Prospettive in Pediatria Luglio-Settembre 2016 • Vol. 46 • N. 183 • Pp. 206-214 Genetica clinica pediatrica Paolo Curatolo1 Romina Moavero1 2 Angelo Domenico3 5 Silvia Maitz4 Martino Ruggeri5 Gioacchino Scarano6 Angelo Selicorni4 7 UOC Neuropsichiatria Infantile, Policlinico Tor Vergata, Roma; 2 UOC Neurologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma; 3 Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche, Università degli Studi di Catania; 4 UOS di Genetica Clinica Pediatrica, Fondazione MBBM, Monza; 5 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di Catania; 6 UO di Genetica Medica, Azienda Ospedaliera Gaetano Rummo, Benevento; 7 UOC Pediatria ASST Lariana, Como 1 Terapia farmacologica e sindromi genetiche: quali novità? Recentemente l’aumento delle conoscenze dei meccanismi patogenetici alla base di alcune patologie genetiche ha portato all’identificazione di possibili trattamenti farmacologici in grado di agire sulle più importanti e invalidanti manifestazioni cliniche delle patologie. In particolare verranno illustrate le novità terapeutiche e le prospettive future per quattro patologie genetiche: sclerosi tuberosa, acondroplasia, neurofibromatosi di tipo 1 e di tipo 2. Questi approcci, ancora in parte sperimentali, rappresentano un’importante speranza per la cura delle patologie genetiche. Riassunto Recently, the increase in knowledge of the pathogenetic mechanisms underlying some genetic diseases has led to the identification of possible drug treatments that target the most important and disabling clinical manifestations of these diseases. In particular, we present the therapeutic advances and future prospects for four genetic disorders: tuberous sclerosis, achondroplasia and neurofibromatosis types 1 and 2. These approaches, still partly on a research basis, represent an important hope for the treatment of genetic diseases. Summary Metodologia della ricerca bibliografica effettuata I dati per la realizzazione di questo articolo sono stati selezionati nella banca bibliografica Medline e Scopus con le parole chiave “tuberous sclerosis complex”, “neurofibromatosis type 1”, “NF1”, “neurofibromatosis type 2”, “NF2”, “plexiform neurofibroma”, “optic pathway glioma”, “tumors”, “schwannomas”, “ependymomas”, 206 “astrocytomas”, “biologiocally targeted therapies”, “biological”, “new therapies”, “achondroplasia”. I limiti utilizzati sono stati: “all ages”, “children”, “all child = 0-18 years”, “all years”. Sono stati selezionati articoli originali, revisioni, clinical trials e studi epidemiologici senza limiti di anno di pubblicazione, se ritenuti utili alla stesura della revisione. Sono stati considerati solamente gli articoli in lingua inglese. Terapia delle sindromi genetiche Obiettivo Fornire dati aggiornati rispetto ai nuovi farmaci approvati o in corso di sperimentazione per quattro patologie genetiche frequenti: la sclerosi tuberosa, l’acondroplasia, la neurofibromatosi di tipo 1 e di tipo 2. Introduzione Nell’ambito delle sindromi genetiche, le terapie finora disponibili sono basate sulla cura di singoli segni o sintomi correlati alla patologia di base, con un approccio chirurgico per le malformazioni maggiori (es. cardiopatie congenite) o con un trattamento farmacologico sintomatico per singole problematiche mediche (reflusso gastroesofageo, epilessia ecc.). Per alcune patologie, in cui è noto un rischio tumorale aumentato, vengono proposti dei protocolli di monitoraggio specifici, in relazione alla tipologia di tumore a maggior rischio di insorgenza. Negli ultimi anni, l’aumento della conoscenza della patogenesi molecolare di alcune condizioni, ha permesso di avviare dei protocolli sperimentali farmacologici per alcune di esse. In questa revisione viene fatto un aggiornato punto della situazione delle terapie farmacologiche in uso o in sperimentazione per quattro importanti patologie genetiche: la sclerosi tuberosa, l’acondroplasia e la neurofibromatosi (di tipo 1 e 2). Sclerosi tuberosa La sclerosi tuberosa è una patologia genetica a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata dalla presenza di lesioni istologicamente benigne e circoscritte. Colpisce circa un bambino ogni 5800 nati, con una prevalenza stimata di 6,8-12,4/100.000 (Curatolo et al., 2015). Il sistema nervoso centrale è interessato in più del 90% dei soggetti con sclerosi tuberosa, con la presenza di lesioni tra cui i tuberi cortico-sottocorticali, i noduli subependimali, gli astrocitomi subependimali a cellule giganti e le strie di migrazione della sostanza bianca (cioè delle strie di displasia della sostanza bianca identificabili alla RM encefalo che vanno dalla regione periventricolare alla corteccia) (Curatolo et al., 2015). Oltre a queste lesioni sono presenti anche segni e sintomi neurologici, tra cui epilessia e disturbi neuropsichiatrici. Le localizzazioni non neurologiche di sclerosi tuberosa includono un interessamento cutaneo, renale, polmonare, cardiaco e oftalmologico. Le manifestazioni legate alla sclerosi tuberosa presentano un’importante età-dipendenza. Infatti alcune lesioni, come ad esempio gli angiomiolipomi renali o la linfangioleiomiomatosi polmonare, non si presentano prima di una certa età, mentre altre, come ad esempio i rabdomiomi cardiaci e i tuberi corticali, appaiono già in epoca fetale (Curatolo et al., 2008). La sclerosi tuberosa è causata da mutazioni nel gene TSC1 sul cromosoma 9 o sul gene TSC2 sul cromosoma 16, rispettivamente codificanti per le proteine amartina e tuberina, formanti un complesso eterodimerico. Le mutazioni in uno dei due geni portano all’iperattivazione del complesso mTOR (mammalian Target Of Rapamycin), coinvolto in diversi aspetti del funzionamento intracellulare, comprese la crescita e la proliferazione cellulare, la sintesi proteica e il metabolismo (Curatolo et al., 2008). Trattamento L’aumento delle conoscenze del meccanismo patogenetico alla base della sclerosi tuberosa ha portato all’identificazione dei farmaci inibitori mTOR come possibili trattamenti farmacologici in grado di agire su diverse manifestazioni cliniche e lesioni patologiche della sclerosi tuberosa (Fig. 1). Astrocitomi subependimali a cellule giganti (SEGA) Gli inibitori mTOR rappresentano una valida opzione terapeutica per tutti quei pazienti in cui sono presenti SEGA multipli o infiltranti, non suscettibili di resezione chirurgica, o quando la chirurgia non è un’opzione per la presenza di complicanze sistemiche (Jozwiak et al., 2013). L’efficacia degli inibitori mTOR nei SEGA secondari a sclerosi tuberosa è stata descritta per la prima volta nel 2006 (Franz et al., 2006), e il primo studio randomizzato in doppio cieco, l’EXIST-1, è stato pubblicato nel 2013 (Franz et al., 2013). In questo trial clinico di fase 3 il trattamento con everolimus ha portato a una riduzione delle dimensioni dei SEGA di almeno il 50% in più del 35% dei soggetti trattati dopo 6 mesi di trattamento, bloccando la progressione di malattia in tutti i soggetti trattati. Nello studio di estensione, dopo una durata media di trattamento di 29 mesi, il 49% dei pazienti ha presentato una riduzione del volume dei SEGA superiore al 50% (Franz et al., 2014). Tuttavia, la sospensione di everolimus è associata a una ricrescita delle lesioni, suggerendo così che per tenere i SEGA sotto controllo sia necessario un trattamento continuativo. Le stomatiti e le afte orali sono stati gli eventi avversi più frequentemente riportati nell’EXIST-1, e le infezioni, osservate nel 14% dei pazienti, sono state il più comune evento avverso serio (Franz et al., 2013). I dati a lungo termine sembrano comunque mostrare una riduzione degli eventi avversi nel tempo. I risultati di questi studi di fase III hanno portato all’approvazione dell’everolimus da parte di EMA e FDA per il trattamento dei SEGA secondari alla sclerosi tuberosa, non suscettibili di terapia chirurgica. Angiomiolipomi renali (AML) L’everolimus è attualmente disponibile sia in Europa che negli Stati Uniti anche per il trattamento degli angiomiolipomi renali in soggetti adulti con sclerosi tu207 P. Curatolo et al. Figura 1. Rappresentazione schematica della cascata mTOR e del meccanismo di azione di everolimus. berosa. Lo studio in doppio cieco di fase 3. che ha portato all’approvazione di tale farmaco per le manifestazioni renali. è lo studio EXIST-2 (Bissler et al., 2013). Il 42% dei pazienti trattati con everolimus ha presentato una risposta significativa; nessuno dei soggetti inseriti nel braccio placebo ha mostrato una riduzione degli angiomiolipomi. La progressione degli angiomiolipomi è stata osservata nel 4% dei pazienti in trattamento con everolimus e nel 21% nel gruppo placebo. I risultati di questo studio hanno confermato che, sebbene eventi avversi siano osservati in quasi tutti i pazienti, questi raramente sono severi, e il trattamento è nel complesso ben tollerato. Anche a livello renale la maggior parte delle lesioni torna alle dimensioni iniziali in caso di sospensione del trattamento (Bissler et al., 2008). Epilessia Nonostante i trattamenti farmacologici e non farmacologici attualmente disponibili, le crisi associate alla sclerosi tuberosa persistono in più del 60% dei pazienti, suggerendo la necessità di nuove opzioni terapeutiche. Studi preclinici suggeriscono che un trattamento precoce con inibitori mTOR possono migliorare la disorganizzazione neuronale e sembrano esercitare un’azione antiepilettogenica nel modello animale (Zeng et al., 2008). Esistono dati clinici preliminari di potenziale efficacia dell’everolimus sull’epilessia associata alla sclerosi tuberosa, ma questi sono prevalentemente casi clinici o piccole serie (Krueger et al., 208 2013; Wiegand et al., 2013; Cardamone et al., 2014). Uno studio di fase III, l’EXIST-3 per la valutazione di efficacia e tollerabilità di due diversi dosaggi di everolimus paragonati al placebo, ha fornito una risposta significativa in termini di riduzione delle crisi epilettiche in pazienti con epilessia parziale farmacoresistente. La prima analisi ad interim ha mostrato una riduzione di crisi nel 29,3% dei pazienti in trattamento con basse dosi di everolimus vs 39,6% di riduzione dei pazienti in trattamento con alte dosi vs 14,9% dei pazienti in placebo. Altre manifestazioni Gli studi effettuati sulle diverse manifestazioni della sclerosi tuberosa hanno mostrato che gli inibitori mTOR riducono in maniera significativa anche gli angiofibromi del volto. Essi sono inoltre in grado di tenere sotto controllo l’evoluzione della linfangioleiomiomatosi polmonare. Inoltre in letteratura sono presenti numerosi report clinici che dimostrano un’efficacia anche sui rabdomiomi cardiaci (Moavero et al., 2013). In conclusione, negli ultimi anni l’approccio terapeutico alla sclerosi tuberosa si è modificato in maniera significativa. La disponibilità degli inibitori mTOR infatti mette a disposizione del clinico, che si trova ad affrontare una malattia sistemica, un’opzione terapeutica in grado di agire contemporaneamente sulle diverse manifestazioni della malattia. Terapia delle sindromi genetiche Acondroplasia L’acondroplasia (ACH) è la displasia scheletrica più comune causa di bassa statura disarmonica con arti corti. La prevalenza alla nascita è stimata di 1 caso ogni 20.000-25.000 nati circa. La diagnosi di sospetto è clinica: il neonato/piccolo lattante presenta sproporzione tronco/arti per riduzione della lunghezza degli arti, macrocrania con la fronte ampia e prominente, ipoplasia del mascellare superiore, naso insellato, torace stretto, addome prominente e arti corti con prevalente coinvolgimento dei segmenti prossimali (rizomelici) e dita delle mani corte e larghe. È sempre presente una discreta/marcata ipotonia generalizzata e un’iperlassità articolare. Lo studio radiologico dello scheletro consente di rilevare degli aspetti peculiari anche se non specifici: ossa tubulari corte e robuste, riduzione della distanza interpeduncolare fra i corpi delle vertebre lombari, ossa iliache piccole e di forma quadrangolare con caratteristico aspetto a tridente dell’acetabolo e ridotte dimensioni del forame sacro-ischiatico, parte prossimale del femore ovoidale e traslucida, lievi alterazioni di tutte le metafisi delle ossa lunghe. Basi biologiche L’acondroplasia è una malattia genetica (MIM #100800) dovuta ad anomalie di un unico gene, FGFR3, mappato per linkage sul braccio corto del cromosoma 4p16.3 nel 1994 (Le Merrer et al., 1994; Velinov et al., 1994) e il cui difetto molecolare è stato identificato dopo appena ulteriori sei mesi (Rousseau et al., 1994; Shiang et al., 1994). FGFR3 codifica per un recettore del fattore di crescita dei fibroblasti (FgFr3) espresso nella cartilagine di accrescimento che ha un’attività di tipo regolatorio negativo sul processo di ossificazione encondrale (cartilagineo) del tessuto scheletrico e in parte anche sul processo di ossificazione membranoso. Il recettore FGFr3, normalmente attivato da uno dei fattori di crescita dei fibroblasti (FgF), inibisce la proliferazione dei condrociti e ne induce la maturazione, favorendo uno sviluppo armonico della crescita delle ossa lunghe. Nei pazienti con acondroplasia questa funzione risulta ampiamente disregolata, causando un’eccesiva riduzione della proliferazione e differenziazione dei condrociti. In oltre il 99% dei casi l’indagine molecolare identifica una sola mutazione nota come G380R: sostituzione di un residuo di glicina (G) con uno di arginina (R) in posizione 380 nel dominio transmembrana della proteina. La mutazione è una mutazione Gain of Function attivante in maniera costitutiva il pathway specifico FGFr3, e quindi l’attività di tipo inibitorio diventa permanente. La condizione si trasmette in maniera autosomica dominante e penetranza completa: ogni soggetto portatore della mutazione presenta il fenotipo clinico e può trasmettere la stessa mutazione al 50% della propria progenie. Tuttavia, data la frequenza tra le più alte con cui il gene FGFR3 può subire mutazioni spontanee precocemente nella vita embrionale, nella maggior parte dei casi (circa il 90-95%) i pazienti hanno mutazioni de novo e genitori non affetti. Strategie di trattamento In passato numerosi studi hanno analizzato l’efficacia della terapia con ormone della crescita (GH). Attualmente è un dato accertato che, dopo un’iniziale accelerazione della crescita, si assiste a un rallentamento. La prosecuzione del trattamento, quindi, comporta risultati molto modesti sulla statura finale dei pazienti e pertanto non ne sussiste l’indicazione. Drug repositioning strategy Negli ultimi anni la ricerca nel campo farmaceutico ha prestato grande interesse alla cosiddetta drug repositioning strategy, strategia che valuta l’uso di un farmaco, normalmente assunto per altre indicazioni, in pazienti con una altra diversa condizione. Questa strategia ha un ovvio vantaggio rappresentato dal fatto che i farmaci identificati possono essere usati facilmente nella pratica clinica, in quanto sono note sia la posologia giusta che gli eventuali effetti collaterali. In questo ambito sono stati prodotti dati sperimentali molto interessanti sull’efficacia di alcuni farmaci, già in uso con altre indicazioni, nell’indurre un incremento della crescita scheletrica. Yangli et al. (2012) hanno trattato ceppi di topi ACH con paratormone (PTH) umano ricombinante per 4 settimane dopo la nascita e hanno dimostrato che questo trattamento nei topi ACH, rispetto ai controlli, è in grado di migliorare la crescita in lunghezza, correggere almeno parzialmente la fusione prematura di alcune suture craniche e migliorare anche la qualità della struttura ossea in termini di mineralizzazione, ipotizzando che l’effetto combinato dell’incremento del peptide correlato al PTH (PTHrP) e la down-regulation di FGFR3 possa essere responsabile dell’efficacia del PTH. Matsushita et al. (2013) hanno effettuato uno screening di un ampio gruppo di sostanze (1186), con l’approvazione della Federation Drug Amnistration, allo scopo di identificare farmaci utili per la terapia dell’acondroplasia e delle altre displasie scheletriche della famiglia FGFR3. Hanno scoperto che la meclozina cloridrato (codice ATC R06AE05), farmaco ad azione antistaminica (antagonista recettore H1), efficace nel trattamento della nausea, vomito e vertigini e associati a chinetosi, è in grado di sopprimere efficacemente il signaling FGFR3 in tre diverse linee cellulari di cellule condrocitarie e in colture di tessuto osseo embrionale. Gli stessi autori (2015) successivamente hanno testato gli effetti della somministrazione di meclozina in embrioni di topi eterozigoti knock-out (KO) per 209 P. Curatolo et al. FGFR3, dimostrando che la meclozina incrementa la lunghezza totale dell’abbozzo embrionale delle tibie dei topi KO. Hanno poi analizzato la crescita ossea di topi KO e topi wild-type, trattati o meno con meclozina a dosi nel range utilizzato per disturbi da chinetosi. Si è verificato un incremento significativo della lunghezza dopo 2 settimane di terapia nei topo KO, incremento evidente anche nei topi wild-type trattati. Questi dati suggeriscono che l’assunzione orale di meclozina nel periodo della crescita è efficace nel migliorare la crescita staturale delle persone con acondroplasia. La meclozina agirebbe sul pathway di MPK down-regolando la fosforilazione di ERK. Un approccio molto diverso, ma nell’ambito dello stesso tipo di strategia, è stato usato da un altro gruppo giapponese. Yamashita et al. (2014) hanno ottenuto, da fibroblasti da biopsia cutanea di pazienti con acondroplasia e controlli, cellule staminali pluripotenti (iPSC) e su queste hanno testato l’efficacia di alcuni farmaci nel recupero di una normale funzione del processo di ossificazione encondrale del tessuto scheletrico. Le statine, farmaci ipocolesterolemizzanti, hanno mostrato un significativo miglioramento del processo di condrogenesi delle cellule iPSC derivate dai pazienti. Inoltre hanno dimostrato un’efficacia notevole nel correggere lo sviluppo scheletrico dei topi KO per acondroplasia. Le statine sarebbero in grado di stimolare sia la differenziazione dei condrociti che la loro maturazione, favorendo un incremento dell’espressione dei geni master dei processi di ossificazione encondrale e membranoso, rispettivamente Sox9 e Runx2. Gli autori correlano questi risultati, non evidenti però nei controlli, alla riduzione della sintesi e quindi dei livelli di colesterolo che consente un incremento della crescita del tessuto osseo, grazie alla riduzione dei livelli del recettore proteico FGFR3, attivato costituzionalmente, mediante degradazione proteolitica da proteasoma. Il ruolo del peptide natriuretico C (CNP) Oltre la drug repositioning strategy, è in atto un percorso di ricerca estremamente promettente che ha avuto inizio circa 20 anni fa. Yasoda et al. (1998) hanno identificato il ruolo importante del peptide natriuretico C (CNP), mediante attivazione di un recettore di membrana Natriuretic Receptor Peptide-B (NRP-B) ad attività guanil-ciclasi, nel controllo dell’ossificazione encondrale, e dimostrato (2004) che la iperespressione di CNP nei condrociti della cartilagine di coniugazione, agendo sul pathway Mitogen-Activated Protein Kinase (MAPK), è in grado di incrementare la crescita scheletrica nei topo KO per acondroplasia (Fig. 2). La dimostrazione (Yasoda et al., 2004) che l’iperproduzione di CNP nella cartilagine o la sua continua assunzione per via endovenosa normalizza la statura dei topi KO per acondroplasia ha prospettato la possibilità di una terapia specifica per l’acondroplasia, mediante la somministrazione di CNP a livelli superiori Figura 2. Struttura e segnale di trasduzione di FGFR3 (da Expert Reviews in Molecular Medicine. Cambridge University Press 2012, mod.). 210 Terapia delle sindromi genetiche a quelli fisiologici. Poiché l’emivita del CNP in circolo è brevissima (2 minuti dopo la somministrazione per via venosa) il suo utilizzo, come agente terapeutico mediante infusione continua, è sostanzialmente impraticabile. Lorget et al. (2012) hanno disegnato e prodotto un analogo farmacologico di CNP denominato BMN111, costituito da 39 aminoacidi, che ha un’emivita che ne consente una unica somministrazione al giorno per via sottocutanea. BMN111 ha dimostrato di agire in maniera simile a CNP, attivando lo specifico recettore NRP-B, ma non i recettori per gli altri ormoni natriuretici. Gli studi preclinici hanno rilevato un notevole miglioramento dei parametri di crescita nel topo acondroplasico Fgfr3 Y367C/wild-type. Questi risultati hanno consentito di programmare un trial clinico, partito nel 2014, che ha concluso anche la fase 2 di sperimentazione arrivando a ottimizzare la dose ottimale. Attualmente siamo all’inizio della fase 3, reclutamento dei pazienti (https://clinicaltrials.gov/). Conclusioni Le prospettive di identificare una terapia farmacologica della bassa statura disarmonica delle persone con acondroplasia sono da un punto di vista esclusivamente sperimentale molto promettenti. Sono stati ottenuti finora dati scientifici sperimentali oggettivamente molto interessanti mediante l’assunzione di paratormone o meclozina o statine. Questi risultati hanno bisogno ancora di conferme per poter pensare a un trial clinico. Quindi non c’è molto da stupirsi per le grandi aspettative sia da parte di pazienti e famiglie che dei medici che ha creato l’avvio della sperimentazione clinica da parte delle multinazionale Biomarin mediante il trial clinico, che valuta gli effetti della somministrazione di BMN111. Senza alcun dubbio un grande primo passo nella giusta direzione (Legeai-Mallet, 2016). L’auspicio è che i promettenti primi dati del trial siano confermati e che si giunga in tempi brevi alla sua conclusione che consentirà finalmente di poter disporre di un farmaco efficace per le persone con acondroplasia. Neurofibromatosi tipo 1 La neurofibromatosi tipo 1 (NF1), patologia a trasmissione autosomica dominante, ha una prevalenza nella popolazione generale di circa 1:2500-3000 individui affetti. Le persone con NF1 presentano macchie caffellatte di grandi dimensioni (> 1,5 cm, distribuite sulla cute) e di piccole dimensioni (pochi mm, localizzate nelle regioni ascellari, inguinali e al collo); piccoli noduli rilevati dell’iride (istologicamente dei neurofibromi e amartomi) detti di Lisch e neurofibromi cutanei e sottocutanei. Alcuni individui con NF1 possono presentare statura ai limiti inferiori della norma (< 25° percentile), note dismorfiche e macrocrania. Un nu- mero limitato di persone con NF1 presenta anche grave interessamento del sistema nervoso periferico (neurofibromi plessiformi e tumori maligni delle guaine nervose periferiche) o coinvolgimento del sistema nervoso centrale (gliomi delle vie ottiche, aree di displasia della sostanza bianca cerebrale, malformazioni dei vasi cerebrali, disturbi dell’apprendimento), delle ossa (displasie delle ossa lunghe, malformazioni di alcuni segmenti ossei, scoliosi) e dell’apparato cardiovascolare (malformazioni cardiache, displasie dei grossi vasi). Vi è, in generale, un più elevato rischio oncologico. Meccanismi molecolari La NF1 è causata da anomalie della sintesi o della funzione della neurofibromina, proteina che ha il compito di inibire il complesso sistema del proto-oncogene Ras-GTP, inattivandolo a Ras-GDP: il Ras-GDP inibisce a sua volta alcuni sistemi proteici complessi “a valle” – RAF/MEK/ERK e PI3K/AKT/mTOR – causando così modulazione (negativa) della crescita e della moltiplicazione cellulare e modulazione di alcuni circuiti neuronali implicati in processi di apprendimento e di memoria. Terapie biologiche I principali bersagli dei protocolli terapeutici nella NF1 sono stati finora i neurofibromi plessiformi, i gliomi delle vie ottiche, e i tumori maligni delle guaine nervose periferiche (Blakeley e Plotkin, 2016). Neurofibromi plessiformi Il trattamento di questi tumori ha comportato lo sviluppo di più di 20 trials clinici (alcuni tutt’ora in corso): sebbene molti di essi abbiano conseguito risultati modesti, in alcuni casi si è ottenuto un rallentamento della crescita tumorale o una riduzione volumetrica delle lesioni. Tra le prime molecole a essere impiegate, il sorafenib (inibitore del sistema Raf), il tipafernib (attivo sulla farnesil-transferasi), il pirfenidone (attivo sui fibroblasti) e la talidomide (un anti-angiogenetico) non si sono rivelati utili nell’inibizione della progressione cellulare. Il sirolimus (antagonista del sistema mTOR) ha dimostrato qualche effetto nel rallentamento della crescita tumorale, seppur non mostrando attività onco-soppressiva. I primi incoraggianti risultati (seppur parziali: 17% di successo nei casi trattati – età 3-65 anni) di riduzione volumetrica dei neurofibromi plessiformi sono stati ottenuti con l’impiego dell’imatinib, inibitore del sistema c-kit e del Platelet derived Growth Factor Receptor Beta (PDGFRbeta) (Robertson et al., 2012). L’interferone alfa-2B peghilato ha garantito la riduzione radiografica dei neurofibromi plessiformi nel 29% dei casi (età 2-35 anni) (Jakacki et al., 2012). L’impiego del selumetinib (inibitore del sistema MEK), ha portato – in uno studio di fase 1 – alla riduzione 211 P. Curatolo et al. volumetrica nel 100% degli 11 pazienti trattati, di età compresa tra 3 e 18 anni. I più frequenti effetti collaterali registrati sono stati rash acneiforme, elevazione asintomatica del CPK, nausea, vomito, dolore addominale, diarrea e affaticamento (Blakeley e Plotkin, 2016). Lo studio di fase 2, iniziato nel 2015, è tutt’ora in corso. Ulteriori studi, tutt’ora in corso, riguardano l’everolimus (inibitore del sistema mTOR), il nilotinib (a molteplice azione sul sistema c-Kit, BCR-ABL, PDGFRbeta), l’associazione vinblastina/metotrexato (citotossici) e il celecoxib (inibitore dell’angiogenesi, oltre che potente anti-infiammatorio). Oltre al già citato selumetinib, sono in corso di sperimentazione altri due inibitori del sistema MEK, il trametinib e il PD0325901. Gliomi delle vie ottiche Il trattamento di prima linea è ancora affidato ai chemioterapici, che dimostrano risultati apprezzabili in termini di regressione tumorale e discreta tollerabilità clinica. Vengono impiegati (con somministrazioni settimanali) associazioni di carboplatino e vincristina (specie in età infantile) (Moreno et al., 2010). Oltre a una notevole riduzione della massa tumorale, si assiste sin dalle prime fasi a un miglioramento generale dell’acuità visiva. Quando il trattamento non risulta efficace, o qualora si verifichi una sensibilizzazione ai farmaci (in particolare al carboplatino), si passa generalmente a un trattamento di seconda linea, che si avvale dell’impiego di temozolamide, bevacizumab, cisplatino-etoposide, e vinblastina. Per i gliomi ricorrenti delle vie ottiche è attualmente in sperimentazione l’impiego dell’erlotinib, un inibitore del recettore tirosin-kinasico del fattore di crescita epidermico (EGF), e dell’everolimus. Tumori maligni delle guaine nervose periferiche Non sono stati finora raggiunti risultati apprezzabili nella terapia con farmaci biologici dei tumori maligni delle guaine nervose periferiche. Modelli preclinici hanno evidenziato discreti effetti terapeutici degli inibitori dell’EGFR, mentre sono tutt’ora in corso studi sull’impiego di everolimus e ranibizumab (inibitore del VEGF). Neurofibromatosi tipo 2 La neurofibromatosi tipo 2 (NF2), anch’essa a trasmissione autosomica dominante, ha una prevalenza nella popolazione di 1:330.000. È caratterizzata dallo sviluppo di schwannomi dei nervi cranici (principalmente del nervo VIII – acustico/vestibolare) e dei nervi periferici; tumori multipli del sistema nervoso centrale (es. astrocitomi, ependimomi, meningiomi); poche macchie caffellatte (< 6); cataratta giovanile. L’età d’esordio è quella adulta (25-30 anni), ma vengono descritte con frequenza sempre maggiore forme a esordio in età pediatrica o forme congenite (che 212 sono più gravi delle forme dell’adulto). A tutt’oggi il trattamento di prima linea è costituito dalla resezione chirurgica, dalla radiochirurgia (gamma-knife) e dalla radioterapia: tali trattamenti sono efficaci solo nel 50% dei casi e gravati da un’elevata incidenza di perdita dell’udito (oltre il 60%) e/o della funzioni delle regioni del sistema nervoso interessate dal tumore. Meccanismi molecolari La malattia è causata da anomalie che alterano la sintesi o la funzione della schwannomina [conosciuta anche come Merlina: un membro della famiglia delle proteine ERM (Ezrin-Radixin-Moesin), che regolano la stabilità di membrana e diverse vie di crescita cellulare], proteina che favorisce l’endocitosi e l’eliminazione e inibisce il complesso sistema Ras-dipendente. Il mancato controllo della Merlina sul sistema Ras (come nel caso della NF1) causa un’attivazione incontrollata dei sistemi mTOR, RAC1, e FAK, e pertanto un’eccessiva proliferazione cellulare; la merlina agisce anche sul controllo delle attività delle semaforine, molecole ad azione angiogenetica: in sua mancanza si assiste quindi alla proliferazione incontrollata della crescita vascolare (Ruggieri et al., 2015). Terapie biologiche Sono stati testati di recente piccoli gruppi di persone con NF2 con alcuni antagonisti dei membri Her1-2 della famiglia ErbB dei recettori tirosin-kinasi (lapatinib), con una buona risposta in termini di regressione volumetrica e miglioramento dell’udito (4/17 pazienti); risultati minori si sono ottenuti con l’erlotinib (nessuna riduzione di volume, ma stabilizzazione della malattia nel 27% dei pazienti trattati). Gli inibitori del sistema mTOR (everolimus) non hanno portato a risultati apprezzabili: nessuno dei 9 pazienti trattati in uno studio di fase 1 ha mostrato una risposta clinica né la stabilizzazione della malattia. Diversi farmaci che agiscono sui sistemi dell’IGF1 e del PDGF/Akt/MEK hanno mostrato discreti risultati in vitro: tra questi in particolare la picropodofillina, inibitore del recettore dell’IGF1, l’OSU-03012, inibitore Akt, e l’imatinib e il nilotinib, che agiscono sul recettore del PDGF e sul sistema c-Kit. L’imatinib è stato anche impiegato in un singolo caso di NF2, mostrando una stabilizzazione della malattia, ma diversi effetti collaterali (nausea, dolore addominale e cefalea grave) che hanno reso necessaria la sospensione del trattamento. Il sorafenib, che agisce sugli stessi target di nilotinib e imatinib e anche sul sistema MEK1-2, è stato impiegato in un singolo paziente, ma anche in questo caso si è osservata un’importante presenza di eventi avversi e il trattamento è stato sospeso. Risultati molto incoraggianti sono stati ottenuti con l’impiego del bevacizumab, un potente anticorpo monoclonale diretto contro il fattore di crescita vascolare (VEGF) che al dosaggio di 5 mg/kg ogni 2 settimane ha dimostrato una spiccata inibizione della vascola- Terapia delle sindromi genetiche rizzazione dei tumori con riduzione volumetrica degli schwannomi del nervo VIII, stabilizzazione della malattia e recupero funzionale: il 90% delle persone trattate ha mostrato udito stabilizzato o migliorato dopo 1 anno di trattamento e il 61% dopo 3 anni; l’88% ha avuto stabilizzazione o riduzione delle dimensioni dei tumori dopo 1 anno e il 54% dopo 3 anni. I più comuni eventi avversi sono state le emorragie, ritardata guarigione delle ferite, proteinuria e ipertensione (Hochart et al., 2015). Nello stesso gruppo di persone con NF2 si è dimostrato (29% dei casi) riduzione volumetrica dei meningiomi, seppure non duratura (3,7-15 mesi). Successivi studi hanno dimostrato l’efficacia del bevacizumab nella NF2, con riduzione volumetrica degli schwannomi e miglioramento dell’udito osservati in una percentuale tra il 33 e il 100% dei soggetti trattati. L’impiego di terapie combinate (temsirolimus, inibitore del sistema mTOR, e bevacizumab), seppure ancora praticato in pochissimi casi, ha portato a riduzioni volumetriche ancora più marcate (fino al 33% delle dimensioni). Il bevacizumab è stato impiegato anche in bambini e adolescenti (età 6-17 anni): i dati della letteratura e la nostra esperienza personale dimostrano regressione del volume tra il 5 e oltre il 20% in circa la metà dei pazienti e stabilizzazione della malattia nell’altra metà dei casi. Il trattamento si è inoltre dimostrato efficace anche nel tempo, con effetti benefici anche a distanza di 6 anni dall’inizio della terapia. Conclusioni e prospettive per il futuro Le sindromi genetiche sono malattie rare e a oggi in gran parte prive di terapie efficaci. Negli ultimi anni con l’aumentato interesse, l’avanzamento tecnico e la conoscenza dei meccanismi patogenetici sono stati fatti passi avanti nell’approccio terapeutico di alcune patologie. Sono infatti in corso numerosi trial terapeutici che mirano all’introduzione nella pratica clinica dei farmaci sopradescritti, nella speranza che confermino la promettente efficacia su alcuni degli aspetti più disabilitanti delle patologie che abbiamo preso in considerazione. Box di orientamento • Cosa sappiamo prima La terapia delle patologie genetiche prese in considerazione (sclerosi tuberosa, acondroplasia, neurofibromatosi di tipo 1 e 2) si basava unicamente su terapie sintomatiche e su approcci di monitoraggio clinico per la diagnosi precoce di eventuali complicanze. • Cosa sappiamo adesso Numerosi trial terapeutici hanno mostrato la potenziale efficacia di farmaci che agiscono sulle vie metaboliche responsabili della patogenesi molecolare di queste patologie, ottenendo un trattamento di molte manifestazioni cliniche e/o complicanze delle stesse. • Quali ricadute sulla pratica clinica Gli sviluppi attuali della ricerca permettono di individuare, già nel presente e più chiaramente nel prossimo futuro, i nuovi approcci terapeutici di queste condizioni in grado di modificarne in modo importante la storia naturale. Bibliografia Bissler JJ, Kingswood JC, Radzikowska E, et al. Everolimus for angiomyolipoma associated with tuberous sclerosis complex or sporadic lymphangioleiomyomatosis (EXIST-2): a multicentre, randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2013;38:817-24. ** Questo lavoro è il primo trial clinico randomizzato sull’efficacia e la tollerabilità di everolimus negli angiomiolipomi renali, e i suoi risultati hanno dato il via all’approvazione dell’everolimus per questa indicazione. Bissler JJ, McCormack FX, Young LR, et al. Sirolimus for angiomyolipoma in tuberous sclerosis complex or lym- phangioleiomyomatosis. N Engl J Med 2008;358:140-51. Blakeley JO, Plotkin SR. Therapeutic advances for the tumors associated with neurofibromatosis type 1, type 2, and schwannomatosis. Neuro Oncol 2016;18:624-38. Blakeley JO, Ye X, Duda DG, et al. Efficacy and biomarker study of bevacizumab for hearing loss resulting from neurofibromatosis type 2-associated vestibular schwannomas. J Clin Oncol 2016;34:1669-75. ** Articolo che segue i primi due lavori dello stesso gruppo che ha per primo iniziato la terapia con bevacizumab nella NF2 e che riassume tutta la letteratura, indicando anche i livelli di alcuni biomarcatori nelle persone con NF2 trattate con bevacizumab. Cardamone M, Flanagan D, Mowat D, et al. Mammalian target of rapamycin inhibitors for intractable epilepsy and subependymal giant cell astrocytomas in tuberous sclerosis complex. J Pediatr 2014;164:1195-200. Curatolo P, Bombardieri R, Jozwiak S. Tuberous sclerosis. Lancet 2008;372:657-68. ** Revisione completa di tutti gli aspetti della patologia. Curatolo P, Moavero R, de Vries PJ. Neurological and neuropsychiatric aspects of tuberous sclerosis complex. Lancet Neurol 2015;14:733-45. ** Revisione completa e aggiornata 213 P. Curatolo et al. delle manifestazione neurologiche e neuropsichiatriche della sclerosi tuberosa, con nozioni sulla gestione e il trattamento. Franz DN, Belousova E, Sparagana S, et al. Efficacy and safety of everolimus for subependymal giant cell astrocytomas associated with tuberous sclerosis complex (EXIST-1): a multicentre, randomised, placebo-controlled phase 3 trial. Lancet 2013;381:116. ** Questo lavoro è il primo trial clinico randomizzato sull’efficacia e la tollerabilità di everolimus negli astrocitomi subependimali a cellule giganti, e i suoi risultati hanno dato il via all’approvazione dell’everolimus per questa indicazione. Franz DN, Leonard J, Tudor C, et al. Rapamycin causes regression of astrocytomas in tuberous sclerosis complex. Ann Neurol 2006;59:490-8. Hochart A, Gaillard V, Baroncini M, et al. Bevacizumab decreases vestibular schwannomas growth rate in children and teenagers with neurofibromatosis type 2. J Neurooncol 2015;124:229-36. * Articolo che indica i principali risultati della terapia con bevacizumab nei bambini e adolescenti con NF2. Jakacki RI, Dombi E, Potter DM, et al. Phase I trial of pegylated interferon-alpha2b in young patients with plexiform neurofibromas. Neurology 2011;76:265-72. Jóźwiak S, Nabbout R, Curatolo P, et al. Management of subependymal giant cell astrocytoma (SEGA) associated with tuberous sclerosis complex (TSC): clinical recommendations. Eur J Paediatr Neurol 2013;17:348-52. Krueger DA, Wilfong AA, Holland-Bouley K, et al. Everolimus treatment of refractory epilepsy in tuberous sclerosis complex. Ann Neurol 2013;74:679-87. Le Merrer M, Rousseau F, Legeai-Mallet L, et al. A gene for achondroplasiahypochondroplasia maps to chromosome 4p. Nature Genet 1994;6:314-7. * Il gruppo francese dell’ospedale Necker di Parigi pubblica, in contemporanea al gruppo americano di Tsipouras (Velinov et al., 1994), il locus dove mappa il gene per l’acondroplasia e ipocondropla- sia. Questo risultato è la prima conferma del concetto di famiglia, nell’ambito delle displasie scheletriche, cioè del fatto che forme di gravità clinica diversa possano essere causate da mutazioni in uno stesso gene. Legeai-Mallet L. C-Type natriuretic peptide analog as therapy for achondroplasia. Endocr Dev 2016;30:98-105. Lorget F, Kaci N, Peng J, et al. Evaluation of the therapeutic potential of a CNP analog in a Fgfr3 mouse model recapitulating achondroplasia. Am J Hum Genet 2012;91:1108-14. ** È il contributo scientifico fondamentale che ha consentito di programmare e procedere all’avvio dell’unico trial clinico in corso. Si tratta della conferma sperimentale su animali da esperimento che il BMN111, analogo farmacologico del CNP, è in grado di produrre gli stessi suoi effetti, ma ha il vantaggio di avere un’emivita tale da consentire un’unica somministrazione al giorno. Matsushita M, Hasegawa S, Kitoh H, et al. Meclozine promotes longitudinal skeletal growth in transgenic mice with achondroplasia carrying a Gain of Function mutation in the FGFR3 gene. Endocrinology 2015;156:548-54. Moavero R, Coniglio A, Garaci F, et al. Is mTOR inhibition a systemic treatment for tuberous sclerosis? Ital J Pediatr 2013;39:57. Moreno L, Bautista F, Ashley S, et al. Does chemotherapy affect the visual outcome in children with optic pathway glioma? A systematic review of the evidence. Eur J Cancer 2010;46:2253-9. Robertson KA, Nalepa G, Yang FC, et al. Imatinib mesylate for plexiform neurofibromas in patients with neurofibromatosis type 1: a phase 2 trial. Lancet Oncol 2012;13:1218-24. nel gene FGFR3 che codifica per il recettore 3 per i fattori di crescita dei fibroblasti. Anche in questo caso nello stesso periodo il gruppo americano è giunto allo stesso risultato (Shiang et al., 1994). Ruggieri M, Praticò AD, Evans DG. Diagnosis, management, and new therapeutic options in childhood neurofibromatosis type 2 and related forms. Semin Pediatr Neurol 2015;22:240-58. Shiang R, Thompson LM, Zhu YZ, et al. Mutations in the transmembrane domain of FGFR3 cause the most common genetic form of dwarfism, achondroplasia. Cell 1994;78:335-42. Velinov M, Slaugenhaupt SA, Stoilov I, et al. The gene for achondroplasia maps to the telomeric region of chromosome 4p. Nature Genet 1994;6:318-21. Yamashita A, Morioka M, Kishi H, et al. Statin treatment rescues FGFR3 skeletal dysplasia phenotypes. Nature 2014;513:507-11. Yasoda A, Komatsu Y, Chusho H, et al. Overexpression of CNP in chondrocytes rescues achondroplasia through a MAPK-dependent pathway. Nat Med 2004;10:80-6. ** Il secondo e fondamentale contributo sperimentale che ha dimostrato la possibilità CNP di inibire il pathway FGFR3. Yasoda A, Ogawa Y, Suda M, et al. Natriuretic peptide regulation of endochondral ossification. Evidence for possible roles of the C-type natriuretic peptide/ guanylyl cyclase-B pathway. J Biol Chem 1998;273:11695-700. * Il primo contributo sperimentale che ha consentito di identificare la funzione del pathway CNP-NRP-B sulla regolazione dell’ossificazione encondrale. Rousseau F, Bonaventure J, LegeaiMallet L, et al. Mutations in the gene encoding fibroblast growth factor receptor-3 in achondroplasia. Nature 1994;371:252-4. Xie Y, Su N, Jin M, et al. Intermittent PTH (1-34) injection rescues the retarded skeletal development and postnatal lethality of mice mimicking human achondroplasia and thanatophoric dysplasia. Hum Mol Genet 2012;21:3941-55. * Lo stesso gruppo francese del Necker di Parigi, che in pochi mesi è riuscito prima a mappare il locus malattia e poi a identificare la mutazione causa dell’acondroplasia Zeng LH, Xu L, Gutmann DH, et al. Rapamycin prevents epilepsy in a mouse model of tuberous sclerosis complex. Ann Neurol 2008;63:444-53. Corrispondenza Angelo Selicorni Unità Operativa Complessa di Pediatria, ASST Lariana, via Ravona 20, 22020 San Fermo della Battaglia (CO) E-mail: [email protected] 214