rescissione , risoluzione e obbligazioni derivanti da atti

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“RESCISSIONE, RISOLUZIONE E
OBBLIGAZIONI DERIVANTI DA ATTI
UNILATERALI”
PROF. GIOVANNI SABBATO
Università Telematica Pegaso
Rescissione, risoluzione e obbligazioni derivanti
da atti unilaterali
Indice
1
L’ INVALIDITÀ DEL CONTRATTO: NOZIONE --------------------------------------------------------------------- 3
2
LE FIGURE AFFINI ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
3
NULLITÀ E ANNULLABILITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------- 6
4
LA NULLITÀ PARZIALE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
5
RINNOVAZIONE E CONVERSIONE ------------------------------------------------------------------------------------ 9
6
SANATORIA DEL NEGOZIO ANNULLABILE ---------------------------------------------------------------------- 10
7
RESCISSIONE DEL CONTRATTO -------------------------------------------------------------------------------------- 11
8
RISOLUZIONE DEL CONTRATTO: GENERALITÀ --------------------------------------------------------------- 13
9
RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO ----------------------------------------------------------------------------- 14
10
LE IPOTESI DI RISOLUZIONE LEGALE ----------------------------------------------------------------------------- 15
11
LA RISOLUZIONE PER IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA --------------------------------------------------- 17
12
IL PRINCIPIO DEL PERIMENTO DEL BENE NEI CONTRATTI TRASLATIVI --------------------------- 18
13
LA RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA -------------------------------------- 19
14
INTERPRETAZIONE DEI CONTRATTI ------------------------------------------------------------------------------- 20
15
LE OBBLIGAZIONI DERIVANTI DA PROMESSA UNILATERALE ------------------------------------------ 21
16
LA PROMESSA AL PUBBLICO ------------------------------------------------------------------------------------------ 23
17
CONCESSIONE UNILATERALE DI IPOTECA E TITOLI DI CREDITO ------------------------------------- 24
18
OBBLIGAZIONI DERIVANTI DA ALTRI FATTI LECITI -------------------------------------------------------- 25
19
LA GESTIONE DI AFFARI ALTRUI ------------------------------------------------------------------------------------ 26
20
IL PAGAMENTO DELL’INDEBITO ------------------------------------------------------------------------------------ 27
21
L’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA --------------------------------------------------------------------------------- 28
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 L’ invalidità del contratto: nozione
Due sono le forme di invalidità contrattuali, riconosciute unanimemente come tali : quella
più grave della nullità e quella meno grave dell’annullabilità.
L’invalidità negoziale ha sia un significato punitivo, atteggiandosi così a sanzione in seguito
a violazione di norme di legge, sia un significato di rimedio, quale strumento di tutela del contraente
incapace o esprimente una volontà viziata.
Si ritiene da alcuni che rientrino nel concetto di invalidità anche gli istituti affini della
rescissione e risoluzione.
A prescindere dalla considerazione del rimedio rescissorio in termini di invalidità - secondo
alcuni ascrivibile ad un difetto causale, ma in realtà da ricondurre soltanto ad una esigenza di equità
nella contrattazione e quindi di equilibrio tra prestazione e controprestazione - certamente la
risoluzione si differenzia dalle ipotesi di invalidità, in quanto attiene non all’atto assolutamente
valido, bensì al rapporto che ne consegue.
Nullità ed annullabilità, invece, si ricollegano a vizi dell’atto negoziale e soggiacciono a
discipline del tutto differenti.
Il sistema normativo del codice non dedica le proprie norme alla invalidità bensì alle sue
specie della nullità e dell’annullabilità, anche se alcune norme sono peculiari al tipo negoziale a cui
sono riferite.
Si pensi, ad esempio, alla disciplina della invalidità del matrimonio.
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2 Le figure affini
Dal concetto di invalidità vanno distinti quelli affini della irregolarità del negozio, della
inesistenza e della inefficacia.
Per negozio irregolare si intende un negozio valido ed efficace seppure stipulato in
violazione di talune norme di legge, in ordine alle quali l’ordinamento non dispone alcuna forma di
invalidità negoziale, limitandosi ad irrogare sanzioni pecuniarie nei confronti dei soggetti stipulanti
: classico è l’esempio del matrimonio celebrato in violazione del divieto di nuove nozze imposto
temporaneamente alla vedova (cd. lutto vedovile).
L’inesistenza, invece è una categoria dogmatica, cioè frutto di elaborazione dottrinale, che si
riferisce alle ipotesi in cui manchi quel minimo di elementi materiali che permettono almeno di
avere un’apparenza di negozio giuridico: classico è l’esempio del contratto concluso dall’infante o
per mero scherzo.
La giurisprudenza1 utilizza il concetto in materia di deliberazioni assembleari, ritenendo che
ove esse siano inesistenti siano impugnabili senza limiti di tempo.
Più complesso è infine il discorso che attiene all’inefficacia.
La riflessione che il contratto nullo non produce effetti e quello annullabile li produce, anche
se rimovibili con la sentenza di annullamento, induce la dottrina a ritenere che i fenomeni della
invalidità e dell’inefficacia coincidono, ad esclusione di quelle ipotesi in cui l’atto è valido ma, per
una qualche ragione, improduttivo di effetti.
Così si distingue tra inefficacia in senso stretto e in senso lato, facendo coincidere
l’invalidità proprio con tale secondo concetto.
Quello di inefficacia in senso stretto si presta poi a talune distinzioni.
Innanzitutto quella tra inefficacia assoluta e relativa, a seconda che il negozio non produce
effetti nei confronti sia delle parti, che dei terzi, o soltanto nei confronti dei terzi o di determinati
terzi.
L’inefficacia relativa viene definita anche inopponibilità e se ne ha un classico esempio nel
caso di esperimento di azione revocatoria.
1
Cassazione civile , sez. I, 02 aprile 2007, n. 8222.
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Altra distinzione è quella tra inefficacia originaria o sopravvenuta, a seconda che
l’inidoneità a produrre effetti si abbia sin dall’inizio, come nel caso della condizione sospensiva, o
sia successiva, come nel caso della condizione risolutiva.
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3 Nullità e annullabilità
Vediamo adesso, partitamente, la disciplina della nullità e dell’annullabilità .
Innanzitutto la nullità è la specie più radicale di invalidità non a caso definita assoluta con
totale ed originaria inettitudine dell’atto a produrre effetti.
Le cause di nullità del negozio sottendono la generalità degli interessi che l’ordinamento
vuole salvaguardare e si riconducono, innanzitutto, alla mancanza di uno degli elementi essenziali
descritti dall’articolo 1325 c.c.., quali la causa, l’oggetto, la forma ad substantiam, il consenso,
come nell’ipotesi della violenza assoluta.
Più in generale, si può dire che il contratto è nullo quando esso è contrario a norme
imperative, salvo che la legge disponga diversamente, ad esempio prevedendo che alla violazione
consegue soltanto l’annullabilità dell’atto; ma la nullità può scaturire anche dalla illiceità della
causa, e dell’oggetto o della condizione che ne sospende o ne risolva gli effetti, o del motivo
quando però sia comune ad entrambe le parti e determinante del consenso.
Illiceità significa contrarietà a norme imperative, ordine pubblico o buon costume, secondo
quella triade di cui già si è detto a proposito delle cd. clausole contrattuali.
E’ bene comunque rammentare che le cause di nullità sono elencate dall’articolo 14182 c.c. e
che si reputa, altresì, illecita la causa quando il contratto sia stato stipulato in frode alla legge,
concetto questo di cui si è già parlato in altra sede.
La nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata
d’ufficio dal giudice.
Si discorre quindi di assolutezza della legittimazione ad agire, anche se vi sono rari casi in
cui tale legittimazione è relativa, come nel caso del contratto di edizione.
L’azione di nullità è inoltre imprescrittibile.
La particolarità del negozio nullo è quello poi di non essere sanabile, a differenza di quello
annullabile, che è suscettibile di convalida.
2
Nell’interpretare l’art. 1418, la giurisprudenza giunge a due conclusioni : 1) la nullità del contratto va esclusa in caso
di contrasto con norme imperative in presenza di una previsione espressa del legislatore di una sanzione diversa dalla
nullità assoluta (Cassazione, Sez. II, 28 settembre 1996, n. 8561); 2) la nullità può scattare anche quando ad essere
violata è una norma che non prevede espressamente tale sanzione, purché si tratti di norma inderogabile concernente la
validità del contratto e non già di norma, anch’essa imperativa, riguardante il comportamento dei contraenti la quale può
essere fonte di responsabilità (Cassazione Sezioni Unite, 19 dicembre 2007, n. 26724).
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Eppure la dottrina ha enucleato i casi della cd. sanatoria eccezionale del negozio nullo, che
trovano la loro più significativa esemplificazione nella conferma del testamento (art. 590 c.c.) o
della donazione nulli (art. 799 c.c.).
Molto si è discusso circa la possibilità di coniugare tale fattispecie con la particolare gravità
della sanzione costituita dalla nullità, sostenendo alcuni che gli effetti prodotti dalla fattispecie
sarebbero da ricondurre non al negozio nullo, bensì all’atto confermativo.
Sicuramente non è però suscettibile di sanatoria l’atto inesistente, così dando ulteriore
ragione giustificativa alla tesi della distinzione tra inesistenza e nullità.
La sentenza che dichiara la nullità è di mero accertamento, a differenza di quella di
annullamento che è costitutiva.
L’annullabilità, come detto, rappresenta una ipotesi di invalidità meno intensa in quanto, in
tal caso, il negozio è affetto da un vizio meno grave, per cui produce effetti sin dalla sua
conclusione ed è sanabile mediante la convalida.
I casi in cui il negozio è annullabile sono previsti espressamente dalla legge e si riconducono
innanzitutto alle ipotesi di incapacità a contrarre, a vizi del consenso, al contratto con se stesso.
Legittimato ad esperire l’azione di annullamento può essere chiunque vi abbia interesse
(annullabilità assoluta) ovvero solo il soggetto nel cui interesse l’annullamento è stabilito dalla
legge (annullabilità relativa); la causa di annullamento non può essere rilevata d’ufficio dal giudice
l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni, seppure l’annullabilità può essere opposta dalla
parte convenuta in sede di eccezione in qualsiasi tempo; la sentenza che rileva una causa di
annullamento è costitutiva; l’atto annullabile è sempre sanabile.
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4 La nullità parziale
Il codice dedica l’art. 1419 c.c. al tema della nullità parziale del negozio, cioè la nullità che
riguarda soltanto alcune clausole di questo, stabilendo che tale nullità importa quella dell’intero
contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto
che è colpita dalla nullità.
Si ritiene che tale norma risponda al principio di conservazione degli effetti del contratto,
consentendo quindi che esso possa sopravvivere alla nullità di talune sue clausole, ove esse però
non siano essenziali, cioè non abbiano avuto un ruolo decisivo nella formazione della volontà
contrattuale.
Al fine di stabilire se le clausole affette da nullità siano meno essenziali il giudice deve
ricostruire la volontà ipotetica delle parti3.
La nullità di singole clausole comunque non importa la nullità dell’intero contratto quando
le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, così configurandosi una
combinazione tra l’art. 1419, comma 2°, e l’art. 1339 c.c., che disciplina proprio la sostituzione
automatica delle clausole invalide.
3
Secondo la giurisprudenza (Cassazione, Sez. III, 21 maggio 2007, n. 11673), in materia di contratti, agli effetti
dell'interpretazione della disposizione contenuta nell'art. 1419 c.c., vige la regola secondo cui la nullità parziale non si
estende all'intero contenuto della disciplina negoziale se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con
esso perseguiti, secondo quanto emerge dall’attività ermeneutica svolta dal giudice; per converso, l’estensione all’intero
negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata.
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5 Rinnovazione e conversione
D’altro canto, se è vero che il contratto nullo non è convalidabile esso è però rinnovabile,
cioè il suo contenuto può venire trasfuso in un nuovo contratto in cui è assente la causa di nullità.
Il contratto rinnovato è quindi un contratto del tutto nuovo, che ha efficacia dal momento
della sua conclusione.
Diverso dalla rinnovazione del contratto nullo è la sua conversione, prevista dall’art. 1424
c.c., ove è statuito che il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale
contiene i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti
debba ritenersi che essi lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.
Anche l’art. 1424 c.c. si riconnette al principio di conservazione del negozio e la
conversione si differenzia dalla rinnovazione, in quanto essa non richiede un nuova manifestazione
di volontà bensì è frutto della ricostruzione della volontà ipotetica da parte del giudice che
trasforma il contratto nullo in altro dagli effetti più ristretti.
Proprio la produzione di effetti minori da parte della nuova fattispecie negoziale individuata
dal giudice induce la dottrina ad assimilare il concetto di conversione a quello di riduzione, che però
secondo altra parte della dottrina riguarderebbe altre ipotesi, come quella della riduzione della
clausola penale da parte del giudice ove sia di ammontare eccessivo.
Si distingue infine tra la conversione cd. sostanziale, di cui all’art. 1424 c.c., e la
conversione cd. formale, che si ha allorquando un negozio presenti un difetto di forma non sanabile
per cui si converte ex lege in un negozio con contenuto uguale e con forma sufficiente.
Si discorre così di conversione legale, cioè imposta dalla legge.
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6 Sanatoria del negozio annullabile
La sanatoria del negozio annullabile avviene attraverso la cd. convalida, che può essere
espressa oppure tacita e quindi manifestata all’esterno mediante fatti concludenti.
La convalida è un negozio giuridico unilaterale, secondo alcuni a forma libera, che elimina
la situazione di incertezza in ordine alla persistenza dello strumento negoziale adottato ed ha
funzione di integrare la volontà viziata del negozio cui si riferisce.
Questo spiega perché il negozio rescindibile non è mai convalidabile, perché qui non si ha
un difetto di volontà, bensì uno squilibrio tra le prestazioni.
A questo punto si tratta di distinguere la convalida dalle figure affini, in particolare dalla
rinnovazione del contratto nullo, che produce effetti, a differenza della convalida, solo dal momento
della sua conclusione e non da quello del contratto originario cui si riferisce.
Quindi nella sequenza negozio annullabile - negozio di convalida, gli effetti rimangono
prodotti dal momento della conclusione del primo degli atti indicati; nel caso della rinnovazione del
contratto nullo gli effetti si producono soltanto dal momento della rinnovazione.
Altresì, si distingue dalla rettifica, che riguarda l’errore di calcolo, e dalla ratifica, che
riguarda il negozio concluso dal rappresentante senza poteri (falsus procurator), ove viene in
evidenza non un difetto di volontà ma una carenza di legittimazione.
In conclusione occorre stabilire quale esito abbiano i diritti dei terzi rispetto a un negozio
invalido dalle cui parti essi abbiano acquistato.
Principio generale vuole che il negozio nullo produce effetti tra le parti e la nullità è anche
opponibile ai terzi, pur quando questi fossero in buona fede e quindi non a conoscenza della causa
di nullità.
E’ vero però che il terzo, in via eccezionale, può rimanere indenne, ad es. in virtù della
disciplina della cosiddetta pubblicità sanante, in virtù della quale il terzo in buona fede fa salvo il
suo acquisto ove abbia trascritto il proprio atto d’acquisto prima della trascrizione della domanda
giudiziale di nullità, avanzata dalle parti del contratto traslativo, e siano trascorsi almeno 5 anni tra
la trascrizione del contratto nullo e quella della domanda giudiziale di nullità.
L’annullabilità, a differenza della nullità, non è sempre opponibile ai terzi, in quanto, ove
non si tratti di incapacità legale, vengono fatti salvi i diritti acquistati dai terzi a titolo oneroso e in
buona fede.
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7 Rescissione del contratto
Si è già detto che l’istituto della rescissione risponde ad una esigenza di equità nelle
contrattazioni, in ossequio alla quale si impone che prestazioni e controprestazioni siano in
equilibrio tra di loro. L’art. 1447 c.c. statuisce, quindi, che il contratto con il quale una parte assume
obbligazioni a condizioni inique per la necessità nota alla controparte di salvare sé o altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso su istanza del contraente
sfavorito.
Si ha quindi la prima ipotesi di rescissione che è quella dello stato di pericolo.
L’art. 1448 c.c. prevede la seconda ipotesi, che è quella dello stato di bisogno quando tra le
prestazioni di un contratto concluso in stato di bisogno di una parte, del quale l’altra abbia
approfittato, vi è una grave sproporzione, in quanto il valore di una è più del doppio del valore
dell’altra.
Si ritiene quindi che il contratto sia rescindibile, in tal caso purchè il contraente sfavorito
sopporti una lesione cosiddetta ultra dimidium ( cioè superiore alla metà).
Per quanto attiene al regime giuridico dell’istituto, si ricordi che : sono esclusi dalla
rescissione i contratti aleatori; l’azione di rescissione deve essere esercitata entro un anno dalla
conclusione del contratto; non è ammessa la convalida del contratto rescindibile; il contraente,
contro il quale è domandata la rescissione, può evitarla offrendo una modifica tale da ricondurre il
contratto ad equità (cd. reductio ad aequitatem4); la sentenza di rescissione, che ha natura
costitutiva, elimina il contratto tra le parti con efficacia retroattiva mentre non pregiudica i diritti
acquistati dai terzi.
Nella pratica accade spesso che il contratto rescindibile consista in un prestito di denaro a
tassi usurari, così dando luogo alla astratta ipotizzabilità del reato di usura.
Il problema che si è posto era quello di stabilire quando gli interessi si dovessero ritenere
usurari nel contratto di mutuo, ove una parte concede un prestito di denaro all’altra.
4
F.DEL BENE, Appunti sul rimedio della reductio ad aequitatem, in Giur. merito, 1997, 1, 198, secondo cui la disputa
per la configurazione dell’offerta come atto sostanziale o processuale ha ad oggetto un falso problema : infatti, non deve
indurre a diversa conclusione il collegamento dell’offerta con un atto processuale, poiché altro è l’ effetto negoziale che
la parte persegue, intercedente iudice, e che modifica la situazione del giudizio, ed altro l’atto processuale che mira a far
valere, di fronte al giudice, la nuova situazione.
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Il problema è stato risolto con la legge n. 108/96, ove è statuito che il criterio di cui tenere
conto è quello del tasso medio praticato dalle banche nella determinazione degli interessi rispetto a
prestiti di danaro, aumentato della metà5.
Ad es. se il tasso è del 18% saranno usurari tutti gli interessi superiore al 27%; se essi sono
inferiori a tale quota, non è escluso che siano comunque usurari in quanto occorre valutare caso per
caso se essi siano sproporzionati anche in considerazione delle condizioni economiche del
mutuatario; là dove il contratto di mutuo risulti usurario la clausola relativa agli interessi sarà nulla.
5
A tale legge ha fatto seguito il D.L.394/00, intitolato “interpretazione autentica della L.7/3/96 n°108”, il legislatore
ha stabilito che “ai fini dell’applicazione dell’art.644 cp e dell’art.1815 cc, 2° comma, si intendono usurari gli interessi
che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo,
indipendentemente dal loro pagamento”.
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8 Risoluzione del contratto: generalità
Già si è detto che la risoluzione non rappresenta una ipotesi di invalidità negoziale, in
quanto qui il contratto stipulato è perfettamente valido, ma piuttosto interviene una turbativa del
rapporto contrattuale conseguente all’inadempimento di una delle parti della propria prestazione,
alla impossibilità sopravvenuta di una delle prestazioni, alla eccessiva onerosità sopravvenuta.
Le evenienze, così sopra elencate, rappresentano le tre ipotesi tipiche di risoluzione, che
vanno partitamente esaminate.
In via preliminare occorre però evidenziare la distinzione tra risoluzione giudiziale e
risoluzione legale, detta anche di diritto o stragiudiziale, che si deve al fatto che la prima
presuppone l’intervento del giudice, la seconda invece opera automaticamente (ipso jure).
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9 Risoluzione per inadempimento
Di fronte all’inadempimento dell’altra parte il contraente : può conservare interesse
all’adempimento della prestazione e pertanto chiede al giudice che il contraente inadempiente venga
condannato ad eseguire la sua prestazione; può altresì non avere più interesse alla prestazione e
pertanto invoca la risoluzione del contratto; può limitarsi ad assumere una posizione di attesa,
rifiutandosi soltanto di eseguire, per il momento, la propria prestazione.
Nel primo caso si ha l’istituto della cd. manutenzione del contratto, nel secondo della
risoluzione del contratto, nel terzo caso della cd. eccezione di inadempimento.
Per quanto attiene alla risoluzione, in tal caso è detta appunto risoluzione per
inadempimento, e ben può essere richiesta dal contraente che ha inizialmente chiesto giudizialmente
l’adempimento, così dando luogo alla cd. mutatio libelli, che può aver luogo solo nel senso
anzidetto e non in quello contrario in quanto il contraente non può più chiedere l’adempimento una
volta chiesta la risoluzione.
L’inadempimento, per giustificare la risoluzione, deve essere di non scarsa importanza,
come statuito l’art. 1455 del codice, e la giurisprudenza6, al fine di effettuare tale valutazione, tiene
conto sia dell’interesse soggettivo del creditore che della obbiettiva incidenza dell’inadempimento
nell’economia del contratto.
Una volta dichiarata dal giudice, la risoluzione elimina il contratto con effetto retroattivo tra
le parti, per cui queste devono restituire quanto ricevuto ed il contraente inadempiente è tenuto al
risarcimento del danno. La risoluzione invece non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, siano essi
in buona o mala fede.
6
Cassazione, Sez. II, 28 marzo 1995, n. 3669.
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10 Le ipotesi di risoluzione legale
In tre casi la risoluzione è legale per cui essa scatta ipso iure:
1) diffida ad adempiere;
2) clausola risolutiva espressa;
3) termine essenziale,
Analizziamoli brevemente una per una.
Per quanto attiene la diffida ad adempiere, questa consiste nella intimazione per iscritto da
parte del contraente alla controparte inadempiente di adempiere entro un congruo tempo, con
l’espresso avvertimento che, trascorso inutilmente questo termine, il contratto dovrà considerarsi
automaticamente risolto7.
La clausola risolutiva espressa, invece, è inserita nel contratto d’accordo tra le parti ed in
essa si stabilisce espressamente che il contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non
sia adempiuta ovvero non lo sia con le modalità stabilite.
Tale clausola deve essere formulata in modo non equivoco e deve essere specifica, in quanto
deve riferirsi a determinati obbligazioni; la risoluzione del contratto si verifica automaticamente
quando la parte interessata dichiara all’altra di volersi avvalere della clausola risolutiva8.
Il termine essenziale, infine, si caratterizza per il fatto che dopo la sua scadenza il creditore
non ha più interesse all’adempimento della prestazione, con la conseguenza che il contratto si
risolverà automaticamente, a meno che il contraente non richieda al debitore, entro tre giorni,
l’adempimento tardivo.
Si è detto che il contraente, di fronte all’inadempimento dell’altra parte, può limitarsi ad
assumere un atteggiamento di attesa, senza dover decidere se chiedere l’adempimento con l’azione
di manutenzione oppure la risoluzione del contratto.
Il contraente quindi avrà modo di avvalersi della cd. eccezione di inadempimento (art. 1460)
purchè tale rifiuto di adempiere la propria prestazione ( cosa nella quale sostanzialmente consiste
7
G.MIRABELLI, Dei contratti in generale, Torino, 1962, secondo il quale il rifiuto di adempiere a seguito della diffida
permetterebbe al debitore pur sempre un adempimento successivo, purché, ovviamente, entro il termine fissato nella
diffida stessa.
8
Secondo la giurisprudenza (Cassazione, Sez. I, 5 maggio 1995, n. 4911), tale dichiarazione può essere resa anche in
maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell’atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti
giudiziari equipollenti, ma non può, in nessun caso, avere effetto se la controparte ha già adempiuto alle proprie
obbligazioni contrattuali.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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l’eccezione di inadempimento ) non sia contrario alla buona fede, intesa in tal caso in senso
oggettivo come dovere di comportamento corretto.
L’eccezione di inadempimento rappresenta una ulteriore ipotesi, come il diritto di ritenzione
o la clausola penale, di cd. autotutela privata e può riguardare non solo le ipotesi in cui prestazione
e controprestazione devono essere eseguite simultaneamente, ma anche quelle in cui il contraente
che si avvale della predetta eccezione deve adempire successivamente all’altro; certo non può
essere esercitata da parte del contraente che deve adempiere per primo, il quale però può sospendere
(art. 1461) l’esecuzione della propria prestazione se le condizioni patrimoniali dell’altra parte sono
divenute tali da porre in pericolo il conseguimento della controprestazione.
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11 La risoluzione per impossibilità sopravvenuta
Tale forma di risoluzione può comprendersi solo precisando che la risoluzione del contratto
presuppone che questo sia a prestazioni corrispettive, con la conseguenza che nell’ambito del
medesimo rapporto contrattuale si configurano due distinti ed autonomi rapporti obbligatori nei
quali ciascun contraente assume vicendevolmente le vesti di debitore e creditore (ad es. il
contraente Tizio è ad un tempo creditore della prestazione da Caio e debitore della
controprestazione a Caio).
Da tanto consegue che si ha connessione tra la disciplina delle obbligazioni e quella dei
contratti, nel senso che la prestazione dedotta nel rapporto obbligatorio, in cui il creditore è Tizio,
diviene impossibile per causa non imputabile al debitore Caio con conseguente estinzione e
liberazione debitoria, mentre l’altra obbligazione dedotta nel medesimo rapporto contrattuale, ed in
cui è dedotta la controprestazione alla quale ha diritto Caio, si risolve anche essa per impossibilità
sopravvenuta e tale risoluzione avrà luogo autonomamente.
Lo stesso fatto, cioè, estingue la prima obbligazione e contestualmente risolve la seconda.
Può accadere, poi, che la prestazione sia divenuta impossibile solo in parte : l’altro
contraente ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da lui dovuta; così pure se
l’impossibilità è solo temporanea l’esecuzione del contratto rimane sospesa a vantaggio di entrambe
le parti.
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12 Il principio del perimento del bene nei contratti
traslativi
Nei contratti che trasferiscono il diritto di proprietà o altro diritto reale la prestazione diventa
impossibile a seguito del perimento del bene oggetto del trasferimento stesso.
In tal caso deve chiedersi quale dei due contraenti dovrà sopportare il rischio di tale
perimento e quindi sopportare le conseguenze economiche di tale evento.
In base al principio di derivazione romanistica res perit domino ( la cosa perisce nei
confronti del proprietario ), è colui che sarà considerato proprietario a subire la perdita economica
conseguente alla distruzione del bene.
Pertanto la soluzione del problema implica quella del problema connesso, costituito dalla
individuazione del momento in cui l’effetto traslativo si produce, momento che corrisponde a quello
in cui è manifestato il consenso delle parti trattandosi di contratti ad effetti reali rispetto ai quali
vige il principio con sensualistico; ma sarà un momento differito ove il contratto di vendita abbia ad
oggetto una cosa non determinata ma generica o le parti abbiano apposto alla vendita una
condizione sospensiva.
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13 La risoluzione per eccessiva onerosità
sopravvenuta
Tale terza ed ultima forma di risoluzione scatta quando la prestazione per una delle parti sia
divenuta eccessivamente onerosa a causa del verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili
che non possono rientrare, in quanto tale, nella normale incertezza economica di un assetto
contrattuale ( cd. alea del contratto )9.
Ciò significa che non si potrà mai sapere con anticipo quale dei due contraenti potrà godere
maggiori vantaggi dalla stipulazione e successiva esecuzione del contratto.
E questo spiega altresì perché la risoluzione non è applicabile ai contratti aleatori, ove i
contraenti si sono volontariamente assunti il rischio di uno squilibrio tra le prestazioni che è tipico
di questa categoria di contratti.
I contratti invece per tale via risolubili sono quelli ad esecuzione continuata o periodica,
nonché quelli ad esecuzione differita.
La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non scatta automaticamente, ma è
pronunciata dal giudice con sentenza costitutiva e gli effetti sono quelli della risoluzione per
inadempimento.
Il contraente contro il quale la risoluzione è domandata può evitarla offrendo di modificare
equamente le condizioni del contratto.
9
Secondo la giurisprudenza (Cassazione, Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22396) l’eccessiva onerosità sopravvenuta della
prestazione, per potere determinare, ai sensi dell'art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto richiede la sussistenza di due
necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del
contratto, dall'altro, la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che
non rientrano nell'ambito della normale alea contrattuale. Il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva,
qualificando un evento in base all'apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l'intensità, suscettibili
di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere
statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia
della conoscenza.
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14 Interpretazione dei contratti
Generalmente si ricollega la interpretazione del contratto a quella della legge e se ne
individua la differenza per il fatto che quest’ultima ha carattere obbiettivo, in quanto tende a
ricercare la volontà oggettiva della quale il testo di legge è espressione, la prima invece ha carattere
soggettivo perché ha per scopo quella di ricercare la comune intenzione dei contraenti.
Tuttavia si distingue tra un’interpretazione soggettiva, quale quella di cui ai criteri elaborati
dagli artt. 1362 - 1365 c.c., e una interpretazione oggettiva, che mira a salvificare le clausole
contrattuali delle quali rimangono oscuro il reale intrinseco significato.
Va evidenziato che i criteri di interpretazione oggettiva di cui agli artt. 1367 - 1371 c.c. che
possono essere utilizzati dall’interprete solo quando sia impossibile utilizzare quelli di
interpretazione soggettiva.
Conferma il dato anzidetto, della natura essenzialmente soggettiva della interpretazione
contrattuale, il primo comma dell’art. 1362, l’art. 1366, che ribadisce la clausola generale di buona
fede anche in sede di attività interpretativa, l’art. 1370 c.c. e soprattutto l’art. 1371 c.c., che
distingue a seconda che l’atto sia a titolo gratuito o titolo oneroso : se il contenuto del contratto
rimanga oscuro nonostante l’uso di criteri di interpretazione soggettiva e oggettiva nel primo caso
deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’unico obbligato nell’altro in maniera da assicurare
l’equo contemperamento degli interessi ; così dando luogo ad una ulteriore applicazione di quel
principio di equità che talune norme del codice esprimono.
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15 Le obbligazioni derivanti da promessa unilaterale
Abbiamo definito fonti delle obbligazioni tutti i fatti giuridici idonei a fare sorgere delle
obbligazioni.
Ci siamo soffermati sul contratto che, tra le fonti delle obbligazioni, occupa una posizione di
importanza primaria.
Ed è stato messo in evidenza che il contratto, dal punto di vista della sua struttura, si
presenta come una specifica figura di negozio giuridico.
Dobbiamo trattare le altre fonti delle obbligazioni cominciando dalle promesse unilaterali
nelle sue note differenziali con lo strumento contrattuale.
La promessa unilaterale consiste in una dichiarazione emessa da una parte
(detta
promittente), la quale si obbliga a una determinata prestazione.
L’obbligazione nasce a carico del promittente, senza che sia necessaria l’accettazione
dell’altra parte : in questo la promessa (negozio unilaterale) si differenzia dal contratto (negozio
bilaterale o plurilaterale).
E’ poi da notare che, mentre il contratto è una figura generale di fonte d’obbligazione
(abbiamo visto, infatti, che le parti possono concludere anche contratti non previsti dalla legge), lo
stesso non può dirsi della promessa unilaterale, la quale “non produce effetti obbligatori fuori dei
casi ammessi dalla legge” (cfr. art. 1987 c.c.).
Si afferma quindi, sia in dottrina10 che in giurisprudenza11, il principio di tipicità delle
promesse unilaterali.
Il codice attribuisce efficacia vincolante a tre figure di promessa unilaterale ( articoli 1988 1991 c.c. ) :
 la promessa di pagamento;
 la ricognizione di debito;
 la promessa al pubblico.
10
F.SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, p.172, secondo cui a disciplina dell’art.1987
dimostra che “l’ attitudine della volontà unilaterale a influire sulla sfera giuridica dell'agente o, ciò che è ancora più grave, di altri
soggetti, non è ammessa dalla legge che in relazione a funzioni tipiche, il che equivale a dire che i negozi unilaterali sono tutti.
nominati, cioè individuati e regolati dalla legge in relazione alla loro causa”. Secondo altra opinione l’art. 1333 è noma idonea a
ricomprendere tutti i casi di promessa unilaterale atipica.
11
Cassazione, 26 giugno 1995, n. 7216.
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La promessa di pagamento e la ricognizione di debito sono dei negozi giuridici unilaterali,
con i quali taluno, senza indicare la causa, dichiara di impegnarsi o rispettivamente riconosce di
essere tenuto a eseguire una prestazione a favore di un’altra persona (ti darò mille; oppure riconosco
di doverti mille).
Nonostante vengano elencati tra le fonti del rapporto obbligatorio, questi due atti, in realtà,
non creano una obbligazione, ma presuppongono che questa già esista : la loro efficacia consiste
nell’esonerare il creditore dall’onere di provare l’esistenza del rapporto obbligatorio.
Di regola, infatti chi agisce in giudizio per la tutela di un proprio diritto deve provarne il
fondamento, in ottemperanza del principio dell’onere della prova.
Nel momento in cui, invece, il debitore promette di pagare oppure riconosce di avere un
debito nei confronti del creditore, quest’ultimo resta liberato dall’onere di provare l’esistenza del
credito.
Toccherà semmai allo stesso debitore dimostrarne l’insussistenza.
Promessa di pagamento e ricognizione di debito producono dunque effetti esclusivamente di
natura processuale, nel senso che provocano la cosiddetta inversione dell’onere della prova.
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16 La promessa al pubblico
Molto più importante delle precedenti figure è la promessa al pubblico, negozio giuridico
unilaterale con il quale taluno, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si
trovi in una determinata situazione (ad esempio, un premio allo studente il cui tema sarà giudicato il
migliore) o compia una determinata azione (ad esempio, una mancia a chi riporti animali o altri
oggetti smarriti).
Il promittente è vincolato alla promessa non appena questa è resa pubblica.
Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo
della medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro un anno dalla promessa non gli sia
stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella
promessa stessa.
La promessa può essere revocata prima della scadenza del termine, ma solo per giusta causa
e a condizione che la revoca sia resa pubblica nella stessa forma della promessa o in forma
equivalente.
Con la promessa al pubblico non deve essere confusa l’offerta al pubblico, la quale come
abbiamo già visto, è solo una proposta di contratto, non vincolante fino al momento
dell’accettazione.
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17 Concessione unilaterale di ipoteca e titoli di
credito
Ulteriori figure di promessa unilaterale riconosciuta dalla legge come fonte di obbligazione
sono la concessione unilaterale di ipoteca e i titoli di credito.
La concessione unilaterale di ipoteca, consiste nella dichiarazione unilaterale con la quale il
proprietario di un bene, immobile o mobile registrato, concede al creditore il titolo per costituire un
diritto reale di ipoteca.
I titoli di credito (come ad esempio la cambiale e l’assegno) sono documenti cartacei che
incorporano in sé un diritto di credito, pecuniario o anche di altra natura, derivante da una promessa
unilaterale.
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18 Obbligazioni derivanti da altri fatti leciti
Le fonti di obbligazioni fin qui considerate, contratto e promessa unilaterale, sono fonti
negoziali : hanno cioè, la natura di negozio giuridico.
Sono, invece , fonti non negoziali, oltre il fatto illecito :
 la gestione d’affari altrui ;
 il pagamento dell’indebito ;
 l’arricchimento senza causa.
Esse hanno come caratteristica comune quella di consistere in situazioni giuridiche dalle
quali l’obbligazione nasce per legge, senza la volontà della persona che diventa obbligata.
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19 La gestione di affari altrui
Si ha la gestione d’affari altrui quando una persona (gestore) svolge attività giuridica
nell’altrui interesse, spontaneamente (cioè senza esservi obbligato o averne ricevuto incarico ) e
scientemente (cioè con la coscienza e la volontà di agire per altrui).
Intromettendosi negli affari altrui, senza averne il potere, costituisce, generalmente, un atto
illecito.
Può accadere tuttavia che una persona assuma, di propria iniziativa, la cura degli interessi di
un’altra, la quale sia temporaneamente nell’impossibilità di occuparsene.
In tal caso, l’intervento può essere vantaggioso per l’interessato.
Esempio si supponga che in assenza del proprietario, altrui provveda a fare eseguire
riparazioni urgenti a un edificio che è rimasto lesionato a causa di un sinistro.
La gestione d’affari è fonte di obbligazioni sia per il gestore che per l’interessato.
Il gestore è obbligato :
1) a continuare la gestione e a condurla a termine, fino a quando l’interessato non sia in
grado di provvedervi da se stesso ;
2) ad agire come se fosse mandatario e, quindi a usare la diligenza del buon padre di
famiglia.
Tuttavia il giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad
assumere la gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali questo sarebbe tenuto per
effetto della sua colpa.
L’interessato è obbligato :
1) ad adempiere le obbligazioni assunte dal gestore in nome di lui;
2) a indennizzarlo di quelle assunte in nome proprio e a rimborsarlo di tutte le spese
necessarie o utili, con gli interessi.
Le obbligazioni a carico dell’interessato sorgono, solamente se sussistono due condizioni :
- che la gestione sia stata utilmente iniziata, anche se non è necessario che sia stata anche
utilmente portata a temine ;
- che gli atti di gestione non siano stati eseguiti contro il divieto dell’interessato.
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20 Il pagamento dell’indebito
Si ha pagamento dell’indebito quando una persona, credendosi debitore, esegue un
pagamento non dovuto.
Ogni pagamento presuppone l’esistenza di un debito, pertanto la legge pone a carico di colui
che abbia ricevuto un pagamento non dovuto l’obbligazione di restituire quanto gli è stato pagato,
coi frutti e gli interessi (dal giorno della domanda, se era in buona fede, da quello del pagamento, se
era in mala fede).
Correlativamente riconosce a colui che ha indebitamento pagato il diritto alla ripetizione
(ossia a pretendere la restituzione).
Si distingue l’indebito oggettivo dall’indebito soggettivo.
Si ha l’indebito oggettivo quando una persona, credendosi debitore esegue un pagamento
mentre non esiste obbligazione alcuna, oppure esegue il pagamento di quanto dovuto a persona
diversa dal creditore.
Nel primo caso, chi ha eseguito il pagamento ha senz’altro il diritto di ripetere quanto ha
pagato.
Nel secondo caso, il debitore ha diritto di ripetere a meno che si sia verificata una di quelle
ipotesi previste dagli articoli 1188 e 1189 c.c., le quali come sappiamo comportano la sua
liberazione dall’obbligazione.
Si tratta delle ipotesi in cui il vero creditore abbia ratificato l’avvenuto pagamento o ne abbia
comunque approfittato, nonché dell’ipotesi di pagamento apparente.
Si ha l’indebito soggettivo quando una persona, credendosi debitore in base a errore
scusabile, esegue il pagamento di un debito altrui.
Per errore scusabile si intende che colui che ha eseguito il pagamento non avrebbe potuto,
usando l’ordinaria diligenza accorgersi che stava pagando un debito altrui.
Ove tale condizione non sussista, il pagamento del debito altrui è valido come adempimento
del terzo, pertanto colui che ha pagato non può pretendere la ripetizione ma subentra nei diritti del
creditore verso il vero debitore (surrogazione legale).
La legge non accorda la ripetizione di quanto è stato pagato spontaneamente in esecuzione di
un’obbligazione naturale.
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21 L’arricchimento senza causa
Si ha l’arricchimento senza causa quando il patrimonio di una persona si accresce a danno
del patrimonio di un’altra, senza che sussista un titolo giuridico (legale o convenzionale) che
giustifichi lo spostamento patrimoniale.
L’ingiustificato arricchimento in danno altrui è contrario allo spirito di equità che informa
l’ordinamento giuridico, chi si arricchisce senza causa è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a
indennizzare il danneggiato della correlativa diminuzione patrimoniale.
Esempio : i modi di acquisto della proprietà, che la legge attribuisce a colui che abbia
eseguito costruzioni sul fondo altrui il diritto di ottenere dal proprietario del fondo, che acquista la
proprietà delle costruzioni, il rimborso delle spese fatte o dell’aumento di valore arrecato al fondo ;
come pure attribuisce al possessore che restituisce la cosa al proprietario per effetto
dell’accoglimento dell’azione di rivendicazione, il diritto al rimborso delle spese fatte sulla cosa
stessa.
Il codice civile, all’art. 2041, riconosce anche il principio in via generale, rendendolo
applicabile anche nei casi non espressamente previsti dalla legge.
L’azione generale di arricchimento ha carattere sussidiario, ossia non è proponibile quando
il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito12.
12
L'azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c., ha carattere sussidiario e, quindi, non è proponibile
quando il danneggiato può esercitare azioni tipiche per farsi indennizzare del pregiudizio subito; la valutazione
dell'esistenza delle altre azioni va effettuata in astratto, prescindendo dall'esito concreto delle stesse (Cassazione, Sez.
III, 03 ottobre 2007, n. 20747 ).
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