debba a tutti i costi essere mercificata. Io credo invece che le donne siano e debbano essere molto di più e credo soprattutto che ogni donna sia diversa dall’altra, in tutti quegli aspetti che la rendono appunto “donna” e non “statua-oggetto”, creata prima su dei modelli e realizzata successivamente con materiali predeterminati. Non sono invece d’accordo sulle critiche avanzate verso l’artista per la scelta della stessa di utilizzare delle donne, messe a nudo, per realizzare la sua opera: dopotutto non capisco in che altro modo avrebbe dovuto farlo. La Beecroft è inoltre una tra le artiste contemporanee più provocatrici del momento e il suo scopo è proprio quello, forse, di alimentare critiche. Ed’è forse questa la chiave della sua fama. L’artista, con le sue provocazioni, vuole farci riflettere su come le donne, nonostante le diverse lotte, passate ed attuali per la conquista dei propri diritti e della parità con l’uomo, siano purtroppo ancora “usate” per il loro aspetto fisico. A tal proposito non posso non citare l’articolo 3 della nostra Costituzione che dimostra il raggiungimento della parità di sesso tanto voluta e desiderata, nonché profondamente lottata, dalle donne: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di SESSO, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. A questo punto non ci resta che riflettere su cosa ci sia di incoerente nel confrontare le nostre leggi ed in particolare questo articolo della Costituzione e quello che in realtà accade nella nostra società.