INNOVARE LA TRADIZIONE La cosiddetta “messa in scena siracusana” ha una data di nascita e una di maggiore età. La prima è quella del 1914, segnata dal progetto di Ettore Romagnoli, così come documenta Vincenzo Bonajuto nel suo prezioso libro “Il teatro all’aperto”; la seconda coincide con il decreto legislativo 33/2004 che, ponendo tra le finalità dell’Inda la produzione in proprio degli Spettacoli classici, ne ha avviato la “ripresa” in termini di ricerca e approfondimento proprio del tema introdotto da Romagnoli. Il quale operò introducendo elementi – relativi al coro, alla musica, al balletto, alla scenografia – tali da farci oggi concepire la tragedia greca secondo una messa in scena che ha preso appunto la specificazione di siracusana e che si è soprattutto valsa di una traduzione dei testi innovativa rispetto al passato e rimasta per lungo tempo canonica. Tanto che Mario Tommaso Gargallo poteva così scrivere nel 1923: “Grandi intanto furono gli insegnamenti che da questi spettacoli siracusani vennero al teatro italiano. Il fiorire degli spettacoli all’aperto, l’uso della musica nelle opere del teatro cosiddetto di prosa e la maggiore importanza che ormai si dà in Italia alla scenografia, derivano certamente dagli spettacoli siracusani. A questo proposito anzi si può dire che l’avere unito per la rievocazione di tragedie antiche l’opera di un letterato, di un musico, di un architetto, ha dato luogo per la prima volta nel Teatro Greco di Siracusa ad una forma nuova, almeno per il teatro moderno, di arte, in cui la poesia e la musica, la danza e la scenografia, unendosi e non soprapponendosi, davano il massimo rendimento artistico alle antiche tragedie, come potrebbe anche avvenire a lavori moderni, seguendo questo grande esempio”. Un grande esempio che è stato puntualmente seguito. Dal 2005 la ripresa della “messa in scena siracusana” ad opera della Fondazione Inda richiama infatti al teatro decine di migliaia di spettatori che mostrano di apprezzare il recupero di uno spirito entro il quale il pubblico è visto come popolo, “vivo e imperioso – scriveva Bonajuto – della volontà di vita di una nazione, di una regione, di una città. Esso comprende colti ed incolti, principi e contadini, scrittori e operai, tutti insomma coloro che nella vita di una nazione, di una regione, di una città, hanno da adempiere una missione che una volontà superiore ha loro assegnato. (…) Gli spettacoli siracusani hanno dimostrato la università del teatro greco e la sua popolarità. (…) Popolo, dunque, e non pubblico, anima collettiva che è pronta ad accogliere nella sua vastità l’opera d’arte per essa creata”. Nasce da queste intuizioni l’idea di “spettacolo popolare”, alla quale le Rappresentazioni classiche connettono ancor oggi un progetto di teatro politico che rimanda al senso più sorgivo delle tragedie rappresentate nell’antica Atene, prendendo le distanze dal moderno teatro d’evasione ed ergendosi come “teatro di parola”, fatto quindi di grandi attori e di registi intelligenti che non tendono alle invalenti forme del “teatro di regia”, ma operano a una riductio ad unum di coro, balletto, musica, scenografia, appunto popolo e con esso, non ultimo, la magia del luogo. Per questa via, alla luce della positiva esperienza di questi ultimi anni, la “messa in scena siracusana” va sempre più innovando la tradizione rendendosi conforme allo spirito del nostro tempo col servirsi anche di risorse tecnologiche, modalità e snodi che dopotutto non rispondono che allo stesso ingegno dei tragediografi classici spinti a rendere le loro rappresentazioni sempre più contemporanee: nella comune convinzione, antica e moderna, che la tradizione ha bisogno di essere vieppiù rivivificata se non vuole rimanere storicizzata in una morta gora. Enrico Di Luciano Presidente Associazione Amici dell’Inda