Tempo ed eternità nel pensiero occidentale di Antonio Mrozek Del tempo, spesso abbiamo un concetto piuttosto generico e, a volte, persino contraddittorio, come quello rappresentato da Agostino nel libro XI delle Confessioni: “se nessuno mi chiede cosa sia il tempo, lo so, ma se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più”. Le parole di Agostino ci propongono delle domande che meritano delle risposte: il tempo esiste, oppure no? E se sì, da cosa è costituito? Dove e in che modo nasce? Come può essere definito? Ho trovato risposte a tali interrogativi soprattutto nel pensiero degli antichi, forse perché le loro riflessioni erano meno legate alla dimensione terrena e maggiormente proiettate verso il Trascendente. Per i Pitagorici, il tempo era la misura data dal movimento dei corpi celesti e, in effetti, la rotazione della Terra, che permette di farci vedere il Sole che sorge e tramonta, era e continua a essere il primo orologio degli esseri umani. Con Platone, il discorso si fa più articolato: il tempo, per il grande filosofo, rappresentava “l’immagine mobile dell’eternità” 1, definizione che gli permetteva di distinguere da una parte i concetti di presente, passato e futuro, legati al moto dei corpi celesti e, dall’altra, il concetto di eternità, concepito come eterno presente. Per la dottrina platonica, il tempo era dunque un’entità effettiva, presente nella dimensione fisica e preesistente a tutte le cose del mondo tangibile che, appunto, nascono e muoiono nel tempo. Aristotele accolse la concezione platonica, compresa la distinzione fra tempo ed eternità, ma con una variante sostanziale: definì il tempo come “numero del movimento secondo il prima e il dopo” 2, affermando che non era il tempo a far scorrere le cose e gli eventi, bensì il movimento - cioè la successione delle cose e degli eventi - a scandire il tempo. Chi aveva ragione? Esiste veramente il tempo universale e assoluto, ipotizzato da Platone, nel quale si dispiega e si evolve l’intero cosmo? Oppure - come sostenuto da Aristotele - il tempo è semplicemente un’unità di misura che scaturisce dalla puntuale ripetizione degli equilibri astrali e delle leggi che presiedono la fisica universale? Il successivo pensiero medioevale e rinascimentale adottò la seconda tesi, la cui impostazione fu utilizzata, in epoca moderna, anche da Hobbes, Berkeley e Locke, padri dell’empirismo inglese, per i quali il tempo avrebbe solo una valenza soggettiva, frutto della percezione del movimento aristotelico e dell’elaborazione mentale dell’uomo3. Quando l’impostazione aristotelica sembrò prevalere in via definitiva, il confronto fu riaperto da René Descartes con la distinzione tra tempo - definito “modo di comprendere, sotto una comune misura, la durata di tutte le cose”4 - e durata, in senso indefinito, dell’universo: in altri termini, un’indiretta riproposizione della concezione platonica. Di lì a poco, la distinzione cartesiana veniva ulteriormente elaborata da Isaac Newton, con la distinzione tra tempo relativo - inteso come misura sensibile ed estesa mediante il movimento - e tempo assoluto (o durata), concepito invece con i connotati della realtà metafisica, come espressione della manifestazione di Dio. Scrisse nei Principia: “il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura, senza relazione a nulla di esterno, scorre uniformemente”5. In pratica, con la sua fisica, Newton ipotizzò che il tempo continui a scorrere inesorabilmente anche nello spazio vuoto più assoluto, ove non c’è niente e non accade niente. Di lì a poco, Leibniz non esitò a polemizzare con Newton sul concetto di tempo e lo stesso fece Kant, con l’uno e con l’altro; tuttavia, per oltre due secoli, la cultura e la scienza continuarono a ritenere - come aveva insegnato Newton - che il tempo e lo spazio avessero una valenza assoluta e uniforme. Tutto però fu rimesso in discussione nel 1905, quando Einstein teorizzò la relatività ristretta, sostenendo in particolare che spazio e tempo non sono assoluti - quindi, né eterni, né immutabili - bensì Platone, Timeo, 37 d. Aristotele, Fisica, IV, 12, 219 b. 3 Thomas Hobbes, De corpore, 7, 3 (anno 1665) - John Locke, Saggio sull’intelletto umano, II, 14, 19 (anno 1690). 4 René Descartes, Principia philosophiae, I, 57 (anno 1644). 5 Isaac Newton, Naturalis philosophiae principia mathematica, I, def. VIII (anno 1687). 1 2 relativi, nel senso che necessariamente dipendono dalla realtà circostante che, quindi, rappresenta il necessario sistema di riferimento sia per lo spazio, sia per il tempo. Altra novità introdotta dalla relatività ristretta fu la nuova concezione del presente, ossia del tempo posto tra il passato e il futuro. Si era sempre pensato che il presente fosse l’attimo fuggente, quello che non fa a tempo a giungere, che già è passato; per la teoria di Einstein, invece, la durata dell’intervallo che corre tra passato e futuro, tra il prima e il dopo, dipende dalla distanza nello spazio. Spiega il fisico Carlo Rovelli: “per esempio, se noi stiamo parlando nella stessa stanza, l’intervallo tra passato e futuro è di qualche nanosecondo, cioè pochissimo, e non lo notiamo. Se telefoniamo da New York dura un millisecondo, ancora troppo poco per notarlo, ma se io sono sulla terra e tu su Marte, allora il tempo ‘né passato né futuro’ dura un quarto d’ora. Quei quindici minuti non sono né nel mio passato né nel mio futuro. Sono nella ‘zona intermedia’. Ciò determina conseguenze importanti; significa che non si può dire ‘in questo momento nell’universo le cose stanno in un certo modo’ perché nell’universo, in realtà, non esiste ‘questo momento’”6. Dieci anni dopo, con l’ulteriore elaborazione della sua teoria, Einstein aggiunse alle tre dimensioni dello spazio - lunghezza, larghezza e altezza - anche il tempo, come quarta dimensione, giungendo così al concetto unico di spazio-tempo e, soprattutto, a dimostrare il fenomeno della dilatazione temporale: il tempo rallenta man mano che ci si avvicina alla velocità della luce (300.000 km/s). La scoperta fu senz’altro sensazionale ma pregiudicò, e in maniera decisiva, il significato e il valore stesso del tempo, sino a quel momento inteso come unità di misura universalmente omogenea e valida in ogni circostanza. A un secolo di distanza dalla sua enunciazione, costatiamo che la teoria della relatività ha rappresentato uno stravolgimento rivoluzionario tanto per la fisica classica, quanto per gli stessi convincimenti dell’uomo comune. In seguito, ulteriori teorie - come quelle riguardanti il mondo subatomico, i quanti, la meccanica ondulatoria - sono pervenute a conclusioni ancor più radicali, fino al paradosso di ritenere inutili e superati tanto il principio del persistente rapporto tra causa e effetto, quanto la nozione stessa del tempo. E allora? É venuta meno ogni certezza temporale? Non proprio. La linea della riflessione sul tempo si è spostata più avanti, ma c’è ed è ancora necessaria, come rilevano alcuni studiosi contemporanei. Tra questi, anche il fisico Leo Smolin - uno dei padri della teoria della gravità quantistica a loop - che in un suo recentissimo libro7 ha criticato la teoria della relatività e la stessa fisica quantistica come astratte definizioni teoriche, avendo escluso il tempo come attributo fondamentale della natura e negato la sua esistenza in base a semplici equazioni anziché con lo studio della realtà naturale e delle leggi che la regolano. A conferma dell’esistenza del tempo, lo scienziato adduce numerose ragioni, tra le quali il senso di causalità presente nelle stesse leggi di natura che, proprio perché regolate dal rapporto causa-effetto, presuppongono stabilmente un prima e un dopo. Al riguardo possiamo aggiungere che, eliminando i concetti di spazio e tempo, dovremmo fare a meno anche di altri concetti di relazione altrettanto indispensabili, come ad esempio quello di moto che, per definizione, “è la condizione di un corpo che muta posizione nello spazio con il trascorrere del tempo”. Possiamo pertanto ritenere che i principi della fisica teorica, per quanto importanti, non sono al momento in grado di sostituire e rimpiazzare il nostro consueto ed ordinario modo di pensare il tempo, che è ancora misurato nei due modi indicati dal poeta Ralph W. Emerson: da una parte, l’attimo che si dissolve mentre lo si vive; dall’altra, la continuità lineare della nostra esistenza, nella quale la ripetizione dei nostri atti di bontà si trasforma in virtù e la reiterazione di quelli cattivi in vizio. In tale prospettiva, il tempo torna ad assumere un’importanza basilare e funge da presupposto indispensabile per l’evoluzione umana come pure per la crescita e la salvezza spirituale di ogni uomo, permettendo persino di cogliere gli effetti benefici della preghiera, come ha saputo intendere Simone Weil nel commento al testo evangelico del Padre Nostro: “Non è possibile recitare il Padre nostro neanche una volta sola […] senza che un mutamento forse infinitesimale, ma reale, non si produca nell’anima”8. A differenza del tempo, concepito come quantità misurabile, il concetto di eternità è abitualmente inteso come tempo infinito, senza inizio né fine, secondo la concezione della perpetuità eraclitea, mentre la nozione di immortalità sta ad indicare un periodo temporale senza fine, che però ha avuto un inizio. Se tuttavia si considera il significato etimologico, il termine eternità deriva dal latino ex-ternum, ossia fuori dalla triade (passato, presente, futuro) e cioè fuori dalla concezione del tempo: quindi, eternità non come tempo infinito, ma come durata al di fuori dello scorrere del tempo. Fu Parmenide per primo a esprimere il concetto di eternità atemporale, identificandolo col divino ed eterno presente: “Mai è stato e mai sarà, perché è adesso tutto insieme” 9. D’altra parte, se così non fosse, il concetto stesso di eternità verrebbe meno, in quanto risulterebbe in evoluzione come il tempo perdendo però la caratteristica sua propria, che è quella di rimanere sempre uguale a se stesso. Dopo Parmenide, il termine è stato costantemente utilizzato con identico significato da tutti i grandi pensatori occidentali, da Platone a Plotino, da Agostino a Boezio, sino ai nostri giorni 10. Tra questi, di particolare rilievo, almeno per i credenti, la riflessione condotta sul tema da Tommaso d’Aquino che, divergendo dalla definizione di Boezio - per il quale “l’eternità è il possesso simultaneo e perfetto di una vita senza termine”11 - definisce a sua volta l’eternità nei seguenti termini: Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare, ed. Cortina; Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi. Leo Smolin, The Time Reborn, 2013. 8 Simone Weil, Padre nostro, ed. Castelvecchi. 9 Parmenide, Sulla Natura, 28 B 8.5 D - K. 10 Platone, Timeo, 37 e - 38 a; Plotino, Enneadi, III, 7, 5; Agostino, Confessioni, libro XI. 11 Boezio, De consolazione philosophiae, V, 6: aeternitas est interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio. 6 7 “Ora, dove non c’è movimento, dove l’essere è sempre il medesimo, non si può parlare di ‘prima’ e di ‘dopo’. Pertanto, come il concetto di tempo consiste nella scansione del prima e del dopo nel movimento, così il concetto di eternità consiste nella percezione dell’uniformità, ossia di quello che è assolutamente estraneo ad ogni moto […] Concludendo, la nozione di eternità è data da queste due cose: primo, dal fatto che ciò che si trova nell’eternità è interminabile, ossia senza termine, senza principio e senza fine, riferendosi la parola ‘termine’ all’uno e all’altra. In secondo luogo: per il fatto che la stessa eternità esclude ogni successione, esistendo tutta insieme’”12. È evidente che una eternità intesa come infinita durata, senza principio e senza fine, che persiste in un perpetuo presente in cui tutto esiste simultaneamente, può essere solo una prerogativa divina, dato che in Dio non vi è divenire né cambiamento, altrimenti la sua unicità risulterebbe relativa, incompleta, parziale. Se tale è la nostra fede, Dio costituisce la vera e assoluta Realtà, l’Essere unico che tutto contiene ma che, simultaneamente, tutto trascende, mentre il nostro mondo materiale - pur essendo parte integrante del suo essere divino - ne rappresenta l’aspetto transitorio e, dunque, apparente. Per analogia, anche questo nostro tempo, dinanzi all’eternità, è relativo ma pur sempre necessario per comprendere la realtà, acquisire esperienza e, con essa, un progressivo ampliamento della coscienza. Concludo citando alcuni versi di una poetessa tedesca contemporanea, Elli Michler, tratti dal componimento Ti auguro tempo, con la speranza che suonino di buon auspicio per il nostro futuro: Non ti auguro un dono qualsiasi: ti auguro tempo, per divertirti e per ridere; ti auguro tempo, per il tuo Fare e il tuo Pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre, non soltanto per trascorrerlo ma per stupirti e per fidarti. Ti auguro tempo per toccare le stelle, tempo per crescere, per maturare. Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare, per trovare te stesso, per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono. Ti auguro tempo anche per perdonare. Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita. 12 Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, 10, 1.