studio dell`espressione di antigeni correlati con la - Padis

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STUDIO DELL’ESPRESSIONE DI ANTIGENI CORRELATI CON LA
PROLIFERAZIONE E LA MORTE CELLULARE
IN EPATOPATIE CRONICHE UMANE E
SPERIMENTALMENTE INDOTTE
ANTONELLA VETUSCHI
DOTTORATO DI RICERCA IN EPATOLOGIA SPERIMENTALE E CLINICA
DIPARTIMENTO DI ANATOMIA UMANA,
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”.
COORDINATORE : PROF. EUGENIO GAUDIO
TUTORE SCIENTIFICO: PROF. SERGIO MORINI
DOCENTI ESAMINATORI:
PROF. EUGENIO GAUDIO, PROF. PAOLO ONORI, PROF. OLIVIERO RIGGIO
ABSTRACT
Scopo della ricerca è stato quello di indagare i meccanismi alla base delle alterazioni nella
proliferazione e nella morte cellulare colangiocitaria: 1) in ratti ovariectomizzati sottoposti a
legatura della via biliare principale (BDL) e successivamente trattati con farmaci estrogenici;
2) in biopsie epatiche di pazienti affette da cirrosi biliare primitiva (PBC); 3) in frammenti
epatici provenienti da pazienti affetti da malattia policistica del fegato. Gli esperimenti
effettuati supportano l’ipotesi del ruolo fondamentale giocato dagli estrogeni nel modulare la
proliferazione colangiocitaria in corso di colestasi, la resistenza al danno apoptotico nei
diversi stadi di PBC e l’incontrollata iperplasia dell’epitelio biliare, caratteristica peculiare
nelle cisti epatiche. La comprensione del ruolo degli estrogeni e dei loro recettori nonché di
alcuni fattori di crescita implicati potrebbe aprire nuove prospettive terapeutiche che
identificano nei modulatori selettivi estrogenici, farmaci in grado di incidere sull’evolutività
prognostica di tali affezioni.
1. INTRODUZIONE
1.1 La proliferazione colangiocitaria nelle colangiopatie sperimentali ed umane.
Le alterazioni morfologiche cui possono andare incontro le diverse porzioni dell’albero
biliare, a partire dai dotti intraepatici, sono oggetto di estensivi approfondimenti.
I colangiociti, ovvero le cellule epiteliali dell’albero biliare, rappresentano gli elementi
coinvolti nel danno insorgente nel corso di una serie di patologie epatiche recentemente
definite come colangiopatie (Boyer, 1997; Roberts, 1997; Alvaro, 1999).
Tali affezioni, che comprendono la cirrosi biliare primitiva (PBC) e sono clinicamente
caratterizzate da colestasi cronica, determinano nel parenchima epatico, da un punto di vista
morfologico, una progressiva scomparsa dei dotti biliari intralobulari e l’insorgenza di un
meccanismo di compenso da parte dei colangiociti che, con la loro attivazione in senso
proliferativo, tentano di contrastare la lenta ma inesorabile progressione della patologia verso
lo stadio finale di duttupenia (Desmet, 1998; Alvaro, 2000 A).
I colangiociti, infatti, nel fegato normale possono essere considerati quali cellule quiescenti
ma, in talune circostanze, sono in grado di sviluppare una marcata capacità proliferativa che
evidenziano sia in condizioni sperimentali (è noto che in modelli sperimentali che prevedono
la legatura della via biliare principale, come ad esempio, nel ratto – il modello BDL – si
assiste ad una selettiva proliferazione colangiocitaria) sia nel corso di alcune colangiopatie
umane che includono, appunto, la cirrosi biliare primitiva e la colangite sclerosante primaria,
recentemente classificate come “vanishing bile duct syndromes” (Alvaro 2002).
Dunque, il corso di tali patologie è caratterizzato da un iniziale equilibrio tra il danno ed il
depauperamento dei dotti biliari da una parte e la proliferazione compensatoria dei dotti
residui dall’altra, fino allo stadio terminale, nel corso del quale, il verificarsi di un’inefficace
proliferazione non è più in grado di bilanciare la perdita dei dotti biliari intraepatici. Proprio
in tale ottica, nel recente passato, sono stati messi in atto una serie di studi indirizzati a
comprendere i meccanismi implicati nella regolazione della proliferazione colangiocitaria
(Alvaro, 2000).
A tale proposito, come accennato, sono da tempo noti modelli sperimentali che permettono di
studiare efficacemente le caratteristiche morfologiche della proliferazione colangiocitaria il
più utilizzato dei quali è quello che prevede la legatura della via biliare principale (BDL)
attuata nel ratto. Tale modello induce una marcata proliferazione dei dotti biliari intraepatici
con un incremento della massa biliare e dei colangiociti che vengono così a rappresentare
oltre il 30% della cellularità del parenchima epatico (contro una numerosità pari a circa il 2%
osservata in condizioni normali) (Alpini, 1988).
1.2 Proliferazione colangiocitaria: Interazioni tra Estrogeni ed asse GH-IGF1.
Per quanto riguarda il fegato normale, è noto che i recettori per gli estrogeni (ER) sono
fisiologicamente espressi a livello degli epatociti ed a questo livello tali ormoni regolano la
crescita e la rigenerazione cellulare (Eagon, 1985).
Infatti, a seguito di interventi di parziale epatectomia si assiste ad un incremento
dell’espressione epatocitaria dei recettori per gli estrogeni e, contemporaneamente, ad una
loro traslocazione a livello nucleare dove si rendono responsabili dell’induzione alla sintesi di
DNA, favorendo il ripristino di una normale massa epatica (Eagon, 1985; Alvaro, 2000).
E’ noto, inoltre, che anche la somministrazione estrogenica cronica a scopo farmacologico
determina, nell’adulto, un incremento della massa epatica (Alvaro, 2000).
Del resto, gli steroidi sessuali sono in grado di influenzare lo sviluppo ed il decorso di
numerose patologie epatiche, come dimostrato da una serie di studi che hanno messo in
evidenza la stretta correlazione esistente tra espressione dei recettori per gli estrogeni,
metabolismo estrogenico, secrezione biliare, sviluppo e decorso di patologie epatiche ad
andamento cronico (Eagon, 1985).
Più di recente, si è cercato di comprendere se anche a livello dell’albero biliare intraepatico
gli estrogeni giochino un ruolo nella proliferazione colangiocitaria ed è stato dimostrato come
2
tale evento oltre che essere regolato dall’azione di molteplici fattori di crescita,
ormoni/neuropeptidi (acetilcolina, attivatori dell’adenilciclasi, somatostatina), e sali biliari è
grandemente influenzato anche dagli estrogeni che sono in grado di intervenire
sull’incremento numerico di tale citotipo (Alvaro, 2000).
Nei tessuti le cui cellule esprimono recettori per gli estrogeni, si ritiene che essi possano
indurre la proliferazione mediante due meccanismi:
l’attivazione di un pathway diretto (genomico) grazie al quale il recettore attivato induce
direttamente i meccanismi trascrizionali a livello del nucleo;
l’attivazione di un pathway indiretto, nell’ambito del quale si verifica l’interazione a cascata
di una serie di proteine che a loro volta favoriscono l’attivazione di fattori trascrizionali
(Migliaccio, 1996; Filardo, 2000).
E’ noto che nell’utero, ad esempio, ma anche nei colangiociti, gli estrogeni modulano la
proliferazione cellulare mediante l’attivazione di una serie di eventi fosforilativi nell’ambito
della cascata Ras/Raf/MAPK/ERK1/2 attivata a sua volta dall’azione di fattori di crescita che
agiscono su recettori tirosinchinasici. In questa cascata un ruolo importante è giocato dal coattivatore del recettore steroideo (Src) e da una proteina adattatrice l’Shc (Srchomology/collagen protein) entrambi in grado di intervenire a monte, sull’isoforma MAPKERK 1/2 (Fig. 1) (Peyssonnaux, 2001; Alvaro, 2004).
Attraverso questo pathway si realizza, dunque, un cross-talk importante tra estrogeni e fattori
di crescita che includono anche l’IGF1 (Insulin Growth Factor 1) (Adesanya, 1999).
E’ noto, infatti, che l’IGF1 è un ormone peptidico circolante (di cui il fegato rappresenta la
fonte produttiva principale) che agisce localmente come fattore di crescita dalle molteplici
funzioni endocrine, paracrine ed autocrine (Jones, 1995; Giustina, 1998; Seep-Lorenzino,
1998; Butler, 2001; Alvaro, 2005).
L’IGF1 è sintetizzato dal fegato sotto il controllo ipofisario del GH (Growth Hormone) che,
dopo essersi legato a recettori specifici (GH-R) periferici, induce la sintesi ed il rilascio
dell’IGF1 che si è rivelato essere in grado di giocare un ruolo chiave nel controllo
dell’accrescimento post-natale a vari livelli (Lupu, 2001).
Di contro, un progressivo declino dell’asse GH-IGF1, tipico del progredire dell’età, conduce
ad una riduzione delle masse ossee e muscolari nonché ad un rallentamento dei processi di
riparazione tessutale tipici della senescenza (Feldman, 1997; Chiarenza, 2000; Wang, 2004).
Nelle cellule che esprimono i recettori per gli estrogeni si assiste, dunque, ad una complessa
interazione tra estrogeni ed IGF1 che assieme intervengono nella modulazione della
proliferazione, della differenziazione cellulare e nei processi di riparazione tessutali
(Adesanya, 1999; Azcoitia, 1999; Kahlert, 2000; Stephen, 2000; Cardona-Gomez, 2001;
Alvaro, 2005).
Gli estrogeni possono, pertanto, essere considerati i principali modulatori dell’asse GH/IGF1
((Jones, 1995; Giustina, 1998; Seep-Lorenzino, 1998; Butler, 2001).
Tutto ciò riveste un interesse speciale in clinica, considerando lo sviluppo ed il decorso delle
colangiopatie che, condizionate dall’attività degli estrogeni e dei loro metaboliti, colpiscono
preferenzialmente il sesso femminile (Joplin, 1998).
3
D’altro canto, anche nella cirrosi biliare primitiva, che rappresenta la più comune
colangiopatia acquisita, osservazioni indirette suggeriscono l’insorgenza di disfunzioni
endocrine quali irregolarità mestruali, isterectomia, osteoporosi postmenopausale e carcinoma
della mammella quali segni di alterazioni nella funzionalità estrogenica (Olsson, 1999).
Inoltre, nel corso di questa patologia colestasica si verificano importanti e marcate alterazioni
del metabolismo estrogenico epatico causate da una riduzione degli enzimi microsomiali
epatici (P450) con conseguenti innalzamenti dei livelli sierici di estradiolo che vengono,
peraltro, parzialmente risolti da trattamenti terapeutici a base di farmaci estrogenici (Floreani,
1991; Olsson 1999).
Dopo la menopausa si assiste, inoltre, ad una riduzione dei livelli sierici di IGF1 proprio per
la riduzione dell’effetto modulatore da essi giocato sull’asse GH-IGF1 (Giustina, 1998;
Khosla, 1998).
1.3 La proliferazione colangiocitaria nella Malattia Policistica del Fegato: aspetti
epidemiologici e clinici.
Un’ incontrollata proliferazione dell’epitelio biliare si osserva anche nel corso della Malattia
Policistica del Fegato (PLD) nella quale le cisti originano in gran parte da dilatazioni di
microamartomi biliari insorgenti a partire da un’iperplasia epiteliale colangiocitaria.
E’ questa una patologia ereditaria emergente che evolve successivamente all’insorgenza di
una patologia policistica renale.
Le neoformazioni cistiche possono essere distinte, da un punto di vista radiologico, in due
varietà: CISTI INTRAEPATICHE, se si localizzano nel contesto del parenchima non entrando
in contatto con le triadi portali e CISTI PERIBILIARI se sono adiacenti alla triade o si trovano
in corrispondenza dell’ilo dell’organo (Qian, 2003).
Le cisti epatiche sono rare nei neonati, si possono riscontrare in circa il 20% dei pazienti
durante la terza decade e nel 75% dopo i settanta anni (Reynolds, 2000).
Clinicamente, tali pazienti possono essere suddivisi in due gruppi, convenzionalmente distinti
in base al rapporto fra la massa della cisti e quella del parenchima epatico (Everson, 2004).
Se tale rapporto è maggiore di 1, la malattia è definita massiva; in questi casi è più spesso
presente dolore addominale e difficoltà respiratoria dovuti al notevole volume delle cisti. E’
possibile inoltre, ecograficamente (Everson, 2004) classificare la malattia in base al numero
delle cisti ed alla conseguente presenza di epatomegalia, mediante punteggio da 1 a 4; con il
punteggio di 4 si indica la presenza di un numero superiore a 20 cisti associate ad
epatomegalia (Everson, 2004).
Anche questa patologia predilige il sesso femminile, infatti, lo sviluppo delle cisti epatiche è
più precoce e più severo nel sesso femminile rispetto a quello maschile e le cisti appaiono
macroscopicamente più voluminose nelle donne rispetto agli uomini. Ancora, le nullipare che
non hanno fatto uso di estrogeni sono meno predisposte a formare cisti rispetto alle multipare
o alle donne in terapia ormonale; anche l’uso di estrogeni nel periodo post-menopausale
sembra favorire l’espansione volumetrica e numerica delle cisti (Everson, 2004; Drenth,
2005).
1.4 Genetica della Malattia Policistica
L’ osservazione della casistica familiare e gli studi genetici più recenti hanno dimostrato che
la malattia policistica del fegato si può presentare sotto forma autosomica dominante ed
autosomica recessiva (Everson, 2004).
La più comune forma di malattia policistica epatica autosomica dominante è associata con la
malattia policistica renale, comprendente quattro varianti, tre ad ereditarietà autosomica
dominante (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease: AD-PKD), che si riscontra con
una frequenza 1:500-1:1000, per un numero d’individui affetti pari a circa 500.000 negli USA
e 4-6 milioni a livello mondiale (Wilson, 2001) e una variante di tipo recessivo (Autosomal
4
Recessive Polycystic Kidney Disease: AR-PKD), rara anomalia di sviluppo che interessa
soprattutto l’età infantile (Everson, 2004).
Nella forma più frequente di tale patologia -quella autosomica dominante (ADPKD)- le cisti
epatiche si sviluppano come conseguenza di mutazioni dei geni PKD1 e/o PKD2 (Qian,
1996).
PKD1 è un gene complesso formato da 46 esoni che generano un lungo trascritto pari a circa
14kb che a sua volta codifica per una proteina di 4302 aminoacidi chiamata Policistina 1 (PC1), una glicoproteina integrale di membrana altamente espressa nei tessuti embrionali (Ong,
2005).
Mutazioni in tale gene interessano l’85-90% dei casi di malattia (Anyatonwu, 2004).
Il gene PKD1 è stato per la prima volta localizzato a livello del braccio corto del cromosoma
16 (Harris, 1999); attualmente sono note oltre 230 mutazioni di PKD1 (Everson, 2004) e di
queste oltre il 60% induce la sintesi una proteina alterata nella sua struttura ed associata
all’insorgenza di aneurismi cerebrali e ad una forma di grave malattia policistica renale (Qian,
1996).
Il prodotto genico di PKD1, la Policistina 1, è
una proteina costituita da un lungo dominio
extracellulare
(costituito
da
3000
aminoacidi), da 11 domini di transmembrana
(1100 aminoacidi) e da un corto dominio
intracellulare (formato da 200 aminoacidi)
(Delmas, 2004).
La porzione extracellulare sembra essere
implicata nell’adesione cellulare e quindi
nelle interazioni tra le cellule. La costituzione
di tale porzione prevede, infatti, numerose
cisteine e leucine che, come è noto,
rappresentano
domini
implicati
nelle
interazioni cellula-cellula e cellula-matrice
(Delmas, 2004).
La porzione di transmembrana e quella
intracellulare sembrano essere, invece,
coinvolte nelle interazioni fisiche con PKD2
per la regolazione della trasduzione del
segnale. Infatti, nelle normali condizioni di
sviluppo la Policistina 1 riceve segnali dal
compartimento extracellulare ed attiva vie
fosforilative a livello intracellulare per
innescare, infine, a livello nucleare, la
trascrizione di specifici geni (Fig. 2) (Delmas,
2004).
Nella AD-PKD le alterazioni nell’attività di questo gene e della sua proteina determinano
anomalie nell’ambito di tali segnali e nelle interazioni di legame (Ong, 2005).
La Policistina 1 è espressa nelle cellule di numerosi organi (rene, encefalo, fegato, pancreas,
cuore, intestino); in particolare, a livello renale, dove è stata estensivamente studiata, essa
gioca un ruolo essenziale nello sviluppo e nella differenziazione tessutale.
Si è potuto verificare che durante lo sviluppo corporeo, la distribuzione della Policistina 1
passa dall’iniziale localizzazione a livello basicellulare (adesione cellula-matrice) a quella
laterale nonché a livello apicale. Quest’ultima distribuzione sembra essere tipica di quei
citotipi provvisti sul versante luminale di formazioni ciliari, strutture fondamentali per
l’induzione dell’ingresso di calcio a livello intracellulare in risposta a situazioni di stress
(Delmas, 2004).
5
La forma Autosomica Dominante della Malattia Policistica di tipo 2 è dovuta ad alterazioni di
PKD2, gene formato da 15 esoni che generano un trascritto di circa 5kb che, a sua volta,
codifica per una proteina di 968 aminoacidi chiamata Policistina 2 (PC-2), con livelli
d’espressione che si mantengono costanti durante tutta la vita (Ong, 2005).
Mutazioni in tale gene interessano solo il 10-15% dei casi di malattia policistica (Anyatonwu,
2004) che si manifesta clinicamente piuttosto tardivamente ed è compatibile con
un’aspettativa di vita superiore di circa 15 anni (Wilson, 2001).
Il locus di questo gene è posto a livello del cromosoma 4 e, ad oggi, sono state identificate
oltre 60 mutazioni, molte delle quali sono del tipo delezione/inserzione ovvero causate da
difetti nello splicing che conducono alla perdita di una regione proteica (Qian, 1996; Everson,
2004).
La Policistina 2 è una proteina di membrana espressa in molti tessuti sia adulti che fetali,
localizzata soprattutto a livello
del reticolo endoplasmatico
(Cay, 1999).
Essa è costituita da 6 domini di
transmembrana, con N e C
terminali entrambi intracellulari
ed,
inoltre,
da
domini
intracellulari con la porzione C
terminale tipica delle proteine
che legano il calcio (Fig. 3)
(Cay, 1999).
In rarissimi casi di pazienti
affetti da policistosi epatica che
non presentavano alterazioni dei
geni PKD-1 e 2, è stata più
recentemente
dimostrata
l’alterazione di due diversi e
distinti geni; il gene proteinkinase -C- substrate - 80KH/
(PRKCSH), che codifica per la
proteina Epatocistina (Drenth, 2004) ed il gene SEC63, codificante per la proteina omonima
che inducono entrambi all’insorgenza della malattia policistica epatica isolata- iPCLD, non
associata, cioè, alla malattia renale (Drenth, 2005).
Pochi dati sono a disposizione in letteratura relativamente a questa forma isolata di malattia
policistica del fegato e l’assenza di alterazioni a carico dei geni PKD1 e PKD2 nelle poche
famiglie affette ha portato a cercare di definire l’esistenza di una mutazione a carico di altri
geni (Iglesias, 1999).
A tale proposito, si è trovato che il gene PRKCSH, il cui locus è stato identificato effettuando
indagini sulle famiglie affette dalla patologia, nel cromosoma 19p 13.2-13.1, è quello
implicato nell’insorgenza della forma isolata di malattia policistica del fegato (Reynolds,
2000).
L’epatocistina è una beta-subunità di 528 aminoacidi non catalitica della glucosidasi II,
essenziale per la maturazione della glucosidasi G Iiα, e provvista di sei domini strutturali; tra i
più importanti ricordiamo una sequenza N-terminale che sembra necessaria alla traslocazione
attraverso la membrana nel reticolo endoplasmatico, un recettore lipoproteico a bassa densità
(LDLa) e due recettori per il legame con il calcio. L’epatocistina sembra coinvolta nei
processi di sintesi delle glicoproteine e nella percezione dei livelli di calcio intracellulare
(Drenth, 2004).
La Malattia Policistica del Fegato in forma isolata può, infine, essere determinata da
alterazioni a carico del cromosoma 6 del gene SEC63 che codifica per la sintesi di una
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proteina dallo stesso nome che attraversa la membrana del reticolo endoplasmatico mediando
il movimento dei nascenti polipeptidi (Fig. 4) (Drenth, 2005).
Riassumendo,
possiamo dire che
tanto l’epatocistina
quanto la SEC63
sono localizzate a
livello del reticolo
endoplasmatico sede
della proteinosintesi
ed intervengono a
questo livello con
formazione di legami
N-glicosidici
e
impacchettamento
degli aminoacidi avvalendosi dell’azione delle glucosidasi I e II (D’Alessio, 1999).
Il fallimento di tali processi di maturazione condurrà ad un mancato trasporto delle proteine
nella loro sede definitiva e ad una loro conseguente degradazione (Drenth, 2003).
E’ stata descritta, infine, la più rara e grave Malattia Policistica Autosomica Recessiva legata
alla mutazione di un altro gene PKHD1, (di cui si conoscono 119 differenti mutazioni); esso
risulta formato da 67 esoni che generano un trascritto di circa 470kb
codificante per una proteina di 4074 aminoacidi chiamata Fibrocistina
(Ward, 2003) anche detta Poliductina (Moser, 2005), recettore
integrale di membrana con siti extracellulari altamente glicosilati, un
singolo dominio transmembrana e uno corto citoplasmatico (Fig.5)
(LaRusso, 2004).
Il quadro clinico di tale variante della malattia è dominato da una
severa patologia cistica dei reni che rappresenta una delle più
importanti nefropatie infantili con frequenza 1:20.000 e una mortalità
del 30%, associata ad una fibrosi epatica congenita molto frequente in
questi pazienti, oltre che alla possibile ma più rara dilatazione dei dotti
biliari (Ward, 2002). Quindi, le alterazioni genetiche, ad oggi note,
nella Malattia Policistica sono responsabili dei seguenti tre quadri
morbosi geneticamente differenziati:
A1) Malattia Autosomica Dominante, con mutazione dei geni PKD1
e/o 2 e conseguente alterazione delle proteine Policistina 1 e 2,
responsabile della forma più comune, caratterizzata da cisti renali e
frequenti cisti epatiche (Joder, 2002);
A2) Malattia Autosomica Dominante, con mutazione del gene
PRKCSH, che codifica per la proteina epatocistina, ed il gene SEC63
che codifica per la proteina omonima, responsabili della più rara
malattia policistica epatica isolata- iPCLD (Drenth, 2004);
B) Malattia Autosomica Recessiva, più rara e grave, legata alla
mutazione di un altro gene o PKHD1, che codifica per la proteina
fibrocistina, con quadro clinico dominato da una severa malattia
cistica dei reni e frequente fibrosi epatica congenita (Masyuk, 2003;
Ward, 2003).
Nella forma più frequente della patologia policistica del fegato -quella autosomica dominante
(ADPKD)- le cisti epatiche si sviluppano, come detto, quale conseguenza di mutazioni di geni
(PKD1 e/o PKD2) che codificano per particolari proteine, le policistine (PC1 e PC2),
implicate nella regolazione delle interazioni cellula-cellula e cellula-matrice e, quindi,
7
coinvolte nei meccanismi di regolazione, differenziazione e proliferazione cellulare (Wilson,
2001; Anyatonwu, 2004).
In particolar modo, la policistina 1 è
stata trovata associata a complessi
giunzionali quali le giunzioni aderenti
ed i desmosomi, mentre la policistina
2, espressa a livello del reticolo
endoplasmatico, interagisce con la
policistina 1 favorendone il traffico
verso le membrane plasmatiche. Le
due proteine sono, dunque, partner in
un sistema di segnalazione complesso
in cui PC1 funge da sensore
extracellulare per modulare l’ingresso
di ioni Ca++ attraverso canali ionici
forniti da PC2 (Fig. 6) (Nauli, 2003).
1.5 Malattia Policistica del Fegato: il ciglio quale organulo meccanocettore ed il ruolo delle
Policistine.
L’espressione fenotipica dei geni PKD1 e PKD2 e le mutazioni cui essi vanno incontro
possono trovare riscontro nel ciglio, struttura sensoriale localizzata in corrispondenza del
versante luminale del colangiocita. Il ciglio è caratterizzato da una lunghezza compresa tra 5 e
7 µm, da un diametro di circa 0,25 µm ed è circondato da una membrana in continuità con il
plasmalemma. Una sezione trasversale del ciglio mostra la tipica struttura microtubulare
interna “9+0” caratteristica delle ciglia primarie prive di motilità per la mancanza della coppia
di microtubuli centrali (Pazour, 2003).
A livello colangiocitario il ciglio esprime numerosi recettori associati al controllo della
proliferazione e dell’apoptosi l’inattivazione dei quali provoca l’inabilità a percepire i segnali
che normalmente regolano la morfogenesi tessutale (Delmas, 2004).
Uno di questi complessi recettoriali è formato dall’eterodimero Policistina 1-Policistina 2 che,
studi recenti condotti a livello renale, localizzano alla base delle ciglia dell’epitelio dei tubuli
e che sembra essere coinvolto nella trasduzione degli ioni calcio (Forman, 2005).
In risposta a segnali esterni provenienti dal liquido tubulare, la Policistina 1 attiverebbe un
meccanismo di trasmissione attraverso la proteina G che ha il compito di accoppiare
funzionalmente il recettore chimico di membrana, dopo la sua attivazione, con un enzimaeffettore capace di produrre e liberare nel citoplasma cellulare un secondo messaggero, nel
caso specifico l’inositolo trifosfato. La sua azione è selettivamente indirizzata alle membrane
degli organuli intracellulari che fungono da serbatoi di calcio, in particolare il reticolo
endoplasmatico dove attiva la Policistina 2 portando allo stato di apertura dei suoi canali e
determinandone un rapido rilascio in forma libera nel citosol (Alenghat, 2004).
Il meccanismo per cui una ridotta o assente funzionalità delle policistine porti ad
un’alterazione delle normali interazioni cellulari non è ben noto.
L’alterazione dell’azione di meccanotrasduttore del complesso Policistina 1/2 potrebbe essere
alla base della cistogenesi, perché il Ca++ media differenti, importanti funzioni della cellula,
tra cui l’espressione genica, la crescita, il differenziamento e l’ apoptosi (Harris, 1997).
Il complesso delle policistine è stato anche localizzato nelle giunzioni laterali dove
interverrebbe nelle comunicazioni intercellulari attraverso legami con le E-catenine ed altre
molecole di adesione garantendo la polarità dell’epitelio. Anche in sede non ciliare il
complesso delle policistine media l’adesione cellulare; è stato, infatti, dimostrato che la
porzione C-terminale della policistina 2 è in grado di legare diverse proteine che a loro volta
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legano l’actina, mentre la porzione C-terminale della policistina 1 àncora direttamente i
filamenti intermedi (Ong, 2005).
Si è ipotizzato, quindi, che anomalie di questo dimero a livello del versante apicale della
cellula del tubulo renale possano favorire la formazione delle cisti, mentre difetti nelle loro
localizzazioni extraciliari contribuiscano all’espansione cistica (Harris, 1997).
Si ritiene, inoltre, che le policistine mutate non interagiscano più correttamente con alcune
molecole di adesione determinando un’espansione clonale di cellule parzialmente
differenziate con disregolazione dell’equilibrio proliferazione/apoptosi ed espressione di un
fenotipo ad elevate caratteristiche secretorie anche per una probabile disregolazione, da parte
dell’epitelio cistico, di fattori di crescita che possono influenzare, in maniera autocrina e
paracrina, la proliferazione dello stesso (Nichols, 2004).
Studi sperimentali effettuati recentemente (Masyuk, 2003; Moser 2005) sul ratto affetto da
rene policistico (PCK), hanno dimostrato, che mutazioni a carico del gene PKHD1, che in
condizioni normali codifica per la sintesi della proteina fibrocistina (espressa in condizioni
normali a livello delle ciglia dell’epitelio biliare, come osservato in esperimenti effettuati su
dotti biliari isolati dopo microdissezione epatica) determinano nell’animale da esperimento:
anomalie morfologiche a carico delle ciglia dell’epitelio biliare (ciglia brevi, malformate, con
espansioni bulbari a livello delle estremità) ;
assenza di espressione della fibrocistina a livello di tali ciglia;
marcata distorsione dell’albero biliare che evidenzia multiple dilatazioni sacciformi risultanti
in un incremento volumetrico in toto della struttura dell’albero (pari a circa 20 volte rispetto al
normale) ed anche del diametro dei singoli dotti biliari (pari a circa 3 volte rispetto al
normale).
Tali dati supporterebbero l’ipotesi che anche la fibrocistina è presente a livello del ciglio dei
colangiociti normali e che una sua alterazione o down-regulation possa essere collegata,
almeno in questo modello sperimentale, ad una modificazione del ciglio ed alla formazione di
cisti biliari (Masyuk, 2003)
1.6 La formazione delle cisti: le teorie più accreditate ed il ruolo dei Fattori di Crescita.
Nella variante autosomica dominante pochi sono i soggetti che evidenziano l’insorgenza di
cisti in età giovanile dal momento che queste compaiono con maggior frequenza dopo i 60
anni di età. Tale dato suggerisce che, assieme ad un background genetico imprescindibile,
altri fattori debbano essere necessariamente coinvolti nell’origine delle neoformazioni cistiche
epatiche (Pei, 2001)
Attualmente la teoria più accreditata sull’origine delle cisti è quella molecolare del “two hits
model” (Fig. 7) in cui l’inattivazione di entrambi gli alleli del gene avviene per una mutazione
germinale ed una somatica in una cellula epiteliale che si accresce in modo clonale in una cisti
(Pei, 2001).
La Malattia Policistica del Fegato è fenotipicamente una malattia autosomica dominante ma a
livello cellulare è come se si trattasse di una patologia “molecolare recessiva” che per
manifestarsi necessita, infatti, di
una seconda mutazione somatica,
quest’ultima dovuta a “frameshift” , delezione o inserzione di
alcune coppie nucleotidiche che
provocano
spostamento
nel
codice di lettura genetico e,
quindi, espressione alterata della
proteina (Everson, 2004).
Si determina, quindi, che ad una
iniziale mutazione della linea
9
germinale in una copia del gene PKD1 o PKD2 (“first hit “) segue una seconda mutazione che
porta alla perdita di attività nella copia funzionale del gene (“second hit “) (Watnick, 1998).
Quest’ultima mutazione segna l’inizio della proliferazione cellulare colangiocitaria e, quindi,
della formazione della cisti, isolata dalla sede di origine che è stata bersaglio della mutazione
somatica.
Questa ipotesi, certamente affascinante, che permette di spiegare sia la natura dello sviluppo
delle formazioni cistiche che la variabilità fenotipica presente nelle diversi nuclei familiari,
lascia comunque una questione aperta: non chiarisce, infatti, se questo modello sia l’unico in
grado di spiegare l’accrescimento delle cisti o sia, invece, un evento cronologicamente
tardivo, responsabile dell’espansione volumetrica e numerica delle formazioni (Ong, 2005).
Gli studi effettuati sul parenchima renale hanno fatto ipotizzare che a tale livello le cisti si
accrescano a seguito della presenza di incrementati livelli di citochine e fattori di crescita
presenti sia a livello plasmatico che nel fluido delle cisti (Nichols, 2004).
A tal proposito, è stata studiata la composizione del fluido delle cisti epatiche di pazienti
affetti da Malattia Policistica del Fegato del tipo autosomico dominante ipotizzando che
l’eventuale presenza di tali fattori sia in grado di influire sull’accrescimento delle cisti
epatiche, analogamente a quanto accade per quelle renali (Nichols, 2004).
I risultati ottenuti hanno dimostrato l’aumento nel fluido cistico di una serie di sostanze: IL-6
(che promuove l’incremento dell’espressione di VEGF), IL-8 (che stimola la sintesi di
metalloproteinasi), ENA-78 (Epithelial Neutrophil Attractant) con MCP-1 (Monocyte
Chemoattractant Protein) (fattori inducenti l’innesco della proliferazione epiteliale) e, ancora,
proteine dalle spiccate proprietà angiogenetiche quali VEGF ed Angiogenina (Nichols, 2004).
Gli stessi studi condotti al Microscopio Elettronico a Trasmissione hanno evidenziato aspetti
tipici di sofferenza ischemica dell’epitelio delle cisti epatiche ed in particolar modo:
rimodellamento della matrice extracellulare evidenziato da un ispessimento della lamina
propria con abbondante deposizione di fibre collagene;
evidenza a carico dell’epitelio cistico di alterazioni dei microvilli (distorsioni, allungamento,
riduzione della densità fino alla completa assenza) simili a quelle insorgenti nell’ epitelio di
dotti biliari ischemici. Tuttavia, l’epitelio di rivestimento delle cisti permane polarizzato,
mostrando, tranne alcune eccezioni, complessi giunzionali intatti e mantenendo le
caratteristiche capacità secretorie.
2. SCOPO DEL LAVORO
Sulla scorta delle conoscenze che evidenziano il sinergismo esistente tra gli estrogeni ed una
serie di fattori di crescita nella modulazione della proliferazione di citotipi diversi, ma
accomunati dall’ espressione sulla loro superficie di recettori estrogenici, scopo della ricerca,
condotta nel corso del periodo di dottorato, è stato quello di indagare i meccanismi alla base
delle alterazioni nella proliferazione e nella morte cellulare nei colangiociti in condizioni
sperimentali ed in condizioni patologiche nelle quali si determini un’incontrollata ed abnorme
proliferazione di questo tipo cellulare. Tutto ciò avendo quale obiettivo quello di indagare
anche le potenziali prospettive di un trattamento farmacologico in grado di intervenire nel
ridurre l’iperplasia colangiocitaria alla base della patogenesi di tali disordini.
In particolar modo il nostro studio ha riguardato:
1. ratti ovariectomizzati e sottoposti alla legatura della via biliare principale (BDL),
successivamente trattati con farmaci estrogenici (17 β estradiolo, ICI 182,780);
2. biopsie epatiche di soggetti di sesso femminile affette da cirrosi biliare primitiva (PBC) nei
diversi stadi evolutivi della patologia;
3. frammenti epatici di pazienti affetti da malattia policistica del fegato del tipo autosomico
dominante.
10
3. METODOLOGIA SPERIMENTALE
3.1 Esperimenti sul ratto BDL
Gli esperimenti hanno previsto l’utilizzo di ratti Wistar di sesso femminile normali ed
ovariectomizzati (Charles River, Calco, Lecco, Italy). I ratti ovariectomizzati sono stati
sottoposti a legatura della via biliare principale (BDL per 3-5 settimane) come da procedura
descritta in letteratura (Alvaro, 2000); 4 giorni prima della legatura, alcuni di essi hanno
cominciato a ricevere la somministrazione per via sottocutanea di 17-β estradiolo (alla dose di
28 µg/die, per un totale di 2 settimane) altri, dell’ICI 182,780, un antiestrogenico selettivo
(alla dose di 1mg/kg/die, per un totale di 2 settimane). Sono stati effettuati
contemporaneamente controlli su ratti sham-ovariectomia e sham-BDL, con la
somministrazione di un carrier. Al termine dell’esperimento i ratti sono stati sacrificati ed è
stato effettuato il prelievo del fegato trattato successivamente secondo le procedure
successivamente descritte per le colorazioni istomorfologiche nonché per lo studio in
immunoistochimica per i seguenti anticorpi:
CK19 per lo studio della massa biliare;
PCNA e Fas rispettivamente per la valutazione della proliferazione cellulare e delle proteine
proapoptotiche;
ER-α, ER-β per la valutazione dell’espressione dei recettori estrogenici.
Sugli stessi campioni è stata effettuata la valutazione dell’apoptosi mediante il metodo
TUNEL.
3.2 Cirrosi Biliare Primitiva
Biopsie di fegato normale (n.5) provenienti da pazienti sottoposti a laparoscopia per altre
patologie e biopsie epatiche provenienti da soggetti di sesso femminile di età compresa tra i
47 ed i 76 anni di età affette da PBC al I stadio (n.4), al II stadio (n.9), al III stadio (n.8) ed al
IV stadio (n.11), sono state sottoposte ad uno studio immunoistochimico (IIC) al fine di
valutare:
- l’espressione dei recettori per gli estrogeni (ER-α, ER-β);
-la massa biliare mediante l’espressione immunoistochimica della citocheratina 19 (CK19);
- l’entità della proliferazione colangiocitaria mediante l’espressione di PCNA;
- l’entità dell’apoptosi valutata con il metodo TUNEL e l’espressione delle proteine
proapoptotiche valutata mediante l’immunolocalizzazione di Fas.
E’ stata anche studiata la colocalizzazione colangiocitaria per PCNA ed estrogeni alfa sullo
stesso preparato istologico.
Sono stati esclusi dallo studio soggetti che avessero subito un trattamento terapeutico con
farmaci di natura estrogenica.
3.3 Malattia Policistica del Fegato
Abbiamo utilizzato frammenti di fegato di pazienti affetti da malattia policistica di tipo
autosomico dominante provenienti sia da trapianto (n.3) sia da resezione epatica (n.4, tre di
sesso femminile ed uno di sesso maschile con età media 64+/-7.2 anni).
Tutti i fegati presentavano le caratteristiche macroscopiche della malattia policistica ed era
possibile osservare formazioni cistiche di diverso diametro.
I frammenti sono stati fissati rapidamente (in formalina al 4% ovvero in glutaraldeide al 2.5%,
rispettivamente per lo studio in MO e MES) al fine di evitare il coartamento della superficie
epiteliale che avrebbe reso difficile soprattutto l’osservazione del versante luminale al MES.
Sono state effettuate indagini IIC intese a valutare l’espressione di una serie di proteine,
recettori e fattori di crescita ed in particolar modo:
Policistine 1 e 2 (PC1 e PC2);
ER-α, ER-β;
IGF1 ed IGF1R.
11
3.4 Microscopia Ottica ed Immunoistochimica
I frammenti provenienti dagli animali da esperimento, dalle biopsie umane e dai frammenti di
fegato policistico sono stati sottoposti alle comuni procedure di allestimento dei preparati
destinati all’osservazione degli stessi al Microscopio Ottico (MO).
In particolar modo:
sezioni di 3-4µ di spessore sono state raccolte, montate su vetrini portaoggetto
precedentemente polilisinati (0,1% poli-L-lisina) e sottoposte alle routinarie colorazioni
istomorfologiche (Ematossilina-Eosina, tricromica secondo Masson).
Per lo studio in immunoistochimica (IIC), dopo sparaffinatura delle sezioni, l’attività della
perossidasi endogena è stata bloccata mediante incubazione delle sezioni in una miscela di
metanolo e perossido di idrogeno (3%) per 40 minuti a temperatura ambiente. Le sezioni
idratate e lavate in PBS (pH 7.4) sono state incubate overnight a 4°C con i seguenti anticorpi
monoclonali:
citocheratina 19 (CK19, 1:100. Dako International);
PCNA (proliferating cellular nuclear antigen, 1:100. Dako International;
Fas (1:100. Santa Cruz, USA);
ER-α (cocktail di 3 anticorpi monoclonali al 33%, 1:100; Santa Cruz USA; C-314, Ab di topo
contro la proteina corrispondente agli aminoacidi 120-170. D-12, Ab di topo contro la
proteina corrispondente agli aminoacidi 2-185. F-10, Ab di topo contro un peptide che mappa
la porzione carbossi-terminale dell’ ERα umano);
ER-β (SC- 6822 e SC- 6821; 1:100. Santa Cruz Biotechnology, Inc.);
Policistina 1(SC-10370; 1:100. Santa Cruz Biotechnology, Inc.);
Policistina 2 (SC-10376; 1:100. Santa Cruz Biotechnology, Inc.);
IGF 1 (SC-7144; 1:80. Santa Cruz Biotechnology, Inc. );
IGF 1R (SC-9038; 1:70. Santa Cruz Biotechnology, Inc.).
Il giorno successivo, le sezioni sono state lavate in PBS per 5 minuti ed incubate prima per 10
minuti, a temperatura ambiente, con un anticorpo secondario link biotinilato (ABC systemDako, LSAB plus, biotinylated anti-rabbit, anti-mouse and anti-goat) e poi con la
streptavidina perossidasi per altri 10 minuti. Dopo il trattamento con il cromogeno
diaminobenzidina (DAB, Dako International), il contrasto nucleare è stato effettuato con
l’Ematossilina.
I controlli negativi sono stati allestiti omettendo l’anticorpo primario.
Per i controlli positivi sono stati utilizzati frammenti di ca. mammario per PCNA, Fas, ER-α
ed ER-β. Per le policistine, frammenti di corticale renale.
Limitatamente alla doppia colorazione in IIC per PCNA ed ER-α, si è proceduto nel modo
seguente: sono state selezionate 3 biopsie provenienti da pazienti al III stadio di PBC. Dopo
sparaffinatura delle sezioni, la biotina endogena è stata bloccata mediante Biotin Blocking
System (Dako, Denmark). Successivamente, i campioni sono stati incubati (1 ora a 37°C)
prima con PCNA. Al termine, le sezioni sono state lavate in PBS per 5 minuti e incubate, a
temperatura ambiente per 10 minuti, con il sistema ABC (ABC system-Dako, LSAB plus,
biotinylated anti-rabbit, anti-mouse and anti-goat) e poi con il sistema streptavidina
perossidasi (10 minuti). La reazione è stata sviluppata con la DAB. Si è bloccata di nuovo la
biotina endogena con lo stesso sistema precedentemente utilizzato e si è proceduto con
l’incubazione dell’ ER-α (cocktail di 3 anticorpi monoclonali, ciascuno in quantità pari al
33%). Dopo lavaggio con il PBS, si è applicato l’LSAB plus AB per 10 minuti e poi la
streptavidina AP per 15 minuti. Lo sviluppo della seconda immunoreazione è stato effettuato
con un diverso cromogeno, il fast-red system (Dako, Denmark). Al fine di escludere reazioni
crociate tra il sistema streptavidina-fosfatasi alcalina, utilizzata per visualizzare gli ER, ed il
sistema ABC utilizzato per evidenziare PCNA, sono stati effettuati controlli negativi su
sezioni seriate omettendo di volta in volta l’anticorpo primario, ER ovvero PCNA. Tuttavia,
bisogna sottolineare che durante la prima immunoreazione i siti reattivi dell’anticorpo
12
secondario sono completamente legati alla streptavidina perossidasi, mentre durante la
seconda immunoreazione la streptavidina-fosfatasi alcalina non ha siti reattivi liberi per il
sistema ABC usato al fine di rivelare PCNA. Sono stati effettuati anche altri controlli
omettendo l’anticorpo link, il secondario ed i cromogeni senza evidenziare la presenza di
reazioni crociate.
Per la valutazione dell’apoptosi su singole cellule abbiamo utilizzato il metodo TUNEL
(terminal deoxynucleotide transferase end labelling, Apoptag, Oncor, USA).
Tutte le immagini sono state ottenute utilizzando un Microscopio Ottico Olympus BX-5
(Olympus, Tokyo, Japan) provvisto di videocamera (Videocam SPOT Insight; Diagnostic
Instrument, Inc, Sterling Heights, MI).
Morfometria
Il grado di duttupenia è stato valutato mediante morfometria quantitativa su immagini al
microscopio ottico ed espresso quale area occupata dai dotti interlobulari/area totaleX100. Per
ciascuna sezione, sono stati considerati più di 5 spazi portobiliari limitatamente ai dotti
interlobulari (di calibro inferiore a 100µ).
Gli studi morfometrici sono stati condotti utilizzando un sistema di analisi di immagine e
morfometria computerizzata (Image Analisis System, 2000, Delta sistemi, Italia).
Analisi statistica
Tutti i dati sono stati espressi quale media +/- DS. Le differenze tra i gruppi sono state
valutate mediante ANOVA.
3.5 Microscopia Elettronica a Scansione
Rispetto a quanto detto per la preparazione dei campioni destinati alle osservazioni in
microscopia ottica, per quelli da visualizzarsi al Microscopio Elettronico a Scansione (MES)
abbiamo tenuto conto del fatto che il tessuto prelevato deve essere ridotto, mediante una lama
molto affilata, in piccoli frammenti di dimensioni non superiori a 1mm di spessore. La
procedura prevede poi quanto segue:
lavaggio dei frammenti in soluzione tampone o fisiologica per rimuovere secrezioni
superficiali o particolato dalla superficie del tessuto che, fissato, potrebbe poi inficiare le
osservazioni microscopiche. La fissazione viene effettuata in glutaraldeide al 2,5% in
tampone fosfato per 2-6 ore a 4°C. Segue una post-fissazione in tetrossido di osmio all’1-2%
per 2 ore a 4°C (facoltativa); infine, il campione viene ulteriormente lavato in tampone per 20
minuti, con due cambi, per eliminare l’eccesso di osmio.
Si procede poi al passaggio del campione in soluzioni scalari di alcool, ed al successivo
trasferimento all’interno del critical point drier, all’interno del quale l’alcool che permea il
tessuto è gradualmente sostituito da anidride carbonica liquida che viene poi portata al proprio
punto critico di temperatura e pressione, per cui i frammenti vengono a trovarsi da una fase
liquida ad una fase gassosa senza variazioni della tensione superficiale del campione in
esame.
Il passaggio successivo prevede la metallizzazione in oro dei frammenti. A tal fine essi
vengono dapprima montati su portacampioni metallici con una colla all’argento, che funge da
conduttore. Per produrre una sottile pellicola d’oro che andrà a stratificarsi sulla superficie del
campione, viene utilizzato uno sputter coater, ovvero una sorta di campana, entro cui viene
creato un vuoto poco spinto (10¯ ³ torr). Con un catodo rivestito d’oro e un anodo su cui è
localizzato il campione da metallizzare, viene generata una differenza di potenziale tramite
una corrente ad alto voltaggio applicata al catodo (20-40 KV). In questo modo le molecole di
gas libere nella camera ionizzano, producendo ioni positivi ed elettroni liberi; gli ioni
bombardano le particelle d’oro che si trovano sul catodo facendole distaccare da esso.
Continuando a collidere, molte di esse vengono in contatto con la superficie del campione
biologico producendo un film sottile ed uniforme (lo spessore finale è in dipendenza
dell’intensità della corrente applicata al catodo e della durata dell’intero processo) (Melis,
1989).
13
4. RISULTATI
BDL
Effetto dell’ovariectomia e della
somministrazione
di
farmaci
estrogenici sulla massa biliare e sulla
proliferazione colangiocitaria.
Sulla base dei nostri esperimenti
abbiamo evidenziato che i ratti BDL
presentavano a partire dalla II
settimana un marcato incremento nel
volume della massa biliare rispetto a
quanto osservato nei ratti normali
(6.94% ± 0,26% vs 0,21% ± 0,09%;
P‹0.01) (Fig. 8).
Quando BDL veniva effettuata su ratti
ovariectomizzati, la massa biliare
subiva un decremento di circa il 30%
rispetto ai ratti BDL di controllo
(5,05% ± 0,34%; P‹0.02) indicando
che l’ablazione della funzionalità
ovarica era in grado di interferire sulla
proliferazione colangiocitaria. Ancora,
la
somministrazione
di
un
antiestrogenico selettivo quale l’ICI
182,780 in corso di BDL determinava
un decremento della proliferazione
duttale (-50%) ancor più pronunciato
(P‹0.05) rispetto a quello che si ottiene
nei ratti BDL ovariectomizzati.
Quando poi si somministrava l’ICI
182,780 in ratti BDL ovariectomizzati
la massa biliare
si
riduceva
ulteriormente fino a -85% se
paragonata ai casi BDL+ovariectomia
ovvero ai casi BDL+ICI (Fig. 8).
Per quanto attiene al trattamento con
il 17-β estradiolo, tale farmaco non
induceva variazioni sulla massa
biliare nei ratti BDL, mentre quando
veniva somministrato ai ratti BDL
ovariectomizzati il volume della
massa biliare diveniva simile a quello
dei ratti di controllo BDL. (Fig. 8).
Ciò indicava che il ripristino della
funzione estrogenica, attraverso una
somministrazione
esogena
del
farmaco, induceva una normalizzazione della risposta proliferativa
14
dell’epitelio biliare intraepatico nei
ratti BDL.
Effetto dell’ovariectomia e della
somministrazione di farmaci estrogenici sull’espressione IIC di ER-alfa
e di ER-beta, sulla proliferazione e
sull’apoptosi colangiocitaria.
Per quanto attiene alla valutazione
dell’espressione dei recettori per gli
estrogeni (ER) la percentuale di
colangiociti positivi per ER-α è
risultata simile nei gruppi di ratti:
Normale, Normale+ ovariectomia,
Normale+ ICI 182,780, Normale+ 17β estradiolo (Figg. 9, 10, 11, 12).
Nei ratti BDL, al contrario, si è
osservato un significativo incremento
(P‹ 0,01) nella percentuale di
colangiociti positivi per ER-α ed ER-β
rispetto ai ratti normali (più
pronunciato quello per ER-β rispetto
ad ER-α, 35 volte contro 3,5 volte)
(Figg. 9, 10, 11, 12).
Nei ratti BDL ovariectomizzati la
percentuale di colangiociti positivi per
ER-α ed ER- β si riduceva rispetto al
solo BDL (rispettivamente -32% e 45%; P‹0,001), mentre nei ratti BDL
cui era somministrato l’antiestrogenico
ICI-182,780
la
positività
colangiocitaria per ER-α era simile ai
ratti ovariectomizzati (-31% contro 32%). Si osservava, invece, un effetto
di
drammatica
riduzione
dell’espressione degli ER- β (-94%),
come si osservava nei ratti normali
(Figg. 9, 10, 11, 12).
Nei ratti BDL ovariectomizzati cui era
stato somministrato l’ ICI-182,780,
l’espressione IIC di ER-α ed ER-β
subiva un ulteriore decremento (-52% e
-94%) rispetto ai ratti BDL+
ovariectomia e a quelli BDL+ ICI182,780 (Figure 9, 10, 11, 12).
Nei ratti BDL ovariectomizzati e
trattati con 17-β estradiolo, invece, si
osservava il ripristino dell’espressione
tanto di ER-α che di ER-β (Figure 9,
10, 11, 12).
Per quanto attiene alla espressione
degli indici proliferativi, la riduzione della proliferazione colangiocitaria dei dotti intraepatici
15
osservata nei ratti BDL ovariectomizzati (evidenziata da una riduzione dell’espressione di
PCNA nelle stesse cellule) (Figg. 13,
14) è risultata legata ad un incremento
dell’apoptosi Fas mediata.
L’ICI-182,780 induceva una riduzione
della positività colangiocitaria per
PCNA simile a quanto si osservava nei
ratti solo ovariectomizzati ed un effetto
additivo
si
verificava
quando
somministrato
nei
ratti
BDL+
ovariectomia.Il trattamento con 17-β
estradiolo non ha evidenziato alcun
effetto sull’espressione di PCNA sui
ratti BDL, mentre normalizza la
positività per PCNA nei ratti BDL+
ovariectomia (Fig. 13).
Infine, la valutazione degli indici
relativi all’apoptosi ed all’espressione delle proteine proapoptotiche ha mostrato che:nei ratti
BDL la positività per Fas e TUNEL
coinvolge meno del 2,5% dei
colangiociti (Figg. 15, 16, 17, 18).
Nei ratti BDL+ovariectomia si
osservava un incremento delle
cellule biliari esprimenti Fas (6%)
che risultavano positive anche al
TUNEL. I ratti BDL trattati con ICI182,780
evidenziavano
un
incremento
drammatico
della
positività dei biliociti per Fas (oltre
il 60%) e TUNEL che subiva solo un
ulteriore lieve incremento nel gruppo
BDL+ovariectomia.
La
somministrazione del 17-β estradiolo
nei ratti BDL non aveva effetti
sull’espressione di Fas e TUNEL,
16
mentre
se
l’estrogeno
veniva
somministrato ai ratti BDL ovariectomizzati si evidenziava una completa
normalizzazione del Fas e del TUNEL
analogamente a quanto osservato nei
ratti BDL in assenza di alcun
trattamento (Figg. 15, 16, 17, 18).
Questi dati indicano che l’ovariectomia
induce solo una lieve attivazione
dell’apoptosi Fas mediata che viene
completamente normalizzata dalla
somministrazione
esogena
degli
estrogeni. Al contrario, quando i
recettori per gli estrogeni vengono
bloccati dalla somministrazione di un
potente antiestrogenico quale l’ICI182,780 si evidenzia l’induzione di una
drammatica attivazione dell’apoptosi
colangiocitaria mediata da Fas.
PBC
L’analisi IIC condotta sui dotti
interlobulari (‹ a 100µ di diametro) e
focalizzata
innanzitutto
sulla
valutazione dell’espressione degli ERα e β nelle biopsie di fegato normale,
ha evidenziato, a questo livello, la
completa assenza di espressione di tali
antigeni. Al contrario, nelle biopsie di
pazienti affette da PBC, gli ER-α e gli
ER-β risultano presenti a livello
colangiocitario anche se con diversi
gradi di espressione. In particolar
modo, la positività per ER-α subisce un
progressivo incremento dallo stadio I
allo stadio III di PBC (rispettivamente
dall’1% al 12%), mentre nello stadio
IV tutte le biopsie esaminate
mostravano la completa assenza di
espressione per ER-α. La positività per
ER-β era ampiamente presente in tutti
gli stadi di PBC (55%-65% dei
colangiociti) (Fig. 19, Tabella 1).
Per quanto attiene alla valutazione dei
colangiociti
proliferanti
valutata
mediante l’espressione di PCNA, si è
evidenziato che nelle biopsie di fegato normale i colangiociti non si mostrano positivi per tale
anticorpo mentre, nelle biopsie di PBC, espressione di PCNA subisce un progressivo
incremento passando dallo stadio I (3% dei colangiociciti) allo stadio III (19%). Nel IV stadio
l’espressione dello stesso anticorpo decresce essendo espresso solo nel 5% delle cellule
biliari. Si rende evidente, dunque, una significativa correlazione positiva tra l’espressione di
ER-α e quella di PCNA che è stata messa in evidenza mediante l’allestimento di una doppia
colorazione per gli anticorpi suddetti effettuata su biopsie di PBC al III stadio selezionate in
17
modo random (Fig. 20). Questa fase dello studio IIC ha mostrato che circa il 99% dei
colangiociti esprimenti ER-α a livello citoplasmatico co-esprime l’antigene di proliferazione
PCNA a livello dei nuclei; al contrario, il 47,2% dei colangiociti PCNA positivi non
esprimeva ER-α.
Anche in questi esperimenti la valutazione dell’apoptosi colangiocitaria è stata valutata
mediante il metodo TUNEL che ha fatto osservare come nel fegato normale tali cellule
risultino negative per l’apoptosi. Nella PBC, invece, la positività per il TUNEL subisce un
progressivo incremento passando dal 3,8% di colangiociti positivi al I stadio ad un 19% e ad
un 24% di positività rispettivamente al II e III stadio della malattia. Si è assistito ad un
decremento della positività, invece, al IV stadio con una percentuale di biliociti andati
incontro ad apoptosi pari al 7,8%. Lo stesso andamento si è osservato anche per l’espressione
di Fas, osservando che, negativa a livello dei colangiociti di fegato normale, coinvolge
positivamente meno del 2% delle cellule biliari nel I stadio di PBC, incrementandosi
lievemente nel II e III stadio (rispettivamente 14% e 11%) e portandosi all’8% nel IV stadio
(Tabella 1).
Normale
PBC I
PBC II
PBC III
PBC IV
ER-α
Neg.
1.2 ± 0.3
3.5 ± 0.7
12 ± 1.6
Neg.
ER-β
Neg.
50.2 ± 4.1
65.1 ± 4.1
65.3 ± 3.2
65.2 ± 3.1
PCNA
Neg.
3.0 ± 0.45
20.1 ± 2.9
19.5 ± 3.0
5 ± 0.7
Fas
Neg.
1.7 ± 0.3
14.5 ± 2.0
11.0 ± 1.7
8.0 ± 0.9
TUNEL
Neg.
3.7 ± 1.1
19.6 ± 1.1
24.0 ± 5.0
7.8 ± 1.9
Tabella 1: Immunopositività in percentuale per ER-α, ER-β, PCNA, Fas, TUNEL nei
colangiociti normali e di pazienti affette da PBC nei vari stadi evolutivi.
Considerando
in
parallelo
l’espressione di PCNA e del TUNEL,
quale indice di un bilancio dinamico
tra la proliferazione e la morte
cellulare, si osserva che nel I e nel II
stadio di PBC, PCNA e TUNEL
mostrano un andamento simile,
mentre nel III e nel IV stadio
l’espressione di PCNA risulta significativamente più bassa (P‹ 0,05)
(Fig. 21).
18
MALATTIA POLICISTICA DEL
FEGATO
Lo studio immunoistochimico ha
dimostrato
un’intensa
immunopositività
sia
per
la
Policistina 1 che per la Policistina 2
a livello tanto dell’epitelio biliare dei
dotti di piccole dimensioni che in
quelli dilatati. Tale immunopositività
permane anche a livello del più
sottile epitelio che ricopre le cisti.
(Fig. 22).
Il controllo positivo è stato effettuato
su sezioni di parenchima renale
osservando che le policistine
risultano essere espresse a livello del
citoplasma delle cellule dei tubuli
(Fig. 23).
Si
osserva
un’immunoreazione
positiva a livello del citoplasma delle
cellule dei tubuli.
Queste osservazioni, sulla scorta
dello studio condotto sui ratti BDL e
sulle biopsie di cirrosi biliare
primitiva, ci hanno indotto a
verificare,
mediante
analoghe
tecniche di IIC, l’espressione dei
recettori per gli estrogeni, dell’ IGF
1 e del suo recettore anche a livello
dell’epitelio delle cisti epatiche.
Per quanto concerne l’espressione
degli ER, si è verificato che i
colangiociti di fegato normale, sono
negativi per entrambi gli ER, al
contrario, si osserva una positività per
gli ER-β sia a livello dell’epitelio
biliare che in quello che riveste le cisti,
con localizzazione tanto citoplasmatica
che nucleare (Fig. 24).
Lo studio dell’espressione dei fattori di
crescita IGF1 ed IGF1R mostra che
l’epitelio delle cisti presenta per
entrambi
una
sovraespressione,
indicando la loro importanza nella
regolazione
della
proliferazione
dell’epitelio
biliare
nonché
dell’accrescimento volumetrico e numerico delle cisti (Fig. 25).
La Microscopia Elettronica a Scansione (MES) ha consentito di verificare le caratteristiche
morfologiche ultrastrutturali del versante luminale dell’epitelio di rivestimento delle cisti.
Le immagini evidenziano un epitelio continuo ma con completa assenza di formazioni
19
ciliari, che sono, invece, tipicamente presenti sul versante apicale dell’epitelio biliare normale
(Fig. 26).
Figura 26: Microscopia Elettronica a
Scansione di fegato normale (A) e di
fegato policistica (B). (A: 50X; B:
150X; inserto 50X).
A livello della superficie luminale dei
dotti biliari di fegato normale si
osserva la presenza di formazioni
ciliari (A) mentre nell’epitelio cistico
la superficie adluminale appare priva
di qualsiasi formazione ciliare o similciliare.
5.DISCUSSIONE
BDL
Questa parte dello studio ha permesso
una serie di osservazioni:
l’ovariectomia in corso di BDL altera
la risposta proliferativa dei dotti biliari
intraepatici, come dimostrato dalla
significativa riduzione della massa
biliare che si realizza nei ratti BDL
sottoposti ad ablazione ovarica, rispetto ai ratti BDL di controllo;
la riduzione della massa biliare in
questi ratti si è ritrovata associata ad
un decremento della proliferazione
colangiocitaria
(dimostrato
dalla
ridotta espressione nucleare di PCNA
dei biliociti) e ad un incremento
dell’apoptosi
Fas
mediata;
la
somministrazione esogena di 17β
estradiolo
nei
ratti
BDL
ovariectomizzati normalizza la risposta
proliferativa
dei
dotti
biliari
intraepatici
ripristinando
la
proliferazione
(incremento
della
positività per PCNA) e riducendo
l’apoptosi Fas mediata a livello
colangiocitario; gli effetti negativi
dell’ablazione ovarica sulla capacità
proliferativa dei colangiociti in corso
di BDL sono da ascriversi ad un
decremento
dell’espressione
dei
recettori per gli estrogeni ER-α ed ERβ; la somministrazione esogena di 17β
estradiolo annulla completamente gli
effetti dell’ovariectomia sulla massa
biliare, sull’espressione degli ER, sulla
20
proliferazione e sull’apoptosi.
Nella valutazione del ruolo degli estrogeni esogeni, intesi quali modulatori della
proliferazione colangiocitaria in corso di colestasi sperimentalmente indotta, si rende evidente
che il loro ruolo in tal senso sembra essere diverso rispetto a quello analogo indotto
dall’ablazione ovarica. Gli estrogeni, infatti, agirebbero riducendo la proliferazione dei
biliociti per un effetto marcatamente proapoptotico.
Ancora, gli effetti dell’ovariectomia sulla proliferazione colangiocitaria si associano ad una
riduzione dell’espressione IIC di ER-α ed ER-β pari al 40-50% indicando nella
downregulation di questo tipo di recettori il meccanismo chiave delle alterazioni della
proliferazione del citotipo coinvolto. Al contrario, l’effetto antiproliferativo dell’ICI 182,780
è associato ad una pressochè totale ablazione dell’espressione di ER-β e tale osservazione ben
si accorda con i dati più recenti che indicano il ruolo centrale giocato da tale recettore
nell’effetto di inibizione della crescita
cellulare del farmaco antiestrogenico
(Lau, 2000).
I
nostri
esperimenti
sembrano
ulteriormente supportare l’ipotesi del
ruolo fondamentale che gli estrogeni
giocano nel modulare la proliferazione
colangiocitaria in corso di colestasi,
sinergizzando gli effetti di fattori di
crescita che sostengono i meccanismi
proliferativi
deprimendo
quelli
apoptotici. Il fatto che né l’ablazione
ovarica, né la somministrazione di
estrogeni esogeni abbiano effetto sulla
proliferazione nei ratti normali, sembra avvalorare questa convinzione poichè, è noto, che i
colangiociti sono cellule normalmente quiescenti e sono in grado di proliferare solo in
particolari condizioni sperimentali o cliniche che comportino l’attivazione di un complesso di
fattori di crescita (LeSage, 1999; Alvaro, 2000; Glaser, 2000). Inoltre, quando la funzione
estrogenica risulta essere quasi completamente bloccata, dall’associazione ovariectomia e
somministrazione di farmaci antiestrogenici, permane una proliferazione colangiocitaria
residuale legata all’azione dei fattori di crescita in grado di mantenere una capacità
proliferativa epiteliale anche se a bassi livelli (Alvaro, 2002).
PBC
In questa fase dello studio abbiamo inteso valutare se la proliferazione colangiocitaria in corso
di PBC sia in grado di rappresentare un efficace meccanismo di riparazione rispetto
all’evoluzione della patologia verso la fase finale di duttupenia.
I risultati più importanti ottenuti hanno evidenziato che:
1) all’analisi immunoistochimica condotta sui colangiociti provenienti da fegato normale,
l’espressione degli ER risulta essere assente, mentre nei fegati di pazienti affette da PBC essi
risultano significativamente espressi;
2) mentre la positività per ER-β risulta ugualmente elevata in tutti gli stadi di PBC (55-65%),
la positività per ER-α si incrementa progressivamente dallo stadio I allo stadio III
colocalizzando con l’espressione nelle stesse cellule di PCNA;
3) gli ER-α scompaiono al IV stadio di PBC in associazione con i livelli più bassi
dell’espressione di PCNA e TUNEL e con l’evidenza della fase più marcata di duttupenia.
Tali dati suggeriscono il coinvolgimento degli ER-α nella modulazione positiva della
proliferazione colangiocitaria, ipotesi dimostrata dal fatto che quando al IV stadio di PBC
l’espressione di PCNA subisce un drastico decremento, i colangiociti dei dotti intralobulari
perdono la loro positività per gli ER-α. Per quanto attiene agli ER-β, abbiamo verificato che la
21
loro positività all’esame immunoistochimico è elevata in tutti gli stadi di PBC, incluso il IV,
quello più avanzato, allorquando i markers apoptotici Fas e TUNEL sono notevolmente
espressi. Tuttavia, mentre nel I e nel II stadio la proliferazione e la morte dei colangiociti
coinvolge una percentuale simile di cellule, nelle fasi duttopeniche del III e del IV stadio,
PCNA risulta significativamente più bassa del TUNEL. Questi dati inducono a pensare che
l’evoluzione della patologia verso lo stadio finale di duttupenia sia determinata da una
proliferazione colangiocitaria relativamente deficitaria, piuttosto che ad un incremento dei
meccanismi apoptotici. L’associazione di una fallimentare proliferazione colangiocitaria e di
una scomparsa dell’ espressione degli ER-α a carico delle stesse cellule, supporta l’ipotesi di
una carenza funzionale estrogenica alla base dell’evoluzione verso la fase duttopenica finale
della PBC. A tale proposito, diversi studi effettuati su cellule esprimenti ER mostrano che gli
estrogeni, assieme a fattori di crescita (quali IGF1, NGF) e citochine, giocano un ruolo chiave
nel promuovere la resistenza al danno apoptotico e nel modulare i processi infiammatori e di
riparazione cellulare (Koh, 2002; Tiidus, 2003).
MALATTIA POLICISTICA DEL FEGATO
I risultati della ricerca relativi alla malattia policistica hanno dimostrato che:
a) l’epitelio cistico è uguale a quello biliare da cui deriva;
b) questo epitelio risulta immunoistochimicamente positivo per le Policistine 1 e 2 nonostante
la mutazione dei geni che codificano per la loro sintesi;
c) l’ epitelio cistico manca delle ciglia e questo dimostra che, a fronte di una marcata
immunolocalizzazione delle policistine, l’entità della loro alterazione è sufficiente a
modificare la costituzione del dimero, fondamentale nella costituzione strutturale del ciglio.
Tra i dati fin qui riportati, quello che maggiormente stupisce è la positività delle Policistine
nell’epitelio cistico delle pazienti affette da malattia policistica, poiché la mutazioni nei loro
geni avrebbe lasciato presupporre una loro mancata sintesi; l’apparente anomalia, però,
potrebbe essere spiegata considerando che l’alterazione genetica non va ad influenzare
l’affinità della proteina per l’anticorpo, ma sicuramente va a creare alterazioni nella
formazione del dimero della stessa, rilevabili dalle modificazioni strutturali delle ciglia.
Altro dato molto importante, ma questa volta non sorprendente considerando quanto osservato
nei nostri studi in BDL e PBC, è l’immunopositività dell’epitelio cistico agli estrogeni ed ai
loro recettori, soprattutto per quanto riguarda il sottotipo β. Il loro incremento nei diversi stadi
della malattia suggerisce come, anche in questa patologia, ci sia un ruolo fondamentale da
attribuire ad essi nell’ambito dell’induzione allo sviluppo ed alla differenziazione dei
colangiociti (Alvaro, 2000) e quindi nell’evoluzione prognostica dell’affezione; in particolar
modo, anche da conoscenze ormai ben consolidate in letteratura, sembra che l’attività di ER-α
sia legata ad un effetto modulatore positivo nella crescita e nella proliferazione (Diel, 2002)
mentre ER-β abbia maggiore eterogeneità d’azione (Masselman, 1996).
Nell’ambito dei meccanismi intracellulari che intervengono nella stimolazione alla
proliferazione, anche in questa patologia risultano essere coinvolte vie comuni a fattori di
crescita; nel nostro studio abbiamo dimostrato, infatti, come l’IGF1, iperespresso a livello
citoplasmatico nei colangiociti proliferanti dei dotti biliari e dell’epitelio cistico, svolga un
ruolo sinergico nella stimolazione come del resto evidenziato anche in studi del tutto recenti
in letteratura (Onori, 2004).
Accanto, infatti, ai meccanismi genetici di perdita della funzione (ma non dell’espressione
IIC) delle policistine P1 e P2, che comunque rappresentano lo step iniziale della malattia
policistica, si potrebbe ipotizzare che l’accrescimento e la proliferazione verrebbero a
realizzarsi anche per la produzione da parte dell’epitelio cistico di una serie di molecole quali
citochine, fattori di crescita come interleuchine, metalloproteasi, mediatori dalle spiccate
proprietà angiogenetiche (VEGF, angiogenina) che interverrebbero non solo nell’ indirizzare
l’accrescimento delle cisti ma promuoverebbero anche la resistenza all’apoptosi e la
modulazione dei processi infiammatori e di riparazione. Andando a considerare l’epitelio di
22
rivestimento delle cisti, è noto che esso appare strutturalmente polarizzato mostrando
complessi giunzionali intatti; questa caratteristica morfologica permette la normale secrezione
vettoriale di ioni, soluti e acqua nonchè di fattori di crescita reperibili nel fluido cistico,
molecole in grado di indurre alterazioni fisiche intraluminali, quali l’insorgenza di una
pressione positiva che, a sua volta, si rende responsabile dell’ulteriore induzione al rilascio da
parte di tali cellule di citochine mitogeniche (come IL8, IL6) in grado di stimolare la
proliferazione. L’espansione del versante luminale crea un cambiamento di conformazione
nella circostante matrice, mediato proprio dall’ IL6, che induce proliferazione e sintesi di
collagene da parte delle cellule stellate, situate tra l’epitelio dei sinusoidi e le filiere
epatocitarie, deputate all’accumulo di matrice extracellulare nelle reazioni riparative di natura
fibrotica (Nichols, 2004).
Sulla base di tali considerazioni si può ipotizzare che l’interruzione di questi segnali possa
rappresentare il bersaglio terapeutico indispensabile per l’inibizione dell’espansione cistica. In
questa ottica, osservazioni cliniche preliminari indicano che il Tamoxifene, un agonistaantagonista degli ERα e antagonista di ERβ, è in grado di migliorare i parametri biochimici
della colestasi nella cirrosi biliare primitiva (Alvaro, 2004; Invernizzi, 2004).
Sulla base dei risultati ottenuti, anche per la malattia policistica del fegato, dunque, le ricerche
condotte suggeriscono le basi morfologiche per la messa in atto di nuove strategie
terapeutiche che affianchino quelle attuali prevalentemente chirurgiche di ablazione delle
cisti. Considerando, infatti, che la malattia policistica colpisce prevalentemente il sesso
femminile ed evolve più rapidamente in donne multipare o che abbiano fatto uso di terapia
sostitutiva estrogenica, si può ipotizzare, a scopo terapeutico, l’utilizzo di modulatori selettivi
degli estrogeni (quali gli inibitori delle Mapkinasi) che, essendo in grado di ridurre gli effetti
proliferativi che tali sostanze esercitano sull’epitelio biliare, potrebbero essere in grado di
interferire sul parametro proliferazione che abbiamo visto essere fattore determinante
nell’evoluzione clinica di tale disordine displasico.
Si rende evidente, dunque, che la comprensione del ruolo degli estrogeni, dei loro recettori e
di alcuni fattori di crescita che sembrano essere cosi’ profondamente determinanti nel causare
una reale disregolazione nei meccanismi proliferativi colangiocitari, potrebbe aprire la strada
a nuove prospettive nell’approccio terapeutico di tali patologie ed incidere favorevolmente
sulla loro evolutività prognostica .
23
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