Friederich Schiller, Poesie filosofiche da Introduzione di Giovanna Pinna 1. Non si può dire che Schiller sia un classico dimenticato. Le sue tragedie sono in generale note al pubblico colto, anche se forse più attraverso le rielaborazioni del melodramma ottocentesco che non per conoscenza diretta delle opere. Agli scritti teorici maggiori, d’altro canto, hanno dedicato riflessioni e analisi studiosi che si occupano del pensiero estetico moderno. Su Schiller poeta, invece, in Italia è calato un velo di indifferenza, dovuto in parte agli effetti straordinariamente cospicui e duraturi del giudizio negativo che ne diede Benedetto Croce e in parte al fatto che la lirica schilleriana si distacca, per l’ispirazione metafisica e il solenne gesto retorico, dall’idea postromantica di poesia come effusione del sentimento individuale. Le poesie di Schiller si collocano in una linea certamente minoritaria dello sviluppo della lirica moderna. Mentre in generale ha prevalso un paradigma poetico basato su un io monologico che estrinseca direttamente i propri sentimenti e le proprie emozioni, le poesie schilleriane della maturità, e tra queste in particolare le poesie filosofiche, abbondano di allocuzioni, comunicano pensieri ed esibiscono un’eloquenza poetica esercitata nella persuasione retorica. Certo, come i romantici, Schiller fa del soggetto il punto focale della poesia moderna, ma sottolineando di esso l’universalità della funzione trascendentale piuttosto che la singolarità. Egli rifugge d’altra parte da un modello di poesia che si appella solo al sentimento ed esclude dal suo campo d’azione l’intelletto e la ragione. Nella recensione delle poesie di Bürger, un testo importante per la comprensione della sua concezione della lirica, egli formula una serie di osservazioni che sono insieme un programma di poetica e un’autocritica alla propria produzione giovanile. Compito del poeta è essere all’altezza intellettuale della propria epoca, un’epoca – quella di Schiller – eminentemente filosofica, e cercare attraverso la Bildung un possibile punto di incontro fra l’immediatezza del sentimento e l’elaborazione razionale dell’esperienza. Nulla è più estraneo a Schiller dell’ispirazione immediata e inconscia come fonte della produzione poetica: “l’entusiasmo da solo non è abbastanza. Si esige l’entusiasmo di uno spirito coltivato”. Il testo poetico schilleriano, coerentemente con i suoi principi, è un prodotto della riflessione, che nasce dall’interesse per un’idea e si struttura secondo una complessa retorica delle immagini. Il poeta moderno o sentimentale è necessariamente poeta doctus, non per amore della preziosità erudita, ma perché l’oggetto è mediato da una soggettività complessa e culturalmente consapevole. La ricerca dell’immediatezza e della popolarità esplicitamente perseguite da Bürger, poeta assai amato dai contemporanei, gli appare di conseguenza come un’abdicazione alla missione dell’intellettuale. “Tutto ciò che il poeta può darci è la sua individualità”, si legge nella recensione, ma ciò che egli intende per individualità ha poco in comune con l’idea corrente della specificità e irripetibilità dell’individuo singolo. L’individualità geniale è in realtà per lui quella in grado di mettere in parentesi le particolarità dei propri interessi e sentimenti, e di elevarsi così a ciò che costituisce l’interesse e l’essenza specifica del genere umano. Alla lirica, nella concezione schilleriana dei generi letterari, compete una sorta di priorità teorica, dovuta al suo essere in un certo senso un genere “puro”, che scaturisce direttamente dalla condizione soggettiva del poeta, senza legami con la logica intrinseca agli oggetti esterni. Ma è per questo anche il più arduo: “Lo stato d’animo lirico (lyrische Stimmung),” scrive in una lettera a Goethe, “è quello che fra tutti obbedisce di meno alla volontà, poiché è, per così dire, incorporeo e mancando di un riferimento materiale si fonda solo nell’animo”. Se si considera inoltre che, come osservò Wilhelm von Humboldt, per Schiller “il pensiero era, in un senso più alto e pregnante che forse per chiunque altro, l’elemento della sua esistenza”, risulta evidente come sia la lirica filosofica (Gedankenlyrik) per Schiller a corrispondere più da vicino a questo ideale di poesia. Ma che significa lirica filosofica? A Humboldt le poesie schilleriane, a partire da Gli dèi della Grecia, appaiono addirittura come un nuovo genere poetico, che “congiunge con tutta la ricchezza epica il più elevato slancio lirico e che con questa duplice impressione sulla fantasia e sulla sensibilità conduce lo spirito a verità profonde e inattese”. Quel che egli intende con “ricchezza epica” altro non è che la concatenazione di figure e di quadri descrittivi che compongono lo sviluppo retorico-argomentativo delle liriche. Humboldt vuole sottolineare che non di puri excursus dottrinali poetizzati si tratta, o di filosofia in versi, ma di poesia, che in quanto tale parla all’intelletto solo attraverso la forma sensibile. Il che corrisponde effettivamente al programma di Schiller, di trasformare un’idea filosofica in immagine, rendendola intuitivamente accessibile attraverso la fantasia: “Alla poesia portano tutte le strade dello spirito umano e tanto peggio per esso se non ha il coraggio di condurle semplicemente a questa meta. La filosofia più alta culmina in un’idea poetica, e così la moralità e la politica più elevate. È lo spirito poetico che indica a tutte e tre l’ideale, e approssimarsi a questo costituisce la loro suprema perfezione”. Il rapporto tra filosofia e poesia è, per così dire, necessario, poiché si fonda sull’assunto che la ragione non agisce isolatamente, ma sta in un rapporto di azione reciproca con le altre forze dell’animo, in primis l’immaginazione. L’intenzione poetica di Schiller include l’effetto emozionale sullo spettatore, ma l’emozione che si vuole provocare è l’entusiasmo per l’intuizione di una verità, comunicando lo stato d’animo del poeta nel momento in cui percepisce la sublimità di un’idea. Rispetto al pensiero filosofico, la poesia avrebbe il vantaggio di muovere l’intero individuo, nonché – e in questo risiede la sua funzione utopica nella Bildung del soggetto moderno – di “ricongiungere le forze separate della nostra anima” e “ricostituire in noi l’uomo nella sua interezza”. Schiller ha illustrato in termini metaforici questo programma classicistico di produttivo interscambio tra verità e pathos conoscitivo: “La poesia nella sua elaborazione più perfetta deve afferrarci potentemente, come la musica, ma al tempo stesso deve, come la plastica, circondarci di serena chiarezza”. È stato spesso notato che il linguaggio lirico di Schiller è privo di allusività, di quel misterioso potere evocativo che di norma si ascrive alla parola poetica. La sua originalità risiede piuttosto nella precisione con cui descrive l’immagine, a sua volta tramite di un contenuto speculativo. La lirica schilleriana è, in un certo senso, una poesia che articola visivamente un’intuizione teorica, e il sentimento soggettivo da cui nasce è puro slancio intellettuale unito a passione per la forma. Il linguaggio gli appare del resto, diversamente che all’amico Humboldt, non strumento individuale di conoscenza, ma mezzo di universalizzazione, che impoverisce l’intuizione viva. Ne Gli dèi della Grecia le divinità, simbolo dell’armonia tra sensibilità e ragione, andandosene, portano via “tutti i colori e i suoni della vita”, lasciando all’uomo moderno soltanto “la parola esanime”, che astrae e concettualizza (vv. 123-124). Lo scetticismo di Schiller riguardo alla possibilità di esprimere con immediatezza un contenuto interiore, un sentimento individuale, fa sì che egli sposti il fulcro dell’espressione poetica sul piano simbolico. La mediazione dell’immagine appare necessaria per strutturare e rendere comunicabili i contenuti astratti. La poesia di Schiller, e quella di ispirazione filosofica in modo particolare, è costituita di un continuo rimando dal concetto all’immagine e dall’immagine al concetto. Schiller pensa poeticamente per immagini, una tendenza che si ritrova in parte anche nella sua prosa filosofica, come gli fu rinfacciato da Fichte. Nella lirica ciò determina una densità di significati che rende spesso ardua la comprensione immediata del testo. Anche la frequenza di rimandi e figure mitologiche nelle poesie di Schiller può costituire un ostacolo per il lettore moderno. L’uso della mitologia, che certo rientra nel gusto neoclassico degli ultimi decenni del Settecento, non è tuttavia concepito da Schiller come puro ornamento. La mediazione del simbolo per l’espressione del contenuto è, come si è già accennato, consustanziale alla sua ispirazione poetica, che si esprime principalmente attraverso simbologie naturali o figure mitologiche. E la mitologia greca in realtà non è altro che un potenziamento della simbologia naturale e serve a compiere quell’operazione di riduzione della varietà dell’esperienza sensibile a essenzialità poetica che Schiller pone come fine della poesia: “Mi sembra che i modelli antichi, sia nella poesia che nella plastica, ci rendano il servigio di presentare una natura empirica che è già ridotta a natura poetica, e di potere, dopo uno studio approfondito, dare essi stessi indicazioni per quella riduzione”. L’uso delle figure mitologiche nelle poesie filosofiche ha di conseguenza un carattere che potremmo quasi dire sistematico. Schiller costruisce cioè attraverso le immagini del mito un orizzonte di significato che risulta dalla specifica accezione e dall’ordine che esse hanno all’interno del singolo componimento poetico. Vi sono perciò figure ricorrenti, come Eracle, Demetra, Proserpina, i Dioscuri, Venere, Dioniso che rimandano in genere alla duplice determinazione dell’uomo, sensibile e intelligibile, ma che vengono definite di volta in volta attraverso caratteristiche che ne precisano il senso. In questo Schiller si serve liberamente della tradizione classica, distaccandosi dal Classicismo di marca winckelmanniana soprattutto per il ricorso a elementi dionisiaci in virtù dei quali il suo universo mitologico assume il colore di una meditazione sul rapporto fra la vita e la morte. […]