STUDIO DELL’ESPRESSIONE DI ANTIGENI CORRELATI CON LA PROLIFERAZIONE E LA MORTE CELLULARE IN EPATOPATIE CRONICHE UMANE E SPERIMENTALMENTE INDOTTE ANTONELLA VETUSCHI DOTTORATO DI RICERCA IN EPATOLOGIA SPERIMENTALE E CLINICA DIPARTIMENTO DI ANATOMIA UMANA, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”. COORDINATORE : PROF. EUGENIO GAUDIO TUTORE SCIENTIFICO: PROF. SERGIO MORINI DOCENTI ESAMINATORI: PROF. EUGENIO GAUDIO, PROF. PAOLO ONORI, PROF. OLIVIERO RIGGIO ABSTRACT Scopo della ricerca è stato quello di indagare i meccanismi alla base delle alterazioni nella proliferazione e nella morte cellulare colangiocitaria: 1) in ratti ovariectomizzati sottoposti a legatura della via biliare principale (BDL) e successivamente trattati con farmaci estrogenici; 2) in biopsie epatiche di pazienti affette da cirrosi biliare primitiva (PBC); 3) in frammenti epatici provenienti da pazienti affetti da malattia policistica del fegato. Gli esperimenti effettuati supportano l’ipotesi del ruolo fondamentale giocato dagli estrogeni nel modulare la proliferazione colangiocitaria in corso di colestasi, la resistenza al danno apoptotico nei diversi stadi di PBC e l’incontrollata iperplasia dell’epitelio biliare, caratteristica peculiare nelle cisti epatiche. La comprensione del ruolo degli estrogeni e dei loro recettori nonché di alcuni fattori di crescita implicati potrebbe aprire nuove prospettive terapeutiche che identificano nei modulatori selettivi estrogenici, farmaci in grado di incidere sull’evolutività prognostica di tali affezioni. 1. INTRODUZIONE 1.1 La proliferazione colangiocitaria nelle colangiopatie sperimentali ed umane. Le alterazioni morfologiche cui possono andare incontro le diverse porzioni dell’albero biliare, a partire dai dotti intraepatici, sono oggetto di estensivi approfondimenti. I colangiociti, ovvero le cellule epiteliali dell’albero biliare, rappresentano gli elementi coinvolti nel danno insorgente nel corso di una serie di patologie epatiche recentemente definite come colangiopatie (Boyer, 1997; Roberts, 1997; Alvaro, 1999). Tali affezioni, che comprendono la cirrosi biliare primitiva (PBC) e sono clinicamente caratterizzate da colestasi cronica, determinano nel parenchima epatico, da un punto di vista morfologico, una progressiva scomparsa dei dotti biliari intralobulari e l’insorgenza di un meccanismo di compenso da parte dei colangiociti che, con la loro attivazione in senso proliferativo, tentano di contrastare la lenta ma inesorabile progressione della patologia verso lo stadio finale di duttupenia (Desmet, 1998; Alvaro, 2000 A). I colangiociti, infatti, nel fegato normale possono essere considerati quali cellule quiescenti ma, in talune circostanze, sono in grado di sviluppare una marcata capacità proliferativa che evidenziano sia in condizioni sperimentali (è noto che in modelli sperimentali che prevedono la legatura della via biliare principale, come ad esempio, nel ratto – il modello BDL – si assiste ad una selettiva proliferazione colangiocitaria) sia nel corso di alcune colangiopatie umane che includono, appunto, la cirrosi biliare primitiva e la colangite sclerosante primaria, recentemente classificate come “vanishing bile duct syndromes” (Alvaro 2002). Dunque, il corso di tali patologie è caratterizzato da un iniziale equilibrio tra il danno ed il depauperamento dei dotti biliari da una parte e la proliferazione compensatoria dei dotti residui dall’altra, fino allo stadio terminale, nel corso del quale, il verificarsi di un’inefficace proliferazione non è più in grado di bilanciare la perdita dei dotti biliari intraepatici. Proprio in tale ottica, nel recente passato, sono stati messi in atto una serie di studi indirizzati a comprendere i meccanismi implicati nella regolazione della proliferazione colangiocitaria (Alvaro, 2000). A tale proposito, come accennato, sono da tempo noti modelli sperimentali che permettono di studiare efficacemente le caratteristiche morfologiche della proliferazione colangiocitaria il più utilizzato dei quali è quello che prevede la legatura della via biliare principale (BDL) attuata nel ratto. Tale modello induce una marcata proliferazione dei dotti biliari intraepatici con un incremento della massa biliare e dei colangiociti che vengono così a rappresentare oltre il 30% della cellularità del parenchima epatico (contro una numerosità pari a circa il 2% osservata in condizioni normali) (Alpini, 1988). 1.2 Proliferazione colangiocitaria: Interazioni tra Estrogeni ed asse GH-IGF1. Per quanto riguarda il fegato normale, è noto che i recettori per gli estrogeni (ER) sono fisiologicamente espressi a livello degli epatociti ed a questo livello tali ormoni regolano la crescita e la rigenerazione cellulare (Eagon, 1985). Infatti, a seguito di interventi di parziale epatectomia si assiste ad un incremento dell’espressione epatocitaria dei recettori per gli estrogeni e, contemporaneamente, ad una loro traslocazione a livello nucleare dove si rendono responsabili dell’induzione alla sintesi di DNA, favorendo il ripristino di una normale massa epatica (Eagon, 1985; Alvaro, 2000). E’ noto, inoltre, che anche la somministrazione estrogenica cronica a scopo farmacologico determina, nell’adulto, un incremento della massa epatica (Alvaro, 2000). Del resto, gli steroidi sessuali sono in grado di influenzare lo sviluppo ed il decorso di numerose patologie epatiche, come dimostrato da una serie di studi che hanno messo in evidenza la stretta correlazione esistente tra espressione dei recettori per gli estrogeni, metabolismo estrogenico, secrezione biliare, sviluppo e decorso di patologie epatiche ad andamento cronico (Eagon, 1985). Più di recente, si è cercato di comprendere se anche a livello dell’albero biliare intraepatico gli estrogeni giochino un ruolo nella proliferazione colangiocitaria ed è stato dimostrato come 2 tale evento oltre che essere regolato dall’azione di molteplici fattori di crescita, ormoni/neuropeptidi (acetilcolina, attivatori dell’adenilciclasi, somatostatina), e sali biliari è grandemente influenzato anche dagli estrogeni che sono in grado di intervenire sull’incremento numerico di tale citotipo (Alvaro, 2000). Nei tessuti le cui cellule esprimono recettori per gli estrogeni, si ritiene che essi possano indurre la proliferazione mediante due meccanismi: l’attivazione di un pathway diretto (genomico) grazie al quale il recettore attivato induce direttamente i meccanismi trascrizionali a livello del nucleo; l’attivazione di un pathway indiretto, nell’ambito del quale si verifica l’interazione a cascata di una serie di proteine che a loro volta favoriscono l’attivazione di fattori trascrizionali (Migliaccio, 1996; Filardo, 2000). E’ noto che nell’utero, ad esempio, ma anche nei colangiociti, gli estrogeni modulano la proliferazione cellulare mediante l’attivazione di una serie di eventi fosforilativi nell’ambito della cascata Ras/Raf/MAPK/ERK1/2 attivata a sua volta dall’azione di fattori di crescita che agiscono su recettori tirosinchinasici. In questa cascata un ruolo importante è giocato dal coattivatore del recettore steroideo (Src) e da una proteina adattatrice l’Shc (Srchomology/collagen protein) entrambi in grado di intervenire a monte, sull’isoforma MAPKERK 1/2 (Fig. 1) (Peyssonnaux, 2001; Alvaro, 2004). Attraverso questo pathway si realizza, dunque, un cross-talk importante tra estrogeni e fattori di crescita che includono anche l’IGF1 (Insulin Growth Factor 1) (Adesanya, 1999). E’ noto, infatti, che l’IGF1 è un ormone peptidico circolante (di cui il fegato rappresenta la fonte produttiva principale) che agisce localmente come fattore di crescita dalle molteplici funzioni endocrine, paracrine ed autocrine (Jones, 1995; Giustina, 1998; Seep-Lorenzino, 1998; Butler, 2001; Alvaro, 2005). L’IGF1 è sintetizzato dal fegato sotto il controllo ipofisario del GH (Growth Hormone) che, dopo essersi legato a recettori specifici (GH-R) periferici, induce la sintesi ed il rilascio dell’IGF1 che si è rivelato essere in grado di giocare un ruolo chiave nel controllo dell’accrescimento post-natale a vari livelli (Lupu, 2001). Di contro, un progressivo declino dell’asse GH-IGF1, tipico del progredire dell’età, conduce ad una riduzione delle masse ossee e muscolari nonché ad un rallentamento dei processi di riparazione tessutale tipici della senescenza (Feldman, 1997; Chiarenza, 2000; Wang, 2004). Nelle cellule che esprimono i recettori per gli estrogeni si assiste, dunque, ad una complessa interazione tra estrogeni ed IGF1 che assieme intervengono nella modulazione della proliferazione, della differenziazione cellulare e nei processi di riparazione tessutali (Adesanya, 1999; Azcoitia, 1999; Kahlert, 2000; Stephen, 2000; Cardona-Gomez, 2001; Alvaro, 2005). Gli estrogeni possono, pertanto, essere considerati i principali modulatori dell’asse GH/IGF1 ((Jones, 1995; Giustina, 1998; Seep-Lorenzino, 1998; Butler, 2001). Tutto ciò riveste un interesse speciale in clinica, considerando lo sviluppo ed il decorso delle colangiopatie che, condizionate dall’attività degli estrogeni e dei loro metaboliti, colpiscono preferenzialmente il sesso femminile (Joplin, 1998). 3 D’altro canto, anche nella cirrosi biliare primitiva, che rappresenta la più comune colangiopatia acquisita, osservazioni indirette suggeriscono l’insorgenza di disfunzioni endocrine quali irregolarità mestruali, isterectomia, osteoporosi postmenopausale e carcinoma della mammella quali segni di alterazioni nella funzionalità estrogenica (Olsson, 1999). Inoltre, nel corso di questa patologia colestasica si verificano importanti e marcate alterazioni del metabolismo estrogenico epatico causate da una riduzione degli enzimi microsomiali epatici (P450) con conseguenti innalzamenti dei livelli sierici di estradiolo che vengono, peraltro, parzialmente risolti da trattamenti terapeutici a base di farmaci estrogenici (Floreani, 1991; Olsson 1999). Dopo la menopausa si assiste, inoltre, ad una riduzione dei livelli sierici di IGF1 proprio per la riduzione dell’effetto modulatore da essi giocato sull’asse GH-IGF1 (Giustina, 1998; Khosla, 1998). 1.3 La proliferazione colangiocitaria nella Malattia Policistica del Fegato: aspetti epidemiologici e clinici. Un’ incontrollata proliferazione dell’epitelio biliare si osserva anche nel corso della Malattia Policistica del Fegato (PLD) nella quale le cisti originano in gran parte da dilatazioni di microamartomi biliari insorgenti a partire da un’iperplasia epiteliale colangiocitaria. E’ questa una patologia ereditaria emergente che evolve successivamente all’insorgenza di una patologia policistica renale. Le neoformazioni cistiche possono essere distinte, da un punto di vista radiologico, in due varietà: CISTI INTRAEPATICHE, se si localizzano nel contesto del parenchima non entrando in contatto con le triadi portali e CISTI PERIBILIARI se sono adiacenti alla triade o si trovano in corrispondenza dell’ilo dell’organo (Qian, 2003). Le cisti epatiche sono rare nei neonati, si possono riscontrare in circa il 20% dei pazienti durante la terza decade e nel 75% dopo i settanta anni (Reynolds, 2000). Clinicamente, tali pazienti possono essere suddivisi in due gruppi, convenzionalmente distinti in base al rapporto fra la massa della cisti e quella del parenchima epatico (Everson, 2004). Se tale rapporto è maggiore di 1, la malattia è definita massiva; in questi casi è più spesso presente dolore addominale e difficoltà respiratoria dovuti al notevole volume delle cisti. E’ possibile inoltre, ecograficamente (Everson, 2004) classificare la malattia in base al numero delle cisti ed alla conseguente presenza di epatomegalia, mediante punteggio da 1 a 4; con il punteggio di 4 si indica la presenza di un numero superiore a 20 cisti associate ad epatomegalia (Everson, 2004). Anche questa patologia predilige il sesso femminile, infatti, lo sviluppo delle cisti epatiche è più precoce e più severo nel sesso femminile rispetto a quello maschile e le cisti appaiono macroscopicamente più voluminose nelle donne rispetto agli uomini. Ancora, le nullipare che non hanno fatto uso di estrogeni sono meno predisposte a formare cisti rispetto alle multipare o alle donne in terapia ormonale; anche l’uso di estrogeni nel periodo post-menopausale sembra favorire l’espansione volumetrica e numerica delle cisti (Everson, 2004; Drenth, 2005). 1.4 Genetica della Malattia Policistica L’ osservazione della casistica familiare e gli studi genetici più recenti hanno dimostrato che la malattia policistica del fegato si può presentare sotto forma autosomica dominante ed autosomica recessiva (Everson, 2004). La più comune forma di malattia policistica epatica autosomica dominante è associata con la malattia policistica renale, comprendente quattro varianti, tre ad ereditarietà autosomica dominante (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease: AD-PKD), che si riscontra con una frequenza 1:500-1:1000, per un numero d’individui affetti pari a circa 500.000 negli USA e 4-6 milioni a livello mondiale (Wilson, 2001) e una variante di tipo recessivo (Autosomal 4 Recessive Polycystic Kidney Disease: AR-PKD), rara anomalia di sviluppo che interessa soprattutto l’età infantile (Everson, 2004). Nella forma più frequente di tale patologia -quella autosomica dominante (ADPKD)- le cisti epatiche si sviluppano come conseguenza di mutazioni dei geni PKD1 e/o PKD2 (Qian, 1996). PKD1 è un gene complesso formato da 46 esoni che generano un lungo trascritto pari a circa 14kb che a sua volta codifica per una proteina di 4302 aminoacidi chiamata Policistina 1 (PC1), una glicoproteina integrale di membrana altamente espressa nei tessuti embrionali (Ong, 2005). Mutazioni in tale gene interessano l’85-90% dei casi di malattia (Anyatonwu, 2004). Il gene PKD1 è stato per la prima volta localizzato a livello del braccio corto del cromosoma 16 (Harris, 1999); attualmente sono note oltre 230 mutazioni di PKD1 (Everson, 2004) e di queste oltre il 60% induce la sintesi una proteina alterata nella sua struttura ed associata all’insorgenza di aneurismi cerebrali e ad una forma di grave malattia policistica renale (Qian, 1996). Il prodotto genico di PKD1, la Policistina 1, è una proteina costituita da un lungo dominio extracellulare (costituito da 3000 aminoacidi), da 11 domini di transmembrana (1100 aminoacidi) e da un corto dominio intracellulare (formato da 200 aminoacidi) (Delmas, 2004). La porzione extracellulare sembra essere implicata nell’adesione cellulare e quindi nelle interazioni tra le cellule. La costituzione di tale porzione prevede, infatti, numerose cisteine e leucine che, come è noto, rappresentano domini implicati nelle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice (Delmas, 2004). La porzione di transmembrana e quella intracellulare sembrano essere, invece, coinvolte nelle interazioni fisiche con PKD2 per la regolazione della trasduzione del segnale. Infatti, nelle normali condizioni di sviluppo la Policistina 1 riceve segnali dal compartimento extracellulare ed attiva vie fosforilative a livello intracellulare per innescare, infine, a livello nucleare, la trascrizione di specifici geni (Fig. 2) (Delmas, 2004). Nella AD-PKD le alterazioni nell’attività di questo gene e della sua proteina determinano anomalie nell’ambito di tali segnali e nelle interazioni di legame (Ong, 2005). La Policistina 1 è espressa nelle cellule di numerosi organi (rene, encefalo, fegato, pancreas, cuore, intestino); in particolare, a livello renale, dove è stata estensivamente studiata, essa gioca un ruolo essenziale nello sviluppo e nella differenziazione tessutale. Si è potuto verificare che durante lo sviluppo corporeo, la distribuzione della Policistina 1 passa dall’iniziale localizzazione a livello basicellulare (adesione cellula-matrice) a quella laterale nonché a livello apicale. Quest’ultima distribuzione sembra essere tipica di quei citotipi provvisti sul versante luminale di formazioni ciliari, strutture fondamentali per l’induzione dell’ingresso di calcio a livello intracellulare in risposta a situazioni di stress (Delmas, 2004). 5 La forma Autosomica Dominante della Malattia Policistica di tipo 2 è dovuta ad alterazioni di PKD2, gene formato da 15 esoni che generano un trascritto di circa 5kb che, a sua volta, codifica per una proteina di 968 aminoacidi chiamata Policistina 2 (PC-2), con livelli d’espressione che si mantengono costanti durante tutta la vita (Ong, 2005). Mutazioni in tale gene interessano solo il 10-15% dei casi di malattia policistica (Anyatonwu, 2004) che si manifesta clinicamente piuttosto tardivamente ed è compatibile con un’aspettativa di vita superiore di circa 15 anni (Wilson, 2001). Il locus di questo gene è posto a livello del cromosoma 4 e, ad oggi, sono state identificate oltre 60 mutazioni, molte delle quali sono del tipo delezione/inserzione ovvero causate da difetti nello splicing che conducono alla perdita di una regione proteica (Qian, 1996; Everson, 2004). La Policistina 2 è una proteina di membrana espressa in molti tessuti sia adulti che fetali, localizzata soprattutto a livello del reticolo endoplasmatico (Cay, 1999). Essa è costituita da 6 domini di transmembrana, con N e C terminali entrambi intracellulari ed, inoltre, da domini intracellulari con la porzione C terminale tipica delle proteine che legano il calcio (Fig. 3) (Cay, 1999). In rarissimi casi di pazienti affetti da policistosi epatica che non presentavano alterazioni dei geni PKD-1 e 2, è stata più recentemente dimostrata l’alterazione di due diversi e distinti geni; il gene proteinkinase -C- substrate - 80KH/ (PRKCSH), che codifica per la proteina Epatocistina (Drenth, 2004) ed il gene SEC63, codificante per la proteina omonima che inducono entrambi all’insorgenza della malattia policistica epatica isolata- iPCLD, non associata, cioè, alla malattia renale (Drenth, 2005). Pochi dati sono a disposizione in letteratura relativamente a questa forma isolata di malattia policistica del fegato e l’assenza di alterazioni a carico dei geni PKD1 e PKD2 nelle poche famiglie affette ha portato a cercare di definire l’esistenza di una mutazione a carico di altri geni (Iglesias, 1999). A tale proposito, si è trovato che il gene PRKCSH, il cui locus è stato identificato effettuando indagini sulle famiglie affette dalla patologia, nel cromosoma 19p 13.2-13.1, è quello implicato nell’insorgenza della forma isolata di malattia policistica del fegato (Reynolds, 2000). L’epatocistina è una beta-subunità di 528 aminoacidi non catalitica della glucosidasi II, essenziale per la maturazione della glucosidasi G Iiα, e provvista di sei domini strutturali; tra i più importanti ricordiamo una sequenza N-terminale che sembra necessaria alla traslocazione attraverso la membrana nel reticolo endoplasmatico, un recettore lipoproteico a bassa densità (LDLa) e due recettori per il legame con il calcio. L’epatocistina sembra coinvolta nei processi di sintesi delle glicoproteine e nella percezione dei livelli di calcio intracellulare (Drenth, 2004). La Malattia Policistica del Fegato in forma isolata può, infine, essere determinata da alterazioni a carico del cromosoma 6 del gene SEC63 che codifica per la sintesi di una 6 proteina dallo stesso nome che attraversa la membrana del reticolo endoplasmatico mediando il movimento dei nascenti polipeptidi (Fig. 4) (Drenth, 2005). Riassumendo, possiamo dire che tanto l’epatocistina quanto la SEC63 sono localizzate a livello del reticolo endoplasmatico sede della proteinosintesi ed intervengono a questo livello con formazione di legami N-glicosidici e impacchettamento degli aminoacidi avvalendosi dell’azione delle glucosidasi I e II (D’Alessio, 1999). Il fallimento di tali processi di maturazione condurrà ad un mancato trasporto delle proteine nella loro sede definitiva e ad una loro conseguente degradazione (Drenth, 2003). E’ stata descritta, infine, la più rara e grave Malattia Policistica Autosomica Recessiva legata alla mutazione di un altro gene PKHD1, (di cui si conoscono 119 differenti mutazioni); esso risulta formato da 67 esoni che generano un trascritto di circa 470kb codificante per una proteina di 4074 aminoacidi chiamata Fibrocistina (Ward, 2003) anche detta Poliductina (Moser, 2005), recettore integrale di membrana con siti extracellulari altamente glicosilati, un singolo dominio transmembrana e uno corto citoplasmatico (Fig.5) (LaRusso, 2004). Il quadro clinico di tale variante della malattia è dominato da una severa patologia cistica dei reni che rappresenta una delle più importanti nefropatie infantili con frequenza 1:20.000 e una mortalità del 30%, associata ad una fibrosi epatica congenita molto frequente in questi pazienti, oltre che alla possibile ma più rara dilatazione dei dotti biliari (Ward, 2002). Quindi, le alterazioni genetiche, ad oggi note, nella Malattia Policistica sono responsabili dei seguenti tre quadri morbosi geneticamente differenziati: A1) Malattia Autosomica Dominante, con mutazione dei geni PKD1 e/o 2 e conseguente alterazione delle proteine Policistina 1 e 2, responsabile della forma più comune, caratterizzata da cisti renali e frequenti cisti epatiche (Joder, 2002); A2) Malattia Autosomica Dominante, con mutazione del gene PRKCSH, che codifica per la proteina epatocistina, ed il gene SEC63 che codifica per la proteina omonima, responsabili della più rara malattia policistica epatica isolata- iPCLD (Drenth, 2004); B) Malattia Autosomica Recessiva, più rara e grave, legata alla mutazione di un altro gene o PKHD1, che codifica per la proteina fibrocistina, con quadro clinico dominato da una severa malattia cistica dei reni e frequente fibrosi epatica congenita (Masyuk, 2003; Ward, 2003). Nella forma più frequente della patologia policistica del fegato -quella autosomica dominante (ADPKD)- le cisti epatiche si sviluppano, come detto, quale conseguenza di mutazioni di geni (PKD1 e/o PKD2) che codificano per particolari proteine, le policistine (PC1 e PC2), implicate nella regolazione delle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice e, quindi, 7 coinvolte nei meccanismi di regolazione, differenziazione e proliferazione cellulare (Wilson, 2001; Anyatonwu, 2004). In particolar modo, la policistina 1 è stata trovata associata a complessi giunzionali quali le giunzioni aderenti ed i desmosomi, mentre la policistina 2, espressa a livello del reticolo endoplasmatico, interagisce con la policistina 1 favorendone il traffico verso le membrane plasmatiche. Le due proteine sono, dunque, partner in un sistema di segnalazione complesso in cui PC1 funge da sensore extracellulare per modulare l’ingresso di ioni Ca++ attraverso canali ionici forniti da PC2 (Fig. 6) (Nauli, 2003). 1.5 Malattia Policistica del Fegato: il ciglio quale organulo meccanocettore ed il ruolo delle Policistine. L’espressione fenotipica dei geni PKD1 e PKD2 e le mutazioni cui essi vanno incontro possono trovare riscontro nel ciglio, struttura sensoriale localizzata in corrispondenza del versante luminale del colangiocita. Il ciglio è caratterizzato da una lunghezza compresa tra 5 e 7 µm, da un diametro di circa 0,25 µm ed è circondato da una membrana in continuità con il plasmalemma. Una sezione trasversale del ciglio mostra la tipica struttura microtubulare interna “9+0” caratteristica delle ciglia primarie prive di motilità per la mancanza della coppia di microtubuli centrali (Pazour, 2003). A livello colangiocitario il ciglio esprime numerosi recettori associati al controllo della proliferazione e dell’apoptosi l’inattivazione dei quali provoca l’inabilità a percepire i segnali che normalmente regolano la morfogenesi tessutale (Delmas, 2004). Uno di questi complessi recettoriali è formato dall’eterodimero Policistina 1-Policistina 2 che, studi recenti condotti a livello renale, localizzano alla base delle ciglia dell’epitelio dei tubuli e che sembra essere coinvolto nella trasduzione degli ioni calcio (Forman, 2005). In risposta a segnali esterni provenienti dal liquido tubulare, la Policistina 1 attiverebbe un meccanismo di trasmissione attraverso la proteina G che ha il compito di accoppiare funzionalmente il recettore chimico di membrana, dopo la sua attivazione, con un enzimaeffettore capace di produrre e liberare nel citoplasma cellulare un secondo messaggero, nel caso specifico l’inositolo trifosfato. La sua azione è selettivamente indirizzata alle membrane degli organuli intracellulari che fungono da serbatoi di calcio, in particolare il reticolo endoplasmatico dove attiva la Policistina 2 portando allo stato di apertura dei suoi canali e determinandone un rapido rilascio in forma libera nel citosol (Alenghat, 2004). Il meccanismo per cui una ridotta o assente funzionalità delle policistine porti ad un’alterazione delle normali interazioni cellulari non è ben noto. L’alterazione dell’azione di meccanotrasduttore del complesso Policistina 1/2 potrebbe essere alla base della cistogenesi, perché il Ca++ media differenti, importanti funzioni della cellula, tra cui l’espressione genica, la crescita, il differenziamento e l’ apoptosi (Harris, 1997). Il complesso delle policistine è stato anche localizzato nelle giunzioni laterali dove interverrebbe nelle comunicazioni intercellulari attraverso legami con le E-catenine ed altre molecole di adesione garantendo la polarità dell’epitelio. Anche in sede non ciliare il complesso delle policistine media l’adesione cellulare; è stato, infatti, dimostrato che la porzione C-terminale della policistina 2 è in grado di legare diverse proteine che a loro volta 8 legano l’actina, mentre la porzione C-terminale della policistina 1 àncora direttamente i filamenti intermedi (Ong, 2005). Si è ipotizzato, quindi, che anomalie di questo dimero a livello del versante apicale della cellula del tubulo renale possano favorire la formazione delle cisti, mentre difetti nelle loro localizzazioni extraciliari contribuiscano all’espansione cistica (Harris, 1997). Si ritiene, inoltre, che le policistine mutate non interagiscano più correttamente con alcune molecole di adesione determinando un’espansione clonale di cellule parzialmente differenziate con disregolazione dell’equilibrio proliferazione/apoptosi ed espressione di un fenotipo ad elevate caratteristiche secretorie anche per una probabile disregolazione, da parte dell’epitelio cistico, di fattori di crescita che possono influenzare, in maniera autocrina e paracrina, la proliferazione dello stesso (Nichols, 2004). Studi sperimentali effettuati recentemente (Masyuk, 2003; Moser 2005) sul ratto affetto da rene policistico (PCK), hanno dimostrato, che mutazioni a carico del gene PKHD1, che in condizioni normali codifica per la sintesi della proteina fibrocistina (espressa in condizioni normali a livello delle ciglia dell’epitelio biliare, come osservato in esperimenti effettuati su dotti biliari isolati dopo microdissezione epatica) determinano nell’animale da esperimento: anomalie morfologiche a carico delle ciglia dell’epitelio biliare (ciglia brevi, malformate, con espansioni bulbari a livello delle estremità) ; assenza di espressione della fibrocistina a livello di tali ciglia; marcata distorsione dell’albero biliare che evidenzia multiple dilatazioni sacciformi risultanti in un incremento volumetrico in toto della struttura dell’albero (pari a circa 20 volte rispetto al normale) ed anche del diametro dei singoli dotti biliari (pari a circa 3 volte rispetto al normale). Tali dati supporterebbero l’ipotesi che anche la fibrocistina è presente a livello del ciglio dei colangiociti normali e che una sua alterazione o down-regulation possa essere collegata, almeno in questo modello sperimentale, ad una modificazione del ciglio ed alla formazione di cisti biliari (Masyuk, 2003) 1.6 La formazione delle cisti: le teorie più accreditate ed il ruolo dei Fattori di Crescita. Nella variante autosomica dominante pochi sono i soggetti che evidenziano l’insorgenza di cisti in età giovanile dal momento che queste compaiono con maggior frequenza dopo i 60 anni di età. Tale dato suggerisce che, assieme ad un background genetico imprescindibile, altri fattori debbano essere necessariamente coinvolti nell’origine delle neoformazioni cistiche epatiche (Pei, 2001) Attualmente la teoria più accreditata sull’origine delle cisti è quella molecolare del “two hits model” (Fig. 7) in cui l’inattivazione di entrambi gli alleli del gene avviene per una mutazione germinale ed una somatica in una cellula epiteliale che si accresce in modo clonale in una cisti (Pei, 2001). La Malattia Policistica del Fegato è fenotipicamente una malattia autosomica dominante ma a livello cellulare è come se si trattasse di una patologia “molecolare recessiva” che per manifestarsi necessita, infatti, di una seconda mutazione somatica, quest’ultima dovuta a “frameshift” , delezione o inserzione di alcune coppie nucleotidiche che provocano spostamento nel codice di lettura genetico e, quindi, espressione alterata della proteina (Everson, 2004). Si determina, quindi, che ad una iniziale mutazione della linea 9 germinale in una copia del gene PKD1 o PKD2 (“first hit “) segue una seconda mutazione che porta alla perdita di attività nella copia funzionale del gene (“second hit “) (Watnick, 1998). Quest’ultima mutazione segna l’inizio della proliferazione cellulare colangiocitaria e, quindi, della formazione della cisti, isolata dalla sede di origine che è stata bersaglio della mutazione somatica. Questa ipotesi, certamente affascinante, che permette di spiegare sia la natura dello sviluppo delle formazioni cistiche che la variabilità fenotipica presente nelle diversi nuclei familiari, lascia comunque una questione aperta: non chiarisce, infatti, se questo modello sia l’unico in grado di spiegare l’accrescimento delle cisti o sia, invece, un evento cronologicamente tardivo, responsabile dell’espansione volumetrica e numerica delle formazioni (Ong, 2005). Gli studi effettuati sul parenchima renale hanno fatto ipotizzare che a tale livello le cisti si accrescano a seguito della presenza di incrementati livelli di citochine e fattori di crescita presenti sia a livello plasmatico che nel fluido delle cisti (Nichols, 2004). A tal proposito, è stata studiata la composizione del fluido delle cisti epatiche di pazienti affetti da Malattia Policistica del Fegato del tipo autosomico dominante ipotizzando che l’eventuale presenza di tali fattori sia in grado di influire sull’accrescimento delle cisti epatiche, analogamente a quanto accade per quelle renali (Nichols, 2004). I risultati ottenuti hanno dimostrato l’aumento nel fluido cistico di una serie di sostanze: IL-6 (che promuove l’incremento dell’espressione di VEGF), IL-8 (che stimola la sintesi di metalloproteinasi), ENA-78 (Epithelial Neutrophil Attractant) con MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein) (fattori inducenti l’innesco della proliferazione epiteliale) e, ancora, proteine dalle spiccate proprietà angiogenetiche quali VEGF ed Angiogenina (Nichols, 2004). Gli stessi studi condotti al Microscopio Elettronico a Trasmissione hanno evidenziato aspetti tipici di sofferenza ischemica dell’epitelio delle cisti epatiche ed in particolar modo: rimodellamento della matrice extracellulare evidenziato da un ispessimento della lamina propria con abbondante deposizione di fibre collagene; evidenza a carico dell’epitelio cistico di alterazioni dei microvilli (distorsioni, allungamento, riduzione della densità fino alla completa assenza) simili a quelle insorgenti nell’ epitelio di dotti biliari ischemici. Tuttavia, l’epitelio di rivestimento delle cisti permane polarizzato, mostrando, tranne alcune eccezioni, complessi giunzionali intatti e mantenendo le caratteristiche capacità secretorie. 2. SCOPO DEL LAVORO Sulla scorta delle conoscenze che evidenziano il sinergismo esistente tra gli estrogeni ed una serie di fattori di crescita nella modulazione della proliferazione di citotipi diversi, ma accomunati dall’ espressione sulla loro superficie di recettori estrogenici, scopo della ricerca, condotta nel corso del periodo di dottorato, è stato quello di indagare i meccanismi alla base delle alterazioni nella proliferazione e nella morte cellulare nei colangiociti in condizioni sperimentali ed in condizioni patologiche nelle quali si determini un’incontrollata ed abnorme proliferazione di questo tipo cellulare. Tutto ciò avendo quale obiettivo quello di indagare anche le potenziali prospettive di un trattamento farmacologico in grado di intervenire nel ridurre l’iperplasia colangiocitaria alla base della patogenesi di tali disordini. In particolar modo il nostro studio ha riguardato: 1. ratti ovariectomizzati e sottoposti alla legatura della via biliare principale (BDL), successivamente trattati con farmaci estrogenici (17 β estradiolo, ICI 182,780); 2. biopsie epatiche di soggetti di sesso femminile affette da cirrosi biliare primitiva (PBC) nei diversi stadi evolutivi della patologia; 3. frammenti epatici di pazienti affetti da malattia policistica del fegato del tipo autosomico dominante. 10 3. METODOLOGIA SPERIMENTALE 3.1 Esperimenti sul ratto BDL Gli esperimenti hanno previsto l’utilizzo di ratti Wistar di sesso femminile normali ed ovariectomizzati (Charles River, Calco, Lecco, Italy). I ratti ovariectomizzati sono stati sottoposti a legatura della via biliare principale (BDL per 3-5 settimane) come da procedura descritta in letteratura (Alvaro, 2000); 4 giorni prima della legatura, alcuni di essi hanno cominciato a ricevere la somministrazione per via sottocutanea di 17-β estradiolo (alla dose di 28 µg/die, per un totale di 2 settimane) altri, dell’ICI 182,780, un antiestrogenico selettivo (alla dose di 1mg/kg/die, per un totale di 2 settimane). Sono stati effettuati contemporaneamente controlli su ratti sham-ovariectomia e sham-BDL, con la somministrazione di un carrier. Al termine dell’esperimento i ratti sono stati sacrificati ed è stato effettuato il prelievo del fegato trattato successivamente secondo le procedure successivamente descritte per le colorazioni istomorfologiche nonché per lo studio in immunoistochimica per i seguenti anticorpi: CK19 per lo studio della massa biliare; PCNA e Fas rispettivamente per la valutazione della proliferazione cellulare e delle proteine proapoptotiche; ER-α, ER-β per la valutazione dell’espressione dei recettori estrogenici. Sugli stessi campioni è stata effettuata la valutazione dell’apoptosi mediante il metodo TUNEL. 3.2 Cirrosi Biliare Primitiva Biopsie di fegato normale (n.5) provenienti da pazienti sottoposti a laparoscopia per altre patologie e biopsie epatiche provenienti da soggetti di sesso femminile di età compresa tra i 47 ed i 76 anni di età affette da PBC al I stadio (n.4), al II stadio (n.9), al III stadio (n.8) ed al IV stadio (n.11), sono state sottoposte ad uno studio immunoistochimico (IIC) al fine di valutare: - l’espressione dei recettori per gli estrogeni (ER-α, ER-β); -la massa biliare mediante l’espressione immunoistochimica della citocheratina 19 (CK19); - l’entità della proliferazione colangiocitaria mediante l’espressione di PCNA; - l’entità dell’apoptosi valutata con il metodo TUNEL e l’espressione delle proteine proapoptotiche valutata mediante l’immunolocalizzazione di Fas. E’ stata anche studiata la colocalizzazione colangiocitaria per PCNA ed estrogeni alfa sullo stesso preparato istologico. Sono stati esclusi dallo studio soggetti che avessero subito un trattamento terapeutico con farmaci di natura estrogenica. 3.3 Malattia Policistica del Fegato Abbiamo utilizzato frammenti di fegato di pazienti affetti da malattia policistica di tipo autosomico dominante provenienti sia da trapianto (n.3) sia da resezione epatica (n.4, tre di sesso femminile ed uno di sesso maschile con età media 64+/-7.2 anni). Tutti i fegati presentavano le caratteristiche macroscopiche della malattia policistica ed era possibile osservare formazioni cistiche di diverso diametro. I frammenti sono stati fissati rapidamente (in formalina al 4% ovvero in glutaraldeide al 2.5%, rispettivamente per lo studio in MO e MES) al fine di evitare il coartamento della superficie epiteliale che avrebbe reso difficile soprattutto l’osservazione del versante luminale al MES. Sono state effettuate indagini IIC intese a valutare l’espressione di una serie di proteine, recettori e fattori di crescita ed in particolar modo: Policistine 1 e 2 (PC1 e PC2); ER-α, ER-β; IGF1 ed IGF1R. 11 3.4 Microscopia Ottica ed Immunoistochimica I frammenti provenienti dagli animali da esperimento, dalle biopsie umane e dai frammenti di fegato policistico sono stati sottoposti alle comuni procedure di allestimento dei preparati destinati all’osservazione degli stessi al Microscopio Ottico (MO). In particolar modo: sezioni di 3-4µ di spessore sono state raccolte, montate su vetrini portaoggetto precedentemente polilisinati (0,1% poli-L-lisina) e sottoposte alle routinarie colorazioni istomorfologiche (Ematossilina-Eosina, tricromica secondo Masson). Per lo studio in immunoistochimica (IIC), dopo sparaffinatura delle sezioni, l’attività della perossidasi endogena è stata bloccata mediante incubazione delle sezioni in una miscela di metanolo e perossido di idrogeno (3%) per 40 minuti a temperatura ambiente. Le sezioni idratate e lavate in PBS (pH 7.4) sono state incubate overnight a 4°C con i seguenti anticorpi monoclonali: citocheratina 19 (CK19, 1:100. Dako International); PCNA (proliferating cellular nuclear antigen, 1:100. Dako International; Fas (1:100. Santa Cruz, USA); ER-α (cocktail di 3 anticorpi monoclonali al 33%, 1:100; Santa Cruz USA; C-314, Ab di topo contro la proteina corrispondente agli aminoacidi 120-170. D-12, Ab di topo contro la proteina corrispondente agli aminoacidi 2-185. F-10, Ab di topo contro un peptide che mappa la porzione carbossi-terminale dell’ ERα umano); ER-β (SC- 6822 e SC- 6821; 1:100. Santa Cruz Biotechnology, Inc.); Policistina 1(SC-10370; 1:100. Santa Cruz Biotechnology, Inc.); Policistina 2 (SC-10376; 1:100. Santa Cruz Biotechnology, Inc.); IGF 1 (SC-7144; 1:80. Santa Cruz Biotechnology, Inc. ); IGF 1R (SC-9038; 1:70. Santa Cruz Biotechnology, Inc.). Il giorno successivo, le sezioni sono state lavate in PBS per 5 minuti ed incubate prima per 10 minuti, a temperatura ambiente, con un anticorpo secondario link biotinilato (ABC systemDako, LSAB plus, biotinylated anti-rabbit, anti-mouse and anti-goat) e poi con la streptavidina perossidasi per altri 10 minuti. Dopo il trattamento con il cromogeno diaminobenzidina (DAB, Dako International), il contrasto nucleare è stato effettuato con l’Ematossilina. I controlli negativi sono stati allestiti omettendo l’anticorpo primario. Per i controlli positivi sono stati utilizzati frammenti di ca. mammario per PCNA, Fas, ER-α ed ER-β. Per le policistine, frammenti di corticale renale. Limitatamente alla doppia colorazione in IIC per PCNA ed ER-α, si è proceduto nel modo seguente: sono state selezionate 3 biopsie provenienti da pazienti al III stadio di PBC. Dopo sparaffinatura delle sezioni, la biotina endogena è stata bloccata mediante Biotin Blocking System (Dako, Denmark). Successivamente, i campioni sono stati incubati (1 ora a 37°C) prima con PCNA. Al termine, le sezioni sono state lavate in PBS per 5 minuti e incubate, a temperatura ambiente per 10 minuti, con il sistema ABC (ABC system-Dako, LSAB plus, biotinylated anti-rabbit, anti-mouse and anti-goat) e poi con il sistema streptavidina perossidasi (10 minuti). La reazione è stata sviluppata con la DAB. Si è bloccata di nuovo la biotina endogena con lo stesso sistema precedentemente utilizzato e si è proceduto con l’incubazione dell’ ER-α (cocktail di 3 anticorpi monoclonali, ciascuno in quantità pari al 33%). Dopo lavaggio con il PBS, si è applicato l’LSAB plus AB per 10 minuti e poi la streptavidina AP per 15 minuti. Lo sviluppo della seconda immunoreazione è stato effettuato con un diverso cromogeno, il fast-red system (Dako, Denmark). Al fine di escludere reazioni crociate tra il sistema streptavidina-fosfatasi alcalina, utilizzata per visualizzare gli ER, ed il sistema ABC utilizzato per evidenziare PCNA, sono stati effettuati controlli negativi su sezioni seriate omettendo di volta in volta l’anticorpo primario, ER ovvero PCNA. Tuttavia, bisogna sottolineare che durante la prima immunoreazione i siti reattivi dell’anticorpo 12 secondario sono completamente legati alla streptavidina perossidasi, mentre durante la seconda immunoreazione la streptavidina-fosfatasi alcalina non ha siti reattivi liberi per il sistema ABC usato al fine di rivelare PCNA. Sono stati effettuati anche altri controlli omettendo l’anticorpo link, il secondario ed i cromogeni senza evidenziare la presenza di reazioni crociate. Per la valutazione dell’apoptosi su singole cellule abbiamo utilizzato il metodo TUNEL (terminal deoxynucleotide transferase end labelling, Apoptag, Oncor, USA). Tutte le immagini sono state ottenute utilizzando un Microscopio Ottico Olympus BX-5 (Olympus, Tokyo, Japan) provvisto di videocamera (Videocam SPOT Insight; Diagnostic Instrument, Inc, Sterling Heights, MI). Morfometria Il grado di duttupenia è stato valutato mediante morfometria quantitativa su immagini al microscopio ottico ed espresso quale area occupata dai dotti interlobulari/area totaleX100. Per ciascuna sezione, sono stati considerati più di 5 spazi portobiliari limitatamente ai dotti interlobulari (di calibro inferiore a 100µ). Gli studi morfometrici sono stati condotti utilizzando un sistema di analisi di immagine e morfometria computerizzata (Image Analisis System, 2000, Delta sistemi, Italia). Analisi statistica Tutti i dati sono stati espressi quale media +/- DS. Le differenze tra i gruppi sono state valutate mediante ANOVA. 3.5 Microscopia Elettronica a Scansione Rispetto a quanto detto per la preparazione dei campioni destinati alle osservazioni in microscopia ottica, per quelli da visualizzarsi al Microscopio Elettronico a Scansione (MES) abbiamo tenuto conto del fatto che il tessuto prelevato deve essere ridotto, mediante una lama molto affilata, in piccoli frammenti di dimensioni non superiori a 1mm di spessore. La procedura prevede poi quanto segue: lavaggio dei frammenti in soluzione tampone o fisiologica per rimuovere secrezioni superficiali o particolato dalla superficie del tessuto che, fissato, potrebbe poi inficiare le osservazioni microscopiche. La fissazione viene effettuata in glutaraldeide al 2,5% in tampone fosfato per 2-6 ore a 4°C. Segue una post-fissazione in tetrossido di osmio all’1-2% per 2 ore a 4°C (facoltativa); infine, il campione viene ulteriormente lavato in tampone per 20 minuti, con due cambi, per eliminare l’eccesso di osmio. Si procede poi al passaggio del campione in soluzioni scalari di alcool, ed al successivo trasferimento all’interno del critical point drier, all’interno del quale l’alcool che permea il tessuto è gradualmente sostituito da anidride carbonica liquida che viene poi portata al proprio punto critico di temperatura e pressione, per cui i frammenti vengono a trovarsi da una fase liquida ad una fase gassosa senza variazioni della tensione superficiale del campione in esame. Il passaggio successivo prevede la metallizzazione in oro dei frammenti. A tal fine essi vengono dapprima montati su portacampioni metallici con una colla all’argento, che funge da conduttore. Per produrre una sottile pellicola d’oro che andrà a stratificarsi sulla superficie del campione, viene utilizzato uno sputter coater, ovvero una sorta di campana, entro cui viene creato un vuoto poco spinto (10¯ ³ torr). Con un catodo rivestito d’oro e un anodo su cui è localizzato il campione da metallizzare, viene generata una differenza di potenziale tramite una corrente ad alto voltaggio applicata al catodo (20-40 KV). In questo modo le molecole di gas libere nella camera ionizzano, producendo ioni positivi ed elettroni liberi; gli ioni bombardano le particelle d’oro che si trovano sul catodo facendole distaccare da esso. Continuando a collidere, molte di esse vengono in contatto con la superficie del campione biologico producendo un film sottile ed uniforme (lo spessore finale è in dipendenza dell’intensità della corrente applicata al catodo e della durata dell’intero processo) (Melis, 1989). 13 4. RISULTATI BDL Effetto dell’ovariectomia e della somministrazione di farmaci estrogenici sulla massa biliare e sulla proliferazione colangiocitaria. Sulla base dei nostri esperimenti abbiamo evidenziato che i ratti BDL presentavano a partire dalla II settimana un marcato incremento nel volume della massa biliare rispetto a quanto osservato nei ratti normali (6.94% ± 0,26% vs 0,21% ± 0,09%; P‹0.01) (Fig. 8). Quando BDL veniva effettuata su ratti ovariectomizzati, la massa biliare subiva un decremento di circa il 30% rispetto ai ratti BDL di controllo (5,05% ± 0,34%; P‹0.02) indicando che l’ablazione della funzionalità ovarica era in grado di interferire sulla proliferazione colangiocitaria. Ancora, la somministrazione di un antiestrogenico selettivo quale l’ICI 182,780 in corso di BDL determinava un decremento della proliferazione duttale (-50%) ancor più pronunciato (P‹0.05) rispetto a quello che si ottiene nei ratti BDL ovariectomizzati. Quando poi si somministrava l’ICI 182,780 in ratti BDL ovariectomizzati la massa biliare si riduceva ulteriormente fino a -85% se paragonata ai casi BDL+ovariectomia ovvero ai casi BDL+ICI (Fig. 8). Per quanto attiene al trattamento con il 17-β estradiolo, tale farmaco non induceva variazioni sulla massa biliare nei ratti BDL, mentre quando veniva somministrato ai ratti BDL ovariectomizzati il volume della massa biliare diveniva simile a quello dei ratti di controllo BDL. (Fig. 8). Ciò indicava che il ripristino della funzione estrogenica, attraverso una somministrazione esogena del farmaco, induceva una normalizzazione della risposta proliferativa 14 dell’epitelio biliare intraepatico nei ratti BDL. Effetto dell’ovariectomia e della somministrazione di farmaci estrogenici sull’espressione IIC di ER-alfa e di ER-beta, sulla proliferazione e sull’apoptosi colangiocitaria. Per quanto attiene alla valutazione dell’espressione dei recettori per gli estrogeni (ER) la percentuale di colangiociti positivi per ER-α è risultata simile nei gruppi di ratti: Normale, Normale+ ovariectomia, Normale+ ICI 182,780, Normale+ 17β estradiolo (Figg. 9, 10, 11, 12). Nei ratti BDL, al contrario, si è osservato un significativo incremento (P‹ 0,01) nella percentuale di colangiociti positivi per ER-α ed ER-β rispetto ai ratti normali (più pronunciato quello per ER-β rispetto ad ER-α, 35 volte contro 3,5 volte) (Figg. 9, 10, 11, 12). Nei ratti BDL ovariectomizzati la percentuale di colangiociti positivi per ER-α ed ER- β si riduceva rispetto al solo BDL (rispettivamente -32% e 45%; P‹0,001), mentre nei ratti BDL cui era somministrato l’antiestrogenico ICI-182,780 la positività colangiocitaria per ER-α era simile ai ratti ovariectomizzati (-31% contro 32%). Si osservava, invece, un effetto di drammatica riduzione dell’espressione degli ER- β (-94%), come si osservava nei ratti normali (Figg. 9, 10, 11, 12). Nei ratti BDL ovariectomizzati cui era stato somministrato l’ ICI-182,780, l’espressione IIC di ER-α ed ER-β subiva un ulteriore decremento (-52% e -94%) rispetto ai ratti BDL+ ovariectomia e a quelli BDL+ ICI182,780 (Figure 9, 10, 11, 12). Nei ratti BDL ovariectomizzati e trattati con 17-β estradiolo, invece, si osservava il ripristino dell’espressione tanto di ER-α che di ER-β (Figure 9, 10, 11, 12). Per quanto attiene alla espressione degli indici proliferativi, la riduzione della proliferazione colangiocitaria dei dotti intraepatici 15 osservata nei ratti BDL ovariectomizzati (evidenziata da una riduzione dell’espressione di PCNA nelle stesse cellule) (Figg. 13, 14) è risultata legata ad un incremento dell’apoptosi Fas mediata. L’ICI-182,780 induceva una riduzione della positività colangiocitaria per PCNA simile a quanto si osservava nei ratti solo ovariectomizzati ed un effetto additivo si verificava quando somministrato nei ratti BDL+ ovariectomia.Il trattamento con 17-β estradiolo non ha evidenziato alcun effetto sull’espressione di PCNA sui ratti BDL, mentre normalizza la positività per PCNA nei ratti BDL+ ovariectomia (Fig. 13). Infine, la valutazione degli indici relativi all’apoptosi ed all’espressione delle proteine proapoptotiche ha mostrato che:nei ratti BDL la positività per Fas e TUNEL coinvolge meno del 2,5% dei colangiociti (Figg. 15, 16, 17, 18). Nei ratti BDL+ovariectomia si osservava un incremento delle cellule biliari esprimenti Fas (6%) che risultavano positive anche al TUNEL. I ratti BDL trattati con ICI182,780 evidenziavano un incremento drammatico della positività dei biliociti per Fas (oltre il 60%) e TUNEL che subiva solo un ulteriore lieve incremento nel gruppo BDL+ovariectomia. La somministrazione del 17-β estradiolo nei ratti BDL non aveva effetti sull’espressione di Fas e TUNEL, 16 mentre se l’estrogeno veniva somministrato ai ratti BDL ovariectomizzati si evidenziava una completa normalizzazione del Fas e del TUNEL analogamente a quanto osservato nei ratti BDL in assenza di alcun trattamento (Figg. 15, 16, 17, 18). Questi dati indicano che l’ovariectomia induce solo una lieve attivazione dell’apoptosi Fas mediata che viene completamente normalizzata dalla somministrazione esogena degli estrogeni. Al contrario, quando i recettori per gli estrogeni vengono bloccati dalla somministrazione di un potente antiestrogenico quale l’ICI182,780 si evidenzia l’induzione di una drammatica attivazione dell’apoptosi colangiocitaria mediata da Fas. PBC L’analisi IIC condotta sui dotti interlobulari (‹ a 100µ di diametro) e focalizzata innanzitutto sulla valutazione dell’espressione degli ERα e β nelle biopsie di fegato normale, ha evidenziato, a questo livello, la completa assenza di espressione di tali antigeni. Al contrario, nelle biopsie di pazienti affette da PBC, gli ER-α e gli ER-β risultano presenti a livello colangiocitario anche se con diversi gradi di espressione. In particolar modo, la positività per ER-α subisce un progressivo incremento dallo stadio I allo stadio III di PBC (rispettivamente dall’1% al 12%), mentre nello stadio IV tutte le biopsie esaminate mostravano la completa assenza di espressione per ER-α. La positività per ER-β era ampiamente presente in tutti gli stadi di PBC (55%-65% dei colangiociti) (Fig. 19, Tabella 1). Per quanto attiene alla valutazione dei colangiociti proliferanti valutata mediante l’espressione di PCNA, si è evidenziato che nelle biopsie di fegato normale i colangiociti non si mostrano positivi per tale anticorpo mentre, nelle biopsie di PBC, espressione di PCNA subisce un progressivo incremento passando dallo stadio I (3% dei colangiociciti) allo stadio III (19%). Nel IV stadio l’espressione dello stesso anticorpo decresce essendo espresso solo nel 5% delle cellule biliari. Si rende evidente, dunque, una significativa correlazione positiva tra l’espressione di ER-α e quella di PCNA che è stata messa in evidenza mediante l’allestimento di una doppia colorazione per gli anticorpi suddetti effettuata su biopsie di PBC al III stadio selezionate in 17 modo random (Fig. 20). Questa fase dello studio IIC ha mostrato che circa il 99% dei colangiociti esprimenti ER-α a livello citoplasmatico co-esprime l’antigene di proliferazione PCNA a livello dei nuclei; al contrario, il 47,2% dei colangiociti PCNA positivi non esprimeva ER-α. Anche in questi esperimenti la valutazione dell’apoptosi colangiocitaria è stata valutata mediante il metodo TUNEL che ha fatto osservare come nel fegato normale tali cellule risultino negative per l’apoptosi. Nella PBC, invece, la positività per il TUNEL subisce un progressivo incremento passando dal 3,8% di colangiociti positivi al I stadio ad un 19% e ad un 24% di positività rispettivamente al II e III stadio della malattia. Si è assistito ad un decremento della positività, invece, al IV stadio con una percentuale di biliociti andati incontro ad apoptosi pari al 7,8%. Lo stesso andamento si è osservato anche per l’espressione di Fas, osservando che, negativa a livello dei colangiociti di fegato normale, coinvolge positivamente meno del 2% delle cellule biliari nel I stadio di PBC, incrementandosi lievemente nel II e III stadio (rispettivamente 14% e 11%) e portandosi all’8% nel IV stadio (Tabella 1). Normale PBC I PBC II PBC III PBC IV ER-α Neg. 1.2 ± 0.3 3.5 ± 0.7 12 ± 1.6 Neg. ER-β Neg. 50.2 ± 4.1 65.1 ± 4.1 65.3 ± 3.2 65.2 ± 3.1 PCNA Neg. 3.0 ± 0.45 20.1 ± 2.9 19.5 ± 3.0 5 ± 0.7 Fas Neg. 1.7 ± 0.3 14.5 ± 2.0 11.0 ± 1.7 8.0 ± 0.9 TUNEL Neg. 3.7 ± 1.1 19.6 ± 1.1 24.0 ± 5.0 7.8 ± 1.9 Tabella 1: Immunopositività in percentuale per ER-α, ER-β, PCNA, Fas, TUNEL nei colangiociti normali e di pazienti affette da PBC nei vari stadi evolutivi. Considerando in parallelo l’espressione di PCNA e del TUNEL, quale indice di un bilancio dinamico tra la proliferazione e la morte cellulare, si osserva che nel I e nel II stadio di PBC, PCNA e TUNEL mostrano un andamento simile, mentre nel III e nel IV stadio l’espressione di PCNA risulta significativamente più bassa (P‹ 0,05) (Fig. 21). 18 MALATTIA POLICISTICA DEL FEGATO Lo studio immunoistochimico ha dimostrato un’intensa immunopositività sia per la Policistina 1 che per la Policistina 2 a livello tanto dell’epitelio biliare dei dotti di piccole dimensioni che in quelli dilatati. Tale immunopositività permane anche a livello del più sottile epitelio che ricopre le cisti. (Fig. 22). Il controllo positivo è stato effettuato su sezioni di parenchima renale osservando che le policistine risultano essere espresse a livello del citoplasma delle cellule dei tubuli (Fig. 23). Si osserva un’immunoreazione positiva a livello del citoplasma delle cellule dei tubuli. Queste osservazioni, sulla scorta dello studio condotto sui ratti BDL e sulle biopsie di cirrosi biliare primitiva, ci hanno indotto a verificare, mediante analoghe tecniche di IIC, l’espressione dei recettori per gli estrogeni, dell’ IGF 1 e del suo recettore anche a livello dell’epitelio delle cisti epatiche. Per quanto concerne l’espressione degli ER, si è verificato che i colangiociti di fegato normale, sono negativi per entrambi gli ER, al contrario, si osserva una positività per gli ER-β sia a livello dell’epitelio biliare che in quello che riveste le cisti, con localizzazione tanto citoplasmatica che nucleare (Fig. 24). Lo studio dell’espressione dei fattori di crescita IGF1 ed IGF1R mostra che l’epitelio delle cisti presenta per entrambi una sovraespressione, indicando la loro importanza nella regolazione della proliferazione dell’epitelio biliare nonché dell’accrescimento volumetrico e numerico delle cisti (Fig. 25). La Microscopia Elettronica a Scansione (MES) ha consentito di verificare le caratteristiche morfologiche ultrastrutturali del versante luminale dell’epitelio di rivestimento delle cisti. Le immagini evidenziano un epitelio continuo ma con completa assenza di formazioni 19 ciliari, che sono, invece, tipicamente presenti sul versante apicale dell’epitelio biliare normale (Fig. 26). Figura 26: Microscopia Elettronica a Scansione di fegato normale (A) e di fegato policistica (B). (A: 50X; B: 150X; inserto 50X). A livello della superficie luminale dei dotti biliari di fegato normale si osserva la presenza di formazioni ciliari (A) mentre nell’epitelio cistico la superficie adluminale appare priva di qualsiasi formazione ciliare o similciliare. 5.DISCUSSIONE BDL Questa parte dello studio ha permesso una serie di osservazioni: l’ovariectomia in corso di BDL altera la risposta proliferativa dei dotti biliari intraepatici, come dimostrato dalla significativa riduzione della massa biliare che si realizza nei ratti BDL sottoposti ad ablazione ovarica, rispetto ai ratti BDL di controllo; la riduzione della massa biliare in questi ratti si è ritrovata associata ad un decremento della proliferazione colangiocitaria (dimostrato dalla ridotta espressione nucleare di PCNA dei biliociti) e ad un incremento dell’apoptosi Fas mediata; la somministrazione esogena di 17β estradiolo nei ratti BDL ovariectomizzati normalizza la risposta proliferativa dei dotti biliari intraepatici ripristinando la proliferazione (incremento della positività per PCNA) e riducendo l’apoptosi Fas mediata a livello colangiocitario; gli effetti negativi dell’ablazione ovarica sulla capacità proliferativa dei colangiociti in corso di BDL sono da ascriversi ad un decremento dell’espressione dei recettori per gli estrogeni ER-α ed ERβ; la somministrazione esogena di 17β estradiolo annulla completamente gli effetti dell’ovariectomia sulla massa biliare, sull’espressione degli ER, sulla 20 proliferazione e sull’apoptosi. Nella valutazione del ruolo degli estrogeni esogeni, intesi quali modulatori della proliferazione colangiocitaria in corso di colestasi sperimentalmente indotta, si rende evidente che il loro ruolo in tal senso sembra essere diverso rispetto a quello analogo indotto dall’ablazione ovarica. Gli estrogeni, infatti, agirebbero riducendo la proliferazione dei biliociti per un effetto marcatamente proapoptotico. Ancora, gli effetti dell’ovariectomia sulla proliferazione colangiocitaria si associano ad una riduzione dell’espressione IIC di ER-α ed ER-β pari al 40-50% indicando nella downregulation di questo tipo di recettori il meccanismo chiave delle alterazioni della proliferazione del citotipo coinvolto. Al contrario, l’effetto antiproliferativo dell’ICI 182,780 è associato ad una pressochè totale ablazione dell’espressione di ER-β e tale osservazione ben si accorda con i dati più recenti che indicano il ruolo centrale giocato da tale recettore nell’effetto di inibizione della crescita cellulare del farmaco antiestrogenico (Lau, 2000). I nostri esperimenti sembrano ulteriormente supportare l’ipotesi del ruolo fondamentale che gli estrogeni giocano nel modulare la proliferazione colangiocitaria in corso di colestasi, sinergizzando gli effetti di fattori di crescita che sostengono i meccanismi proliferativi deprimendo quelli apoptotici. Il fatto che né l’ablazione ovarica, né la somministrazione di estrogeni esogeni abbiano effetto sulla proliferazione nei ratti normali, sembra avvalorare questa convinzione poichè, è noto, che i colangiociti sono cellule normalmente quiescenti e sono in grado di proliferare solo in particolari condizioni sperimentali o cliniche che comportino l’attivazione di un complesso di fattori di crescita (LeSage, 1999; Alvaro, 2000; Glaser, 2000). Inoltre, quando la funzione estrogenica risulta essere quasi completamente bloccata, dall’associazione ovariectomia e somministrazione di farmaci antiestrogenici, permane una proliferazione colangiocitaria residuale legata all’azione dei fattori di crescita in grado di mantenere una capacità proliferativa epiteliale anche se a bassi livelli (Alvaro, 2002). PBC In questa fase dello studio abbiamo inteso valutare se la proliferazione colangiocitaria in corso di PBC sia in grado di rappresentare un efficace meccanismo di riparazione rispetto all’evoluzione della patologia verso la fase finale di duttupenia. I risultati più importanti ottenuti hanno evidenziato che: 1) all’analisi immunoistochimica condotta sui colangiociti provenienti da fegato normale, l’espressione degli ER risulta essere assente, mentre nei fegati di pazienti affette da PBC essi risultano significativamente espressi; 2) mentre la positività per ER-β risulta ugualmente elevata in tutti gli stadi di PBC (55-65%), la positività per ER-α si incrementa progressivamente dallo stadio I allo stadio III colocalizzando con l’espressione nelle stesse cellule di PCNA; 3) gli ER-α scompaiono al IV stadio di PBC in associazione con i livelli più bassi dell’espressione di PCNA e TUNEL e con l’evidenza della fase più marcata di duttupenia. Tali dati suggeriscono il coinvolgimento degli ER-α nella modulazione positiva della proliferazione colangiocitaria, ipotesi dimostrata dal fatto che quando al IV stadio di PBC l’espressione di PCNA subisce un drastico decremento, i colangiociti dei dotti intralobulari perdono la loro positività per gli ER-α. Per quanto attiene agli ER-β, abbiamo verificato che la 21 loro positività all’esame immunoistochimico è elevata in tutti gli stadi di PBC, incluso il IV, quello più avanzato, allorquando i markers apoptotici Fas e TUNEL sono notevolmente espressi. Tuttavia, mentre nel I e nel II stadio la proliferazione e la morte dei colangiociti coinvolge una percentuale simile di cellule, nelle fasi duttopeniche del III e del IV stadio, PCNA risulta significativamente più bassa del TUNEL. Questi dati inducono a pensare che l’evoluzione della patologia verso lo stadio finale di duttupenia sia determinata da una proliferazione colangiocitaria relativamente deficitaria, piuttosto che ad un incremento dei meccanismi apoptotici. L’associazione di una fallimentare proliferazione colangiocitaria e di una scomparsa dell’ espressione degli ER-α a carico delle stesse cellule, supporta l’ipotesi di una carenza funzionale estrogenica alla base dell’evoluzione verso la fase duttopenica finale della PBC. A tale proposito, diversi studi effettuati su cellule esprimenti ER mostrano che gli estrogeni, assieme a fattori di crescita (quali IGF1, NGF) e citochine, giocano un ruolo chiave nel promuovere la resistenza al danno apoptotico e nel modulare i processi infiammatori e di riparazione cellulare (Koh, 2002; Tiidus, 2003). MALATTIA POLICISTICA DEL FEGATO I risultati della ricerca relativi alla malattia policistica hanno dimostrato che: a) l’epitelio cistico è uguale a quello biliare da cui deriva; b) questo epitelio risulta immunoistochimicamente positivo per le Policistine 1 e 2 nonostante la mutazione dei geni che codificano per la loro sintesi; c) l’ epitelio cistico manca delle ciglia e questo dimostra che, a fronte di una marcata immunolocalizzazione delle policistine, l’entità della loro alterazione è sufficiente a modificare la costituzione del dimero, fondamentale nella costituzione strutturale del ciglio. Tra i dati fin qui riportati, quello che maggiormente stupisce è la positività delle Policistine nell’epitelio cistico delle pazienti affette da malattia policistica, poiché la mutazioni nei loro geni avrebbe lasciato presupporre una loro mancata sintesi; l’apparente anomalia, però, potrebbe essere spiegata considerando che l’alterazione genetica non va ad influenzare l’affinità della proteina per l’anticorpo, ma sicuramente va a creare alterazioni nella formazione del dimero della stessa, rilevabili dalle modificazioni strutturali delle ciglia. Altro dato molto importante, ma questa volta non sorprendente considerando quanto osservato nei nostri studi in BDL e PBC, è l’immunopositività dell’epitelio cistico agli estrogeni ed ai loro recettori, soprattutto per quanto riguarda il sottotipo β. Il loro incremento nei diversi stadi della malattia suggerisce come, anche in questa patologia, ci sia un ruolo fondamentale da attribuire ad essi nell’ambito dell’induzione allo sviluppo ed alla differenziazione dei colangiociti (Alvaro, 2000) e quindi nell’evoluzione prognostica dell’affezione; in particolar modo, anche da conoscenze ormai ben consolidate in letteratura, sembra che l’attività di ER-α sia legata ad un effetto modulatore positivo nella crescita e nella proliferazione (Diel, 2002) mentre ER-β abbia maggiore eterogeneità d’azione (Masselman, 1996). Nell’ambito dei meccanismi intracellulari che intervengono nella stimolazione alla proliferazione, anche in questa patologia risultano essere coinvolte vie comuni a fattori di crescita; nel nostro studio abbiamo dimostrato, infatti, come l’IGF1, iperespresso a livello citoplasmatico nei colangiociti proliferanti dei dotti biliari e dell’epitelio cistico, svolga un ruolo sinergico nella stimolazione come del resto evidenziato anche in studi del tutto recenti in letteratura (Onori, 2004). Accanto, infatti, ai meccanismi genetici di perdita della funzione (ma non dell’espressione IIC) delle policistine P1 e P2, che comunque rappresentano lo step iniziale della malattia policistica, si potrebbe ipotizzare che l’accrescimento e la proliferazione verrebbero a realizzarsi anche per la produzione da parte dell’epitelio cistico di una serie di molecole quali citochine, fattori di crescita come interleuchine, metalloproteasi, mediatori dalle spiccate proprietà angiogenetiche (VEGF, angiogenina) che interverrebbero non solo nell’ indirizzare l’accrescimento delle cisti ma promuoverebbero anche la resistenza all’apoptosi e la modulazione dei processi infiammatori e di riparazione. Andando a considerare l’epitelio di 22 rivestimento delle cisti, è noto che esso appare strutturalmente polarizzato mostrando complessi giunzionali intatti; questa caratteristica morfologica permette la normale secrezione vettoriale di ioni, soluti e acqua nonchè di fattori di crescita reperibili nel fluido cistico, molecole in grado di indurre alterazioni fisiche intraluminali, quali l’insorgenza di una pressione positiva che, a sua volta, si rende responsabile dell’ulteriore induzione al rilascio da parte di tali cellule di citochine mitogeniche (come IL8, IL6) in grado di stimolare la proliferazione. L’espansione del versante luminale crea un cambiamento di conformazione nella circostante matrice, mediato proprio dall’ IL6, che induce proliferazione e sintesi di collagene da parte delle cellule stellate, situate tra l’epitelio dei sinusoidi e le filiere epatocitarie, deputate all’accumulo di matrice extracellulare nelle reazioni riparative di natura fibrotica (Nichols, 2004). Sulla base di tali considerazioni si può ipotizzare che l’interruzione di questi segnali possa rappresentare il bersaglio terapeutico indispensabile per l’inibizione dell’espansione cistica. In questa ottica, osservazioni cliniche preliminari indicano che il Tamoxifene, un agonistaantagonista degli ERα e antagonista di ERβ, è in grado di migliorare i parametri biochimici della colestasi nella cirrosi biliare primitiva (Alvaro, 2004; Invernizzi, 2004). Sulla base dei risultati ottenuti, anche per la malattia policistica del fegato, dunque, le ricerche condotte suggeriscono le basi morfologiche per la messa in atto di nuove strategie terapeutiche che affianchino quelle attuali prevalentemente chirurgiche di ablazione delle cisti. Considerando, infatti, che la malattia policistica colpisce prevalentemente il sesso femminile ed evolve più rapidamente in donne multipare o che abbiano fatto uso di terapia sostitutiva estrogenica, si può ipotizzare, a scopo terapeutico, l’utilizzo di modulatori selettivi degli estrogeni (quali gli inibitori delle Mapkinasi) che, essendo in grado di ridurre gli effetti proliferativi che tali sostanze esercitano sull’epitelio biliare, potrebbero essere in grado di interferire sul parametro proliferazione che abbiamo visto essere fattore determinante nell’evoluzione clinica di tale disordine displasico. Si rende evidente, dunque, che la comprensione del ruolo degli estrogeni, dei loro recettori e di alcuni fattori di crescita che sembrano essere cosi’ profondamente determinanti nel causare una reale disregolazione nei meccanismi proliferativi colangiocitari, potrebbe aprire la strada a nuove prospettive nell’approccio terapeutico di tali patologie ed incidere favorevolmente sulla loro evolutività prognostica . 23 6. BIBLIOGRAFIA Adesanya O.O., Zhou J., Samathanam C., Powel-Braxton L., Bondy C.A. Insulin –likegrowth factor 1 is required for G2 progression in the estradiol-induced mitotic cycle. Proc Natl Acad Sci USA 96: 3287-3291 (1999). Alenghat F.J., Nauli S.M., Kolb R., Zhou J., Ingber D.E. Global cytoskeletal control of mechanotrasduction in kidney epithelial cells. Exp Cell Res 301 (1): 23-30 (2004) Alpini G., Lenzi R., Sarkozi L., Tavoloni N. Biliary phisiology in rats with bile ductular cell hyperplasia. Evidence for a secretori function of proliferated bile ductules. 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