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Pubblicato il 31 Gennaio 2015
Nel teatro di M onte-Carlo una bella realizzazione dell'ultimo capolavoro di Gioachino Rossini
Il Guillaume Tell entusiasma
servizio di Simone Tomei
MONTECARLO - “Io reputo il Gugliemo Tell la nostra Divina Commedia, una vera epopea, né so
comprendere come ognuno che ama e coltiva la musica non si prostri innanzi a questa più che
sub lime, divina creazione, a questo miracolo dell’arte (Vincenzo Bellini)”.
Apro con questa citazione del compositore siciliano perché essa incarna al meglio quanto Gioachino
Rossini abbia messo in musica all’apice della fama che lo consacrava il più grande operista vivente.
Nel 1824 Rossini si trasferisce a Parigi dove investe la carica di “Directeur de la Musique et de la
Scène du Théâtre Royal Italien” assieme all’obbligo di comporre nuove opere per l’Opéra Français. La
prima, ma anche l’unica, fu il Guillaume Tell che andò in scena dopo molte peripezie, aggiustamenti e
ritardi il 3 agosto 1829 proprio all’Opéra di Parigi. La critica fu lodevole nei suoi confronti ed anche “Il
Glob e”, da sempre ostile al compositore di Pesaro, sosteneva che “con quest’opera era iniziata una nuova era per la musica
drammatica” e giova altresì ricordare un pensiero di Berlioz, non certo parziale verso Rossini e verso l’opera italiana, che nel
1834 scriveva: “la partitura era il frutto di una seria riflessione, era ponderata per ogni verso ed eseguita con grande
precisione dall’inizio alla fine”.
Le vicissitudini di Rossini, fanno sì che il Gugliemo Tell, invece di aprire la sua vera carriera a Parigi, finì per essere il suo
canto del cigno nel campo dell’opera e benché vivesse altri quarant’anni non compose più per il palcoscenico. E’ doveroso
inoltre ricordare che la caratteristica più affascinante dell’opera è tuttavia il modo fantasioso in cui il compositore affrontò il
cimento della creazione di un lavoro per l’Opéra francese, senza abbandonare le sue radici italiane. Sebbene certi elementi
siano più “italiani” ed altri più “francesi”, la cosa straordinaria è la loro compenetrazione. Più che in qualsiasi altro lavoro,
Rossini integra qui il lirismo del bel canto e le forme raffinate dell’opera italiana con l’immediatezza del declamato e lo
splendore della messa in scena (e i lunghi interventi del coro e del balletto che ne derivano) che erano caratteristici
dell’opera francese. La grandiosa struttura, infine, si sviluppa in un sistema di motivi musicali derivati da melodie popolari
svizzere note come “ranz des vaches”. Esse fanno apparizione nel loro disegno primitivo durante i festeggiamenti del primo
atto, per venire poi trasformate in una varietà di forme.
Solo un accenno all’evoluzione del personaggio dal soggetto originario di Friedrch Schiller a quello rossiniano, Bruno Cagli
nel 1971 scriveva nella guida all’opera della Mondadori: “Rispetto alla tragedia di Schiller…… il personaggio di Guglielmo
appare troppo sfocato, come giustamente osservò già Radiciotti: “Una delle modificazione di capitale importanza consisteva
nell’aver tolto al protagonista quel fare schietto e semplice che ha nell’originale, per prestargli un atteggiamento sostenuto,
teatrale, quasi di posa. Era forse utile, dal punto di vista drammatico, correggere la storia per mezzo della leggenda,
presentando sub ito Guglielmo su la scena, invece che alla fine del dramma, e facendolo capo con il governo di Rutli in
sostituzione in sostituzione di Stauffacher, che nell’originale è l’anima del dramma: ma non era punto necessario togliergli
anche il carattere di dolcezza e di b onomia che ha, tanto nella storia quanto nel lavoro di Schiller, per farne una figura
dall’aria tetra e fatale.”
Mi piace inoltre riportare anche il pensiero di Giuliano Baioni – in Friedrich Schiller, Guglielmo Tell, Einaudi 1989 – “Il lib retto
utilizzato da Rossini è pieno di inviti alla vendetta più sanguinosa, mentre il Tell schilleriano raccomanda fin troppo la virtù e
la moderazione e non rappresenta affatto l’esaltazione del tirannicidio, ma piuttosto la sua sofferta giustificazione. In questa
distanza c’è tutta la prob lematica politica e morale di Schiller. Nell’opera di Rossini vive ancora il Tell giacob ino, la figura
dell’agitatore capopopolo. Nel dramma di Schiller, invece, l’eroe è b uono solo nella misura in cui non è politico e il suo atto è
giustificato solo in quando non è compiuto per motivi di parte. Per questo Schiller, contro tutte le sue fonti, non fa partecipare
il Tell al giuramento del Rutli. Il suo eroe non deve essere un congiurato, non deve ricordare in nessun modo il Bruto
giacob ino.”
Dopo questo breve flash per contestualizzare questo capolavoro veniamo alla rappresentazione dell’Opèra di Monte-Carlo
andata in scena il 28 gennaio 2015 quale ultima di tre appuntamenti e antecedente alla trasferta di sabato 31 gennaio che
vedrà impegnato il cast al Thèâtre des Champs Elysées a Parigi per un’esecuzione in forma di concerto. Il titolo riproposto
nella lingua originale in cui è stato composto era assente dalla terra monegasca dal 1915 e quindi questa si configura come
una nuovissima produzione.
Colpisce subito lo spettatore all’apertura del sipario una scenografia curata da Eric Chevalier, molto scarna se non quasi
inesistente; sullo sfondo dei pannelli che avvolgono perimetralmente tutto il palcoscenico rappresentanti i luoghi in cui si
svolge la vicenda e fornendo per mano dei protagonisti o dei figuranti, via via degli elementi ad hoc che, pur nella loro
scarnezza, rendono vivo e chiaro il rapporto dell’oggetto con la situazione del libretto. I costumi di Françoise Raybaud sono
risultati intonati a tutto il clima piuttosto minimalista della “mise en scène” con colori piuttosto tenui e morbidi. Laurent
Castaingt ha giocato magistralmente con le luci fornendo talvolta con il calore e talvolta con il gelo dei colori delle forti
emozioni e riuscendo a ben sottolineare quindi, i vari stati d’animo che si susseguivano. Questi ingredienti si sono fusi nelle
mani e nella mente del regista Jean-Luìs Grinda, che ha offerto un prodotto estremamente fluido e godibile.
Sul fronte musicale ci siamo trovati di fronte ad un cast di buon livello. Il protagonista Nicola Alaimo (Guillaume Tell) si è
imposto sulla scena riuscendo a trasmettere lo stato d’animo del personaggio travagliato per le angherie subite dal suo
popolo e al tempo stesso combattivo, sia con sicura presenza scenica, sia con una vocalità dotata di un bel timbro morbido e
vellutato, sia nella zona grave che in quella più acuta, anche se a tratti risultava leggermente debole per imporsi sulle altre
voci o sull’orchestra.
Nel ruolo di Arnold Melchtal , ha cantato il tenore spagnolo Celso Albelo che ha dato un’impronta forte al personaggio
dimostrando un’ottima dinamicità nell’emissione del suono e nell’interpretazione, ai vari mutevoli stati d’animo che lo fanno
evolvere da passionale innamorato della Principessa d’Asburgo Mathilde, a tenace difensore delle terre elvetiche e vindice
del padre, si evince dalla sua performance che siamo di fronte ad una delle migliori voci tenorili attuali: si è imposto con le
giuste dinamiche sonore senza strafare nel passionale duetto del secondo atto con Mathilde ed a seguire nel terzetto con il
protagonista ed un altro patriota, fino alla sua pagina più lirica nel quarto atto “Asile héreditaire” dove ha trascinato lo
spettatore al culmine dell’aria con forte pathos, concludendo con un lunghissimo acuto che gli è valso l’ovazione spontanea
del pubblico.
La Principessa di Asburgo (Mathilde) interpretata dalla bravissima Annik Massis si è distinta per chiarezza, luminosità e
morbidezza vocale e per un’ottima padronanza del palcoscenico riuscendo a gestire il personaggio in assenza di supporti
scenografici, conferendo ad esso attraverso la voce e pochi movimenti, ma ben curati, una caratterizzazione molto forte; sul
fronte vocale ha dimostrato di possedere una gamma di suoni e di colori bellissimi con grande agilità e sicurezza negli
“svolazzanti” acuti, come una grande potenza e profondità nelle note più gravi; “Sombre foret, désert triste et sauvage” è l’aria
con cui si è presentata al pubblico dietro un velo trasparente che con giochi di luce riproponeva proprio la “selva opaca e
deserta brughiera” nella traduzione italiana dell’opera; intelligentemente ha giocato molto con la dinamicità del suono nella
ripresa dell’aria dando una connotazione ed un significato profondi a questo momento di alto lirismo.
Trai i personaggi di spicco di questa produzione giova menzionare il Basso Nicolas Courjal nel ruolo di Gesler , nemico di
Tell; Courjal si è distinto per l’imponenza e la potenza della sua voce, molto adatta al carattere del personaggio; altro basso
distintosi per tenuta scenica e bel timbro vocale, Nicolas Cavallier (Walter congiurato di Tell), che ha dato prova di bravura,
proprio nel lungo terzetto del secondo atto.
Completavano il cast Elodie Méchain (Edwige, moglie di Tell), Julia Novikova (Jemmy, figlio di Tell), Patrick Bollerire (Melchtal ,
padre di Arnold), Alain Gabriel (Rodolphe, capo delle guardie di Gesler), Eric Martin-Bonnet (Leuthold) e Mikeldi
Atxalandabaso (Roudi ); tutti hanno puntualmente dato prova di grande professionalità in quanto in quest’opera di Rossini è
difficile distinguere i ruoli principali dai “comprimariati”; essi infatti pur avendo un ruolo forse meno “importante”, devono
affrontare comunque una partitura non indifferente sia dal punto di vista vocale che interpretativo.
All’appello manca infine un personaggio che forse definirei per questa composizione rossiniana il più presente e il più
travolgente: il Coro. Preparato dal Maestro Stefano Visconti, in quest’opera si è consacrato come una vera colonna portante
del Teatro monegasco; coadiuvato da alcuni coristi aggiunti, ha fatto da cornice nei concertati ed è stato pittura nei suoi
momenti precipui, accompagnando trasversalmente tutta l’opera e dando una connotazione ben definita ad ogni finale di
atto, il primo con il tipico “crescendo rossiniano”, il secondo con la veemenza del coro maschile nell’atto del giuramento, il
terzo concertato con alcuni dei protagonisti solisti ed il famoso finale “Tout change et grandit en ces lieux” ove al pronunciare
della parola “Libertè” che conduce il brano alla tonalità di do maggiore è arrivata in sala, come una ventata, un’emozione
fortissima che il coro ha saputo dare al momento dell’epilogo vittorioso del popolo elvetico, con una luce dal fondo,
rappresentante una nuova alba, che imprimeva ancora più emozione e connotava ancora meglio il significato delle parole,
della voce e della musica.
L’orchestra, sotto la direzione del maestro Gianluigi Gelmetti, ha completato questo meraviglioso quadro operistico, forse un
po’ troppo sonora in momenti più lirici, in riferimento soprattutto al primo atto, ma complessivamente ha dato anch’essa
prova di grande professionalità.
(Monte-Carlo, 28 gennaio 2015)
Crediti fotografici: Ufficio stampa del Teatro dell’Opera di Monte-Carlo
Nella miniatura in alto: il direttore Gianluigi Gelmetti
Nella sequenza: i solisti (Nicola Alaimo, Annick Massis, Élodie Méchain, Celso Albelo) e il coro del Guillaume Tell