“Dismissioni, non servono soltanto a fare cassa” Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 22 July 2006 Con il suo intervento di fronte alle commissioni Finanze di Camera e Senato il ministro dell'Economia Tommaso PadoaSchioppa ha dichiarato conclusa la grande fase di privatizzazioni in Italia, iniziata 13 anni fa dal Governo Ciampi. Dal punto di vista finanziario le privatizzazioni italiane sono state un indubbio successo. Dal 1993 al 2005 lo Stato ha raccolto 96 miliardi di euro, cui si aggiungono 29 miliardi di interessi risparmiati. Le privatizzazioni sono anche servite a migliorare la dimensione e la qualità del nostro mercato azionario. Nel 1990 la capitalizzazione della Borsa di Milano era pari a solo il 13% del Pil. Alla fine dello scorso anno questo rapporto era salito al 47%. La necessità di piazzare grossi quantitativi di azioni sul mercato ha costretto lo Stato a rivolgersi agli investitori istituzionali esteri, forzando le imprese e le banche di investimento ad adeguarsi agli standard di reporting internazionali. L'aumentata importanza della Borsa si è anche tradotta in una maggiore attenzione del legislatore nei confronti dei diritti degli azionisti non di controllo. Pur con tutte le limitazioni, il Testo unico della Finanza e la legge sul risparmio hanno rappresentato importanti passi avanti in questo senso. Dove le privatizzazioni hanno fallito è nel creare un mercato per il controllo societario. Perché le imprese private sono in genere gestite più efficientemente di quelle pubbliche? Non è perché incentivano maggiormente i propri dipendenti (anche le imprese pubbliche possono farlo), né perché sono gestite dal proprietario (nel resto del mondo molte imprese private sono gestite da manager che possiedono una quota azionaria irrisoria). Le imprese private funzionano meglio perché sono soggette a due importanti pressioni esterne: il rischio della bancarotta e il rischio di takeover. Queste forme di incentivo non sono riproducibili nelle imprese pubbliche. È impossibile per lo Stato impegnarsi in maniera credibile a non salvare imprese pubbliche inefficienti (vedi Alitalia). E quando un'impresa è posseduta dallo Stato non c'è possibilità di scalate ostili, se non nei corridoi della politica (e queste tendono a non promuovere i più efficienti). Le privatizzazioni italiane hanno introdotto un po’ di rischio di fallimento nelle imprese, ma nessun rischio di takeover. Dopo le iniziali speranze create dal leveraged buyout di Telecom orchestrato da Colaninno si è fatto di tutto per impedire che questo avvenisse. Lo stesso ministro dell'Economia ha parlato di «rischio di Opa» come di un problema da evitare, non come di un beneficio da introdurre. Il fallimento delle privatizzazioni italiane su questo fronte, quindi non è un accidente, ma il risultato di una ben precisa scelta politica. D'altra parte le privatizzazioni italiane, a differenza di quelle inglesi, non sono state dettate da una scelta ideologica, ma da esigenze di bilancio. Quando si rischia di introdurre troppo mercato, anche le esigenze di bilancio passano in secondo piano. Dove le privatizzazioni hanno fallito è anche nell'espandere il ruolo del mercato. Un monopolista privato - ha ricordato ieri Padoa-Schioppa - non è necessariamente meglio di un monopolista pubblico. E ha ragione. Ma questa verità non deve essere usata per bloccare le privatizzazioni, ma per intensificare la battaglia contro i monopoli. Lungi dal raggiungere questo obiettivo, le privatizzazioni italiane sono servite a fornire delle aree protette dove i nostri industriali hanno potuto mettere al sicuro i loro capitali dal rischio della concorrenza straniera. Oggi il Governo si trova di fronte a un bivio. Sono finite - come ha ricordato il ministro dell'Economia - le privatizzazioni facili, con cui si poteva far cassa senza toccare gli equilibri esistenti. Se si vuole continuare bisogna metter in gioco il controllo di Eni ed Enel, bisogna ristrutturare pesantemente (Ferrovie dello Stato e Poste), perfino liquidare (Alitalia), abbandonare il controllo politico (Rai), trovare il grimaldello per scardinare la rete delle municipalizzate. È venuto il momento per la sinistra di dimostrare se l'amore per il mercato e la fiducia nel privato che è andata sbandierando in questi anni è un amore mercenario, dovuto a esigenze di bilancio ed elettoralistiche, o un amore vero. Le dichiarazioni di Padoa-Schioppa sulla fine delle privatizzazioni non sono incoraggianti.