ALMA MATER STUDIORUM
_______
__UNIVERSITÀDI BOLOGNA_________
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di Laurea in Infermieristica
GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO
IN AMBITO FARMACOLOGICO CORRELATO
ALLA GESTIONE DEI FARMACI PSICHIATRICI
Tesi di Laurea in
Gestione del Rischio in Ambito Sanitario
Presentata da:
Relatore:
Marco Paolangelo
Prof. Rimondini
Roberto
Sessione II
______________________________________________________________________
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
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INTRODUZIONE
Una delle componenti principali del governo clinico-assistenziale nelle
strutture sanitarie è rappresentata dalla gestione dei rischi.
Con “rischio clinico” si definisce la possibilità che un paziente subisca un
“danno o disagio involontario, imputabile, alle cure sanitarie, che causa un
prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni
di salute o la morte”. Quando si affronta il tema del rischio clinico è
necessario soffermarsi a definire l’errore e i possibili danni che ne possono
derivare per il paziente. In letteratura è possibile ritrovare molte definizioni
di “errore” e di “evento avverso”.
L’errore può essere definito un fallimento di una sequenza pianificata di
azioni mentali ed attività nel raggiungere l’obiettivo desiderato che non può
essere attribuito al caso ( Reason,2000).
Tutte
condividono
alcune
caratteristiche
sostanziali:
l’errore
è
un’insufficienza del sistema che condiziona il fallimento delle azioni
programmate; l’errore è una “azione non sicura” o una “omissione” con
potenziali conseguenze negative sull’esito del processo di cura; l’errore è
un comportamento che può essere giudicato inadeguato da “pari” di
riconosciuta esperienza e competenza, al momento in cui il fatto si verifica,
indipendentemente se ci siano state o no conseguenze negative per il
paziente. L’errore può causare un evento avverso, cioè un evento
indesiderabile che comporta un danno al paziente non dovuto alle sue
condizioni cliniche, ma correlato al processo assistenziale. L’evento
avverso è, quindi, per sua natura, indesiderabile, non intenzionale, dannoso
per il paziente; l’evento avverso derivato da errore è definito “prevenibile”.
Ai fini dell’identificazione delle misure di prevenzione da attuare, grande
importanza riveste non solo l’analisi degli eventi avversi, ma anche quella
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dei quasi eventi o near miss (situazione o evento che ha causato
preoccupazione. Incidente evitato grazie ad un intervento tempestivo di
correzione da parte dell’uomo) (Nashef; 2003). Sono state proposte diverse
classificazioni dell’errore in sanità con l’intento di definire e condividere
un lessico che consenta di individuare, in modo preciso e inequivocabile, il
tipo di insufficienza che si è manifestata nel sistema. Seguendo tale linea, il
Ministero della salute, con il supporto tecnico del gruppo di lavoro sulla
sicurezza dei pazienti, ha elaborato il glossario per la sicurezza dei pazienti
e la gestione del rischio clinico.
Una delle distinzioni più importanti è quella tra errore (o insufficienza)
attivo ed errore (o insufficienza) latente. L’errore attivo è per lo più ben
identificabile, prossimo, in
senso spazio-temporale, al verificarsi
dell’evento avverso; spesso è riconducibile ad un’azione sbagliata
commessa da un operatore o ad un incidente, ad esempio il
malfunzionamento di una strumentazione. Gli errori latenti sono invece, per
lo più, insufficienze organizzative-gestionali del sistema, che hanno creato
le condizioni favorevoli al verificarsi di un errore attivo. La
somministrazione di un farmaco sbagliato è un errore attivo commesso da
un operatore, facilmente identificabile come comportamento sbagliato che
causa un danno, ma è necessario ripercorrere tutte le fasi del processo di
lavoro, per individuare le circostanze che, direttamente o indirettamente, lo
-hanno reso possibile. Ad esempio, nel caso di un errore di
somministrazione farmacologica, potrebbero essere identificati, come
insufficienze latenti nel sistema: un sistema di prescrizione-trascrizione
manuale della terapia, un sistema di conservazione dei farmaci che rende
possibile lo scambio di fiale, un insufficiente addestramento del personale.
Alcuni errori sono stati già riconosciuti come riconducibili alle
caratteristiche delle confezioni dei farmaci, ad esempio attribuzione di
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nomi facilmente confondibili, dosaggi e vie di somministrazione
equivocabili. In attesa di soluzioni preventive generali, è necessario che
ciascuna organizzazione adotti misure di tutela. Solo attraverso opportune
analisi è possibile identificare le cause di errore, attive e latenti e
ridisegnare i processi al fine di ridurre la probabilità che lo stesso errore si
ripeta. Se può essere relativamente semplice individuare l’errore attivo, può
essere invece piuttosto complesso individuare tutte le insufficienze latenti
presenti nel sistema: un errore nel sistema è molto probabile che induca una
successione di altri errori, “secondari” e consequenziali al primo. L’effetto
degli errori secondari può essere così evidente e rilevante da eclissare la
gravità e la possibilità di identificare e rilevare l’errore “primitivo”.
Quindi possiamo affermare che esistono molteplici errori, alcuni già noti
(cadute accidentali, infezioni ospedaliere, eventi avversi da farmaci) altri
meno, ma, che necessitano comunque, di interventi orientati al controllo e
alla prevenzione.
La sicurezza del paziente è il grado con cui vengono evitati i potenziali
rischi e minimizzati gli eventuali danni nel processo di erogazione
dell’assistenza sanitaria.
Questa, rappresenta un vecchio problema – discusso e analizzato sotto varie
sfaccettature – che ancora oggi richiama l'attenzione nel tentativo di trovare
una soluzione efficace.
Infatti, il contesto sanitario attuale è caratterizzato da un sistema
organizzativo, relazionale e tecnologico in continua evoluzione ed
estremamente complesso, da cui possono derivare situazioni di rischio per
gli operatori sanitari e per gli utenti.
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La loro gestione è uno degli impegni essenziali di un'azienda che voglia
garantire qualità dell'assistenza e dell'organizzazione, la quale viene
valutata in base alla capacità dell'azienda stessa di prevedere, misurare e
controllare il rischio.
Negli ultimi anni, la sicurezza dei pazienti è salita ai primi posti nelle
priorità dei servizi sanitari di molti paesi. Di solito, la sicurezza diventa una
tematica rilevante solo dopo un disastro ampiamente pubblicizzato, in
ambito sanitario, in realtà non ci sono stati simili "big bang" ma solo una
miriade di rapporti di alto livello ed un considerevole numero di studi
epidemiologici sui danni iatrogeni.
Negli anni novanta il calcolo dell'incidenza di eventi avversi nei pazienti
variava tra il 3,7% (TA Brennan, LL et. Al.,1991) e il 16% (Wilson, et
Al.,1995).
Studi più recenti condotti in Inghilterra, Nuova Zelanda, Danimarca,
Australia e Canada concordano che circa un paziente su dieci in ospedali
per acuti (reparti di degenza), subisca un danno, talvolta fatale, a causa di
errori clinici e problemi organizzativi ( Reason, 2004).
Le statistiche ci dicono che non più del 20% degli incidenti che si
verificano nelle strutture sanitarie sono dovuti a responsabilità strettamente
personali, il resto è di natura sistemica, di organizzazione, di processo o di
risorse.
Le ragioni non dipendono tanto dalla mancanza di conoscenza ma dal fatto
che non si applica compiutamente ciò che già si conosce.
Ne consegue che un'efficace gestione del rischio richiede una politica di
ridisegno dell'organizzazione basata sulla ricerca, il confronto, la
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semplificazione dei processi, la formazione, l'identificazione di modalità
efficaci di comunicazioni con gli utenti ecc.
Gestire il rischio in sanità è possibile. La strategia passa dalla presa di
coscienza del problema, all'analisi condivisa dello stesso da parte dei
professionisti direttamente coinvolti in un determinato processo. Ciò
consente di affinare la capacità di percepire i rischi, ricercare in modo
integrato le possibili soluzioni, prefissare standard di qualità, implementare
ricerche di pratiche infermieristiche basate sull'evidenza scientifica. Tutto
questo ci permette non solo di gestire ma anche di controllare il rischio in
modo da anticipare l'errore. Ruolo fondamentale nel perseguire tale
obiettivo è quello dell'infermiere che offre il proprio contributo
integrandosi con le altre professioni sanitarie in un’ottica di percorsi
assistenziali orientati al paziente. Non solo, ne può divenire il principale
promotore, considerati gli attuali elementi legislativi, contrattuali e
deontologici (D. M. 739/94, L. 42/99, L. 251/00, il nuovo codice
deontologico in vigore dal 2009) che ne rafforzano il ruolo in termini di
autonomia e responsabilità. L'infermiere, oggi è chiamato a rispondere
delle proprie azioni, in qualità di professionista che svolge un'attività
orientata al risultato in termini di assistenza appropriata, di buona qualità
ed ancor prima sicura. Per la professione infermieristica, assumere il
rischio come oggetto d'indagine vuol dire chiedersi come evitarlo,
attraverso quali misure ed interventi, indipendentemente dalla complessità
e dalle condizioni che lo originano.
Queste tematiche hanno suscitato in me un forte interesse ed un'attenzione
particolare in quanto ritengo che un professionista sanitario debba
prefiggersi l'obiettivo della qualità assistenziale.
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A tal fine, l'infermiere deve partecipare attivamente e in prima persona alla
progettazione e alla realizzazione di una modalità assistenziale che sia in
grado di rinnovarsi, di superare le eventuali disfunzioni, di valorizzare le
competenze e le professionalità garantendo, pertanto, risposte adeguate e in
linea con le più recenti innovazioni, ai bisogni che il cittadino presenta.
In questa tesi si cercherà di approfondire il problema della Gestione del
rischio in ambito farmacologico. Infatti, l'evento avverso da farmaco ha
provocato, solo negli Stati Uniti, oltre 140000 morti l'anno e rappresenta la
voce spesa maggiore (Porter et al., 1987, 1997). Infatti, se prima si prestava
molta più attenzione all'errore del chirurgo o dell'anestesista, negli ultimi
anni il problema dell'errore nella gestione del farmaco ha ricevuto una
considerevole attenzione sia in ambito politico che sanitario.
I dati italiani in merito alla problematica legata al rischio clinico
scarseggiano sia perchè probabilmente non esiste ancora una reale
consapevolezza del problema, sia perchè vi è un forte timore per la
perseguibilità penale, della responsabilità individuale.
Ma anche in Italia si commettono errori, secondo un'indagine conoscitiva
sugli errori di somministrazione, che ha visto coinvolte le U. O. di
medicina generale (maschile e femminile) e di geriatria dell'ospedale di
Chioggia (F.Venturini, et al., 2006). I dati riportati in questa indagine
evidenziano che, sono stati compiuti, 86 errori su 557 prescrizioni pari al
15%. Gli errori più frequenti in ambito farmacologico sono dovuti da:
incongruenza tra quanto prescritto in cartella clinica e quanto riportato in
scheda di terapia, l'imprecisa individuazione della via di somministrazione
e la mancata identificazione del paziente.
A tale proposito, il presente elaborato si sviluppa in due parti, la prima
inerente agli elementi di contesto generale in cui è inserito il problema
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della sicurezza in ambito sanitario, partendo da un primo capitolo che
illustra il Governo clinico, inteso come contesto che tende al miglioramento
continuo della Qualità attraverso l'adozione di strumenti e metodologie
specifici.
Nei capitoli successivi si evidenzia l’evoluzione della gestione del rischio
in sanità, e come viene coinvolta la professione infermieristica. Nella
seconda parte verrà trattata la gestione del rischio in ambito farmacologico
in tutte le sue sfaccettature quindi valutando gli errori commessi dagli
infermieri nei vari reparti di degenza. In particolare sarà messa in evidenza
la possibilità di errori nel dipartimento di salute mentale, poiché la
complessità assistenziale e i farmaci erogati possono aumentare il rischio di
commettere errori durante l'erogazione/manipolazione dei farmaci.
La
possibilità
di
incorrere
in
errori
sarà
valutata
tramite
la
somministrazione di un questionario agli infermieri del Servizio
Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) e del servizio per le
tossicodipendenze (ser.T) dell’ospedale Infermi di Rimini.
Tale questionario ci permetterà di valutare la percezione degli infermieri
circa la possibilità di evento avverso o quasi evento durante le varie fasi
della somministrazione dei farmaci.
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1°CAPITOLO:
GOVERNO CLINICO
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Per
governo
clinico
si
intende
un
approccio
integrato
per
l'ammodernamento del SSN, che pone al centro della programmazione e
gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini e valorizza il ruolo e la
responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione
della qualità. Per assicurare la qualità e la sicurezza delle prestazioni, i
migliori risultati possibili in salute e l'uso efficiente delle risorse, sono
impiegate metodologie e strumenti quali le linee guida ed i profili di
assistenza basate su prove di efficacia, la gestione del rischio clinico,
sistemi informativi costruiti a partire dalla cartella clinica integrata
informatizzata, la valorizzazione del personale e la relativa formazione,
l'integrazione disciplinare e multiprofessionale, la valutazione sistemica
delle performance per introdurre innovazione appropriate ed con il
coinvolgimento di tutti i soggetti, compresi i volontari e la comunità. In
questa ottica, il ministero della Salute Livia Turco, in una audizione della
Camera dei deputati del 23 gennaio 2007, parla di Governo clinico come di
"un' importante elemento che può contribuire ad integrare una serie di
elementi e questioni ormai giunte a maturazione:

l'esigenza di assicurare omogeneità, per qualità e quantità, nonché
per requisiti minimi di sicurezza e garanzie di efficacia, alle
prestazioni erogatesi su tutto il territorio nazionale;

la necessità di passare speditamente a percorsi diagnosticoterapeutico-assistenziale costruiti sulla appropriatezza e sulla
centralità del paziente;

il dovere di procedere con rapidità all'innalzamento dei livelli di
sicurezza delle prestazioni attraverso l'introduzione di tecnologie di
prevenzione del rischio malpractice;

l'urgenza di cominciare a costruire il secondo pilastro della sanità
pubblica, quello della medicina del territorio, a partire dalla
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riorganizzazione e promozione delle cure primarie e delle cure
primarie e della integrazione socio-sanitaria, con particolare
riferimento alla presa in carico e alla comunità della assistenza
nell'arco delle 24 ore e sette giorni su sette;

l'opportunità di aprire il sistema, nella sua interezza, alla cultura della
valutazione, puntando con decisione sulla utilizzazione di indicatori
di esito e valutazione in termini di obiettivi di salute conseguiti, più
che vera sommatoria di prestazioni erogate;

l'esigenza di aumentare la trasparenza del sistema, a cominciare dalla
rivalutazione del merito professionale e dalla ridefinizione delle
norme sul reclutamento della dirigenza e sulla progressione delle
carriere. Si tratta di una condizione imprescindibile per assicurare
alla sanità pubblica le condizioni le migliori competenze, rilasciare le
politiche del personale, incidere sul rapporto perverso tra sanità e
cattiva politica, ridare fiducia ai cittadini;

l'urgenza di dare effettività alla tanto declamata centralità del
paziente, nella consapevolezza che il sistema è chiamato ad un
impegno che va al di là della corretta informazione nei suoi
confronti.
1.1 COME NASCE IL GOVERNO CLINICO:
Il concetto di Governo Clinico è stato introdotto in Inghilterra alla fine
degli anni '90 (Dipartimento della Qualità, Direzione Generale della
Programmazione Sanitaria, dei Livelli Essenziali di Assistenza e dei
Principi Etici di Sistema, Ufficio 3) ma esso costituisce lo sviluppo di idee
e di riflessioni sul tema della qualità sul quale da anni molti studiosi e
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diverse organizzazioni stanno lavorando. Il primo punto di questo percorso
è segnato dal documento dell’ OMS "the principles of quality assurance"
del 1983 (WHO meeting, 1983) che divide la qualità in quattro aspetti
principali:

qualità tecnica dei professionisti

uso delle risorse-efficienza

gestione del rischio

soddisfazione dei pazienti
Da questo punto di vista, ogni programma per la qualità deve assicurare che
ogni paziente riceva la prestazione che produca il miglior esito possibile in
base alle conoscenze disponibili, con il minor consumo di risorse, che
comportino il minor rischio di danni conseguenti al trattamento e con la
massima soddisfazione per il paziente. Da ciò deriva la definizione delle
caratteristiche di un sistema sanitario ideale a cui tendere:

sicurezza

efficacia

centralità

tempestività

efficienza

equità
Pertanto, il miglioramento della qualità non può essere raggiunto solo
concentrando gli sforzi in un' unica direzione o focalizzandosi su un unico
aspetto. Essa richiede un approccio di sistema in un modello di sviluppo
complessivo che comprende pazienti, i professionisti e l'organizzazione.
Secondo Donabedian, il modello di qualità si fonda su aspetti strutturali
quali le risorse umane e tecnologiche, aspetti di processo e di esito.
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Maxwell ha introdotto un modello di qualità fondato sulla accessibilità,
capacità di risposta ai bisogni della popolazione, efficacia, equità,
accettazione sociale (livello di soddisfazione degli utenti) e efficienza
(Howie JG, et al., 1997). A questi aspetti, successivamente è stata aggiunta
dalla Commettee on Quality of Health Care degli USA (L. T. Kohn et al.,
2000) la dimensione della sicurezza dei pazienti. Dall'ulteriore sviluppo di
questo percorso evolutivo sulla qualità, è nato nel 1997 Inghilterra il
concetto di governo clinico, nell'ambito, di un processo di modernizzazione
dei servizi, caratterizzato soprattutto dall'impegno di innalzamento degli
standard di qualità delle prestazioni offerte. La logica sottostante a tale
nuovo concetto è stata quella della programmazione, gestione e valutazione
del "sistema" in forma mirata agli scopi, nel caso specifico l'erogazione di
prestazioni cliniche per la tutela della salute della popolazione. Il governo
clinico viene definito nel documento "A First Class Service in the new
NHS" ( Scally G., Donaldson, 1998) come "il sistema attraverso il quale le
organizzazioni sanitarie si rendono responsabili per il miglioramento
continuo dei loro servizi e garantiscono elevati standards di performance
assistenziale, assicurando le condizioni ottimali nelle quali viene favorita
l'eccellenza clinica" (Scally G, Donaldson, 1998). Secondo D. B. Freedman
(Clinical Governance: bridging managementand clinical approaches to
qualità in the UK; D. B. Freedman;) il governo clinico può essere
considerato un cambiamento generale della cultura del sistema che fornisce
i mezzi per lo sviluppo delle capacità organizzative necessarie a erogare un
servizio di assistenza sostenibile, responsabile, centrato sui pazienti e di
qualità.
16
1.2 DETERMINANTI DEL GOVERNO CLINICO :
La politica di attuazione del governo clinico richiede un approccio di
"sistema" e va realizzata tramite l'integrazione dei seguenti determinanti
che, soltanto ai fini descrittivi vengono considerati separatamente, mentre
essi sono tra di loro interconnessi e complementari e richiedono un
approccio integrato:

formazione continua

gestione del rischio clinico

audit clinici

medicina basata sull'evidenza: EBM, EBHC

linee guida cliniche e percorsi assistenziali

gestione dei reclami e dei contenziosi

comunicazione e gestione della comunicazione

ricerca e sviluppo

esiti

collaborazione multidisciplinare

coinvolgimento dei pazienti

valutazione
La realizzazione delle attività di Governo clinico e di tutte le sue estensioni,
trova la migliore collocazione in un contesto organizzativo di tipo
17
dipartimentale. Il dipartimento, infatti, favorendo il coordinamento dell'atto
medico teso a garantire l'intero percorso di cura e lo sviluppo di
comportamenti
clinico-assistenziali
basati
sull'evidenza,
costituisce
l'ambito privilegiato per assicurare la misurazione degli esiti, la gestione
del rischio clinico, l'adozione di linee guida e protocolli diagnosticoterapeutici, la formazione continua, il coinvolgimento del paziente e
l'informazione corretta e trasparente (Commissione del rischio clinico-DM
5 marzo, 2003).
18
2°CAPITOLO:
GESTIONE DEL RISCHIO
19
La gestione del rischio clinico comprende un insieme di iniziative volte a
ridurre il verificarsi di danni o eventi avversi correlati con le prestazioni
sanitarie. Il miglioramento della qualità deve necessariamente passare
attraverso la riduzione degli errori e ciò si può ottenere con piani
multidisciplinari che presuppongono un forte cambiamento culturale. La
gestione del rischio clinico pertanto richiede un approccio di sistema e la
riduzione degli errori presuppone imparare da essi e porre in essere misure
protettive e preventive all’ interno dell’organizzazione. I fattori individuali
hanno un peso importante nella pratica clinica, ma spesso altre componenti,
insite nell’organizzazione, determinano il verificarsi dell’errore. Questo,
infatti, rappresenta l’ultimo e più visibile anello di una catena che abbraccia
aspetti organizzativi e di contesto, quali difficoltà nel lavoro di squadra,
scarsa o inesistente comunicazione, eccessivo carico di lavoro, vetustà delle
attrezzature tecnologiche. Per questo è di particolare importanza
identificare e segnalare ogni errore verificatosi, sia causa di eventi avversi,
che di near misses e attivare un sistema di segnalazione che vede coinvolti
sistemi locali, regionali, e nazionali. Infatti, solo un approccio integrato
Ministero, Regioni e Aziende sanitarie può portare ad un’efficace
prevenzione degli errori in Sanità. Alcune misure di sistema importanti per
la riduzione degli errori in sanità comprendono:

La supervisione e appropriato training del personale

Il tempestivo scambio di informazioni e le procedure chiare di
comunicazione all’interno delle strutture

Le linee guida o check-list sui corretti trattamenti o procedure

Le misure e raccomandazioni che consentono di evitare errori

Le procedure standardizzate per ridurre variazioni nella pratica
clinica

L’utilizzo di attrezzature più sicure
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
L’informazione accurata dei pazienti e degli operatori sanitari.

L’analisi e valutazione dei reclami e contenziosi

La consapevolezza della non infallibilità dell’operatore sanitario

L’analisi dell’ errore

L’audit clinico

Implementazione delle misure di prevenzione dell’errore.
2.1 Gestione del rischio clinico: di cosa stiamo parlando?
Ogni attività umana porta con sé una dose di rischio. L’attività di una
struttura sanitaria, sia essa un ospedale, un ambulatorio o un servizio di
assistenza domiciliare, comporta un numero di rischi particolarmente
elevato. La sanità è, d’altra parte, come lo sono ad esempio l’aeronautica o
il funzionamento delle centrali nucleari, un ambito in cui la sicurezza è un
aspetto determinante. Parlare di Gestione del rischio, e di rischio clinico in
particolare, comporta la necessità di definire una terminologia comune e
condivisa, poiché spesso nell’uso comune dei termini si creano ambiguità.
Una delle difficoltà nell’implementazione di attività nuove e, come in
questo caso, mutuate da altri settori e da altri paesi, consiste nell’utilizzare
una terminologia adeguata e soprattutto non fuorviante.
In particolare, il concetto di rischio è difficilmente espresso in modo
univoco, soprattutto nel linguaggio comune. Esiste una concezione
soggettiva del rischio, che è data dalla percezione di una determinata
situazione come potenzialmente apportatrice di un danno e ha quindi
notevoli implicazioni psicologiche. Esiste poi una concezione oggettiva,
matematica, del rischio.
Entrambe le visioni sono rilevanti nell’ambito della “gestione del rischio”.
Il rischio come percezione soggettiva è da tempo oggetto di studio in
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ambito psicologico e sociologico e di interesse per la medicina, soprattutto
preventiva, come elemento determinante nell’induzione di comportamenti
più o meno sicuri. Ciò che emerge chiaramente è che anche in casi dove il
rischio è quantificato sulla base di dati statistici, la percezione differisce da
individuo a individuo. Un esempio immediato è rappresentato dalle
catastrofi aeree e dagli incidenti automobilistici, dove statistiche
largamente diffuse non prevengono il manifestarsi di attitudini e
comportamenti addirittura opposti in persone diverse. Il ruolo della
percezione soggettiva del rischio, proprio perché legato all’incertezza
delle conseguenze del proprio agire, è ovviamente molto più importante in
assenza di stime affidabili dei rischi esistenti (F. Novaco, V. Damen, 2004).
L’incertezza dei dati scientifici è stata, in effetti, identificata come uno dei
fattori principali che influenzano la percezione del rischio. In realtà le
discipline che si occupano del rischio hanno la necessità di poter utilizzare
una visione oggettiva. Sono stati elaborati numerosi tentativi di formulare
una definizione matematica univoca. La più semplice e comune espressione
del rischio R associato ad un dato evento (es. un incidente) è la seguente:
R=GxF
Dove: R = rischio; G = gravità dell’esito dell’evento; F = frequenza di
accadimento dell’evento.
La relazione di cui sopra non è comunque accettata universalmente (F.
Novaco, V. Damen, 2004). Secondo alcuni, per esempio, in casi in cui G è
molto elevata (come in eventi catastrofici: terremoto, scoppio di centrali
nucleari, ecc.), anche se rari, il livello rischio dovrebbe risultare comunque
molto elevato. In ambito sanitario, e quindi nella gestione del rischio
clinico, G si identifica con l’esito dell’evento in termini di salute del
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paziente (lesione con necessità di medicazioni, lesione con esiti permanenti
al momento della dimissione, decesso, ecc.).
Un ulteriore elemento da chiarire, per giungere ad una corretta definizione
del rischio, è la sua collocazione nell’ambito della catena di genesi del
danno. Questo ha lo scopo di distinguere con chiarezza diverse “fasi” che
spesso, nel linguaggio comune, risultano confuse dall’uso di termini
generici.
E’ possibile partire da alcune definizioni OHSAS (Occupational health and
Safety Management Sistems-specification. OHSAS 18001:1999):

Hazard: situazione o causa potenziale di danno. In italiano :
“pericolo”.

Incident: accadimento che ha dato o aveva la possibilità di dare
origine a un danno. Non coincide, quindi, in modo preciso con il
termine italiano incidente, che generalmente ha eccezione di evento
dannoso; più opportuno risulta il termine “evento”.

Accident: evento imprevisto e sfavorevole causativo di un danno. E’
traducibile con “incidente, infortunio, evento avverso”.
Questi ultimi descrivono le tappe della catena in cui si genera un danno:
l’hazard rappresenta un pericolo esistente, che diventa una potenziale fonte
di danno nel momento in cui si sovrappone ad un’attività (ad es. l’attività
routinaria di un reparto o di una struttura sanitaria). Talvolta, soprattutto in
ambito sanitario, il legame tra attività e pericolo è talmente stretto da non
poter essere facilmente scisso. Questa sovrapposizione determina la
possibilità che il pericolo si concretizzi in un evento sfavorevole. Tale
probabilità è il rischio (risk). Se si concretizza dà origine all’incident o
evento a cui potrà seguire o meno un danno (accident). Ciò che lega
l’evento al danno sono fattori spesso imprevedibili e talvolta fortuiti: la
labilità di questo legame è dimostrata dall’elevatissimo numero di eventi
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che si verificano, in sanità come in altri settori, senza portare ad alcun
danno significativo.
2.2 Che cosa s’ intende per rischio clinico.

Rischio occupazionale: riguarda gli operatori sanitari e non, nello
svolgimento della loro attività lavorativa. Questi rischi sono
generalmente classificati, come per altre categorie di lavoratori, in
rischio fisico, chimico e biologico.

Rischio “non clinico”: sono i problemi di sicurezza generale, ad
esempio gli eventi catastrofici (incidenti, terremoti), i rischi
finanziari e organizzativi generali oltre che quelli economici e di
immagine legati ai danni per i pazienti.

Rischio clinico: riguarda i pazienti, fa riferimento alla possibilità per
gli stessi di essere danneggiati dal trattamento sanitario. Il rischio
clinico comprende quindi elementi di rischio strutturale (strutture,
apparecchiature ecc.), organizzativo (ritardi, mancanza di procedure
ecc.) e elementi relativamente a quello che generalmente è chiamato
errore medico. Si comprende quindi quanto questo campo sia ampio
e rilevante ai fini della qualità dell’assistenza.
2.3 Risk management in ambito sanitario:
“To err is human: building a safer haelth system”: “Errare è umano:
costruire un sistema sanitario più sicuro”, questo è il titolo di uno studio
pubblicato nel 1999 dall’Istitute of Medicine (agenzia non-profit di ricerca
sanitaria statunitense) (L. T. Kohn, J. M. Corrigan, M. S. Donaldson,
Editors, 2000). Nel rapporto viene posto l’accento sui danni che possono
derivare dalle cure ospedaliere, dichiarando che almeno un milione di
americani riportano danni dalle cure che vengono loro prestate nelle
24
strutture sanitarie e di questi almeno 100.000 muoiono. Oltre ai danni e alle
sofferenze provocate al paziente, ingente è anche l’aspetto economico; si
parla di costi aggiuntivi pari a 37,6 miliardi di dollari l’anno negli USA. Il
rapporto indica inoltre alcune strategie per diminuire gli errori nelle cure
sanitarie:

il problema degli errori nelle cure non sta nel cercare ad ogni costo il
colpevole, ma nel creare una cultura della sicurezza e nel
promuovere la qualità delle cure. Ciò è possibile solo passando da un
sistema punitivo e repressivo nei confronti dei presunti responsabili
ad un sistema che favorisca la segnalazione spontanea degli errori;

passare da un sistema reattivo di individuazione e correzione degli
errori ad un sistema pro-attivo, basato sulla prevenzione degli errori;

realizzare un sistema per individuare e correggere in modo metodico
situazioni a rischio di errore e di danno su scala nazionale.
Il National Health Service Britannico pubblica successivamente un report,
“Un’organizzazione fornita di memoria”, il cui obiettivo esplicito è quello
di imparare dai danni derivanti da cure per diminuire gli errori associati ad
esse. Alla base del rapporto vi è la convinzione che si può ridurre il numero
degli errori, analizzando criticamente quelli già accaduti, ricercando le
cause alla radice degli stessi, agendo sul sistema organizzativo per far sì
che altri errori possano essere prevenuti.
La situazione italiana non si discosta dai dati internazionali. Infatti,
proiettando la casistica internazionale sulla nostra realtà, si rileva che circa
320.000 persone (sugli 8 milioni di persone ricoverate ogni anno) escono
dall’ospedale con danni, malattie derivanti da errori terapeutici o a seguito
di disservizi ospedalieri stimando circa 30-35.000 decessi l’anno (C.
Fabbri, M. Montalti, 2006).
Il Censis ha condotto una ricerca nel 2000 sui rischi ed errori nella sanità
italiana, evidenziando una reale preoccupazione del cittadino ed un ricorso
25
maggiore alla magistratura per un danno subito (C. Fabbri, M. Montalti,
2006). Tra i principali impegni italiani vi è il programma per la Sicurezza
nell’esercizio della pratica medica promosso dal tribunale per i diritti del
malato. Quale strumento fondamentale di tale programma, nel 2000 viene
pubblicata la Carta della sicurezza nell’esercizio della pratica medica ed
assistenziale.Questa carta si propone di dare un contributo per facilitare la
presa in carico di questo problema da parte di tutti i soggetti coinvolti,
fornendo indicazioni e procedure e a prevenire gli errori in sanità.
L’incremento dei casi di “malpractice” registrato nel corso degli ultimi anni
è testimoniato dalla crescita progressiva delle segnalazioni giunte al
Tribunale per i diritti del malato. La percentuale di contatti relativi a
sospetti errori di diagnosi e terapia gestita dalla sede nazionale, attraverso il
servizio PiT Salute, si è consolidata ormai stabilmente intorno al 28%.
Ortopedia, chirurgia generale, ostetricia e ginecologia sono le aree per le
quali si registra il maggior numero di segnalazioni da parte dei cittadini.
Dai dati che emergono dalle segnalazioni dei cittadini (fonte: banca dati
PiT Salute, contenzioso legale Asl/assicurazioni, letteratura internazionale)
si evidenzia la ripetitività dagli errori, tanto per tipo che per area
specialistica. Da tutto ciò deriva la possibilità di costruire un programma
che deve avere al suo centro la costruzione di un regime di controllo dei
rischi, che serva ad individuare e a riconoscere i fattori di rischio e la loro
incidenza e quindi metodologie e di
procedere all’applicazione di
metodologie e di procedure che riducano la possibilità di incorrere in errori.
Attualmente, il contesto sanitario e caratterizzato da un sistema
organizzativo, relazionale, tecnologico in continua evoluzione ed
estremamente complesso. Da ciò derivano situazioni di rischio per gli
operatori scolastici per gli operatori sanitari e per gli utenti.
In letteratura sono riportati tra le principali cause:

gli eventi avversi da farmaci;
26

le infezioni ospedaliere;

le cadute accidentali;

i danni trasfusionali;

la gestione di pazienti critici.
Statistiche internazionali hanno dimostrato come le cause organizzative
siano molto più frequenti di quelli attribuibili al singolo (80-85% contro
15-20%). Infatti è essenziale non fermarsi alle cause più evidenti ed
immediate, ma devono essere analizzate l’insieme delle circostanze che
hanno favorito il verificarsi dell’evento avverso, definite cause alla radice
(root causes) o fattori contribuenti (contributory factors).
Il termine risk management può essere utilizzato per affrontare vari aspetti
della gestione in ambito sanitario; infatti può riguardare gli aspetti
assicurativi, gli aspetti medico-legali, la tutela dei lavoratori, la sicurezza
dell’utente da un punto di vista clinico-assistenziale.
Risk management è un termine che può trarre in inganno; non è nuova
invenzione, di rischi si parla da sempre. Questa terminologia vuole essere
una interpretazione diversa dell’approccio alla gestione dei rischi;
approccio che alla base un modo di progettare, costruire relazioni,
organizzazioni, prendere decisioni, definire strategie con lo stile
inequivocabile dell’offrire qualità e sicurezza attraverso il miglioramento
continuo. Partendo dall’analisi dei processi e dei percorsi clinicoassistenziali a maggiore criticità, gli operatori, le tecnologie, il tempo e la
interazione tra tutti questi fattori, puntando decisamente alla introduzione
di un regime di controllo dei rischi nell’esercizio della pratica medica e
delle professioni sanitarie. Tutto questo è concretizzabile solo se si accetta
innanzi tutto di misurarsi con la presenza e la esistenza di rischi ed errori.
Solo così sarà possibile intervenire efficacemente, individuando e
implementando sistemi di gestione e controllo efficaci.
27
2.4 La professione infermieristica e la gestione del rischio
Negli ultimi anni, all’interno della professione infermieristica, si è delineata
e diffusa la convinzione che lo sviluppo scientifico, culturale e sociale
dell’assistenza infermieristica sia strettamente consequenziale alla piena
valorizzazione di una competenza specifica dell’infermiere nell’ambito
dell’assistenza sanitaria, in grado di produrre - a favore delle persone
assistite - “propri” risultati di salute sostenuti da prove cliniche di efficacia
(Evidence-based Nursing). Nella cosiddetta “epoca del post-mansionario”,
cioè in un nuovo contesto giuridico e professionale che regolamenta il
ruolo e le funzioni dell’infermiere ormai sgravate dai limiti impliciti in
un’elencazione di atti esecutivi di tipo tecnico, il consolidamento della
sfera di autonomia e di responsabilità professionale dell’assistenza, impone
all’infermiere il possesso di un articolato bagaglio metodologico, tecnico e
relazionale da utilizzare in ambito clinico ed organizzativo (ciò è rilevabile
negli articoli del D. M. 739/94, L.42/99, L. 251/00, il nuovo codice
deontologico del 12.5.1999). Si tratta, ad esempio, di definire, introdurre e
sperimentare nuovi approcci e nuovi strumenti per orientare la pratica
professionale verso l’appropriatezza, l’efficacia e l’efficienza delle
prestazioni; di organizzare l’assistenza infermieristica secondo modelli
gestionali “per processi”, profondamente integrati e multiprofessionali,
poiché la “buona salute” non può essere considerata un esito di cui dispone
una singola professionalità; di fondare la valutazione, la decisione e
l’azione clinica sulle conoscenze prodotte dalla ricercare su adeguati
indicatori e standard, mediante l’opportuno ricorso a strumenti quali linee
guida, raccomandazioni, percorsi clinico assistenziali, protocolli e
procedure. In base a questa tendenza, è ragionevole prevedere che il
cosiddetto
“governo
clinico”,
cioè
la
razionalizzazione
e
la
standardizzazione delle attività sulla base delle prove di efficacia, assumerà
28
in futuro una rilevanza crescente, in modo che la prassi assistenziale possa
essere sempre più ancorata alla ormai vasta e autorevole produzione
scientifica in campo infermieristico.
La
pianificazione
dell’assistenza
e
gli
strumenti
della
standardizzazione.
Con il termine “standardizzazione” si intende, nella sua più comune
accettazione positiva, processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti
sulla base di norme, tipi o modelli di riferimento. Nella pratica
infermieristica, tale processo può applicarsi - secondo la logica propria dei
sistemi di qualità - ad un consistente numero di situazioni: infatti, costruire
ed
adottare
standards,
nel
momento
della
pianificazione
e
dell’organizzazione degli interventi da realizzare in risposta ai bisogni della
persona assistita, significa riferirsi ad un complesso di elementi che
rappresentano le caratteristiche appropriate ed ottimali di una determinata
prestazione o di un determinato processo.
Linee guida
Le
linee
guida
di
pratica
clinica
sono
“documenti
sviluppati
sistematicamente per aiutare medici, infermieri e pazienti a scegliere la più
appropriata assistenza sanitaria in specifiche circostanze cliniche”. Esse
sono prodotte, in genere, da società scientifiche, associazioni professionali
ed istituzioni sanitarie. Non è possibile individuare un formato unico per la
loro redazione, poiché le linee guida possono variare di dimensione in
relazione all’argomento (dalla gestione degli accesi venosi intravascolari o
dell’incontinenza urinaria, all’appropriatezza clinica e deontologica
dell’utilizzo dei placebo o dei mezzi di contenzione fisica, ecc.).
29
I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway)
I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway) prestabiliscono uno
schema ottimale della sequenza dei comportamenti in relazione all’iter
diagnostico, terapeutico ed assistenziale da attivare a fronte di una
situazione clinica tipica, allo scopo di massimizzare l’efficacia e
l’efficienza delle attività. Tali schemi da considerarsi comunque flessibili e
non statici, presuppongono, perciò, la possibilità di essere impiegati nella
maggior dei casi in cui si presenta una determinata situazione o patologia.
Essi prevedono la costruzione di un percorso metodologico incentrato sui
seguenti aspetti principali:

la definizione delle caratteristiche cliniche del paziente a cui si
riferisce il clinical pathway;

la specializzazione delle azioni diagnostiche, terapeutiche ed
assistenziali e la loro sequenza;

la definizione degli esiti di salute, in termini di promozione,
miglioramento o mantenimento della situazione clinica presente, ad
esempio, all’inizio del ricovero.
Le procedure
Le procedure infermieristiche rappresentano la forma di standardizzazione
più elementare, poiché si riferiscono ad una successione logica di azioni,
più o meno rigidamente definite, allo scopo di raccomandare la modalità
tecnica infermieristica semplice o complessa. Obiettivo delle procedure è
dunque la riduzione di una variabilità ingiustificata ed il perseguimento di
una relativa uniformità dei comportamenti.
30
3° CAPITOLO
GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO IN AMBITO
FARMACOLOGICO
31
L’evento avverso da farmaco (ADE) provoca, solo negli Stati Uniti, oltre
140.000 morti ogni anno e rappresenta sicuramente la voce di spesa
maggiore (Porter et al., 1989, 1997).
Si stima che le patologie e la mortalità correlate ad errori di terapia
facciano spendere un importo variabile tra 30 (stima conservativa) e 136
(stima per eccesso) miliardi di dollari al sistema sanitario statunitense; una
somma superiore a quella necessaria alla cura delle patologie
cardiovascolari e del diabete (Johnson et al.,1995). Questi dati, pubblicati
del 1995, non sono certo migliorati negli anni.
Già più di venti anni fa, il Boston Collaborative Drug Surveillance Project
stimava che circa il 30% dei pazienti ospedalizzati vanno incontro ad un
ADE da farmaco (Jick, 1974). Risultati che sono stati confermati
dall’Harvad Medical Practice Study
(TA
Brennan, et al., 1991),
nell’ambito del quale è stata valutata l’incidenza di eventi avversi in un
campione di 30.121 pazienti ospiti dei numerosi ospedali nello stato di
New York a metà degli anni ‘80. Lo studio ha stabilito che il 3,7% dei
pazienti sviluppa una seria, disabilitante e clinicamente importante reazione
avversa durante il periodo di ospedalizzazione; il 19,4% di queste sono
ADE (Bates et al, 1998; Kupermann et al, 1998, 2001). Vi è, quindi,
un’inversione di tendenza. Infatti, se prima si prestava molta più attenzione
all’errore del chirurgo o dell’anestesista, negli ultimi anni il problema
dell’errore di terapia ha ricevuto una considerevole attenzione sia negli
Stati Uniti (Kohn et al., 2000) sia nel regno unito dove è stato condotto il
più importante studio di management del farmaco negli ospedali (Audit
Commission 2001). In Olanda il direttore dell’Istituto per la Qualità in
ambito sanitario (CBO) ha stimato che circa 6000 persone muoiono ogni
anno negli ospedali per errori in medicina, un numero di morti 6 volte
maggiore di quello che si registra negli incidenti stradali. Si stima che la
32
percentuale degli errori di terapia sia compresa tra il 12% e il 20% del
totale degli errori (Guchelaar et al., 2003).
3.1 ERRORE DI TERAPIA
Per errore di terapia si intende ogni evento prevenibile che può causare o
portare ad un uso inappropriato del farmaco o ad un pericolo per il
paziente. Tale episodio può essere conseguente ad errori di prescrizione, di
trasmissione
della
prescrizione,
denominazione,
allestimento,
somministrazione,
educazione,
etichettatura,
confezionamento
dispensazione,
monitoraggio
ed
o
distribuzione,
uso
(National
Coordinating Council for Medication Error Reporting and Preventing NCCPMERP - http.www.nccpmerp.org).
Il rischio associato all’impiego del farmaco riguarda gli eventi intrinseci
quali reazioni avverse, effetti collaterali, e soprattutto gli eventi non
direttamente correlati alla natura del farmaco, come quelli dovuti a
pessima grafia, abbreviazioni ambigue, scarsa informazione su dosi, modi e
tempi di somministrazione.
Fondamentalmente vengono riconosciute 5 categorie di errori:

Errore di prescrizione

Errore di trascrizione/interpretazione

Errore di preparazione

Errore di distribuzione

Errore di somministrazione
Errore di prescrizione. In letteratura ci sono poche informazioni circa gli
errori di prescrizione. A complicare le cose c’è l’impossibilità di
paragonare i dati pubblicati poiché vi sono differenti definizioni di errore di
33
prescrizione nell’ambito dei vari lavori tanto che si passa dal 4%, riportato
in uno studio di Hartwing (Hartwing et al.,1991), al 39% sul totale degli
adverse drug events dello studio di Leape (Leape et al.,1995). Esempi di
errore di prescrizione possono essere la mancanza di informazioni
essenziali (nome del paziente o del farmaco), prescrizione di farmaci che
interagiscono tra loro o di un farmaco sbagliato, oppure la prescrizione di
un dosaggio e/o di un regime terapeutico inappropriato, l’utilizzo di
un’unità di misura errata (ad es. milligrammi invece di microgrammi). Una
fonte importante di errore è sicuramente una terapia no adatta alle
particolari caratteristiche del paziente, ad esempio in caso di insufficienza
renale o epatica, altre patologie, allergie documentate o particolari
controindicazioni per quel determinato principio attivo.
Riportiamo uno studio del 1997, condotto in alcuni ospedali di New York
dove, nell’arco di un anno, su 1000 prescrizioni si registra una media di 3,9
errori legati all’intero processo di terapia (Tabella 1, vedi allegato 1). I più
comuni
errori
di
prescrizione
evidenziati
sono
stati:
mancata
identificazione del paziente o del farmaco, mancata identificazione della
dose o della via di somministrazione, errore della forma farmaceutica,
indicazione e associazioni inappropriate del farmaco, documentata allergia
(Lesar et al.,1997).
Errore di trascrizione/interpretazione. Avviene quando la prescrizione
medica, nella maggior parte dei casi scritta a mano, non viene
correttamente riportata, trascritta o interpretata. Anche in questo caso le
percentuali sono molto diverse tra gli studi: si passa dal 12% dello studio
americano di Leape (Leape et al., 1995) al 32% riportato da Hartwing
(Hartwing et al., 1995).
Errore di preparazione. Indica un’errata preparazione o manipolazione di
un prodotto farmaceutico prima della somministrazione. Comprende, per
34
esempio, diluizioni e ricostruzioni non corrette, associazioni di farmaci
fisicamente o chimicamente incompatibili o confezionamento non
appropriato di farmaci. Anche se frequentemente non rilevati nell’ambito
degli studi, fanno parte di questa categoria di errore anche gli errori di
deterioramento,
quando
la
validità
medica
e
chimica
di
una
somministrazione è compromessa a causa di un medicinale scaduto o non
correttamente conservato. Questo tipo di errore è più difficile da
individuare in un sistema di distribuzione in dose unitaria dove le singole
quantità prescritte vengono preparate nel Servizio Farmaceutico e, in ogni
caso, sarebbe necessario un altro osservatore. Bolan e il suo staff
(Commissione tecnica sul rischio clinico, “Risk Management”, allegato 1
“Rischio clinico da farmaco”; su www.MinisterodellaSalute.it, Roma
Marzo, 2004) rilevarono l’errore di un farmacista nella ricostituzione di
uno sciroppo a base di rifampicina; il risultato fu che 19 bambini ebbero
diversi effetti collaterali, incluso la “sindrome dell’uomo rosso”, sindrome
caratterizzata da vasodilatazione, tachicardia, ipotensione, prurito, spasmi e
dolori muscolari (Allan et al., 1990).
Errore di distribuzione. La distribuzione dei farmaci comprende tutti quei
processi che intercorrono tra la preparazione e la consegna all’Unità
operativa dove verrà somministrato il farmaco. Il nostro indicatore di
qualità del sistema sarà la discrepanza tra quanto prescritto e quanto
somministrato pur considerando che una parte di questi errori fanno parte
della categoria degli errori di somministrazione. I primi studi sull’errore di
terapia sono stati condotti negli anni 60 rispettivamente negli Stati Uniti
(Barker et al., 1962) e in Gran Bretagna (Crooks et al., 1965; Vere, 1965).
In entrambi i casi fu riscontrata un’incidenza di errori di terapia molto alta
che però favorì lo sviluppo di diversi sistemi di distribuzione. Infatti, la
prima si orientò verso la dispensazione in dose unitaria (Barker et al.,
35
1969), mentre la seconda verso la distribuzione a scorta nei reparti (Crooks
et al., 1965).
Errore di somministrazione. E’ definito come una variazione di ciò che il
medico ha prescritto in cartella clinica o previsto dalle buone norme di
pratica clinica. E’ stato oggetto di numerosissimi studi, in particolare
riportiamo quello pubblicato da Barker nel 2002 che ha visto coinvolti 36
ospedali negli Stati Uniti d’America, alcuni dei quali accreditati presso la
JCAHO (tabella 2, vedi allegato 1) (Barker et al., 2002).
3.2 L’ERRORE IN PEDIATRIA
Meno numerosi sono gli studi riguardo l’epidemiologia e la prevenzione
dell’errore in pediatria dove predisporre una terapia presenta qualche
difficoltà in più (ad, es. le dosi sono correlate al peso quindi la prescrizione
prevede molti più calcoli rispetto all’adulto, anche perché molto spesso i
farmaci non sono disponibili in dosaggio pediatrico). La stessa
somministrazione è soggetta ad una maggior possibilità d’errore dal
momento che le soluzioni spesso devono essere diluite. Il bambino non
riesce ad aiutare il medico per individuare eventuali errori di terapia e non
riesce nemmeno a comunicare effetti avversi. Uno studio effettuato
consecutivamente per un periodo di 36 giorni, pubblicato nel 2001
(Kaushal et al., 2001) e condotto in due ospedali di Boston, ha rilevato 616
errori di terapia su 778 prescrizioni. In totale 320 pazienti hanno subito
almeno un errore di terapia, tra questi 26 sono stati eventi avversi da
farmaco dei quali 5 erano prevedibili. Inoltre, sono stati individuati ben 115
potenziali ADEs. In pediatria l’errore più frequente, secondo questo studio,
riguarda il dosaggio (28%) seguito, in ordine di frequenza, da via di
somministrazione, trascrizione e frequenza di somministrazione. Al primo
posto troviamo, quindi, gli errori di prescrizione (93%) seguiti da quelli di
36
trascrizione e frequenza di somministrazione da parte del personale
infermieristico. I farmaci maggiormente coinvolti sono gli antibiotici
seguiti da analgesici e sedativi, elettroliti, fluidi e broncodilatatori. La via
di somministrazione più a rischio è quella endovenosa seguita da quella
orale e inalatoria. Eccessiva sedazione, ipotermia, forti dolori e rash gli
errori prevedibili più frequenti. Secondo questo studio il sistema
computerizzato di prescrizione o la presenza costante in reparto di un
farmacista clinico avrebbe ridotto, rispettivamente del 93 e del 94% la
percentuale degli errori prevedibili.
Un evento avverso da farmaco è considerato prevedibile quando associato
ad un errore di terapia. Ad esempio la comparsa di rash in seguito alla
somministrazione di co-trimossazolo ad un paziente con allergia accertata
verso i sulfamidici è considerato un errore prevenibile, a differenza dello
sviluppo di una colite pseudomembranosa da Clostridium difficile dopo
l’uso appropriato degli antibiotici.
Gli analgesici (30%) e gli antibiotici (30%) sono i maggiori responsabili
dei ADEs non prevenibili seguiti da agenti antineoplastici (8%) e sedativi
(7%); per quanto riguarda gli eventi avversi i prevenibili i maggiori
indiziati sono analgesici (29%), i sedativi (10%), gli antibiotici (9%) e gli
antipsicotici (7%) (Guachelaar H. J. et al.,2003).
3.3 ERRORI IN GERIATRIA
Il paziente geriatrico ha caratteristiche peculiari:

presenta sovente patologie multiple e quindi assume una quantità
maggiore di farmaci con un aumento del rischio di effetti indesiderati
e di interazione tra i diversi farmaci;
37

presenta variazioni farmacocinetiche dovute all’età e/o patologie
concomitanti (insufficienza renale, insufficienza epatica, malattie
cardiovascolari, ecc..).
Dall’analisi dei report sugli errori di terapia pervenuti alla FDA’s Adverse
Event Reporting System nel periodo che va dal 1993 al 1998 emerge che
proprio tra la popolazione anziana si ha la maggior frequenza di morte per
errori di terapia. I pazienti oltre i 60 anni rappresentano il maggior numero
di casi con 172 morti (48.6%), mentre la percentuale scende al 20% se
consideriamo i pazienti tra i 70 e gli 80 anni con 71 morti. Sempre da
questa analisi risulta che il 55% dei pazienti oltre i 60 anni assume più di
un farmaco. I farmaci
maggiormente indiziati sono gli
agenti
antineoplastici, quelli che agiscono sul sistema nervoso centrale e
sull’apparato cardiovascolare (Philips et al., 2001).
3.4 COME GARANTIRE UNA TERAPIA SICURA AL PAZIENTE?
Le linee guida dell’American Society of Hospital Pharmacy (1993),
riportano per prevenire l’errore di terapia in ospedale (www.ashp.org), le
seguenti raccomandazioni:

invio diretto delle prescrizioni attraverso un sistema informatico;

introduzione dei codici a barre nei processi di utilizzo del farmaco;

sviluppo dei sistemi di monitoraggio e archiviazione delle reazioni
avverse;

adozione della dose unitaria e miscelazione centralizzata dei farmaci
endovena;

collaborazione diretta del farmacista con i medici prescrittori e gli
infermieri;

rilevazione degli errori legati alla somministrazione ed elaborazione
di soluzioni per prevenirli,
38

verifica delle prescrizioni da parte di un farmacista prima della dose
iniziale.
Attualmente, esaminando i dati presenti in letteratura, si evince che le
strategie adottate al fine di ridurre gli errori di terapia sono essenzialmente
le seguenti:

sistemi computerizzati di registrazione della terapia (Kaushal et al.,
2003; Teich et., 2000);

distribuzione dei farmaci in dose unitaria (con diversi livelli di
automazione) (Dea net al., 1995; Fontane al., 2003);

partecipazione attiva del farmacista clinico alla gestione della terapia
(Walton et al., 2002).
Prescrizione computerizzata
I sistemi di gestione della terapia hanno permesso il controllo delle dosi
massime di farmaci a basso indice terapeutico ed hanno ridotto la
possibilità di somministrare dosi tossiche di farmaci, il tasso di reazioni
avverse e la durata della degenza (Hynimann et al., 1970).
Negli ospedali la prescrizione computerizzata sta raccogliendo sempre più
consensi. Uno dei primi ad adottare questo tipo di supporto tecnologico è
stato l’Accademic Medical Centre di Amsterdam dove l’introduzione di
questo sistema ha ridotto gli errori di interpretazione e di trascrizione
(Mathijs, 2003). Fino al 1999 negli Stati Uniti solo il 5% degli ospedali
aveva adottato questo metodo e tra essi, a causa dei costi elevati, non era
compreso alcun ospedale pediatrico.
39
Dispensazione in dose sanitaria
Già nei primi anni ’70, alcuni ospedali avevano implementato questi tipo di
dispensazione con buoni risultati. Infatti, il sistema a dose unitaria
presentava un tasso di errore pari al 3,5% rispetto ad un valore che si
aggirava tra il 9,9% e il 20,6% degli ospedali con sistemi convenzionali di
distribuzione (Hynimann et al., 1970).
Uno studio francese, pubblicato nel 2003, ha analizzato la frequenza e la
tipologia di errore mettendo a confronto la prescrizione computerizzata
associata alla dispensazione in dose unitaria (3943 farmaci prescritti) con la
terapia scritta a mano in ospedali con un sistema di distribuzione
tradizionale (589 farmaci prescritti) (tabella 3-4 vedi allegato 1 ) (Fontane
et al., 2003).
Da quanto emerge da questa indagine la prescrizione computerizzata,
associata alla distribuzione in dose unitaria, adottato in un ospedale
tedesco, riportava un tasso di errore pari al 2,4% contro il 5,1% di un altro
ospedale tradizionale(Taxi set al., 1998).
Sempre nell’ambito della distribuzione in dose unitaria vi è stato il
confronto dell’accuratezza dell’allestimento della dose unitaria manuale
rispetto al sistema automatizzato. I target di questo studio erano le
discrepanze tra quanto prescritto e quanto allestito (tabella 5 vedi allegato
1) (Kratz K. Et al., 1992).
In ultimo, la partecipazione del farmacista ospedaliero al giro di visite in
terapia intensiva riduce gli eventi avversi prevenibili da farmaci da
10,4/1000 giorni paziente a 3,5/1000 giorni paziente (Walton et al., 2002).
40
3.5 L’ESPERIENZA ITALIANA
I dati italiani in merito alla problematica legata al rischio clinico
scarseggiano sia perché forse non esiste ancora una reale consapevolezza
del problema, sia perché vi è un forte timore della perseguibilità penale,
della responsabilità individuale. Ma anche in Italia si sbaglia, secondo
un’indagine conoscitiva sugli errori di somministrazione che ha visto
coinvolte le U.O. di Medicina generale (maschile e femminile) e di
geriatria dell’Ospedale di Chioggia (F. Venturini, et al., 2006). Tale
indagine riporta bel 86 errori su 557 prescrizioni pari al 15%. Gli errori più
frequenti sono stati: l’incongruenza tra quanto prescritto in cartella clinica e
quanto riportato in scheda di terapia, l’assenza di indicazione di inizio e/o
fine terapia, l’imprecisa individuazione della via di somministrazione e la
mancata identificazione del paziente.
Nell’indagine, inoltre, sono rilevate altre 13 incongruenze riconducibili alla
prescrizione terapeutica indicata con il termine “al bisogno” con cui viene
affidata all’infermiere la discrezionalità su “se” e “quando” somministrare
il farmaco.
In Italia vi sono diverse esperienze di sistema automatizzato che coinvolga
sia la prescrizione sia la distribuzione, anche se non ancora in regime.
Si riportano i dati preliminari di tali studi.
. La sperimentazione del sistema Homerus presso l’ospedale di NizzaMonferrato, in provincia di Asti, che ha prodotto una riduzione dell’errore
dal 4,4% del 1998 allo 0,12% del 2001, accompagnata da una diminuzione
della spesa per i farmaci del 12% e del tempo che gli infermieri devono
dedicare ai farmaci di 20 ore la settimana. Il progetto DRIVE (DRug In
Virtual Enterprise) proposto dalla Fondazione Centro San Raffaele del
Monte Tabor di Milano (del febbraio 2003). Anche in questo caso si tratta
dell’implementazione di un’infrastruttura tecnologico-organizzativa in
41
grado di ridurre la possibilità di errore in ciascuno dei passi della
prescrizione, della preparazione e della somministrazione della terapia
farmacologica. Il ricorso a tali supporti tecnologici ha prodotto ottimi
risultati: riduzione del 53% degli errori relativi alla fase di preparazione
delle terapie sublinguali, riduzione del 71% degli errori per la preparazione
di terapie endovenose/intramuscolari, riduzione del 21% degli errori in fase
di somministrazione delle terapie accompagnati da una riduzione del 30%
dei costi legati alla gestione ed al mantenimento a scorta dei farmaci.
. Il progetto pilota dell’Azienda ospedaliera di Verona sulla gestione
informatizzata della terapia (Progetto pilota Ospedale dell’azienda
ospedaliera di Verona, febbraio 2005). L’implementazione di tale sistema
prevede: informazioni “on line” su interazioni, controindicazioni, linee
guida aziendali, note CUF; feed-back ai medici entro le 24 ore sulle
prescrizioni individuate sulla base di parametri selezionati, nonché analisi
farmaco-epidemiologiche e farmaco-economiche sulle prescrizioni.
. L’adozione in via sperimentale dal 1° giugno 2003, da parte del Servizio
Farmaceutico dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, del sistema Pyxis
(sistema di tracciabilità per l’erogazione di farmaci e dispositivi). I dati
preliminari hanno dimostrato che tale sistema consente di ottimizzare il
controllo e la gestione dei farmaci ospedalieri in termini di riduzione degli
errori e contenimento dei conti. Nell’ambito delle attività dell’ufficio M. C.
Q. (Miglioramento Continuo Qualità) della Azienda ospedaliera Niguarda
Cà grande di Milano, sono state effettuate revisioni di cartelle cliniche con
l’obiettivo di sviluppare metodologie di analisi e revisioni e di individuare
arre di rischio. Sono state analizzate 641 cartelle estratte con metodo
random relative ai dimessi dell’anno 2000, escludendo i ricoveri con durata
< 3 giorni.
Data la criticità oggettiva rilevata, sono state valutate 241 cartelle da un
secondo gruppo di revisori. Sono stati riscontrati 90 eventi avversi gravi a
42
farmaci, 2 reazioni trasfusionali, 3 errori terapeutici gravi. I limiti di questo
approccio sono molteplici: le risorse da impegnare, le competenze, il
riscontro di soli errori di prescrizione (omissione, commissione o
monitoraggio), la mancata evidenza di errori di trascrizione, preparazione e
somministrazione (errato farmaco, errata via di somministrazione, errato
dosaggio, duplicazione, errato paziente, ecc..). E’ stato, quindi introdotto,
nell’Azienda ospedaliera, dalla fine del 2001, il foglio unico di terapia
(certificazione ISO 9001 della documentazione clinica) in quanto previene
almeno errori noti e prevenibili quali errori di trascrizione e di
duplicazione. Inoltre, tale foglio, con cui si identificano il medico
prescrittore e colui che somministra, rimane parte integrante della cartella
clinica ed è già predisposto per l’informatizzazione.
Infine, si segnala uno dei pochi studi volti all’individuazione e prevenzione
dell’errore nelle terapie oncologiche realizzato nella farmacia clinica
dell’Ospedale Sant’Eugenio della ASL RMC.
Sono state analizzate 3780 prescrizioni e 4400 allestimenti di
chemioterapici antiblastici nell’ultimo trimestre 2001 con i seguenti
risultati: diluente errato nella prescrizione (30%); dosaggi di chemioterapici
antiblastici troppo elevati (10%); mancanza dei protocolli terapeutici nella
prescrizione (40%);errata archiviazione delle prescrizioni da parte degli
operatori dell’Unità Farmaci Antiblastici (UFA) (10%); errata compilazione
della etichetta da parte degli operatori dell’UFA (10%).
Introducendo una nuova modulistica prescrittiva con richiesta dei relativi
protocolli terapeutici e specifiche istruzioni operative per gli addetti
dell’UFA e attivando una rete informativa tra medico prescrittore e
farmacista, si è osservata, durante il primo trimestre 2002, una riduzione
degli errori. In particolare è stata registrata una diminuzione del 28% degli
errori di compilazione delle prescrizioni.
43
Anche la regione Emilia Romagna ha attuato nuove disposizioni per la
corretta gestione clinica del farmaco come è possibile verificare dall’ultima
revisione del 2006 (vedi allegato n°3).
44
CAPITOLO 4
ORGANIZZAZIONE DEL DIPARTIMENTO DI
SALUTE MENTALE CON RELATIVI FARMACI
45
Negli ultimi decenni sono avvenuti cambiamenti radicali nel campo
dell'assistenza psichiatrica. I pazienti affetti da disturbi psichiatrici, si
assistono ora nella comunità sociale in cui vivono (cioè sul territorio), che
un tempo sarebbero state ricoverate in ospedale psichiatrico. Questo nuovo
orientamento impone nuove modalità di organizzazione, pianificazione e
gestione dei servizi di salute mentale. A tale proposito la legge n. 180/1978
viene concepita per dimostrare che alla sofferenza psichiatrica si può
rispondere senza ricorrere all'internamento, quindi al manicomio che
doveva e poteva essere superato, perchè dannoso per la salute mentale dei
ricoverati. La legge ha così cancellato il pregiudizio di pericolosità sociale
associata a malattia mentale, determinando una nuova situazione giuridica
del malato basata sugli interessi e sui diritti dei cittadini. Inoltre questa
legge ha determinato un cambiamento delle strutture sanitarie che
presentano cosi un dipartimento dedicato alla salute mentale.
Infatti a tale proposito nasce il Dipartimento di salute mentale (DSM) cioè
l'insieme delle strutture e dei servizi che hanno il compito di farsi carico
della domanda legata alla cura, all'assistenza e alla tutela della salute
mentale nell'ambito del territorio definito dall'Azienda Sanitaria Locale
(ASL).
Il DSM è dotato dei seguenti servizi:

servizi per l'assistenza diurna: i Centri di Salute Mentale (CSM)

servizi semiresidenziali: i Centri Diurni (CD)

servizi residenziali: strutture residenziali (SR) distinte in residenze
terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative

servizi ospedalieri: i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC)
e i Day Hospital (DH).
L'offerta assistenziale è completata dalle Cliniche universitarie e dalle case
di cure private.
46
Inoltre, esiste il centro per il trattamento delle Dipendenze Patologiche o
Servizio per le Tossicodipendenze (Ser.T).
4.1 Centro di Salute Mentale (CSM)
E' la sede organizzativa dell'èquipe degli operatori e la sede del
coordinamento degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e
reinserimento sociale, nel territorio di competenza, tramite anche
l'integrazione funzionale con le attività dei distretti.
In particolare il CSM svolge:

attività di accoglienza, analisi della domanda e attività diagnostica;

definizione e attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi e
socio-riabilitativi
personalizzati,
con
le
modalità
proprie
dell'approccio integrato, tramite interventi ambulatoriali, domiciliari,
di “rete”, ed eventualmente anche residenziali, nella strategia della
continuità terapeutica;

attività di raccordo con i medici di medicina generale, per fornire
consulenza psichiatrica e per condurre, in collaborazione, progetti
terapeutici ed attività formativa;

consulenza specialistica ai servizi “di confine”
(alcolismo,
tossicodipendenze ecc.), alle strutture residenziali per anziani e per
disabili;

attività di filtro ai ricoveri e di controllo della degenza nelle case di
cura neuropsichiatriche private, al fine di assicurare la continuità
terapeutica;

valutazione ai fini del miglioramento continuo di qualità delle
pratiche e delle procedure adottate.
47
Esso è attivo, per interventi ambulatoriali e/o domiciliari, almeno 12 ore al
giorno, per 6 giorni alla settimana.
4.2 Centro Diurno (CD)
E' una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative,
collocata nel contesto territoriale. E' aperto almeno otto ore al giorno per
sei giorni a settimana. E' dotato di una propria équipe, eventualmente
integrata da operatori di cooperative sociali e organizzazioni di
volontariato. Dispone di locali idonei adeguatamente attrezzati. Nell'ambito
di progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati, consente di sperimentare
e apprendere abilità nella cura di sé, nelle attività della vita quotidiana e
nelle relazioni interpersonali individuali e di gruppo, anche ai fini
dell'inserimento lavorativo.
Il Centro diurno può essere gestito dal DSM o dal privato sociale e
imprenditoriale. In tal caso, fatti salvi i requisiti previsti dal DPR 14
gennaio 1997 e dal Progetto Obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000, i
rapporti con il DSM sono regolati da apposite convenzioni, che
garantiscano la continuità della presa in carico.
4.3 Strutture Residenziali (SR)
Si definisce struttura residenziale una struttura extra-ospedaliera in cui si
svolge una parte del programma terapeutico-riabilitativo e socioriabilitativo per utenti di esclusiva competenza psichiatrica, come
chiaramente indicato nel precedente Progetto obiettivo, con lo scopo di
offrire una rete di rapporti e di opportunità emancipative, all'interno di
48
specifiche attività riabilitative. La struttura residenziale, pertanto, non va
intesa come soluzione abitativa.
Le strutture residenziali dovranno soddisfare i requisiti minimi strutturali e
organizzativi, indicati dal DPR 14 gennaio 1997. Saranno, quindi,
differenziate in base all'intensità di assistenza sanitaria (24 ore, 12 ore,
fasce orarie) e non avranno più di 20 posti. Al fine di prevenire ogni forma
di isolamento delle persone che vi sono ospitate e di favorire lo scambio
sociale, le SR vanno collocate in località urbanizzate e facilmente
accessibili. Opportuno, anche, prevedere la presenza di adeguati spazi verdi
esterni. Le SR possono essere realizzate e gestite dal DSM o dal privato
sociale e imprenditoriale. In tal caso, fatti salvi i requisiti e gli standard
previsti dal DPR 14 gennaio 1997 e dal presente Progetto Obiettivo, i
rapporti con il DSM sono regolati da appositi accordi ove siano definiti i
tetti di attività e le modalità di controllo degli ingressi e delle dimissioni.
L'accesso e la dimissione dei pazienti avvengono in conformità ad un
programma personalizzato concordato, e periodicamente verificato, fra
operatori del DSM, operatori della struttura residenziale, pazienti ed
eventuali persone di riferimento.
4.4 Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC)
E' un servizio ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici
volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero; esso, inoltre, esplica
attività di consulenza agli altri servizi ospedalieri.
E' ubicato nel contesto di Aziende ospedaliere o di presidi ospedalieri di
Aziende U.S.L. o di Policlinici Universitari.
49
E' parte integrante del Dipartimento di Salute Mentale, anche quando
l'ospedale in cui è ubicato non sia amministrato dall'Azienda sanitaria di
cui il DSM fa parte. In tal caso, i rapporti tra le due Aziende sanitarie sono
regolati da convenzioni obbligatorie, secondo le indicazioni della Regione.
I rapporti con l'Azienda universitaria sono regolati in conformità ai
protocolli d'intesa di cui all'art. 6, comma 1 del D. L.vo 502/92 tra Regioni,
Province Autonome e Università. Il numero complessivo dei posti letto è
individuato tendenzialmente nella misura di uno ogni 10.000 abitanti.
Ciascun SPDC contiene un numero non superiore a 16 posti letto ed è
dotato di adeguati spazi per le attività comuni.
4.5 Day Hospital (DH)
Costituisce un' area di assistenza semiresidenziale per prestazioni
diagnostiche e terapeutico riabilitative a breve e medio termine. Può essere
collocato all' interno dell'ospedale, con un collegamento funzionale e
gestionale con il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Può essere,
inoltre, collocato presso strutture esterne all'ospedale, collegate con il
CSM, dotate di adeguati spazi, delle attrezzature e del personale necessario.
E' aperto almeno otto ore al giorno per 6 giorni alla settimana.
Ha la funzione di:
 permettere l' effettuazione coordinata di accertamenti diagnostici
vari e complessi
 effettuare trattamenti farmacologici
 ridurre il ricorso al ricovero vero e proprio o limitarne la durata.
50
L' utente vi accede in base a programmi concordati tra gli operatori del
DSM.
4.6 SERVIZIO TOSSICODIPENDENZE (Ser.T)
L’U.O. Dipendenze Patologiche è quella struttura che ha come scopo
garantire la prevenzione, il trattamento e la cura dei disturbi causati
dall’uso di sostanze legali (alcol e tabacco) ed illegali, e di alcuni
comportamenti compulsivi non causati da l’uso di sostanze psicoattive
(gioco d’azzardo patologico, dipendenze da videogiochi, ecc.).
La missione dell’U.O. Dipendenze Patologiche è quella di:
 tutelare la salute dei soggetti con disturbo legato all’utilizzo di
sostanze psicoattive, con particolare attenzione alla prevenzione
delle malattie infettive, al miglioramento della qualità della vita e
all’integrazione sociale.
 Operare in un’ottica di ottimizzazione dell’uso delle risorse e di
efficacia dell’intervento, all’interno di un sistema di “rete”
integrato, tra azienda USL e territorio curando il mantenimento di
rapporti di effettiva collaborazione e partnership.
 Garantire, nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed equità,
la gestione globale del caso clinico attraverso la definizione e
l’applicazione di linee guida, il coordinamento e l’integrazione tra
le diverse fasi assistenziali e i diversi professionisti, curando in
particolare l’integrazione degli interventi sociali con quelli sanitari.
 Deve seguire l’evoluzione della situazione del soggetto nelle fasi di
osservazione e diagnosi, cura e inserimento sociale, definendo
programmi terapeutici efficaci e personalizzati, in relazione alla
situazione e alle esigenze del soggetto;
51
 Assicurare l’aggiornamento e la formazione continua degli
operatori ; assicurare lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione
delle attività/servizi per adeguarle alle nuove sfide relative alle
dipendenze, caratterizzate da una continua evoluzione dei profili di
consumo di sostanze psicoattive e del contesto sociale;
 sostenere lo sviluppo della comunicazione con i cittadini per
favorire una cultura sulle problematiche connesse con le
dipendenze e promuovere stili di vita liberi dal consumo di
sostanze.
4.7 I FARMACI PIU' UTILIZZATI NEL DIPARTIMENTO DI
SALUTE MENTALE
Dopo aver visto come sono strutturati i centri di salute mentale, ci
soffermiamo sulla gestione dei farmaci e dei rischi che possono insorgere
nei reparti dove sono presenti i farmaci psichiatrici.
I farmaci che vengono utilizzati nei reparti di salute mentale
per il
trattamento dei disturbi psichici si dividono in: antipsicotici, antidepressivi,
stabilizzatori del tono dell'umore, anticolinergici, ansiolitici-ipnotici.
4.7.1 GLI ANTIPSICOTICI
Gli antipsicotici vengono definiti neurolettici. Si distinguono in
antipsicotici da più lungo tempo in commercio, detti anche tradizionali e
antipsicotici più recenti, detti nuovi o atipici.
Vengono utilizzati sia negli stati psicotici acuti sia nelle fasi di
proseguimento e di mantenimento.
52
Una precauzione comune a tutti i farmaci antipsicotici è quella di iniziare il
trattamento con piccoli aumenti di dose giornalieri nella prima settimana,
per la possibilità di effetti collaterali precoci legati alla sensibilità
individuale, effetti che sono imprevedibili se nel passato la persona non li
ha assunti (Racagni, 2001) .
Gli antipsicotici hanno le seguenti azioni terapeutiche:

Un effetto sedativo iniziale, con la riduzione dell’eccitamento e
dell’ipervigilanza;

Un successivo effetto antipsicotico che riduce deliri e allucinazioni.
Va sottolineato che gli effetti sedativi compaiono rapidamente, ma
che i sintomi psicotici migliorano solo dopo alcuni giorni e la
remissione, se la si ottiene, avviene in un arco di tempo che può
arrivare a 6 settimane .
Come per altre categorie di farmaci la scelta dell’antipsicotico dipende da:

Natura e caratteristiche del disturbo;

Profilo degli effetti collaterali dei vari farmaci;

Risposte e adesione agli antipsicotici già assunti in passato.
In psichiatria gli antipsicotici sono usati per i seguenti disturbi:

Schizofrenia (fasi acute e prevenzione delle recidive) e altri disturbi
psicotici;

Disturbi schizoaffettivi;

Mania;

Depressione maggiore con manifestazioni psicotiche;

Sindromi organiche cerebrali con manifestazioni psicotiche;

Sindrome di Tourette (un disturbo caratterizzato da tic e spasmi
muscolari multipli - sia motori sia vocali - e qualche volta
caratterizzato da turpiloquio forzato).
Per quanto riguarda la posologia, va notato che non è opportuno
somministrare nessun antipsicotico a dosaggio superiore a quelli del range
53
terapeutico consigliato, perché di solito non si aumentano i benefici ma
solo gli effetti collaterali.
Lo stato mentale dei pazienti in trattamento con antipsicotici deve essere
rivalutato periodicamente, all’inizio almeno ogni 1-2 settimane.
Se i sintomi psicotici persistono dopo un periodo adeguato di prova a dose
piena (almeno 3 settimane), si prendono in considerazione le seguenti
alternative: riduzione della dose del farmaco, perché in qualche caso la
tossicità del farmaco contribuisce ai sintomi; passaggio ad un altro
antipsicotico, sempre per almeno 3 settimane.
Nei casi resistenti, si può anche ricorrere al dosaggio plasmatico
dell’antipsicotico. Una concentrazione bassa può suggerire un difetto di
assorbimento o di metabolismo, una concentrazione più alta può, come
detto, peggiorare i sintomi. Sembra che la nicotina, il caffè e alcune droghe,
come la marijuana, possono interferire con il metabolismo dei neurolettici,
per cui potrebbe essere utile rideterminare i livelli plasmatici dopo averne
eliminato l’uso.
In linea generale tutti gli antipsicotici sono ugualmente efficaci nel
trattamento dei sintomi positivi della schizofrenia, mentre quelli
tradizionali tendono ad avere un’efficacia minore sui sintomi negativi.
Ogni antipsicotico ha effetti collaterali diversi, che possono essere più o
meno disturbanti per i singoli pazienti.
Gli antipsicotici tradizionali possono essere suddivisi in due gruppi:

Farmaci a bassa potenza

Farmaci ad alta potenza
I farmaci a bassa potenza sono in genere più sedativi e danno meno effetti
collaterali tipo anticolinergico e meno di tipo extrapiramidale. Quindi a chi
tende ad avere effetti collaterali extrapiramidali è meglio prescrivere
antipsicotici a bassa potenza, mentre per chi continua a guidare autoveicoli
e o macchinari è preferibile dare farmaci ad alta potenza che hanno effetti
54
sedativi minori. Gli effetti anticolinergici degli antipsicotici a bassa potenza
ne limitano l’utilizzo nelle persone anziane.
Negli episodi psicotici acuti la posologia viene aggiustata in funzione della
risposta del singolo paziente e può variare notevolmente da soggetto a
soggetto. Come già detto, si inizia solitamente con una dose bassa che
viene aumentata con grande attenzione fino a che si raggiunge un equilibrio
soddisfacente tra efficacia terapeutica ed effetti collaterali. In caso di
agitazione e aggressività si possono aggiungere benzodiazepine, soprattutto
durante un ricovero. Per la tranquilizzazione rapida si può ricorrere a un
antipsicotico (e talora anche a una benzodiazepina) per via parenterale,
secondo le linee guida che il servizio dovrebbe avere elaborato e approvato.
In ogni caso occorre il consenso del paziente o un trattamento sanitario
obbligatorio.
Gli effetti collaterali sono numerosi e purtroppo molto frequenti. Possono
compromettere notevolmente il benessere del paziente e sono una delle
cause di mancata adesione al trattamento. E’ quindi importante saperli
riconoscere e trattare. Gli effetti collaterali più comuni sono:

Sedazione;

Effetti anticolinergici (secchezza fauci, stitichezza, vista offuscata,
ritenzione urinaria);

Ipotensione ortostatica (che porta a giramenti di testa e anche a
svenimenti quando ci si alza);

Effetti endocrini (aumento dell’appetito e del peso, diminuizione
della libido, impotenza, amenorrea, galattorrea);

Effetti extrapiramidali (distonia, acatisia, discinesia, rigidità);

Discinesia tardiva;

Distonia tardiva.
Sono invece meno frequenti:

Agranulocitosi;
55

Reazioni cutanee (eruzioni cutanee, fotosensibilizzazione che può
portare a scottature, pigmentazione);

Danni oculari (pigmentazione retinica, opacizzazione della cornea e
del cristallino, glaucoma);

Confusione mentale, delirium;

Crisi epilettiche;

Sindrome neurolettica maligna.
4.7.2 ANTIPSICOTICI NUOVI O ATIPICI
I farmaci più noti di questo gruppo sono la clozapina, il risperidone,
l’olanzapina e
recentemente si è aggiunta la quetiapina (Seroquel).
Rispetto agli antipsicotici tradizionali, tendono a dare meno effetti
collaterali di tipo extrapiramidale e avrebbero una maggiore efficacia sui
sintomi negativi, cioè apatia e asocialità. Per la riduzione degli effetti
collaterali, porterebbero anche a una migliore adesione al trattamento
rispetto agli antipsicotici tradizionali, ma va detto che gran parte delle
maggiori adesioni è stata osservata quando i pazienti dei gruppi di controllo
erano trattati con antipsicotici tradizionali a dosaggi superiori a quelli
comunemente impiegati. L’ azione biochimica sarebbe caratterizzata da
maggiore affinità (azione antagonista) per i recettori D2 della dopamina
delle zone limbiche e minore per quelli delle aree nigro-striatali e da
maggiore affinità per i recettori serotoninergici 5-HT 2 e talvolta per i
recettori adrenergici alfa 1.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, danno sicuramente meno
effetti di tipo extrapiramidale rispetto agli antipsicotici tradizionali, ma
tendono tutti a provocare aumento di peso, aumento dell’incidenza del
diabete di tipo adulto (con conseguente verosimile aumento della mortalità
56
a causa dei problemi cardiaci collegati al sovrappeso e al diabete),
alterazioni elettrocardiografiche (prolungamento tratto Q-T), con aumento
di rischi cardiaci, e aumento dei livelli di prolattina nel sangue con
disfunzioni sessuali (amenorrea nella donna, diminuzione della libido
nell’uomo).
4.7.3 ANTIDEPRESSIVI
Gli antidepressivi funzionano normalizzando le quantità delle sostanze
chimiche che agiscono comunemente nel cervello (i neurotrasmettitori),
soprattutto serotonina, noradrenalina ed in parte dopamina. Gli scienziati
che studiano la depressione hanno scoperto che queste sostanze chimiche
sono coinvolte nella regolazione dell’umore, ma il meccanismo del loro
funzionamento non è ancora conosciuto con certezza.
Il tipo più recente e più popolare di farmaci antidepressivi è rappresentato
dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), in grado
di aumentare i livelli di questo neurotrasmettitore. Tra gli SSRI troviamo:

fluoxetina (Prozac),

citalopram (Elopram, Seropram),

sertralina (Zoloft).
Gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina
(SNRI) sono simili agli SSRI, i principali sono:

venlafaxina (Efexor),

duloxetina (Cymbalta).
Gli SSRI e gli SNRI sono più popolari rispetto alle altre categorie di
antidepressivi, ad esempio ai triciclici (chiamati così per via della loro
struttura chimica) e agli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO), perché
di norma causano minori effetti collaterali. Tutti questi farmaci hanno
57
effetti diversi su pazienti differenti: non esiste un approccio unico alla
terapia che possa andar bene per tutti, quindi in alcuni casi i triciclici o gli
IMAO potrebbero essere la scelta migliore. I pazienti in terapia con IMAO
devono attenersi a particolari restrizioni per quanto concerne la dieta e i
medicinali, per evitare interazioni potenzialmente gravi; devono evitare
tutti quegli alimenti che contengono grandi quantità di tiramina, una
sostanza chimica che si trova in molti formaggi, vini e sottaceti, e alcuni
farmaci tra cui i decongestionanti. Gli IMAO interagiscono con la tiramina
provocando un aumento improvviso della pressione sanguigna che può
causare un attacco apoplettico. Il medico dovrebbe fornire ai pazienti in
terapia con farmaci IMAO un elenco completo degli alimenti, dei farmaci e
delle sostanze proibite.
Per tutte le categorie di antidepressivi i pazienti devono assumere le dosi
prescritte per almeno tre, quattro settimane prima di sperimentare un
qualche effetto terapeutico. Dovrebbero continuare ad assumere il farmaco
per il periodo specificato dal medico, anche se si sentono meglio, per
prevenire le ricadute depressive e la terapia dovrebbe essere interrotta solo
sotto stretto controllo medico. Alcuni antidepressivi devono essere
interrotti gradualmente per lasciare all’organismo il tempo di adattarsi. In
genere queste classi di farmaci non causano dipendenza né assuefazione,
ma se si interrompe bruscamente la terapia possono presentarsi sintomi da
sospensione oppure ricadute. Per alcuni pazienti, ad esempio quelli affetti
da depressione cronica o ricorrente, potrebbe essere necessario continuare
la terapia a tempo indeterminato. Spesso insieme all’antidepressivo
vengono prescritti stimolanti, ansiolitici o altri farmaci, soprattutto se il
paziente è anche affetto da disturbi fisici o mentali; è da sottolineare
tuttavia che se assunti singolarmente né gli ansiolitici né gli stimolanti sono
efficaci contro la depressione ed entrambi dovrebbero essere assunti solo
sotto controllo medico.
58
I pazienti di tutte le età in terapia con farmaci antidepressivi dovrebbero
essere attentamente monitorati, soprattutto durante le prime settimane di
terapia. Tra i possibili effetti collaterali da controllare troviamo:

il peggioramento della depressione,

aumento dell’ideazione suicidaria o il tentato suicidio,

tutte le modifiche del comportamento non altrimenti spiegabili, come
l’insonnia, l’agitazione o la rinuncia alle normali attività sociali.
In alcuni pazienti gli antidepressivi possono causare effetti collaterali di
lieve entità e quasi sempre temporanei, cioè che di solito non durano a
lungo. Tuttavia eventuali reazioni insolite ed effetti collaterali che
interferiscono con il normale funzionamento del farmaco dovrebbero essere
riferiti immediatamente al medico.
Tra gli effetti collaterali più comuni associati agli SSRI e agli SNRI
troviamo:

Mal di testa: di solito è passeggero e sparisce in breve tempo.

Nausea: di solito è passeggera e dura poco.

Insonnia e nervosismo (difficoltà ad addormentarsi o risvegli
frequenti durante la notte): si possono verificare durante le prime
settimane di terapia ma spesso scompaiono con l’andare del tempo o
con la riduzione del dosaggio.

Agitazione (sensazione di nervosismo).

Problemi sessuali: sia gli uomini che le donne possono soffrire di
problemi
sessuali,
tra
cui
riduzione
dell’impulso
sessuale,
disfunzioni erettili, ritardo dell’eiaculazione o anorgasmia.
Anche gli antidepressivi triciclici possono causare effetti collaterali tra cui:

Secchezza delle fauci: può essere utile bere molta acqua, masticare
chewing-gum e lavarsi spesso i denti.
59

Costipazione: può essere utile mangiare più fibra, prugne, frutta e
verdura.

Problemi alla vescica: svuotare la vescica potrebbe essere difficile e
il flusso di urina potrebbe non essere forte come al solito. Gli uomini
anziani che soffrono di ingrossamento della prostata: potrebbero
avvertire questo problema più degli altri pazienti. Se la minzione è
dolorosa è necessario informare il medico.

Problemi sessuali: la risposta sessuale può cambiare e gli effetti
collaterali sono simili a quelli degli SSRI.

Visione offuscata: di norma è un problema transitorio e non richiede
la prescrizione di nuove lenti correttive.

Sonnolenza: si verifica durante il giorno; di solito scompare in fretta
ma si dovrebbe evitare di guidare o fare uso di macchinari pericolosi
se ci si sente stanchi senza motivo apparente. Gli antidepressivi con
maggiori effetti sedativi vengono generalmente assunti prima di
andare a dormire, in questo modo la qualità del sonno migliora e la
sonnolenza durante il giorno è minimizzata.
4.7.4 STABILIZZATORI DEL TONO DELL'UMORE
Gli stabilizzatori dell'umore sono farmaci attivi nel trattamento
dell'episodio maniacale e nella prevenzione delle recidive, inoltre hanno la
proprietà di agire sul tono dell’umore, sia operandone una stabilità nel
tempo, sia attuando un miglioramento della condizione patologica di
partenza (depressione, ansia, agitazione). Essi comprendono il litio che
rimane il farmaco di prima scelta.
Meccanismi d’azione degli stabilizzatori dell’umore: gli stabilizzatori di
membrana, categoria ascrivibile ai farmaci antiepilettici, fra i quali l’acido
60
valproico e la carbamazepina sono le molecole più importanti, inibiscono
scariche ripetitive prolungate indotte dalla depolarizzazione delle
membrane neuronali. Il gabapentin, antiepilettico e antinevralgico, agisce
aumentando la biodisponibilità del GABA. Il litio agisce sui canali del
sodio a livello di membrana, ma il suo preciso meccanismo d’azione non è
noto; esercita forse un’azione sulle ammine cerebrali e nei meccanismi
intracellulari di proteine con funzioni di messaggero; inibisce gli enzimi
proteinchinasi cerebrali. Sia l’acido valproico che il litio interagiscono nel
nucleo dei neuroni con i fattori che regolano l’espressione genica. Studi
effettuati, dopo il successo clinico dell’acido valproico e della
carbamazepina, su altri farmaci anticonvulsivanti (lamotrigina, topiramato)
riguardano il GABA come neurotrasmettitore chiave di tipo inibitorio a
livello centrale.
Terapia dei disturbi del tono dell’umore. Il disturbo bipolare è la
patologia più grave che necessita della terapia con gli stabilizzatori
dell’umore, associati ad altri farmaci. Il litio è il presidio di prima scelta, in
alternativa viene impiegata la carbamazepina. I disturbi maniacali
richiedono trattamento con questa classe di farmaci, solitamente acido
valproico o carbamazepina. La depressione maggiore e le psicosi possono
richiedere rispettivamente l’associazione di un antidepressivo o di un
neurolettico con un farmaco stabilizzatore, che non costituisce mai,
comunque, il cardine della terapia: il controllo di picchi alternanti del tono
dell’umore è indipendente dal controllo dell’ideazione. In particolare, l’uso
del litio nella depressione maggiore di tipo melanconico è sempre
complementare alla terapia con antidepressivi triciclici o SSRI. Una
benzodiazepina, il clonazepam, viene usata per il controllo immediato
dell’eccitazione maniacale.
61
Effetti collaterali Litio: Nel paziente in trattamento con questo farmaco, è
prescritto il monitoraggio regolare dei livelli plasmatici, allo scopo di
prevenire l'insorgenza di effetti tossici. Anche alle dosi terapeutiche, il litio
induce abbastanza frequentemente effetti indesiderati (di cui i più comuni
sono l'aumento della diuresi e della sete, il tremore e l'aumento di peso).
Quando la litiemia aumenta troppo, si possono avere effetti tossici, anche
crisi convulsive, insufficienza renale acuta, coma e morte. Ma gli effetti
tossici compaiono solo se so sono ignorati i primi segni di tossicità che è
quindi necessario riconoscere e insegnare a riconoscere.
I primi segni di tossicità sono:

nausea e vomito

diarrea

instabilità dell'equilibrio

lieve confusione e perdita di memoria.
Se questi sintomi sono presenti per più di 24 ore, vanno affrontati come
effetti tossici del litio. Se questi sintomi non vengono presi in
considerazione, la condizione peggiora fino alle crisi convulsive e al coma.
I più comuni effetti indesiderati degli altri stabilizzatori dell' umore sono
per il valproato disturbi gastrointestinali e tremore; il litio e la
carbamazepina astenia, nausea, vertigini, mal di testa; per la lamotrigina
vertigini, disturbi del sonno ed eruzioni cutanee; per il gabapentin
sonnolenza, vertigini ed astenia; per il topiramato vertigini, tremore e
disturbi dell'eloquio.
4.7.5 ANTICOLINERGICI (ANTIPARKINSONIANI )
Questi farmaci vengono usati per attenuare alcuni effetti collaterali
extrapiramidali degli antipsicotici. Rispondono in particolare la distonia
acuta e il parkinsonismo, mentre la risposta è meno soddisfacente per i
62
tremori, scarsa per l'acatisia e la discinesia tardiva può addirittura essere
aggravata. Si è discusso a lungo se si possono prescrivere sempre questi
farmaci a tutti coloro che assumono antipsicotici. Si è ormai d'accordo che
la strategia migliore consiste nel farvi ricorso solo dopo che siano comparsi
i sintomi extrapiramidali, perchè:

gli effetti collaterali di tipo extrapiramidale non sono costanti;

vi è il rischio di peggiorare un quadro di discinesia tardiva;

anche questi farmaci danno effetti collaterali;

ci sono persone che tendono ad abusarne;

la gravità della sintomatologia extrapiramidale presenta fluttuazioni.
Si possono somministrare a scopo profilattico a persone giovani di sesso
maschile che assumono dosi elevate di antipsicotici ad alta potenza e quindi
hanno un rischio elevato di avere effetti collaterali extrapiramidali.
La posologia va adattata individualmente, per raggiungere la dose minima
efficace. La dose complessiva può essere assunta una volta al giorno o
essere suddivisa in più somministrazioni, con la modalità che porta al più
grande sollievo dei sintomi. Si assumono per via orale, ma la benzotropina
può essere somministrata per via intramuscolare se si vuole un effetto
rapido (ad esempio in caso di distonia acuta). Va detto che a questo scopo
si usa preferibilmente una benzodiazepina per via endovenosa, in
particolare il diazepam. Questi farmaci di solito vanno sospesi dopo un
certo periodo di tempo (che varia a seconda del farmaco scelto ) per
accertare se ve ne sia bisogno. Se i sintomi ricompaiono, si può riprendere
il trattamento.
Gli effetti collaterali più frequenti sono :

bocca secca;

midriasi;

difficoltà nella minzione;

stitichezza e gastralgia;
63

nausea;

sdoppiamento delle immagini.
Effetti collaterali meno frequenti sono: tachicardia, vertigini, allucinazioni,
euforia ed eccitamento, delirium, febbre.
Gli effetti collaterali di questi farmaci sono dose-dipendeti, per cui possono
essere mitigati da una riduzione della posologia.
4.7.6 BENZODIAZEPINE
Classe di psicofarmaci ad azione spiccatamente ansiolitica e ipnotica
(inducente il sonno). Sono sicuramente una della classi di farmaci più usati
al mondo. Tra le più usate ricordiamo: diazepam, lorazepam, alprazolam.
In base al loro dosaggio possono essere utilizzate sia in forme lievi di ansia
e di insonnia, che in forme di gravi psicosi. Le benzodiazepine agiscono sul
sistema del GABA, un neurotrasmettitore inibitorio, che ha cioè il compito
di inibire la trasmissione tra i neuroni. Stimolando il GABA si ottiene un
effetto calmante e rilassante. Ricerche più recenti hanno scoperto che questi
farmaci agiscono anche su altri sistemi di trasmissione cerebrale,
modulando l’azione di altri neurotrasmettitori quali la serotonina, la
noradrenalina, l’acetilcolina e la dopamina. Le benzodiazepine sono
farmaci sintomatici: agiscono cioè sul sintomo ansia ma non sulla malattia.
Cessato il loro effetto, la patologia ansiosa ritorna.Vengono somministrati
solitamente per via orale si differenziano tra di loro per la rapidità e durata
d’azione (emivita), e su queste basi il medico sceglie l’ansiolitico più
adatto al singolo caso. La distinzione tra ansiolitiche e ipnotiche
corrisponde solo a una scelta di mercato: qualunque molecola può avere
l’uno o l’altro effetto, è solo una questione di dosaggio. In linea teorica le
benzodiazepine a emivita breve sono preferibili per indurre il sonno, quelli
a emivita lunga per alleviare l’ansia. Possono essere usati anche come
64
farmaci anticonvulsivanti e come coadiuvanti nelle anestesie generali.In
generale sono farmaci ben tollerati, ma possono determinare la perdita di
concentrazione, l’allungamento dei tempi di reazione, la tendenza ad
addormentarsi (che deve sempre essere considerata quando ci si deve
mettere alla guida) e le difficoltà di deambulazione. Inoltre c’è un alto
rischio che si instaurino i fenomeni di tolleranza e dipendenza: chi si abitua
a prendere una benzodiazepina quotidianamente è costretto ad aumentare
man mano la dose per ottenere lo stesso effetto, correndo il rischio di
incorrere
in
un’intossicazione
acuta,
caratterizzata
da
irritabilità,
aggressività, difficoltà di coordinazione, deficit di attenzione e memoria,
compromissione della capacità di interazione con gli altri.
Gli effetti collaterali più frequenti sono: la sonnolenza (che talvolta è un
effetto desiderato), la stanchezza, la diminuizione dell' attenzione e della
prontezza di riflessi e i disturbi di memoria.
Effetti collaterali meno frequenti sono:

senso di malessere generale con mal di testa il mattino successivo
all'assunzione;

vertigini;

atassia;

depressione delle funzioni respiratorie (che è dose-dipendente, ma
può verificarsi a dose abituali in chi è affetto da enfisema grave);

comportamenti disinibiti, soprattutto nei bambini, negli anziani e in
chi soffre di una patologia mentale organica o che assume altri
farmaci.
4.7.7 METADONE
Il metadone è un composto chimico dotato di proprietà analgesiche e
narcotiche, quasi altrettanto intense quanto quelle della morfina. Viene
somministrato come cloridrato, per bocca in soluzione, e utilizzato per la
65
terapia di dissuefazione dall’eroina, dalla cocaina e dalla morfina nei
tossicodipendenti. Può essere distribuito (in dosi cosiddette a scalare) solo
presso i servizi di recupero per tossicodipendenti (SerT). L’assunzione
gratuita e periodica di metadone induce alcuni tossicodipendenti a
procrastinare la cessazione definitiva dell’assunzione di oppioidi.
La somministrazione orale determina un aumento della durata dell'effetto
analgesico; viene rapidamente assorbito e si hanno concentrazioni
significative, nel plasma, già entro tre - quattro ore dall'assunzione.
L'attività plasmatica del metadone è di circa 25-30 ore; le necessarie
concentrazioni
cerebrali
sono
raggiunte
dopo
1-2
ore
dalla
somministrazione.
Gli effetti collaterali correlati all' assunzione del metadone sono: sedazione,
cambiamento d'umore (euforia-quiete), miosi (restringimento delle pupille),
cambiamenti nell'abilità sensoria e funzionale (ovvero effetti sulle capacità
decisionali, disturbi della percezione).
Il metadone può anche avere un effetto avverso sulla velocità di reazione di
un individuo.
In tempi brevi può causare depressione respiratoria centrale dosedipendente, nausea, vomito, emicrania e stato confusionale.
In tempi più lunghi può produrre disturbi del sonno e della concentrazione.
Esiste anche il rischio dello sviluppo di tolleranza, di dipendenza fisicapsicologica e di sindrome d'astinenza "pesante".
Come per tutti i farmaci, esistono dosi tossiche e dosi mortali. La morte si
verifica per arresto respiratorio. La morte da metadone si verifica dopo le
prime ore dall'assunzione di una dose letale, o dopo i primi giorni
dall'aumento eccessivo della dose, perché nei primi giorni (solitamente 3-4)
il farmaco sale di livello anche mantenendo uguale la dose, poi si
stabilizza.
66
4.7.8 BUPRENORFINA
La Buprenorfina, oppiaceo di semisintesi, è stata inizialmente utilizzata in
Gran Bretagna, alla fine degli anni Settanta, come analgesico. E' un
agonista parziale dei recettori μ e un antagonista dei recettori k degli
oppiacei. Induce analgesia e altri effetti sul sistema nervoso centrale
qualitativamente molto simili a quelli della morfina. Viene utilizzata come
terapia sostitutiva nella dipendenza da oppiacei, all'interno di un
trattamento medico, sociale e psicologico. E' in grado di contrastare la
sindrome di astinenza da eroina. Avendo maggiore affinità di legame ai
recettori μ rispetto all'eroina, la buprenorfina impedisce a quest'ultima di
produrre gli effetti farmacologici ricercati dal tossicodipendente e a causa
dell'occupazione recettoriale da parte della buprenorfina l'assunzione di
oppiacei non potrà evocare le sensazioni ricercate nella sostanza. Inoltre,
per il suo legame reversibile in modo lento con il recettore μ, che
minimizza la necessità della droga per i pazienti tossicodipendenti, è adatta
per la terapia di mantenimento. Altre caratteristiche degne di nota sono la
lunga emivita che ne permette l'assunzione a giorni alterni, la bassa
potenzialità di abuso, la possibilità di essere utilizzata per programmi di
disintossicazione a breve e medio termine. E' commercializzata in Italia con
il nome Subutex e Temgesic, e nelle formulazioni transdermiche con il
nome Transtec. Altre strategie terapeutiche prevedono l'impiego della
buprenorfina in associazione al naloxone (nome commerciale Subuxone),
un farmaco dotato di attività intrinseca nulla al recettore per gli oppioidi, al
fine di diminuire la potenziale diversione verso l'uso endovenoso della
sostanza.
La maggior parte degli effetti indesiderati riportati più frequentemente per
la buprenorfina sono quelli tipici degli agonisti oppiacei (es. stitichezza,
mal di testa, senso di affaticamento, insonnia e sonnolenza, nausea,
67
inappetenza). Generalmente la sintomatologia iniziale è maggiormente
letargica con sedazione, sonnolenza, cefalea, nausea e vomito, astenia,
ansia. Così come accade per altri oppioidi, legali o illeciti, la buprenorfina
può essere oggetto di uso improprio o abuso. Alcuni dei rischi di uso
improprio e abuso includono: sovradosagggio, depressione respiratoria e
danni epatici. L'uso improprio di buprenorfina da parte di qualcuno che non
ne sia il paziente predestinato pone il rischio aggiuntivo di nuovi soggetti
con dipendenza da droghe che usano la buprenorfina come droga d'abuso
principale (ciò potrebbe verificarsi se il medicinale viene distribuito per uso
illecito direttamente dal paziente per cui è stato prescritto). La dipendenza
o astinenza da buprenorfina si manifesta con una sintomatologia dolorosa
molto più intensa e persistente rispetto a quella dell'astinenza da eroina.
68
5° CAPITOLO
PROTOCOLLO DI RICERCA:
CONOSCERE LA PERCEZIONE DEL RISCHIO
CLINICO E LE MODALITA’ TECNICO
ORGANIZZATIVE DI ALCUNI SERVIZI DEL
DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE PER LA
GESTIONE SICURA DEL FARMACO.
69
5.1 INTRODUZIONE
L’ Azienda sanitaria di Rimini è articolata in due Distretti sanitari con due
Dipartimenti di Cure Primarie, il Dipartimento di Salute Mentale e Il
Dipartimento di Sanità Pubblica.
Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è una struttura aziendale
complessa che garantisce alla popolazione del territorio della Provincia di
Rimini la tutela della salute mentale tramite processi/servizi territoriali ed
ospedalieri.
Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) dispone dei seguenti centri di
erogazione:
 Centro di Salute Mentale di Rimini
 Centro di Salute Mentale di Riccione
 Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Ospedale di Rimini)
 Modulo organizzativo “Emergenza-Urgenza” (Residenza trattamento
intensivo “Sole”)
 Day Hospital “ Il Giardino”
 Centro Diurno “I Girasoli”
 Modulo organizzativo Riabilitazione Psichiatrica
 Modulo organizzativo “Servizio Integrato Disagio Psicosociale
Disabilità Mentale”
 Neuropsichiatria Infantile e dell’Età e Evolutiva (Distretto di Rimini
– Riccione)
 Modulo
organizzativo
Reparto
(Ospedale di Rimini)
 Dipendenze Patologiche (Ser.T)
I servizi coinvolti nella ricerca sono:
70
di
Neuropsichiatria
Infantile
 SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura);
 Ser.T ( Servizo Territoriale Tossicodipendenze);
Lo scopo della ricerca è quello di - indagare il grado di consapevolezza e
percezione del rischio clinico in ambito farmacologico degli infermieri e
conoscere gli interventi messi in campo dell’ Azienda in studio per
garantire la sicurezza della persona assistita.
5.2 OBIETTIVI DELLA RICERCA
 Conoscere quali sono le modalità tecniche/organizzative che l’
Azienda Sanitaria di Rimini ha messo in campo per ridurre i rischi
legati alla gestione del farmaco;
 Conoscere la percezione del rischio in ambito farmacologico da parte
degli infermieri dei Servizi coinvolti.
Popolazione in studio
Infermieri del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) e Servizio
Territoriale per le Tossicodipendenze (Ser.T).
Il questionario è stato somministrato a 35 infermieri tra i due Servizi sopra
citati.
Periodo di studio
Febbraio-marzo 2013
71
5.3 MATERIALI E METODI
Lo studio si colloca nell’ambito della ricerca descrittiva attraverso
un’indagine che prevede l’utilizzo di un questionario per l’analisi delle
variabili in studio sopra indicate. Il questionario è stato distribuito nei
servizi del Dipartimento di Salute Mentale di Rimini.
5.4 LO STRUMENTO
Il questionario (vedi allegato n° 2) comprende 8 quesiti a risposta chiusa
con i quali si intende far emergere aspetti che permettono di valutare se e
come viene percepito il rischio di errore durante la gestione dei farmaci
nelle fasi caratterizzanti il processo di gestione degli stessi, in particolare
nella prescrizione, preparazione e somministrazione.
QUESTIONARIO
Unità
operativa
di
appartenenza:
_________________________________________
Da
quanti
anni
lavori
in
ambito
psichiatrico?
________________________________
Quali sono i casi (di errore) che si possono verificare nella vostra U.O ? (si
possono barrare fino a 3 opzioni):
somministrazione di un farmaco diverso da quello prescritto;
mancata sospensione di una terapia;
mancanza di informazioni essenziali( nome del paziente, del farmaco);
72
la prescrizione di un farmaco sbagliato;
la prescrizione di un dosaggio inappropriato;
prescrizione non leggibile;
la prescrizione di farmaci che interagiscono tra loro;
non conoscenza degli effetti collaterali;
errato paziente;
prescrizione di una terapia non adatta alle particolari caratteristiche del
paziente;
via di somministrazione errata;
altro:
____________________________________________________________
________
Nella struttura sanitaria di appartenenza è presente un servizio o progetto
dedicato alla gestione del rischio :
NO
SI
Nella sua U.O sono stati diffuse raccomandazioni scritte per la gestione
sicura dei farmaci?
NO
SI
Per ridurre incidenti, errori di terapia farmacologica, nella sua U.O sono
state adottate misure di prevenzione degli eventi avversi nelle varie fasi
della gestione/manipolazione del farmaco?
NO
SI
73
Se si quali?

Utilizzo
del
sistema
computerizzato
di
registrazione
della
somministrazione;

Fornitura del farmaco in dose unitaria personalizzata;

Prescrizione in stampatello;

Adozione della scheda integrata di terapia;

Doppio controllo, con un altro collega verifica la procedura e la dose
del farmaco da somministrare;

Utilizzo di un sistema computerizzato per le prescrizioni;

Altro
_______________________________________________________
___
Nella sua U.O è presente un sistema di segnalazioni di eventuali eventi
avversi o quasi eventi?
NO
SI
Se la vostra risposta è si utilizzate tale strumento?
NO
SI
Nella vostra unità operative vengono realizzate attività formative in tema di
gestione sicura dei farmaci?
NO
74
SI
Secondo lei gli errori, gli incidenti legati alla gestione dei farmaci si
verificano?
NO
SI
Se si con quale frequenza:

mai

raramente

qualche volta

spesso

ogni giorno
75
5.5 RISULTATI
- Partecipazione allo studio: tra il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura
(SPDC) ed il Servizio Tossicodipendenze (Ser.T) l’adesione all’indagine è
stata del 74%.
La tabella seguente riporta una breve sintesi dei risultati emersi.
VARIABILI STUDIATE
SI
NO
PRESENZA DI UN SERVIZIO AZIENDALE
PER LA GESTIONE DEL RISCHIO
88%
12%
PRESENZA DI RACCOMANDAZIONI
SCRITTE PER LA GESTIONE SICURA DEI
FARMACI
85%
15%
PRESENZA DI MISURE DI PREVENZIONE
DEGLI EVENTI AVVERSI
77%
23%
PRESENZA DI UN SISTEMA SI
SEGNALAZIONE DI EVENTI AVVERSI O
QUASI EVENTI
64%
36%
UTILIZZO DEL SISTEMA DI
SEGNALAZIONE DI EVENTI AVVERSI O
QUASI EVENTI
83%
17%
PRESENZA DI ATTIVITA’ FORMATIVE IN
TEMA DI GESTIONE SICURA DEI
FAMRACI
46%
54%
PRESENZA DI ERRORI LEGATI ALLA
GESTIONE DEI FARMACI
96%
4%
Per una più agevole analisi si presentano graficamente le singole risposte.
76
Presenza un servizio o progetto dedicato alla gestione del rischio
Presenza di raccomandazioni scritte per la gestione sicura dei farmaci:
Presenza di misure di prevenzione degli eventi avversi:
77
Presenza di un sistema di segnalazione di eventi avversi o quasi eventi:
78
Utilizzo del sistema di segnalazione di eventi avversi o quasi eventi:
Presenza di attività formativa in tema di gestione sicura dei farmaci:
Presenza di errori legati alla gestione dei farmaci:
79
Eventi indesiderati più frequenti che si possono verificare nella
gestione sicura del farmaco
 Somministrazione di un farmaco diverso da quello prescritto
 Mancata sospensione di una terapia
 Mancanza di informazioni essenziali (nome del paziente, del farmaco)
 Prescrizione di un dosaggio inappropriato
 Prescrizione non leggibile
 Non conoscenza degli effetti collaterali
 Errato paziente
 Prescrizione di una terapia non adatta alle particolari caratteristiche del
paziente
80
Misure di prevenzione dell’errore nelle diverse fasi di gestione del
farmaco
 Utilizzo del sistema computerizzato di registrazione della somministrazione
 Fornitura del farmaco in dose unitaria personalizzata
 Prescrizione in stampatello
 Adozione della scheda integrata di terapia
 Doppio controllo, con un altro collega verifica la procedura e la dose del
farmaco da somministrare
 Utilizzo si un sistema computerizzato per le prescrizioni
RISULTATI
Sulla base degli obiettivi definiti nel protocollo di ricerca possiamo fare le
seguenti valutazioni:
1. Conoscere quali sono le modalità tecniche/organizzative che l’
Azienda Sanitaria di Rimini ha messo in campo per ridurre i rischi
legati alla gestione del farmaco.
I risultati dell’indagine evidenziano che nell’Azienda Sanitaria in studio è
presente un Servizio/progetto dedicato alla Gestione del Rischio Clinico
fornendo agli operatori i mezzi per esprimere i disagi o gli eventi avversi o
quasi eventi che si possono manifestare nel processo assistenziale (dal
ricovero alla dimissione e/o a livello ambulatoriale). In particolare, hanno
introdotto un sistema di incident reporting che permette in modo anonimo
di segnalare eventi, quasi eventi, errori che possono verificarsi nella pratica
clinica, hanno distribuito nelle varie Strutture Operative protocolli per la
sicura gestione del farmaco con successiva attuazione da parte degli
81
operatori coinvolti, con l’obiettivo di ridurre il presentarsi di nuovi eventi
avversi ( near miss). La non completa conoscenza di tali modalità
organizzative induce però a pensare che vi sia necessità di una maggiore
condivisione dei percorsi organizzativi di gestione del rischio nella realtà
sanitaria.
2. Conoscere la percezione del rischio in ambito farmacologico da parte
degli infermieri dei Servizi coinvolti.
I risultati dell’indagine hanno evidenziato che gli infermieri coinvolti
sembrano avere una buona consapevolezza e percezione dei rischi a cui
vanno incontro nelle varie fasi che caratterizzano il processo di gestione dei
farmaci. Sembra inoltre non esservi molta discrepanza tra gli operatori
della stessa Struttura Operativa presa in esame nel dichiarare la frequenza
con cui gli “ eventi avversi” o “quasi eventi” nella gestione dei farmaci.
In particolare, gli infermieri di entrambe le Strutture coinvolte hanno
confermato che gli errori si verificano anche se non sempre causano
conseguenze gravi.
82
CONCLUSIONI
Attraverso la realizzazione della ricerca presentata in questa tesi ho potuto
approfondire le mie conoscenze relative alla gestione del farmaco, ai
pericoli che tali attività nascondono ma anche alle ampie possibilità di
prevenzione degli errori che possono essere messi in atto,
a livello
aziendale, a livello di Unità Operativa e/o a livello ambulatoriale. Il
questionario è stato utile per comprendere che la percezione degli errori
nella gestione dei farmaci è presente nel bagaglio culturale e professionale
di molti infermieri dei Reparti presi in studio. Tuttavia, dalle risposte al
questionario è emerso che è necessario sostenere ed arricchire le
conoscenze in merito ed aumentare maggiormente la consapevolezza che
grazie alla formazione, informazione e condivisione sugli eventi avversi o
quasi eventi si possono ridurre ulteriormente il verificarsi del medesimo
errore grazie all’identificazione delle cause alla radice del problema.
83
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