VITA Nacque ad Amiterno, città della Sabina, nei pressi dell'odierna L'Aquila, nell'86 a. C., da una famiglia plebea ma benestante, legata alla ricca borghesia locale. Trasferitosi ancora giovane a Roma per studiare e intraprendere la carriera politica, entrò in contatto con l'élite del tempo e ricevette un'istruzione di alto livello. Prese parte alla vita politica come cesariano: fu perciò avversario accanito di Cicerone (di cui sposò dopo il divorzio, la moglie Terenzia) e di Pompeo. Nel 55 o nel 54 fu questore e nel 52 tribuno della plebe. Fu espulso dal senato nel 50 per ordine di Pompeo, sotto l'accusa di immoralità, ma più probabilmente perché Pompeo voleva liberarsi così di un accanito avversario. Sallustio si recò allora presso Cesare in Gallia: con lui varcò il Rubicone. Venne riammesso in senato e, nel 47 a. C. ottenne la pretura. Terminata la guerra civile, fu preposto alla provincia d'Africa (Numidia). Tornato in patria, dopo aver accumulato ingenti ricchezze, sfuggì a un processo de repetundis per intercessione di Cesare, e costruì sul Quirinale una sfarzosa villa, ricordata con il nome di Horti Sallustiani, più tardi diventati dimora preferita dell'imperatore Adriano. Dopo la morte di Cesare (44), si ritirò a vita privata, cercando con la sua attività di storico di far dimenticare il suo passato tutt'altro che lodevole. Morì nel 35 a. C. LA FUNZIONE DELLA STORIOGRAFIA E IL RUOLO DELLO STORICO SECONDO SALLUSTIO Sallustio si dedicò alla storiografia quando le circostanze lo costrinsero ad allontanarsi dalla vita politica. Egli segue una prassi propria della storiografia greca, che consiste nell'iniziare le proprie opere (De Catilinae coniuratione e Bellum Iugurtinum), svolgendo alcuni temi di carattere generale e affermando, prima di tutto, l'utilità della storia. Sallustio vuole rivendicare l'importanza del ruolo dello storico e per farlo parte da premesse filosofiche, cioè dal tema platonico del dualismo dell'essere umano, composto di anima e corpo: la prima e di origine divina ed è chiamata a funzioni di guida, mentre il corpo, che è mortale e che l'uomo ha in comune con gli altri animali, deve obbedirle. Viene dunque proclamata la superiorità della parte spirituale dell'uomo su quella fisica. All'anima, dunque, Sallustio riconduce tutte le occupazioni più nobili ed elevate, quelle apportatrici di fama. Tra di esse è in primo piano naturalmente l'attività politica; essa tuttavia, a detta di Sallustio, non è più praticabile poiché a Roma trionfa la corruzione e gli onori non sono conferiti alla virtù, ma si ottengono con la frode o con la violenza e sono diventati appannaggio dei cittadini peggiori. In una simile situazione la storiografia appare un'occupazione assolutamente dignitosa e anche utile per i riflessi che ha sulla società, in quanto spinge all'emulazione delle grandi imprese degli antenati. Essa viene presentata come la naturale prosecuzione dell'azione politica prescritta dal mos maiorum. S. attua così anche una sublimazione dell'immagine dello storico. S. sente il bisogno di creare un personaggio al quale affidare, secondo lo statuto del genere storiografico, non solo l'esposizione, ma anche l'interpretazione e la valutazione dei fatti. Al S. tutt'altro che esente da colpe o almeno da sospetti, viene dunque sostituito un personaggio ineccepibile, che dopo aver sperimentato le bassezze della politica, se ne ritrae disgustato e sceglie di proseguire nella storiografia, con l'imparzialità di chi ormai ha preso le distanze dagli interessi di parte, il suo impegno a favore della res publica: una figura austera e autorevole, del cui giudizio i lettori possono fidarsi senza esitazioni. La legittimazione della storia rispetto alla tradizione romana e la dimostrazione della dignità del narratore sono dunque i principali obiettivi dei proemi. A essi sono finalizzati l'imponente apparato di concetti, luoghi comuni e massime cui l'autore ricorre, nonché il colorito filosofico dei capitoli iniziali, che non indicano l'adesione a una determinata dottrina, ma rivelano piuttosto l'esigenza di far riferimento a precedenti illustri e autorevoli. OPERE Bellum Catilinarium È la prima opera scritta da S. ed è una monografia, cioè il racconto di un fatto ben definito, svoltosi in un periodo di tempo limitato (in questo caso l'arco di tempo è di 18 mesi e va dal 64 al 62). Il genere monografico non era molto comune tra i Romani, a quanto ne sappiamo: nel proemio S. dichiara che intende scrivere le vicende del popolo romano "per sezioni staccate" (captim), scegliendo episodi memorabili e sottolinea l'importanza dell'opera a cui si accinge rilevando che la congiura di Catilina è stato un fatto degno di memoria soprattutto per la novità del crimine e del rischio che ha rappresentato. In realtà S. affronta l'argomento da una prospettiva più ampia, cogliendo nella cospirazione il travaglio e la crisi della res publica. Questa prospettiva percorre tutta l'opera, emergendo anche negli excursus che sviluppano e approfondiscono i temi e i concetti impliciti nell'esposizione storica. L'excursus che occupa la parte centrale dell'opera la divide in due parti: la prima si estende fino al momento in cui Catilina viene messo fuori legge, la seconda che narra gli avvenimenti successivi, a Roma e in Etruria. In esso lo storico delinea la condizione della Roma di Catilina in termini di corruzione e di degenerazione morbosa: è una sorta di malattia spirituale che ha completamente invaso la città. Di questo processo patologico vengono descritti il decorso e le cause nell'excursus posto all'inizio dell'opera. In esso, seguendo illustri modelli (in primo luogo Tucidide), Sallustio narra gli antecedenti del datti che è oggetto specifico del suo racconto, rievocando brevemente il passato di Roma dalle origini alla congiura. Non ci offre però una sintesi storica, ma piuttosto una valutazione complessiva che vede nei vizi e nelle virtù il fulcro dell'agire individuale e collettivo. Ne consegue un'acuta e amara riflessione moralistica, che ricostruisce le vicende della res publica per grandi grandi fasi, caratterizzate non da particolari eventi politici o militari, ma da diverse condizioni morali. Centrale è la contrapposizione tra la corrotta età moderna e il buon tempo antico, idealizzato e trasformato nel modello perfetto, cui viene rapportata la successiva involuzione della res publica. La decadenza dell'imperium romano inizia con la distruzione di Cartagine al termine della terza guerra punica (146 a. C.). La sicurezza dell'accresciuta potenza ha provocato il cambiamento della mentalità e dei costumi tradizionali. I fattori che hanno determinato questa trasformazione sono il desiderio eccessivo di ricchezza e la brama di potere. Tale irreversibile deterioramento è entrato nella sua fase terminale con la dittatura di Silla e si è manifestato clamorosamente ai tempi della congiura di Catilina, in cui trionfa uno smodato desiderio di ricchezze da profondere in un lusso arrogante. Tutta la parte iniziale, fino al capitolo 16, delinea lo sfondo del complotto, presentando, in una serie di quadri, la corruzione della società romana, la personalità di Catilina, i suoi precedenti di depravazione e criminalità comune e politica, le individualità dei suoi complici. Il vero racconto inizia, al capitolo 17, con la riunione convocata in casa di Catilina e prosegue con un andamento fortemente selettivo. I procedimenti narrativi sono variati con l'inserzione di segmenti "drammatici", che concedono direttamente la parola ai personaggi, mediante discorsi e lettere. Vi sono anche importanti parti descrittive, come i ritratti di Catilina e di Sempronia. Nella seconda sezione, dopo l'excursus centrale, prevale il racconto, che si articola in due momenti distinti: la repressione della congiura a Roma (dicembre del 63) e l'annientamento dell'esercito dei congiurati in Etruria. La tendenza selettiva e l'asimmetria della narrazione raggiungono il loro culmine nello spazio enorme dedicato alla seduta del Senato dopo l'arresto dei congiurati e agli ampi discorsi di Cesare e Catone che trascendono il motivo contingente (la condanna da infliggere ai congiurati) per proporre due diverse concezioni della politica. Elemento essenziale della storia sono i personaggi, ai quali viene attribuita la responsabilità degli eventi. L'analisi psicologica diviene così parte integrante dell'indagine storica. Tra i personaggi spicca Catilina, figura negativa, ma vigorosa e potente, il cui ritratto, posto subito dopo il proemio, fissa fin dall'inizio il personaggio nella parte del malvagio. Catilina non presenta nel corso dell'opera alcuna evoluzione, ma incarna fin dal principio il tipo del sovversivo. Egli riassume in sé la crisi della res publica, non viene assolutamente presentato come uno dei populares quale era (i cui programmi eran in gran parte condivisi da Cesare), ma è raffigurato come un fenomeno eccezionale e patologico, il frutto estremo e velenoso di quel processo degenerativo che ebbe inizio con la caduta di Cartagine. Nella monografia gode di un'evidente centralità e possiede una grande energia morale, che viene riconosciuta e che per S. è una caratteristica positiva e, anche se nel caso specifico è volta al male, conferisce grandezza a una figura di "cattivo" statica e compatta. Attorno a Catilina ruotano le altre figure: i complici, anch'essi spinti dallo stesso disperato vigore, e gli avversari. Tra questi in prima linea troviamo Cicerone, che, tuttavia, non ha la statura del suo antagonista, anche perché non gli è concesso di esprimere direttamente il suo punto di vista in discorsi o lettere, come invece può fare Catilina. Viene raffigurato come il magistrato che sa scoprire e reprimere le trame sovversive e S, che non nutriva per lui alcuna simpatia, lo apprezza e lo definisce optimus consul. L'espressione delle idee e delle opinioni che circolano nella civitas insidiata da Catilina viene assegnata alle voci di Cesare e di Catone. Questi ultimi non partecipano all'azione, ma compaiono nell'opera soltanto come figure emblematiche delle principlai posizioni che si fronteggiano a Roma: il rigorismo della tradizione (Catone) e le nuove istanze politiche (Cesare). L'opera è viziata da un intento apologetico: Sallustio, trascinato dalla passione politica, si propone di liberare Cesare, ormai morto, dall'accusa di aver partecipato alla congiura; perciò definisce senz'altro la congiura come uno scelus, i congiurati come uomini della peggior risma, ecc.; mentre è noto che reali motivi di malcontento spingevano questi membri del partito democratico contro l'oligarchia aristocratica e senatoria capeggiata da Cicerone. Ne soffre, naturalmente, la verità storica e persino l'esattezza cronologica. Notevoli i discorsi che Cicerone, Cesare e Catone pronunciano in senato per la condanna dei Catilinari: Cicerone e Catone, per la condanna a morte, Cesare per l'esilio e la confisca dei beni. Bellum Iugurtinum La seconda monografia narra la guerra sostenuta dai Romano in Africa per sei anni dal 111 a. C. Al 105 a. C., contro Giugurta, re della Numidia. Anche qui troviamo l'attenzione specifica per l'evento importante e l'interesse più generale per le condizioni e le vicende etico-politiche dello Stato romano. La riflessione etico-politica di Sallustio si esprime in un ampio excursus, che interrompe il fluire del racconto storico per indagare le cause della decadenza della res publica. Il punto di inizio della crisi e nuova,ente indicato nella caduta di Cartagine e identiche sono le cause generali, la tranquillità e la prosperità; viene però individuato con maggiore precisione il fattore fondamentale della decadenza dello Stato romano attribuita alla discordia interna, ai conflitti tra popolo e Senato. Tale discordia è fatta derivare dalla scomparsa del metus hostilis (la paura del nemico) che fa in modo che la rilassatezza morale non trovi più argini dopo la distruzione di Cartagine: il pensiero di S. si fa sempre più lucidamente pessimista. All'excursus d'argomento etico-politico si aggiungono altre due sezioni digressive, che trattano della geografia e dell'etnologia dell'Africa, l'altra della posizione geografica e della storia leggendaria della città africana di Leptis. I tre excursus assumono un'importanza strutturale e scandiscono il racconto. Anche qui la narrazione è fortemente selettiva, inoltre alla narrazione si alternano lettere e discorsi, che consentono di esprimere direttamente i punti di vista dei personaggi e divengono un essenziale strumento di approfondimento psicologico, ma soprattutto il mezzo privilegiato per svolgere la tematica politica. Come nella monografia precedente, per la definizione delle figure più eminenti, come Mario e Silla, vin impiegata la tecnica descrittiva del ritratto. Anche in quest'opera S. pone in forte rilievo una figura negativa, Giugurta. Il suo personaggio non è però, come Catilina, fissato nel suo ruolo e nel suo tipo fin dall'inizio, ma si viene definendo nel corso dell'opera. All'inizio abbiamo un giovane di grande energia fisica e intellettuale, che si batte valorosamente a fianco dei Romani (di cui i Numidi erano alleati) sotto Numanzia. Solo dopo la morte del vecchio Micipsa, Giugurta imbocca la strada del delitto e si trasforma prima in un maestro dell'intrigo e della corruzione e poi in un nemico astuto e ostinato. In questa sua parte di cattivo appare tormentato da ira e paura, sempre diviso tra l'impulso al delitto e la preoccupazione per le conseguenze. Nell'ultima evoluzione del personaggio prevale invece la tipologia del perdente: una figura drammatica che reagisce con disperata energia, fino alla sconfitta, ineluttabile ma strenuamente avversata. A differenza di Catilina, che si presenta come un sovversivo dal principio alla fine, Giugurta possiede una personalità complessa e dinamica, che si adatta e contribuisce all'evoluzione della vicenda. Di fronte a lui si erge una pluralità di antagonisti che sono espressione dello Stato romano: viene fronteggiato dai rappresentanti dell'intera res publica. Ci sono i nobili che si lasciano corrompere o che mostrano totale incompetenza; ci sono membri della nobilitas integri e capaci ma superbi, come Mete.lo, e homines novi probi ed efficienti ma ambiziosi come Mario. Proprio su quest'ultimo si fissano l'attenzione e la simpatia di S., che in lui apprezza, sia pure non acriticamente, la capacità di rinnovamento della politica (che consiste nel ritorno ai valori del mos maiorum) propria dei migliori tra i populares. Racconto della guerra giugurtina (111-106 a. C.), suggerito a Sallustio forse dal fatto di essere stato presente nei luoghi che furono principale teatro della guerra. Anche qui è evidente l'intento apologetico: Sallustio si propone di esaltare la figura del democratico Mario, vincitore di Giugurta, contro la viziosa e corruttibile aristocrazia. Le Historiae (solo frammenti) Dopo le prime due opere S. abbandonò lo schema monografico e si cimentò in una trattazione di più vasto respiro, di impianto annalistico. Riallacciandosi all'opera di un predecessore, Lucio Cornelio Sisenna, ne proseguì il racconto iniziando dal punto in cui quella si concludeva, cioè dalla morte di Silla (78 a. C.). Dell'opera rimangono solo una silloge di quattro discorsi e di due lettere e un buon numero di frammenti. da questi ultimi si capisce che il testo in cinque libri abbracciava il periodo dal 78 a. C. al 67 a. C. Non sappiamo se lo storico quando morì, avesse ultimato la sua opera o se intendesse proseguire la narrazione fino al 63 a. C. per ricongiungersi con la sua prima monografia. Nel proemio S. valutava la tradizione storiografica latina precedente (lodando in particolare Catone9 e poi trattava nuovamente il tema della corruzione della res publica. Abbandonando i mito della perfezione dell'antica repubblica, affermava che la decadenza era iniziata assai presto e che già prima della seconda guerra punica esistevano gravi discordie interne: dalla generale corruzione si erano salvati solo brevi periodi in cui i pericoli esterni avevano obbligato i Romani alla concordia e alla virtù. Sviluppando dunque il concetto di metus hostilis (già presente nel Bellum Iugurtinum), egli modificava e approfondiva ulteriormente, in senso pessimistico, la sua concezione etico-politica della storia di Roma.. L'opera manteneva le caratteristiche peculiari delle monografie: la narrazione selettiva e drammatica, il grande rilievo conferito ai personaggi e alla loro psicologia, l'indagine dei fattori morali che determinano le azioni umane. ai personaggi S. dava spesso la parola direttamente, variando il flusso narrativo con discorsi e lettere. dei quattro discorsi e delle due lettere conservati il documento più interessante è la lettera di un nemico dei Romani, Mitridate, re del Ponto: in essa trovano espressione i temi (derivati dalla storiografia greca) dell'opposizione all'imperialismo romano. Nell'inverno 69-68 a. C. Mitridate intavolò infatti con il re dei Parti Arsace trattative diplomatiche per indurlo all'alleanza contro i Romani. S. gli attribuisce un'epistola in cui il re espone al potenziale alleato la necessità di fare causa comune e i vantaggi che ne deriverebbero per entrambi. Illusoria è la speranza, nutrita forse da Arsace, di poter continuare a mantenersi neutrale e indipendente: Mitridate descrive gli interventi dei Romani in Oriente fino alla guerra in corso contro di lui e convince Arsace che dopo la sua sconfitta toccherà ai Parti essere aggrediti senza alcun motivo giustificato. il punto di vista di Mitridate non nasconde una condanna all'imperialismo romano da parte dello storico nemmeno una critica per i metodi brutali e rapaci impiegati in Oriente da tanti rappresentanti della nobilitas, è piuttosto un mezzo per caratterizzare in un modo realistico ed efficace il personaggio di Mitridate, un nemico di Roma, nella cui personalità lo storico si immedesima, assumendone il punto di vista. Ideologia e arte in Sallustio S. fu un attivo seguace di Cesare. la sua simpatia per il grande personaggio risulta evidente, nella prima monografia, là dove lo storico si preoccupa di escludere rigorosamente ogni complicità di Cesare alla congiura di Catilina. Più in generale traspare dall'insieme della sua opera il favore per la fazione "popolare". Tuttavia la storiografia sallustiana non ci appare il frutto di interessi di parte. Pur non rinnegando le sue convinzioni, egli le corregge e le controlla alla luce dell'amore per la veridicità e l'imparzialità; inoltre non esita a criticare più volte l'operato della plebe e dei suoi tribuni. S., inoltre, vuole spogliare gli eventi della loro occasionalità, per inserirli in una visione più ampia e organica: l'idea della crisi della repubblica romana che percorre l'opera sallustiana. La ricerca delle cause di tale crisi si orienta verso l'indagine delle condizioni etico-politiche della società. Questa impostazione moralistica trova qualche precedente nella storiografia greca, ma rinvia soprattutto, per la centralità conferita al mos maiorum, a una concezione tipica della storiografia romana e particolarmente di Catone. Quest'ultimo è anche il modello stilistico di S. Sallustio si può considerare il primo storico veramente pensatore e critico. Egli non fu un semplice espositore di fatti, ma volle ricercare le cause degli avvenimenti e rintracciarle negli uomini. Uomini intesi non come popolo, ma come eroi: sono pochi uomini fatali e predestinati coloro che fanno la storia. Modello di Sallustio fu Tucidide, il vero iniziatore del metodo storico. Sallustio sente la storia come dramma della vita: egli aspira a eliminare fatti e personaggi di dettaglio per far dominare in modo visibile le azioni e i personaggi principali, come per esempio nel Bellum Catilinarium; e fa largo uso dei discorsi, come già Tucidide, per rendere più animata la situazione. uno dei tratti più appariscenti dello stile sallustiano è una patina arcaica derivata da Catone e dalla tradizione annalistica latina. Troviamo infatti abbondanti arcaismi fonetici e morfologici. Sono inoltre frequenti termini desueti, vocaboli elevati, parole comuni in accezioni rare e neologismi. S. fa uso di procedimenti sintattici e retorici che rendono il suo stie inconfondibile e che hanno come punti fermi la ricerca della brevitas e il gusto della variatio. La brevitas comporta e fonde insieme la concisione e la pregnanza: si tratta di concentrare il massimo di significati nel minimo di parole. La prosa sallustiana è veloce, densa, talora brusca e scabra, deliberatamente lontana dall'uso comune. La variatio spinge S. a a evitare ogni esito scontato e a rifiutare l'armonia della concinnitas.