ALMA MATER STUDIORUM _______ __UNIVERSITÀDI BOLOGNA_________ FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Infermieristica GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO IN AMBITO FARMACOLOGICO CORRELATO ALLA GESTIONE DEI FARMACI PSICHIATRICI Tesi di Laurea in Gestione del Rischio in Ambito Sanitario Presentata da: Relatore: Marco Paolangelo Prof. Rimondini Roberto Sessione II ______________________________________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2011-2012 4 INTRODUZIONE Una delle componenti principali del governo clinico-assistenziale nelle strutture sanitarie è rappresentata dalla gestione dei rischi. Con “rischio clinico” si definisce la possibilità che un paziente subisca un “danno o disagio involontario, imputabile, alle cure sanitarie, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte”. Quando si affronta il tema del rischio clinico è necessario soffermarsi a definire l’errore e i possibili danni che ne possono derivare per il paziente. In letteratura è possibile ritrovare molte definizioni di “errore” e di “evento avverso”. L’errore può essere definito un fallimento di una sequenza pianificata di azioni mentali ed attività nel raggiungere l’obiettivo desiderato che non può essere attribuito al caso ( Reason,2000). Tutte condividono alcune caratteristiche sostanziali: l’errore è un’insufficienza del sistema che condiziona il fallimento delle azioni programmate; l’errore è una “azione non sicura” o una “omissione” con potenziali conseguenze negative sull’esito del processo di cura; l’errore è un comportamento che può essere giudicato inadeguato da “pari” di riconosciuta esperienza e competenza, al momento in cui il fatto si verifica, indipendentemente se ci siano state o no conseguenze negative per il paziente. L’errore può causare un evento avverso, cioè un evento indesiderabile che comporta un danno al paziente non dovuto alle sue condizioni cliniche, ma correlato al processo assistenziale. L’evento avverso è, quindi, per sua natura, indesiderabile, non intenzionale, dannoso per il paziente; l’evento avverso derivato da errore è definito “prevenibile”. Ai fini dell’identificazione delle misure di prevenzione da attuare, grande importanza riveste non solo l’analisi degli eventi avversi, ma anche quella 5 dei quasi eventi o near miss (situazione o evento che ha causato preoccupazione. Incidente evitato grazie ad un intervento tempestivo di correzione da parte dell’uomo) (Nashef; 2003). Sono state proposte diverse classificazioni dell’errore in sanità con l’intento di definire e condividere un lessico che consenta di individuare, in modo preciso e inequivocabile, il tipo di insufficienza che si è manifestata nel sistema. Seguendo tale linea, il Ministero della salute, con il supporto tecnico del gruppo di lavoro sulla sicurezza dei pazienti, ha elaborato il glossario per la sicurezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico. Una delle distinzioni più importanti è quella tra errore (o insufficienza) attivo ed errore (o insufficienza) latente. L’errore attivo è per lo più ben identificabile, prossimo, in senso spazio-temporale, al verificarsi dell’evento avverso; spesso è riconducibile ad un’azione sbagliata commessa da un operatore o ad un incidente, ad esempio il malfunzionamento di una strumentazione. Gli errori latenti sono invece, per lo più, insufficienze organizzative-gestionali del sistema, che hanno creato le condizioni favorevoli al verificarsi di un errore attivo. La somministrazione di un farmaco sbagliato è un errore attivo commesso da un operatore, facilmente identificabile come comportamento sbagliato che causa un danno, ma è necessario ripercorrere tutte le fasi del processo di lavoro, per individuare le circostanze che, direttamente o indirettamente, lo -hanno reso possibile. Ad esempio, nel caso di un errore di somministrazione farmacologica, potrebbero essere identificati, come insufficienze latenti nel sistema: un sistema di prescrizione-trascrizione manuale della terapia, un sistema di conservazione dei farmaci che rende possibile lo scambio di fiale, un insufficiente addestramento del personale. Alcuni errori sono stati già riconosciuti come riconducibili alle caratteristiche delle confezioni dei farmaci, ad esempio attribuzione di 6 nomi facilmente confondibili, dosaggi e vie di somministrazione equivocabili. In attesa di soluzioni preventive generali, è necessario che ciascuna organizzazione adotti misure di tutela. Solo attraverso opportune analisi è possibile identificare le cause di errore, attive e latenti e ridisegnare i processi al fine di ridurre la probabilità che lo stesso errore si ripeta. Se può essere relativamente semplice individuare l’errore attivo, può essere invece piuttosto complesso individuare tutte le insufficienze latenti presenti nel sistema: un errore nel sistema è molto probabile che induca una successione di altri errori, “secondari” e consequenziali al primo. L’effetto degli errori secondari può essere così evidente e rilevante da eclissare la gravità e la possibilità di identificare e rilevare l’errore “primitivo”. Quindi possiamo affermare che esistono molteplici errori, alcuni già noti (cadute accidentali, infezioni ospedaliere, eventi avversi da farmaci) altri meno, ma, che necessitano comunque, di interventi orientati al controllo e alla prevenzione. La sicurezza del paziente è il grado con cui vengono evitati i potenziali rischi e minimizzati gli eventuali danni nel processo di erogazione dell’assistenza sanitaria. Questa, rappresenta un vecchio problema – discusso e analizzato sotto varie sfaccettature – che ancora oggi richiama l'attenzione nel tentativo di trovare una soluzione efficace. Infatti, il contesto sanitario attuale è caratterizzato da un sistema organizzativo, relazionale e tecnologico in continua evoluzione ed estremamente complesso, da cui possono derivare situazioni di rischio per gli operatori sanitari e per gli utenti. 7 La loro gestione è uno degli impegni essenziali di un'azienda che voglia garantire qualità dell'assistenza e dell'organizzazione, la quale viene valutata in base alla capacità dell'azienda stessa di prevedere, misurare e controllare il rischio. Negli ultimi anni, la sicurezza dei pazienti è salita ai primi posti nelle priorità dei servizi sanitari di molti paesi. Di solito, la sicurezza diventa una tematica rilevante solo dopo un disastro ampiamente pubblicizzato, in ambito sanitario, in realtà non ci sono stati simili "big bang" ma solo una miriade di rapporti di alto livello ed un considerevole numero di studi epidemiologici sui danni iatrogeni. Negli anni novanta il calcolo dell'incidenza di eventi avversi nei pazienti variava tra il 3,7% (TA Brennan, LL et. Al.,1991) e il 16% (Wilson, et Al.,1995). Studi più recenti condotti in Inghilterra, Nuova Zelanda, Danimarca, Australia e Canada concordano che circa un paziente su dieci in ospedali per acuti (reparti di degenza), subisca un danno, talvolta fatale, a causa di errori clinici e problemi organizzativi ( Reason, 2004). Le statistiche ci dicono che non più del 20% degli incidenti che si verificano nelle strutture sanitarie sono dovuti a responsabilità strettamente personali, il resto è di natura sistemica, di organizzazione, di processo o di risorse. Le ragioni non dipendono tanto dalla mancanza di conoscenza ma dal fatto che non si applica compiutamente ciò che già si conosce. Ne consegue che un'efficace gestione del rischio richiede una politica di ridisegno dell'organizzazione basata sulla ricerca, il confronto, la 8 semplificazione dei processi, la formazione, l'identificazione di modalità efficaci di comunicazioni con gli utenti ecc. Gestire il rischio in sanità è possibile. La strategia passa dalla presa di coscienza del problema, all'analisi condivisa dello stesso da parte dei professionisti direttamente coinvolti in un determinato processo. Ciò consente di affinare la capacità di percepire i rischi, ricercare in modo integrato le possibili soluzioni, prefissare standard di qualità, implementare ricerche di pratiche infermieristiche basate sull'evidenza scientifica. Tutto questo ci permette non solo di gestire ma anche di controllare il rischio in modo da anticipare l'errore. Ruolo fondamentale nel perseguire tale obiettivo è quello dell'infermiere che offre il proprio contributo integrandosi con le altre professioni sanitarie in un’ottica di percorsi assistenziali orientati al paziente. Non solo, ne può divenire il principale promotore, considerati gli attuali elementi legislativi, contrattuali e deontologici (D. M. 739/94, L. 42/99, L. 251/00, il nuovo codice deontologico in vigore dal 2009) che ne rafforzano il ruolo in termini di autonomia e responsabilità. L'infermiere, oggi è chiamato a rispondere delle proprie azioni, in qualità di professionista che svolge un'attività orientata al risultato in termini di assistenza appropriata, di buona qualità ed ancor prima sicura. Per la professione infermieristica, assumere il rischio come oggetto d'indagine vuol dire chiedersi come evitarlo, attraverso quali misure ed interventi, indipendentemente dalla complessità e dalle condizioni che lo originano. Queste tematiche hanno suscitato in me un forte interesse ed un'attenzione particolare in quanto ritengo che un professionista sanitario debba prefiggersi l'obiettivo della qualità assistenziale. 9 A tal fine, l'infermiere deve partecipare attivamente e in prima persona alla progettazione e alla realizzazione di una modalità assistenziale che sia in grado di rinnovarsi, di superare le eventuali disfunzioni, di valorizzare le competenze e le professionalità garantendo, pertanto, risposte adeguate e in linea con le più recenti innovazioni, ai bisogni che il cittadino presenta. In questa tesi si cercherà di approfondire il problema della Gestione del rischio in ambito farmacologico. Infatti, l'evento avverso da farmaco ha provocato, solo negli Stati Uniti, oltre 140000 morti l'anno e rappresenta la voce spesa maggiore (Porter et al., 1987, 1997). Infatti, se prima si prestava molta più attenzione all'errore del chirurgo o dell'anestesista, negli ultimi anni il problema dell'errore nella gestione del farmaco ha ricevuto una considerevole attenzione sia in ambito politico che sanitario. I dati italiani in merito alla problematica legata al rischio clinico scarseggiano sia perchè probabilmente non esiste ancora una reale consapevolezza del problema, sia perchè vi è un forte timore per la perseguibilità penale, della responsabilità individuale. Ma anche in Italia si commettono errori, secondo un'indagine conoscitiva sugli errori di somministrazione, che ha visto coinvolte le U. O. di medicina generale (maschile e femminile) e di geriatria dell'ospedale di Chioggia (F.Venturini, et al., 2006). I dati riportati in questa indagine evidenziano che, sono stati compiuti, 86 errori su 557 prescrizioni pari al 15%. Gli errori più frequenti in ambito farmacologico sono dovuti da: incongruenza tra quanto prescritto in cartella clinica e quanto riportato in scheda di terapia, l'imprecisa individuazione della via di somministrazione e la mancata identificazione del paziente. A tale proposito, il presente elaborato si sviluppa in due parti, la prima inerente agli elementi di contesto generale in cui è inserito il problema 10 della sicurezza in ambito sanitario, partendo da un primo capitolo che illustra il Governo clinico, inteso come contesto che tende al miglioramento continuo della Qualità attraverso l'adozione di strumenti e metodologie specifici. Nei capitoli successivi si evidenzia l’evoluzione della gestione del rischio in sanità, e come viene coinvolta la professione infermieristica. Nella seconda parte verrà trattata la gestione del rischio in ambito farmacologico in tutte le sue sfaccettature quindi valutando gli errori commessi dagli infermieri nei vari reparti di degenza. In particolare sarà messa in evidenza la possibilità di errori nel dipartimento di salute mentale, poiché la complessità assistenziale e i farmaci erogati possono aumentare il rischio di commettere errori durante l'erogazione/manipolazione dei farmaci. La possibilità di incorrere in errori sarà valutata tramite la somministrazione di un questionario agli infermieri del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) e del servizio per le tossicodipendenze (ser.T) dell’ospedale Infermi di Rimini. Tale questionario ci permetterà di valutare la percezione degli infermieri circa la possibilità di evento avverso o quasi evento durante le varie fasi della somministrazione dei farmaci. 11 1°CAPITOLO: GOVERNO CLINICO 12 Per governo clinico si intende un approccio integrato per l'ammodernamento del SSN, che pone al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini e valorizza il ruolo e la responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità. Per assicurare la qualità e la sicurezza delle prestazioni, i migliori risultati possibili in salute e l'uso efficiente delle risorse, sono impiegate metodologie e strumenti quali le linee guida ed i profili di assistenza basate su prove di efficacia, la gestione del rischio clinico, sistemi informativi costruiti a partire dalla cartella clinica integrata informatizzata, la valorizzazione del personale e la relativa formazione, l'integrazione disciplinare e multiprofessionale, la valutazione sistemica delle performance per introdurre innovazione appropriate ed con il coinvolgimento di tutti i soggetti, compresi i volontari e la comunità. In questa ottica, il ministero della Salute Livia Turco, in una audizione della Camera dei deputati del 23 gennaio 2007, parla di Governo clinico come di "un' importante elemento che può contribuire ad integrare una serie di elementi e questioni ormai giunte a maturazione: l'esigenza di assicurare omogeneità, per qualità e quantità, nonché per requisiti minimi di sicurezza e garanzie di efficacia, alle prestazioni erogatesi su tutto il territorio nazionale; la necessità di passare speditamente a percorsi diagnosticoterapeutico-assistenziale costruiti sulla appropriatezza e sulla centralità del paziente; il dovere di procedere con rapidità all'innalzamento dei livelli di sicurezza delle prestazioni attraverso l'introduzione di tecnologie di prevenzione del rischio malpractice; l'urgenza di cominciare a costruire il secondo pilastro della sanità pubblica, quello della medicina del territorio, a partire dalla 13 riorganizzazione e promozione delle cure primarie e delle cure primarie e della integrazione socio-sanitaria, con particolare riferimento alla presa in carico e alla comunità della assistenza nell'arco delle 24 ore e sette giorni su sette; l'opportunità di aprire il sistema, nella sua interezza, alla cultura della valutazione, puntando con decisione sulla utilizzazione di indicatori di esito e valutazione in termini di obiettivi di salute conseguiti, più che vera sommatoria di prestazioni erogate; l'esigenza di aumentare la trasparenza del sistema, a cominciare dalla rivalutazione del merito professionale e dalla ridefinizione delle norme sul reclutamento della dirigenza e sulla progressione delle carriere. Si tratta di una condizione imprescindibile per assicurare alla sanità pubblica le condizioni le migliori competenze, rilasciare le politiche del personale, incidere sul rapporto perverso tra sanità e cattiva politica, ridare fiducia ai cittadini; l'urgenza di dare effettività alla tanto declamata centralità del paziente, nella consapevolezza che il sistema è chiamato ad un impegno che va al di là della corretta informazione nei suoi confronti. 1.1 COME NASCE IL GOVERNO CLINICO: Il concetto di Governo Clinico è stato introdotto in Inghilterra alla fine degli anni '90 (Dipartimento della Qualità, Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, dei Livelli Essenziali di Assistenza e dei Principi Etici di Sistema, Ufficio 3) ma esso costituisce lo sviluppo di idee e di riflessioni sul tema della qualità sul quale da anni molti studiosi e 14 diverse organizzazioni stanno lavorando. Il primo punto di questo percorso è segnato dal documento dell’ OMS "the principles of quality assurance" del 1983 (WHO meeting, 1983) che divide la qualità in quattro aspetti principali: qualità tecnica dei professionisti uso delle risorse-efficienza gestione del rischio soddisfazione dei pazienti Da questo punto di vista, ogni programma per la qualità deve assicurare che ogni paziente riceva la prestazione che produca il miglior esito possibile in base alle conoscenze disponibili, con il minor consumo di risorse, che comportino il minor rischio di danni conseguenti al trattamento e con la massima soddisfazione per il paziente. Da ciò deriva la definizione delle caratteristiche di un sistema sanitario ideale a cui tendere: sicurezza efficacia centralità tempestività efficienza equità Pertanto, il miglioramento della qualità non può essere raggiunto solo concentrando gli sforzi in un' unica direzione o focalizzandosi su un unico aspetto. Essa richiede un approccio di sistema in un modello di sviluppo complessivo che comprende pazienti, i professionisti e l'organizzazione. Secondo Donabedian, il modello di qualità si fonda su aspetti strutturali quali le risorse umane e tecnologiche, aspetti di processo e di esito. 15 Maxwell ha introdotto un modello di qualità fondato sulla accessibilità, capacità di risposta ai bisogni della popolazione, efficacia, equità, accettazione sociale (livello di soddisfazione degli utenti) e efficienza (Howie JG, et al., 1997). A questi aspetti, successivamente è stata aggiunta dalla Commettee on Quality of Health Care degli USA (L. T. Kohn et al., 2000) la dimensione della sicurezza dei pazienti. Dall'ulteriore sviluppo di questo percorso evolutivo sulla qualità, è nato nel 1997 Inghilterra il concetto di governo clinico, nell'ambito, di un processo di modernizzazione dei servizi, caratterizzato soprattutto dall'impegno di innalzamento degli standard di qualità delle prestazioni offerte. La logica sottostante a tale nuovo concetto è stata quella della programmazione, gestione e valutazione del "sistema" in forma mirata agli scopi, nel caso specifico l'erogazione di prestazioni cliniche per la tutela della salute della popolazione. Il governo clinico viene definito nel documento "A First Class Service in the new NHS" ( Scally G., Donaldson, 1998) come "il sistema attraverso il quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili per il miglioramento continuo dei loro servizi e garantiscono elevati standards di performance assistenziale, assicurando le condizioni ottimali nelle quali viene favorita l'eccellenza clinica" (Scally G, Donaldson, 1998). Secondo D. B. Freedman (Clinical Governance: bridging managementand clinical approaches to qualità in the UK; D. B. Freedman;) il governo clinico può essere considerato un cambiamento generale della cultura del sistema che fornisce i mezzi per lo sviluppo delle capacità organizzative necessarie a erogare un servizio di assistenza sostenibile, responsabile, centrato sui pazienti e di qualità. 16 1.2 DETERMINANTI DEL GOVERNO CLINICO : La politica di attuazione del governo clinico richiede un approccio di "sistema" e va realizzata tramite l'integrazione dei seguenti determinanti che, soltanto ai fini descrittivi vengono considerati separatamente, mentre essi sono tra di loro interconnessi e complementari e richiedono un approccio integrato: formazione continua gestione del rischio clinico audit clinici medicina basata sull'evidenza: EBM, EBHC linee guida cliniche e percorsi assistenziali gestione dei reclami e dei contenziosi comunicazione e gestione della comunicazione ricerca e sviluppo esiti collaborazione multidisciplinare coinvolgimento dei pazienti valutazione La realizzazione delle attività di Governo clinico e di tutte le sue estensioni, trova la migliore collocazione in un contesto organizzativo di tipo 17 dipartimentale. Il dipartimento, infatti, favorendo il coordinamento dell'atto medico teso a garantire l'intero percorso di cura e lo sviluppo di comportamenti clinico-assistenziali basati sull'evidenza, costituisce l'ambito privilegiato per assicurare la misurazione degli esiti, la gestione del rischio clinico, l'adozione di linee guida e protocolli diagnosticoterapeutici, la formazione continua, il coinvolgimento del paziente e l'informazione corretta e trasparente (Commissione del rischio clinico-DM 5 marzo, 2003). 18 2°CAPITOLO: GESTIONE DEL RISCHIO 19 La gestione del rischio clinico comprende un insieme di iniziative volte a ridurre il verificarsi di danni o eventi avversi correlati con le prestazioni sanitarie. Il miglioramento della qualità deve necessariamente passare attraverso la riduzione degli errori e ciò si può ottenere con piani multidisciplinari che presuppongono un forte cambiamento culturale. La gestione del rischio clinico pertanto richiede un approccio di sistema e la riduzione degli errori presuppone imparare da essi e porre in essere misure protettive e preventive all’ interno dell’organizzazione. I fattori individuali hanno un peso importante nella pratica clinica, ma spesso altre componenti, insite nell’organizzazione, determinano il verificarsi dell’errore. Questo, infatti, rappresenta l’ultimo e più visibile anello di una catena che abbraccia aspetti organizzativi e di contesto, quali difficoltà nel lavoro di squadra, scarsa o inesistente comunicazione, eccessivo carico di lavoro, vetustà delle attrezzature tecnologiche. Per questo è di particolare importanza identificare e segnalare ogni errore verificatosi, sia causa di eventi avversi, che di near misses e attivare un sistema di segnalazione che vede coinvolti sistemi locali, regionali, e nazionali. Infatti, solo un approccio integrato Ministero, Regioni e Aziende sanitarie può portare ad un’efficace prevenzione degli errori in Sanità. Alcune misure di sistema importanti per la riduzione degli errori in sanità comprendono: La supervisione e appropriato training del personale Il tempestivo scambio di informazioni e le procedure chiare di comunicazione all’interno delle strutture Le linee guida o check-list sui corretti trattamenti o procedure Le misure e raccomandazioni che consentono di evitare errori Le procedure standardizzate per ridurre variazioni nella pratica clinica L’utilizzo di attrezzature più sicure 20 L’informazione accurata dei pazienti e degli operatori sanitari. L’analisi e valutazione dei reclami e contenziosi La consapevolezza della non infallibilità dell’operatore sanitario L’analisi dell’ errore L’audit clinico Implementazione delle misure di prevenzione dell’errore. 2.1 Gestione del rischio clinico: di cosa stiamo parlando? Ogni attività umana porta con sé una dose di rischio. L’attività di una struttura sanitaria, sia essa un ospedale, un ambulatorio o un servizio di assistenza domiciliare, comporta un numero di rischi particolarmente elevato. La sanità è, d’altra parte, come lo sono ad esempio l’aeronautica o il funzionamento delle centrali nucleari, un ambito in cui la sicurezza è un aspetto determinante. Parlare di Gestione del rischio, e di rischio clinico in particolare, comporta la necessità di definire una terminologia comune e condivisa, poiché spesso nell’uso comune dei termini si creano ambiguità. Una delle difficoltà nell’implementazione di attività nuove e, come in questo caso, mutuate da altri settori e da altri paesi, consiste nell’utilizzare una terminologia adeguata e soprattutto non fuorviante. In particolare, il concetto di rischio è difficilmente espresso in modo univoco, soprattutto nel linguaggio comune. Esiste una concezione soggettiva del rischio, che è data dalla percezione di una determinata situazione come potenzialmente apportatrice di un danno e ha quindi notevoli implicazioni psicologiche. Esiste poi una concezione oggettiva, matematica, del rischio. Entrambe le visioni sono rilevanti nell’ambito della “gestione del rischio”. Il rischio come percezione soggettiva è da tempo oggetto di studio in 21 ambito psicologico e sociologico e di interesse per la medicina, soprattutto preventiva, come elemento determinante nell’induzione di comportamenti più o meno sicuri. Ciò che emerge chiaramente è che anche in casi dove il rischio è quantificato sulla base di dati statistici, la percezione differisce da individuo a individuo. Un esempio immediato è rappresentato dalle catastrofi aeree e dagli incidenti automobilistici, dove statistiche largamente diffuse non prevengono il manifestarsi di attitudini e comportamenti addirittura opposti in persone diverse. Il ruolo della percezione soggettiva del rischio, proprio perché legato all’incertezza delle conseguenze del proprio agire, è ovviamente molto più importante in assenza di stime affidabili dei rischi esistenti (F. Novaco, V. Damen, 2004). L’incertezza dei dati scientifici è stata, in effetti, identificata come uno dei fattori principali che influenzano la percezione del rischio. In realtà le discipline che si occupano del rischio hanno la necessità di poter utilizzare una visione oggettiva. Sono stati elaborati numerosi tentativi di formulare una definizione matematica univoca. La più semplice e comune espressione del rischio R associato ad un dato evento (es. un incidente) è la seguente: R=GxF Dove: R = rischio; G = gravità dell’esito dell’evento; F = frequenza di accadimento dell’evento. La relazione di cui sopra non è comunque accettata universalmente (F. Novaco, V. Damen, 2004). Secondo alcuni, per esempio, in casi in cui G è molto elevata (come in eventi catastrofici: terremoto, scoppio di centrali nucleari, ecc.), anche se rari, il livello rischio dovrebbe risultare comunque molto elevato. In ambito sanitario, e quindi nella gestione del rischio clinico, G si identifica con l’esito dell’evento in termini di salute del 22 paziente (lesione con necessità di medicazioni, lesione con esiti permanenti al momento della dimissione, decesso, ecc.). Un ulteriore elemento da chiarire, per giungere ad una corretta definizione del rischio, è la sua collocazione nell’ambito della catena di genesi del danno. Questo ha lo scopo di distinguere con chiarezza diverse “fasi” che spesso, nel linguaggio comune, risultano confuse dall’uso di termini generici. E’ possibile partire da alcune definizioni OHSAS (Occupational health and Safety Management Sistems-specification. OHSAS 18001:1999): Hazard: situazione o causa potenziale di danno. In italiano : “pericolo”. Incident: accadimento che ha dato o aveva la possibilità di dare origine a un danno. Non coincide, quindi, in modo preciso con il termine italiano incidente, che generalmente ha eccezione di evento dannoso; più opportuno risulta il termine “evento”. Accident: evento imprevisto e sfavorevole causativo di un danno. E’ traducibile con “incidente, infortunio, evento avverso”. Questi ultimi descrivono le tappe della catena in cui si genera un danno: l’hazard rappresenta un pericolo esistente, che diventa una potenziale fonte di danno nel momento in cui si sovrappone ad un’attività (ad es. l’attività routinaria di un reparto o di una struttura sanitaria). Talvolta, soprattutto in ambito sanitario, il legame tra attività e pericolo è talmente stretto da non poter essere facilmente scisso. Questa sovrapposizione determina la possibilità che il pericolo si concretizzi in un evento sfavorevole. Tale probabilità è il rischio (risk). Se si concretizza dà origine all’incident o evento a cui potrà seguire o meno un danno (accident). Ciò che lega l’evento al danno sono fattori spesso imprevedibili e talvolta fortuiti: la labilità di questo legame è dimostrata dall’elevatissimo numero di eventi 23 che si verificano, in sanità come in altri settori, senza portare ad alcun danno significativo. 2.2 Che cosa s’ intende per rischio clinico. Rischio occupazionale: riguarda gli operatori sanitari e non, nello svolgimento della loro attività lavorativa. Questi rischi sono generalmente classificati, come per altre categorie di lavoratori, in rischio fisico, chimico e biologico. Rischio “non clinico”: sono i problemi di sicurezza generale, ad esempio gli eventi catastrofici (incidenti, terremoti), i rischi finanziari e organizzativi generali oltre che quelli economici e di immagine legati ai danni per i pazienti. Rischio clinico: riguarda i pazienti, fa riferimento alla possibilità per gli stessi di essere danneggiati dal trattamento sanitario. Il rischio clinico comprende quindi elementi di rischio strutturale (strutture, apparecchiature ecc.), organizzativo (ritardi, mancanza di procedure ecc.) e elementi relativamente a quello che generalmente è chiamato errore medico. Si comprende quindi quanto questo campo sia ampio e rilevante ai fini della qualità dell’assistenza. 2.3 Risk management in ambito sanitario: “To err is human: building a safer haelth system”: “Errare è umano: costruire un sistema sanitario più sicuro”, questo è il titolo di uno studio pubblicato nel 1999 dall’Istitute of Medicine (agenzia non-profit di ricerca sanitaria statunitense) (L. T. Kohn, J. M. Corrigan, M. S. Donaldson, Editors, 2000). Nel rapporto viene posto l’accento sui danni che possono derivare dalle cure ospedaliere, dichiarando che almeno un milione di americani riportano danni dalle cure che vengono loro prestate nelle 24 strutture sanitarie e di questi almeno 100.000 muoiono. Oltre ai danni e alle sofferenze provocate al paziente, ingente è anche l’aspetto economico; si parla di costi aggiuntivi pari a 37,6 miliardi di dollari l’anno negli USA. Il rapporto indica inoltre alcune strategie per diminuire gli errori nelle cure sanitarie: il problema degli errori nelle cure non sta nel cercare ad ogni costo il colpevole, ma nel creare una cultura della sicurezza e nel promuovere la qualità delle cure. Ciò è possibile solo passando da un sistema punitivo e repressivo nei confronti dei presunti responsabili ad un sistema che favorisca la segnalazione spontanea degli errori; passare da un sistema reattivo di individuazione e correzione degli errori ad un sistema pro-attivo, basato sulla prevenzione degli errori; realizzare un sistema per individuare e correggere in modo metodico situazioni a rischio di errore e di danno su scala nazionale. Il National Health Service Britannico pubblica successivamente un report, “Un’organizzazione fornita di memoria”, il cui obiettivo esplicito è quello di imparare dai danni derivanti da cure per diminuire gli errori associati ad esse. Alla base del rapporto vi è la convinzione che si può ridurre il numero degli errori, analizzando criticamente quelli già accaduti, ricercando le cause alla radice degli stessi, agendo sul sistema organizzativo per far sì che altri errori possano essere prevenuti. La situazione italiana non si discosta dai dati internazionali. Infatti, proiettando la casistica internazionale sulla nostra realtà, si rileva che circa 320.000 persone (sugli 8 milioni di persone ricoverate ogni anno) escono dall’ospedale con danni, malattie derivanti da errori terapeutici o a seguito di disservizi ospedalieri stimando circa 30-35.000 decessi l’anno (C. Fabbri, M. Montalti, 2006). Il Censis ha condotto una ricerca nel 2000 sui rischi ed errori nella sanità italiana, evidenziando una reale preoccupazione del cittadino ed un ricorso 25 maggiore alla magistratura per un danno subito (C. Fabbri, M. Montalti, 2006). Tra i principali impegni italiani vi è il programma per la Sicurezza nell’esercizio della pratica medica promosso dal tribunale per i diritti del malato. Quale strumento fondamentale di tale programma, nel 2000 viene pubblicata la Carta della sicurezza nell’esercizio della pratica medica ed assistenziale.Questa carta si propone di dare un contributo per facilitare la presa in carico di questo problema da parte di tutti i soggetti coinvolti, fornendo indicazioni e procedure e a prevenire gli errori in sanità. L’incremento dei casi di “malpractice” registrato nel corso degli ultimi anni è testimoniato dalla crescita progressiva delle segnalazioni giunte al Tribunale per i diritti del malato. La percentuale di contatti relativi a sospetti errori di diagnosi e terapia gestita dalla sede nazionale, attraverso il servizio PiT Salute, si è consolidata ormai stabilmente intorno al 28%. Ortopedia, chirurgia generale, ostetricia e ginecologia sono le aree per le quali si registra il maggior numero di segnalazioni da parte dei cittadini. Dai dati che emergono dalle segnalazioni dei cittadini (fonte: banca dati PiT Salute, contenzioso legale Asl/assicurazioni, letteratura internazionale) si evidenzia la ripetitività dagli errori, tanto per tipo che per area specialistica. Da tutto ciò deriva la possibilità di costruire un programma che deve avere al suo centro la costruzione di un regime di controllo dei rischi, che serva ad individuare e a riconoscere i fattori di rischio e la loro incidenza e quindi metodologie e di procedere all’applicazione di metodologie e di procedure che riducano la possibilità di incorrere in errori. Attualmente, il contesto sanitario e caratterizzato da un sistema organizzativo, relazionale, tecnologico in continua evoluzione ed estremamente complesso. Da ciò derivano situazioni di rischio per gli operatori scolastici per gli operatori sanitari e per gli utenti. In letteratura sono riportati tra le principali cause: gli eventi avversi da farmaci; 26 le infezioni ospedaliere; le cadute accidentali; i danni trasfusionali; la gestione di pazienti critici. Statistiche internazionali hanno dimostrato come le cause organizzative siano molto più frequenti di quelli attribuibili al singolo (80-85% contro 15-20%). Infatti è essenziale non fermarsi alle cause più evidenti ed immediate, ma devono essere analizzate l’insieme delle circostanze che hanno favorito il verificarsi dell’evento avverso, definite cause alla radice (root causes) o fattori contribuenti (contributory factors). Il termine risk management può essere utilizzato per affrontare vari aspetti della gestione in ambito sanitario; infatti può riguardare gli aspetti assicurativi, gli aspetti medico-legali, la tutela dei lavoratori, la sicurezza dell’utente da un punto di vista clinico-assistenziale. Risk management è un termine che può trarre in inganno; non è nuova invenzione, di rischi si parla da sempre. Questa terminologia vuole essere una interpretazione diversa dell’approccio alla gestione dei rischi; approccio che alla base un modo di progettare, costruire relazioni, organizzazioni, prendere decisioni, definire strategie con lo stile inequivocabile dell’offrire qualità e sicurezza attraverso il miglioramento continuo. Partendo dall’analisi dei processi e dei percorsi clinicoassistenziali a maggiore criticità, gli operatori, le tecnologie, il tempo e la interazione tra tutti questi fattori, puntando decisamente alla introduzione di un regime di controllo dei rischi nell’esercizio della pratica medica e delle professioni sanitarie. Tutto questo è concretizzabile solo se si accetta innanzi tutto di misurarsi con la presenza e la esistenza di rischi ed errori. Solo così sarà possibile intervenire efficacemente, individuando e implementando sistemi di gestione e controllo efficaci. 27 2.4 La professione infermieristica e la gestione del rischio Negli ultimi anni, all’interno della professione infermieristica, si è delineata e diffusa la convinzione che lo sviluppo scientifico, culturale e sociale dell’assistenza infermieristica sia strettamente consequenziale alla piena valorizzazione di una competenza specifica dell’infermiere nell’ambito dell’assistenza sanitaria, in grado di produrre - a favore delle persone assistite - “propri” risultati di salute sostenuti da prove cliniche di efficacia (Evidence-based Nursing). Nella cosiddetta “epoca del post-mansionario”, cioè in un nuovo contesto giuridico e professionale che regolamenta il ruolo e le funzioni dell’infermiere ormai sgravate dai limiti impliciti in un’elencazione di atti esecutivi di tipo tecnico, il consolidamento della sfera di autonomia e di responsabilità professionale dell’assistenza, impone all’infermiere il possesso di un articolato bagaglio metodologico, tecnico e relazionale da utilizzare in ambito clinico ed organizzativo (ciò è rilevabile negli articoli del D. M. 739/94, L.42/99, L. 251/00, il nuovo codice deontologico del 12.5.1999). Si tratta, ad esempio, di definire, introdurre e sperimentare nuovi approcci e nuovi strumenti per orientare la pratica professionale verso l’appropriatezza, l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni; di organizzare l’assistenza infermieristica secondo modelli gestionali “per processi”, profondamente integrati e multiprofessionali, poiché la “buona salute” non può essere considerata un esito di cui dispone una singola professionalità; di fondare la valutazione, la decisione e l’azione clinica sulle conoscenze prodotte dalla ricercare su adeguati indicatori e standard, mediante l’opportuno ricorso a strumenti quali linee guida, raccomandazioni, percorsi clinico assistenziali, protocolli e procedure. In base a questa tendenza, è ragionevole prevedere che il cosiddetto “governo clinico”, cioè la razionalizzazione e la standardizzazione delle attività sulla base delle prove di efficacia, assumerà 28 in futuro una rilevanza crescente, in modo che la prassi assistenziale possa essere sempre più ancorata alla ormai vasta e autorevole produzione scientifica in campo infermieristico. La pianificazione dell’assistenza e gli strumenti della standardizzazione. Con il termine “standardizzazione” si intende, nella sua più comune accettazione positiva, processo finalizzato ad uniformare attività e prodotti sulla base di norme, tipi o modelli di riferimento. Nella pratica infermieristica, tale processo può applicarsi - secondo la logica propria dei sistemi di qualità - ad un consistente numero di situazioni: infatti, costruire ed adottare standards, nel momento della pianificazione e dell’organizzazione degli interventi da realizzare in risposta ai bisogni della persona assistita, significa riferirsi ad un complesso di elementi che rappresentano le caratteristiche appropriate ed ottimali di una determinata prestazione o di un determinato processo. Linee guida Le linee guida di pratica clinica sono “documenti sviluppati sistematicamente per aiutare medici, infermieri e pazienti a scegliere la più appropriata assistenza sanitaria in specifiche circostanze cliniche”. Esse sono prodotte, in genere, da società scientifiche, associazioni professionali ed istituzioni sanitarie. Non è possibile individuare un formato unico per la loro redazione, poiché le linee guida possono variare di dimensione in relazione all’argomento (dalla gestione degli accesi venosi intravascolari o dell’incontinenza urinaria, all’appropriatezza clinica e deontologica dell’utilizzo dei placebo o dei mezzi di contenzione fisica, ecc.). 29 I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway) I percorsi clinico-assistenziali (clinical pathway) prestabiliscono uno schema ottimale della sequenza dei comportamenti in relazione all’iter diagnostico, terapeutico ed assistenziale da attivare a fronte di una situazione clinica tipica, allo scopo di massimizzare l’efficacia e l’efficienza delle attività. Tali schemi da considerarsi comunque flessibili e non statici, presuppongono, perciò, la possibilità di essere impiegati nella maggior dei casi in cui si presenta una determinata situazione o patologia. Essi prevedono la costruzione di un percorso metodologico incentrato sui seguenti aspetti principali: la definizione delle caratteristiche cliniche del paziente a cui si riferisce il clinical pathway; la specializzazione delle azioni diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali e la loro sequenza; la definizione degli esiti di salute, in termini di promozione, miglioramento o mantenimento della situazione clinica presente, ad esempio, all’inizio del ricovero. Le procedure Le procedure infermieristiche rappresentano la forma di standardizzazione più elementare, poiché si riferiscono ad una successione logica di azioni, più o meno rigidamente definite, allo scopo di raccomandare la modalità tecnica infermieristica semplice o complessa. Obiettivo delle procedure è dunque la riduzione di una variabilità ingiustificata ed il perseguimento di una relativa uniformità dei comportamenti. 30 3° CAPITOLO GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO IN AMBITO FARMACOLOGICO 31 L’evento avverso da farmaco (ADE) provoca, solo negli Stati Uniti, oltre 140.000 morti ogni anno e rappresenta sicuramente la voce di spesa maggiore (Porter et al., 1989, 1997). Si stima che le patologie e la mortalità correlate ad errori di terapia facciano spendere un importo variabile tra 30 (stima conservativa) e 136 (stima per eccesso) miliardi di dollari al sistema sanitario statunitense; una somma superiore a quella necessaria alla cura delle patologie cardiovascolari e del diabete (Johnson et al.,1995). Questi dati, pubblicati del 1995, non sono certo migliorati negli anni. Già più di venti anni fa, il Boston Collaborative Drug Surveillance Project stimava che circa il 30% dei pazienti ospedalizzati vanno incontro ad un ADE da farmaco (Jick, 1974). Risultati che sono stati confermati dall’Harvad Medical Practice Study (TA Brennan, et al., 1991), nell’ambito del quale è stata valutata l’incidenza di eventi avversi in un campione di 30.121 pazienti ospiti dei numerosi ospedali nello stato di New York a metà degli anni ‘80. Lo studio ha stabilito che il 3,7% dei pazienti sviluppa una seria, disabilitante e clinicamente importante reazione avversa durante il periodo di ospedalizzazione; il 19,4% di queste sono ADE (Bates et al, 1998; Kupermann et al, 1998, 2001). Vi è, quindi, un’inversione di tendenza. Infatti, se prima si prestava molta più attenzione all’errore del chirurgo o dell’anestesista, negli ultimi anni il problema dell’errore di terapia ha ricevuto una considerevole attenzione sia negli Stati Uniti (Kohn et al., 2000) sia nel regno unito dove è stato condotto il più importante studio di management del farmaco negli ospedali (Audit Commission 2001). In Olanda il direttore dell’Istituto per la Qualità in ambito sanitario (CBO) ha stimato che circa 6000 persone muoiono ogni anno negli ospedali per errori in medicina, un numero di morti 6 volte maggiore di quello che si registra negli incidenti stradali. Si stima che la 32 percentuale degli errori di terapia sia compresa tra il 12% e il 20% del totale degli errori (Guchelaar et al., 2003). 3.1 ERRORE DI TERAPIA Per errore di terapia si intende ogni evento prevenibile che può causare o portare ad un uso inappropriato del farmaco o ad un pericolo per il paziente. Tale episodio può essere conseguente ad errori di prescrizione, di trasmissione della prescrizione, denominazione, allestimento, somministrazione, educazione, etichettatura, confezionamento dispensazione, monitoraggio ed o distribuzione, uso (National Coordinating Council for Medication Error Reporting and Preventing NCCPMERP - http.www.nccpmerp.org). Il rischio associato all’impiego del farmaco riguarda gli eventi intrinseci quali reazioni avverse, effetti collaterali, e soprattutto gli eventi non direttamente correlati alla natura del farmaco, come quelli dovuti a pessima grafia, abbreviazioni ambigue, scarsa informazione su dosi, modi e tempi di somministrazione. Fondamentalmente vengono riconosciute 5 categorie di errori: Errore di prescrizione Errore di trascrizione/interpretazione Errore di preparazione Errore di distribuzione Errore di somministrazione Errore di prescrizione. In letteratura ci sono poche informazioni circa gli errori di prescrizione. A complicare le cose c’è l’impossibilità di paragonare i dati pubblicati poiché vi sono differenti definizioni di errore di 33 prescrizione nell’ambito dei vari lavori tanto che si passa dal 4%, riportato in uno studio di Hartwing (Hartwing et al.,1991), al 39% sul totale degli adverse drug events dello studio di Leape (Leape et al.,1995). Esempi di errore di prescrizione possono essere la mancanza di informazioni essenziali (nome del paziente o del farmaco), prescrizione di farmaci che interagiscono tra loro o di un farmaco sbagliato, oppure la prescrizione di un dosaggio e/o di un regime terapeutico inappropriato, l’utilizzo di un’unità di misura errata (ad es. milligrammi invece di microgrammi). Una fonte importante di errore è sicuramente una terapia no adatta alle particolari caratteristiche del paziente, ad esempio in caso di insufficienza renale o epatica, altre patologie, allergie documentate o particolari controindicazioni per quel determinato principio attivo. Riportiamo uno studio del 1997, condotto in alcuni ospedali di New York dove, nell’arco di un anno, su 1000 prescrizioni si registra una media di 3,9 errori legati all’intero processo di terapia (Tabella 1, vedi allegato 1). I più comuni errori di prescrizione evidenziati sono stati: mancata identificazione del paziente o del farmaco, mancata identificazione della dose o della via di somministrazione, errore della forma farmaceutica, indicazione e associazioni inappropriate del farmaco, documentata allergia (Lesar et al.,1997). Errore di trascrizione/interpretazione. Avviene quando la prescrizione medica, nella maggior parte dei casi scritta a mano, non viene correttamente riportata, trascritta o interpretata. Anche in questo caso le percentuali sono molto diverse tra gli studi: si passa dal 12% dello studio americano di Leape (Leape et al., 1995) al 32% riportato da Hartwing (Hartwing et al., 1995). Errore di preparazione. Indica un’errata preparazione o manipolazione di un prodotto farmaceutico prima della somministrazione. Comprende, per 34 esempio, diluizioni e ricostruzioni non corrette, associazioni di farmaci fisicamente o chimicamente incompatibili o confezionamento non appropriato di farmaci. Anche se frequentemente non rilevati nell’ambito degli studi, fanno parte di questa categoria di errore anche gli errori di deterioramento, quando la validità medica e chimica di una somministrazione è compromessa a causa di un medicinale scaduto o non correttamente conservato. Questo tipo di errore è più difficile da individuare in un sistema di distribuzione in dose unitaria dove le singole quantità prescritte vengono preparate nel Servizio Farmaceutico e, in ogni caso, sarebbe necessario un altro osservatore. Bolan e il suo staff (Commissione tecnica sul rischio clinico, “Risk Management”, allegato 1 “Rischio clinico da farmaco”; su www.MinisterodellaSalute.it, Roma Marzo, 2004) rilevarono l’errore di un farmacista nella ricostituzione di uno sciroppo a base di rifampicina; il risultato fu che 19 bambini ebbero diversi effetti collaterali, incluso la “sindrome dell’uomo rosso”, sindrome caratterizzata da vasodilatazione, tachicardia, ipotensione, prurito, spasmi e dolori muscolari (Allan et al., 1990). Errore di distribuzione. La distribuzione dei farmaci comprende tutti quei processi che intercorrono tra la preparazione e la consegna all’Unità operativa dove verrà somministrato il farmaco. Il nostro indicatore di qualità del sistema sarà la discrepanza tra quanto prescritto e quanto somministrato pur considerando che una parte di questi errori fanno parte della categoria degli errori di somministrazione. I primi studi sull’errore di terapia sono stati condotti negli anni 60 rispettivamente negli Stati Uniti (Barker et al., 1962) e in Gran Bretagna (Crooks et al., 1965; Vere, 1965). In entrambi i casi fu riscontrata un’incidenza di errori di terapia molto alta che però favorì lo sviluppo di diversi sistemi di distribuzione. Infatti, la prima si orientò verso la dispensazione in dose unitaria (Barker et al., 35 1969), mentre la seconda verso la distribuzione a scorta nei reparti (Crooks et al., 1965). Errore di somministrazione. E’ definito come una variazione di ciò che il medico ha prescritto in cartella clinica o previsto dalle buone norme di pratica clinica. E’ stato oggetto di numerosissimi studi, in particolare riportiamo quello pubblicato da Barker nel 2002 che ha visto coinvolti 36 ospedali negli Stati Uniti d’America, alcuni dei quali accreditati presso la JCAHO (tabella 2, vedi allegato 1) (Barker et al., 2002). 3.2 L’ERRORE IN PEDIATRIA Meno numerosi sono gli studi riguardo l’epidemiologia e la prevenzione dell’errore in pediatria dove predisporre una terapia presenta qualche difficoltà in più (ad, es. le dosi sono correlate al peso quindi la prescrizione prevede molti più calcoli rispetto all’adulto, anche perché molto spesso i farmaci non sono disponibili in dosaggio pediatrico). La stessa somministrazione è soggetta ad una maggior possibilità d’errore dal momento che le soluzioni spesso devono essere diluite. Il bambino non riesce ad aiutare il medico per individuare eventuali errori di terapia e non riesce nemmeno a comunicare effetti avversi. Uno studio effettuato consecutivamente per un periodo di 36 giorni, pubblicato nel 2001 (Kaushal et al., 2001) e condotto in due ospedali di Boston, ha rilevato 616 errori di terapia su 778 prescrizioni. In totale 320 pazienti hanno subito almeno un errore di terapia, tra questi 26 sono stati eventi avversi da farmaco dei quali 5 erano prevedibili. Inoltre, sono stati individuati ben 115 potenziali ADEs. In pediatria l’errore più frequente, secondo questo studio, riguarda il dosaggio (28%) seguito, in ordine di frequenza, da via di somministrazione, trascrizione e frequenza di somministrazione. Al primo posto troviamo, quindi, gli errori di prescrizione (93%) seguiti da quelli di 36 trascrizione e frequenza di somministrazione da parte del personale infermieristico. I farmaci maggiormente coinvolti sono gli antibiotici seguiti da analgesici e sedativi, elettroliti, fluidi e broncodilatatori. La via di somministrazione più a rischio è quella endovenosa seguita da quella orale e inalatoria. Eccessiva sedazione, ipotermia, forti dolori e rash gli errori prevedibili più frequenti. Secondo questo studio il sistema computerizzato di prescrizione o la presenza costante in reparto di un farmacista clinico avrebbe ridotto, rispettivamente del 93 e del 94% la percentuale degli errori prevedibili. Un evento avverso da farmaco è considerato prevedibile quando associato ad un errore di terapia. Ad esempio la comparsa di rash in seguito alla somministrazione di co-trimossazolo ad un paziente con allergia accertata verso i sulfamidici è considerato un errore prevenibile, a differenza dello sviluppo di una colite pseudomembranosa da Clostridium difficile dopo l’uso appropriato degli antibiotici. Gli analgesici (30%) e gli antibiotici (30%) sono i maggiori responsabili dei ADEs non prevenibili seguiti da agenti antineoplastici (8%) e sedativi (7%); per quanto riguarda gli eventi avversi i prevenibili i maggiori indiziati sono analgesici (29%), i sedativi (10%), gli antibiotici (9%) e gli antipsicotici (7%) (Guachelaar H. J. et al.,2003). 3.3 ERRORI IN GERIATRIA Il paziente geriatrico ha caratteristiche peculiari: presenta sovente patologie multiple e quindi assume una quantità maggiore di farmaci con un aumento del rischio di effetti indesiderati e di interazione tra i diversi farmaci; 37 presenta variazioni farmacocinetiche dovute all’età e/o patologie concomitanti (insufficienza renale, insufficienza epatica, malattie cardiovascolari, ecc..). Dall’analisi dei report sugli errori di terapia pervenuti alla FDA’s Adverse Event Reporting System nel periodo che va dal 1993 al 1998 emerge che proprio tra la popolazione anziana si ha la maggior frequenza di morte per errori di terapia. I pazienti oltre i 60 anni rappresentano il maggior numero di casi con 172 morti (48.6%), mentre la percentuale scende al 20% se consideriamo i pazienti tra i 70 e gli 80 anni con 71 morti. Sempre da questa analisi risulta che il 55% dei pazienti oltre i 60 anni assume più di un farmaco. I farmaci maggiormente indiziati sono gli agenti antineoplastici, quelli che agiscono sul sistema nervoso centrale e sull’apparato cardiovascolare (Philips et al., 2001). 3.4 COME GARANTIRE UNA TERAPIA SICURA AL PAZIENTE? Le linee guida dell’American Society of Hospital Pharmacy (1993), riportano per prevenire l’errore di terapia in ospedale (www.ashp.org), le seguenti raccomandazioni: invio diretto delle prescrizioni attraverso un sistema informatico; introduzione dei codici a barre nei processi di utilizzo del farmaco; sviluppo dei sistemi di monitoraggio e archiviazione delle reazioni avverse; adozione della dose unitaria e miscelazione centralizzata dei farmaci endovena; collaborazione diretta del farmacista con i medici prescrittori e gli infermieri; rilevazione degli errori legati alla somministrazione ed elaborazione di soluzioni per prevenirli, 38 verifica delle prescrizioni da parte di un farmacista prima della dose iniziale. Attualmente, esaminando i dati presenti in letteratura, si evince che le strategie adottate al fine di ridurre gli errori di terapia sono essenzialmente le seguenti: sistemi computerizzati di registrazione della terapia (Kaushal et al., 2003; Teich et., 2000); distribuzione dei farmaci in dose unitaria (con diversi livelli di automazione) (Dea net al., 1995; Fontane al., 2003); partecipazione attiva del farmacista clinico alla gestione della terapia (Walton et al., 2002). Prescrizione computerizzata I sistemi di gestione della terapia hanno permesso il controllo delle dosi massime di farmaci a basso indice terapeutico ed hanno ridotto la possibilità di somministrare dosi tossiche di farmaci, il tasso di reazioni avverse e la durata della degenza (Hynimann et al., 1970). Negli ospedali la prescrizione computerizzata sta raccogliendo sempre più consensi. Uno dei primi ad adottare questo tipo di supporto tecnologico è stato l’Accademic Medical Centre di Amsterdam dove l’introduzione di questo sistema ha ridotto gli errori di interpretazione e di trascrizione (Mathijs, 2003). Fino al 1999 negli Stati Uniti solo il 5% degli ospedali aveva adottato questo metodo e tra essi, a causa dei costi elevati, non era compreso alcun ospedale pediatrico. 39 Dispensazione in dose sanitaria Già nei primi anni ’70, alcuni ospedali avevano implementato questi tipo di dispensazione con buoni risultati. Infatti, il sistema a dose unitaria presentava un tasso di errore pari al 3,5% rispetto ad un valore che si aggirava tra il 9,9% e il 20,6% degli ospedali con sistemi convenzionali di distribuzione (Hynimann et al., 1970). Uno studio francese, pubblicato nel 2003, ha analizzato la frequenza e la tipologia di errore mettendo a confronto la prescrizione computerizzata associata alla dispensazione in dose unitaria (3943 farmaci prescritti) con la terapia scritta a mano in ospedali con un sistema di distribuzione tradizionale (589 farmaci prescritti) (tabella 3-4 vedi allegato 1 ) (Fontane et al., 2003). Da quanto emerge da questa indagine la prescrizione computerizzata, associata alla distribuzione in dose unitaria, adottato in un ospedale tedesco, riportava un tasso di errore pari al 2,4% contro il 5,1% di un altro ospedale tradizionale(Taxi set al., 1998). Sempre nell’ambito della distribuzione in dose unitaria vi è stato il confronto dell’accuratezza dell’allestimento della dose unitaria manuale rispetto al sistema automatizzato. I target di questo studio erano le discrepanze tra quanto prescritto e quanto allestito (tabella 5 vedi allegato 1) (Kratz K. Et al., 1992). In ultimo, la partecipazione del farmacista ospedaliero al giro di visite in terapia intensiva riduce gli eventi avversi prevenibili da farmaci da 10,4/1000 giorni paziente a 3,5/1000 giorni paziente (Walton et al., 2002). 40 3.5 L’ESPERIENZA ITALIANA I dati italiani in merito alla problematica legata al rischio clinico scarseggiano sia perché forse non esiste ancora una reale consapevolezza del problema, sia perché vi è un forte timore della perseguibilità penale, della responsabilità individuale. Ma anche in Italia si sbaglia, secondo un’indagine conoscitiva sugli errori di somministrazione che ha visto coinvolte le U.O. di Medicina generale (maschile e femminile) e di geriatria dell’Ospedale di Chioggia (F. Venturini, et al., 2006). Tale indagine riporta bel 86 errori su 557 prescrizioni pari al 15%. Gli errori più frequenti sono stati: l’incongruenza tra quanto prescritto in cartella clinica e quanto riportato in scheda di terapia, l’assenza di indicazione di inizio e/o fine terapia, l’imprecisa individuazione della via di somministrazione e la mancata identificazione del paziente. Nell’indagine, inoltre, sono rilevate altre 13 incongruenze riconducibili alla prescrizione terapeutica indicata con il termine “al bisogno” con cui viene affidata all’infermiere la discrezionalità su “se” e “quando” somministrare il farmaco. In Italia vi sono diverse esperienze di sistema automatizzato che coinvolga sia la prescrizione sia la distribuzione, anche se non ancora in regime. Si riportano i dati preliminari di tali studi. . La sperimentazione del sistema Homerus presso l’ospedale di NizzaMonferrato, in provincia di Asti, che ha prodotto una riduzione dell’errore dal 4,4% del 1998 allo 0,12% del 2001, accompagnata da una diminuzione della spesa per i farmaci del 12% e del tempo che gli infermieri devono dedicare ai farmaci di 20 ore la settimana. Il progetto DRIVE (DRug In Virtual Enterprise) proposto dalla Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor di Milano (del febbraio 2003). Anche in questo caso si tratta dell’implementazione di un’infrastruttura tecnologico-organizzativa in 41 grado di ridurre la possibilità di errore in ciascuno dei passi della prescrizione, della preparazione e della somministrazione della terapia farmacologica. Il ricorso a tali supporti tecnologici ha prodotto ottimi risultati: riduzione del 53% degli errori relativi alla fase di preparazione delle terapie sublinguali, riduzione del 71% degli errori per la preparazione di terapie endovenose/intramuscolari, riduzione del 21% degli errori in fase di somministrazione delle terapie accompagnati da una riduzione del 30% dei costi legati alla gestione ed al mantenimento a scorta dei farmaci. . Il progetto pilota dell’Azienda ospedaliera di Verona sulla gestione informatizzata della terapia (Progetto pilota Ospedale dell’azienda ospedaliera di Verona, febbraio 2005). L’implementazione di tale sistema prevede: informazioni “on line” su interazioni, controindicazioni, linee guida aziendali, note CUF; feed-back ai medici entro le 24 ore sulle prescrizioni individuate sulla base di parametri selezionati, nonché analisi farmaco-epidemiologiche e farmaco-economiche sulle prescrizioni. . L’adozione in via sperimentale dal 1° giugno 2003, da parte del Servizio Farmaceutico dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, del sistema Pyxis (sistema di tracciabilità per l’erogazione di farmaci e dispositivi). I dati preliminari hanno dimostrato che tale sistema consente di ottimizzare il controllo e la gestione dei farmaci ospedalieri in termini di riduzione degli errori e contenimento dei conti. Nell’ambito delle attività dell’ufficio M. C. Q. (Miglioramento Continuo Qualità) della Azienda ospedaliera Niguarda Cà grande di Milano, sono state effettuate revisioni di cartelle cliniche con l’obiettivo di sviluppare metodologie di analisi e revisioni e di individuare arre di rischio. Sono state analizzate 641 cartelle estratte con metodo random relative ai dimessi dell’anno 2000, escludendo i ricoveri con durata < 3 giorni. Data la criticità oggettiva rilevata, sono state valutate 241 cartelle da un secondo gruppo di revisori. Sono stati riscontrati 90 eventi avversi gravi a 42 farmaci, 2 reazioni trasfusionali, 3 errori terapeutici gravi. I limiti di questo approccio sono molteplici: le risorse da impegnare, le competenze, il riscontro di soli errori di prescrizione (omissione, commissione o monitoraggio), la mancata evidenza di errori di trascrizione, preparazione e somministrazione (errato farmaco, errata via di somministrazione, errato dosaggio, duplicazione, errato paziente, ecc..). E’ stato, quindi introdotto, nell’Azienda ospedaliera, dalla fine del 2001, il foglio unico di terapia (certificazione ISO 9001 della documentazione clinica) in quanto previene almeno errori noti e prevenibili quali errori di trascrizione e di duplicazione. Inoltre, tale foglio, con cui si identificano il medico prescrittore e colui che somministra, rimane parte integrante della cartella clinica ed è già predisposto per l’informatizzazione. Infine, si segnala uno dei pochi studi volti all’individuazione e prevenzione dell’errore nelle terapie oncologiche realizzato nella farmacia clinica dell’Ospedale Sant’Eugenio della ASL RMC. Sono state analizzate 3780 prescrizioni e 4400 allestimenti di chemioterapici antiblastici nell’ultimo trimestre 2001 con i seguenti risultati: diluente errato nella prescrizione (30%); dosaggi di chemioterapici antiblastici troppo elevati (10%); mancanza dei protocolli terapeutici nella prescrizione (40%);errata archiviazione delle prescrizioni da parte degli operatori dell’Unità Farmaci Antiblastici (UFA) (10%); errata compilazione della etichetta da parte degli operatori dell’UFA (10%). Introducendo una nuova modulistica prescrittiva con richiesta dei relativi protocolli terapeutici e specifiche istruzioni operative per gli addetti dell’UFA e attivando una rete informativa tra medico prescrittore e farmacista, si è osservata, durante il primo trimestre 2002, una riduzione degli errori. In particolare è stata registrata una diminuzione del 28% degli errori di compilazione delle prescrizioni. 43 Anche la regione Emilia Romagna ha attuato nuove disposizioni per la corretta gestione clinica del farmaco come è possibile verificare dall’ultima revisione del 2006 (vedi allegato n°3). 44 CAPITOLO 4 ORGANIZZAZIONE DEL DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE CON RELATIVI FARMACI 45 Negli ultimi decenni sono avvenuti cambiamenti radicali nel campo dell'assistenza psichiatrica. I pazienti affetti da disturbi psichiatrici, si assistono ora nella comunità sociale in cui vivono (cioè sul territorio), che un tempo sarebbero state ricoverate in ospedale psichiatrico. Questo nuovo orientamento impone nuove modalità di organizzazione, pianificazione e gestione dei servizi di salute mentale. A tale proposito la legge n. 180/1978 viene concepita per dimostrare che alla sofferenza psichiatrica si può rispondere senza ricorrere all'internamento, quindi al manicomio che doveva e poteva essere superato, perchè dannoso per la salute mentale dei ricoverati. La legge ha così cancellato il pregiudizio di pericolosità sociale associata a malattia mentale, determinando una nuova situazione giuridica del malato basata sugli interessi e sui diritti dei cittadini. Inoltre questa legge ha determinato un cambiamento delle strutture sanitarie che presentano cosi un dipartimento dedicato alla salute mentale. Infatti a tale proposito nasce il Dipartimento di salute mentale (DSM) cioè l'insieme delle strutture e dei servizi che hanno il compito di farsi carico della domanda legata alla cura, all'assistenza e alla tutela della salute mentale nell'ambito del territorio definito dall'Azienda Sanitaria Locale (ASL). Il DSM è dotato dei seguenti servizi: servizi per l'assistenza diurna: i Centri di Salute Mentale (CSM) servizi semiresidenziali: i Centri Diurni (CD) servizi residenziali: strutture residenziali (SR) distinte in residenze terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative servizi ospedalieri: i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) e i Day Hospital (DH). L'offerta assistenziale è completata dalle Cliniche universitarie e dalle case di cure private. 46 Inoltre, esiste il centro per il trattamento delle Dipendenze Patologiche o Servizio per le Tossicodipendenze (Ser.T). 4.1 Centro di Salute Mentale (CSM) E' la sede organizzativa dell'èquipe degli operatori e la sede del coordinamento degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale, nel territorio di competenza, tramite anche l'integrazione funzionale con le attività dei distretti. In particolare il CSM svolge: attività di accoglienza, analisi della domanda e attività diagnostica; definizione e attuazione di programmi terapeutico-riabilitativi e socio-riabilitativi personalizzati, con le modalità proprie dell'approccio integrato, tramite interventi ambulatoriali, domiciliari, di “rete”, ed eventualmente anche residenziali, nella strategia della continuità terapeutica; attività di raccordo con i medici di medicina generale, per fornire consulenza psichiatrica e per condurre, in collaborazione, progetti terapeutici ed attività formativa; consulenza specialistica ai servizi “di confine” (alcolismo, tossicodipendenze ecc.), alle strutture residenziali per anziani e per disabili; attività di filtro ai ricoveri e di controllo della degenza nelle case di cura neuropsichiatriche private, al fine di assicurare la continuità terapeutica; valutazione ai fini del miglioramento continuo di qualità delle pratiche e delle procedure adottate. 47 Esso è attivo, per interventi ambulatoriali e/o domiciliari, almeno 12 ore al giorno, per 6 giorni alla settimana. 4.2 Centro Diurno (CD) E' una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative, collocata nel contesto territoriale. E' aperto almeno otto ore al giorno per sei giorni a settimana. E' dotato di una propria équipe, eventualmente integrata da operatori di cooperative sociali e organizzazioni di volontariato. Dispone di locali idonei adeguatamente attrezzati. Nell'ambito di progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati, consente di sperimentare e apprendere abilità nella cura di sé, nelle attività della vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali individuali e di gruppo, anche ai fini dell'inserimento lavorativo. Il Centro diurno può essere gestito dal DSM o dal privato sociale e imprenditoriale. In tal caso, fatti salvi i requisiti previsti dal DPR 14 gennaio 1997 e dal Progetto Obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000, i rapporti con il DSM sono regolati da apposite convenzioni, che garantiscano la continuità della presa in carico. 4.3 Strutture Residenziali (SR) Si definisce struttura residenziale una struttura extra-ospedaliera in cui si svolge una parte del programma terapeutico-riabilitativo e socioriabilitativo per utenti di esclusiva competenza psichiatrica, come chiaramente indicato nel precedente Progetto obiettivo, con lo scopo di offrire una rete di rapporti e di opportunità emancipative, all'interno di 48 specifiche attività riabilitative. La struttura residenziale, pertanto, non va intesa come soluzione abitativa. Le strutture residenziali dovranno soddisfare i requisiti minimi strutturali e organizzativi, indicati dal DPR 14 gennaio 1997. Saranno, quindi, differenziate in base all'intensità di assistenza sanitaria (24 ore, 12 ore, fasce orarie) e non avranno più di 20 posti. Al fine di prevenire ogni forma di isolamento delle persone che vi sono ospitate e di favorire lo scambio sociale, le SR vanno collocate in località urbanizzate e facilmente accessibili. Opportuno, anche, prevedere la presenza di adeguati spazi verdi esterni. Le SR possono essere realizzate e gestite dal DSM o dal privato sociale e imprenditoriale. In tal caso, fatti salvi i requisiti e gli standard previsti dal DPR 14 gennaio 1997 e dal presente Progetto Obiettivo, i rapporti con il DSM sono regolati da appositi accordi ove siano definiti i tetti di attività e le modalità di controllo degli ingressi e delle dimissioni. L'accesso e la dimissione dei pazienti avvengono in conformità ad un programma personalizzato concordato, e periodicamente verificato, fra operatori del DSM, operatori della struttura residenziale, pazienti ed eventuali persone di riferimento. 4.4 Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) E' un servizio ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero; esso, inoltre, esplica attività di consulenza agli altri servizi ospedalieri. E' ubicato nel contesto di Aziende ospedaliere o di presidi ospedalieri di Aziende U.S.L. o di Policlinici Universitari. 49 E' parte integrante del Dipartimento di Salute Mentale, anche quando l'ospedale in cui è ubicato non sia amministrato dall'Azienda sanitaria di cui il DSM fa parte. In tal caso, i rapporti tra le due Aziende sanitarie sono regolati da convenzioni obbligatorie, secondo le indicazioni della Regione. I rapporti con l'Azienda universitaria sono regolati in conformità ai protocolli d'intesa di cui all'art. 6, comma 1 del D. L.vo 502/92 tra Regioni, Province Autonome e Università. Il numero complessivo dei posti letto è individuato tendenzialmente nella misura di uno ogni 10.000 abitanti. Ciascun SPDC contiene un numero non superiore a 16 posti letto ed è dotato di adeguati spazi per le attività comuni. 4.5 Day Hospital (DH) Costituisce un' area di assistenza semiresidenziale per prestazioni diagnostiche e terapeutico riabilitative a breve e medio termine. Può essere collocato all' interno dell'ospedale, con un collegamento funzionale e gestionale con il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Può essere, inoltre, collocato presso strutture esterne all'ospedale, collegate con il CSM, dotate di adeguati spazi, delle attrezzature e del personale necessario. E' aperto almeno otto ore al giorno per 6 giorni alla settimana. Ha la funzione di: permettere l' effettuazione coordinata di accertamenti diagnostici vari e complessi effettuare trattamenti farmacologici ridurre il ricorso al ricovero vero e proprio o limitarne la durata. 50 L' utente vi accede in base a programmi concordati tra gli operatori del DSM. 4.6 SERVIZIO TOSSICODIPENDENZE (Ser.T) L’U.O. Dipendenze Patologiche è quella struttura che ha come scopo garantire la prevenzione, il trattamento e la cura dei disturbi causati dall’uso di sostanze legali (alcol e tabacco) ed illegali, e di alcuni comportamenti compulsivi non causati da l’uso di sostanze psicoattive (gioco d’azzardo patologico, dipendenze da videogiochi, ecc.). La missione dell’U.O. Dipendenze Patologiche è quella di: tutelare la salute dei soggetti con disturbo legato all’utilizzo di sostanze psicoattive, con particolare attenzione alla prevenzione delle malattie infettive, al miglioramento della qualità della vita e all’integrazione sociale. Operare in un’ottica di ottimizzazione dell’uso delle risorse e di efficacia dell’intervento, all’interno di un sistema di “rete” integrato, tra azienda USL e territorio curando il mantenimento di rapporti di effettiva collaborazione e partnership. Garantire, nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed equità, la gestione globale del caso clinico attraverso la definizione e l’applicazione di linee guida, il coordinamento e l’integrazione tra le diverse fasi assistenziali e i diversi professionisti, curando in particolare l’integrazione degli interventi sociali con quelli sanitari. Deve seguire l’evoluzione della situazione del soggetto nelle fasi di osservazione e diagnosi, cura e inserimento sociale, definendo programmi terapeutici efficaci e personalizzati, in relazione alla situazione e alle esigenze del soggetto; 51 Assicurare l’aggiornamento e la formazione continua degli operatori ; assicurare lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione delle attività/servizi per adeguarle alle nuove sfide relative alle dipendenze, caratterizzate da una continua evoluzione dei profili di consumo di sostanze psicoattive e del contesto sociale; sostenere lo sviluppo della comunicazione con i cittadini per favorire una cultura sulle problematiche connesse con le dipendenze e promuovere stili di vita liberi dal consumo di sostanze. 4.7 I FARMACI PIU' UTILIZZATI NEL DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE Dopo aver visto come sono strutturati i centri di salute mentale, ci soffermiamo sulla gestione dei farmaci e dei rischi che possono insorgere nei reparti dove sono presenti i farmaci psichiatrici. I farmaci che vengono utilizzati nei reparti di salute mentale per il trattamento dei disturbi psichici si dividono in: antipsicotici, antidepressivi, stabilizzatori del tono dell'umore, anticolinergici, ansiolitici-ipnotici. 4.7.1 GLI ANTIPSICOTICI Gli antipsicotici vengono definiti neurolettici. Si distinguono in antipsicotici da più lungo tempo in commercio, detti anche tradizionali e antipsicotici più recenti, detti nuovi o atipici. Vengono utilizzati sia negli stati psicotici acuti sia nelle fasi di proseguimento e di mantenimento. 52 Una precauzione comune a tutti i farmaci antipsicotici è quella di iniziare il trattamento con piccoli aumenti di dose giornalieri nella prima settimana, per la possibilità di effetti collaterali precoci legati alla sensibilità individuale, effetti che sono imprevedibili se nel passato la persona non li ha assunti (Racagni, 2001) . Gli antipsicotici hanno le seguenti azioni terapeutiche: Un effetto sedativo iniziale, con la riduzione dell’eccitamento e dell’ipervigilanza; Un successivo effetto antipsicotico che riduce deliri e allucinazioni. Va sottolineato che gli effetti sedativi compaiono rapidamente, ma che i sintomi psicotici migliorano solo dopo alcuni giorni e la remissione, se la si ottiene, avviene in un arco di tempo che può arrivare a 6 settimane . Come per altre categorie di farmaci la scelta dell’antipsicotico dipende da: Natura e caratteristiche del disturbo; Profilo degli effetti collaterali dei vari farmaci; Risposte e adesione agli antipsicotici già assunti in passato. In psichiatria gli antipsicotici sono usati per i seguenti disturbi: Schizofrenia (fasi acute e prevenzione delle recidive) e altri disturbi psicotici; Disturbi schizoaffettivi; Mania; Depressione maggiore con manifestazioni psicotiche; Sindromi organiche cerebrali con manifestazioni psicotiche; Sindrome di Tourette (un disturbo caratterizzato da tic e spasmi muscolari multipli - sia motori sia vocali - e qualche volta caratterizzato da turpiloquio forzato). Per quanto riguarda la posologia, va notato che non è opportuno somministrare nessun antipsicotico a dosaggio superiore a quelli del range 53 terapeutico consigliato, perché di solito non si aumentano i benefici ma solo gli effetti collaterali. Lo stato mentale dei pazienti in trattamento con antipsicotici deve essere rivalutato periodicamente, all’inizio almeno ogni 1-2 settimane. Se i sintomi psicotici persistono dopo un periodo adeguato di prova a dose piena (almeno 3 settimane), si prendono in considerazione le seguenti alternative: riduzione della dose del farmaco, perché in qualche caso la tossicità del farmaco contribuisce ai sintomi; passaggio ad un altro antipsicotico, sempre per almeno 3 settimane. Nei casi resistenti, si può anche ricorrere al dosaggio plasmatico dell’antipsicotico. Una concentrazione bassa può suggerire un difetto di assorbimento o di metabolismo, una concentrazione più alta può, come detto, peggiorare i sintomi. Sembra che la nicotina, il caffè e alcune droghe, come la marijuana, possono interferire con il metabolismo dei neurolettici, per cui potrebbe essere utile rideterminare i livelli plasmatici dopo averne eliminato l’uso. In linea generale tutti gli antipsicotici sono ugualmente efficaci nel trattamento dei sintomi positivi della schizofrenia, mentre quelli tradizionali tendono ad avere un’efficacia minore sui sintomi negativi. Ogni antipsicotico ha effetti collaterali diversi, che possono essere più o meno disturbanti per i singoli pazienti. Gli antipsicotici tradizionali possono essere suddivisi in due gruppi: Farmaci a bassa potenza Farmaci ad alta potenza I farmaci a bassa potenza sono in genere più sedativi e danno meno effetti collaterali tipo anticolinergico e meno di tipo extrapiramidale. Quindi a chi tende ad avere effetti collaterali extrapiramidali è meglio prescrivere antipsicotici a bassa potenza, mentre per chi continua a guidare autoveicoli e o macchinari è preferibile dare farmaci ad alta potenza che hanno effetti 54 sedativi minori. Gli effetti anticolinergici degli antipsicotici a bassa potenza ne limitano l’utilizzo nelle persone anziane. Negli episodi psicotici acuti la posologia viene aggiustata in funzione della risposta del singolo paziente e può variare notevolmente da soggetto a soggetto. Come già detto, si inizia solitamente con una dose bassa che viene aumentata con grande attenzione fino a che si raggiunge un equilibrio soddisfacente tra efficacia terapeutica ed effetti collaterali. In caso di agitazione e aggressività si possono aggiungere benzodiazepine, soprattutto durante un ricovero. Per la tranquilizzazione rapida si può ricorrere a un antipsicotico (e talora anche a una benzodiazepina) per via parenterale, secondo le linee guida che il servizio dovrebbe avere elaborato e approvato. In ogni caso occorre il consenso del paziente o un trattamento sanitario obbligatorio. Gli effetti collaterali sono numerosi e purtroppo molto frequenti. Possono compromettere notevolmente il benessere del paziente e sono una delle cause di mancata adesione al trattamento. E’ quindi importante saperli riconoscere e trattare. Gli effetti collaterali più comuni sono: Sedazione; Effetti anticolinergici (secchezza fauci, stitichezza, vista offuscata, ritenzione urinaria); Ipotensione ortostatica (che porta a giramenti di testa e anche a svenimenti quando ci si alza); Effetti endocrini (aumento dell’appetito e del peso, diminuizione della libido, impotenza, amenorrea, galattorrea); Effetti extrapiramidali (distonia, acatisia, discinesia, rigidità); Discinesia tardiva; Distonia tardiva. Sono invece meno frequenti: Agranulocitosi; 55 Reazioni cutanee (eruzioni cutanee, fotosensibilizzazione che può portare a scottature, pigmentazione); Danni oculari (pigmentazione retinica, opacizzazione della cornea e del cristallino, glaucoma); Confusione mentale, delirium; Crisi epilettiche; Sindrome neurolettica maligna. 4.7.2 ANTIPSICOTICI NUOVI O ATIPICI I farmaci più noti di questo gruppo sono la clozapina, il risperidone, l’olanzapina e recentemente si è aggiunta la quetiapina (Seroquel). Rispetto agli antipsicotici tradizionali, tendono a dare meno effetti collaterali di tipo extrapiramidale e avrebbero una maggiore efficacia sui sintomi negativi, cioè apatia e asocialità. Per la riduzione degli effetti collaterali, porterebbero anche a una migliore adesione al trattamento rispetto agli antipsicotici tradizionali, ma va detto che gran parte delle maggiori adesioni è stata osservata quando i pazienti dei gruppi di controllo erano trattati con antipsicotici tradizionali a dosaggi superiori a quelli comunemente impiegati. L’ azione biochimica sarebbe caratterizzata da maggiore affinità (azione antagonista) per i recettori D2 della dopamina delle zone limbiche e minore per quelli delle aree nigro-striatali e da maggiore affinità per i recettori serotoninergici 5-HT 2 e talvolta per i recettori adrenergici alfa 1. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, danno sicuramente meno effetti di tipo extrapiramidale rispetto agli antipsicotici tradizionali, ma tendono tutti a provocare aumento di peso, aumento dell’incidenza del diabete di tipo adulto (con conseguente verosimile aumento della mortalità 56 a causa dei problemi cardiaci collegati al sovrappeso e al diabete), alterazioni elettrocardiografiche (prolungamento tratto Q-T), con aumento di rischi cardiaci, e aumento dei livelli di prolattina nel sangue con disfunzioni sessuali (amenorrea nella donna, diminuzione della libido nell’uomo). 4.7.3 ANTIDEPRESSIVI Gli antidepressivi funzionano normalizzando le quantità delle sostanze chimiche che agiscono comunemente nel cervello (i neurotrasmettitori), soprattutto serotonina, noradrenalina ed in parte dopamina. Gli scienziati che studiano la depressione hanno scoperto che queste sostanze chimiche sono coinvolte nella regolazione dell’umore, ma il meccanismo del loro funzionamento non è ancora conosciuto con certezza. Il tipo più recente e più popolare di farmaci antidepressivi è rappresentato dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), in grado di aumentare i livelli di questo neurotrasmettitore. Tra gli SSRI troviamo: fluoxetina (Prozac), citalopram (Elopram, Seropram), sertralina (Zoloft). Gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI) sono simili agli SSRI, i principali sono: venlafaxina (Efexor), duloxetina (Cymbalta). Gli SSRI e gli SNRI sono più popolari rispetto alle altre categorie di antidepressivi, ad esempio ai triciclici (chiamati così per via della loro struttura chimica) e agli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO), perché di norma causano minori effetti collaterali. Tutti questi farmaci hanno 57 effetti diversi su pazienti differenti: non esiste un approccio unico alla terapia che possa andar bene per tutti, quindi in alcuni casi i triciclici o gli IMAO potrebbero essere la scelta migliore. I pazienti in terapia con IMAO devono attenersi a particolari restrizioni per quanto concerne la dieta e i medicinali, per evitare interazioni potenzialmente gravi; devono evitare tutti quegli alimenti che contengono grandi quantità di tiramina, una sostanza chimica che si trova in molti formaggi, vini e sottaceti, e alcuni farmaci tra cui i decongestionanti. Gli IMAO interagiscono con la tiramina provocando un aumento improvviso della pressione sanguigna che può causare un attacco apoplettico. Il medico dovrebbe fornire ai pazienti in terapia con farmaci IMAO un elenco completo degli alimenti, dei farmaci e delle sostanze proibite. Per tutte le categorie di antidepressivi i pazienti devono assumere le dosi prescritte per almeno tre, quattro settimane prima di sperimentare un qualche effetto terapeutico. Dovrebbero continuare ad assumere il farmaco per il periodo specificato dal medico, anche se si sentono meglio, per prevenire le ricadute depressive e la terapia dovrebbe essere interrotta solo sotto stretto controllo medico. Alcuni antidepressivi devono essere interrotti gradualmente per lasciare all’organismo il tempo di adattarsi. In genere queste classi di farmaci non causano dipendenza né assuefazione, ma se si interrompe bruscamente la terapia possono presentarsi sintomi da sospensione oppure ricadute. Per alcuni pazienti, ad esempio quelli affetti da depressione cronica o ricorrente, potrebbe essere necessario continuare la terapia a tempo indeterminato. Spesso insieme all’antidepressivo vengono prescritti stimolanti, ansiolitici o altri farmaci, soprattutto se il paziente è anche affetto da disturbi fisici o mentali; è da sottolineare tuttavia che se assunti singolarmente né gli ansiolitici né gli stimolanti sono efficaci contro la depressione ed entrambi dovrebbero essere assunti solo sotto controllo medico. 58 I pazienti di tutte le età in terapia con farmaci antidepressivi dovrebbero essere attentamente monitorati, soprattutto durante le prime settimane di terapia. Tra i possibili effetti collaterali da controllare troviamo: il peggioramento della depressione, aumento dell’ideazione suicidaria o il tentato suicidio, tutte le modifiche del comportamento non altrimenti spiegabili, come l’insonnia, l’agitazione o la rinuncia alle normali attività sociali. In alcuni pazienti gli antidepressivi possono causare effetti collaterali di lieve entità e quasi sempre temporanei, cioè che di solito non durano a lungo. Tuttavia eventuali reazioni insolite ed effetti collaterali che interferiscono con il normale funzionamento del farmaco dovrebbero essere riferiti immediatamente al medico. Tra gli effetti collaterali più comuni associati agli SSRI e agli SNRI troviamo: Mal di testa: di solito è passeggero e sparisce in breve tempo. Nausea: di solito è passeggera e dura poco. Insonnia e nervosismo (difficoltà ad addormentarsi o risvegli frequenti durante la notte): si possono verificare durante le prime settimane di terapia ma spesso scompaiono con l’andare del tempo o con la riduzione del dosaggio. Agitazione (sensazione di nervosismo). Problemi sessuali: sia gli uomini che le donne possono soffrire di problemi sessuali, tra cui riduzione dell’impulso sessuale, disfunzioni erettili, ritardo dell’eiaculazione o anorgasmia. Anche gli antidepressivi triciclici possono causare effetti collaterali tra cui: Secchezza delle fauci: può essere utile bere molta acqua, masticare chewing-gum e lavarsi spesso i denti. 59 Costipazione: può essere utile mangiare più fibra, prugne, frutta e verdura. Problemi alla vescica: svuotare la vescica potrebbe essere difficile e il flusso di urina potrebbe non essere forte come al solito. Gli uomini anziani che soffrono di ingrossamento della prostata: potrebbero avvertire questo problema più degli altri pazienti. Se la minzione è dolorosa è necessario informare il medico. Problemi sessuali: la risposta sessuale può cambiare e gli effetti collaterali sono simili a quelli degli SSRI. Visione offuscata: di norma è un problema transitorio e non richiede la prescrizione di nuove lenti correttive. Sonnolenza: si verifica durante il giorno; di solito scompare in fretta ma si dovrebbe evitare di guidare o fare uso di macchinari pericolosi se ci si sente stanchi senza motivo apparente. Gli antidepressivi con maggiori effetti sedativi vengono generalmente assunti prima di andare a dormire, in questo modo la qualità del sonno migliora e la sonnolenza durante il giorno è minimizzata. 4.7.4 STABILIZZATORI DEL TONO DELL'UMORE Gli stabilizzatori dell'umore sono farmaci attivi nel trattamento dell'episodio maniacale e nella prevenzione delle recidive, inoltre hanno la proprietà di agire sul tono dell’umore, sia operandone una stabilità nel tempo, sia attuando un miglioramento della condizione patologica di partenza (depressione, ansia, agitazione). Essi comprendono il litio che rimane il farmaco di prima scelta. Meccanismi d’azione degli stabilizzatori dell’umore: gli stabilizzatori di membrana, categoria ascrivibile ai farmaci antiepilettici, fra i quali l’acido 60 valproico e la carbamazepina sono le molecole più importanti, inibiscono scariche ripetitive prolungate indotte dalla depolarizzazione delle membrane neuronali. Il gabapentin, antiepilettico e antinevralgico, agisce aumentando la biodisponibilità del GABA. Il litio agisce sui canali del sodio a livello di membrana, ma il suo preciso meccanismo d’azione non è noto; esercita forse un’azione sulle ammine cerebrali e nei meccanismi intracellulari di proteine con funzioni di messaggero; inibisce gli enzimi proteinchinasi cerebrali. Sia l’acido valproico che il litio interagiscono nel nucleo dei neuroni con i fattori che regolano l’espressione genica. Studi effettuati, dopo il successo clinico dell’acido valproico e della carbamazepina, su altri farmaci anticonvulsivanti (lamotrigina, topiramato) riguardano il GABA come neurotrasmettitore chiave di tipo inibitorio a livello centrale. Terapia dei disturbi del tono dell’umore. Il disturbo bipolare è la patologia più grave che necessita della terapia con gli stabilizzatori dell’umore, associati ad altri farmaci. Il litio è il presidio di prima scelta, in alternativa viene impiegata la carbamazepina. I disturbi maniacali richiedono trattamento con questa classe di farmaci, solitamente acido valproico o carbamazepina. La depressione maggiore e le psicosi possono richiedere rispettivamente l’associazione di un antidepressivo o di un neurolettico con un farmaco stabilizzatore, che non costituisce mai, comunque, il cardine della terapia: il controllo di picchi alternanti del tono dell’umore è indipendente dal controllo dell’ideazione. In particolare, l’uso del litio nella depressione maggiore di tipo melanconico è sempre complementare alla terapia con antidepressivi triciclici o SSRI. Una benzodiazepina, il clonazepam, viene usata per il controllo immediato dell’eccitazione maniacale. 61 Effetti collaterali Litio: Nel paziente in trattamento con questo farmaco, è prescritto il monitoraggio regolare dei livelli plasmatici, allo scopo di prevenire l'insorgenza di effetti tossici. Anche alle dosi terapeutiche, il litio induce abbastanza frequentemente effetti indesiderati (di cui i più comuni sono l'aumento della diuresi e della sete, il tremore e l'aumento di peso). Quando la litiemia aumenta troppo, si possono avere effetti tossici, anche crisi convulsive, insufficienza renale acuta, coma e morte. Ma gli effetti tossici compaiono solo se so sono ignorati i primi segni di tossicità che è quindi necessario riconoscere e insegnare a riconoscere. I primi segni di tossicità sono: nausea e vomito diarrea instabilità dell'equilibrio lieve confusione e perdita di memoria. Se questi sintomi sono presenti per più di 24 ore, vanno affrontati come effetti tossici del litio. Se questi sintomi non vengono presi in considerazione, la condizione peggiora fino alle crisi convulsive e al coma. I più comuni effetti indesiderati degli altri stabilizzatori dell' umore sono per il valproato disturbi gastrointestinali e tremore; il litio e la carbamazepina astenia, nausea, vertigini, mal di testa; per la lamotrigina vertigini, disturbi del sonno ed eruzioni cutanee; per il gabapentin sonnolenza, vertigini ed astenia; per il topiramato vertigini, tremore e disturbi dell'eloquio. 4.7.5 ANTICOLINERGICI (ANTIPARKINSONIANI ) Questi farmaci vengono usati per attenuare alcuni effetti collaterali extrapiramidali degli antipsicotici. Rispondono in particolare la distonia acuta e il parkinsonismo, mentre la risposta è meno soddisfacente per i 62 tremori, scarsa per l'acatisia e la discinesia tardiva può addirittura essere aggravata. Si è discusso a lungo se si possono prescrivere sempre questi farmaci a tutti coloro che assumono antipsicotici. Si è ormai d'accordo che la strategia migliore consiste nel farvi ricorso solo dopo che siano comparsi i sintomi extrapiramidali, perchè: gli effetti collaterali di tipo extrapiramidale non sono costanti; vi è il rischio di peggiorare un quadro di discinesia tardiva; anche questi farmaci danno effetti collaterali; ci sono persone che tendono ad abusarne; la gravità della sintomatologia extrapiramidale presenta fluttuazioni. Si possono somministrare a scopo profilattico a persone giovani di sesso maschile che assumono dosi elevate di antipsicotici ad alta potenza e quindi hanno un rischio elevato di avere effetti collaterali extrapiramidali. La posologia va adattata individualmente, per raggiungere la dose minima efficace. La dose complessiva può essere assunta una volta al giorno o essere suddivisa in più somministrazioni, con la modalità che porta al più grande sollievo dei sintomi. Si assumono per via orale, ma la benzotropina può essere somministrata per via intramuscolare se si vuole un effetto rapido (ad esempio in caso di distonia acuta). Va detto che a questo scopo si usa preferibilmente una benzodiazepina per via endovenosa, in particolare il diazepam. Questi farmaci di solito vanno sospesi dopo un certo periodo di tempo (che varia a seconda del farmaco scelto ) per accertare se ve ne sia bisogno. Se i sintomi ricompaiono, si può riprendere il trattamento. Gli effetti collaterali più frequenti sono : bocca secca; midriasi; difficoltà nella minzione; stitichezza e gastralgia; 63 nausea; sdoppiamento delle immagini. Effetti collaterali meno frequenti sono: tachicardia, vertigini, allucinazioni, euforia ed eccitamento, delirium, febbre. Gli effetti collaterali di questi farmaci sono dose-dipendeti, per cui possono essere mitigati da una riduzione della posologia. 4.7.6 BENZODIAZEPINE Classe di psicofarmaci ad azione spiccatamente ansiolitica e ipnotica (inducente il sonno). Sono sicuramente una della classi di farmaci più usati al mondo. Tra le più usate ricordiamo: diazepam, lorazepam, alprazolam. In base al loro dosaggio possono essere utilizzate sia in forme lievi di ansia e di insonnia, che in forme di gravi psicosi. Le benzodiazepine agiscono sul sistema del GABA, un neurotrasmettitore inibitorio, che ha cioè il compito di inibire la trasmissione tra i neuroni. Stimolando il GABA si ottiene un effetto calmante e rilassante. Ricerche più recenti hanno scoperto che questi farmaci agiscono anche su altri sistemi di trasmissione cerebrale, modulando l’azione di altri neurotrasmettitori quali la serotonina, la noradrenalina, l’acetilcolina e la dopamina. Le benzodiazepine sono farmaci sintomatici: agiscono cioè sul sintomo ansia ma non sulla malattia. Cessato il loro effetto, la patologia ansiosa ritorna.Vengono somministrati solitamente per via orale si differenziano tra di loro per la rapidità e durata d’azione (emivita), e su queste basi il medico sceglie l’ansiolitico più adatto al singolo caso. La distinzione tra ansiolitiche e ipnotiche corrisponde solo a una scelta di mercato: qualunque molecola può avere l’uno o l’altro effetto, è solo una questione di dosaggio. In linea teorica le benzodiazepine a emivita breve sono preferibili per indurre il sonno, quelli a emivita lunga per alleviare l’ansia. Possono essere usati anche come 64 farmaci anticonvulsivanti e come coadiuvanti nelle anestesie generali.In generale sono farmaci ben tollerati, ma possono determinare la perdita di concentrazione, l’allungamento dei tempi di reazione, la tendenza ad addormentarsi (che deve sempre essere considerata quando ci si deve mettere alla guida) e le difficoltà di deambulazione. Inoltre c’è un alto rischio che si instaurino i fenomeni di tolleranza e dipendenza: chi si abitua a prendere una benzodiazepina quotidianamente è costretto ad aumentare man mano la dose per ottenere lo stesso effetto, correndo il rischio di incorrere in un’intossicazione acuta, caratterizzata da irritabilità, aggressività, difficoltà di coordinazione, deficit di attenzione e memoria, compromissione della capacità di interazione con gli altri. Gli effetti collaterali più frequenti sono: la sonnolenza (che talvolta è un effetto desiderato), la stanchezza, la diminuizione dell' attenzione e della prontezza di riflessi e i disturbi di memoria. Effetti collaterali meno frequenti sono: senso di malessere generale con mal di testa il mattino successivo all'assunzione; vertigini; atassia; depressione delle funzioni respiratorie (che è dose-dipendente, ma può verificarsi a dose abituali in chi è affetto da enfisema grave); comportamenti disinibiti, soprattutto nei bambini, negli anziani e in chi soffre di una patologia mentale organica o che assume altri farmaci. 4.7.7 METADONE Il metadone è un composto chimico dotato di proprietà analgesiche e narcotiche, quasi altrettanto intense quanto quelle della morfina. Viene somministrato come cloridrato, per bocca in soluzione, e utilizzato per la 65 terapia di dissuefazione dall’eroina, dalla cocaina e dalla morfina nei tossicodipendenti. Può essere distribuito (in dosi cosiddette a scalare) solo presso i servizi di recupero per tossicodipendenti (SerT). L’assunzione gratuita e periodica di metadone induce alcuni tossicodipendenti a procrastinare la cessazione definitiva dell’assunzione di oppioidi. La somministrazione orale determina un aumento della durata dell'effetto analgesico; viene rapidamente assorbito e si hanno concentrazioni significative, nel plasma, già entro tre - quattro ore dall'assunzione. L'attività plasmatica del metadone è di circa 25-30 ore; le necessarie concentrazioni cerebrali sono raggiunte dopo 1-2 ore dalla somministrazione. Gli effetti collaterali correlati all' assunzione del metadone sono: sedazione, cambiamento d'umore (euforia-quiete), miosi (restringimento delle pupille), cambiamenti nell'abilità sensoria e funzionale (ovvero effetti sulle capacità decisionali, disturbi della percezione). Il metadone può anche avere un effetto avverso sulla velocità di reazione di un individuo. In tempi brevi può causare depressione respiratoria centrale dosedipendente, nausea, vomito, emicrania e stato confusionale. In tempi più lunghi può produrre disturbi del sonno e della concentrazione. Esiste anche il rischio dello sviluppo di tolleranza, di dipendenza fisicapsicologica e di sindrome d'astinenza "pesante". Come per tutti i farmaci, esistono dosi tossiche e dosi mortali. La morte si verifica per arresto respiratorio. La morte da metadone si verifica dopo le prime ore dall'assunzione di una dose letale, o dopo i primi giorni dall'aumento eccessivo della dose, perché nei primi giorni (solitamente 3-4) il farmaco sale di livello anche mantenendo uguale la dose, poi si stabilizza. 66 4.7.8 BUPRENORFINA La Buprenorfina, oppiaceo di semisintesi, è stata inizialmente utilizzata in Gran Bretagna, alla fine degli anni Settanta, come analgesico. E' un agonista parziale dei recettori μ e un antagonista dei recettori k degli oppiacei. Induce analgesia e altri effetti sul sistema nervoso centrale qualitativamente molto simili a quelli della morfina. Viene utilizzata come terapia sostitutiva nella dipendenza da oppiacei, all'interno di un trattamento medico, sociale e psicologico. E' in grado di contrastare la sindrome di astinenza da eroina. Avendo maggiore affinità di legame ai recettori μ rispetto all'eroina, la buprenorfina impedisce a quest'ultima di produrre gli effetti farmacologici ricercati dal tossicodipendente e a causa dell'occupazione recettoriale da parte della buprenorfina l'assunzione di oppiacei non potrà evocare le sensazioni ricercate nella sostanza. Inoltre, per il suo legame reversibile in modo lento con il recettore μ, che minimizza la necessità della droga per i pazienti tossicodipendenti, è adatta per la terapia di mantenimento. Altre caratteristiche degne di nota sono la lunga emivita che ne permette l'assunzione a giorni alterni, la bassa potenzialità di abuso, la possibilità di essere utilizzata per programmi di disintossicazione a breve e medio termine. E' commercializzata in Italia con il nome Subutex e Temgesic, e nelle formulazioni transdermiche con il nome Transtec. Altre strategie terapeutiche prevedono l'impiego della buprenorfina in associazione al naloxone (nome commerciale Subuxone), un farmaco dotato di attività intrinseca nulla al recettore per gli oppioidi, al fine di diminuire la potenziale diversione verso l'uso endovenoso della sostanza. La maggior parte degli effetti indesiderati riportati più frequentemente per la buprenorfina sono quelli tipici degli agonisti oppiacei (es. stitichezza, mal di testa, senso di affaticamento, insonnia e sonnolenza, nausea, 67 inappetenza). Generalmente la sintomatologia iniziale è maggiormente letargica con sedazione, sonnolenza, cefalea, nausea e vomito, astenia, ansia. Così come accade per altri oppioidi, legali o illeciti, la buprenorfina può essere oggetto di uso improprio o abuso. Alcuni dei rischi di uso improprio e abuso includono: sovradosagggio, depressione respiratoria e danni epatici. L'uso improprio di buprenorfina da parte di qualcuno che non ne sia il paziente predestinato pone il rischio aggiuntivo di nuovi soggetti con dipendenza da droghe che usano la buprenorfina come droga d'abuso principale (ciò potrebbe verificarsi se il medicinale viene distribuito per uso illecito direttamente dal paziente per cui è stato prescritto). La dipendenza o astinenza da buprenorfina si manifesta con una sintomatologia dolorosa molto più intensa e persistente rispetto a quella dell'astinenza da eroina. 68 5° CAPITOLO PROTOCOLLO DI RICERCA: CONOSCERE LA PERCEZIONE DEL RISCHIO CLINICO E LE MODALITA’ TECNICO ORGANIZZATIVE DI ALCUNI SERVIZI DEL DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE PER LA GESTIONE SICURA DEL FARMACO. 69 5.1 INTRODUZIONE L’ Azienda sanitaria di Rimini è articolata in due Distretti sanitari con due Dipartimenti di Cure Primarie, il Dipartimento di Salute Mentale e Il Dipartimento di Sanità Pubblica. Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è una struttura aziendale complessa che garantisce alla popolazione del territorio della Provincia di Rimini la tutela della salute mentale tramite processi/servizi territoriali ed ospedalieri. Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) dispone dei seguenti centri di erogazione: Centro di Salute Mentale di Rimini Centro di Salute Mentale di Riccione Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Ospedale di Rimini) Modulo organizzativo “Emergenza-Urgenza” (Residenza trattamento intensivo “Sole”) Day Hospital “ Il Giardino” Centro Diurno “I Girasoli” Modulo organizzativo Riabilitazione Psichiatrica Modulo organizzativo “Servizio Integrato Disagio Psicosociale Disabilità Mentale” Neuropsichiatria Infantile e dell’Età e Evolutiva (Distretto di Rimini – Riccione) Modulo organizzativo Reparto (Ospedale di Rimini) Dipendenze Patologiche (Ser.T) I servizi coinvolti nella ricerca sono: 70 di Neuropsichiatria Infantile SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura); Ser.T ( Servizo Territoriale Tossicodipendenze); Lo scopo della ricerca è quello di - indagare il grado di consapevolezza e percezione del rischio clinico in ambito farmacologico degli infermieri e conoscere gli interventi messi in campo dell’ Azienda in studio per garantire la sicurezza della persona assistita. 5.2 OBIETTIVI DELLA RICERCA Conoscere quali sono le modalità tecniche/organizzative che l’ Azienda Sanitaria di Rimini ha messo in campo per ridurre i rischi legati alla gestione del farmaco; Conoscere la percezione del rischio in ambito farmacologico da parte degli infermieri dei Servizi coinvolti. Popolazione in studio Infermieri del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) e Servizio Territoriale per le Tossicodipendenze (Ser.T). Il questionario è stato somministrato a 35 infermieri tra i due Servizi sopra citati. Periodo di studio Febbraio-marzo 2013 71 5.3 MATERIALI E METODI Lo studio si colloca nell’ambito della ricerca descrittiva attraverso un’indagine che prevede l’utilizzo di un questionario per l’analisi delle variabili in studio sopra indicate. Il questionario è stato distribuito nei servizi del Dipartimento di Salute Mentale di Rimini. 5.4 LO STRUMENTO Il questionario (vedi allegato n° 2) comprende 8 quesiti a risposta chiusa con i quali si intende far emergere aspetti che permettono di valutare se e come viene percepito il rischio di errore durante la gestione dei farmaci nelle fasi caratterizzanti il processo di gestione degli stessi, in particolare nella prescrizione, preparazione e somministrazione. QUESTIONARIO Unità operativa di appartenenza: _________________________________________ Da quanti anni lavori in ambito psichiatrico? ________________________________ Quali sono i casi (di errore) che si possono verificare nella vostra U.O ? (si possono barrare fino a 3 opzioni): somministrazione di un farmaco diverso da quello prescritto; mancata sospensione di una terapia; mancanza di informazioni essenziali( nome del paziente, del farmaco); 72 la prescrizione di un farmaco sbagliato; la prescrizione di un dosaggio inappropriato; prescrizione non leggibile; la prescrizione di farmaci che interagiscono tra loro; non conoscenza degli effetti collaterali; errato paziente; prescrizione di una terapia non adatta alle particolari caratteristiche del paziente; via di somministrazione errata; altro: ____________________________________________________________ ________ Nella struttura sanitaria di appartenenza è presente un servizio o progetto dedicato alla gestione del rischio : NO SI Nella sua U.O sono stati diffuse raccomandazioni scritte per la gestione sicura dei farmaci? NO SI Per ridurre incidenti, errori di terapia farmacologica, nella sua U.O sono state adottate misure di prevenzione degli eventi avversi nelle varie fasi della gestione/manipolazione del farmaco? NO SI 73 Se si quali? Utilizzo del sistema computerizzato di registrazione della somministrazione; Fornitura del farmaco in dose unitaria personalizzata; Prescrizione in stampatello; Adozione della scheda integrata di terapia; Doppio controllo, con un altro collega verifica la procedura e la dose del farmaco da somministrare; Utilizzo di un sistema computerizzato per le prescrizioni; Altro _______________________________________________________ ___ Nella sua U.O è presente un sistema di segnalazioni di eventuali eventi avversi o quasi eventi? NO SI Se la vostra risposta è si utilizzate tale strumento? NO SI Nella vostra unità operative vengono realizzate attività formative in tema di gestione sicura dei farmaci? NO 74 SI Secondo lei gli errori, gli incidenti legati alla gestione dei farmaci si verificano? NO SI Se si con quale frequenza: mai raramente qualche volta spesso ogni giorno 75 5.5 RISULTATI - Partecipazione allo studio: tra il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) ed il Servizio Tossicodipendenze (Ser.T) l’adesione all’indagine è stata del 74%. La tabella seguente riporta una breve sintesi dei risultati emersi. VARIABILI STUDIATE SI NO PRESENZA DI UN SERVIZIO AZIENDALE PER LA GESTIONE DEL RISCHIO 88% 12% PRESENZA DI RACCOMANDAZIONI SCRITTE PER LA GESTIONE SICURA DEI FARMACI 85% 15% PRESENZA DI MISURE DI PREVENZIONE DEGLI EVENTI AVVERSI 77% 23% PRESENZA DI UN SISTEMA SI SEGNALAZIONE DI EVENTI AVVERSI O QUASI EVENTI 64% 36% UTILIZZO DEL SISTEMA DI SEGNALAZIONE DI EVENTI AVVERSI O QUASI EVENTI 83% 17% PRESENZA DI ATTIVITA’ FORMATIVE IN TEMA DI GESTIONE SICURA DEI FAMRACI 46% 54% PRESENZA DI ERRORI LEGATI ALLA GESTIONE DEI FARMACI 96% 4% Per una più agevole analisi si presentano graficamente le singole risposte. 76 Presenza un servizio o progetto dedicato alla gestione del rischio Presenza di raccomandazioni scritte per la gestione sicura dei farmaci: Presenza di misure di prevenzione degli eventi avversi: 77 Presenza di un sistema di segnalazione di eventi avversi o quasi eventi: 78 Utilizzo del sistema di segnalazione di eventi avversi o quasi eventi: Presenza di attività formativa in tema di gestione sicura dei farmaci: Presenza di errori legati alla gestione dei farmaci: 79 Eventi indesiderati più frequenti che si possono verificare nella gestione sicura del farmaco Somministrazione di un farmaco diverso da quello prescritto Mancata sospensione di una terapia Mancanza di informazioni essenziali (nome del paziente, del farmaco) Prescrizione di un dosaggio inappropriato Prescrizione non leggibile Non conoscenza degli effetti collaterali Errato paziente Prescrizione di una terapia non adatta alle particolari caratteristiche del paziente 80 Misure di prevenzione dell’errore nelle diverse fasi di gestione del farmaco Utilizzo del sistema computerizzato di registrazione della somministrazione Fornitura del farmaco in dose unitaria personalizzata Prescrizione in stampatello Adozione della scheda integrata di terapia Doppio controllo, con un altro collega verifica la procedura e la dose del farmaco da somministrare Utilizzo si un sistema computerizzato per le prescrizioni RISULTATI Sulla base degli obiettivi definiti nel protocollo di ricerca possiamo fare le seguenti valutazioni: 1. Conoscere quali sono le modalità tecniche/organizzative che l’ Azienda Sanitaria di Rimini ha messo in campo per ridurre i rischi legati alla gestione del farmaco. I risultati dell’indagine evidenziano che nell’Azienda Sanitaria in studio è presente un Servizio/progetto dedicato alla Gestione del Rischio Clinico fornendo agli operatori i mezzi per esprimere i disagi o gli eventi avversi o quasi eventi che si possono manifestare nel processo assistenziale (dal ricovero alla dimissione e/o a livello ambulatoriale). In particolare, hanno introdotto un sistema di incident reporting che permette in modo anonimo di segnalare eventi, quasi eventi, errori che possono verificarsi nella pratica clinica, hanno distribuito nelle varie Strutture Operative protocolli per la sicura gestione del farmaco con successiva attuazione da parte degli 81 operatori coinvolti, con l’obiettivo di ridurre il presentarsi di nuovi eventi avversi ( near miss). La non completa conoscenza di tali modalità organizzative induce però a pensare che vi sia necessità di una maggiore condivisione dei percorsi organizzativi di gestione del rischio nella realtà sanitaria. 2. Conoscere la percezione del rischio in ambito farmacologico da parte degli infermieri dei Servizi coinvolti. I risultati dell’indagine hanno evidenziato che gli infermieri coinvolti sembrano avere una buona consapevolezza e percezione dei rischi a cui vanno incontro nelle varie fasi che caratterizzano il processo di gestione dei farmaci. Sembra inoltre non esservi molta discrepanza tra gli operatori della stessa Struttura Operativa presa in esame nel dichiarare la frequenza con cui gli “ eventi avversi” o “quasi eventi” nella gestione dei farmaci. In particolare, gli infermieri di entrambe le Strutture coinvolte hanno confermato che gli errori si verificano anche se non sempre causano conseguenze gravi. 82 CONCLUSIONI Attraverso la realizzazione della ricerca presentata in questa tesi ho potuto approfondire le mie conoscenze relative alla gestione del farmaco, ai pericoli che tali attività nascondono ma anche alle ampie possibilità di prevenzione degli errori che possono essere messi in atto, a livello aziendale, a livello di Unità Operativa e/o a livello ambulatoriale. Il questionario è stato utile per comprendere che la percezione degli errori nella gestione dei farmaci è presente nel bagaglio culturale e professionale di molti infermieri dei Reparti presi in studio. Tuttavia, dalle risposte al questionario è emerso che è necessario sostenere ed arricchire le conoscenze in merito ed aumentare maggiormente la consapevolezza che grazie alla formazione, informazione e condivisione sugli eventi avversi o quasi eventi si possono ridurre ulteriormente il verificarsi del medesimo errore grazie all’identificazione delle cause alla radice del problema. 83 BIBLIOGRAFIA G. Andrews, – C. Hunt, M. Jarry, -P. Morosini, R. Roncone, – G. Tibaldi “DISTURBI MENTALI Competenze di base, strumenti e tecniche per tutti gli operatori”, Ed. Centro Scientifico 2004 (seconda edizione) Audit Commission (2001) A spoonful of sugar, Audit commission publications, PO Box Wetherby LS23 7JA (author, Mapstone, N) Barker K.N. et. al. Arch. Intern. 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