Capitolo L Il contratto e i terzi 1.Gli effetti inter partes. Effetti reali ed effetti obbligatori. Il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. L’effetto immediato e imprescindibile che scaturisce dall’accordo è la nascita di un vincolo, cioè di un rapporto obbligatorio, l’effetto d’irretrattabilità è sempre presente, così come è presente, sul piano sostanziale, la nascita di una nuova situazione giuridica atta a modificare i patrimoni dei contraenti, costituendo, modificando e estinguendo rapporti giuridici patrimoniali. Quest’ultima affermazione non è però pacifica con riguardo alla categoria del contratto ad effetti reali, il cui ambito coincide con quello dei contratti traslativi. Poiché il trasferimento del diritto è effetto immediato del consenso, non sarebbe, secondo taluni, ravvisabile l’intermediazione di un effetto obbligatorio. Secondo altri, invece, anche in caso di contratto traslativo nasce tra alienate ed acquirente un rapporto obbligatorio avente ad oggetto l’obbligo per lì alienante di far acquistare il diritto all’acquirente sia nelle ipotesi in cui ciò non è effetto immediato del contratto sia, nel senso di assicurare all’acquirente stesso la titolarità del diritto rispetto a rivendicazioni altrui. In ogni caso, nei contratti traslativi l’effetto finale, quello perseguito dalle parti, e non di carattere obbligatorio ma di carattere reale, identificandosi esso non tanto e non solo in una prestazione a carico del debitore, ma nel trasferimento di un diritto, trasferimento che si ricollega al mero consenso legittimamente manifestato. L’obbligo di far acquistare il diritto si configura come mero obbligo strumentale. Nel caso di contratto ad effetti obbligatori l’effetto consiste nella nascita di un rapporto obbligatorio, cioè di un’obbligazione di carattere finale e non meramente strumentale al prodursi di effetti ulteriori. In caso di contratto ad effetti reali l’obbligo di far acquistare il bene all’acquirente si presenta particolarmente articolato ad assumere veste più complessa quando l’effetto traslativo non si produce immediatamente, perché presuppone l’adempimento di una prestazione di volta in volta mutevole a seconda della fattispecie concreta. In questi casi l’effetto reale non può mai prodursi immediate mante, per inesistenza del bene, in assoluto, perché futuro, o nel patrimonio dell’alienante, perché altrui, o per indeterminatezza. Altre volte, invece, sono le parti che impediscono il prodursi immediato dell’effetto, apponendo una condizione sospensiva o un termine di differimento. Stabilire il momento in cui si produce l’effetto reale è essenziale ai fini della disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Se la cosa trasferita è determinata e perisce per una cosa non imputabile all’alienante l’acquirente non liberato dall’obbligo della controprestazione ancorché la cosa non gli sia stata consegnata, perché l’effetto reale si è immediatamente prodotto e sul proprietario grava il rischio del perimento del bene (res perit domino). La stessa regola vale nel caso in cui le parti abbiano apposto un termine di differimento dell’effetto reale, perché l’alienante con l’accordo ha esaurito ogni obbligo di cooperazione, atteso che l’effetto si produrrà automaticamente allo scadere del termine. Se la cosa trasferita è generica l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione (ma solo) se l’alienante ha eseguito la consegna o se la cosa è stata individuata. Infine l’acquirente è comunque liberato in caso di trasferimento condizionato sospensivamente se l’impossibilità della prestazione è sopravvenuta prima che si verifichi la condizione. Il passaggio del rischio è un evento fondamentale e poiché esso è collegato al prodursi dell’effetto reale per il principio res perit domino, si determinano complicazioni in caso di vendita internazionale di cose mobili, attesa la diversa rilevanza che assume a tal fine il consenso nei vari ordinamenti, essendo esso talvolta come in quello italiano, sufficiente a trasferire il diritto e altre volte meramente prodromico, perché collegato alla successiva consegna. La categoria del contratto ad effetti reali non prevede solamente l’ipotesi del trasferimento di diritti ma anche quella della costituzione di un diritto reale. In tal casi si parla di contratto derivativo-costiturivo atteso che non sussiste un rapporto di perfetta derivatività non esistendo nel patrimonio dell’alienante il diritto trasferito ma un diritto più ampio. È il caso dei diritti reali di godimento su cosa altrui. Ad esempio l’usufrutto. 2.Gli effetti per i terzi. L’art. 1372 1° comma, enuncia la regola della forza di legge del contratto tra le parti, al 2° comma, enuncia la regola della relatività degli effetti, nel senso che il contratto è, di fronte ai terzi, del tutto inefficace, salvo nei casi previsti dalla legge. Questa regola è la logica conseguenza del principio di libertà su cui poggia l’autonomia privata almeno in materia patrimoniale, ma va anche sottolineato come in realtà questo principio vada contemperato con quello che fa divieto d’intromettersi dell’altrui sfera giuridico-economica ove l’attività sia produttiva di effetti non incrementativi. Di qui la possibilità di affermare l’idoneità del negozio unilaterale a produrre effetti favorevoli nella sfera dell’oblato, salvo rifiuto. Il concetto di terzo può, in prima approssimazione, delinearsi in termini negativi nel senso di considerare terzi tutti coloro che non sono parte del contratto. Il terzo è un non contraente, nei confronti del quale non può valere la regola della vincolatività dell’accordo e quindi degli effetto che a tale accordo di ricollegano. Se deve escludersi un’efficacia diretta non può però escludersi un’efficacia indiretta o riflessa. Sotto questo aspetto anche i terzi possono, all’occorrenza, essere coinvolti nella vicenda contrattuale. Così accade ogniqualvolta il contratto assume rilevanza e quindi efficacia esterna. A volte il contratto si pone come fatto giuridico nei confronti del terzo nel senso di legittimare l’esercizio di un diritto potestativo o di credito, che nasce, rispettivamente, dalla legge o dal altro contratto. È il caso della prelazione, là dove il titolare di tale diritto può esercitare, in caso di mancata notifica della denuntiatio e successiva conclusione del contratto con il terzo, il diritto (potestativo) di riscatto se la prelazione è legale o il diritto (di credito) al risarcimento del danno se essa è volontaria. 3. L’opponibilità. Diversa dall’efficacia del contratto è la sua opponibilità. L’efficacia per i terzi è sempre e solo riflessa ed indiretta l’opponibilità è, nei confronti dei terzi, sempre e solo diretta. L’efficacia è situazione che ha riguardi in via diretta ed immediata alla posizione dei contraenti, l’opponibilità riguarda proprio i rapporti o meglio i conflitti che, in seguito alla conclusione del contratto, possono nascere tra contraenti e terzi, ogniqualvolta l’acquisto si un diritto in base ad un contratto è contestato da un terzo che pretende di potersi avvalere, eventualmente anche in base ad un altro contratto, di un titolo incompatibile. Il conflitto che si determina un conflitto tra titoli, da cui i diritti derivano. Tale conflitto si situa all’interno di una vicenda circolatoria, presuppone cioè che il contratto dalla cui opponibilità si tratta sia un contratto traslativo. Un problema di diritti incompatibili potrebbe prospettarsi qualora il proprietario stipulasse due contratti di opzione o due contratti preliminari per il trasferimento di diritti reali incompatibili relativi allo stesso bene o stipulasse prima un contratto d’opzione o un contratto preliminare e poi alienasse il bene ad un terzo. Se il bene è immobile o mobile registrato, nel caso di duplicità di opzioni prevale che per primo trascrive l’acquisto conseguente all’accettazione. Se l’opzione è stata concessa per atto pubblico o scrittura privata autenticata e l’accettazione riveste parimenti questa forma, l’opzionario accettante potrà trascrivere immediatamente l’atto. Se la forma osservata è stata quella della scrittura privata non autenticata è necessario ai fini della trascrizione ripetere il negozio per atto pubblico o iniziare il giudizio di accertamento della sottoscrizione della scrittura privata, trascrivendo la relativa domanda. In caso di duplicità di contratti preliminari prevarrà chi trascriverà per primo il preliminare. Per il conflitti mobiliari prevarrà l’acquirente che in buona fede avrà conseguito per primo il possesso. Il primo acquirente potrà agire, finché l’alienante mantiene il possesso. Il comune autore (e il terzo, se di mala fede) deve comunque risarcire il danno, contrattuale, se pretermesso è un promittente acquirente, o precontrattuale, se pretermesso è un opzionario. È inoltre esperibile l’azione revocatoria se ne ricorrono gli estremi. La giurisprudenza ha statuito che in caso di duplicità di preliminari non può ravvisarsi consilium freudis del secondo promittente acquirente che stipula il contratto definitivo ignorando l’esistenza del precedente preliminare o essendone venuto a conoscenza nelle more della stipula del definitivo, perché tale stipula si configura come atto dovuto a cui il promittente acquirente non può sottrarsi. Il consilium freudis va valutato con riferimento al momento della conclusione del contratto preliminare e non del contratto definitivo. Per quanto riguarda invece i contratti traslativi, i terzi vanno tutelati mediante la garanzia della celerità e della certezza dei traffici. In ciò consiste, in buona sostanza, il problema dell’opponibilità del titolo di acquisto ed in particolare del contratto. L’opponibilità non può essere valutata esclusivamente sulla base dei principi che regolano l’efficacia. Deve dunque aversi riguardo alle varie situazioni ipotizzabili, che ricevono risposte diverse dalla legge. In particolare il quadro dei potenziali conflitti può essere così sintetizzato: a) Acquisto a non domino. In tal caso il conflitto tra chi acquista mediante contratto a non domino e il dominus. L’acquirente acquista il diritto da chi non è proprietario e non può nemmeno vantare un titolo di proprietà sia pure inefficace o invalido. Il conflitto è risolto, in caso di trasferimento di diritti reali mobiliari, mediante applicazione del principio possesso vale titolo. Se invece il diritto reale trasferito è immobiliare, l’acquirente potrà solo opporre, eventualmente, l’avvenuta usucapione, magari decennale. In ipotesi di trasferimento di diritti di credito l’acquisto da chi è creditore non è mai opponibile né al vero creditore né al debitore. b) Può darsi che il conflitto si ponga tra un avente causa dall’acquirente e l’alienante. L’avente causa è, in sostanza, un successore a titolo particolare nella posizione giuridica del dante causa, il quale opera il trasferimento. Il su acquirente, ad esempio è avente causa dall’acquirente, che, sebbene terzo rispetto all’originario contratto di compravendita non può dirsi che sia ad esso estraneo dal punto di vista degli effetti. In base al principio resoluto iure dantis, l’invalidità o l’inefficacia del primo contratto si ripercuote necessariamente sull’efficacia del secondo. Se il primo contratto di trasferimento cade il sub acquirente verrà a trovarsi nella condizione di aver acquistato da chi era o appariva, ma non è o non appare più, titolare del diritto trasferito. Anche in tal caso, si avrà un acquisto a non domino, con la particolarità che il non dominus al momento del trasferimento, era o comunque appariva dominus. L’intermediazione di un titolo diversifica questa ipotesi da quella precedente in cui l’alienante non poteva vantare un titolo di acquisto nemmeno apparente. c) Il conflitto può inoltre porsi tra più aventi causa dallo stesso autore. Anche in tal caso è necessario distinguere la natura del diritto in contestazione. Se il diritto si collega ad uno degli atti menzionati dall’art. 2643 vale il principio fissato dall’art. 2644. In caso di doppia (o plurima) alienazione mobiliare vale invece la regola fissata dall’art. 1155. In caso di conflitto tra più diritti personali di godimento prevale chi per primo ha conseguito il godimento stesso o se nessuno lo ha conseguito, prevale chi ha il titolo di data certa anteriore. In caso di conflitto tra più cessionari dello stesso diritto di credito, prevale chi per primo ha notificato la cessione al debitore o ha conseguito l’accettazione, con atto di data certa. d) Il conflitto, infine, può porsi tra l’acquirente e i creditori dell’alienante, i quali hanno interesse a salvaguardare la propria garanzia patrimoniale in funzione dell’azione esecutiva da esperire in ipotesi di inadempimento. In tal caso si applicheranno le regole fissate per l’esperibilità dell’azione revocatoria. In particolare il sub acquirente farà salvo il proprio acquisto. Se l’azione esecutiva è già iniziata varranno, in caso di alienazione immobiliare, le regole in materia di trascrizione del pignoramento e, in caso di alienazione mobiliare, di possesso vale titolo. 4. Il contratto a favore di terzo. Le parti possono concludere un contratto, anche preliminare o di opzione, inserendo una clausola (stipulazione) in virtù della quale gli effetti si producono in via diretta ed immediata nel patrimonio di un terzo. Il contratto a favore di terzo non è un contratto (tipico) a se stante, ma un modo di essere del contratto di volta in volta concluso. Le parti contraenti sono il promittente, che si obbliga alla prestazione in favore del terzo, o lo stipulante, che designa la persona del terzo e nel cui patrimonio di regola gli effetti si sarebbero dovuti produrre ove non fosse stata conclusa la stipulazione, con conseguente deviazione degli effetti stessi verso il patrimonio del terzo designato. Non è sufficiente che il terzo riceva un vantaggio economico, essendo necessario che la prestazione in suo favore sia stata prevista dai contraenti come elemento del sinallagma. Il terzo è estraneo alla conclusione del contratto, di cui non è parte. Non sarà quindi necessaria una sua positiva accettazione. Il terzo può dichiarare di voler profittare della stipulazione in proprio favore, ma tale dichiarazione non è un’accettazione in senso tecnico ed ha appunto la funzione da un lato, d’impedire la modifica o la revoca della stipulazione stessa da parte dello stipulatore e, dall’altra, di consumare il potere di rifiutare, che può infatti essere esercitato solo fino al momento in cui, o da un lato, egli ha aderito o, dall’altro, lo stipulante ha revocato. In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di volerne profittare, la prestazione rimane, con effetto fin dal momento della conclusione del contratto, a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto. Innanzi tutto le parti devono comunicare al terzo la stipulazione, al fine di permettergli l’esercizio eventuale del potere di rifiuto. La comunicazione (di regola è) successiva alla conclusione del contratto. Ciò accade di necessità quando l’individuazione del terzo dipenda da un evento successivo o quando lo stipulante si sia riservato d’indicarlo. È possibile che la stipulazione sia in via alternativa e solo eventuale a favore di un terzo non ancora designato. In tal caso la vicenda si presenta in apparenza analoga a quella del contratto per persona da nominare ma in realtà, essa è del tutto dissimile perché nel caso di riserva la nomina incide sull’identificazione stessa di uno dei contraenti, mentre nel caso di attribuzione al terzo la nomina identifica solo la persona che può ricevere la prestazione. Al terzo deve inoltre essere comunicata l’eventuale revoca o modificazione della stipulazione. Per parte sua, il terzo deve comunicare l’adesione o il rifiuto ad entrambi i contraenti. Il rifiuto ha carattere eliminativo ex tunc di diritti già acquisiti al momento della conclusione del contratto. L’adesione alla stipulazione attribuisce al terzo definitivamente la titolarità del diritto ma non del rapporto contrattuale che fa sempre capo ai contraenti. In sede di adempimento il promittente può opporre al terzo l’eccezioni fondate sul contratto dal quale il terzo deriva il proprio diritto ma non quelle fondate su altri rapporti con lo stipulante. Giurisprudenza e dottrina dominanti affermano che non esistono limiti riguardanti la qualità e il contenuto dell’attribuzione al terzo. È anche concepibile un contratto traslativo a favore di terzo. Al riguardo si è però obiettato che il contratto a favore di terzo non tollera oneri o obblighi a carico del terzo, cosicché non è possibile, a prescindere da un’espressa accettazione, trasferire nel suo patrimonio diritti reali quali quelli di proprietà e di usufrutto che comportano oneri di gestione e di custodia. Irrilevanti sarebbero oneri e obblighi collegati alla proprietà, come quelli fiscali o di manutenzione, che comunque incidono solo sul valore del cespite, o il dovere di neminem leadere, che non solo varrebbe per i soli immobile, ma, sarebbe osservato con una corretta manutenzione. Se il trasferimento ha ad oggetto beni immobile o mobili registrati, il contratto sarà suscettibile di trascrizione con eventuale annotazione, da un lato, c’è la revoca e, dall’altro, del rifiuto, venendo meno in entrambi i casi l’attribuzione in favore del terzo. In caso di trasferimento immobiliare il contratto, la revoca e il rifiuto dovranno rivestire la forma scritta. Dal contratto in favore di terzo originano due diversi spostamenti patrimoniali che porgono il problema della giustificazione causale. Da un lato deve giustificarsi il fatto che della prestazione benefici un terzo che non è parte contraente; dall’altro deve giustificarsi il rapporto che nasce tra promittente e stipulante, cioè tra i contraenti. La stipulazione è valida in quando lo stipulante vi abbia un interesse, anche di natura esclusiva mete normale o effettiva, l’interesse non può mai mancare. La sua assenza determina quindi la nullità della stipulazione in favore del terzo. L’interesse dello stipulante si spiega con il fatto che, tramite il contratto in favore del terzo, egli può estinguere una preesistente obbligazione nei confronti del terzo stesso o può eseguire una controprestazione a fronte di una prestazione che il terzo compie nei propri confronti sulla base di altro rapporto, del tutto autonomo ed estraneo al contratto che lo stipulante conclude con il promittente. Per accertare l’esistenza e la portata dell’interesse dello stipulante deve dunque aversi riguardo al rapporto di valuta, che intercorre con il terzo. Anche il terzo, per parte sua, deve essere un interesse in termini oggettivi all’attribuzione in proprio favore, in difetto del quale non si vede come potrebbe nascere un diritto. Interesse dello stipulante e interesse del terzo finiscono per coincidere sul piano funzionale nel senso che entrambi sono soddisfatti dalla prestazione eseguita dal promittente, tanto ciò vero che così lo stipulante come il terzo possono agire contro il promittente per l’esecuzione della prestazione. Per quanto riguarda la giustificazione causale del contratto che nasce tra promittente e stipulante deve sussistere un interesse del promittente con riguardo all’eventuale rapporto di provvista che lo lega allo stipulante. Il promittente, con la stipulazione, può infatti estinguere un’obbligazione che preesisteva nei confronti dello stipulante o assumere un’obbligazione dietro corrispettivo ma può anche compiere un atto di liberalità. Se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne approfittare, salvo che, in quest’ultimo caso, lo stipulante abbia rinunziato per iscritto al potere di revoca con atto unilaterale che deve essere comunicato al promittente o, secondo altra impostazione, con accordo bilaterale con il terzo non necessariamente a titolo gratuito e comunque esterno ed autonomo rispetto al contratto. La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente. Si discute se l’acquisto degli eredi avvenga iure proprio o iure successionis. Quando lo stipulante rinunzia al potere di revoca la fattispecie si presta ad eludere il divieto dei patti successori. Parte della dottrina parla infatti di eccezione alla regola. Il contratto a favore di terzo presenta un meccanismo per molti versi analogo a quello di talune fattispecie legali. Tra le altre può ricordarsi l’accollo esterno, in cui l’adesione del creditore determina l’irrevocabilità della stipulazione in suo favore, anche se restano diversità non lievi. L’accollo nasce come interno e solo eventualmente è portato a conoscenza del creditore, laddove il contratto a favore di terzo produce immediatamente effetti per costui e solo in caso di revoca o rifiuto può, se del caso, avere efficacia interna. Nel silenzio della legge può inoltre discutersi se la revoca spetti unilateralmente al debitore accollato, come è per lo stipulante, o debba conseguire ad un accordo risolutorio con l’accollante. L’accollatorio, poi, a sua volta, debitore, per esigere la prestazione dall’accollante deve dimostrare di avere eseguito la propria. Per quanto riguarda la donazione modale con attribuzione ad un terzo determinato di un autonomo diritto, può dirsi, in senso contrario all’identificazione, che, da un lato, il contratto a favore di terzo può anche essere a prestazioni corrispettive e, dall’altro, che spesso il modus non consiste in un’autonoma attribuzione ma nell’erogazione di una parte di ciò che è donato. Qualora poi il contratto in favore di terzo sia con prestazioni a carico del solo promittente, non si può agire in risoluzione come invece è possibile in caso di inadempimento del modus. Diverso dal contratto a favore di terzo è il contratto con prestazioni da eseguire ad un terzo, non produce effetti immediati nel patrimonio di costui e non gli attribuisce dunque la qualità di creditore. Esempio, delegatio solvendi. Va infine segnalato che talvolta il contratto ha ad oggetto una pluralità di prestazioni, ed oltre al diritto alla prestazione principale e, è garantito e rimane esigibile un ulteriore diritti, di carattere accessorio e derivante dai doveri si protezione. Si parla, al riguardo, di contratti con effetti protettivi a favore di terzi. 5. La promessa del fatto del terzo. Colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto del terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente, se il terzo si rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso. In sostanza è un’ipotesi esatte mante opposta a quella del contratto a favore di terzo. In questo caso, il terzo dovrebbe assumere obbligazioni o tenere comunque un dato comportamento. Si è in presenza di un fenomeno analogo a quello che la dottrina ha individuato con l’espressione contratto sul patrimonio del terzo, tra cui rientra tipicamente la vendita di cosa altrui e la concessione d’ipoteca su beni altrui. In entrambi i casi, il contratto produce effetti solo se il terzo, in piena libertà decide di alienare il bene o di ipotecarlo. La dottrina inquadra in chiave oggettivistica la fattispecie nell’ambito dei contratti di garanzia. L’obbligazione del promittente-garante sarebbe condizionata al mancato comportamento del terzo, con la conseguenza che il rischio del rifiuto sarebbe assunto dal promittente stesso a proprio carico, così ponendosi in primo piano la prestazione di indennità piuttosto che la prestazione del terzo. Secondo altra impostazione, si è in presenza di un’autonoma obbligazione avente ad oggetto un facere e più precisamente un comportamento volto a favorire l’assunzione dell’obbligazione o il compimento del fatto da parte del terzo. Così impostato il problema, dovrebbe trattarsi, dunque, di un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ma la responsabilità del promittente sorge per il semplice rifiuto del terzo, a prescindere quindi dallo sforzo di diligenza, cosicché l’obbligazione del promittente stesso dovrebbe, a questo punto, configurarsi quale obbligazione di risultato, come in effetti autorevole dottrina sottolinea. È opportuno distinguere tra risarcimento e indennità, nel senso che il promittente risponde per inadempimento dell’obbligo di fare, quindi deve risarcire il danno, ove l’inesecuzione da parte del terzo sia a lui imputabile, mentre egli dovrà solo corrispondere l’indenizzo, ove l’inesecuzione non sia a lui imputabile. La promessa può essere isolata, configurandosi allora come promessa unilaterale, o contrattuale, se è previsto un corrispettivo, o se essa s’inserisce nel contenuto di altro contratto o prestazioni corrispettive. La promessa isolata è giustificata solo se risponde ad un interesse patrimoniale del promittente, dovendo altrimenti rivestire la forma donativa. L’interesse patrimoniale del promissario è invece sempre ricorrente, dovendo tra l’altro l’utilità ricavata dal fatto del terzo essere matrimonialmente valutabile in riferimento alla misura dell’indennità. La forma, se non donativa, è sempre libera. Il fatto del terzo, contenuto nella promessa, può essere il più vario dall’assunzione di una qualsivoglia obbligazione, alla stipulazione di un negozio, se la promessa ha ad oggetto l’adempimento di un’obbligazione già assunta dal terzo nei confronti del promissario, ma potrà configurarsi una fideiussione, se è ravvisabile assunzione di garanzia, o, in difetto, sia avrà una mera interposizione amichevole di buoni uffici sul piano dei rapporti sociali. In tal caso è possibile che le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, costituiscano espressamente a carico del promittente l’obbligazione anche di tipo indennitario. L’indennità che il promittente deve al promissario in caso di rifiuto del terzo consiste nel pagamento di una somma pari al valore dell’utilità non conseguita dal prossimo stesso ed è liquidata equitativamente. L’indennità può peraltro essere fissata pattiziamente, senza possibilità di ridurla. Se la promessa s’inserisce nel contesto di un contratto a prestazioni corrispettive, condizionandolo funzionalmente, l’autonomia dei due negozi viene meno, cosicché l’eventuale adempimento del terzo è inadempimento del promittente, con risarcimento del dovuto. La promessa non è valida, per vizio della causa, se il terzo non è identificato o se essa ha ad oggetto l’assunzione di un’obbligazione invalida per illiceità, impossibilità o indeterminatezza. Se il terzo è incapace si ritiene la promessa valida se tale incapacità era nota alle parti mentre in caso contrario si ritiene la promessa impugnabile per errore, ma questa soluzione va contro il principio di tutela dell’incapaci, sicché è preferibile optare per la nullità della promessa. Se invece l’incapacità del terzo sopravviene non potrà assumere rilievo il rifiuto e quindi la promessa sarà caducata, salvo il caso di inabilitazione, perché il rifiuto del terzo inabilitato, in presenza dell’assenso del curatore, obbliga il promittente ad indennizzare il promissario.