02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 25 Parabole civili, parabole ecclesiali Ridiscutere la secolarizzazione ❏ Paul Valadier L a secolarizzazione non è forse diventata uno stato di cose di cui sappiamo tutto? E per questo è indiscutibile? Da diversi secoli trasforma le nostre società in ogni settore della vita sociale e culturale, seguendo una sua traiettoria come se si trattasse di un fenomeno che non solo non trova una fine, ma anzi riguarda un numero sempre maggiore di settori o coinvolge sempre più animi. Malgrado ciò che si dice, tocca direttamente la stessa Chiesa cattolica nel suo modo di pensare, nelle relazioni al suo interno, anche e soprattutto nelle reazioni negative che il magistero, e non esso soltanto, manifesta verso la modernità o alcuni dei suoi aspetti in ambito etico, morale e anche politico. Un fatto sociale e storico di una tale portata può essere messo in discussione? Per quali motivi, su quali basi? Metterlo in discussione porta a considerare la secolarizzazione un momento storico transitorio? Ammettendo invece che sia un fenomeno incontestabile, cosa ci dice del destino e del ruolo della religione nelle società moderne come le nostre? Segna la fine di una tendenza storica apparentemente inarrestabile e quindi significa il ritorno del religioso, la fine del declino delle Chiese e il ritorno allo statu quo ante? Questi sono alcuni degli interrogativi che vorrei sollevare, se non risolvere, in questa sede. TESTIMONIANZE STORICHE E SOCIOLOGICHE Non sono necessari studi dotti, che confermerebbero sicuramente l’opinione comune, per ammettere che le nostre società occidentali, dopo essersi identificate con la cristianità (nome antico rivendicato da quella che oggi chiamiamo Europa), hanno progressivamente preso le distanze da una società, detta «solistica», in cui il riferimento religioso o teologico cristiano controllava o pretendeva di controllare l’insieme della vita sociale, economica, politica, culturale e naturalmente religiosa. È inutile descrivere ora quel lungo processo iniziato senza dubbio in PAUL VALADIER, gesuita, è docente emerito di Filosofia morale, Filosofia politica e Storia della filosofia; dirige la rivista Archives de philosophie. 25 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 26 Parabole civili, parabole ecclesiali pieno Medioevo, ma nel corso dei secoli si osserva che le scienze per prime, seguite dalle arti e ovviamente dalla politica, si sono emancipate a poco a poco dalla tutela teologica; tale movimento non è stato di negazione o di rifiuto, bensì ha coinciso con l’apparizione e il consolidamento di regole proprie a ciascun settore. Con l’«autonomia delle realtà temporali» di cui parla il concilio Vaticano II è emersa a poco a poco la consapevolezza che ogni ambito costitutivo delle relazioni con la natura, fra gli uomini, fra le nazioni poteva e doveva scoprire i principi che lo regolano. Così gli scienziati potevano fare a meno dell’ipotesi Dio secondo il precetto dell’etsi Deus non daretur, tant’è che un autentico ragionamento scientifico doveva allontanarsi da un tale principio per rispettare la natura propria delle realtà studiate ed evitare degli a priori incompatibili con un’analisi rigorosa del reale. Questa presa di distanza è stata certamente esemplare e tale resta soprattutto nell’ambito delle scienze, ma la si osserva anche in quello delle arti, dell’economia (la scomparsa del rifiuto del prestito a interesse può essere considerata una testimonianza significativa di questo movimento) e della politica, dove la nascita dell’idea di sovranità dello stato ha portato con sé il rifiuto di ogni tutela di un’autorità a esso superiore, che troviamo già in Machiavelli, ma molto chiaramente in Jean Bodin e soprattutto in Thomas Hobbes. È un movimento di lunga durata che ha «prodotto» l’individuo moderno, il quale non si concepisce più in un tutto da cui dipende, ma rivendica i suoi diritti a prescindere da, o addirittura contro, il tutto (diritti dell’uomo); un individuo che si arroga il diritto di controllare i poteri (democrazia) e quindi di giudicare le autorità qualunque esse siano. Una conseguenza evidente di questo vasto movimento, senza dubbio incompiuto (pensiamo alla bioetica, per esempio), è che viene allontanata la tentazione di proclamare una scienza delle scienze, posto e ruolo rivendicati dalla teologia nel Medioevo. Da un punto di vista istituzionale significa la marginalizzazione delle Chiese, alle quali non spetta più regolare l’insieme dei rapporti umani: devono mantenersi nel proprio ambito. E non dimentichiamo che il vasto movimento rapidamente descritto non si è verificato senza lacerazioni e lutti: prova ne siano i conflitti tra autorità della Chiesa e nuove autorità scientifiche o politiche. La lacerazione della cristianità in nome della religione nel periodo delle Riforme ha contribuito non poco alla diffidenza della politica nei confronti delle Chiese, fonti di violenza più che di pace. Di qui ha avuto origine una filosofia politica diffidente verso le stesse Chiese, che ordinava agli stati sovrani di porle sotto tutela. Una tutela che poteva significare protezione delle Chiese o diffidenza per principio. Quello che ho descritto è ciò che viene chiamato generalmente il fenomeno storico della secolarizzazione, un lungo processo che ha visto la dissociazione della cristianità e l’emergere di ambiti specifici con regole proprie e «indipendenti». 26 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 27 Ridiscutere la secolarizzazione Tuttavia, restare a livello delle constatazioni storiche c’impedirebbe di giungere all’essenziale. Il vasto movimento di secolarizzazione che ho cercato di descrivere in termini più neutrali possibile è stato interpretato da filosofi, storici e sociologi. Molti vi hanno visto un movimento ineluttabile della storia e l’hanno considerato un’emancipazione dal religioso, una sorta d’uscita dalla dominazione delle Chiese, quindi come un passaggio dall’oscurità alla luce, dalla fede alla ragione, dall’infanzia all’età adulta. Passando dal piano della constatazione storica a quello di una tesi propriamente metafisica, per molti la secolarizzazione è stata come una filosofia della storia mediante la quale gli uomini s’impadronivano finalmente del proprio destino. In realtà questo vasto movimento non è stato soltanto un fatto: è legato a una nuova concezione del mondo, a una metafisica che cambia nell’uomo il modo di concepire il suo rapporto con la natura, con gli altri, con se stesso in quanto individuo, con tutte le cose, quindi con l’Assoluto. Secondo l’analisi di Max Weber, la secolarizzazione ha modificato l’oggetto stesso della salvezza: l’uomo dei secoli secolari cerca di trovare la sua salvezza non nell’aldilà, ma nel lavoro, nel progresso scientifico e tecnico, nell’attuazione di strutture di giustizia e di controllo dei poteri, nel miglioramento della condizione umana attraverso la medicina o la ricchezza materiale. Una tale filosofia della storia, che ha trovato diverse forme che non spetta a me qui ricordare, e tanto meno studiare, ma che è necessario citare, non poteva non pronunciarsi sul destino della religione. Lo faceva già, per esempio, quando identificava il passato religioso dell’umanità con uno stato d’infanzia o di minorità eteronoma e sosteneva che l’avvenire andava nella direzione di uno stadio adulto o dell’autonomia, per cui la secolarizzazione diventava un’uscita dall’oscurantismo, dalla paura, fonte di guerre, e dalla miseria verso una condizione di luce, di prosperità e di pace. Non diciamo, affermava Voltaire dopo il terremoto di Lisbona, che tutto va bene, ma pensiamo che «un giorno tutto andrà bene» (Poème sur le désastre de Lisbonne ou examen de cet axiome: tout est bien, 1756). Questa filosofia valorizzava l’idea di progresso al punto da farne una nuova religione, secondo i propositi e le aspettative di un Renan, e dall’uscita da un’infanzia di dipendenza si aspettava un profondo cambiamento del rapporto tra uomo e religione. Possiamo rilevare due tipi di aspettative: o il movimento progressista della storia porterà alla scomparsa pura e semplice dell’illusione religiosa (Feuerbach e Marx, per fare qualche nome), oppure farà delle religioni realtà marginali, indebolite, impotenti, dipendenti da un’adesione puramente individuale, prive di reale fiducia presso gli animi, poiché un animo avvertito semplicemente non potrà più aderire alle credenze, per esempio in un Dio personale e provvidenziale (Nietzsche). Questo distanziamento sarà perciò in qualche modo «di rigore», anche se non si può escludere «una revivi27 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 28 Parabole civili, parabole ecclesiali scenza del divino», ma in maniera selvaggia, fuori da ogni dogmatica e da ogni magistero che regoli le credenze. RIMETTERE IN DISCUSSIONE Questi postulati filosofici, apparentemente consolidati dalla constatazione di un movimento ineluttabile della storia occidentale, sono oggi chiamati in causa; in particolare è messa in discussione la direzione data a questo movimento che riguarda il futuro delle religioni. In questa stupefacente inversione di tendenza è certo che il crollo improvviso e totale dei regimi che si professavano atei, come quelli fondati sul marxismo-leninismo, ha sferrato un duro colpo da una parte alla speranza di un «avvenire radioso», libero da ogni sorta di alienazione e nel quale, per parodiare Voltaire, «tutto andrà bene»; con questo crollo tutta una filosofia della storia subisce un colpo durissimo e perde la sua credibilità. Parallelamente, il ruolo delle religioni non è mai venuto meno: già con la loro resistenza spesso eroica al comunismo esse hanno contribuito non poco al fallimento dei totalitarismi atei, e l’attualità mostra, nel bene e nel male, che le religioni, che comunque non sono mai scomparse dall’orizzonte umano, ritrovano una forza che, per quanto possa preoccupare (pensiamo ai fondamentalismi islamici o protestanti negli Stati Uniti), invalida la tesi della loro scomparsa. Da qui nasce la domanda: la secolarizzazione è in difficoltà? O meglio: non sarà la secolarizzazione a provocare e attizzare i radicalismi religiosi in quanto contro-movimento identitario rispetto all’influenza della modernità? La secolarizzazione viene così messa in discussione sotto un primo aspetto da un sedicente «ritorno del religioso». Ovunque si osserva non solo la reviviscenza delle religioni, spesso caratterizzata da una certa aggressività, ma un’effervescenza che riguarda i bisogni o le aspirazioni spirituali. Queste tendenze, che non sempre rafforzano le religioni «ufficiali», costituiscono un fenomeno sociale di un’importanza tale da non poterlo passare sotto silenzio o trascurare. Di fronte a queste realtà, dalle quali sono affascinati, certi sociologi arrivano a concludere che in realtà «l’idea secondo la quale viviamo in un mondo secolare è falsa. Il mondo d’oggi, con qualche eccezione, (…) è furiosamente religioso come non lo è mai stato. In alcuni luoghi addirittura di più». Queste parole ci sorprendono maggiormente se pensiamo che sono state scritte da Peter Berger, negli anni sessanta cantore entusiasta della secolarizzazione, che aggiunge: «Il mondo attuale è religioso in maniera massiccia; è tutto tranne il mondo secolarizzato che era stato annunciato (…) da tanti analisti della modernità».1 Questo rinnegare sé stessi è abbastanza significa1 P.L. BERGER, «La désécularisation du monde» in ID. (a cura di), Le Réenchantement du monde, Bayard 2001, 15 e 24; vers. or.: P.L. BERGER (a cura di), The Desecularization of the World: Resurgent Religion and World Politics, W.B. Eerdmans Publishing, Grand Rapids (USA) 1999. 28 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 29 Ridiscutere la secolarizzazione tivo, poiché si può dedurre che la secolarizzazione non c’è mai stata: il mondo è sempre stato religioso e lo è ancora, contrariamente alle analisi illusorie e sbagliate di certi sociologi fra cui Berger. Per non cadere a nostra volta nelle illusioni alimentate da questi falsi profeti, bisognerebbe approfondire ciò che negli anni sessanta i sociologi intendevano con secolarizzazione. Ma senza addentrarci in un’analisi di questo genere, possiamo stupirci: dove vediamo un «reincantamento del mondo», se almeno ci atteniamo a un sociologo serio come Weber, che definisce «disincantamento» (che per lui non s’identifica con la secolarizzazione, ma è la sua condizione di possibilità) «l’eliminazione della magia in quanto tecnica di salvezza»? Dove, se non in cerchie del tutto marginali e senza una reale importanza sociale, i nostri contemporanei si affidano alla magia per la loro salvezza? Essi continuano imperterriti, anche al di là di ogni ebbrezza idolatrica, ad aspettare dai diversi progressi un miglioramento delle loro condizioni. E anche se non si aspettano la salvezza dalla medicina o dall’economia, anche se ritrovano interesse o gusto per la religione (e anche qui non bisogna farsi troppe illusioni), la differenziazione degli ambiti che esclude la piena influenza della religione prevale e difficilmente può essere messa in discussione (a eccezione di alcuni fondamentalisti, la cui attesa è d’altronde del tutto vana). In questo senso è inutile negare l’importanza della secolarizzazione. Un’altra obiezione nasce dal rapporto tacito delle teorie della secolarizzazione con la religione: quasi tutte postulavano un rapporto conflittuale soprattutto con il cristianesimo. Da qui il tema dell’emancipazione, della liberazione, della presa di distanza e di conseguenza della scomparsa a lungo termine della religione o della fine del cristianesimo. Ora l’emancipazione dal religioso, che è stata forse indebitamente legata all’autonomia delle realtà terrene, all’indipendenza dei diversi ambiti dell’esistenza dal controllo della religione, aveva il senso radicale che le è stato attribuito? Non potremmo ipotizzare che la secolarizzazione, invece di essere il nemico del cristianesimo, chiamato a sconfiggerlo e interamente mobilitato contro di esso a partire da forze estranee (la ragione, la libertà, la sperimentazione ecc.), sia il prodotto del cristianesimo stesso? Senza la matrice simbolica dell’universo biblico, in particolare l’antiidolatria nei confronti della natura e dei poteri politici, la trascendenza radicale di Dio, l’invito al dominio della natura, il sostegno a una libertà strutturata da una legge di libertà, la differenziazione tra religione (Dio) e politica (Cesare), la valorizzazione della persona umana nella sua dignità, addirittura il senso del peccato che invita a una redenzione, quindi a un senso positivo della storia, la secolarizzazione sarebbe stata possibile? Sorge così spontanea la domanda: la secolarizzazione è nemica o frutto del cristianesimo? O forse il cristianesimo è vittima oppure origine, seppure involontaria (da cui le resistenze della Chiesa) di questo vasto movimento storico? Domande che sono state oggetto di ampi dibattiti o di studi dotti, domande che dividono gli animi senza che in tali ambiti si possa prendere una decisione categorica. 29 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 30 Parabole civili, parabole ecclesiali Ma, qualunque sia l’ipotesi, la filosofia della storia precedentemente evocata viene quanto meno messa in dubbio, come d’altronde le sue conclusioni. E così è necessario situare altrove il posto e il ruolo del cristianesimo in questa lunga avventura: esso non ha forse generato la modernità (Gauchet, Vattimo, ma prima ancora Weber e molti altri)? E quest’ultima sarebbe comprensibile senza il cristianesimo, anche se gli spostamenti sono stati considerevoli, scomodi per le Chiese e senza dubbio fatali per un certo tipo di cristianità? Questa obiezione può suscitarne una ancora più radicale. Quanto affermato prima porta a chiedersi se la secolarizzazione moderna sia erede o nemica del cristianesimo, e correlativamente se quest’ultimo sia matrice o vittima, condizione di possibilità oppure ostacolo a questo movimento storico. Ma possiamo anche dubitare di tali alternative e giudicarle totalmente arbitrarie. Così Hans Blumenberg, in Die Legitimität der Neuzeit (1966),2 ha messo in dubbio i postulati della precedente obiezione, e quindi la filosofia della storia così presupposta. Essa implica infatti un’azione di travaso, di traslazione, di collegamento da una situazione storica a un’altra; postula senza dubbio una rottura, ma a un esame più profondo la continuità di un’eredità. L’ideologia del progresso sarebbe dunque una «secolarizzazione» dell’attesa escatologica; la sovranità dello stato secolarizzerebbe la sovranità di Dio; i diritti dell’uomo trascriverebbero in termini giuridici e universali la credenza nell’uomo come immagine di Dio, a questo titolo infinitamente rispettabile. In ogni caso si fa dipendere la modernità dal cristianesimo, sia positivamente (erede) sia negativamente (emancipatrice), e così non si rispetta «la legittimità dei tempi moderni», cioè la loro specificità propria. In queste interpretazioni si presuppone sempre una «sostanza» prima da cui la modernità dipenderebbe e che in un certo senso la «spiegherebbe». Per questo motivo, invece di supporre un transfert di sostanza (Ubersetzung), è più opportuno parlare di Umbesetzung, che si potrebbe tradurre con «reinvestimento». Non c’è continuità, ma ogni periodo trova davanti a sé nuove sfide che deve affrontare con gli strumenti che certamente eredita, ma che devono dare prova della loro efficacia in una situazione del tutto nuova. Le sfide provocate dalla nascita delle scienze nel Rinascimento non possono trovare soluzione nelle risorse intellettuali o spirituali del Medioevo. Bisogna dunque, rischiando una grave crisi, mobilitarsi di nuovo per superare le sfide, e la religione rivestirà senza dubbio un suo ruolo, anche se molto diverso da quello assunto in precedenza. Non mi dilungherò sulle posizioni di Blumenberg, più complesse di quelle che ho esposto. Messe a confronto, queste obiezioni mostrano innanzitutto che l’idea di secolarizzazione, per il suo legame con la 2 30 Trad. it. La legittimità dell’età moderna, Marietti, Genova 1992. 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 31 Ridiscutere la secolarizzazione modernità, continua a essere messa in dubbio, se non addirittura contestata, sia in quanto tale, sia nel suo rapporto con il cristianesimo o nel quadro di una filosofia della storia che postula ciò che Blumenberg definisce «il teorema della secolarizzazione». Non mi resta che prendere posizione avviandomi a una rapida conclusione. PRESA DI POSIZIONE Non bisogna, innanzitutto, lasciarsi incantare dai famosi «ritorni del religioso». Che ai giorni nostri si assista a «un’effervescenza» intorno al religioso, come io preferisco definirla, non si può negare. Sentimenti e aspirazioni religiosi sono sempre esistiti, ed è ridicolo fingere che siano scomparsi in un mondo secolarizzato. Ciò equivarrebbe a ignorare fino a che punto quelle che sono state senza dubbio indebitamente chiamate le «religioni secolari» (ideologie naziste o marxiste-leniniste) hanno sostituito queste aspirazioni religiose prive di eredi e hanno rivestito il ruolo di surrogato delle religioni tradizionali, in particolar modo nei non credenti. Di tali aspirazioni religiose approfittano ai giorni nostri, in modi diversi, altri guru interessati, che alimentano altre forme di «servitù volontaria» (secondo le parole di Étienne de la Boétie). Fatto più inquietante, assistiamo a una reviviscenza dei fondamentalismi e degli estremismi religiosi, che è senza dubbio uno dei fenomeni più caratteristici e preoccupanti di questo inizio di XXI secolo. Un fenomeno carico di settarismi (come i neo-con che circondano o circondavano il presidente Bush) e di violenza (il terrorismo giustificato nel nome dell’islam), che certo non va nella direzione delle «teorie della secolarizzazione» o di una progressiva e ineluttabile uscita dall’oscurantismo. Tuttavia tale fenomeno può essere analizzato non come una necessità di riaffermazione della secolarizzazione, ma piuttosto come uno dei suoi effetti perversi: nessuno dei protagonisti citati rinnega le tecniche moderne, come vediamo nell’entourage di Bush o nella raffinatezza degli attentati terroristici d’ispirazione islamica, ma sono tutti vittime di una paura viscerale di fronte a chi mette in dubbio la loro identità di protestanti o di musulmani. Il loro fondamentalismo è senza dubbio innanzitutto una reazione antimoderna, dominata dalla paura della modernità e della secolarizzazione nei confronti della loro ideologia e/o della loro religione; è inintelligibile se si prescinde dal vasto movimento accennato prima e tuttavia rimette in dubbio l’affermazione di un’ineluttabile scomparsa delle religioni, contestando radicalmente uno dei postulati più impressionanti del «teorema della secolarizzazione» o delle filosofie (o ideologie) della storia di cui ho parlato. La resistenza del religioso a scomparire impone una domanda antropologica: può esso scomparire da un’esistenza umana sia a livello individuale, sia collettivo? Ovvero: può la secolarizzazione nel suo insieme portare a compimento la sua logica e il suo progetto, ammettendo che questo con31 02_interpretazioni_valadier 1-07-2008 17:59 Pagina 32 Parabole civili, parabole ecclesiali sista nella piena vittoria dei Lumi sull’oscurantismo, nel trionfo di una ragione pacifica sulla violenza o sull’irrazionale e che quindi la secolarizzazione miri non soltanto all’indebolimento o alla marginalizzazione delle religioni, ma addirittura alla loro scomparsa dall’orizzonte umano (come credevano Marx o Freud, almeno in certa misura)? Prima ancora che auspicabile, la scomparsa del religioso è anche soltanto possibile senza una disumanizzazione dell’uomo? Ora possiamo legittimamente sollevare la questione, senza voler pretendere, come Berger, che la secolarizzazione non sia mai esistita. Vediamo bene che il riconoscimento dell’autonomia dei vari ambiti (scienze, arti, economia, politica ecc.) è un fatto ineluttabile, e altresì che tale autonomia ha avuto conseguenze fauste sul destino dell’umanità. Quest’affermazione non è sprovveduta, né ingenua, poiché, allo stesso tempo, vediamo anche che una rigida separazione degli ambiti, lungi dall’essere sempre e comunque positiva, pone numerose questioni etiche e morali. Ma proprio per questo la religione, la cui massima ambizione è indubbiamente riunire, può e deve rivestire un ruolo per ricordare che, malgrado le legittime differenze, tutto ruota intorno a un centro e che ignorarlo da parte dell’umanità sarebbe non vedere la realtà. Concludendo, questi dibattiti dimostrano che il posto della religione nelle nostre società non è più quello che era, che non bisogna indulgere alla nostalgia, ma piuttosto trovare un altro posto in un universo largamente secolarizzato, dove le questioni delle frontiere e il problema del legame vengono sollevati con sempre maggiori vivacità e complessità. 32