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Friedrich Schiller
Il corpo e l’anima
Scritti giovanili
Introduzione di Giovanna Pinna
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Introduzione
(Giovanna Pinna)
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Nota ai testi
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Il corpo e l’anima
(Friedrich Schiller)
Filosofia della fisiologia
Saggio sul rapporto tra la natura animale
e la natura spirituale dell’uomo
Lettere filosofiche
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Nota bio-bibliografica
17
45
93
124
Introduzione
di
Giovanna Pinna
Il 13 gennaio 1782 al teatro di Mannheim fu rappresentata con enorme successo una tragedia il cui autore
era del tutto sconosciuto al pubblico. L’opera era I masnadieri (Die Räuber) e il suo autore Friedrich Schiller,
allora ventitreenne, che ne ebbe fama immediata e fu
salutato come la speranza del nuovo teatro tedesco. Curiosamente, colui che sarebbe diventato un classico della
letteratura tedesca fu costretto ad assistere clandestinamente alla rappresentazione della sua opera prima, così
come clandestine erano state l’elaborazione del testo e
le vicende della pubblicazione. La ragione di ciò è che
Schiller all’epoca prestava servizio come medico di reggimento a Stoccarda e gli era stata proibita ogni attività
letteraria pubblica. La tragedia era stata ideata e in massima parte scritta all’accademia militare di Stoccarda, la
cosiddetta Karlsschule, dove Schiller era stato costretto
dal duca del Württenberg, Karl Eugen, a studiare medicina. Tale circostanza, che fomentò nel giovane aspirante poeta, incline piuttosto a studi teologici, una violenta avversione per il dispotismo (la seconda edizione a
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Introduzione
stampa de I masnadieri recava l’epigrafe “In tyrannos”),
ebbe però conseguenze significative e fruttuose per la
sua formazione intellettuale. Lo studio della medicina
alla Karlsschule era infatti affiancato da insegnamenti di
filosofia, di psicologia e di antropologia, che offrivano
agli allievi un’ampia panoramica sulle discussioni teoriche contemporanee. Una figura in particolare, il giovane
filosofo berlinese Jacob Friedrich Abel, cui il duca aveva
affidato la realizzazione del suo avanguardistico progetto di integrazione tra medicina, filosofia e antropologia,
ricoprì per Schiller il ruolo di mentore. Nell’eclettico insegnamento di Abel confluivano dottrine di marca empirista e sensista, da Locke a Ferguson, la riflessione sulla
destinazione dell’uomo, l’idea leibniziana dell’armonia
prestabilita, la discussione sui materialisti francesi come
Helvétius e La Mettrie ed anche la tradizione teosofica
sveva. Né mancavano i riferimenti alla letteratura contemporanea e a Shakespeare.
La formazione di Schiller fu dunque quella del medico-filosofo, caratterizzata dall’ottimismo razionalistico
della Popularphilosophie illuministica e da un interesse
precipuo per l’uomo nella complessità della sua costituzione psico-fisica. In tale contesto la letteratura, soprattutto quella drammatica, divenne per lui strumento di
analisi ed al tempo stesso terreno applicativo dell’osservazione psicologica. Shakespeare più di ogni altro offriva un materiale ricchissimo per l’indagine dei lati oscuri dell’anima umana e della patologia del commercium
mentis et corporis, e nelle prime prove poetiche lo studente della Karlsschule riversò i risultati di questo studio sull’uomo, tanto che nei Masnadieri il personaggio
di Franz Moor ordisce le sue trame servendosi perversamente del sapere del medico-filosofo. Si può quasi dire
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Giovanna Pinna
che per certi versi la letteratura abbia funto da surrogato della scarsa pratica clinica, benché non mancassero
a Schiller occasioni di genuina esperienza osservativa,
come quando fu incaricato di scrivere una relazione sul
coallievo Heinrich Grammont, affetto da una grave forma di depressione. Il testo si concentra sul rapporto tra
lo stato psichico del paziente, causato in parte da una
crisi religiosa (il giovane proveniva da un ambiente pietista), e i disturbi fisici concomitanti, mostrando chiaramente l’orientamento dell’osservatore, improntato ad
una visione antropologica globale che rimarrà un tratto
costante della produzione teorica schilleriana. Da questo
humus intellettuale sorgono i tre scritti qui raccolti.
1. Non è un caso che a conclusione degli studi Schiller scelga un tema con una forte connotazione filosofica:
Filosofia della fisiologia è il titolo della prima dissertazione da lui presentata, e respinta dalla commissione per
l’eccessiva disinvoltura con cui tratta dottrine consolidate e figure di riferimento della medicina del tempo. Nello
scritto, di cui ci è giunta solo la parte introduttiva e il
piano dell’opera, Schiller discute le diverse dottrine fisiologiche relative al rapporto tra mente e corpo a partire
dall’assunto metafisico della somiglianza dell’uomo con
Dio. La sua posizione corrisponde in linea di principio
a un dualismo antimaterialistico che non gli impedisce
però di considerare gli argomenti elaborati dai materialisti francesi riguardo alla struttura del meccanismo corporeo. Se da un lato è convinto della immaterialità dell’anima, dall’altro ritiene che la destinazione dell’uomo, vale
a dire la perfezione del suo essere, sia realizzabile attraverso l’accordo tra le sue disposizioni spirituali e le leggi
dell’universo fisico. A ciò si connette una forma di eude9
Introduzione
monismo che lega la felicità alla comprensione del senso
del tutto. Un’idea, questa, derivata in gran parte dagli
Institutes of Moral Philosophy dello scozzese Adam Ferguson, letti nell’edizione tedesca di Christian Garve, uno
degli esponenti di spicco della Popularphilosophie. Nel
suo tentativo di render conto del meccanismo di interazione tra anima e corpo egli si concentra sul sistema nervoso e sul principio di irritabilità, mutuato dalla fisiologia dello scienziato e poeta svizzero Albrecht von Haller.
La possibile soluzione del problema, cioè il superamento
sia del monismo materialista, sia dello spiritualismo di
marca leibniziana che sottomette interamente il corpo al
principio spirituale, consisterebbe infatti nell’esistenza
di una forza intermedia (Mittelkraft) tra sfera corporea e
sfera psichica, che risiederebbe propriamente nei nervi.
Ma il concetto, per la dimostrazione del quale Schiller si
appella in ultima istanza all’esperienza dell’inscindibilità
delle due nature nell’uomo, richiama anche la nozione di
Mittelding (lett.: cosa intermedia) del teosofo Christoph
Oetinger, che si opponeva al dualismo tra res cogitans
e res extensa attraverso l’idea della manifestazione divina come presenza materiale. L’uso disinvolto di fonti
eterogenee e l’intreccio di ambiti conoscitivi differenti
è del resto ciò che colpisce in questo testo incompiuto
e certamente acerbo, il cui interesse risiede soprattutto
nella prefigurazione di un orizzonte problematico: la
complessa interazione fra ragione e passioni, conoscenza
ed emozioni che sta alla base della tragedie e degli scritti
estetici dello Schiller maturo.
2. Alla laurea in medicina Schiller giunse infine con
un lavoro che mostrava con evidenza ancora maggiore
il suo approccio filosofico-antropologico alla disciplina:
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Giovanna Pinna
il Saggio sul rapporto tra la natura animale e la natura spirituale dell’uomo. Il centro di interesse del suo discorso
è la necessaria e armonica interazione tra corpo e mente,
laddove egli sottolinea l’apporto della dimensione sensibile-corporea all’elaborazione della conoscenza e alla
determinazione della volontà. Pur ribadendo l’intermediarietà della propria posizione tra spiritualismo e materialismo, egli ritiene infatti più fruttuoso soffermarsi sul
“contributo del corpo alle attività dell’anima”, facendo
passare in secondo piano le questioni relative all’unità e
all’immortalità dell’anima a favore di un’argomentazione
di carattere antropologico. La riflessione sulla fisiologia
delle passioni è inquadrata in una sorta di storia naturale dell’individuo e del genere umano che anticipa – con
un eccesso di ottimismo sulla perfettibilità dell’uomo
che sarà poi accantonato – la prima parte della sua opera filosofica maggiore, le Lettere sull’educazione estetica
dell’uomo (1795). Per altro verso, nonostante l’uso di un
metodo empirico-induttivo nella descrizione dei fenomeni psicosomatici e i numerosi riferimenti alla medicina
contemporanea, nella sua composizione il testo tradisce
la più genuina inclinazione dell’autore, che infarcisce
l’argomentazione di esempi letterari, da Shakespeare a
Cicerone, da Pope alle poesie di Haller, sino ai drammaturghi dello Sturm und Drang, in funzione di illustrazione o di riscontro “empirico” degli assunti teorici sostenuti. Ma la sua ambizione primaria, quella di essere un
“pittore d’anime” e di indagare attraverso l’invenzione
poetica le vicende e le perversioni della psiche umana,
emerge soprattutto da un caso eclatante di auto-citazione
mascherata: un lungo passaggio da I masnadieri, opera
non ancora conclusa e tantomeno pubblicata, corredato
dal riferimento fittizio “Life of Moor. Tragedy by Kra11
Introduzione
ke”. Qui Franz Moor, razionalista cinico pronto a servirsi
della conoscenza dell’influsso della psiche sul corpo per
annientare la volontà del padre, è a sua volta preda del
turbamento fisico connesso al prevalere delle “idee oscure”, ovvero l’inconscio. Questo esempio di immaginazione letteraria che si integra nel contesto apparentemente estraneo di una dissertazione scientifica è l’emblema
del singolare intreccio di motivi concettuali e di stimoli
provenienti da discipline diverse che forma la base delle
concezioni letterarie ed estetiche di Schiller. Un intreccio
in cui la considerazione del ruolo della “macchina corporea” nella costituzione dell’individuo ha una parte decisiva, il che ha indotto la critica recente a ridimensionare
l’immagine tradizionale di uno Schiller enfaticamente ed
esclusivamente proiettato verso le vette dell’ideale.
3. Ciò non esclude però che vi sia in questi scritti
anche una componente neoplatonica, metafisica o addirittura teosofica, che si cristallizza in una sorta di filosofia dell’amore. Amore e amicizia sono concetti che
ricorrono, in diverse accezioni, sia negli scritti teorici
che nella produzione poetica sino ai primi anni ’80, un
filo rosso che riconnette la prima dissertazione medica
all’abbozzo di metafisica contenuto nelle Lettere filosofiche, pubblicate sette anni più tardi. Quest’ultimo scritto,
pensato come romanzo epistolare, è il racconto di una
crisi personale che è anche la crisi di un’epoca: il crollo
delle credenze religiose tradizionali sotto l’impatto della
critica illuministica e il conseguente tentativo di superare lo sterile scetticismo indotto da un uso radicale della
ragione, in direzione di un accordo tra sentimenti e princìpi. Il motivo dell’amore assume qui la connotazione di
una intensa amicizia intellettuale – e per certi aspetti di
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Giovanna Pinna
un rapporto tra allievo e maestro – tra due giovani, Julius
e Raphael. Il primo, più giovane e inesperto, espone in
un breve scritto intitolato Teosofia di Julius la propria visione del mondo entusiastica e fideisticamente ottimista,
che è stata minata alle fondamenta dagli argomenti del
razionalismo materialista, gettandolo nella disperazione.
Raphael appare nella sua (unica) risposta epistolare nelle vesti del medico-filosofo che ha inoculato il vaccino
dello scetticismo per provocare una salutare crisi della
coscienza ingenua.
La Teosofia di Julius, cui le lettere fanno da cornice,
è lo strato più antico del testo, scritto probabilmente nel
periodo dell’Accademia, e dev’essere letto come una fase
passata delle posizioni dell’autore al momento della pubblicazione dell’opera. La visione del mondo ivi contenuta è la stessa che stava alla base della prima dissertazione:
l’amore come legame universale e come attrazione tra gli
enti, in un sincretismo che unisce influssi neoplatonici
e concezione newtoniana del cosmo. In questa grande
catena dell’essere, in cui tutti gli esseri tendono alla perfezione, cioè alla massima espansione di sé, il principio
negativo è l’egoismo dei materialisti e di Hobbes, cui è
contrapposta l’idea che la felicità del singolo abbia una
valenza sociale, in quanto direttamente connessa alla felicità di tutti. L’idea di una infinita perfettibilità dell’uomo, che ha la sua destinazione al di là dell’esistenza fisica,
è d’altra parte inscindibilmente connessa alla concezione
dell’immortalità dell’anima e a una visione emanatista del
mondo e della divinità. È su questo nucleo metafisico che
si appuntano le critiche della ragione materialista, sgretolando di conseguenza l’intera impalcatura intellettuale del giovane Julius. Poiché infatti la natura dell’uomo
sarebbe diretta emanazione dell’essenza divina, anche
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Introduzione
le implicazioni antropologiche e sociali dell’idea dell’armonia tra sfera spirituale e mondo fisico sono messe radicalmente in dubbio. Conseguenza di questo doloroso
processo di revisione critica della propria intuizione del
mondo è in definitiva la rinuncia alla metafisica, espressa
anche in uno dei più significativi testi poetici di Schiller,
la lirica Resignation (Rassegnazione, 1784), che pone in
discussione il fondamento teologico della morale e l’idea
di una ricompensa postuma della virtù.
Manca tuttavia una vera soluzione del problema posto
da giovane Julius, manca in sostanza la risposta di Raphael riguardo alla possibilità di pensare in maniera rigorosa
la conciliazione tra razionalità e sentimento. Lo scambio
epistolare resta interrotto e Schiller tenta una conclusione fittizia, pubblicando nel 1789 nella rivista «Thalia» la
lettera di risposta di Raphael redatta dall’amico Gottfried Christian Körner, già allora kantiano convinto, e ristampandola nella seconda edizione, quasi a documento
della stessa idea di amicizia che innervava l’opera. Ma
il progettato romanzo epistolare non divenne mai tale e
la ragione va ricercata probabilmente in un’impasse teorica insormontabile con gli strumenti filosofici offerti
dalla Popularphilosophie illuminista, cui si può aggiungere l’incertezza del giovane Schiller riguardo alle proprie
competenze filosofiche. Una variante delle stesse questioni compare del resto nel Dialogo filosofico contenuto
nel racconto Der Geisterseher (Il visionario, 1787-89),
rimasto anch’esso, non a caso, interrotto. Da tale impasse Schiller uscirà solo qualche anno dopo, attraverso lo
studio del pensiero di Kant, che dà l’avvio alla stagione
dei grandi scritti estetici degli anni Novanta, dai saggi sul
sublime sino a Sulla poesia ingenua e sentimentale.
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Nota ai testi
I tre scritti qui raccolti rappresentano la prima fase
della riflessione teorica di Schiller ed accompagnano la
produzione poetica e drammaturgica giovanile. I primi
due testi, sinora mai tradotti in italiano, documentano
l’interazione tra medicina, antropologia e filosofia che
sta all’origine della concezione schilleriana dell’uomo,
poi articolata e affinata con gli strumenti della filosofia
trascendentale. Il terzo esprime invece le posizioni metafisiche della prima giovinezza e il loro superamento in
una direzione che cerca di mediare tra idealismo e materialismo.
Il primo scritto, Filosofia della fisiologia (Philosophie
der Physiologie), è il capitolo iniziale della prima dissertazione presentata da Schiller alla Karlsschule per la
laurea in medicina nel 1779, che fu respinta dalla commissione. Il testo integrale, redatto prima in tedesco, poi
in latino, non fu pubblicato ed è andato perduto. Ce ne è
pervenuta questa trascrizione parziale, trovata nel lascito
di Franz Conz, amico d’infanzia dell’autore, e pubblicata
per la prima volta nel 1841. L’indice in epigrafe dà indicazioni sul piano complessivo del lavoro.
Il Saggio sul rapporto tra la natura animale e la natura
spirituale dell’uomo (Versuch über den Zusammenhang
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Introduzione
der tierischen Natur des Menschen mit seiner geistigen,
Stuttgart, Cotta 1780) è la dissertazione con cui Schiller
conseguì la laurea in medicina.
Le Lettere filosofiche (Philosophische Briefe) furono
stampate nel terzo numero della rivista «Thalia», edita
dallo stesso Schiller, nel 1786 e poi ripubblicate nelle Kleinere prosaische Schriften, vol. I, Leipzig, Crusius
1792, pp. 99-162. Il testo è composto da un nucleo più
antico, corrispondente alla Teosofia di Julius, iniziato nel
periodo degli studi, e da una serie di lettere scritte probabilmente a partire dal 1783, che fanno da contrappunto critico alla Teosofia. Alla seconda edizione Schiller aggiunse una ulteriore lettera redatta dall’amico Gottfried
Körner e già pubblicata separatamente su «Thalia» nel
1786, che fungeva in un certo senso da completamento
dello scritto rimasto incompiuto.
La traduzione è condotta sul testo fornito nel vol. XX
della Nationalausgabe [Schillers Werke, Nationalausgabe, gegr. von J. Petersen, fortgeführt von B. von Wiese,
L. Blumenthal et al. Weimar, Hermann Böhlau Nachfolger 1943 e ss., abbr. NA].
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