Boas e la fotografia

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Boas e la fotografia
a cura di
Antonello Ricci
Copyright © MMIX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN 978–88–548–2449–2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: aprile 2009
Indice
Presentazione .................................................................
7
Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
Antonello Ricci........................................................
9
George Hunt, Kwakiutl Photographer
Ira Jacknis...............................................................
53
Franz Boas and Early Camera Study of Behavior
Jay Ruby...................................................................
71
1.
2.
3.
1. Franz Boas:
la realtà e la sua rappresentazione
Antonello Ricci
Introduzione
È unanimamente accettato che Franz Boas sia stato uno dei
principali promotori e artefici dell’uso dei mezzi audiovisivi
nella ricerca etnografica. Il suo ruolo in tal senso è attestato nei
suoi stessi scritti, in ciò che ha prodotto e ha lasciato in eredità
culturale ai suoi allievi. È anche attestato dall’unanime consenso con cui la sua figura viene inquadrata nel panorama della storia degli studi statunitensi.
Nell’arco della sua lunga carriera di studioso e ricercatore
sul campo egli ha prodotto immagini fotografiche e sequenze
filmiche e soprattutto si è circondato di fotografi professionisti
in qualità di collaboratori di ricerca. Ha anche stimolato la pratica della ripresa fotografica nel suo più duraturo partner di
campo, George Hunt, la cui figura nei manuali di storia degli
studi antropologici è diventata emblema di mediazione culturale
9
10
Antonello Ricci
e di un modo partecipato e condiviso di condurre il lavoro di ricerca etnografica, ma anche e con una più importante e fruttuosa ricaduta metodologica, la personificazione di ciò che si intende per comprensione e messa a fuoco del “punto di vista dei
nativi”.
Franz Boas nasce a Minden, in Germania, nel 1858 in una
famiglia ebrea e tale ascendenza lo rende particolarmente sensibile alle tematiche del razzismo. La sua formazione è orientata
dagli studi e dall’ambiente culturale europei ed è improntata a
un fruttuoso eclettismo di interessi che successivamente condiziona il suo approccio e il suo modo di operare e di intendere la
ricerca etnografica. In tal senso la biografia di Boas lascia trasparire una sua particolare attrazione verso gli aspetti visuali:
His doctoral research concerning the ‘perception of the color of water’ required numerous optical studies of reflection, absorption, intensity, polarization, etc., and Boas continued these optical studies
with H.W. Vogel, an innovator in photographic theory and technology.1
L’interesse verso l’etnografia e l’antropologia si manifesta in
seguito alla sua partecipazione, fra il 1883 e il 1884, a una spedizione scientifica di carattere geografico nella Terra di Baffin,
nell’estremo nord del territorio canadese, dove incontra e ha
modo di studiare i gruppi Inuit ivi stanziati. Da questa prima esperienza prende corpo la convinzione di una preminenza del
fattore culturale su quello ambientale nel determinare le relazioni sociali. È in questa occasione che si manifesta nella sua
metodologia di ricerca un ampio utilizzo delle allora nuove tecnologie di rilevamento e raccolta dei dati, in particolare la macchina fotografica e il fonografo Edison a rulli di cera, come pure
un profondo interesse verso gli aspetti visuali della cultura.
Prima di intraprendere la spedizione fra gli eschimesi prende lezioni di disegno e di fotografia, compresa la tecnica di sviluppo
dei negativi.
1
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, in “Studies in Visual Communication”,
10, 1, 1984, pp. 2-60, p. 43.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
11
He started his photography lessons in March of 1883 and by midApril was spending two hours an afternoon at it. As he wrote to his
parents: ‘Photographing is so important, that I want to profit as much
as possible from it.’ In addition to his practical lessons, during his
time in Berlin (October 1882-May 1883) Boas studied photography
with Hermann W. Vogel, a pioneer in the theory and scientific basis
of photography.2
Durante il viaggio verso il grande nord a bordo della nave
Germania attrezzata per spedizioni nell’Artico, egli utilizza
spesso la macchina fotografica anche per riprese personali e per
ricordi di viaggio da inviare a sua moglie, così come mette insieme una documentazione visiva delle realtà geografiche che
va osservando: “Boas kept himself busy with photography, with
charting the coastline, and with taking samples of sea water and
ice.”3
Purtroppo le condizioni climatiche estreme creano seri problemi all’utilizzo e alla conservazione delle delicate emulsioni
fotografiche su lastre di vetro così come alle sue stesse mani
impegnate a scattare fotografie: “I do not know how many times
I froze my fingers taking three photographs!”4
La maggior parte delle fotografie realizzate durante la spedizione in Artico sono
di carattere naturalistico con pochi scatti di insediamenti
umani ripresi peraltro da lontano. Da questa spedizione Boas
trae diverse pubblicazioni,5 tutte ampiamente corredate di materiali visivi, fotografie, molti disegni di carattere documentario,
mappe, disegni e cartografie realizzate su sua richiesta dagli
stessi Inuit.
2
I. Jacknis, op. cit., p. 4. Cfr. anche F. Faeta, Strategie dell’occhio. Saggi di etnografia visiva, Milano, Angeli, 2003, p. 92.
3
F. Boas, “The Value of a Person Lies in his Herzensbildung”. Franz Boas’ Baffin
Island Letter-Diary, 1883-1884. In G.W. Stocking Jr. (ed.), Observers Observed: Essays
on Ethnographic Fieldwork, History of Anthropology, vol. I, Madison, University of
Wisconsin Press, 1983, pp. 13-52, p. 19.
4
Ivi, p. 35.
5
Cfr. ad esempio F. Boas, The Central Eskimo, Introduction by H.B. Collins, Lincoln, University of Nebraska Press, 1964 (ed. or. 1888).
12
Antonello Ricci
George Hunt
Nasce nel 1854 nella comunità interculturale e interrazziale
di Fort Rupert, nel nord dell’isola di Vancouver, in Canada. Il
padre, Robert Hunt, è un commerciante della Hudson Bay
Company, sua madre, Mary Hebbetts è sorella di un capo Tlingit. Per meglio favorire l’integrazione fra le diverse provenienze
culturali, a Fort Rupert sono ampiamente praticati i matrimoni
misti anche sotto la spinta degli interessi commerciali della Hudson Bay Company. Quasi tutti i fratelli e le sorelle di George
Hunt sposano dei bianchi, come, ad esempio, Annie Hunt che
prende per marito il fotografo Stephen Allen Spencer, anch’egli
vicino al lavoro di Boas.
Proprio in ragione della sua condizione a cavallo fra le due
culture, George Hunt ha molte esperienze di collaborazione a
spedizioni scientifiche e quando incontra Boas, in occasione
della raccolta di documentazione per l’esposizione di Chicago,
di cui si dirà più oltre, la sua vita e quella dello stesso Boas
hanno una svolta. Lo studioso lo sceglie come aiutante e tale
sodalizio si mantiene per tutta la vita. Hunt è sicuramente il
principale collaboratore di Boas, ma non l’unico. È infatti una
pratica metodologica dell’antropologo quella di avvalersi di
corrispondenti e aiutanti locali, così fa con un Tsimshian di nome Henry Tate e con un’indiana Dakota Ella Deloria.
Nei primi anni del ‘900 gli viene regalata da Boas una fotocamera ed egli impara anche a sviluppare le lastre da sé. Fotografa soprattutto durante la Jesup North Pacific Expedition e, a
partire dal 1901 e fino al 1905, realizza circa novanta fotografie
di soggetto diverso:
scenery (villages, places of mythological occurrences), subsistence
(women drying seaweed and halibut, stringing clams, roasting
salmon), artefacts and technology (canoes and canoemaking, totem
poles, potlatch figures, graves monuments), portraits (ritual leaders,
his family), potlatches (repaying marriage debts, giving away blan-
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
13
kets, buying coppers) and ceremonialism (costumed dancers, chiefs
in regalia carrying coppers, shamans, men gambling).6
Nel 1912 Hunt diventa assistente del più famoso fotografo
degli indiani americani, Edward S. Curtis con il quale realizza
una campagna fotografica e un film presso i gruppi kwakiutl di
Fort Rupert. Non apprezza l’approccio di Curtis: lo ritiene incline agli effetti visivi e non rispettoso del punto di vista dei
Kwakiutl.
Col passare del tempo e con il continuo scambio di pareri e
di punti di vista, fra Boas e Hunt si concreta anche l’idea della
fotografia come documento storico e come patrimonio archivistico, proprio in virtù dell’accumularsi di tali documentazioni
nel corso di circa quarant’anni di ricerche e del loro costituirsi
come tracciato della memoria culturale di un territorio e di una
serie di gruppi umani.7
Fotografia e realtà
Primi viaggi nella Costa del Nord Ovest
Il primo incontro di Franz Boas con gruppi di nativi provenienti dai territori del Nord Ovest, fra il Canada e gli Stati Uniti,
ha luogo a Berlino, dove il viaggiatore e collezionista norvegese
Johann Adrian Jacobsen porta un gruppo di indiani Bella Coola
insieme a una collezione di oggetti di cultura materiale.
Il suo interesse per la cultura della Costa del Nord Ovest
viene suscitato in larga parte dalle sollecitazioni avute per mezzo delle fotografie, delle immagini che egli ha modo di vedere a
Berlino prima e a Victoria, capoluogo della Columbia Britannica, in quei territori, successivamente, durante il suo “very first
6
I. Jacknis, George Hunt, Kwakiutl Photographer, in E. Edwards (ed.), Anthropology and Photography 1860-1920, New Haven and London, Yale University Press,
1992, pp. 143-151, p. 144.
7
Un ampio resoconto della complessa figura d George Hunt e del suo ruolo chiave
nella ricerca di Boas e, più ampiamente, nello sviluppo del suo metodo etnografico è in
E. Comba, Prefazione, in F. Boas, L’organizzazione sociale e le società segrete degli
indiani Kwakiutl, Roma, Cisu, 2001, pp. IX-XXX, pp. XIX-XXII.
14
Antonello Ricci
day on the Coast, September 18, 1886.”8 Racconta lo stesso Boas: “I discovered pictures of my Bella Coola everywhere, and
soon found their source - an indian trader who had them rephotographed.”9 Egli ha modo di vedere delle immagini scattate in
Germania l’anno prima e rifotografate da un commerciante indiano. Queste fotografie ritornano dunque nei luoghi d’origine
presso le persone che vi sono ritratte, una sorta di circuito di
andata e ritorno che eccita la curiosità e la voglia di indagare del
giovane Boas.
Stranamente per questa prima ricognizione egli non parte attrezzato di macchina fotografica e deve prenderla in prestito a
Victoria. A causa di tale coincidenza Boas entra in rapporto e
conosce le persone chiave che lo accompagneranno per tutta la
vita nella sua attività di ricerca. Riassumendo quanto scrive Ira
Jacknis10 in proposito, egli entra in contatto con uno dei più importanti fotografi e uomini d’affari di Victoria, S.A. Spencer, il
quale, come già detto, aveva sposato Annie Hunt, sorella di George Hunt. Da Spencer egli riceve in uso un apparecchio fotografico. Socio e comproprietario dello studio di Spencer è un altro noto fotografo, O.C. Hastings11 che Boas conosce in questa
occasione e che lo affiancherà dopo qualche anno nel celebre rilevamento del potlatch a Fort Rupert, di cui si parlerà più avanti.
In questo primo viaggio egli effettua soprattutto riprese di
abitazioni e di pali totemici, subito colpito dalla profusione di
elementi decorativi e di carattere “artistico” e quindi visuale
presenti nell’architettura nativa. È interessante ricordare le sue
annotazioni riguardanti il carattere “suspicious and unapproach-
8
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 5.
Ibidem.
10
Ibidem.
11
Oregon Columbus Hastings è stato insieme a Stephen Allen Spencer uno dei più
attivi fotografi professionisti dell’area della Costa del Nord Ovest. Il loro sodalizio diede luogo allo studio fotografico Spencer & Hastings attivo per alcuni anni fra il 1882 e
il 1889 a Victoria, in Canada. Cfr. Camera Workers: The British Columbia, Alaska &
Yukon Photographic Directory, 1858-1950 - S - Volume 1 (1858-1900): sito internet
www.members.shaw.ca/bchistorian/cw1-s-names.html visitato il 28 febbraio 2009.
9
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
15
able” dei proprietari di case e pali, i quali a più riprese gli chiedono di essere pagati per consentirgli di fare le fotografie.
Nel 1889 Boas effettua un altro viaggio nei territori del Nord
Ovest interessandosi soprattutto ai tipi umani e alle fattezze
morfologiche dei nativi. In questa occasione prende accordi con
fotografi professionisti, uno dei quali è ancora Hastings. La fotografia, in queste prime indagini di carattere antropometrico e
ancora improntata ai rilevamenti fisici dei luoghi e delle tipologie abitative, riveste il carattere di mezzo di rappresentazione
preciso e in grado di riportare fedelmente ogni dettaglio della
realtà osservata, ma anche consente allo studioso di portarsi a
casa, oltre agli oggetti mobili anche quelli altrimenti intrasportabili come le case dipinte e i pali totemici scolpiti.
L’Esposizione di Chicago del 1893
Nel 1891 viene assunto come assistente di Frederick W.
Putnam, responsabile del Peabody Museum di Harward, direttore e curatore della mostra antropologica in allestimento
nell’ambito della World’s Columbian Exposition, una fiera in
onore di Colombo e della scoperta dell’America, a Chicago nel
1893. La fotografia, come è facile immaginare, riveste un importante ruolo negli allestimenti espositivi con una diffusa presenza di immagini di indiani e di vita indiana nelle riserve. Non
solo riproduzioni fotografiche, ma vengono preparate anche
rappresentazioni dal vero mediante l’allestimento di un modello
di villaggio Kwakiutl entro il quale vengono proposte scene di
vita e aspetti cerimoniali. È questa la prima esperienza di lavoro
insieme a George Hunt al quale Boas chiede di mettere insieme
una collezione di oggetti e un gruppo di Kwakiutl provenienti
da Fort Rupert.
Un fotografo di Chicago, John H. Grabill, le cui immagini
sono esposte alla fiera, su incarico dello stesso Boas e di Putnam, fotografa il villaggio Kwakiutl riprodotto. Queste fotografie costituiscono il viatico che permette a Boas di costruire un
buon rapporto con gli indiani ai quali ne promette copie che
puntualmente porta loro l’anno successivo quando ritorna al villaggio. Boas utilizza anche le stesse immagini come espediente
16
Antonello Ricci
mediante il quale meglio orientare il percorso di ricerca sul
campo. Mostrando le fotografie di oggetti o di situazioni egli intende suscitare l’attenzione, il ricordo, le riflessioni delle persone coinvolte nella sua ricerca su elementi della cultura materiale. Sicuramente innovativa per l’epoca di Boas, si tratta di una
pratica entrata ormai a tutti gli effetti nella metodologia della ricerca etnografica riguardante non soltanto la cultura materiale.12
Fort Rupert 1894
Tra la fine di settembre e gli inizi di dicembre 1894 Franz
Boas conduce il suo primo rilevamento intensivo sul campo
presso i gruppi di indiani Kwakiul stanziati nella località di Fort
Rupert, in British Columbia nel nord dell’isola di Vancouver. I
finanziamenti per tale spedizione provengono da tre istituzioni
con cui lo studioso collabora in quel periodo: U.S. National
Museum, American Museum of Natural History e British Association for the Advancement of Science (BAAS). Per ognuna
delle tre Boas deve reperire differenti materiali di ricerca, in
particolare i due musei sono interessati a manufatti e documentazioni di varia natura finalizzati alla realizzazione di diorami, a
tale progetto egli aggiunge la proposta di una mostra sui cicli
cerimoniali invernali dei Kwakiutl. La BAAS è interessata alla
raccolta di dati antropometrici e linguistici. Si tratta, dunque, di
un lavoro su commissione che lo studioso realizza principalmente sotto la spinta di necessità economiche: “As late as a
week before his arrival in Fort Rupert, Boas was complaining to
his wife that he really did not want to go but was only doing it
because he needed the money.”13
Con questo viaggio inizia anche il sodalizio con George
Hunt il quale gli fa da mediatore guidandolo attraverso la complessa serie di cerimonie rituali invernali. In tale occasione, a
partire dagli ultimi giorni di novembre, egli lavora con il fotografo Hastings. Durante le settimane precedenti Boas si applica
12
Cfr. ad esempio J. & M. Collier, Visual Anthropology. Photography as Research
Method, Albuquerque, University of New Mexico Press, 1986.
13
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 7.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
17
intensamente con Hunt ad avviare il rapporto con i gruppi tribali, iniziando a prendere le misure antropometriche e i dati per la
BAAS, osservando danze e ascoltando canti e discorsi rituali
che Hunt puntualmente gli ripete e traduce affinché egli possa
trascriverli, così come realizza qualche registrazione sonora su
rulli di cera e sottopone a revisione le trascrizioni dei canti registrati l’anno prima durante la Fiera di Chicago. Con l’arrivo di
Hastings, dal 25 novembre al 3 dicembre viene realizzato un
corpus di più di 180 fotografie che costituisce il fondo fotografico Hastings degli archivi di Franz Boas. Il lavoro deve essere
stato intenso secondo quanto annota lo stesso studioso: “I slept
one hour and then went out with the photographer to take some
more pictures.”14
La partenza forzata dello studioso e del fotografo impedisce
loro di osservare per intero il ciclo cerimoniale invernale che
continua ancora per mesi oltre il 3 dicembre. Le fotografie sono
suddivise fra l’American Museum e lo Smithsonian e Hastings
viene pagato da ambedue le istituzioni. Boas realizza così due
serie di immagini che vanno a confluire negli allestimenti dei
due musei insieme a una collezione di manufatti.
Il tandem Boas-Hastings e il Corpus di Fort Rupert 1894
Il lavoro fotografico realizzato da Hastings sotto la guida e
le indicazioni metodologiche di Franz Boas dà luogo, come già
detto, a un corpus di più di 180 lastre fotografiche delle quali,
purtroppo, soltanto 168 arrivano nei due musei, alcune si trovano sparse in altre collezioni. Le immagini riguardano in primo
luogo vari aspetti della vita cerimoniale cui i due assistono a
Fort Rupert e anche molti ritratti. In particolare sono presenti
fotografie delle cerimonie di iniziazione dell’hamatsa, il cosiddetto danzatore cannibale, che è il focus di tutto il complesso e
inquietante cerimoniale invernale dei Kwakiutl. Sono anche riprodotte le incisioni su pietra diffuse soprattutto sulla spiaggia
14
F. Boas, The Ethnography of Franz Boas: Letters and Diaries of Franz Boas
written on the Northwest Coast from 1886 to 1931, compiled and edited by R.P. Rhoner, Chicago, University of Chicago Press, 1969, p. 185.
18
Antonello Ricci
di Fort Rupert e le scene di villaggio insieme ad altre immagini
da impiegare per i diorami.
Il fotografo utilizza un apparecchio a lastre di 4 ¾ x 6 ½ abbastanza veloce e facile da usare rispetto ad altri sistemi e che
garantisce buoni risultati professionali, nonostante la Kodak
stesse già introducendo la moderna pellicola. Il limite degli apparecchi e delle emulsioni di quell’epoca riguarda soprattutto la
possibilità di fermare con facilità il movimento, ma sotto questo
aspetto le fotografie di Hastings sono sufficientemente ben realizzate. Un’altra questione tecnica di rilevante importanza è la
sensibilità dell’emulsione e la conseguente limitazione a realizzare fotografie soltanto con favorevoli condizioni di luce. Infatti
non viene usato il flash che a quel tempo poteva creare seri problemi di sicurezza dando luogo a possibili esplosioni. Pertanto,
soprattutto le riprese di eventi cerimoniali risentono del fatto di
dover essere effettuate soltanto di giorno e soltanto all’aperto,
dovendo anche fare i conti con il tempo autunnale quasi sempre
coperto e poco luminoso in quelle latitudini. Si tratta prevalentemente di fotografie di carattere documentario i cui limiti estetici e compositivi risiedono nelle limitazioni tecniche e nella
scarsa agilità di movimento consentita dall’apparecchio stesso.
Quando la situazione lo consente tuttavia il fotografo riesce a
produrre anche scatti di buon valore comunicativo come, ad esempio, l’immagine dei cinque personaggi mascherati e dipinti
della foto 1.
Le reazioni dei Kwakiutl alla camera risentono della scarsa
familiarità con il mezzo tecnologico da alcuni scambiato per
un’arma e quindi temuto. Dall’osservazione delle fotografie si
percepisce una certa timidezza e allo stesso tempo molta curiosità per la macchina fotografica e soprattutto per il suo prodotto.
Ad esempio, Boas annota la reazione di un indiano alla vista
dell’immagine
rovesciata
osservata
sul
di
dietro
dell’apparecchio:
The people are curious to see the pictures from the back of the camera. I was just about to photograph a woman when somebody noticed
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
19
that the picture was upside down, and he ran away telling everybody
that her clothing had fallen over her head.15
In base all’approfondita e puntuale analisi condotta da Ira
Jacknis, nel corpus di fotografie Boas/Hastings di Fort Rupert si
riconoscono tre ambiti di ricerca e di conseguente modalità di
ripresa: la cultura materiale, i ritratti e i tipi fisici, le cerimonie.
Tutti e tre tali ambiti discendono direttamente dal contesto di ricerca e dall’approccio etnografico voluto da Boas essendo, come già detto, funzionali alle aspettative degli enti che hanno finanziato il viaggio. Da tale presupposto discendono di conseguenza le scelte su cosa fotografare e su cosa non fotografare,
dovendo operare una selezione anche a causa del numero finito
di supporti fotografici a disposizione.
Le riprese di oggetti e manufatti si collocano anche in relazione con gli eventi cerimoniali che si svolgono nel periodo invernale, come ad esempio gli indumenti di corteccia di cedro, in
particolare i collari di questo materiale usati dagli iniziati (foto
2). Il periodo non è dei più adatti per le lavorazioni manuali che,
data la temperatura, dovrebbero avvenire all’interno e vicino al
fuoco con l’inconveniente che i materiali vegetali utilizzati per
molti lavori di intrecciatura si seccano. Vengono raccolte soprattutto maschere rituali e arnesi di corteccia di cedro a opera
di George Hunt, il quale incrementa anche la collezione di fotografie entro cui compaiono i medesimi oggetti in quanto indumenti o comunque accessori della persona. Per un certo tempo
davanti alla casa di Hunt rimane allestito un set di ripresa fotografica, uno studio all’aperto nel quale una grande coperta fungeva da sfondo. In una fotografia vi compaiono gli stessi Boas e
Hunt che la sorreggono durante la ripresa (foto 3). Una serie di
immagini riproducono gli edifici dalle pareti decorate e i pali totemici interamente intagliati e dipinti anch’essi.
I ritratti di vario tipo costituiscono la più parte delle immagini del corpus, con 102 fotografie. Come scrive Jacknis, dalle
fotografie emergono in maniera significativa quattro elementi
15
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 13.
20
Antonello Ricci
visivi: il contesto, la postura, l’abito e gli accessori,
l’espressione del viso. È ricorrente la presenza di doppi ritratti,
vale a dire fotografie che riproducono due persone. Si tratta di
una situazione che mostra una forma di relazione sociale e rituale in quanto le due persone sono in stretta dipendenza l’una
dall’altra: gerarchicamente una superiore all’altra, come la coppia ritratta nella foto 7 che riproduce un capo e suo figlio, dunque una relazione di parentela ma soprattutto una relazione rituale in quanto si tratta di un capo che introduce il proprio figlio
nel potlatch. L’uomo, fra le altre cose, ha in mano una piastra di
rame rotta, a significare il suo status di capo che ha partecipato
a molti potlatch nel corso dei quali si sono svolti gli eventi cerimoniali che hanno portato alla rottura della piastra stessa.16
I ritratti sono ripresi all’aperto, sovente davanti a
un’abitazione, a volte con una coperta alle spalle del soggetto,
come già detto. Gli abiti indossati danno conto della situazione
di scambio culturale che sta avvenendo in seguito alla presenza
delle grosse compagnie commerciali bianche che si stanno insediando in quei territori. Pelli e cortecce vengono date via in
cambio di camicie, tuniche e le immancabili coperte. Molti dei
soggetti sono abbigliati in modo da sembrare dei perfetti indiani
avvolti in coperte e con copricapi e collari di corteccia di cedro.
Scrive Jacknis: “Setting, costume and accessory reinforce the
meaning established by posture and expression, one of dignity
and rank.”17
Relativamente alla composizione del soggetto e alla sua
messa in scena, ancora Jacknis continua:
Except for the mother and child seated on the grass, all are photographed standing arms at their side or holding a prop, gazing calmly
16
La complessa funzione delle piastre di rame nel rituale del potlatch è ampiamente
descritto da Boas in L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl, cit. A titolo esemplificativo è il seguente passo (p. 56): “Ancor più temuta è la rottura di una piastra molto preziosa. Un capo può rompere la sua piastra e distribuirne i
pezzi al rivale. Se quest’ultimo vuole mantenere il suo prestigio, deve rompere una piastra d’eguale o maggior valore e poi ridistribuire sia i pezzi di quella di sua proprietà sia
i frammenti della piastra che ha ricevuto dal rivale.”
17
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 18.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
21
and frontally at the camera. There are neither smile nor signs of hostility.18
I ritratti, secondo la prassi antropologica di fine ‘800, sono
realizzati in base alla tecnica del “tipo fisico” che mostra la persona di fronte, di profilo e di tre quarti e che dà luogo a una rigida standardizzazione delle immagini così riprese secondo lo
stile che ricorda da vicino le fotografie segnaletiche della polizia (foto 5). Sebbene con una certa resistenza da parte della popolazione locale, fino all’ultimo giorno di permanenza al villaggio Boas conduce contestualmente alle foto le misurazioni
antropometriche richieste dai suoi enti finanziatori.
Le fotografie di eventi cerimoniali, in tutto 27 immagini, riproducono due principali situazioni: danze invernali e scene di
potlatch e di feste, non sempre rigidamente separate fra di loro.
Negli stessi anni della ricerca di Boas e Hastings altri fotografi
hanno ripreso analoghe situazioni con danzatori mascherati,
come C. Gunther (1885), E. Dossetter (1881), J.H. Grabill
(1893), R.B. Dixon (1898), avvalorando il forte interesse visivo
che tali rappresentazioni rituali possedevano.
Appena giunto a Fort Rupert Boas decide di organizzare una
festa per incontrare e stringere rapporti con i gruppi tribali. Ha
capito il ruolo chiave di questi eventi cerimoniali nella mentalità kwakiutl e decide di sfruttare un’occasione da lui stesso messa in atto per studiarla e soprattutto effettuare comodamente
delle riprese.
Per tale occasione organizza una “apple feast”. Secondo
l’uso tribale sono gli stessi Kwakiutl a condurre la cerimonia a
cui partecipano i tre gruppi tribali ivi residenti, dando luogo a
tutto il complesso cerimoniale compresi i momenti oratori e la
conta e distribuzione delle coperte. Seppure messo in moto
dall’antropologo per poterne effettuare le riprese, tutto avviene
secondo il normale svolgimento delle cerimonie di potlatch invernali (foto 6).
18
Ibidem.
22
Antonello Ricci
L’attenzione alle forme di performance rituale nel lavoro di
Boas e Hastings si situa in un diffuso interesse per tali aspetti
della cultura dei nativi americani nell’ultimo decennio
dell’Ottocento da parte di una schiera di fotografi di ricerca e
commerciali: tra questi si può ricordare il lavoro di James Mooney sui Cheerokee, sui Cheyenne e sugli Arapaho; di George
Dorsey e Summer W. Matteson; un’attenzione particolare ebbero le cerimonie Hopi da parte di molti fotografi come Adam C.
Vroman, Summer W. Matteson, Charles H. Carpenter, George
Wharton James, a cui bisogna aggiungere la nota ricognizione
fotografica di Aby Warburg,19 e infine Matilda Coxe Stevenson
sugli Zuni.
Dall’analisi condotta da Jacknis risulta che, rispetto ad altre
campagne fotografiche riguardanti i potlatch anche precedenti
agli anni del lavoro di Boas a Fort Rupert, le fotografie realizzate da Hastings nel 1894 sono in grado di restituirci effettivamente la condizione e i cambiamenti che vivevano i Kwakiutl in
quegli anni. Dal punto di vista documentario queste sono le prime immagini di potlatch riprese a Fort Rupert e le prime
immagini di indiani Kwakiutl in assoluto. Jacknis individua alcuni punti che qualificano il lavoro di Boas e Hastings rispetto
ad altre campagne fotografiche riguardanti il potlatch presso tribù Haida, in particolare: la stagione sbagliata di osservazione, il
fatto che il potlatch era da tempo fuori legge e presso gli Haida
aveva già perso gran parte del ruolo sociale anche per il controllo cui erano sottoposti dalla presenza delle autorità bianche e
dei missionari. A Fort Rupert invece in quegli anni non ci sono
bianchi e le autorità sono geograficamente molto distanti, pertanto pur essendo fuori legge, il potlatch viene regolarmente
praticato secondo le regole tribali ricoprendo nella cultura di
questi gruppi di indiani un ruolo distintivo e fortemente identitario. Boas ha bene pianificato la sua ricerca e, volendo osservare e studiare eventi cerimoniali e danze, ha scelto il giusto pe19
Cfr. Photographs at the Frontier. Aby Warburg in America 1895-1896, a cura di
B. Cestelli Guidi e N. Mann, London, The Warburg Institute, 1998; A. Warburg, Il rituale del serpente, Milano, Adelphi, 1998. Sui nessi fra antropologia e fotografia in
Warburg si veda F. Faeta, op. cit., pp. 78-100.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
23
riodo stagionale. In secondo luogo egli ha già impostato un
buon rapporto con i Kwakiutl e si accosta loro con una modalità
partecipativa e di scambio alla pari: viene invitato ai potlatch ed
egli stesso invita i Kwakiutl a quelli da lui organizzati. Rispetto
ad altre serie di immagini dello stesso contesto culturale, quelle
di Boas e Hastings offrono un punto di vista ravvicinato e sembrano attestare un’attenzione particolare agli aspetti cinesici e
prossemici nonché porre in luce l’intimità dei rapporti raggiunti
dallo studioso con i nativi:
Unlike most potlatch photographers – Halliday, for example – they
were quite close to the action and went beyond merely posing a
standing row of people. Undoubtedly this physical closeness expressed a social and emotional bond between Boas and the Kwakiutl.20
La relazione culturale dei Kwakiutl con lo spazio è ben rappresentata nelle fotografie di Hastings, soprattutto nella serie di
immagini del potlatch offerto da Boas e che si svolge su uno
spiazzo del villaggio i cui lati rinviano alle relazioni sociali esistenti fra i gruppi tribali coabitanti:
One can, in effect, ‘pan’ around the square, from the Nakwoktak along the south, near the fort, to the Koskimo seated on a platform,
with the camera looking west toward the village, and the Kwagul, arrayed on the north, near the beach. Each side of the square maintains
its social identity, defined and affirmed during the potlatch, and looks
into the central area at the pile of blankets and the ritual actors –
chief and speaker.21
The Jesup North Pacific Expedition 1897-1902
La spedizione, promossa e finanziata dal presidente
dell’American Museum of Natural History Morris Ketchum Jesup, riguarda un territorio compreso fra la Costa NordOccidentale degli Stati Uniti e la Siberia Orientale, vale a dire
l’area dello Stretto di Bering. Boas coordina un’equipe di tredici
20
21
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 28.
Ivi., p. 30.
24
Antonello Ricci
componenti, tra cui anche un fotografo, Harlan I. Smith, che realizza ritratti del genere “tipo fisico” (foto 5) e di siti archeologici, a cui si affianca Hastings. I due realizzano più di cento
scatti, riguardanti soprattutto volti e altri soggetti a carattere etnografico, e manufatti di varia natura.22 Come altre volte, Boas
utilizza la fotografia come elemento per attivare i rapporti di
collaborazione a livello locale23, ad esempio con l’artista Haida
Charles Edenshaw: “Boas again tried his method of photoelicitation, this time with better results. The great Haida artist
Charles Edenshaw vas able to explain many of the artifacts Boas showed him.”24
Fort Rupert 1930
Boas realizza il suo lavoro fotografico sempre all’interno di
contesti di ricerca sul campo. Dopo il 1900 egli è impegnato in
tre altri rilevamenti sul terreno, ma utilizza la camera soltanto
nell’ultimo, nel 1930, all’età di settantuno anni, di nuovo a Fort
Rupert e ancora fra i Kwakiutl, con l’immancabile Hunt come
referente e assistente. L’interesse di Boas in questo caso riguarda in specifico l’espressività del corpo e le tecniche di comunicazione con i gesti, la cosiddetta cinesica culturale. Ritiene tali
aspetti della cultura come tratti fondamentali di tutte le forme
espressive umane. In seguito alla pubblicazione del libro Primitive Art,25 decide di approfondire il tema tramite il cinema e il
registratore sonoro.26 Diversamente da altre precedenti esperienze, in questo caso è egli stesso a girare e riprendere le immagini
avendo come assistente di campo la studentessa Julia Averkie22
Sul lavoro fotografico realizzato durante la Spedizione cfr. L. Kendall, B. Mathé,
T. Ross Miller, Drawing Shadows to Stone. The Photography of the Jesup North Pacific
Expedition, 1897-1902, New York, American Museum of Natural History, 1997.
23
Cfr. F. Marano, Camera etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, Milano, Angeli, 2007, pp. 72-75.
24
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 7.
25
F. Boas, Primitive Art, Cambridge, Harvard University Press, 1927. Traduzione
italiana Arte primitiva, Torino, Boringhieri, 1981.
26
Cfr. J. Ruby, Franz Boas and Early Camera Study of Behavior, in “Kinesics Report”, 1980, pp. 7-11 e Id., Picturing Culture. Explorations of Film and Anthropology,
Chicago, The University of Chicago Press, 2000, in particolare pp. 55-65. Si veda anche
F. Marano, op. cit., pp. 111-112.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
25
va,27 la quale si occupa delle registrazioni sonore incidendo 156
cilindri di cera.
Si tratta di sequenze di pochi minuti, relative a giochi, danze,
riti e tecniche manuali, senza una struttura narrativa esplicita, né
un progetto di montaggio ipotizzato dallo stesso autore.
Utilizzo delle fotografie
La “popolarizzazione” della ricerca scientifica
Similmente a quanto accade a molti etnografi, anche Boas
non applica una sistematica forma di ordinamento del materiale
ripreso, affidando alla memoria la serie di dati e di riferimenti
atti a contestualizzare le immagini immagazzinate negli archivi.
Da un lato egli sembra dimostrare un forte interesse per le fotografie raccogliendone e realizzandone in numero cospicuo; allo
stesso tempo emerge una sua limitazione di interesse per le fotografie stesse che non tratta adeguatamente come documenti
d’archivio, non etichetta se non in maniera molto sommaria, e
che tratta, in sostanza come fossero suoi personali ricordi.
Le immagini per Boas sono importanti per mantenere i contatti familiari, infatti ne invia copie alla moglie e ai genitori.
Ma, per analoghi motivi, poiché suscitano sentimenti di affettività, sono da lui usate anche come “merce di scambio” sul campo per ottenere i favori e la disponibilità della gente kwakiutl,
per attenuare la loro diffidenza quando viene richiesto loro di
fotografare le case, gli addobbi, i pali totemici ecc.
Boas persegue un’idea consapevolmente protesa verso la divulgazione e la “popolarizzazione” della ricerca scientifica e ritiene le fotografie essere un imprescindibile mezzo per raggiungere tale scopo. Secondo il suo punto di vista, le immagini, infatti, possono da loro stesse veicolare contenuti dando accesso
alle informazioni senza l’aiuto di alcun altro medium più difficile da decodificare per persone con un basso livello di scolariz27
Julia Averkieva (1907-1980) ha diretto il settore di studi sul Nord America del
Institute of Ethnography della Soviet Academy of Sciences di Mosca.
26
Antonello Ricci
zazione come è all’epoca, ma anche per raggiungere la comprensione dei bambini. Ricorrono spesso negli scritti di campo
di Boas riferimenti ad articoli da scrivere per riviste di ampia
diffusione, a un progetto di rivista scientifico-naturalistica sul
modello del National Geographic; la spedizione tra gli Inuit della Terra di Baffin è finanziata anche da giornali che hanno commissionato un certo numero di articoli di resoconto. In tutti questi casi le fotografie giocano un ruolo determinante.
Musei ed esposizioni
Come già accennato, una delle motivazioni che inducono
Boas a intraprendere la spedizione fra i Kwakiutl a Fort Rupert
è la realizzazione di fotografie e il reperimento di altri materiali
per allestimenti museali. Infatti, le immagini costituiscono elementi primari per organizzare una qualsiasi forma di rappresentazione museale. Nel caso specifico le fotografie sono anche utilizzate come modelli per predisporre diorami e vetrine con le
messe in scena di vita quotidiana e di pratiche lavorative. Ne è
un esempio l’articolata vetrina dell’American Museum of Natural History relativa alla lavorazione della corteccia di cedro che
ha i suoi modelli in alcune fotografie della ricerca sul campo a
Fort Rupert del 1894 (foto 3 e 4 e 22-23). L’introduzione delle
“scene di vita”, in quanto direttamente derivate dalla ricerca sul
terreno, rappresenta l’applicazione del modello boasiano di allestimento museale secondo l’idea di “popolarizzazione” della ricerca scientifica di cui si è detto e anche secondo la più nota idea di “particolarismo storico” per cui Boas è conosciuto. Scrive Jacknis:
L’introduzione della scena di vita venne stimolata da un più intenso
lavoro sul campo finanziato dal Bureau of American Ethnology. […]
Simile al gruppo di habitat in biologia e alla period room in storia
dell’arte, la scena di vita, loro contemporanea, costituì un tentativo da
parte dell’antropologia di creare un’ambientazione funzionale o contestuale per i suoi esemplari. Così, gli artefatti, unitamente ai relativi
esemplari appartenenti a culture specifiche, vennero esposti proprio
come Boas aveva richiesto. Ma, invece di comunicare l’integrazione
culturale tramite la giustapposizione degli oggetti e delle etichette,
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
27
che venivano sintetizzati nella mente dello spettatore, la scena di vita
costituiva un mezzo di presentazione in grado di far effettivamente
vedere queste connessioni culturali. Non sorprende che le scene di vita fossero enormemente popolari tra i visitatori, e nel giro di un anno
Putnam e l’American Museum ne avrebbero progettate di proprie.28
Franz Boas è unanimamente accolto come uno dei precursori
dello stile etnografico nei musei come pure di colui il quale apre
una via moderna all’allestimento museale in grado di suscitare
meraviglia e attenzione nel visitatore desideroso di imparare divertendosi:
Le persone in cerca di calma e di svago vengono irritate dai tentativi
di imporre loro una istruzione sistematica mentre stanno cercando
una qualche forma di eccitazione emotiva. Esse vogliono ammirare,
rimanere colpite da qualcosa di grandioso e meraviglioso; e se si può
far emergere con sufficiente chiarezza l’idea di base dell’esposizione,
si possono imprimere nei visitatori delle grandi verità senza che in
quel momento venga loro richiesto uno sforzo particolare.29
L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani
Kwakiutl
La monografia sull’organizzazione sociale e la vita cerimoniale dei Kwakiutl rappresenta l’esito della ricerca svolta con la
collaborazione fotografica di Hastings nell’inverno del 1894 a
Fort Rupert.30 L’uso delle fotografie e delle immagini in generale è in stretta relazione con l’etnografia: esse sono state riprese
pensando alla pubblicazione, ne costituiscono una parte fondamentale, sia per numero e sia per collocazione. Infatti, Boas realizza la serie di immagini del 1894 con l’intento di preparare
una monografia sul sistema cerimoniale dei Kwakiutl e, in tal
28
I. Jacknis, Franz Boas e le mostre. Sui limiti del metodo museale in antropologia,
in George W. Stocking jr. (a cura di), Gli oggetti e gli altri. Saggi sui musei e sulla cultura materiale, Roma, Ei Editori, 2000, pp. 117-159, pp. 123-124.
29
F. Boas, Some principles of museum administration, “Science”, 25, 921-33. Il
passo è tradotto in italiano in I. Jacknis, Franz Boas e le mostre, cit., p. 129.
30
F. Boas, The Social Organization and Secret Societies of the Kwakiutl Indians.
Based upon Personal Observations and on Notes made by Mr. George Hunt, Report of
the U.S. National Museum for 1895, pp. 311-783. Edizione italiana L’organizzazione
sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl, cit.
28
Antonello Ricci
senso, le fotografie sono collocate in un continuo contraltare
con il testo: esse sono distribuite nel testo seguendo il preciso
andamento dell’etnografia, testo e fotografie dialogano fra di loro.
Come scrive Jacknis, le fotografie pubblicate appaiono sovente diverse, per vari motivi, dai negativi originali: sono ritoccate in vario modo, eliminando parti, ricostruendo o togliendo
lo sfondo ecc. È probabile che tale lavoro sia stato fatto a livello
editoriale per migliorare la leggibilità e la comunicazione delle
immagini stesse.
Un altro interessante aspetto riguarda la dialettica testoimmagini: Boas tesse di continuo una rete di relazioni fra le descrizioni a parole, entro le quali poter spaziare entro un livello
generalizzante e un altro più specifico, e le fotografie in quanto
rappresentazioni peculiari dei singoli avvenimenti così come lui
stesso li ha osservati sul campo.
An essential problem Boas faced in constructing his study was correlating the generality made possible by words and the inherent specificity of photographs. For example […] Boas described the winter
ceremonials twice, once in a general account and once more giving
the specific details of the dances as he witnessed them in 1894.31
Una più attenta disamina dei materiali illustrativi messi a
confronto con le altre fonti a disposizione fa concludere a Jacknis che ci sia un complesso e articolato rapporto fra Boas e
George Hunt anche nell’elaborazione e nella ridefinizione a posteriori di una serie di dati di campo, che lo stesso Boas dimentica o omette di annotare nel corso del rilevamento vero e proprio e che poi riepiloga con l’aiuto di Hunt stesso, dando luogo
a volte a rilevabili differenze fra ciò che si vede rappresentato
nelle fotografie e ciò che è descritto verbalmente: “In his letters
to his wife, Boas admitted that he often missed much of the import of the speeches and songs and had to review them with
Hunt the following morning.”32
31
32
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 37.
Ivi.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
29
È interessante, e svela molto dell’etnografia boasiana, il modo di utilizzare le immagini, non solo quelle fotografiche. È
ricorrente, infatti, la messa in relazione di scritto e di immagini
secondo la necessità del momento e le fotografie vengono spesso piegate a sostenere quanto si dice nello scritto. Il livello della
scrittura è fortemente analitico, dettagliato, preciso, produce una
descrizione minuziosa della realtà come se fosse il reportage di
eventi visti e vissuti in prima persona. Non sempre è stato così.
Molto spesso le descrizioni derivano da resoconti riferiti da
Hunt, oppure, come già detto, dal riepilogo a posteriori fatto
dallo stesso Hunt su esplicita richiesta di Boas. Le fotografie,
come le altre tipologie di immagini, servono a fornire il dato visivo, immediato e inequivocabile di ciò che viene descritto, in
forma di resoconto quasi diaristico, con la scrittura. Per fare
questo non è importante che una determinata fotografia dislocata nel testo sia stata scattata proprio nel momento e nel luogo di
cui viene riportata la descrizione e neanche che la persona riprodotta sia proprio colui di cui si parla. È emblematico il caso
di un’immagine che riproduce un uomo in un gesto di danza
dell’hamatsa, che in realtà è David Hunt, figlio di George, durante la rappresentazione organizzata a Chicago per la fiera del
1893, in una fotografia ritoccata per eliminare sfondo e terreno
e, in tal modo, decontestualizzarla (foto 8).
In sostanza Boas mette a profitto il carattere “infedele”
dell’immagine fotografica: essa riproduce, o è in grado di riprodurre, la realtà come fosse proprio quella di un determinato
tempo e di un determinato spazio. Si tratta del carattere “indicale” secondo l’uso del termine semiotico di Umberto Eco proposto da Francesco Faeta.33 La fotografia è in grado di rinviarci alla realtà in essa riprodotta offrendocene un segno forte anche,
se, come nell’esempio descritto, la realtà effettivamente riprodotta nell’immagine si riferisce a luoghi, tempi e persone diverse da ciò di cui stiamo parlando. In questo caso, Boas, utilizzando quella fotografia, ce la dà per buona e noi la prendiamo
altresì per buona.
33
F. Faeta, op. cit., p. 105.
30
Antonello Ricci
C’è da aggiungere anche che molte delle scelte espressive e
di ripresa con cui sono state scattate le fotografie dipendono non
tanto da orientamenti teorico-metodologici, quanto più dai limiti
tecnici dell’attrezzatura disponibile a quel tempo. Come già detto, molte delle situazioni non sono riprese nei loro contesti abituali e cerimoniali: è il caso, ad esempio, di alcune danze iniziatiche che si svolgono al chiuso in edifici adibiti allo scopo e invece sono scattate all’esterno, così come tutto quello che normalmente si svolge di notte viene ripreso di giorno, forzando
certamente in maniera determinante il contesto etnografico, ma
rendendo altresì possibile la realizzazione della documentazione
fotografica. Come si è già ricordato, per Boas uno degli scopi
principali è quello di avere a disposizione materiali adatti a
un’efficace divulgazione delle sue “scoperte” scientifiche, intendendo col termine divulgazione una forma di traduzione adatta alla comprensione della gente della sua cultura: le fotografie e i disegni, a suo avviso, costituiscono il tramite più immediato di questa mediazione culturale. Boas, infatti, ha chiaro
nella sua mente la superiorità comunicativa dell’immagine sullo
scritto nella descrizione di molti aspetti culturali: “It would also
be well to have photographs for showing the fish as it is being
cut, because it is very difficult to understand some of the descriptions of the cutting without illustrations.”34
Dal punto di vista dell’uso scientifico delle immagini fotografiche Boas ritiene che per molti scopi sia più efficace la loro
manipolazione fino al fatto di ricavarne dei disegni che prosciughino le immagini di tutti gli elementi ritenuti di disturbo (foto
20-21). È il caso, per esempio, delle immagini di oggetti di cultura materiale riprodotti in The Social Organization e in altre
opere di Boas come disegni, oppure molto spesso di schizzi realizzati di suo pugno sul campo e riproducenti soggetti che si
penserebbe più efficacemente riprodotti da una fotografia, come
alcune vedute dei villaggi di Fort Rupert.
Nel tentativo di ricostruire, secondo un intento storicistico, i
modi di vivere e lo stile culturale dei Kwakiutl prima del contat34
I. Jacknis, Franz Boas and Photography, cit., p. 43.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
31
to con i bianchi, Boas persegue una sorta di ricerca della purezza perduta, non per offrire un’immagine ideale e fuori del tempo di queste popolazioni indiane, ma pensando che la loro cultura fosse irrimediabilmente destinata a un oblio senza storia,
vale a dire senza la possibilità di poterla rivedere e conoscere in
futuro. Proprio in tale prospettiva, sostiene acutamente Jacknis,
per Boas esiste un’insanabile contraddizione nella natura stessa
della fotografia che congela un attimo del tempo presente nello
scorrere del tempo stesso. In sostanza la fotografia non consente
per sua natura di vedere il passato o di ricostruirlo tramite essa.
A meno che non si ricorra a ciò che la camera, fissa o in movimento, è in grado di fare meglio di ogni altro medium, vale a dire mettere in atto la ricostruzione, nel senso della messa in scena, in ultima istanza della fiction, in base alla graduazione che si
vuole dare a tale operazione. Boas, nella sua strategia di documentazione della cultura kwakiutl, ricorre ampiamente alla
messa in scena, mediante la ricostruzione di posture, di gesti, di
fogge del vestire. Si tratta di aspetti funzionali al suo progetto
etnografico in ultima analisi destinato a un esito scritto o museografico. Pertanto sono emblematiche le fotografie in cui egli
stesso diventa modello di riferimento etnografico per la ricostruzione di posture e di gesti (foto 9-13). In tal senso si inserisce il rapporto continuativo e multiforme con George Hunt il
quale non è un semplice informatore privilegiato, ma un complesso mediatore culturale, di volta in volta attore, regista, informatore, narratore, cantore, fotografo esso stesso, raccoglitore
di tratti culturali materiali e immateriali, infine colui che la mattina dopo rimette in forma narrata e descritta quanto l’etnografo
ha confusamente osservato durante una cerimonia di consacrazione o di iniziazione notturna.
Franz Boas e la musica
Fortemente attratto dalla registrazione sonora per via
dell’interesse linguistico e per l’importanza attribuita alla presenza rituale della musica e dei canti, Boas utilizza i mezzi di
registrazione sonora dal 1893 alla Chicago World’s Fair insieme al musicologo John C. Fillmore realizzando 116 cilindri di
32
Antonello Ricci
cera. La Jesup Expedition è caratterizzata da un utilizzo estensivo del fonografo Edison con l’incisione di 228 rulli di cera, fino
alla sua ultima e più intensa ricognizione sulla musica e sulla
danza del 1930, a cui si è già fatto cenno, mediante l’incisione
di 156 rulli di cera. Dunque, per tutto il periodo a cavallo fra la
fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 antropologi e musicologi che lavorano nei progetti di ricerca coordinati da Boas rivelano un’intensa sintonia nel mettere a punto modi e forme di descrizione grafica dei canti e della musica nativa, come pure
nell’individuare la loro collocazione e la loro funzione nella dinamica culturale delle società studiate. A questo proposito è anche interessante sottolineare l’attenzione posta dagli stessi ricercatori alle strategie comportamentali dei “nativi” di fronte al
registratore in quanto apparecchio che cattura i suoni, in maniera analoga a quanto è stato osservato per la camera in quanto
apparecchio che cattura le immagini:
Bogoras, for example, offered a very sophisticated description of
how the Chukchi shaman obscures the source of the music by modifying the sound of his voice with a drum, and another long account of
his use of the phonograph to explore the nature of ‘separate voices’
or ritual ventriloquism.35
Qualche breve conclusione non conclusiva
A partire dai primi viaggi di esplorazione geografica e umana verso le fredde latitudini inuit della Terra di Baffin, fino
all’ultima esplorazione per meglio capire forme e comportamenti rituali ampiamente già osservati e studiati fra gli “amati”
Kwakiutl di Fort Rupert, Franz Boas ci appare nel suo più evidente tratto personale di figura inquieta di intellettuale europeo
eclettico, curioso, attento e aperto a cogliere sollecitazioni e of35
Jacknis I., Franz Boas and the Music of the Northwest Coast Indians, in Kendall
Laurell, Krupnik Igor (eds.), Constructing Cultures Then and Now. Celebrating Franz
Boas and the Jesup North Pacific Expedition, Washington D.C., Arctic Studies CenterNational Museum of Natural History-Smithsonian Institution, 2003, pp. 105-122, p.
108.
1. Franz Boas: la realtà e la sua rappresentazione
33
frire sollecitazioni a coloro i quali abbiano voglia e sensibilità
per coglierle, così come è avvenuto con la lunga e importante
schiera di allievi che si sono formati al suo insegnamento universitario.36 Così Margaret Mead descrive un momento del suo
rapporto intellettuale e disciplinare con “papà Boas”o “papà
Franz”, come affettuosamente lo chiamava:
La scelta di dove sarei andata a lavorare e quale problema avrei studiato non spettava solo a me. La decisione finale dipendeva da Boas
e lui desiderava che io studiassi l’adolescenza.
Boas aveva raggiunto uno di quegli spartiacque che si presentano
nella vita degli scienziati-fondatori, i quali tracciano l’intero corso di
una disciplina. Sentiva che si era lavorato abbastanza per dimostrare
che i popoli prendevano a prestito qualcosa l’uno dall’altro, che nessuna società si evolveva nell’isolamento […]. Concluse perciò che
era venuto il momento di affrontare la serie di problemi che mettevano in rapporto lo sviluppo degli individui con ciò che era distintivo
della cultura in cui erano cresciuti.37
Queste parole ci offrono uno schizzo chiaro della lucidità e
della vivacità intellettuale di Boas il cui pensiero non si è mai
adagiato sui risultati raggiunti una volta per tutti. Quando Margaret Mead scrive, fotografia e cinema sono già diventati una
pratica imprescindibile nella ricerca etnografica, per merito anche e soprattutto dell’orientamento empirista e attento al rilevamento dei dettagli, di ogni più piccolo particolare proprio
dell’approccio etnografico boasiano. Tale sua maniacale attenzione al dettaglio e alla documentazione rigorosa, insieme al rifiuto di un approccio affrettato e sommario agli aspetti della
cultura, hanno determinato, come scrive Enrico Comba
Il particolare andamento della produzione etnografica boasiana, che
ha assunto così quella venatura di incompletezza e di frammentarietà
che gli è stata così spesso rimproverata. Eppure la continua procrastinazione delle conclusioni generali, il rinvio a sempre nuove analisi
36
Fra gli altri: Alfred L. Kroeber, Robert H. Lowie, Alexander A. Goldenweiser,
Paul Radin, Edward Sapir, Ruth Benedict, Margaret Mead.
37
M. Mead, L’inverno delle more. La parabola della mia vita, Milano, Mondadori,
1977, p. 147.
34
Antonello Ricci
empiriche, costituiscono il senso stesso dell’indagine antropologica
boasiana, in cui ‘delaying of closure was a general characteristic of
Boas’ work’.38
Proprio in tale forma caleidoscopica di etnografia, mai conclusa e sempre in divenire, che può assumere differente senso
morfologico
al
variare del
progetto
culturale e
dell’orientamento scientifico, si inserisce l’uso che Boas fa delle immagini fisse e in movimento. Le immagini, sempre uguali
e sempre diverse in base al contesto d’uso e all’accentuazione
data a un aspetto o a un altro, il loro carattere “infedele” in
quanto specchio della realtà e, allo stesso tempo, suo occultamento, secondo la prassi che abbiamo visto adottare dallo stesso
Boas, le immagini, dunque, costituisco il più “fedele” termine di
riferimento per accostarsi all’opera e al pensiero di uno tra i più
influenti maestri dell’antropologia moderna.
38
E. Comba, Prefazione, cit., p. XVII. L’autore cita una frase da I. Jacknis, The
Ethnographic Object and the Object of Ethnology in the Early Career of Franz Boas, in
G.W. Stocking jr. (a cura di), Volksgeist as Method and Ethic: Essays on Boasian Ethnography and the German Anthropological Tradition, Madison, University of Wisconsin Press, 1996, p. 208.
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