Dispense di Macchine elettriche Riordinate e rivedute da Giorgio Demurtas – www.ingdemurtas.it Prefazione: Vista la difficoltà nel trovare un libro adatto per prepararsi per l’esame mi sono messo alla ricerca di materiale su cui studiare, oltre ai miei appunti. Ho trovato diversi file (di cui non conosco gli autori) che ho corretto e integrato con altro materiale. Troverete diversi errori, perlopiù di impaginazione e grammaticali. Rendendo pubblico questo lavoro voglio rendermi utile agli studenti, così che tutti possano superare l’esame con profitto e soddisfazione. Il contenuto di questi documenti è fornito "così come è" (AS IS), a solo titolo didattico e senza garanzia alcuna, implicita o esplicita. In particolare non ci si ritiene responsabili di alcun danno diretto o indiretto causato dall'uso di queste informazioni. Giorgio Demurtas Copyright © 2006-2007, Giorgio Demurtas, Monserrato (CA), Italy (http://www.ingdemurtas.it) Trasformatore Il trasformatore ideale Il trasformatore è una macchina elettrica statica, che è utilizzata per convertire energia elettrica in energia elettrica (modifica di V, I, numero di fasi), tramite una conversione intermedia dell'energia in energia elettromagnetica. Per effettuare l'analisi di tale quadripolo elettrico (o doppio bipolo), partiamo dalla definizione classica di trasformatore che viene dall'elettrotecnica. Come si osserva dalla figura, adottiamo per il bipolo in ingresso la convenzione degli utilizzatori tensione e corrente sono orientati in modo tale che il bipolo visto dall’ingresso risulti essere un carico) e per il bipolo in uscita quella dei generatori. Questo ha anche un senso dal punto di vista fisico perché, essendo la macchina elettrica una macchina che non può immagazzinare energia ma che la deve solo convertire, ci aspettiamo che il flusso di energia avrà un verso che va dall’ingresso verso l’uscita. Questo però non vieta che l’energia possa avere anche verso opposto, in questo caso le potenze avranno un verso che risulta essere negativo (il dispositivo risulta essere perfettamente bidirezionale). Le leggi che caratterizzano il trasformatore ideale sono: v1 N 1 = =n v2 N 2 i1 1 = i2 n v1 n ⋅ v 2 v2 = = n2 ⋅ i1 1 ⋅ i 2 i2 n Il trasformatore ideale può convertire tensioni e correnti in qualunque forma essi si presentino, continua o alternata. Oltretutto si può osservare che, il legame che sussiste tra l’impedenza d’ingresso e l’impedenza d’uscita, viste lato uscita del trasformatore, risulta essere esattamente pari ad n2. Quindi le relazioni qui viste mettono subito in luce quali possono essere le possibili utilizzazioni del trasformatore: - variatore di tensione e di corrente nel passaggio dal primario al secondario. variatore di impedenze. Nel campo delle correnti elevate, il trasformatore è principalmente utilizzato per variare i livelli di tensione e corrente, invece nel campo delle correnti deboli viene principalmente utilizzato come adattatore di impedenza (in elettronica). Si nota immediatamente che, grazie ai legami funzionali, tra tensione in ingresso e tensione in uscita e tra corrente in ingresso e corrente in uscita, il bilancio delle potenze istantanee in ingresso e in uscita risulta essere perfettamente uguale. Quindi il trasformatore ideale, per definizione, è un sistema che converte tensioni e correnti, facendo in modo che il flusso di potenza attraverso di lui risulti essere esattamente invariato, quindi il componente non dissipa né potenza né energia. 1 vin iout = vin ⋅ iin = vout ⋅ iout pin = pout vout iin Proviamo ora a delineare la struttura fisica che dovrebbe avere il trasformatore per possedere le caratteristiche sopra descritte: - Accoppiamento magnetico perfetto mediante l’utilizzo di un nucleo torroidale avente permeabilità infinita ( µ = ∞ ) (in modo da convogliare tutte le linee di flusso). - Gli avvolgimenti dovranno essere concentrici e distribuiti uniformemente su tutta la struttura e le loro resistenze dovranno essere nulle (R=0). - Il comportamento della struttura elettromagnetica dovrà essere lineare, per evitare la presenza di fenomeni di isteresi magnetica. Pertanto, realizziamo sul supporto torroidale di materiale indefinito, ma avente permeabilità infinita, due avvolgimenti elettrici aventi un numero di spire pari a N 1 e N 2 . Tenendo conto delle precedentemente adottate: convenzioni, l’avvolgimento che assorbe energia, detto avvolgimento primario è definito secondo la convenzione degli utilizzatori mentre l'avvolgimento che eroga energia, detto avvolgimento secondario è definito secondo la convenzione dei generatori. Ipotizzo che l’avvolgimento costituito da N 1 spire sia l’avvolgimento primario e in maniera del tutto casuale, scelgo il verso della tensione V1 (ad esempio come riportato nella figura accanto). A questo punto, definito il verso della tensione di alimentazione, automaticamente conosco il verso della corrente perché abbiamo detto che l’avvolgimento primario è definito secondo la convenzione degli utilizzatori. Noto il senso di rotazione dell’avvolgimento, applicando la regola della mano destra, determino quale risulta essere il verso del flusso. Il flusso è l’elemento che mi accoppia l’avvolgimento primario all’avvolgimento secondario, viene utilizzato come riferimento per definire la convenzione positiva relativa all’avvolgimento secondario. Infatti noto il verso del flusso e il verso di rotazione dell’avvolgimento secondario, applicando la regola della mano destra, determino quale risulta essere il verso positivo della corrente i 2 che produce un flusso concorde a quello prodotto dall’avvolgimento primario. A ciò corrisponde un coefficiente di mutuo accoppiamento positivo. Non sempre, però, si riconosce il senso con cui sono avvolti gli avvolgimenti. Per questo motivo vengono contrassegnati tramite un pallino i terminali del trasformatore, nei quali una corrente entrante comporta un coefficiente di muto accoppiamento positivo (i flussi generati dalle due correnti 2 sono concordi). Ora si tratta di stabilire quali devono essere i versi delle tensioni, ma per definire i versi positivi delle tensioni basta semplicemente applicare la legge di Kirchhoff. A tal riguardo, le tensioni indotte e1 e e2 devono essere viste come dei generatori di tensione, poiché la legge di lenz è definita secondo la convenzione dei generatori. In altre parole, per essere rispettosi della legge di lenz, le tensioni indotte vanno prese con polarità concorde a quello delle correnti. Quindi automaticamente abbiamo definito quelle che risultano essere le convenzioni positive del nostro sistema. Funzionamento a vuoto φm i2 i1 e1 v1 v2 e2 • Analizziamo il funzionamento del trasformatore ideale a vuoto: Alimentiamo il primario e ci assicuriamo che il secondario sia a vuoto. Quando applichiamo una tensione v1 in ingresso al primario, sulle N 1 spire circolerà una corrente i1 , quindi avremo una f .m.m. ( f .m.m. = N 1 ⋅ i1 ) che produrrà un flusso φ che rimarrà vincolato all'interno del supporto torroidale. Se esiste una variazione di flusso esiste una tensione indotta sia sul primario sia sul secondario, ma affinché ciò accada è necessario che vi sia una corrente circolante sull’avvolgimento primario variabile e di conseguenza una tensione di alimentazione variabile nel tempo. I valori e i versi delle tensioni e1 ed e2 , se il sistema presenta un accoppiamento perfetto e cioè se il flusso che si concatena con ciascuna spira dell’avvolgimento primario è uguale al flusso che si concatena con ciascuna spira dell’avvolgimento secondario, sarà dato dalla legge di Lenz. Perciò andiamo ad applicare la legge di Kirchhoff sull’avvolgimento primario e sull’avvolgimento secondario del nostro trasformatore: v1 + e1 = R1 ⋅ i1 e2 − v 2 = 0 poiché R1 = 0 v1 + e1 = 0 e2 − v 2 = 0 v1 = −e1 v2 = e2 ma dalla legge di Lenz sappiamo che: d (N1 ⋅φ) dλ 1 =− dt dt d (N 2 ⋅φ) dλ 2 e2 = − =− dt dt e1 = − dφ + N1 v1 − e1 dt = − N 1 = = v 2 e2 − N 2 dφ N2 dt perciò dλ 1 dφ = +N1 dt dt dλ 2 dφ v2 = e2 = − = −N 2 dt dt v1 = −e1 = v1 N1 =− v2 N2 3 Quindi questo vuol dire che al variare della tensione di alimentazione primaria, la tensione indotta sul secondario varierà in maniera tale che il rapporto sia sempre lo stesso. Condizione fondamentale perché si abbia una macchina elettromagnetica, che mi descriva una relazione funzionale simile a quella del trasformatore ideale, è che sia sempre verificata la legge di Faraday Lenz, cioè è necessario che il flusso vari nel tempo. Funzionamento sotto carico • Passiamo al funzionamento sottocarico del trasformatore ideale: Anche in questo caso la relazione che lega la tensione in ingresso a quella di uscita è la stessa, perché il tipo di alimentazione al primario, il trasformatore e le ipotesi di funzionamento sono le stesse. φm i2 i1 e1 v1 v2 e2 Vediamo ora cosa succede per ciò che riguarda le correnti. In questo caso il flusso che si concatena con l’avvolgimento primario e secondario è dovuto sia alla f .m.m. primaria ( f .m.m.1 = N 1 ⋅ i1 ) che secondaria ( f .m.m.2 = N 2 ⋅ i 2 ). Applichiamo la legge della circuitazione magnetica (la circuitazione di H lungo una generica linea chiusa risulta essere pari alla f .m.m. applicata) su una linea di flusso che si concatena sia con l'avvolgimento primario che con il secondario: ∫ H ⋅ d l = N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 γ Il segno delle f .m.m. sono positive perché sono concordi con il flusso φ , cioè tutte e due contribuiscono a produrre un flusso nella stessa direzione. Quindi per le ipotesi fatte in precedenza, cioè permeabilità del supporto infinita e sistema fisico caratterizzato da una sezione diversa da zero, il termine della circuitazione è nullo. Infatti essendo il flusso finito, ad esso deve corrispondere un valore di induzione che è diverso da zero ( B ≠ 0 ), che è legato ad H mediante la seguente relazione: B = µ⋅H Ma poiché µ = ∞ , affinché B sia finito, è necessario che il vettore d’intensità H = 0 . Quindi avremo che: N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 = 0 ⇒ N 1 ⋅ i1 = − N 2 ⋅ i 2 i1 N2 1 =− =− i2 N1 n Quindi a prescindere dalla convenzione adottata, se i segni sono corretti, dovremo ottenere che il flusso di potenza dall’ingresso all’uscita risulta essere invariato. Perciò andiamo a fare 4 un analisi energetica del nostro sistema, cioè verifichiamo che la potenza istantanea in ingresso ( p1 = v1 ⋅ i1 ) risulti essere esattamente uguale alla potenza istantanea in uscita ( p 2 = v 2 ⋅ i 2 ): p1 v1 ⋅ i1 N 1 N 2 = = − ⋅− =1 p2 v2 ⋅ i2 N 2 N 1 Poiché il rapporto tra le due potenze istantanee è uguale ad 1, il flusso di potenza rimane invariato. Da tale analisi abbiamo dimostrato che i supporti a permeabilità magnetica infinita sono dei dispositivi che si prestano a realizzare il trasformatore ideale. Abbiamo ricavato che l'unica differenza fra, modello del trasformatore ideale nella sua formazione elettrotecnica e il modello ideale nella sua formulazione fisica, è data dalla presenza di segni negativi dovuti proprio alla legge di Lenz. 5 Il trasformatore reale linearizzato Il trasformatore ideale si basa su una serie di ipotesi che non possono essere soddisfatte dai sistemi fisici reali (circuito magnetico con permeabilità infinita, resistenza del circuito elettrico nulla). Perciò andiamo ad introdurre per passi tutte quelle che invece sono le non linearità del trasformatore, dandone una rappresentazione matematica e fisica che ci consenta di fornire un modello di trasformatore che risulti essere più vicino al sistema fisico. Le prime condizioni di idealità che è necessario eliminare sono proprio la presenza di un supporto magnetico caratterizzato da permeabilità magnetica infinita e la presenza di avvolgimenti primari e secondari caratterizzati da resistenza nulla. Vediamo quali sono gli effetti dell'eliminazione di questi due ipotesi di idealità nel modello matematico del trasformatore, considerando per semplicità ancora un sistema magnetico a comportamento lineare, cioè avente permeabilità magnetica costante (la caratteristica magnetica del supporto è rappresentata graficamente mediante una retta): µ = tgα = cos t Questo ragionamento viene fatto perché, in un sistema a comportamento lineare è valido il principio di sovrapposizione degli effetti. Per poterci mettere nel caso che risulti essere il più generale possibile, riteniamo che il valore della permeabilità magnetica del supporto risulti essere confrontabile con l’aria. In particolare scegliamo un valore di permeabilità che sia di poco superiore dell’aria. Notiamo che si sta parlando ancora di supporto e non di nucleo, perché per il momento la funzione che svolge questo sistema è solo di sostegno agli avvolgimenti, non sta ancora svolgendo alcuna funzione di convogliamento del flusso visto che presenta permeabilità prossima a quella dell’aria. Ipotesi: φm µ≠∞ µ ≅ µ0 i2 i1 φd1 v1 φd2 v2 R1 ≠ 0 R2 ≠ 0 Materiali con comportamento magnetico lineare 6 Abbiamo definito con R1 e R 2 le resistenze dell'avvolgimento primario e secondario, prima di analizzare il funzionamento del trasformatore analizziamo i parametri circuitali della macchina Analisi dei parametri circuitali del trasformatore Lasciamo aperto il secondario, mentre alimentiamo il sistema con una tensione v1 questa comporta la circolazione di una corrente i10 nell'avvolgimento primario, caratterizzato da un numero di spire N1 , a cui sarà associata una f .m.m. che produrrà una distribuzione di campo magnetico B . Come possiamo capire, non essendoci una netta differenziazione delle permeabilità magnetiche dei materiali, avremo che la distribuzione di campo nello spazio circostante il trasformatore potrà essere la più generale possibile. Per tale ragione introduciamo il concetto di flusso mediamente concatenato con ciascuna spira φ 1 : N1 ∑φi φ1 = i =1 N1 dove φi è il flusso concatenato con ciascuna spira. Il flusso mediamente concatenato con ciascuna spira può essere scomposto in due termini: • il flusso di mutua φm1 , cioè quel flusso prodotto dall'avvolgimento primario che mediamente si concatena con tutte le spire dell’avvolgimento secondario. • il flusso disperso φd 1 , cioè quel flusso che mediamente si concatena esclusivamente con le spire dell'avvolgimento primario. Possiamo immediatamente capire che del flusso complessivo prodotto dall'avvolgimento primario, una parte, cioè il flusso di mutua mi realizza l'accoppiamento magnetico tra l'avvolgimento primario e l'avvolgimento secondario mentre un'altra parte, cioè il flusso di dispersione che si concatena esclusivamente con l'avvolgimento primario, per tale ragione non può assolutamente partecipare nei fenomeni di scambio energetici fra primario e secondario. Questo risulta essere un concetto importante perché ci consente di mettere in evidenza che i due circuiti elettrici non sono completamente disgiunti, ma sono strettamente interconnessi attraverso l’accoppiamento magnetico. Lo scopo è quello di fare in modo che il flusso di mutua risulti essere prossimo al flusso totale, perché nelle condizioni di idealità, viste precedentemente, il flusso di dispersione era esattamente uguale a zero. ℜc1 = lc1 1 lc1 = ⋅ µ ⋅ S µr µ 0 ⋅ S Se si rappresenta la struttura del circuito magnetico semplificata del nostro trasformatore tenendo conto della legge di Ohm magnetica (vedi figura affianco), sotto l’ipotesi di sezione e permeabilità magnetica costante del supporto, si osserva che per ridurre il flusso disperso φd 1 è necessario che la riluttanza totale offerta dal nucleo magnetico sia molto inferiore rispetto alla riluttanza del 7 percorso che viene seguito da quella quota di flusso che si richiude in aria. ℜ0 = laria µ0 ⋅ S Infatti se consideriamo due tubi di flusso identici, uno attraverso il nucleo e l’altro in aria, questi presentano un valore di riluttanza differente di un valore pari a 1 µr : Quanto più è elevata la permeabilità relativa µr del nucleo, tanto più piccolo risulta essere il valore della riluttanza del nucleo rispetto alla riluttanza dell’aria ( a parità di forza magnetomotrice applicata, la parte di flusso che circolerà nel gioco e nella colonna sarà molto maggiore rispetto al quota di flusso che circolerà nel tratto in aria ). Pertanto, affinché il flusso φ 1 venga canalizzato all’interno del supporto è necessario che la differenza tra la permeabilità assoluta dell’aria e quella del nucleo sia elevata. Vediamo adesso di definire numericamente i valori di queste quantità. Il flusso mediamente concatenato con ciascuna spira dell'avvolgimento primario φ 1 si calcola mediante la legge di Ohm magnetica: N ⋅i = ℜ ⋅ φ φ1 = Γ1 ⋅ N 1 ⋅ i1 dove Γ1 è la permeanza globale offerta al flusso φ 1 In generale però abbiamo sempre parlato di flusso concatenato con l'avvolgimento primario, perciò: λ1 = N 1 ⋅ φ 1 = N 1 ⋅ (Γg ⋅ N 1) ⋅ i1 λ1 = (Γg ⋅ N 12 ) ⋅ i1 = L1t ⋅ i1 dove L1t è detto coefficiente di autoinduzione totale primario, il quale risulta essere pari a: L1t = Γg ⋅ N 1 2 Grazie all'ipotesi fatta precedentemente di sistema avente comportamento lineare, sia dal punto di vista elettrico sia da un punto di vista magnetico, risulta essere sicuramente valido il principio di sovrapposizione degli effetti. Perciò avremo che la somma del flusso di dispersione e del flusso di mutua sarà pari al flusso mediamente concatenato con ciascuna spira dall'avvolgimento primario: φ 1 = φm1 + φd 1 Questa condizione è valida soltanto in condizioni di idealità, ovvero solo se la permeabilità magnetica dei mezzi è costante. Come si può immediatamente capire, l'unica grandezza che possiamo direttamente misurare è il coefficiente di autoinduzione totale, perché questo è dato dal rapporto tra il flusso concatenato con l'avvolgimento primario e la corrente circolante nell'avvolgimento stesso. Per quanto riguarda le due quantità φm1 e φd 1 , questo sono più difficili da calcolare perché dipendono da vari fattori costruttivi, dai materiali ecc. Per questa ragione si introducono dei coefficienti che sono il coefficiente di dispersione parziale del circuito primario e il coefficiente di dispersione parziale del circuito secondario. Questi due coefficienti sono di tipo costruttivo e vengono determinati in sede di progettazione del trasformatore, per questo vengono forniti dalla ditta costruttrice. Noti tali coefficienti è possibile determinare i flussi di dispersione: 8 λd 1 = N 1 ⋅ φd 1 = σ 1 ⋅ N 1 ⋅ φ 1 φd 1 = σ 1 ⋅ φ 1 λd 1 = σ 1 ⋅ L1t ⋅ i1 = ld 1 ⋅ i1 ld 1 è detto coefficiente di dispersione primaria, il quale risulta essere pari a: ld 1 = σ 1 ⋅ L1t Allo stesso modo, applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, il flusso di mutua φm1 è pari a: φm1 = φ 1 − φd 1 = φ 1 − σ 1 ⋅ φ 1 φm1 = (1 − σ 1) ⋅ φ 1 λm1 = N 1 ⋅ φm1 = (1 − σ 1) ⋅ N 1 ⋅ φ 1 λm1 = (1 − σ 1) ⋅ λ1 = (1 − σ 1) ⋅ L1t ⋅ i1 dove L1 rappresenta il coefficiente di autoinduzione principale, il quale risulta essere pari a: L1 = (1 − σ 1) ⋅ L1t Queste definizioni sono state fatte esclusivamente per l'avvolgimento primario, ma come è noto, nel sistema non è presente soltanto un effetto di autoinduzione, ma soprattutto è presente un effetto di mutua induzione o di mutuo accoppiamento. Quindi andiamo a valutare il flusso mutuamente accoppiato con il secondario: λm 2 = N 2 ⋅ φm1 = N2 N2 ⋅ N 1 ⋅ φm1 = ⋅ λm1 N1 N1 λm 2 = N2 ⋅ L1 ⋅ i1 = M 21 ⋅ i1 N1 dove M 21 è il coefficiente di mutua induzione dell'avvolgimento secondario rispetto all’avvolgimento primario, il quale è pari a: M 21 = N2 ⋅ L1 N1 inoltre tenendo conto del fatto che il flusso mutuamente accoppiato con l'avvolgimento primario risulta essere pari a: λm1 = L1 ⋅ i1 = Γs ⋅ N 12 ⋅ i1 Sostituendo, nella formula del coefficiente di mutua induzione, dalla relazione L1 = Γs ⋅ N 1 2 si ottiene che: M 21 = N2 N2 ⋅ L1 = ⋅ Γs ⋅ N 12 N1 N1 M 21 = N 1 ⋅ N 2 ⋅ Γs Adesso andiamo a verificare se nel trasformatore è valido il principio di reciprocità, cioè supponiamo di alimentare l'avvolgimento secondario e di lasciare aperto l'avvolgimento primario. In tal caso si nota che: 9 λ 2 = ( Γg ⋅ N 2 2 ) ⋅ i 2 = L 2 t ⋅ i 2 φ 2 = φm 2 + φd 2 L 2 t = Γg ⋅ N 2 2 λd 2 = σ 2 ⋅ L 2t ⋅ i 2 = ld 2 ⋅ i 2 ld 2 = σ 2 ⋅ L 2t λm 2 = (1 − σ 2) ⋅ λ 2 = (1 − σ 2) ⋅ L 2t ⋅ i 2 L 2 = (1 − σ 2) ⋅ L 2t N1 λm1 = ⋅ L 2 ⋅ i 2 = M 12 ⋅ i 2 N2 N1 M 12 = ⋅ L2 N2 λm1 = N 1 ⋅ φm 2 = N1 N1 ⋅ N 2 ⋅ φm 2 = ⋅ λm 2 N2 N2 Inoltre, tenendo conto che il flusso mutuamente accoppiato con l'avvolgimento secondario risulta essere pari a: λm 2 = L 2 ⋅ i 2 = Γs ⋅ N 2 2 ⋅ i 2 sostituendo nella formula del coefficiente di mutua induzione la relazione L 2 = Γs ⋅ N 2 2 , si ottiene che: M 12 = N1 N1 ⋅ L2 = ⋅ Γs ⋅ N 2 2 N2 N2 M 12 = N 1 ⋅ N 2 ⋅ Γs Da tale studio si deduce che il principio reciprocità risulta essere verificato, inoltre si osserva che i coefficienti di mutuo accoppiamento soddisfano la relazione seguente: M 21 = M 12 = M = N 1 ⋅ N 2 ⋅ Γs Prima di applicare le equazioni di Kirchhoff all'avvolgimento primario e all'avvolgimento secondario, analizziamo le condizioni di accoppiamento perfetto (flusso dispersione = 0) nelle condizioni di funzionamento a vuoto (dell'avvolgimento primario o dell'avvolgimento secondario). In tale situazione si vede che: φ1 = φ 1 = φm1 λ1 N1 = L1t ⋅ i1 N1 λm 2 = N 2 ⋅ φm1 ⇒ φm1 = φ2 = λm 2 N2 = L 2t ⋅ i2 N2 λm1 = N 1 ⋅ φm 2 ⇒ φm 2 = φ 2 = φm 2 M 21 φm1 = ⋅ i1 N2 L1t M ⋅ i1 = ⋅ i1 N1 N2 λ2 N2 λm1 N1 M 12 φm 2 = ⋅ i2 N1 L 2t M ⋅ i2 = ⋅ i2 N2 N1 Da queste ultime relazioni ricaviamo che, in condizioni di accoppiamento perfetto, i coefficienti di autoinduzione totale dell'avvolgimento primario e dell'avvolgimento secondario valgono: L1t = 10 N1 ⋅M N2 L 2t = N2 ⋅M N1 Perciò il coefficiente di mutuo accoppiamento M risulta essere pari a: poiché M = L1t ⋅ L 2t N1 N 2 L1t ⋅ L 2t = ⋅ ⋅M 2 = M 2 N 2 N1 Tale condizione di idealità non è mai rispettata poiché ogni volta che si ha permeabilità finita, necessariamente una parte delle linee di flusso tenderà a concatenarsi con il solo circuito di eccitazione. Per avvicinarsi alle condizioni reali si introduce il coefficiente di accoppiamento α, la relazione precedente diviene la seguente: M = α ⋅ L1t ⋅ L2t Se ad esempio α=0.98 ciò significa che il flusso di mutua è il 98% del flusso totale, oppure che il flusso disperso è il 2% di quello totale. Un altro metodo per valutare il flusso disperso consiste nel definire il coefficienti dispersione parziale σ dell'avvolgimento primario e dell'avvolgimento secondario, ottenuti tramite il rapporto tra il flusso disperso è il flusso totale prodotto: M ⋅ i1 N1 M σ 1 = 1− N 2 = 1− ⋅ L1t N 2 L1t ⋅ i1 N1 M φm1 = ⋅ i1 N2 σ1 = φd 1 φ 1 − φm1 φm1 = = 1− φ1 φ1 φ1 φ1 = λ1 N1 = L1t ⋅ i1 N1 M L1t M ⋅ i2 N2 M σ 2 = 1− N1 = 1− ⋅ L 2t N 1 L 2t ⋅ i2 N2 M φm 2 = ⋅ i2 N1 σ2 = σ 1 = 1− K ⋅ φd 2 φ 2 − φm 2 φm 2 = =1− φ2 φ2 φ2 φ2 = λ2 N2 = L 2t ⋅ i2 N2 σ 2 = 1− 1 M ⋅ K L 2t Il quadrato del coefficiente di accoppiamento risulta essere pari a: α 2 = (1 − σ 1) ⋅ (1 − σ 2) e poiché σ 1 ≅ σ 2 , otteniamo che: α = (1 − σ 1) Noti i parametri che abbiamo precedentemente definito, andiamo ad applicare le equazioni di Kirchhoff agli avvolgimenti del nostro trasformatore nel funzionamento a vuoto: 11 Funzionamento a vuoto del trasformatore Alimentiamo il primario con una tensione v1 e lasciamo aperto il secondario della macchina, in questo modo la corrente circolante sulle spire del secondo avvolgimento sarà nulla. φm i2 i1 e1 v1 e2 v1 + e1t = r1 ⋅ i10 e 2t = v 20 12 v2 Per indicare che siamo in condizioni di funzionamento a vuoto contrassegniamo sia la corrente che circola sul primario che la tensione sul secondario con il pedice 0. La tensione indotta totale sull’avvolgimento primario e1t risulta essere pari a: e1t = − dλ1 dφ 10 d L1t = −N1 ⋅ = − N1 ⋅ ( ⋅ i10) dt dt dt N 1 e1t = − L1t ⋅ d (i10) dt Ricordando che il flusso φ 1 è composto dalla somma di due termini: ricaviamo che: d d (φm10) d (φd10) (φm10 + φd 10) = − N 1 ⋅ − N1⋅ = em10 + ed10 dt dt dt d d ld 1 e1t = − N 1 ⋅ ( L1 ⋅ i1) − N 1 ⋅ ( i1) dt N 1 dt N 1 φ 10 = φm10 + φd 10 e1t = − N 1 ⋅ e1t = − L1 ⋅ d (i10 ) d (i10 ) − ld 1 ⋅ dt dt Per quanto riguarda la tensione indotta totale e2t , dovuta al fenomeno di mutua induzione, sia ha che: e 2t = − d (λm 20) d (φm10) N2 d (i10) = −N 2 ⋅ =− ⋅ L1 ⋅ dt dt N1 dt e 2t = − N2 d (i10) d (i10) ⋅ L1 ⋅ = −M ⋅ N1 dt dt Perciò le equazioni di equilibrio dell'avvolgimento primario e dell'avvolgimento secondario possono essere trascritte nel seguente modo: v1 + e1t = r1 ⋅ i10 v1 + (em10 + ed 10) = r1 ⋅ i10 d (i10) d (φm10) + N1⋅ dt dt d (i10) d (i10) + L1 ⋅ 2) v1 = r1 ⋅ i10 + ld 1 ⋅ dt dt d (i10) − em10 3) v1 = r1 ⋅ i10 + ld 1 ⋅ dt 1) v1 = r1 ⋅ i10 + ld 1 ⋅ d (λm 2 ) d (φm10) = −N 2 ⋅ dt dt N2 d (i10) 2) v 20 = e2t = − ⋅ L1 ⋅ N1 dt d (i10) 3) v 20 = e2t = −M ⋅ dt 1) v 20 = e2t = − e 2t = em 20 = v 20 Le relazioni che esprimono la tensione v1 , ci dicono che l'aliquota di flusso di dispersione viene interpretata nel nostro modello, non più come una tensione indotta, ma bensì come una caduta di tensione sull'induttanza di dispersione ld 1 , quindi un termine dissipativo. Mentre poniamo in evidenza il fatto che è presente una tensione indotta dal flusso di mutua φm10 che può essere espressa in tre modi differenti: nel primo caso mediante il flusso φm10 , nel secondo caso evidenziando la sua dipendenza alla corrente i10 circolante a vuoto e nel terzo caso si esprime esclusivamente l'espressione della tensione indotta di mutua 13 em10 . Anche la tensione v2 si può esprimere o in funzione del flusso di mutua φm10 oppure in funzione della corrente circolante a vuoto i10 ● Funzionamento sotto carico del trasformatore Analizziamo il funzionamento a carico tenendo sempre presente che il supporto magnetico ha un comportamento lineare e perciò è possibile applicare il principio di sovrapposizione degli effetti. Applichiamo le equazioni di Kirchhoff hai due avvolgimenti: v1 + e1t = r 1 ⋅ i1 e 2t = r 2 ⋅ i 2 + v 2 Le tensioni indotte e1t ed e2t risultano essere pari a: e1t = − N 1 ⋅ d (φ 1t ) dt φ 1t = φ 1 + φm 2 = φd 1 + φm1 + φm 2 = φd 1 + φm dove d e2t = − N 2 ⋅ (φ 2t ) dt φ 2 t = φ 2 + φm1 = φd 1 + φm 2 + φm1 = φd 2 + φm perciò: d d d (φm) d (φd1) d (φd 1) (φ 1 + φm 2) = − N 1 ⋅ (φm + φd 1) = − N 1 ⋅ − N1⋅ = em1 − N 1 ⋅ dt dt dt dt dt d d d (φm) d (φd 2) d (φd 2) e2t = − N 2 ⋅ (φ 2 + φm1) = − N 2 ⋅ (φm + φd 2) = − N 2 ⋅ − N2⋅ = em 2 − N 2 ⋅ dt dt dt dt dt e1t = − N 1 ⋅ Ricordiamo che nelle condizioni di funzionamento a carico, il flusso di mutua φm risulta essere pari a: M L1 (1 − σ 1) ⋅ L1t ⋅ i1 φm1 = ⋅ i1 = ⋅ i1 = N2 N1 N1 φm = φm1 + φm 2 dove: M L2 (1 − σ 2) ⋅ L 2t ⋅ i2 φm 2 = ⋅ i 2 = ⋅ i2 = N1 N2 N2 perciò: N 1 ⋅ φm = N 1 ⋅ φm1 + N 1 ⋅ φm 2 = L1 ⋅ i1 + M ⋅ i 2 N 2 ⋅ φm = N 2 ⋅ φm1 + N 2 ⋅ φm 2 = M ⋅ i1 + L 2 ⋅ i 2 se i 2 = 0 (funzionamento a vuoto) si ottiene che: N1 = M ⋅K N2 M = L1 ⋅ L 2 L1 = M ⋅ dove N1 = M ⋅ K questa relazione era stata già ricavata, in modo diverso, N2 precedentemente nel funzionamento a vuoto del trasformatore nell’ipotesi di accoppiamento perfetto. L1 = M ⋅ Tenendo conto delle relazioni precedenti e ricordando che: 14 L1t ⋅ i1 N1 N1 σ 1 ⋅ L1t ld 1 φd 1 = ⋅ i1 = ⋅ i1 N1 N1 φ1 = λ1 = L 2t ⋅ i2 N2 N2 σ 2 ⋅ L 2t ld 2 λd 2 = ⋅ i2 = ⋅ i2 N2 N2 φ2 = λ2 = è possibile sviluppare le relazioni sulle tensioni indotte e1t ed e2t nel seguente modo: e1t = − N 1 ⋅ d d L1t d M d (i1) d (i 2) (φ 1 + φm 2) = − N 1 ⋅ ( ⋅ i1) − N 1 ⋅ ⋅ i 2 = − L1t ⋅ −M ⋅ dt dt N 1 dt N 1 dt dt e 2t = − N 2 ⋅ d d L 2t d M d (i 2) d (i1) (φ 2 + φm1) = − N 2 ⋅ ( ⋅ i 2) − N 2 ⋅ ⋅ i1 = − L 2t ⋅ −M ⋅ dt dt N 2 dt N 2 dt dt d (φm) d (φd 1) d (φm1) d (φm 2) d (φd 1) − N1⋅ = −N1 ⋅ − N1⋅ − N1 ⋅ = dt dt dt dt dt d (1 − σ 1) ⋅ L1t d M d σ 1 ⋅ L1t = −N1 ⋅ ⋅ i1 − N 1 ⋅ ⋅ i 2 − N 1 ⋅ ⋅ i1 = dt N1 dt N 1 dt N1 d d d d d d = −[(1 − σ 1) ⋅ L1t ]⋅ (i1) − (σ 1 ⋅ L1t ) ⋅ (i1) − M ⋅ (i 2 ) = − L1 ⋅ (i1) − ld 1 ⋅ (i1) − M ⋅ (i 2 ) dt dt dt dt dt dt e1t = − N 1 ⋅ d (φm) d (φd 2) d (φm1) d (φm 2) d (φd 2) − N2⋅ = −N 2 ⋅ − N2⋅ − N2⋅ = dt dt dt dt dt d (1 − σ 2 ) ⋅ L 2t d M d σ 2 ⋅ L2t = −N 2 ⋅ ⋅ i2 − N 2 ⋅ ⋅ i1 − N 2 ⋅ ⋅ i2 = dt N2 dt N 2 dt N2 d d d d d d = −[(1 − σ 2 ) ⋅ L 2t ]⋅ (i 2 ) − (σ 2 ⋅ L 2t ) ⋅ (i 2 ) − M ⋅ (i1) = − L2 ⋅ (i 2 ) − ld 2 ⋅ (i 2 ) − M ⋅ (i1) dt dt dt dt dt dt e 2t = − N 2 ⋅ N.B. nella realtà gli unici coefficienti che si possono misurare sono i coefficienti di autoinduzione totale L1t e L2t . Osserviamo che entrambe le due tensioni indotte primarie e secondarie vengono scomposte in due termini: - uno associato al flusso di mutua, a cui deriva il trasferimento di energia tra i due avvolgimenti del trasformatore. - uno associato al flusso di dispersione che non interviene nel trasferimento di energia. Dalle relazioni sviluppate precedentemente è possibile riscrivere le due equazioni di Kirchhoff nel modo seguente: v1 + e1t = r1 ⋅ i1 d (i1) d (i1) d (i 2 ) d (i1) d N2 v1 = r1 ⋅ i1 + L1d ⋅ + L1 ⋅ +M ⋅ = r1 ⋅ i1 + l 1d ⋅ + L1 ⋅ (i1 + ⋅ i 2) dt dt dt dt dt N1 e2t = e2 m + e2 d = r 2 ⋅ i 2 + v 2 d (i 2 ) d (i1) N2 d (i 2 ) d (i1) d N2 e2m = − L2 ⋅ −M ⋅ =− ⋅M ⋅ −M ⋅ = − M ⋅ (i1 + ⋅ i 2) = dt dt N1 dt dt dt N1 d (i 2 ) = r 2 ⋅ i 2 + l 2d ⋅ + v2 dt 15 Fino ad adesso abbiamo dato per scontato che la relazione che lega le correnti con i flussi fosse di tipo lineare e non abbiamo ancora visionato ciò che accade nel circuito magnetico. Effettuando questa analisi, si può dedurre un equazione che ci è utile per spiegare il perché di quella comunanza di termini sia nell’equazione di equilibrio elettrico al primario N2 sia nell’equazione di equilibrio elettrico al secondario i1 + ⋅ i2 . N1 Per analizzare il sistema magnetico utilizziamo l’equazione di circuitazione del campo magnetico: ∫ H ⋅ dl = N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 In questo caso non possiamo più dire che la caduta di tensione magnetica è nulla, perché il sistema fisico ha una permeabilità magnetica µ ≠ ∞ . Partiamo dalle espressioni canoniche riferite alla colonna, poiché su di essa sono avvolti sia l’avvolgimento primario che l’avvolgimento secondario: B c = µ ⋅ Hc φm Hc = φm = Bc ⋅ Sc Sc ⋅ µ Riferito il flusso di mutua al flusso circolante in colonna, è immediatamente noto anche il valore di Hc . Perciò scegliamo un tubo di flusso, in cui φm risulti essere costante e applichiamo la legge della circuitazione magnetica: φm ⋅ ∫ dl = N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 Sc ⋅ µ φm ⋅ ℜ = N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 φm = Γ ⋅ (N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 ) dove ℜ = riluttanza magnetica del tubo di flusso, mentre Γ = permeanza magnetica Tenendo conto che seguenti modi: 1) caso: φm = Γ ⋅ Γ ⋅ N1 ⋅ N 2 = M Γ⋅ N2 = L : il flusso φm = Γ ⋅ (N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 ) può essere espresso nei due N1 N1⋅ N 2 1 ⋅ (N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 ) = Γ ⋅ N 1 ⋅ i1 + Γ ⋅ ⋅ i2 = ⋅ Γ ⋅ N 2 1 ⋅ i1 + (Γ ⋅ N 1 ⋅ N 2 )⋅ i 2 = N1 N1 N1 [( ] ) 1 (L1 ⋅ i1 + M ⋅ i 2 ) N1 N2 N1⋅ N 2 1 φm = Γ ⋅ ⋅ (N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 ) = Γ ⋅ ⋅ i1 + Γ ⋅ N 2 ⋅ i 2 = ⋅ (Γ ⋅ N 1 ⋅ N 2 ) ⋅ i1 + Γ ⋅ N 2 2 ⋅ i 2 = N2 N2 N2 1 (M ⋅ i1 + L2 ⋅ i 2 ) = N2 = 2) caso: [ ( ) ] Pertanto il funzionamento del trasformatore a carico è caratterizzato dal seguente sistema finale: d (i1) d N2 d (i1) + L1 ⋅ (i1 + ⋅ i 2 ) = r 1 ⋅ i1 + l 1d ⋅ − e1m dt dt N1 dt d N2 d (i 2 ) e 2 m = − M ⋅ (i1 + ⋅ i 2) = r 2 ⋅ i 2 + l 2 d ⋅ + v2 dt N1 dt N2 φm = Γ ⋅ (N 1 ⋅ i1 + N 2 ⋅ i 2 ) = N 1 ⋅ Γ ⋅ i1 + ⋅ i2 N1 v1 = r1 ⋅ i1 + l 1d ⋅ 16 Dove si indica con i1µ = i1 + N2 ⋅ i2 N1 la corrente magnetizzante pari alla somma della corrente circolante al primario e di quella al secondario riportata al primario. Tale corrente è una corrente fittizia che, circolando sull'avvolgimento primario nelle N1 spire, produce una forza magnetomotrice che risulta essere uguale alla forza magnetomotrice complessivamente prodotta dall'avvolgimento primario e dall'avvolgimento secondario (il flusso di mutua è associato alla corrente magnetizzante i1µ ), dato che: φm = L1 ⋅ d N2 d N2 (i1 + ⋅ i 2) = M ⋅ (i1 + ⋅ i 2) dt N1 dt N1 RIPORTO DELLE GRANDEZZE ELETTRICHE Un operazione interessante da fare è quella di rendere il nostro modello congruente, cioè cercare di trasformare il modello del trasformatore in modo da riferire tutte le grandezze elettriche allo stesso sistema elettrico. Per fare questo sarebbe interessante trasformare le equazioni dell’avvolgimento secondario in equazioni equivalenti sull’avvolgimento primario, o in altre parole, mediante una operazione di riporto potrei studiare il sistema elettrico su un unico livello di tensione e valutare gli effetti sul secondario in maniera equivalente al primario (il tutto mi consente di visualizzare meglio le cadute di tensione, gli effetti dissipativi e gli effetti percentuali rispetto al mio sistema di riferimento). Per riportare le grandezze del secondario al primario l’operazione è semplice poiché abbiamo già un modello che ci definisce i legami funzionali tra il primario e il secondario, che è quello indicato dalle equazioni del trasformatore ideale, quindi basterà trasformare le tensioni in modo tale che sia rispettato questo legame funzionale. Per quanto riguarda le impedenze, possiamo riportarle da un sistema elettrico ad un altro variandone il valore in maniera tale che le potenze attive e le potenze reattive, risultino invariate nel passaggio da un sistema di riferimento all’altro. Ad esempio facendo riferimento ad una resistenza, per portarla dall’avvolgimento secondario all’avvolgimento primario, è sufficiente trovare il valore di resistenza secondaria che sottoposta alla circolazione della corrente secondaria riportata al primario elevata al quadrato, mi dia le stesse perdite. i1 N2 1 =− =− i2 N1 K v1 N1 =− = −K v2 N2 p 2cu = R 2 ⋅ i 2 2 = R 2 ' ⋅ i 2 ' 2 R 2 ' ⋅ i2'2 = R 2 ' ⋅ i22 R2' ⇒ R 2= K2 K2 Basandosi su queste operazioni che mi riportano le grandezze del secondario al primario, vediamo cosa succede alle equazioni di equilibrio elettrico: di1 d + L1 i1µ v1 = r1i1 + L1d dt dt di2 d + v2 − M i1µ = r2i2 + L2 d dt dt N2 φmℜ i1µ = i1 + N i2 = N 1 1 17 Perciò moltiplichiamo per K , primo e secondo membro, l’equazione di equilibrio elettrico. Moltiplicando il coefficiente di mutuo accoppiamento per k, lo trasformiamo nel coefficiente di autoinduzione L1. di1 d v1 = r1i1 + L1d dt + L1 dt i1µ di2 d − k ⋅ v2 L1 i1µ = −k ⋅ r2 i2 − k ⋅ L2 d dt dt 1 i1µ = i1 + k i2 Facciamo la stessa operazione di trasformazione anche sul secondario . Applicando le relazioni di riporto che sono state dedotte precedentemente si ricava che al posto di i2/k posso sostituire i’2. i2 = −k ⋅ i2′ 1 v2 = − v2′ k k 2 r2 = r2′ Quindi sostituisco il valore di i2 nelle seguenti equazioni: di1 d v1 = r1i1 + L1d dt + L1 dt i1µ di2 d − k ⋅ v2 L1 i1µ = −k ⋅ r2 i 2 − k ⋅ L2 d dt dt 1 i1µ = i1 + k i 2 E ottengo: di1 d v1 = r1i1 + L1d dt + L1 dt i1µ di 2′ d 2 2 + v ′2 L1 i1µ = k ⋅ r2 i2′ + k ⋅ L2 d dt dt i1µ = i1 − i 2′ Ora è facile capire che al posto di k2 L2d avrò il coefficiente di autoinduzione secondario 1 riportato al primario e al posto di k2 r2 avrò il valore di r2' . La quantità i2 risulta essere k proprio uguale a − i2′ . In finale abbiamo tutte equazioni di equilibrio elettrico al primario, e le equazioni di equilibrio elettrico in cui tutti i parametri presenti nel circuito sono tutti riportati al primario e in più abbiamo che la corrente i1µ = i1 − i2′ . di1 d v1 = r1i1 + L1d dt + L1 dt i1µ di 2′ d + v ′2 L1 i1µ = r2′i 2′ + L2′ d dt dt i1µ = i1 − i2′ 18 Questo è il sistema elettrico trasformatorico. A questo punto sulla base di queste equazioni posso andare a tracciare il circuito equivalente. La prima è l’equazione di equilibrio elettrico al primario che mi dice che la somma delle tensioni applicate sulla resistenza r1, sull’induttanza di dispersione e sull’induttanza primaria risultano essere uguali a v1. L’equazione di equilibrio elettrico secondaria mi dice che la tensione indotta sull’elemento d L1 , mi equilibra la caduta di tensione r2' , più l’induttanza di dispersione riportata al dt primario, più la tensione v2 riportata al primario. Le correnti i1 ,i2′ devono essere tali che la loro somma mi dia la corrente iµ (legge al nodo del circuito). Abbiamo delineato quello che risulta essere il circuito equivalente al primario del trasformatore lineare . La stessa operazione avremo potuto svolgerla riportando le grandezze al secondario, ottenendo la seguente struttura: (La differenza è che le grandezze al primario vengono riportate al secondario) Questa risulta essere la rappresentazione del nostro trasformatore. Questa rappresentazione può essere ulteriormente semplificata, invece che inserendo dei coefficienti di autoinduzione di dispersione Ld1 e Ld2 , introducendo i coefficienti di dispersione σ 1 e σ 2 , a questo punto i valori avrebbero assunto la forma : 19 Questo è uno studio di modellistica di base dei trasformatori, e questa è un operazione di rappresentazione circuitale che viene generalmente adottata nello studio dei trasformatori lineari. Ha validità generale, quindi può essere utilizzata sia per trasformatori alimentati ad onda sinusoidale, sia per applicazioni elettroniche. Su questa modellizzazione di base andremo ad individuare le condizioni al contorno che ci definiscono le condizioni costruttive per far si che il flusso di potenza attiva e reattiva, al primario e al secondario, risulti essere il più vicino all’unità. Quindi cercheremo di avvicinare il modello reale al modello ideale. I2 jω ⋅ M =− z d 1 + z u + jω ⋅ L 2 I1 I2 jω ⋅ M N1 ⋅ N 2 ⋅ Γ N1 ≅− =− =− jω ⋅ L 2 N2 N 22⋅Γ I1 Analisi in regime sinusoidale permanente Finora abbiamo analizzato il modello matematico del trasformatore lineare, partendo dal trasformatore ideale ed inserendo successivamente le cause di non idealità (effetti delle resistenze, supporto contenente gli avvolgimenti non perfettamente impermeabile). In base a queste considerazioni abbiamo ottenuto un modello basato su tre equazioni: due di equilibrio elettrico (dalle leggi di Kirchoff) ed una basata sulla legge di circuitazione del campo magnetico. Le tre equazioni poste a sistema, sono congruenti perché le grandezze espresse sono riferite o tutte al primario o tutte al secondario. Abbiamo utilizzato questo modello per scorporare tutti gli elementi che definiscono il comportamento della macchina elettrica. In particolare abbiamo scomposto la tensione indotta dal flusso concatenato con l’avvolgimento primario e con l’avvolgimento secondario in due aliquote, una relativa ai flussi di dispersione ed una relativa al flusso di mutuo accoppiamento. Lo scopo è stato quello di evidenziare l’elemento di mutuo accoppiamento tra avvolgimento primario e secondario Abbiamo ottenuto una rappresentazione del trasformatore tramite dei valori istantanei, mentre noi studieremo il trasformatore in regime sinusoidale permanente, dobbiamo quindi passare alla rappresentazione in notazione simbolica. Le grandezze sinusoidali possono essere espresse in forma complessa applicando le notazioni complesse agli operatori di derivazione si ottiene che la derivata di i1 rispetto al tempo è uguale a jω moltiplicato per l’operatore vettoriale che rappresenta la corrente i1. Posso esprimere l’equazione di equilibrio primario in diverse forme equivalenti tra loro: 20 V1 = (R1 + jωL1d )I1 + jωL1 I1 V1 = (R1 + jωL1d )I1 + jωN1φ1 V1 = z&1d I1 − E1 Sull’avvolgimento primario, la tensione applicata è uguale alla caduta di tensione sull’impedenza di dispersione più la tensione indotta dal flusso di mutua. Il flusso di dispersione è incorporato come caduta di tensione nell’impedenza di dispersione. Quindi il flusso concatenato con l’avvolgimento primario è visto un po’ come caduta di tensione e un po’ come tensione indotta. Si possono fare le stesse considerazioni nell’equazione di equilibrio secondario: jωL1 I1µ = (R2' + jωL'2 d )I 2' + V2' jωL1 I1µ = z& 2 d I 2' + V2' La tensione indotta sull’avvolgimento secondario è la somma della caduta di tensione sull’impedenza di dispersione e la tensione applicata al carico (quindi la tensione in uscita). Per la legge di circuitazione avremo: I1µ = I1 − I 2' Su questo modello dovremo analizzare le diverse condizioni di funzionamento (lineari) del trasformatore: funzionamento a vuoto funzionamento sotto carico funzionamento in cortocircuito Funzionamento a vuoto Sul circuito secondario non circola corrente, mentre nel primario circola la stessa corrente che passa nell’induttanza di magnetizzazione. In queste condizioni, il trasformatore viene alimentato per magnetizzare esclusivamente la macchina. Qualora la tensione di alimentazione v1 sia sinusoidale, le equazioni di Kirchhoff precedentemente ricavate, sfruttando il metodo dei fattori, diventano: V 1 = (r1 + jω ⋅ ld 1) ⋅ I 10 + jω ⋅ N 1 ⋅ Φm10 V 1 = (r1 + jω ⋅ ld 1) ⋅ I 10 + jω ⋅ L1 ⋅ I 10 V 1 = (r1 + jω ⋅ ld 1)⋅ I 10 − Em10 V 20 = − jω ⋅ N2 L1 ⋅ I 10 N1 Φm 0 = Γs ⋅ N 1 ⋅ I 10 V 20 = − jω ⋅ M ⋅ I 10 21 V 20 = − jω ⋅ N 2 ⋅ Φm10 = Em 20 Dove la quantità Z& 1d = (r1 + jω ⋅ ld 1) rappresenta l'impedenza di dispersione primaria Ora calcoliamo il rapporto tra le tensioni indotte Em10 ed Em 20 : Em10 − jω ⋅ N 1 ⋅ Φm 0 N 1 = = =m Em 20 − jω ⋅ N 2 ⋅ Φm 0 N 2 Osserviamo che nel funzionamento a vuoto a regime sinusoidale permanente, il rapporto tra le tensioni indotte, che prende il nome di rapporto spira m, è pari al rapporto fra il numero di spire primarie e secondarie e inoltre Em10 ed Em 20 risultano essere in fase tra loro. Andiamo invece ad analizzare il rapporto tra la tensione primaria di alimentazione e la tensione secondaria: V 1 ( r1 + jω ⋅ ld 1)⋅ I 10 − Em10 (r1 + jω ⋅ ld 1)⋅ I 10 N 1 = =− − N2 V 20 Em10 jω ⋅ N 2 ⋅ Φm 0 Come si può notare tale rapporto, che prende il nome rapporto di trasformazione K, è strettamente legato al valore dell'impedenza di dispersione primaria e solo se questa risulta essere trascurabile rispetto alla tensione di alimentazione, potremmo considerare tale rapporto pari al rapporto spire m. K= V1 N1 ≅− = −m N2 V 20 Possiamo anche notare che per le convenzioni adottate, la tensione primaria e la tensione secondaria sono in opposizione di fase. Vogliamo ora tracciare il diagramma vettoriale delle grandezze elettriche che caratterizzano il trasformatore nel funzionamento a vuoto, note la resistenza, l'induttanza di dispersione, l’induttanza principale primaria, il numero di spire N1 e N 2 , la permeanza dell'intero circuito, quando la tensione di alimentazione V 1 è di tipo sinusoidale. Scegliamo il vettore rappresentativo della tensione di alimentazione come vettore di riferimento e lo disponiamo sull’asse reale. Prendiamo in esame le equazioni di equilibrio elettrico al primario è al secondario che avevamo precedentemente ricavato: V 1 = (r1 + jω ⋅ ld 1)⋅ I 10 − Em10 N2 V 20 = − jω ⋅ L1 ⋅ I 10 N1 Φm 0 = Γs ⋅ N 1 ⋅ I 10 V 1 = (r1 + jω ⋅ ld 1) ⋅ I 10 + jω ⋅ L1 ⋅ I 10 V 20 = − jω ⋅ M ⋅ I 10 Noti tutti i parametrici circuitali, è possibile ricavare dalla prima equazione la corrente a vuoto I 10 in modulo e fase. Sono quindi note le cadute di tensione sulla r 1, ld 1, L1 e tenendo conto della relazione Φm 0 = Γs ⋅ N 1 ⋅ I 10 , si osserva che il flusso di mutua è in fase con la corrente a vuoto. Infine dalla seconda relazione è possibile ricavare la tensione sul secondario che è in quadratura in ritardo rispetto alla corrente I 10 . La I 10 coinciderà con la I1µ . La tensione indotta, in queste condizioni prende il nome di tensione indotta a vuoto E10, la tensione in uscita è la tensione a vuoto E20. Oppure, sempre consideriamo la tensione come riferimento (disponiamo il suo vettore simbolico sull’asse reale del piano di Laplace) e ipotizziamo di conoscere il valore della 22 corrente magnetizzante I1µ , la resistenza R1 e l’induttanza di dispersione l1d , possiamo ricavare dalle equazioni di equilibrio elettrico la tensione E10: V1 = (R1 + jωL1d )I1µ − E10 La caduta di tensione su R1 è in fase con la corrente magnetizzante e la caduta di tensione sull’induttanza di dispersione l1d è in quadratura e in anticipo rispetto alla corrente magnetizzante (Il vettore che completa il diagramma è proprio E10): Nota E10 ed il rapporto di trasformazione K , è possibile ricavare la tensione indotta E20: Noto E20 ed E1 possiamo ricavare il flusso che sarà in fase con la corrente magnetizzante. V20 = E20 = − jωN 2φm 0 Siamo sicuri che tutte le grandezze hanno andamento sinusoidale e isofrequenziale, perché il funzionamento del trasformatore è lineare. 23 Funzionamento sotto carico Si parte dalle equazioni di equilibrio: generalmente la tensione di alimentazione V1 è un parametro dato, come gli altri parametri del trasformatore (R1, l1d, R2, l2d, l1, K ) ed il valore del carico Ru (e quindi il valore della V2). In queste condizioni, avremo tre equazioni e tre incognite (le tre correnti): V1 = z&1d I1 + jωL1 I µ jωL1 I µ = z&2' d I 2' + V2' I µ + I 2' = I1 Possiamo ricavare il diagramma vettoriale: Disponiamo la tensione V1 sull’asse reale del piano di Laplace. Ricavata la I1 (modulo e fase) dalla risoluzione del sistema 3*3 e note R1 e l’induttanza di dispersione l1d, ricaviamo la caduta di tensione sulla resistenza (in fase con I1) e la caduta di tensione sull’induttanza di dispersione l1d (in anticipo di 90 con I1°); è nota quindi la caduta di tensione sull’impedenza di dispersione primaria. Applicando l’equazione di equilibrio elettrico al primario: V1 = z&1d I1 + jωL1 I µ è noto il vettore -E1, dal quale possiamo ricavare il flusso Фm e successivamente I1µ (in fase con Фm): − E1 = jωL1 I µ = jωN1φ m Noto I1 e I1µ possiamo ricavare I21 (corrente secondaria riportata al primario): I1 = I µ + I 2' Dall’equazione di equilibrio sul secondario, noto I21, possiamo ricavare la caduta di tensione sull’impedenza di dispersione secondaria come somma della caduta di tensione sulla resistenza e sull’induttanza di dispersione: 24 jωL1 I µ = z&2' d I 2' + V2' Infine si può determinare il valore di V21 tensione secondaria riportata al primario. Studio dei flussi di potenza nel trasformatore Nel trasformatore ideale il rapporto V1/V2 è costante (n), riportando la tensione secondaria al primario, il rapporto di questa con la tensione al primario è uguale a 1; questa condizione è valida in modulo e fase e dovremmo quindi ottenere in regime sinusoidale permanente un vettore V1 e un vettore V21 uguali in modulo e fase, mentre ciò non risulta dal diagramma vettoriale del trasformatore reale di tipo lineare. Infatti, a causa dell’impedenza di dispersione primaria e secondaria i vettori V1 e V21 sono diversi sia in modulo che in fase (si ha una caduta di tensione nell’impedenza di dispersione). Inoltre abbiamo dei fenomeni dissipativi dovuti alla circolazione di corrente su R1 e R2 (potenza attiva assorbita dal trasformatore lineare) ed essendo in regime sinusoidale permanente, avremo anche un assorbimento di potenza reattiva (dovuta alle induttanze di dispersione e soprattutto a quella di magnetizzazione). La potenza complessa assorbita dal trasformatore sotto carico risulterà diversa da zero, questo vuol dire che non sarà più vera l’ipotesi che i flussi di ponza, dal passaggio tra primario e secondario, rimangono invariati. Per avvicinarci alle condizioni di idealità dobbiamo ridurre tutti quei parametri che mi portano un assorbimento di potenza da parte del trasformatore. Dobbiamo quindi calcolare la potenza complessa assorbita dal trasformatore e trovare il modo di renderla se non uguale, almeno tendente a zero. Calcoliamo quindi la potenza al primario e la sottraiamo a quella calcolata al secondario, questa aliquota di potenza non è altro che la potenza assorbita dal trasformatore: A& t = V1 I 1* − V2' I 2'* Posiamo poi esplicitare la potenza complessa dalle equazioni di equilibrio elettrico (sostituiamo al posto di V1 l’equazione di equilibrio al primario e al posto di V’2 l’equazione di equilibrio al secondario): A& t = (z&1d I1 + jωL1 I µ )I1* − ( jωL1 I µ − z&2' d I 2' )I 2'* A& = z& I 2 + z& ' I ' 2 + jωL I (I * − I '* ) t 1d 1 2d 2 1 µ 1 2 A& t = z& I + z& I + jωL1 I µ 2 1d 1 ' 2d '2 2 2 La parte attiva è data dalle dissipazioni per effetto joule e la parte reattiva e legata alla potenza reattiva assorbita dall’induttanza di dispersione primaria e secondaria e da quella di magnetizzazione (dal coefficiente di autoinduzione primaria). 25 in modo da far coincidere V1 e V21. Per ridurre la potenza reattiva di magnetizzazione è necessario stabilire quale delle due scelte (agire su L1 o Iµ) sia la più conveniente. Da un analisi matematica ci sembra ovvio che bisogna diminuire Iµ poiché varia secondo legge quadrata mentre L1 varia secondo legge lineare. Andiamo perciò ad analizzare la potenza reattiva di magnetizzazione ed esprimiamola in funzione dei flussi: Qm = ωL1 I µ2 ma φm = L1 I µ ; L1 = ΓN12 quindi sostituendo N1 Qm = ω λ12m L1 =ω φ12m Γ Se siamo collegati ad una rete a potenza prevalente tensione e frequenza sono fisse e costanti, quindi il valore della pulsazione sarà costante e il valore del flusso di mutua non può essere variato più di tanto perché è direttamente collegato al valore efficace della tensione: V1 = z&1d I1 + jωN1φ m Infatti riducendo resistenze e induttanze avrò una dipendenza diretta del flusso con la tensione per cui il flusso risulterà definito dalla tensione di alimentazione e dalle caratteristiche del sistema. L’unico parametro su cui posso agire per ridurre la potenza di magnetizzazione è la permeanza г. Massimizzando la permeanza, aumento L1 e minimizzo automaticamente la corrente Iµ. Per questo motivo i materiali impiegati per realizzare i supporti dei trasformatori sono quelli ferromagnetici che hanno alta permeanza e consentono di ridurre i flussi di dispersione e le resistenze degli avvolgimenti. VANTAGGI DELL’USO DI MATERIALI FERROMAGNETICI 1) Si ha un forte differenziale tra l’aria e la permeabilità magnetica del ferro, le linee di flusso sono maggiormente convogliate all’interno del materiale ferromagnetico, abbiamo dei vantaggi anche sull’induttanza di dispersione. 2) Aumento del coefficiente di autoinduzione principale. 26 3) Diminuzione della potenza reattiva dovuta alla magnetizzazione del nucleo. 4) Riduzione delle sezioni (aumentando il valore di µ, a parità di flusso, avrò una sezione inferiore) che comporta una riduzione in peso, in volume e dei costi. SVANTAGGI DELL’USO DI MATERIALI FERROMAGNETICI 1) Caratteristica del ferro non lineare né monodromica, ma polidromica: perché il ciclo di isteresi è costituito da magnetizzazione e smagnetizzazione diverse fra loro. 2) Perdite nei materiali dovute a isteresi (perdite magnetostatiche) e correnti parassite (perdite dinamiche). PERDITE NEI MATERIALI FERROMAGNETICI I materiali ferromagnetici sono caratterizzati da una caratteristica statica e una dinamica. La caratteristica statica è rappresentata dal ciclo di isteresi che riproduce delle condizioni di equilibrio successive: La magnetizzazione è ciclica ma è il risultato di più fasi di equilibrio successive ad aumenti graduali di forza magnetomotrice (ottengo una caratteristica magnetostatica) La caratteristica magnetica statica consente di valutare le perdite per isteresi, le quali sono legate al valore dell’induzione massima, tramite un coefficiente che dipende dal materiale K1, e alla frequenza (ovvero al numero di volte che percorro la caratteristica nell’unità di tempo): perdite per isteresi = K1 ⋅ f ⋅ Bm2 I materiali ferromagnetici sono buoni conduttori elettrici oltre che magnetici. Considerando il flusso variabile nel tempo, sulla sezione di materiale, possiamo individuare delle linee fittizie di circuitazione, in cui può circolare la corrente. Su queste linee teoriche vi sarà una variazione di flusso e perciò una tensione indotta (per la legge di Faraday-Lenz ) che genera una corrente: la corrente parassita. La circolazione di questa corrente determina una dissipazione di energia dovuta anche alla resistenza propria del materiale. La caratteristica magnetica dinamica tiene conto dei fenomeni dissipativi di natura dinamica e statica, perciò delle perdite per isteresi e delle correnti parassite: 27 p fe ≅ K1 ⋅ f ⋅ Bm2 + K 2 ⋅ f 2 ⋅ Bm2 [W / kg ] Il coefficiente K2 è legato alla resistenza propria del materiale e al suo spessore Sp: quanto più è sottile la lamiera rispetto alla sua lunghezza, tanto più piccole saranno le dissipazioni (diminuisce K2). Per questo motivo il nucleo del trasformatore è costituito da lamierini isolati tra loro: questi lamierini hanno uno spessore di circa 0,35 mm per i trasformatori di media potenza. Valori inferiori di spessore possono determinare dei rischi per la struttura, rischi legati a forze elettromeccaniche alle quali la struttura è soggetta. Le perdite specifiche (per unità di peso) sono riferite ad una induzione massima di 1,3-1,7 T. Per analizzare le perdite complessive bisogna tener conto delle configurazioni geometriche del trasformatore (sezioni delle colonne e dei gioghi solitamente differenti) e determinare le perdite complessive (le perdite specifiche moltiplicate per i pesi relativi alle colonne ed ai gioghi). Dalla relazione si ricava la potenza dissipata nel ferro quando il nucleo ferromagnetico viene sottoposto ad un ciclo di magnetizzazione e smagnetizzazione con una frequenza ƒ. Per esprimere le relazioni non in funzione delle induzioni nel trasformatore ma utilizzando le tensioni applicate, consideriamo che il valore massimo della tensione indotta è legata al flusso massimo e quindi dell’induzione massima: Noto il valore della tensione indotta massima in funzione dell’induzione massima, sostituendo nell’equazione precedente, otterrò l’espressione delle perdite nel ferro in funzione della tensione: Notiamo che se la tensione massima E1m viene tenuta costante, il valore delle perdite nel ferro è inversamente proporzionale alla frequenza. Questo non era immediato nella relazione di partenza, perché siamo portati ad affermare che le perdite nel ferro aumentano linearmente con la frequenza. Ma questo è errato, perché il valore della tensione è uguale a: 28 E1m = ω ⋅ S c ⋅ Bmc A parità di tensione, se aumento la frequenza, il valore dell’induzione diminuisce e conseguentemente diminuiscono le perdite nel ferro. Per modellizzare queste perdite bisogna considerare che le perdite nel ferro rappresentano una conversione di energia magnetica in energia elettrica, l’energia magnetica è fornita a spese dell’avvolgimento primario quando questo e percorso da corrente. La corrente produrrà un campo magnetico, questo si trasforma in energia magnetica e quest’ultima in calore. Le perdite nel ferro sono associate quindi ad una trasformazione di energia elettrica in energia termica attraverso una fase intermedia di trasformazione in energia magnetica. Quindi il componente che possiamo associare alle perdite nel ferro è una resistenza. In base alle relazioni : Il flusso (e quindi l’induzione da cui dipendono le perdite nel ferro) è direttamente legato alla tensione indotta: la posizione della resistenza non potrà essere in cascata al primario ma in cascata all’elemento che rappresenta gli effetti di magnetizzazione e smagnetizzazione; posizionerò quindi la resistenza in parallelo all’elemento di mutuo accoppiamento tra avvolgimento primario e secondario L1. STRUTTURE DI SUPPORTO DEGLI AVVOLGIMENTI 29 Questo è un parametro molto importante perché, una volta definite le caratteristiche geometriche del nucleo magnetico, ci consente di determinare la resistenza R0 che tiene conto delle perdite nel ferro. La cifra di perdita si ottiene calcolando la potenza specifica persa nel ferro per B=1 [T] e per f=50[Hz]: p fe ≅ K1 ⋅ f ⋅ Bm2 + K 2 ⋅ f 2 ⋅ Bm2 Osserviamo che le perdite per isteresi e quelle associate alle correnti parassite sono legate all’induzione massima Bm perché solo questo punto ha una corrispondenza biunivoca con l’intensità di campo H e di conseguenza con la corrente magnetizzante iµ. Le Pfe aumentano se aumenta l'induzione e aumentano se viene mantenuta costante l'induzione e viene fatta variare la frequenza. Tendono a diminuire se viene mantenuta costante la tensione indotta e viene fatta aumentare la frequenza. 30 Analisi trasformatore reale Dall'analisi energetica del trasformatore lineare abbiamo notato che per poter ottimizzare il comportamento da un punto di vista energetico e da un punto di vista delle distribuzioni di tensione del trasformatore è necessario seguire alcuni accorgimenti costruttivi. L'accorgimento più evidente è l'utilizzo dei materiali che hanno elevate permeabilità magnetiche, perché con questi materiali posso ridurre la potenza reattiva di magnetizzazione, in più si esercita un grosso differenziale di permeabilità tra ferro e l'aria, infine mi consentono di canalizzare la maggior parte delle linee di flusso secondo percorsi ben definiti. Il vantaggio di questa scelta costruttiva ha delle ripercussioni in termini di induttanza di dispersione e di resistenza (ma soprattutto di L di dispersione). Infatti se le linee di flusso vengono catturate dalla diversa permeabilità magnetica abbiamo che l'aliquota di flusso che si concatena tra l'avvolgimento primario e l'avvolgimento secondario aumenta, il flusso disperso e le tensioni indotte dal flusso disperso diminuiscono e diminuisce anche il coefficiente di autoinduzione di dispersione. Quindi l'effetto dell'uso di materiali ferromagnetici è duplice: Un miglioramento dell'accoppiamento tra i due sistemi. Un miglioramento in termini di potenza reattiva assorbita (regime sinusoidale permanente). E' vero che i materiali ferromagnetici sono caratterizzati da un'elevata permeabilità, ma possiedono caratteristiche magnetiche che non sono lineari. Il requisito da cui siamo partiti per descrivere il modello matematico del trasformatore era proprio che il sistema magnetico fosse lineare. Ma con l’utilizzo di materiali ferromagnetici per la costruzione del nucleo perdiamo la linearità del sistema, perché il legame che esiste tra la causa (l'intensità di campo) e l'effetto (l'induzione magnetica) nei materiali ferromagnetici non è lineare, ed è di tipo polidromico (significa che la caratteristica di magnetizzazione e di smagnetizzazione sono diverse). Quindi il ciclo seguito dal materiale 31 è assimilabile ad un ciclo d'isteresi. Il ciclo di isteresi dei materiali ferromagnetici sono particolarmente complicati e per tal motivo bisogna individuare la tipologia di magnetizzazione e di smagnetizzazione a cui si fa riferimento. Se per esempio facciamo riferimento ad un ciclo di magnetizzazione e smagnetizzazione a onda quadra, il comportamento del materiale sarà diverso rispetto ad un ciclo di magnetizzazione e smagnetizzazione di tipo sinusoidale e sarà ancora diverso rispetto ad un ciclo di magnetizzazione e smagnetizzazione di tipo sinusoidale caratterizzato da un valor medio diverso da zero. Anche il tipo di funzionamento del sistema dipende dalla tipologia di induzione che noi applichiamo al nostro sistema. Nelle nostre applicazioni ci interessa realizzare un tipo di magnetizzazione sinusoidale, questo perché il valore dell'induzione è legato al flusso dalla sezione del nostro nucleo ferromagnetico e sappiamo bene che la sinusoide è una funzione che una volta derivata mi da un'altra sinusoide, quindi ragioniamo ancora con funzioni dello stesso tipo che hanno soprattutto la stessa frequenza. Una volta definito il ciclo di magnetizzazione (sinusoidale) andiamo a studiare quale è il luogo dei punti che mi definiscono il materiale quando viene sottoposto ad una magnetizzazione e ad una smagnetizzazione di tipo sinusoidale ad una frequenza di 50 Hz. Tracciando sperimentalmente questo ciclo otteniamo una caratteristica del lamierino (caratteristica di tipo B-H): Questa caratteristica prende il nome di caratteristica dinamica del lamierino (o del materiale ferromagnetico) essa è completamente diversa dal ciclo di isteresi, perché la caratteristica dinamica tende a rappresentare gli stati magnetici seguiti dal materiale ferromagnetico quando si applica un flusso sinusoidale ad una frequenza di 50 Hz. Quindi quel ciclo tiene conto, in condizioni di funzionamento a regime, sia dei fenomeni isteretici (fenomeni di natura magnetostatica) sia degli altri fenomeni dinamici (correnti parassite). Infatti i materiali ferromagnetici sono anche ottimi conduttori, conseguentemente le linee geometriche all'interno del materiale sono considerate come delle vere e proprie linee di circuito elettrico, se sottoponiamo queste linee ad un flusso variabile nel tempo su di esse vengono indotte delle tensioni, quindi si ha la circolazione di corrente e quindi si hanno delle perdite. Il ciclo di isteresi dinamico descrive nella sua area tutte le perdite presenti nel sistema magnetico, sia che siano di natura dinamica (correnti parassite) sia che siano di natura statica (ciclo di isteresi). La caratteristica magnetica dinamica, per una certa frequenza e per un certo valore di B, mi consente di descrivere completamente il comportamento del sistema. Cosa succede quando variano la frequenza e l'induzione? 32 Ipotizziamo di variare la f lasciando Bmax costante: p fe ≅ K1 ⋅ f ⋅ Bm2 + K 2 ⋅ f 2 ⋅ Bm2 [W / kg ] Se aumento f aumentano la perdite per correnti parassite mentre le perdite per isteresi non cambiano perché una perdita magnetostatica (perdita statica). La perdita per correnti parassite dipende dalla f e dato che la tensione indotta è direttamente proporzionale alla f, un incremento di f determina un aumento della tensione indotta e conseguentemente un aumento della corrente e quindi delle perdite. Perciò il ciclo di isteresi dinamico tende ad ingrossarsi e a dimagrire rispettivamente all'aumentare e al diminuire della frequenza. Se aumento il valore di B, il vertice del ciclo di isteresi si sposta lungo un determinato luogo di punti che prende il nome di caratteristica magnetica del materiale (luogo dei punti vertici dei cicli d'isteresi dinamici). La caratteristica magnetica generalmente assume una forma analoga alla seguente (è una caratteristica non lineare): Ed è molto vicina ad un'altra caratteristica dei cicli d'isteresi cioè la linea media, che suddivide il ciclo d'isteresi dinamico in due parti perfettamente uguali. Queste due caratteristiche vengono molto spesso confuse. Ricordiamo che sto ancor ragionando in termini di B e H perché stiamo parlando di materiali ferromagnetici. Nel momento in cui voglio passare dalle caratteristiche magnetiche del lamierino alle caratteristiche magnetiche del trasformatore devo introdurre le dimensioni fisiche del trasformatore. Quindi non ragionerò più in termini di B e H (che mi definiscono lo stato del materiale) ma ragionerò in termini di e Ф di iµ che mi definiscono lo stato magnetico del trasformatore. Infatti la grandezza che mi interessa da un punto di vista magnetico è Ф, mentre da un punto di vista magnetomotrice è la iµ. Ho immediatamente un'idea della corrente che mi serve per magnetizzare la macchina. Quindi per passare dalle caratteristiche magnetiche del materiale alle caratteristiche magnetiche del trasformatore devo introdurre le caratteristiche geometriche. Perciò dalle seguenti equazioni determinerò il legame tra il flusso Ф e l’induzione magnetica B e tra la corrente magnetizzante iµ e l’intensità di campo H e conseguentemente determino la caratteristica magnetica del trasformatore: 33 Nel caso della caratteristiche magnetica del trasformatore, piuttosto che far riferimento al luogo dei punti vertice dei cicli d'isteresi dinamici (il cui comportamento non lineare in prossimità di valori di induzione piuttosto bassa e vista la sua utilizzazione nelle diverse applicazioni), si preferisce utilizzare una caratteristica leggermente linearizzata. Perché si passa a una caratteristica magnetica del trasformatore che per piccoli valori di B è lineare? Abbiamo detto che per passare da una caratteristica del nucleo ferromagnetico ad una caratteristica del trasformatore bisogna passare attraverso la sua costruzione geometrica sezione e lunghezza. Poiché non riusciamo a realizzare un nucleo ferromagnetico che è esclusivamente fatto in tutto il suo percorso solo di ferro, l’aria che costituisce il traferro ideale si sentirà maggiormente per piccoli valori di B (e perciò di Ф), quindi il traferro svolge un'azione di linearizzazione per piccoli valori di B. Ricordo che la caratteristica magnetica del trasformatore descrive il comportamento magnetico del trasformatore stesso. In certi casi l'azione di linearizzazione è più forte, nel senso che in certi tipi di trasformatore utilizzati in determinate applicazioni elettroniche (dove si desidera che il comportamento del trasformatore sia praticamente lineare) le entità dei traferri che vengono introdotti sono tali da avere una caratteristica praticamente lineare. La caratteristica magnetica del trasformatore dipenderà dalle specifiche costruttive, cioè: 34 dalla tipologia dei lamierini; dalle lunghezze dei gioghi e delle colonne; dall'entità del traferro che è stato volutamente inserito nel trasformatore. Perché utilizziamo la caratteristica magnetica e non i cicli d'isteresi dinamici? Perché in un sistema magnetico ciò che ci interessa principalmente è la quantità di corrente che dobbiamo fornire per magnetizzare il sistema. Infatti nel caso di una bobina, calcoliamo la potenza reattiva per valutare l'entità della corrente necessaria per magnetizzare la bobina stessa. Visto che i cicli d'isteresi polidromici sono delle caratteristiche la cui area mi rappresenta la quantità di energia elettrica convertita in energia termica e questa energia non viene utilizzata per magnetizzare il nucleo, per valutare gli effetti della magnetizzazione facciamo collassare il ciclo d'isteresi dinamico verso la linea media, otterrei un ciclo a perdite nulle che mi rappresenta soltanto la magnetizzazione e la smagnetizzazione. Di conseguenza anziché concentrarmi sull'analizzare contemporaneamente sia il problema relativo alle perdite, sia quello relativo alla magnetizzazione, posso valutare separatamente tramite la caratteristica magnetica gli effetti di magnetizzazione della macchina e dato che le perdite sono una conversione lineare di energia elettrica in energia termica, per questo sistema posso usare un componente lineare cioè una resistenza che mi tiene conto delle altre perdite. Nel caso della magnetizzazione devo invece evidenziare un comportamento non lineare (anche se faccio tendere a zero le perdite). Quindi il Ф è legato alla iµ in maniera non lineare. Le operazioni che abbiamo eseguito, per trasformare le equazioni riferite ai valori istantanei che caratterizzano il trasformatore nella notazione simbolica (valide soltanto in regime lineare) non sono più valide. Per vedere se è possibile adottare ancora un modello lineare, ed entro quali margini, bisogna analizzare il trasformatore reale partendo dalle equazioni di equilibrio riferite ai valori istantanei. Da un'analisi delle caratteristiche magnetiche sembrerebbe impossibile poter utilizzare un modello lineare perché l'induttanza (che mi rappresenta la magnetizzazione del trasformatore) posta sotto tensione e1, ha un comportamento non lineare, proprio perché tra flusso e corrente c'è un legame non lineare. Se non è corretto inserire questo componente (lineare) nel circuito equivalente vuol dire che è sbagliata tutta la rappresentazione del circuito. Però, siccome questa rappresentazione è molto comoda, dobbiamo trovare un modo per poter ricondurci ad essa. L'analisi dovrà basarsi sul funzionamento del trasformatore, tenendo conto del comportamento non lineare. Sappiamo che il materiale è caratterizzato da un ciclo d'isteresi dinamico e che, nota la forma costruttiva del trasformatore, è possibile conoscere il ciclo d'isteresi dinamico del trasformatore. Sappiamo anche che se utilizziamo materiali ferromagnetici, le cadute di tensione sulla R e sull'induttanza di dispersione Ld, risultano per lo più trascurabili, tant'è che si può considerare in prima approssimazione il valore della tensione V1max = V indotta max e quindi si può legare direttamente il valore di Bmax alla Vmax applicata al sistema. Quindi il valore di Bmax, una volta definita la tensione, il numero di spire dell'avvolgimento e la sezione della colonna, è automaticamente conosciuto, e il ciclo è completamente definito. Partendo dall'equazione di equilibrio elettrico dell’avvolgimento primario ottenuta nel funzionamento a vuoto, vediamo che il Ф non ha più un legame lineare con la corrente. di dφ (i ) v1 = R1i10 + l d 1 10 + N1 ⋅ c 10 dt dt v1 = 2V1 sin ωt N1i10 = ∫ H o dl = φc ∫ dl ⇒ φc = f (i10 ) Sµ (i10 ) 35 Ci interessa studiare quando la tensione di alimentazione è sinusoidale. La legge di circuitazione magnetica mette in evidenza il fatto che a causa della non linearità del circuito magnetico la permeabilità magnetica del materiale tende a variare istante per istante, avremo quindi che a seconda del punto di funzionamento la permeabilità, che non è altro che la pendenza di questa caratteristica, varia punto per punto, quindi la riluttanza è funzione della corrente che circola nella macchina. Per risolvere il problema in maniera analitica, dobbiamo utilizzare delle ipotesi semplificative: - cercare di trascurare gli elementi dissipativi (ipotesi poi non così "forte") perché nei trasformatori reali le R e le Ld1 vengono realizzate in modo tale da essere molto piccole. Quindi, approssimando a zero questi due termini, possiamo dire che: dφ v1 ≅ N1 ⋅ c dt v1 = 2V1 sin ωt φc = − 2V1 cos ωt ωN1 Visto che la tensione è sinusoidale, il Ф è automaticamente determinato ed è di tipo cosinusoidale, questo per la legge di Lenz. Visto che il Ф è sinusoidale se noi conoscessimo il legame funzionale in forma chiusa che lo lega alla corrente, potremmo risolvere la rappresentazione circuitale, ma questa forma non esiste. Quindi si procede per via grafica che si basa sulla decomposizione del ciclo di isteresi dinamico. Trasformo completamente il ciclo di isteresi dinamico e lo decompongo in due cicli: 1) Uno è la linea media ed è il ciclo di isteresi dinamico che collassa su se stesso annullando le perdite. 2) L'altro è il ciclo di isteresi dinamico riferito alla linea media. Fisicamente vuol dire considerare un nucleo ferromagnetico con perdite diverse da zero che ha una permeabilità magnetica infinita, ciò significa che rispetto alla linea media definisco il ciclo di isteresi, raddrizzando la linea media (la trasformo da non lineare a lineare) e poi le do una permeabilità infinita, in pratica la ruoto fino a quando la linea media rettificata si congiunge con l'asse delle y. 36 Quindi un ciclo analizza solo la magnetizzazione (perdite nulle) e calcolo la corrente magnetizzante, l'altro analizza le perdite come se la magnetizzazione fosse nulla, con questo calcolo la corrente attiva che è responsabile delle perdite nel ferro. Mi aspetto che la componente attiva sia in fase con la tensione, perché è come se avessimo solo perdite per correnti parassite (visto che l'induttanza è nulla in questo caso). I processi elettrici che convertono l'energia elettrica in energia termica sono assimilabili a delle resistenze: hanno quindi un comportamento lineare. La somma delle due correnti mi da l'effettiva corrente che circola nel trasformatore a vuoto. Per via grafica posso ricavare la ia (che è sinusoidale perché in fase con la tensione) e la iµ. Infatti in precedenza, tenendo conto delle ipotesi semplificative, ho ottenuto il legame tra tensione di alimentazione (di tipo sinusoidale) e flusso concatenato. Per ciascun valore del Ф(t), mediante la caratteristica linea media, valuto la iµ, che non è sinusoidale perché risente del comportamento non lineare della nostra caratteristica: 37 Ripetendo lo stesso procedimento, questa volta relativo al ciclo d'isteresi dinamico riferito alla linea media, ricavo l’andamento della corrente ia: Osservando il processo combinato (linea media + ciclo d'isteresi dinamico riferito alla linea media) tracciato l'andamento della iµ e della ia, e possibile ricavare mediante operazione di somma la i10. Dal grafico si nota che la iµ dipende da Bmax quindi da Фmax, se aumento Фmax, avrò una iµ deformata che presenterà dei picchi di maggior entità. Quindi a seconda del Bmax che impongo, avrò diversi valori di iµ. Il Фmax inoltre dipende dalla V1 e dalla sezione, al variare di una o dell'altra, varia il Фmax. A piccole variazioni di Фmax corrispondono grandi variazioni e deformazioni di iµ. E' un aspetto che deve essere curato con attenzione. La iµ ha comunque una simmetria pari - dispari, ed è periodica, quindi può essere sviluppata in serie di Fourier di soli termini dispari: ∞ iµ = 2 ∑ I µ (1+ 2 h ) cos(1 + 2h)ωt h =0 [ ] 38 La ia è sinusoidale ia = 2 I a sin ωt , quindi la i10 che circola a vuoto sarà data dalla loro somma: ∞ i10 = 2 ∑ I µ (1+ 2 h ) cos(1 + 2h)ωt + 2 I a sin ωt h =0 [ ] Abbiamo una serie di correnti a frequenze differenti dalla fondamentale. A seconda di come applichiamo la V sinusoidale, le componenti armoniche di ordine dispari (3^,5^ ecc..) possono essere molto alte e quindi non possono essere trascurate. Di conseguenza dall’analisi del trasformatore nel funzionamento a vuoto, si deduce che a causa della non linearità della corrente i10, il circuito equivalente del trasformatore lineare non è idoneo a descrivere il funzionamento del trasformatore reale non linearizzato. Vediamo se questa deformazione è così evidente anche sotto carico. Analizziamo le due equazioni di equilibrio elettrico al primario e al secondario, alimentiamo con V sinusoidale, facciamo le opportune operazioni di riporto al primario e si avrà: 39 40 La componente magnetizzante risulta essere si deformata ma ha dei valori di cresta ben definiti, limitati. La corrente attiva, è una componente che varia in funzione del carico ed è di tipo sinusoidale (l'ampiezza della sinusoide varia al variare del carico), maggiore è il carico che io erogo, maggiore sarà il valore della corrente che erogo dal primario al secondario e maggiore sarà la sua caratterizzazione di tipo sinusoidale. (Il secondo addendo di queste due equazioni è un elemento deformato, il 1^ è quello sinusoidale). In termini di spettro avrò una situazione così: Rappresento con delle linee le varie componenti sinusoidali, ho la 1^ la 2^ la 3^ armonica e cosi' via.. la prima è i1µ, la seconda è i2µ,ecc.. In quest'altra rappresentazione ho una fondamentale che è sinusoidale alla f=50Hz, ed è la componente legata al fatto che io sto erogando potenza. i1µ aumenta se aumento il carico, alla fine la componente fondamentale aumenta così tanto che diventa prevalente rispetto alle componenti distorcenti prodotte dalla corrente magnetizzante. A mano a mano che passo da una situazione di funzionamento a vuoto (in 41 cui è presente solo l'effetto deformante dato dalle caratteristica magnetica non lineare), ad una situazione di funzionamento a carico, l'effetto distorcente diminuisce sempre più perché aumenta il "peso" della corrente sinusoidale rispetto alle altre componenti. Questo termine tende a crescere e, a mano a mano che aumenta, fa si che gli effetti deformanti possano essere trascurati. Quindi sto tornando ad una situazione di idealità. Applicando una alimentazione sinusoidale sto ottenendo una corrente sinusoidale, se vale questo allora posso dire che la rappresentazione circuitale lineare può essere utilizzata anche se il modello non è lineare perché le componenti magnetizzanti di ordine superiore sono trascurabili rispetto alle componenti fondamentali sinusoidali che vengono introdotte dal carico. Quindi da un punto di vista magnetico il trasformatore è un sistema non lineare, però ha questo vantaggio, e cioè che applicandogli una tensione sinusoidale produca una corrente sinusoidale che aumenta all'aumentare della potenza richiesta dal carico. Incominciamo a vedere l'effetto distorcente della corrente solo quando riduciamo il carico. In conclusione anche se da un punto di vista fisico il sistema è non lineare, non commettiamo grossi errori se consideriamo lineare il funzionamento sotto carico. La rappresentazione lineare del circuito non è però valida in condizioni di funzionamento a vuoto. Però, poiché non m'interessa fare un'analisi dell'evoluzione della corrente effettiva circolante nel sistema (tanto gli strumenti di misura valutano i valori efficaci delle grandezza P attiva e Q reattiva), considero una corrente sinusoidale a vuoto che ha un valore efficace uguale al valore efficace della corrente deformata che circola a vuoto nel trasformatore. In questo modo posso continuare ad utilizzare il modello circuitale lineare e semplice, facendo le seguenti ipotesi semplificative: Nel funzionamento sotto carico il comportamento è lineare. Nel funzionamento a vuoto la corrente ha un'evoluzione sinusoidale e il valore efficace sia uguale al valore efficace della corrente deformata. L'unico errore (trascurabile) che si commette nel rappresentare il trasformatore in questo modo è nella valutazione della ripartizione delle potenze reattive che vengono assorbite parte dall'induttanza di dispersione e parte dalla reattanza di magnetizzazione (sono comunque errori ingegneristicamente accettabili perché sono sotto il 5%). Concludendo: il sistema fisico è non lineare però in condizioni di carico può essere considerato lineare e in condizione di funzionamento a vuoto può essere assimilato ad una struttura lineare equivalente. Funzionamento fisico del trasformatore Fin qui non abbiamo ancora approfondito quelli che sono i meccanismi attraverso i quali avviene il trasferimento di energia dal primario al secondario. Quindi concentriamoci sul modo in cui si sviluppa il funzionamento del trasformatore reale, cioè su quelle che sono le caratteristiche di funzionamento fisico del trasformatore. Partiamo dalla struttura semplificata, ipotizziamo di considerare un nucleo ferromagnetico, un avvolgimento primario con N 1 spire e un avvolgimento secondario con N 2 spire e ipotizziamo di rappresentare mediante il circuito equivalente il nostro trasformatore: 42 Andiamo ad analizzare cosa accade nel trasformatore nel funzionamento sotto carico da un punto di vista fisico. Quindi partiamo dall’analisi del funzionamento a vuoto e poi ci mettiamo un carico, ovviamente trascurando quelli che sono gli effetti transitori. Ipotizziamo di applicare sull'avvolgimento primario una tensione V1 che risulta essere di tipo sinusoidale: V 1 = 2 ⋅ V 1 sin ωt Ipotizziamo che la rete che allacciamo all'avvolgimento primario sia una rete di potenza prevalente, cioè qualunque sia il comportamento sull'avvolgimento secondario, la tensione primaria rimane caratterizzata dallo stesso valore efficace e dalla stessa pulsazione, quindi la frequenza e l'ampiezza della tensione primaria sono invarianti al variare delle condizioni di carico (condizione ideale, ma ci serve per porre almeno un riferimento). Quando alimentiamo l'avvolgimento primario sappiamo che è valida l'equazione di equilibrio elettrico dell'avvolgimento primario, circolerà la corrente a vuoto I 10 , sappiamo che grazie alla elevata permeabilità del nostro nucleo ferro magnetico e alla compenetrazione degli avvolgimenti primari e secondari la resistenza e la reattanza di dispersione sono molto piccoli. Quindi la I 10 è piccola, perché vogliamo farla piccola da un punto di vista energetico. Le induttanze di dispersione sono piccole quindi le cadute di tensione sull'impedenza di dispersione sono trascurabili rispetto alla tensione applicata. Quindi potremo sicuramente affermare che V 1 risulta essere esattamente uguale in prima approssimazione a: V 1 ≅ − E10 Sapendo che la tensione E10 risulta essere legata al flusso mediante la seguente relazione: − E10 = jωN 1 ⋅ φm 0 se la tensione è sinusoidale, il flusso a vuoto φm 0 è sinusoidale e risulta essere tale da produrre una tensione indotta E10 che risulta essere uguale ed opposta alla tensione di alimentazione. Da un punto di vista vettoriale: 43 Da un punto di vista temporale se noi avessimo la possibilità di fotografare in un certo istante la tensione V 1(t ) , questa risulta essere sinusoidale e il nostro flusso φm 0(t ) presenta un andamento che risulta essere in ritardo di 90°: Ovviamente sull'avvolgimento secondario verrà indotta una tensione E 20 che risulta essere uguale a: − E 20 = jωN 2 ⋅ φm 0 Quindi avremo che il rapporto tra le due tensioni indotte risulta essere pari al rapporto spire: − E 20 jωN 2 ⋅ φm 0 E 20 N 2 = → = − E10 jωN 1 ⋅ φm 0 E10 N 1 Perciò la tensione indotta al secondario E 20 risulta essere pari a: E 20 = N2 ⋅ E10 N1 Teniamo conto che la convenzione che stiamo adottando e quella che i flussi dovranno essere concordi, quindi se i segni dei pallini sono quelli rappresentati in figura, i versi delle tensioni indotte sono le seguenti: 44 Abbiamo quindi la condizione di funzionamento a vuoto. Vediamo ora cosa succede se vado ad applicare un carico all'avvolgimento secondario, ragioniamo da un punto di vista fisico piuttosto che matematico. Quando chiudiamo il tasto sul nostro sistema risulta essere applicata una tensione che risulta essere per la punto la tensione V 2 . La tensione V 2 fa circolare una corrente che tende ad opporsi alla causa che l'ha generata, ma la causa che ha generato la tensione e quindi la corrente è il flusso φm . Quindi la tensione indotta E 2 tende a far circolare un flusso che tenderà per sua natura ad opporsi al flusso φm 0 . Quindi avrà per definizione un'azione antagonista per ridurre la causa che l'ha generata. Quindi c'è la riduzione del flusso φm complessivo, ma questa riduzione del flusso determina una riduzione della tensione indotta, ma se abbiamo una riduzione della tensione indotta abbiamo anche, perché le equazioni di equilibrio siano soddisfatte, un incremento di corrente che mi deve rispettare le equazioni di equilibrio elettrico. Quindi ha una riduzione del flusso corrisponde una riduzione di tensione che richiama una circolazione di corrente. A regime quindi, avremo che ci sarà un flusso φm1 prodotto dalla circolazione della corrente I 1 , un flusso φm 2 prodotto dalla circolazione della corrente I 2 e la combinazione di questi due flussi mi darà un flusso risultante che produrrà una tensione complessivamente indotta che consentirà il flusso di potenza dall'avvolgimento primario all'avvolgimento secondario. In altre parole abbiamo che poter garantire il flusso di potenza al carico Z&u non dobbiamo ragionare soltanto in termini di ampiezza di tensione indotta ma anche di fase di tensione indotta. Quindi la combinazione dei due flussi viene valutata nel tempo, perché la combinazione dei due flussi farà in modo che la tensione complessivamente indotta assuma un modulo e una fase tale da far circolare quella corrente che mi garantisce lo scambio di potenza da primario al secondario. E’ una sorta di principio di azione e reazione, io ho il sistema perfettamente equilibrato a vuoto, ho la tensione E10 e l'unico flusso φm 0 . Applico la condizione di carico senza sapere il suo valore, può essere ohmico induttivo, ohmico capacitivo solo ohmico (non lo so), però sono sicuro che la corrente che circola, rispettosa della legge di Faraday Lenz, deve opporsi alla causa che lo ha generato, quindi deve esercitare un'azione di smagnetizzazione della macchina. Quindi la corrente tende sicuramente a ridurre l'ampiezza della tensione indotta. Questa riduzione della tensione indotta, perché l’equazione di equilibrio elettrico: V 1 = Z&d 1 ⋅ I 1 − E1 sia verificata, poiché la tensione di alimentazione V 1 è costante (perché siamo in una rete di potenza prevalente) la I 1 deve aumentare in modo tale che la caduta di tensione mi contro bilanci la tensione indotta. A questo punto la corrente I 1 mi produce una variazione di flusso (una contro reazione, alla smagnetizzazione corrisponde una magnetizzazione del primario). Quindi avremo due flussi, un flusso di reazione dell'avvolgimento secondario e un flusso di rimagnetizzazione dell'avvolgimento primario. Questi due flussi si comporranno alla fine per formare un unico 45 flusso di mutua φm , che farà in modo che la tensione indotta assuma un modulo e una fase tale per cui la corrente I 2 circoli in modo tale da garantire quel flusso di potenza complessa dal primario al secondario. Teniamo conto che siamo in regime sinusoidale permanente, e che quindi, non si deve soltanto ragionare in termine di potenza attiva ma anche i termini di potenza reattiva che viene erogata. Quindi la corrente I 2 e la corrente I 1 , deve appunto garantire al carico quella potenza attiva e quella potenza reattiva. Quindi l'azione di combinazione dei due flussi è fondamentale, è un'azione di combinazione in modulo e fase che mi consente alla fine di arrivare ad una condizione di tensione complessivamente indotta sulla faccia che mi garantisce quel trasferimento di potenza complessa dal primario al secondario. Capite bene che il comportamento dell'avvolgimento primario e dell'avvolgimento secondario è strettamente interconnesso dall'accoppiamento dei flussi di mutua, quindi i flussi di mutua giocano per l’appunto un ruolo fondamentale. E siccome siamo in regime sinusoidale permanente, non giocano un ruolo soltanto nelle ampiezze dei due flussi secondario e primario ma anche dei loro sfasamenti. Quindi lo sfasamento fra i due flussi mi determina un flusso risultante e quindi una tensione indotta risultante che consente una circolazione della corrente I 1 con il modulo e la fase giusta per poter erogare il flusso di potenza. Capite che se io vario il carico automaticamente riconfiguro la struttura, perché variando il carico vario la corrente I 2 , conseguentemente vario il flusso φ 2 m , varia quindi il flusso risultante, la fase e il modulo della tensione indotta e quindi varia la potenza che viene richiamata dal primario. Questo è il comportamento fisico del trasformatore, è un comportamento banale però per l’appunto estremamente efficace e non solo, grazie al fatto che il sistema risulta essere quasi perfettamente accoppiato, estremamente efficiente. Quindi si può avere un trasferimento di potenza attiva e reattiva dal primario al secondario in modo estremamente efficiente. La corrente magnetizzante non rimane sempre la stessa perché questa risulta essere funzione della tensione indotta e la tensione indotta risulta essere variabile al variare della corrente I 1 . Questa è un'analisi fisica del sistema poi è un’altra cosa l'analisi tecnologica. Sappiamo che nella realtà noi quando andiamo a studiare il nostro trasformatore, riteniamo che la caduta di tensione sull'impedenza di dispersione primaria sia trascurabile, quindi riportiamo il ramo magnetizzante a monte e diciamo che la corrente magnetizzante è costante, ma non è assolutamente così. Se non ci fosse per la punto l’impedenza di dispersione, il trasformatore non potrebbe funzionare come nella realtà funziona. Quindi questo è il funzionamento fisico del sistema, poi le semplificazioni che noi introduciamo per risolvere più velocemente e per arrivare a dei risultati che sono molto vicini a quelli reali e un'altra cosa. Tanto che quando si parla del passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento a carico si parla appunto di deflussaggio o iperflussaggio a seconda che il carico risulti essere induttivo o capacitivo. Dimensionamento delle grandezze caratteristiche del trasformatore Adesso sulla base della compressione fisica del fenomeno dovremo fare un minimo di valutazione relativamente al dimensionamento e vedere quali sono le grandezze che mi caratterizzano il trasformatore. Quando abbiamo incominciato a studiare il trasformatore o meglio le macchine elettriche abbiamo detto che uno degli aspetti fondamentali della macchina elettrica era l'aspetto termico. Le macchine elettriche quando si riscaldano determinano una sovra temperatura rispetto all'ambiente esterno, la sovra temperatura non deve superare un certo limite perché altrimenti gli isolamenti nel tempo si degradano. Abbiamo visto che la sovra temperatura è strettamente legata alla potenza che viene erogata dal trasformatore, quindi sicuramente un elemento fondamentale nella definizione 46 della macchina elettrica è la potenza. A questo punto ci poniamo il problema di quale potenza bisogna considerare, la potenza attiva o la potenza reattiva? Qui abbiamo una macchina elettrica statica in cui le perdite risultano essere direttamente collegate alle correnti che circolano nella macchina, per tanto, più che alla potenza attiva che è erogata, è importante conoscere la potenza apparente, perché alla potenza apparente è direttamente collegata al valore della corrente. Quindi conoscendo la corrente che può circolare continuativamente nel trasformatore, conosciamo quale è la temperatura che può raggiungere e quindi che può sopportare in regime continuativo. Quindi il parametro che sicuramente mi definisce il trasformatore da un punto di vista delle potenze risulta essere la potenza apparente del trasformatore, che viene indicata per la punto nel dato di targa del trasformatore. Ora però per il dimensionamento questo dato non risulta essere ancora sufficiente perché la potenza apparente sapete che è data dal prodotto della tensione nominale per la corrente nominale: An = Vn ⋅ In , bisogna definire uno di questi due parametri per poter ricavare l'altro. Noi abbiamo sempre parlato in termini di corrente per poter valutare le perdite all'interno del trasformatore, quindi si capisce immediatamente che bisogna fissare uno di questi termini per poter ricavare l'altro. Nelle macchine elettriche generalmente il parametro che viene indicato sempre è la tensione nominale, questo perché essendo la tensione nominale direttamente collegata alla tensione indotta ed essendo questa direttamente legata ai flussi, in regime sinusoidale permanente, ci definisce il punto di lavoro del ferro in maniera univoca. Quindi la definizione della tensione nominale è fondamentale per poter definire quello che risultano essere le condizioni a cui deve essere fatto lavorare, in termini di flusso, il mio trasformatore. Quindi un parametro dimensionale di fondamentale importanza, che generalmente viene sempre indicato nel trasformatore, oltre alla potenza, è la tensione nominale. Siccome siamo in regime sinusoidale permanente, un altro parametro che ci interessa oltre il valore della tensione in valore efficace e la frequenza industriale, che generalmente risulta essere di 50 Hz. Noti questi tre parametri, è possibile in forma approssimata arrivare alla definizione della dimensione del trasformatore. Ovviamente il tutto è strettamente legato ai materiali che vengono utilizzati, ai sistemi di raffreddamento, ma i parametri precedenti sono quelli fondamentali. In particolare la potenza nominale è un parametro di riferimento che viene utilizzato come riferimento dei parametri magnetici ed elettrici del sistema. Si vede infatti che se noi consideriamo il rapporto fra la tensione nominale e la corrente nominale, in valore efficace, otteniamo dimensionalmente un'impedenza, o meglio il modulo di un impedenza. Questa impedenza è definita impedenza base del nostro Vn Vn 2 = trasformatore ed è direttamente legata soltanto alla tensione e alla potenza: Zb = . In An Per l’impedenza base, praticamente, non c'è bisogno di definirla in fase, perché la fase mi indica semplicemente la ripartizione tra potenza attiva e reattiva (non ci interessa). A noi da un punto di vista delle perdite, all'interno del trasformatore, ci interessa il valore della corrente che circola nel trasformatore e a parità di potenza nominale qualunque sia la fase, la corrente è sempre la stessa e quindi il modulo dell'impedenza base sarà sempre lo stesso. Quindi l'impedenza base risulta essere il modulo dell'impedenza che fa si che all'interno del nostro trasformatore circoli la corrente nominale, quindi ci si trovi in condizione di potenza apparente erogata di tipo nominale. Quindi è una quantità che può essere tranquillamente utilizzata come riferimento, per la definizione dei parametri del trasformatore. Noi quando abbiamo parlato di impedenza di dispersione e impedenza di magnetizzazione, abbiamo sempre detto che l'impedenza di dispersione va fatta piccola mentre l'impedenza di magnetizzazione va fatta grande. Ma rispetto a che cosa? L'impedenza piccola e grande va fatta rispetto a quelle che sono le caratteristiche 47 dimensionali della macchina, quindi rispetto all'impedenza che mi definisce la potenza della macchina e in funzione delle condizioni operative nominali, perciò rispetto all'impedenza base. Quindi il nostro trasformatore andrà dimensionato in termini di impedenza di dispersione e di magnetizzazione in modo tale che l'impedenza sia rispettivamente piccola rispetto all'impedenza base e grande rispetto all'impedenza base. L'impedenza di dispersione risultano essere del 2% rispetto all'impedenza base e le impedenza di magnetizzazione sono dell'ordine di 100-400 volte l'impedenza base, questo per la punto per ottimizzare il comportamento energetico della macchina. Quindi vedete come l'aspetto termico e tecnologico mi impone le caratteristiche di potenza nominale della macchina e queste mi definiscono un riferimento rispetto al quale dimensionare gli altri parametri del mio sistema elettromagnetico. Quindi abbiamo detto che il trasformatore viene definito inizialmente per la potenza nominale. Abbiamo detto che la definizione della potenza nominale e della tensione nominale del trasformatore ci consente automaticamente di definire una impedenza di riferimento che l'impedenza che applicata sul avvolgimento secondario mi consente il flusso di potenza, pari alla potenza nominale. Questa impedenza è presa come riferimento nella definizione dei parametri circuitali del trasformatore. Ma quale impedenza dobbiamo scegliere? Perché sappiamo che del trasformatore sono presenti due avvolgimenti, un avvolgimento primario e un avvolgimento secondario. Quindi sicuramente esisterà un'impedenza base per l'avvolgimento primario e una impedenza base per l'avvolgimento secondario. Indicando con Zb1 l'impedenza base dell'avvolgimento primario, questa risulta essere pari a: Zb1 = Vn1 V 1 = In1 In1 Zb1 = V 1 V 1 V 12 ⋅ = V 1 In1 An Il problema nasce nella definizione della impedenza base secondaria Zb 2 , perché se andiamo ad analizzare il circuito equivalente del trasformatore, abbiamo che i valori di tensione presenti sull'avvolgimento secondario non risultano essere più indipendenti dalle condizioni di carico. infatti a seconda di quello che è il carico sul secondario, quindi della ' ' corrente I 2 il modulo e fase assorbita, abbiamo che la tensione V 2 può risultare essere differente. Quindi non si può più ragionare in questa maniera. Ci poniamo il problema di definire in maniera univoca una tensione di riferimento secondaria come quella che abbiamo definito per il primario. Allora per definire una tensione di riferimento secondaria si osserva quale condizione del nostro trasformatore è più vicina alle condizioni di idealità. Quale è la condizione più vicina alle condizioni di idealità? E’ la condizione di funzionamento a vuoto, in cui la tensione V 20 risulta essere praticamente invariante, cioè noi possiamo modificare qualsiasi cosa ad esempio: la temperatura ambiente, il rumore, l'ambiente in cui la mettiamo, però se noi applichiamo una V 1 , il valore della tensione a vuoto deve rimanere sempre la stessa. Quindi definiamo per l’appunto V 20 come la tensione nominale presente al secondario e rispetto a questa riferiamo anche il valore della corrente nominale del secondario. Quindi avremmo che la Zb 2 risulta essere V 20 V 20 V 20 V 20 2 esattamente uguale a: Zb 2 = Zb 2 = ⋅ = In 2 V 20 In 2 An oltre tutto la V 20 è direttamente determinabile una volta noto il rapporto di trasformazione, perché sappiamo che il valore della V 1 è pari a: V 1 = − K ⋅ V 20 Quindi andando a sostituire nella relazione precedente, si vede che la Zb 2 risulta essere esattamente uguale a: 48 Zb 2 = Zb1 K2 Questo mi ricorda il riporto delle grandezze dall'avvolgimento primario all'avvolgimento secondario. Quindi le due impedenza di base risultano essere legate dal rapporto di trasformazione al quadrato K 2 . Quindi se noi prendiamo la tensione secondaria e l'impedenza base secondaria e la riportiamo al primario, otteniamo esattamente la Zb1 . Quindi dal punto di vista delle operazioni di riporto, Zb1 e Zb 2 sono esattamente la stessa cosa. La corrente nominale secondaria è definita, una volta definita la tensione secondaria di riferimento, e quindi tale parametro è ricavato mediante rapporto tra: An I 2n = V 20 Si vede immediatamente che se noi eseguiamo le operazioni di riporto delle grandezze dal secondario al primario e le moltiplichiamo per l'impedenza base, otteniamo delle qualità relative esattamente identiche. Quindi le espressioni delle impedenze base, così definite, ci consentono di affermare che le impedenze relative. definite come rapporto tra le impedenze effettive diviso le impedenze base, risultano essere invarianti rispetto al sistema di riferimento prescelto. Il vantaggio di utilizzare le grandezze base è quello di ottenere una rappresentazione circuitale simbolica, poiché non abbiamo più resistenze e induttanze, che risulta essere identica qualunque sistema di riferimento noi scegliamo, o il primario o secondaria. Questo è un grosso vantaggio perché non mi devo più preoccupare di definire il sistema di riferimento a cui mi dispongo, scelgo un'unica rappresentazione e su questa faccio i conti e poi successivamente decido a quale sistema di riferimento riferire le grandezze. Secondo, ho un andamento dell’impedenza, successivamente delle correnti e delle tensioni, che sono riferite alle grandezze nominali. Quindi le grandezze che io calcolo sono tutte riferite ai rispettivi valori nominali, quindi io conosco qual è il valore della corrente in percentuale rispetto alla corrente nominale. Se dico di un trasformatore, circola una corrente di 300 A su una potenza di 2000 KVA, oppure dico che circola una corrente che il 5% della corrente nominale, ho delle informazioni che sono totalmente diverse. In un caso devo andare a calcolare quei 300 A cosa voglio dire per quella potenza nominale mentre nell'altro caso ho direttamente il peso della corrente rispetto alla corrente nominale. Quindi ho delle informazioni nella rappresentazione simbolica che sono univoche e sono direttamente legate al funzionamento della macchina, sia in termini di tensione, che di corrente, che di potenza attiva e reattiva. Quindi la rappresentazione riferita all’impedenza base o riferita alle grandezze nominali della macchina è estremamente interessante per l'analisi esaustiva del trasformatore. Ipotizziamo di considerare il circuito equivalente della macchina, noi fino al adesso abbiamo visto il circuito in termini di grandezze fisiche nel seguente modo: 49 Noi vogliamo riportare queste grandezze alla forma in P.U, cioè in forma relativa, e per fare questa operazione è necessario dividerle per le grandezze di riferimento corrispondenti. Per quanto riguarda le tensioni e le correnti bisogna dividerle per la tensione nominale primaria e la corrente nominale primaria, perché il circuito è riferito all'avvolgimento primario. I parametri di impedenza vanno divisi per l’impedenza di base primaria. A questo punto ho ottenuto un circuito equivalente che non ha più significato fisico, perché ho diviso un'impedenza per un'altra impedenza e quindi abbiamo una quantità adimensionale. Abbiamo una rappresentazione simbolica, quindi abbiamo un circuito simbolico che è rappresentato mediante grandezze in P.U. Quindi sarà schematizzato mediante degli operatori numerici che mi consentono di associare alle grandezze, dei numeri in P.U, che noi trasformeremo in grandezze fisiche mediante il prodotto con la rispettiva corrente nominale, tensione nominale e impedenza di base nominale. Questa rappresentazione è unica sia al secondario che al primario. Molto spesso più che il valore in P.U, viene usato il valore in percentuale, cioè la quantità in P.U viene moltiplicata per 100 e quindi viene riportata in forma percentuale. Generalmente questo valore è quello che viene riportato nei dati di targa, quindi le grandezze che vengono utilizzate come dati di targa del trasformatore sono tutte le grandezze che fanno riferimento a questa 50 notazione, che adesso andiamo a vedere. Fino adesso avevo definito del trasformatore i seguenti dati di targa: potenza nominale, frequenza, tensione nominale, corrente nominale e il rapporto di trasformazione Ora però per poter caratterizzare e definire immediatamente il trasformatore fisico nella rappresentazione equivalente, abbiamo bisogno di altre informazioni, in particolare abbiamo bisogno di informazioni che ci consentono di determinare i parametri circuitali del trasformatore nella forma canonica o in forma relativa. Quindi bisogna vedere quale altre informazioni ci devono essere date per poter passare dalla struttura fisica alla rappresentazione circuitale. Per poter fare queste operazioni ci serve poter condurre due prove: la prova a vuoto e la prova in cortocircuito. Questo corrisponde ad una serie di informazioni che vengono riportate sulla targa del trasformatore. I valori che vengono riportati sui dati di targa del trasformatore sono essenzialmente 4, due relativi alla prova a vuoto e due relativi alla prova in cortocircuito. Quelli relativi alla prova a vuoto sono: - la corrente a vuoto I 0 , generalmente espressa in percentuale la Potenza a vuoto P 0 , espressa anch'essa in percentuale, oppure il cos φ 0 (ma generalmente viene indicato il P 0 ) Per quanto riguarda la prova in cortocircuito i parametri che vengono indicati sono: - la tensione di cortocircuito Vcc , anch'essa espressa in percentuale la potenza di cortocircuito Pcc , espressa in percentuale, oppure il fattore di potenza di cortocircuito cos φcc Questi vengono espressi in percentuale in modo tale che non ci siano fraintendimenti nella definizione da associare alla prova. Vediamo come si ricavano queste prove e quale informazioni ci consentono di ottenere queste due misure. Prova a vuoto Nella prova vuoto il trasformatore viene collegato ad una rete di potenza di distribuzione dell'energia elettrica, in modo tale che la tensione applicata risulti essere proprio la tensione nominale. Il problema che si pone è quello di individuare quale coppia di morsetti è necessario collegare al nostro sistema per effettuare la prova. Noi siamo abituati a ragionare in morsetti primari o morsetti secondari, ma è molto più conveniente fare una distinzione di morsetti di alta tensione e di bassa tensione. Noi sappiamo che generalmente nei trasformatori la corrente a vuoto assume, proprio per caratteri costruttivi, valori abbastanza bassi ( la corrente magnetizzante deve essere la più piccola possibile ). Quindi ci poniamo il problema di poter effettuare una misura della corrente I 0 , che risulti essere rilevabile dai nostri strumenti di misura. Almeno questo era il problema che ci si poneva in passato quando c'era difficoltà nel misurare le correnti. In questo caso tenendo conto del rapporto di trasformazione conviene effettuare la misura a vuoto dove la corrente a vuoto risulti essere in valore assoluto più elevata, perché in questa maniera o la possibilità di avere degli strumenti di misura che la rilevano con una minore incertezza. Inserisco i dispositivi sul lato dove la corrente è più elevata, quindi in bassa tensione. La misura la faccio sul lato in bassa tensione indipendentemente dal fatto 51 che questo sia avvolgimento primario o secondario. Quindi andremo ad inserire i nostri strumenti di misura secondo il seguente schema: A questo punto vado a rilevare il valore della corrente I 0 che circola nel nostro sistema e la potenza P 0 . Questo sono le due informazioni relative alla prova a vuoto. Queste due quantità la corrente I 0 e la potenza P 0 vengono divise rispettivamente per la corrente nominale del lato di bassa tensione e per la potenza nominale, entrambe moltiplicate per 100 e vengono riportate sui dati di targa del trasformatore. Queste misure mi consentono di definire il valore dell'impedenza di magnetizzazione. Vediamo perché, tenendo conto della rappresentazione circuitale della prova a vuoto: Siamo nel funzionamento a vuoto quindi le correnti sono generalmente piccole rispetto alla corrente nominale, generalmente dell'ordine del 2-3% della corrente nominale. Quindi la I 0 nei trasformatori Mt/Bt, di cui noi parliamo, sono 0.02-0.03 In mentre le impedenze di dispersione solo il 2÷5% dell'impedenza base. La caduta di tensione sull'impedenza di dispersione risulta essere approssimativamente uguale, nelle condizioni peggiori, a: ∆Vz&d = Z&d ⋅ I 0 = 3 ⋅ 10 −2 Zb ∗ 5 ⋅ 10 −2 In = 15 ⋅ 10 −4 Vn Tenendo conto dei valori più alti avremmo una caduta di tensione di 15 ⋅10 −4Vn , cioè abbiamo che in condizioni di funzionamento a vuoto la caduta di tensione sull'impedenza di dispersione risulta essere circa 1.5‰ della tensione nominale approssimativamente. Perciò il 99, 99% della tensione va a cadere sull'impedenza di magnetizzazione. Quindi possiamo in prima approssimazione ritenere che la potenza P 0 risulti essere assorbita totalmente dalla resistenza R 0 e la I 0 sia pari proprio alla corrente di magnetizzazione. Ma quindi se la P 0 risulta essere la potenza assorbita dal ramo magnetizzante e la I 10 = Im , immediatamente abbiamo tutti dati per poter calcolare il valore della reattanza Xm e della R 0 . Infatti avremo che: Vbt 2 Vbt 2 R0 = Xm = P0 Q0 52 Quindi mediante magnetizzazione. queste misure noi definiamo immediatamente l'impedenza di Prova in cortocircuito Usiamo lo schema che abbiamo adottato precedentemente: Analizziamo cosa succede a regime quando mettiamo in cortocircuito il nostro sistema. Anzitutto, affinché il nostro sistema sia in cortocircuito, è necessario realizzare un collegamento franco tra il morsetto 1 e il morsetto 2 dell'avvolgimento secondario, questo vuole dire che l'impedenza con cui realizzo il cortocircuito deve essere molto più bassa dell'impedenza di dispersione secondaria. Alimento il nostro avvolgimento a vuoto, il flusso φm 0 mi induce la tensione E10 , chiudiamo l'avvolgimento secondario in cortocircuito. A questo punto non abbiamo da alimentare niente, perché non c'è un carico applicato. In questa situazione di cortocircuito, l'effetto della circolazione della corrente è solo uno ed uno solo, cioè quello di opporsi alla causa che lo ha prodotto. Perciò la corrente tende a circolare nell'avvolgimento in modo tale da smagnetizzare la macchina. La corrente cerca di smagnetizzare, però abbiamo che dall'altra parte c'è una tensione applicata che richiama una corrente che tende ad opporsi alla causa smagnetizzante. Quindi sia nell'avvolgimento primario che in quello secondario saranno presenti correnti circolanti estremamente elevate. L'unico elemento che si oppone alla circolazione di queste correnti sono le impedenze di dispersione. Questo determina un incremento notevole delle correnti in condizioni di cortocircuito, raggiungiamo valori di corrente che risultano essere a regime 25 ⋅ In . Quindi realizzare un'operazione di cortocircuito netto risulta essere rischioso perché sottopongo gli avvolgimenti a uno stress termico notevole. La temperatura può salire molto rapidamente perché il fenomeno è praticamente adiabatico, inoltre questi avvolgimenti sono immersi in un campo quindi sono sottoposti a delle azioni elettrodinamiche e perciò gli avvolgimenti sono soggetti a una sollecitazione meccanica che, essendo proporzionale al quadrato della corrente, risulta essere 625 volte superiore alle condizioni operative. E non è finita, se l'avvolgimento si riscalda troppo, l'avvolgimento può passare da un campo di funzionamento elastico a un campo di funzionamento plastico da un punto di vista meccanico, quindi alla fine può deformarsi in maniera permanente se non addirittura rompersi. Quindi realizzare un cortocircuito non è una cosa pericolosa per il trasformatore perché è fatto per resistere temporaneamente a un cortocircuito però non bisogna esagerare, quindi io non faccio una prova in cortocircuito. Secondo bisogna vedere se le prove di cortocircuito e quindi la misura di cortocircuito si può fare esclusivamente quando circola una corrente in cortocircuito, oppure si può ottenere lo stesso risultato magari 53 facendo una misura nelle stesse condizioni al contorno però con una corrente più bassa. Allora andiamo a vedere il circuito equivalente del trasformatore in cortocircuito: Quindi l'impedenza d'ingresso Zcc del nostro trasformatore sarà pari a: Vin & Z& 0 ⋅ Z&d 2 ' Z&cc = = Zd 1 + Z& 0 + Z&d 2 ' Iin Ma cosa abbiamo detto fino ad ora, il trasformatore viene realizzato in modo tale che l'impedenza di magnetizzazione sia grande rispetto all'impedenza base e l'impedenza di dispersione sia piccola rispetto all'impedenza base. Quindi tra la Z& 0 e la Z&d 2 possono esserci diversi ordini di grandezza di differenza, tanto che non commettiamo un grosso errore se non consideriamo o consideriamo questa somma Z& 0 + Z&d 2 ' uguale a Z& 0 . Ma questo punto l'equazione si semplifica e diventa: Z&cc ≅ Z&d 1 + Z&d 2 ' Ma l'impedenza di dispersione primaria e di dispersione secondaria sono relative a delle impedenze in condizioni di funzionamento lineare. Abbiamo che i flussi di dispersione viaggiano in aria e le resistenze sono le resistenze degli avvolgimenti, quindi se noi realizziamo la seguente operazione: se ad una corrente pari alla corrente di cortocircuito ho una corrente nominale, per la definizione di impedenza di cortocircuito definita come rapporto tra la tensione applicata e la corrente circolante, il valore della Z&cc è invariante qualunque sia il rapporto tensione corrente che si viene a verificare sull'impedenza. Cosa vuol dire questo, che la misura dell'impedenza di cortocircuito non è modificata per le caratteristiche di linearità dell'impedenza di cortocircuito qualunque sia il valore della tensione che vado ad applicare nelle condizioni di cortocircuito. Quindi non è necessario che io faccio la prova con la tensione nominale e la corrente di cortocircuito effettivo, siamo in regime lineare e quindi posso applicare una tensione tale che la corrente risulti Vin essere più piccola, perché il rapporto risulta essere sempre pari alla Z&cc . Questo Iin perché la macchina in questa situazione ha un comportamento veramente lineare. Questo mi consente di affermare che la prova in cortocircuito la posso fare ad una tensione più bassa ed a una corrente più bassa. Ma uno potrebbe dire che noi avevamo il nostro nucleo ferro magnetico non lineare e abbiamo avuto tanti problemi, ma in queste condizioni le non linearità del nucleo ferromagnetico vengono cancellate, perché alla chiusura del cortocircuito corrisponde una corrente di reazione il cui scopo è solo quello di ridurre il 54 flusso all'interno del nucleo ferromagnetico e questo è ancora più evidente da questo partito di tensione. Se vedete queste due impedenze, che sono circa uguali, la tensione V 1 applicata risulta essere ripartita metà su una e per metà sull'altra. Quindi la tensione che viene indotta sulla reattanza di magnetizzazione è la metà di quella che si stabilisce in condizioni operative nominali, quindi se è metà la tensione sarà anche più piccola la corrente magnetizzante. Quindi l'effetto smagnetizzante è proprio evidente. Visto che si smagnetizza la macchina, possiamo tranquillamente ritenere che il suo comportamento possa essere tranquillamente considerato lineare in cortocircuito, quindi non risente della non linearità del nucleo ferromagnetico. Per questo motivo, per la più forte linearità della macchina in cortocircuito si ha che, la prova in cortocircuito può essere condotta ad una tensione e una corrente che sono più basse senza inficiare la qualità della misura. Detto questo la prova viene svolta in modo tale da non sollecitare in maniera esagerata gli avvolgimenti ma anzi da sollecitarli alle condizioni operative, perché la corrente che si fa circolare è quella relativa alle condizioni di funzionamento nominale e la tensione sarà ovviamente quella per cui la corrente circolante in cortocircuito risulti essere proprio pari alla corrente nominale. Il primo problema da porre è dove alimentare il trasformatore, il lato bassa o alta tensione? Il discorso è praticamente invertito rispetto alla prova a vuoto, siccome dobbiamo regolare la tensione in modo tale che la corrente risulti essere pari alla corrente nominale e siccome la tensione di cortocircuito che corrisponde alle cadute di tensione sull'impedenza di dispersione è generalmente bassa, noi dovremmo avere la possibilità di regolare con facilità una tensione che risulta essere relativamente bassa. Quindi dobbiamo disporci sul lato in cui si possono ottenere valori assoluti della tensione che risultano essere più elevati nelle condizioni di cortocircuito e dove le correnti sono più basse, perché dobbiamo misurarle direttamente. Questo ci vincola immediatamente il lato su cui eseguire la misura, cioè il lato in alta tensione. Quindi andiamo a disporre gli strumenti di misura nel seguente modo, insieme ad un dispositivo, nominato variac, che ci consente di variare la tensione in maniera continua (è un partito induttivo a contatti striscianti): Facendo variare il numero di spire del variac aumentiamo la tensione e controlliamo l'amperometro. Quando l'amperometro mi dà l'indicazione della corrente nominale blocchiamo l'incremento della tensione e andiamo a vedere qual è il valore di tale tensione, questa sarà la tensione di cortocircuito. Andiamo a leggere la misura sul wattmetro è questa sarà la potenza di cortocircuito. A questo punto abbiamo la Vcc e la Pcc , le riportiamo nella forma in P.U, le moltiplichiamo per 100 e otteniamo la Vcc% e la Pcc% . Questi due valori fanno riferimento ad una configurazione circuitale del trasformatore che risulta essere la seguente: 55 Non è presente l'impedenza di magnetizzazione perché abbiamo dimostrato che l'effetto dell'impedenza di magnetizzazione su questa prova risulta essere del tutto nullo o meglio trascurabile. Qui possiamo rappresentarla nella sua veste linearizzata. Quindi l'impedenza che vediamo del trasformatore è l'impedenza definita di cortocircuito che è pari: Z&cc = ( R& d 1 + R& d 2) + j ( X&d 1 + X&d 2) La nostra impedenza di cortocircuito risulta essere costituita da un modulo e da una fase, perciò: Z&cc = Zcc ⋅ e jφcc Vediamo di calcolarla dalle prove che abbiamo fatto, noi abbiamo la tensione di cortocircuito espressa in percentuale andiamo a esprimerla in P.U perché è più comodo: Vcc PU = Vcc Vn L'impedenza di cortocircuito risulta essere uguale, in modulo, al rapporto tra i valori efficaci della tensione di cortocircuito e la corrente nominale. Per passare al suo valore in P.U. bisogna dividere per la Zb : Vcc Z&cc = In Vcc Vcc Z&cc PU = = = Vcc PU In ⋅ Zb Vn Quindi dall'indicazione della tensione di cortocircuito in forma percentuale e informa in P.U immediatamente ci dà il valore del modulo dell'impedenza di cortocircuito. La potenza di cortocircuito risulta essere esattamente pari a: P cc = V cc ⋅ I n ⋅ cos φ cc Pcc Vcc ⋅ In ⋅ cos φcc = = Vcc PU ⋅ cos φcc An Vn ⋅ In Pcc PU ar cos φcc = ar cos PU = φcc Vcc Pcc PU = Vediamo immediatamente come i due parametri relativi alla prova in cortocircuito mi definiscono in modulo e fase l'impedenza di cortocircuito in P.U e la corrente I 0 e la potenza P 0 mi definiscono in modulo e fase l'impedenza di magnetizzazione. Quindi le due prove mi definiscono in maniera completa il circuito equivalente del nostro trasformatore, sia in forma assoluta sia in forma relativa. Adesso abbiamo visto come definire il trasformatore in forma percentuale e relativa, come viene caratterizzato in termini di potenza e tensione, l'abbiamo insomma caratterizzato completamente. Ci rimane da 56 analizzarlo da un punto di vista funzionale. Fino adesso lo abbiamo prima modellizzato e poi analizzato fisicamente e poi caratterizzato, cioè abbiamo definito quelle che sono le grandezze caratteristiche del nostro trasformatore in modo tale da poter ricavare il circuito equivalente. Adesso ci interessa analizzarlo dal punto di vista funzionale, cioè vedere come funziona nelle sue condizioni operative, cioè sotto carico. Partiamo innanzitutto dall'analisi dei circuito equivalente e vediamo cosa succede quando variamo le condizioni di funzionamento sotto carico. Questa è la rappresentazione circuitale che abbiamo fino a adesso utilizzato: Potremmo ancora continuare a impiegare questa rappresentazione senza commettere alcun errore, l'unico problema che abbiamo nell'utilizzare questa rappresentazione e che un po' pesante dal punto di vista della risoluzione circuitale. Dobbiamo quindi trovare qualche rappresentazione equivalente che sia più facile da analizzare, e ci consente di associare immediatamente i dati di targa predeterminati con la rappresentazione circuitale. Rappresentazione semplificata del trasformatore Dopo tutto il nostro studio abbiamo determinato il modello matematico e circuitale del trasformatore reale. Siamo arrivati a questa rappresentazione: Xd I1 1 R1 Ia V1 R0 I I2 I Xd I 2 R2 Im Iµ X0 I V2 cioè un doppio bipolo in configurazione dissimmetrica in particolare il sistema è costituito da due impedenze, l'impedenza di dispersione primaria Xd1+R1 l'impedenza di dispersione secondaria X dI 2 + R I2 e una impedenza di magnetizzazione R0 in parallelo con X0. Nel circuito equivalente che qui ho rappresentato, il modello matematico che lo descrive è una 57 rappresentazione del trasformatore che tende a rappresentare completamente tutti i fenomeni fisici che sono associati alla nostra macchina. Ora, nelle applicazioni pratiche si tende ad utilizzare delle rappresentazioni circuitali del trasformatore e delle rappresentazioni modellistiche matematiche più semplici, questo perché le approssimazioni che vengono introdotte sono di scarsa rilevanza ai fini pratici, mentre le semplificazioni che vengono ottenute sono notevoli. La prima semplificazione o il primo modello semplificato è quello che si ottiene riportando il ramo magnetizzante a monte dell'impedenza di dispersione, il circuito equivalente a cui si perviene è il seguente: X d1 I1 V1 Ia Iµ R0 X0 I R1 I2 I X d2 I R2 I V2 Abbiamo il nostro campo magnetizzante, che conserva dal punto di vista parametrico gli stessi valori, e poi abbiamo l'impedenza di dispersione primaria Xd1+R1, e l'impedenza di dispersione secondaria X dI 2 + R I2 . Quale è la differenza tra questi due circuiti? Xd I1 1 R1 Ia V1 R0 I I2 I Xd 2 I R2 X d1 I1 Im Iµ X0 Ia Iµ R0 X0 R1 I I2 I X d2 I R2 I V2 V1 I V2 La differenza sostanziale è data dall'aver riportato la nostra impedenza di dispersione a valle dell'impedenza di magnetizzazione, questo porta sicuramente a degli errori nella valutazione delle grandezze elettriche della macchina. Vediamo se l'errore che commettiamo risulta essere ingegneristicamente accettabile. ' I 1 = Im + I 2 In entrambe le rappresentazioni la corrente I 1 risulta essere uguale a: Nella rappresentazione che abbiamo fin qui usato, la tensione di alimentazione V 1 risulta essere uguale a: V 1 = Z&d 1 ⋅ I 1 − E1 , mentre nella rappresentazione semplificata la tensione V 1 è pari a: V 1 = − E1 Tra le due rappresentazioni perciò, stiamo introducendo un errore perché introduciamo un'approssimazione. Dobbiamo vedere quale risulta essere l'effetto di questa approssimazione dal punto di vista funzionale, cioè dal punto di vista della tensione in uscita e della corrente in uscita. Da un punto di vista della corrente in uscita abbiamo che l'errore che commettiamo è sulla corrente magnetizzante, perché nella prima rappresentazione la corrente magnetizzante è V 1 − Z&d 1 ⋅ I 1 V1 uguale a: Im = Mentre in questa semplificata è pari a: Im = Z& 0 Z& 0 58 Sappiamo che le impedenze di dispersione, anche in condizioni di funzionamento nominale, sono dell'ordine del 2- 5% dell'impedenza di base, perciò questa caduta di tensione sarà, in condizioni nominali, il 2-5% della tensione nominale, l'impedenza magnetizzante è molto alta 50-1000 volte l'impedenza base. Perciò un errore del 2- 5% sulla caduta di tensione rispetto ad un'impedenza Z& 0 che risulta essere così elevata, introducono un errore sulla corrente magnetizzante che risulta essere praticamente trascurabile, dell'ordine del 1-2 ‰. Quindi possiamo tranquillamente considerare questa approssimazione in termini di corrente magnetizzante praticamente accettabile, non commettiamo degli errori ingegneristicamente rilevanti. Quindi diciamo che in termini di corrente Im è accettabile, e se lo è Im e anche accettabile in termini di corrente in uscita, perché commettiamo anche un errore sulla corrente in uscita che risulta essere accettabile. Andiamo a vedere in termini di caduta di tensione, perché si introducono anche gli errori sulle cadute di tensione. Confrontando le cadute di tensione nelle due rappresentazioni ' otteniamo in un primo caso che: Vzd 1 = Z&d 1 ⋅ I 1 mentre nell'altro caso: Vzd 1 = Z&d 1 ⋅ I 2 L'errore che commetto risulta essere pari a: ∆V = Z&d 1 ⋅ Im Z&d 1 risulta essere del 2-5% dell'impedenza base, Im risulta essere dell'ordine 1- 2% della corrente nominale, l'errore che commettiamo risulta essere dell'ordine del 1 ‰ della tensione applicata. Quindi diciamo che l'errore che commettiamo è trascurabile rispetto alla tensione che andiamo ad applicare, stiamo commettendo un errore che risulta essere neanche valutabile mediante gli strumenti di misura. In conclusione, l'errore sulla caduta di tensione nel passare alla rappresentazione semplificata è dovuta alla mancata valutazione dell'effetto della corrente magnetizzante e l'errore della corrente magnetizzante risulta essere semplicemente un errore dovuto ad una sovrastima della tensione indotta, che risulta essere paragonabile alla caduta di tensione sull'impedenza di dispersione primaria. Quindi gli errori che introduciamo in termini di corrente e tensione sono così piccoli, da poter considerare queste due rappresentazioni equivalenti dal punto di vista del calcolo e questa risulta essere una rappresentazione molto più semplice da analizzare, viene direttamente associata ai dati di targa perché direttamente vediamo che l'impedenza di magnetizzazione e l'impedenza di cortocircuito sono automaticamente identificate. Diciamo che questa rappresentazione semplificata non rappresenta effettivamente quale è il comportamento del trasformatore, ma ci consente di valutare in maniera abbastanza attendibile le grandezze che effettivamente sono presenti nel nostro trasformatore, inoltre la semplificazione a cui arriviamo è notevole infatti il modello matematico assume la seguente rappresentazione: I V1 = Z CC ⋅ I I2 + V2I Per quanto riguarda il legame delle tensioni tra le grandezze primarie e secondarie si ha una legame diretto, la tensione V1 è uguale all'impedenza di cortocircuito relativa all'avvolgimento primario moltiplicato il valore della corrente I I2 più la tensione V2I . Come potete immediatamente notare il legame tra la tensione primaria V1 e la tensione secondaria è immediato noto il valore della corrente I I2 . L'altra relazione che ci consente di ricavare la corrente magnetizzante è immediata: Im = V1 Zm Il valore della corrente magnetizzante sarà semplicemente uguale alla tensione V1 diviso il valore dell'impedenza di magnetizzazione Zm. 59 Ed infine la relazione che lega la corrente I1 con I I2 e la corrente Im che è sempre la solita: I1 = I m + I I2 Il modello matematico ha assunto una forma notevolmente più semplice e questo lo possiamo dedurre anche abbastanza agevolmente dalla rappresentazione del diagramma vettoriale. Andiamo infatti a tracciare il diagramma vettoriale del nostro trasformatore nella rappresentazione semplificata. Ipotizziamo, di collegare sul secondario il carico generico, di conoscere il valore della potenza attiva e reattiva assorbita dal carico; mediante il modello si può ricavare immediatamente quale è il legame esistente tra la nostra tensione V2I e il valore della corrente sul secondario I I2 . Quindi ipotizziamo di conoscere sia la tensione V1 sia il valore della corrente I I2 , in modulo e fase rispetto alla tensione V1, V1 I 2I a questo punto dalla prima equazione: I V1 = Z CC ⋅ I I2 + V2I 60 I J X cc I 2 I R cc I 2 V1 I V2 I 2I si ricava immediatamente il valore della tensione V2I . Im = V1 Zm Dalla seconda relazione si ricava immediatamente quale è la corrente magnetizzante Im , in modulo e fase: (essendo Zm ohmico induttiva avrò Im in ritardo su V1): I J X cc I 2 I R cc I 2 V1 I V2 Im I I2 Andiamo ad osservare meglio la rappresentazione della corrente nell'impedenza magnetizzante: 61 Xd I1 Ia V1 R1 1 I I2 I Xd I R2 2 Im Iµ R0 I V2 X0 La corrente magnetizzante Im sarà composta da una componente attiva Ia e una corrente magnetizzante Iµ, la componente attiva Ia sarà in fase con la tensione la componente magnetizzante Iµ, sarà in quadratura e in ritardo di 90 gradi: I J X cc I 2 I R cc I 2 V1 I V2 Ia Im Ia Im I I2 I 2I Iµ Iµ Quindi avremo una componente Ia e una componente Iµ, che ci formeranno la nostra Im. Andando a combinare la Im con la I I2 si ricava il valore della corrente I1. 62 I J X cc I 2 I R cc I 2 V1 I V2 Im Im I1 I I2 Come potete notare il diagramma vettoriale a cui siamo pervenuti è estremamente più semplice rispetto a quello che avevamo determinato nel caso di un trasformatore nella sua rappresentazione completa. In alcune applicazioni soprattutto in quelle in cui vi sono correnti e tensioni estremamente elevate e nelle quali i flussi di potenza sono estremamente grandi, la rappresentazione che si utilizza per il trasformatore è ulteriormente semplificata, infatti per i trasformatori di grossa potenza in alta tensione le correnti magnetizzanti assumono dei valori talmente piccoli che possono essere in prima approssimazione completamente trascurate e quindi il circuito equivalente che si utilizza in questi casi è addirittura il seguente: I 1 V 1 Z CC I V 2 è un quadripolo rappresentato esclusivamente dall'impedenza di cortocircuito Zcc, l'impedenza di magnetizzazione viene completamente eliminata proprio perché l'effetto della corrente magnetizzante sulla corrente I1 è praticamente nullo. Vi è un'altra motivazione per la quale si preferisce utilizzare questa rappresentazione, infatti in questo caso sono immediatamente deducibili i valori dei parametri semplicemente dalle prove a vuoto e dalle prove in cortocircuito, quindi dai dati di targa che vengono indicati sul trasformatore. Quindi tramite l'indicazione della tensione di cortocircuito, delle cos(ϕcc), è possibile immediatamente ricavare l'impedenza di cortocircuito Zcc, mentre tramite l'indicazione della P0 e del cos(ϕ0) è possibile immediatamente ricavare la Z0. 63 Questo evita di effettuare quelle operazioni di divisione dell'impedenza di cortocircuito in due per ipotizzare che il nostro trasformatore sia un T simmetrico, questa rappresentazione è più corrispondente a quelle che sono le indicazioni che vengono fornite dal costruttore. Caduta di tensione dal passaggio dal funzionamento a vuoto a carico Ora, vista quale è l'analisi del nostro trasformatore, quali sono le possibili rappresentazioni del nostro trasformatore, vediamo di valutare quali sono le possibili condizioni di funzionamento del trasformatore. Uno degli elementi sui quali focalizzeremo l'attenzione è la caduta di tensione nel passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento sottocarico. L'effetto della caduta di tensione nel passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento sottocarico e facilmente analizzabile proprio da questo circuito equivalente: Z CC I1 V1 Zm I V2 L'analisi del circuito equivalente del trasformatore semplificato, mette in evidenza che nell'ipotesi di corrente di carico nulla, quindi nelle ipotesi di funzionamento a vuoto quando I I2 è uguale a zero. Il valore della tensione V1 e il valore della tensione V2I coincidono perfettamente, al variare del carico varia il valore efficace della corrente I I2 , conseguentemente abbiamo una variazione della caduta di tensione sull'impedenza di dispersione, quindi abbiamo una variazione della tensione presente sul secondario. Questa variazione di tensione è una variazione in modulo e in fase, quindi a seconda delle condizioni di carico presenti sul secondario, quindi dei fattori di potenza e di correnti assorbite in valore efficace, l'entità della caduta di tensione presente sul secondario potrà essere differente. Questo è un elemento negativo per il trasformatore perché in generale noi vogliamo una macchina che esegua si una conversione dell' energia, ma che garantisca le stesse condizioni che avevamo in ingresso, quindi tensione costante e frequenza costante. Qui otteniamo in uscita una frequenza che sarà sempre la stessa 50 Hertz ma una tensione che viene modulata in funzione del tipo di carico che stiamo alimentando quindi al variare del carico varia pure la tensione di alimentazione, questa ovviamente è una condizione che per alcuni tipi di carico non dà nessun problema, per altri tipi di carico invece può creare dei problemi, quindi in certi tipi di trasformatori vengono predisposte delle soluzioni tecnologiche che consentano di limitare o addirittura annullare questa caduta di tensione. Per cercare di limitare la caduta di tensione si potrebbe rendere l'impedenza di cortocircuito la più piccola possibile, cerco di annullarla. Questa soluzione oltre ad essere troppo costosa, perché dovrei realizzare gli avvolgimenti con resistenze molto piccole, mi 64 porta ad un altro problema che in condizioni di cortocircuito avrei che l'unica impedenza che ostacola la circolazione della corrente di cortocircuito è l'impedenza di cortocircuito. Z CC I1 V1 Quindi se l'impedenza di cortocircuito è troppo piccola i valori delle correnti di cortocircuito assumono delle intensità enormi, producendo conseguentemente degli sforzi sia termici che meccanici notevoli, queste potrebbero danneggiare molto più facilmente la macchina. Quindi è vero che devo cercare di ridurre l'impedenza di cortocircuito, ma non posso ridurla troppo perché ho delle limitazioni imposte proprio dalla costruzione della struttura della macchina. Allora per ovviare alle variazioni di tensione che si verificano nella macchina si utilizzano in generale dei trasformatori chiamati multipresa, i trasformatori multipresa, sono dei trasformatori che presentano un rapporto spire variabile quindi un numero di spire al secondario che può essere variato. Questi trasformatori possono variare il rapporto di trasformazione in maniera automatica o in maniera statica. Se conosco il mio carico posso definire quale sarà la caduta di tensione e quindi correggere preventivamente la caduta mediante un aumento o una diminuzione del rapporto di trasformazione. In altri casi invece la variazione del numero di spire viene effettuata automaticamente cioè c'è riservo meccanismo che misura la tensione morsetti in base a un set point a un riferimento, adatta il numero delle spire maniera tale da tenere costante la tensione. Capite immediatamente che inserire all'interno del trasformatore un dispositivo di questo genere significa aumentare i costi, quindi un dispositivo di questo genere va utilizzato solo quando il carico che dobbiamo alimentare richiede condizioni di tensione in uscita che devono essere perfettamente costanti. Fatte queste premesse che sono di carattere generale, andiamo a determinare innanzitutto le metodologie di scelta del trasformatore e poi valutare analiticamente la caduta di tensione sul trasformatore. Innanzitutto vediamo come si sceglie un trasformatore. Sappiamo che il trasformatore è un dispositivo che ha lo scopo di eseguire una conversione dell'energia in modo tale da modificare lo stato elettrico, quindi variare la tensione e la corrente. Ora però lo scopo principale del trasformatore è quello di alimentare un carico, quindi di adattare lo stato elettrico al carico che dovremo alimentare. Quindi il trasformatore va scelto principalmente sulla base del tipo di carico che dobbiamo andare ad alimentare. Innanzitutto dovremmo andare a vedere nel nostro carico quale è la tensione di esercizio, quindi la sua tensione nominale, sulla base della tensione nominale del carico e della tensione presente sulla linea alla quale dovremo allacciarci, determiniamo il rapporto di trasformazione. Il nostro carico assorbirà una certa potenza attiva e reattiva, si definisce in prima approssimazione quella che è la potenza apparente nominale che deve essere erogata sul carico, questo carico potrà avere un'evoluzione temporale non continua ma una evoluzione variabile, quindi in base a una analisi di tipo termico sappiamo quale può essere la potenza nominale del carico, perché dovremmo sempre tener conto che la potenza del trasformatore può essere inferiore alla potenza di 65 picco richiesta del mio carico. Quindi sulla base del carico definiamo innanzitutto la tensione e il rapporto di trasformazione e poi sull'andamento della potenza quindi sul diagramma di carico individuiamo la potenza nominale del trasformatore che dovremo andare ad inserire. Ora, c'è un ultimo problema, quello di andare ad analizzare quale è la sensibilità del nostro carico alle oscillazioni di tensione. Per qualsiasi apparecchio utilizzatore elettrico, la tensione nominale viene riportata con un valore di oscillazione della tensione nominale (più o meno un 5%, 10% oppure in certi casi viene semplicemente indicato il valore di tensione). Questo significa che il carico funziona in condizioni accettabili esclusivamente se la tensione oscilla all'interno di quella banda, se non viene garantita o indicata alcuna oscillazione vuol dire che la tensione di alimentazione deve essere perfettamente costante. Quindi, le caratteristiche del carico possono essere o no influenzate dall'oscillazione di tensione, quindi in funzione dell'indicazione che ci viene fornita dal carico noi dovremmo utilizzare le contromisure per controbilanciare le eventuali presenze di oscillazioni di tensione presenti in uscita dal trasformatore. Per quanto riguarda i primi due parametri, ( tensione di alimentazione del carico, potenza richiesta) tensione, potenza, sono parametri che vengono definiti una volta per tutte, per quanto riguarda invece le caratteristiche della tensione dell'oscillazione di tensione, queste mi individuano il tipo di trasformatore che possiamo collegare, ad esempio se il mio trasformatore non è sensibile alle oscillazioni di tensione io non mi preoccuperò minimamente di metterci un multipresa, un dispositivo multipresa o un dispositivo con regolazione automatica della tensione, metterò semplicemente un trasformatore ed accetterò delle oscillazioni di tensione all'interno del mio sistema basta che queste non superino le specifiche che mi vengono indicate dall'utilizzatore. Se invece il mio carico mi indica che la tensione deve rimanere costante, io dovrò andare valutare quale è l'oscillazione di tensione prodotta dal trasformatore, e adottare le contromisure per mantenere la tensione costante. Ora, vista la sensibilità di alcuni carichi alle cadute di tensione vediamo di analizzare e di valutare analiticamente quale è la caduta di tensione presente sul trasformatore, procediamo in maniera rigorosa e prima di utilizzare metodi approssimativi vediamo di analizzare i metodi che ci vengono forniti dal modello rigoroso del trasformatore. Facciamo un'ipotesi di studio: 66 Determiniamo il modello matematico del trasformatore e vediamo di calcolare il valore della tensione presente sul secondario, sia a carico che quando è nullo il carico sul secondario. Ora capite bene che per poter determinare la tensione sul secondario bisognerà fare una serie di calcoli che si basano essenzialmente sulla determinazione dell'impedenza di ingresso del trasformatore. Il trasformatore nella sua rappresentazione a T simmetrico viene collegato ad una impedenza Z Iu , impedenza di carico: I Z1 I1 V1 Z2 Z0 I ZU 67 Si effettua una trasformazione successiva fino a quando non si ricava quella che è l'impedenza di ingresso vista dal lato primario. Z in = Z 1 + Z 0 ⋅ Z 2' + Z u' Z 0 + Z 2' + Z u' ( ( ) ) Nota l'impedenza di ingresso il valore della corrente assorbita I1 sarà dato da: I1 = V1 Z in Nota la corrente I1, è immediatamente possibile ricavare la corrente I I2 , semplicemente sottraendo alla I1 il valore della corrente magnetizzante Im, sviluppando i calcoli e ricavo il valore della corrente I I2 I I2 = I1 − I m = V1 − E 1 − Z in Z0 Z V1 − 1 V − E 1 V1 V1 − Z1 ⋅ I1 V1 Z in I I2 = I1 − I m = 1 − = − = − Z in Z0 Z in Z0 Z in Z0 ⋅ V1 Z −Z +Z II2 = V1 ⋅ o in 1 Zin ⋅ Z0 Una volta determinata la corrente I I2 , mediante il modello matematico del trasformatore è immediato ricavare il valore della tensione presente sul secondario, come vedete [Lucido]: 68 Una volta determinato il valore della tensione presente sul secondario andiamo a determinare la caduta di tensione nel passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento sottocarico. La caduta di tensione forma relativa è espressa come la differenza tra il modulo della tensione presente a vuoto meno il modulo della tensione presente sotto carico diviso il valore della tensione a vuoto. ∆V = V20 − V2 V20 = 1− V2 V20 I valori delle tensioni V2 e V20 li abbiamo già calcolati, quindi abbiamo determinato in maniera rigorosa quale è l'espressione che ci consente di determinare la caduta di tensione relativa nel passaggio dal funzionamento vuoto al funzionamento sottocarico. Come potete immediatamente notare la determinazione della caduta di tensione mediante l'utilizzo di questa relazione: ∆V = 1 − V V 2 20 non è una cosa immediata, cioè bisogna impostare questa equazione 69 Z ⋅ (Z in − Z1 ) − Z I2 ⋅ (Z 0 − Z in + Z1 ) ⋅ (Z 0 + Z1 ) ∆V = 1 − 0 Z in ⋅ Z 02 Quindi l'utilizzo di espressioni di questo genere non è consigliabile perché si può incorrere molto facilmente in degli errori. Allora piuttosto che utilizzare delle procedure di tipo rigoroso vediamo cosa succede se invece che seguire il modello matematico rigoroso utilizziamo il modello matematico semplificato che abbiamo appena studiato. Quindi andiamo a considerare il nostro circuito equivalente semplificato: I Z1 I1 V1 Z2 I Z0 ZU Seguiamo esattamente la stessa procedura di calcolo per la determinazione della caduta di tensione in forma relativa. ∆V = V20 − V2 V20 = 1− V2 V20 ≅ 1− Z Iu Z Iu + Z ( ) assume una forma notevolmente più semplice rispetto a quella precedente, Z ⋅ (Z in − Z1 ) − Z I2 ⋅ (Z 0 − Z in + Z1 ) ⋅ (Z 0 + Z1 ) ∆V = 1 − 0 Z in ⋅ Z 02 Come si può immediatamente notare la semplificazione cui siamo giunti è notevole e la possibilità di commettere errori viene notevolmente ridotta. Ora, però nasce un problema, il problema che per determinare la caduta di tensione mediante questa procedura: ∆V = V20 − V2 V20 = 1− V2 V20 ≅ 1− Z Iu (Z + Z) I u si ha la necessità di conoscere il valore dell'impedenza di carico Z IU . Di solito i carichi non vengono forniti in termini di impedenza ma vengono forniti in termini di potenza attiva e reattiva che essi assorbono. Quindi la rappresentazione che abbiamo non viene quasi mai utilizzata, si preferisce utilizzare una procedura non analitica, ma una procedura che deriva da un'analisi di tipo grafico. Analisi grafica 70 La procedura grafica si basa essenzialmente sull'analisi dell’equazione di equilibrio elettrico sulla maglia più esterna, infatti sappiamo che analizzando il circuito equivalente del trasformatore abbiamo che la tensione presente sul primario è pari alla caduta di tensione sull'impedenza di cortocircuito più la tensione presente sul secondario: V1 = Z ⋅ I 2I + Z UI ⋅ I 2I Andiamo ad analizzare quale è il diagramma vettoriale rappresentante i vettori in forma simbolica relativo a quella relazione. Allora ipotizziamo di conoscere sia la tensione V2I sia la corrente I I2 , ed ipotizziamo che la corrente sia in ritardo rispetto sulla tensione, quindi che il carico sia un carico ohmico induttivo, andando ad applicare l'equazione di equilibrio elettrico avremo: V2I + R CC ⋅ I I2 + jX CC ⋅ I I2 = V1 questa è la nostra rappresentazione: V1 JXcc I 2 I A O V2 I 2 2 I2 I Rcc I 2 I 90°-ϕ 90° 2 Vogliamo ricavare la caduta di tensione la ∆V in forma relativa, abbiamo detto che ∆V in forma relativa o anche in per unit, è pari alla differenza fra il valore della tensione nelle condizioni di funzionamento a vuoto V20 meno il valore della tensione V2 sotto carico diviso il valore della tensione V20 a vuoto: ∆V = V 20 − V 2 V 20 noi sappiamo bene dalle operazioni di riporto che il modulo della tensione V20 riportato al primario è esattamente uguale alla tensione V1, per le relazioni di riporto dal secondario al primario che abbiamo visto nelle lezioni precedenti. Quindi se esprimiamo la ∆Vpu in per unit non rispetto alle grandezze secondarie ma rispetto alle grandezze primarie questa relazione: ∆ Vpu = V20 − V2 V20 assume la forma: 71 ∆ V pu = V 1 − V 2I V1 quindi da questo diagramma è immediato ricavare il valore della caduta di tensione in forma relativa, basta semplicemente considerare la retta d'azione nella quale giace il nostro vettore V2I , e proiettare il vettore V1 con un arco di circonferenza centrato in O fino a quando questo non interseca la retta di azione del vettore V2I . Il segmento OE, non sarà nient'altro che il nostro vettore V1. L'ampiezza è la stessa, quindi il modulo V1 meno il modulo di V2I è pari al segmento AE. V1 JXcc I 2 I A O V2 I 2 2 I2 I Rcc I 2 I E 90°-ϕ 90 2 La differenza di tensione nel passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento sotto carico è rappresentata dal segmento AE. Una volta individuata la costruzione grafica basta semplicemente determinare analiticamente qual’è il valore di AE, questo è molto semplice facendo delle considerazioni di carattere geometrico. Innanzitutto si nota che ϕ2 è il fattore di carico: B 2 V1 JXcc I 2 I D A O I2 I 2 E V2 I 2 90°-ϕ 2 C Rcc I 2 I Se consideriamo la retta ortogonale alla retta d'azione spiccata per il punto B, avremo che l'angolo formato dal segmento Xcc I I2 e CD è proprio ϕ2. Quindi automaticamente si può determinare quale è la lunghezza AE come la somma del segmento AD del segmento DC e del segmento CE. Il segmento AD è la proiezione di Rcc I I2 sulla retta d'azione, quindi è pari a: AD = R CC ⋅ I I2 ⋅ cos(ϕ 2 ) 72 Il segmento DC, è la proiezione del segmento Xcc I I2 sulla retta d'azione moltiplicato il seno di ϕ2 il fattore di carico. DC = ⋅X CC ⋅ I I2 ⋅ sen (ϕ 2 ) Rimane il segmento CE questo non è altro che il segmento OE-OC, allora: OE = V1 Il segmento OC è pari a: 2 ( 2 ) OC = V1 − X ⋅ I 2I ⋅ cos(ϕ 2 ) − R ⋅ I 2I ⋅ sin (ϕ 2 ) Abbiamo ricavato i singoli termini che mi costituiscono la caduta di tensione ∆V, basta semplicemente andare a sostituire. L'espressione a cui si perviene è la seguente: ∆VPU = V1 − 2 2 ( ) V1 − X ⋅ I I2 ⋅ cos(ϕ) − R ⋅ I I2 ⋅ sin (ϕ) + I I2 ⋅ (R ⋅ cos(ϕ) − X ⋅ sin(ϕ) ) V1 Questa è la forma rigorosa e c'è il segno di uguale, proprio perché abbiamo sommato tutti singoli termini AB, DC, CE, vediamo però se si può cercare di semplificare questa relazione che è sempre una relazione abbastanza complicata, andando ad analizzare il nostro diagramma vettoriale: B 2 V1 JXcc I 2 I D A O E V2 I 2 I2 I 90°-ϕ2 2 C Rcc I 2 I si vede chiaramente che se lo sfasamento tra V2I e V1 l'angolo ψ, è piccolo, nella realtà abbiamo che l'ampiezza di CE, è praticamente trascurabile, questa condizione si verifica quando la caduta di tensione sull'impedenza di cortocircuito è relativamente piccola rispetto alla tensione di alimentazione, in generale si verifica per valori della corrente di carico che vanno da 0 ad una corrente pari al 50% della corrente nominale. Per queste variazioni di corrente potremmo ritenere che quest'angolo di sfasamento ψ, sia piccolo e quindi si può trascurare il segmento CE. Ma trascurare il segmento CE vuol dire trascurare il termine: 73 2 ( 2 ) V1 − V1 − X ⋅ I 2I ⋅ cos(ϕ ) − R ⋅ I 2I ⋅ sin(ϕ ) La relazione assume una forma approssimata, ma notevolmente più semplice, infatti sotto queste ipotesi la caduta di tensione dal passaggio da vuoto a carico è pari a : ∆VPU ≅ I I2 ⋅ (R ⋅ cos(ϕ) − X ⋅ sin(ϕ) ) V1 Questa relazione come potete immediatamente notare, lega grandezze espresse in forma relativa con grandezze espresse in forma assoluta, si può ovviare a questo introducendo dei semplici passaggi analitici, basta semplicemente moltiplicare il numeratore e il denominatore per la corrente nominale I1n, e definire quelle che sono la resistenza di cortocircuito in forma relativa: R ⋅ I1n εr = V1 la reattanza di cortocircuito in forma relativa: εX = X ⋅ I1n V1 corrente informa relativa: I 2 pu = I I2 I1n l'espressione a cui si arriva è quella che utilizzeremo maggiormente nel calcolo della caduta di tensione: ∆VPU ≅ [ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )]⋅ I 2 pu Questa è la relazione che ci consente di valutare in forma approssimata quale è la caduta di tensione in forma relativa. Possiamo osservare due cose fondamentali: la caduta di tensione non solo dipende dall'intensità della corrente al secondario, ma è strettamente legata anche al fattore di potenza in uscita cioè allo sfasamento della corrente rispetto alla tensione in uscita. Fin qui l'abbiamo analizzato non come fattore di potenza, non gli abbiamo ancora assegnato un segno, gli abbiamo dato soltanto un valore che è il valore assoluto dell'angolo compreso tra V2I e I I2 . Andiamo a fare una considerazione su quello che succede nel nostro sistema quando prendiamo esattamente la stessa corrente, con lo stesso angolo in modulo però lo consideriamo anziché positivo negativo, quindi disponiamo di una condizione di carico non più ohmico induttivo, ma di carico ohmico capacitivo con lo stesso angolo ϕ2, andiamo a tracciare lo stesso diagramma e vediamo che cosa succede: 74 JXcc I 2 I V1 Rcc I 2 I I2 I O A 2 2 V2 I avremmo sempre il termine resistivo e il nostro termine reattivo. Osserviamo che a seconda del segno che assegniamo a questo angolo ϕ2, la caduta di tensione può risultare positiva oppure negativa, cioè possiamo avere nel caso in cui il carico è ohmico induttivo che la tensione V2I è inferiore alla tensione V1, mentre quando il carico è ohmico capacitivo con lo stesso fattore di potenza otteniamo che la tensione sul secondario è maggiore rispetto alla tensione presente sul primario: ohmico induttivo ϕ2>0 V2I < V1 Ohmico capacitivo ϕ2<0 ϕ 2 > ϕ * V2I > V1 JXcc I 2 I V1 V1 A O V2 I 2 I2 JXcc I 2 I 2 I I2 I Rcc I 2 I Rcc I 2 I 2 O = * A 2 V2 I In definitiva nei trasformatori al variare delle condizioni di carico, in termini di corrente assorbita e di fattore di potenza, i comportamenti delle tensioni di uscita sono molto differenti. Però come è possibile fisicamente che in un trasformatore applicando un carico ohmicocapacitivo si possa avere un incremento della tensione. La tensione d’uscita in un trasformatore è prodotta dall’accoppiamento mutuo fra avvolgimento primario e secondario e mi chiedo come mai con un carico capacitivo essa possa essere superiore di quella in ingresso, sapendo che l’avvolgimento è una resistenza e quando è percorso da corrente causa una caduta di tensione. Solo un aumento del flusso può aumentare la tensione in un avvolgimento, se aumenta il flusso aumenta la magnetizzazione e per magnetizzare serve potenza reattiva. Mettendo un condensatore come carico produciamo un flusso di potenza reattiva dal condensatore verso il trasformatore, che è un dispositivo che preleva potenza reattiva per magnetizzarsi. Se io applico una tensione di alimentazione e in più fornisco 75 potenza reattiva dal condensatore non faccio nient’altro che aumentare la magnetizzazione del mio nucleo ferromagnetico. Quindi la cosiddetta corrente di reazione dell’avvolgimento secondario fa in modo che i flussi di eccitazione, dovuti al primario, e di reazione al secondario, siano concordi e vadano ad aumentare il flusso del trasformatore, aumentando cosi la tensione in uscita. Si ha dunque una combinazione vettoriale dei flussi del primario e del secondario. Quindi definire il segno di questo angolo ϕ2, è importante nella nostra relazione per poter capire come valutare e determinare in maniera esatta la caduta di tensione. Ora, (nel caso ohmico capacitivo) la relazione che ci consente determinare approssimativamente la caduta di tensione è sempre la stessa: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 pu quindi quando i carichi sono ohmico induttivi l'angolo ϕ2 è positivo, anche cos(ϕ2) e sin(ϕ2) sono positivi, la situazione con la convenzione da noi adottata è questa: V2 I 2 I2 I quando i carichi sono ohmico capacitivi l'angolo ϕ2, è negativo la situazione con la convenzione da noi adottata è questa: I2 I 2 V2 I Quindi, secondo questa convenzione il fattore di potenza non verrà modificato nel segno, ma il sin(ϕ2) invece verrà alterato avrà il segno negativo e ci consentirà di definire la caduta di tensione che sarà negativa. Solitamente la caduta di tensione viene espressa in funzione della potenza richiesta dal carico e dell’angolo di sfasamento tra corrente e tensione in uscita. V' ∆VPU = 1 − 2 = 1 − V2' pu ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 pu mettendo in evidenza cos(ϕ 2 ) e V1 moltiplicando entrambi i membri per V2' pu si ottiene: sin (ϕ 2 ) ' ⋅ V2 pu ⋅ I 2 pu ⋅ cos(ϕ 2 ) = (ε r + ε x ⋅ tg (ϕ 2 )) ⋅ P2 pu V2' pu − V2' 2pu ≅ ε r + ε x ⋅ cos(ϕ 2 ) Si è ottenuto un equazione di secondo grado V2' pu − V2'2pu = (ε r + ε x ⋅ tg (ϕ 2 )) ⋅ P2 pu dalla risoluzione matematica si otterranno due soluzioni, una puramente matematica ma di nessun valore fisico, infatti ci darà un valore di V2' pu quasi nullo, questo è possibile solo se il trasformatore è in cortocircuito, andremo quindi a scartarla. Mentre la seconda soluzione che presenta un valore di V2' pu prossimo a 1 sarà la nostra effettiva soluzione. Il valore 76 della caduta di tensione, una volta a conoscenza di V2' pu è immediatamente ricavato tramite la relazione 1 − V2' pu ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 pu La relazione come abbiamo già detto è una relazione approssimata e abbiamo detto che è valida sino a quando il carico non supera certi valori, quando abbiamo un aumento del carico oltre il 50% della corrente nominale questo modello è troppo approssimato, quindi bisogna utilizzare un modello più preciso. Le norme CEI hanno indicato una procedura per il calcolo della caduta di tensione nel caso di valori della corrente sul secondario superiori al 50% Vediamo come si procede. Per determinare, il segmento CE, si considera la tangente alla circonferenza che presenta al centro in O e raggio V1 spiccata dal punto B: B 2 V1 JXcc I 2 I D A δ O V2 I 2 2 I2 I 90°- 2 K C E Rcc I 2 I Quindi la tangente interseca la retta di azione nel punto che ho indicato con K. Si afferma che il valore del segmento CE, che completa il nostro calcolo è all'incirca uguale a CK diviso due: CE = CK 2 Il problema è quello di andare a valutare il valore di CK. Andiamo ad analizzare due triangoli che sono il triangolo BCK e il triangolo BCO. Questi due triangoli sono entrambi dei triangoli rettangoli e sono oltretutto simili, infatti presentano un lato in comune sono entrambi retti e poi facendo delle considerazioni sugli angoli si ricava che questi due angoli δ sono perfettamente uguali. 77 B 2 V1 δ JXcc I 2 I D A δ O V2 90°- 2 2 I2 I 2 K C E I Rcc I 2 I quindi se i due triangoli simili possiamo applicare una proporzione: CK : BC = BC : OC Mettendo in evidenza CK si ricava che: CK = [BC]2 OC il segmento OC, vista la esiguità di CK, lo si considera praticamente uguale a V1. Mentre per ottenere il segmento BC, basta semplicemente considerare due proiezioni la proiezione del vettore Xcc⋅I2 sulla direzione ortogonale alla retta d'azione X CC ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) e poi sottrargli la proiezione di R ⋅I sempre nella stessa direzione R CC ⋅ I 2 ⋅ sin (ϕ 2 ) cc 2 Quindi il segmento CK è uguale a: CK ≅ (X ⋅ cos(ϕ 2 )) − (R ⋅ sen(ϕ 2 ))2 ⋅ I I2 2 V1 Moltiplicando e dividendo per le correnti nominali al quadrato, si può riportare questa espressione nella forma relativa, ed otteniamo questa espressione: 2 CK ≅ (ε x cos(ϕ 2 ) − ε r sen (ϕ 2 )) ⋅ I 22 PU ⋅ V1 Ora applichiamo la relazione classica per il calcolo della ∆V, sostituendo a CK nella relazione che definisce CE, sviluppando otteniamo l'espressione che ci consente di ricavare informa un po' più precisa e secondo quanto indicato dalle norme CEI la caduta di tensione in forma relativa: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 PU + (ε x ⋅ cos(ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 ))2 ⋅ I 22 PU 2 78 Questa è l'espressione che è valida anche quando le correnti sono prossime alla corrente nominale e prende il nome di caduta di tensione industriale quando il valore della corrente circolante sul secondario è pari alla corrente nominale. Quindi quando I2 è pari a I2n, e quando I2pu è pari a I1, l'espressione della caduta di tensione industriale è: (ε x ∆ V PU ≅ (ε r ⋅ cos (ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) + ⋅ cos (ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 )) 2 2 Anche questa espressione della caduta di tensione come quella semplificata può essere espressa tramite la potenza fornita al carico. 1 − V2' PU − (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 PU = Come prima, portiamo fuori cos(ϕ 2 ) V2' 2pu si ottiene: (ε x ⋅ cos(ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 ))2 ⋅ I 22PU 2 mentre ora moltiplichiamo entrambi i membri per V2'2 PU − V2'3 PU − (ε r + ε x ⋅ tng (ϕ 2 )) ⋅ P2 PU ⋅V2' PU = (ε x − ε r ⋅ tng (ϕ 2 ))2 ⋅ P22PU 2 Abbiamo ottenuto una equazione di terzo grado da cui si ottengono due soluzioni non realistiche e quindi da scartare e una soluzione reale che ci permette di conoscere il valore della V2' pu di conseguenza la mia caduta di tensione sarà pari a 1 − V2' pu Caratteristiche esterne del trasformatore Ora vediamo di analizzare quale è la forma che assume la caduta di tensione in funzione del carico sia nella sua forma completa: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 PU + (ε x ⋅ cos(ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 ))2 ⋅ I 22 PU 2 che nella sua forma semplificata: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ2 ) + ε x ⋅ sin(ϕ2 )) ⋅ I 2PU La caduta di tensione è in funzione del fattore di potenza cos(ϕ2) e della corrente I2pu. Per dare una rappresentazione della caduta di tensione potremmo in prima analisi imporre di valutare quale è la caduta di tensione quando la corrente varia dal valore nullo al valore nominale e il fattore di potenza è costante. Le caratteristiche così ottenute prendono il nome di caratteristiche esterne del trasformatore. Quindi la caratteristica esterna del trasformatore è quella caratteristica che si ottiene andando valutare la caduta di tensione al variare della corrente secondaria (I2PU che varia da 0 a I2PU ) quando il fattore di potenza è costante. Vediamo che forma assume la nostra caduta di tensione. Se cos(ϕ2) è costante, le quantità cos(ϕ2) e sin(ϕ2) sono costanti, anche i valori εr e εx sono costanti quindi posso indicare: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ2 ) + ε x ⋅ sin(ϕ2 )) ⋅ I 2PU con: 79 ∆ V PU ≅ a ⋅ I 2 PU Questa è l’espressione di una retta. Se noi imponiamo un fattore di potenza costante otteniamo l’equazione di una retta, nella quale il coefficiente angolare è espresso da (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) . Tracciando tutte le caratteristiche che mi esprimono la V2pu al variare della I2pu, parametrizzando ciascuna di queste caratteristiche per il fattore di potenza, otteniamo la famiglia delle caratteristiche esterne del trasformatore. Abbiamo detto che l’evoluzione è di tipo lineare, quindi partendo dalla V20, unitaria, al variare del fattore di potenza avremo una famiglia di rette con pendenza positiva o negativa, questo asseconda del carico che si sta alimentando. Ci interessa individuare la retta con pendenza uguale a zero, facilmente determinabile perché la pendenza risulterà nulla, quindi V2' pu = 1 al variare della I’2, per questo caso particolare si avrà una caduta di tensione nulla ∆VPU = 0 Quindi quale è la condizione per cui la caduta di tensione diventa nulla? Sicuramente non certo perché la corrente I2PU diventa nulla: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos (ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 PU diventerà nulla quando il termine (ε r ⋅ cos (ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) diventa uguale a zero quindi : ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 ) = ε r + ε x ⋅ tng (ϕ 2 ) = 0 εr . Questo angolo lo chiamiamo φ*. Si vede che φ* è un angolo ε x da cui Φ = arctg − * negativo per la quale la caduta di tensione risulta essere esattamente uguale a zero al variare delle condizioni di carico. 80 ε Φ* = arctg − r εx Questa condizione di fattore di potenza è una condizione relativa ad un carico di tipo ohmico–capacitivo, infatti siamo in presenza di un angolo negativo. Analizziamo ora l’espressione della caduta di tensione nella sua forma completa: ∆VPU ≅ (ε r ⋅ cos(ϕ 2 ) + ε x ⋅ sin (ϕ 2 )) ⋅ I 2 PU + (ε x ⋅ cos(ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 ))2 ⋅ I 22 PU 2 Viste le ipotesi di lavoro possiamo rappresentare la nostra equazione in questo modo: ∆ VPU ≅ a ⋅ I 2 PU + b ⋅ I 22 PU Questa espressione mi rappresenta una parabola, quindi avremo che l'andamento della caduta di tensione sarà di tipo parabolico e la concavità di questa parabola potrà essere rivolta verso l'alto oppure verso il basso e dipenderà strettamente dal segno della funzione: ε x ⋅ cos (ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 ) in particolare la concavità sarà verso l'alto quando: ε x ⋅ cos(ϕ 2 ) − ε r ⋅ sin (ϕ 2 ) > 0 quindi quando: ε x ⋅ cos (ϕ 2 ) > ε r ⋅ sin (ϕ 2 ) Quindi quando l'angolo ϕ2 è maggiore di 0 ϕ2 < 0 Mentre la concavità sarà verso il basso quando l'angolo ϕ 2 > 0 Secondo la convenzione che noi abbiamo utilizzato ϕ2>0 vuol dire che carico è induttivo e per ϕ2<0 il carico è capacitivo. Andiamo a vedere come abbiamo definito ϕ2 quindi abbiamo che se il carico ohmico induttivo abbiamo che la caduta di tensione è positiva, se il carico è comico capacitivo abbiamo la condizione è esattamente opposta. Ora per capire meglio questa rappresentazione delle caratteristiche esterne in questo diagramma è riportata la 81 caratteristica esterna, da cui si nota quale è l'andamento della tensione sul secondario al variare della corrente parametrizzata in funzione del fattore di potenza. Da questa rappresentazione si vede immediatamente che se il carico e ohmico induttivo abbiamo una concavità verso il basso, e quindi una caduta di tensione positiva, mentre se il carico è comico capacitivo si fa esattamente la condizione opposta la concavità è verso l'alto. Anche in questo caso il digramma ci fa notare che per carichi ohmico-capacivi la V2' pu > 1 quindi il trasformatore presenta una tensione al secondario maggiore di quella presente al primario. Xd I1 Ia V1 R0 1 R1 I I2 I Xd I 2 R2 Im Iµ X0 R I V2 C Scomponiamo la I I2 in due componenti una in fase è una in quadratura con la tensione, la componente di corrente che circola nella resistenza è la parte in fase e mi deve dare una caduta di tensione necessariamente che è positiva. Ricordate che il nostro trasformatore è una macchina nella quale la tensione indotta è legata ovviamente anche alle condizioni di carico, quindi il condensatore presente sul nostro trasformatore, esegue non solo una azione di rifasamento dell'induttanza di dispersione, ma una azione di magnetizzazione del trasformatore che ne aumenta il valore della tensione indotta presente sul trasformatore e che mi compensa questa caduta di tensione, questa azione di magnetizzazione mi porta un incremento della tensione indotta sul secondario, che conseguentemente mi compensa la caduta di tensione sulla resistenza di cortocircuito. Questo è il motivo fisico per cui al variare delle condizioni di carico, a parità di fattore di potenza non si ha caduta di tensione, ma si può arrivare ad avere cadute di tensione negative. Le caratteristiche esterne ci consentono di verificare a parità di fattore di potenza quale è l'andamento della caduta di tensione quando la corrente varia da 0 a I2. 82 Diagramma di Kaap Il diagramma di Kaap analizza sempre la caduta di tensione, ma mantenendo la I I2 costante e facendo variare il fattore di potenza. I carichi possono variare da completamente induttivi a ohmico-induttivi, induttivi, ohmicocapacitivi, capacitivi, quindi il campo di analisi che ci interessa è tra: π π ÷ 2 2 − allora proseguiamo nella costruzione di questo diagramma, abbiamo detto che I I2 è costante, quindi la prendiamo come riferimento, la disponiamo sul nostro asse reale: I2 I Ora, andiamo a calcolare quale è la caduta di tensione. Per calcolare la caduta di tensione potremmo utilizzare o la classica relazione, ∆VPU ≅ (εr ⋅ cos(ϕ2 ) + εx ⋅ sin(ϕ2 )) ⋅ I 2PU oppure rifarci all'equazioni di equilibrio elettrico relative circuito semplificato utilizziando la relazione : V1 = Z CC ⋅ I I2 + V 2I I Se I I2 è costante la quantità j ⋅ X CC ⋅ I 2 rispetto al nostro vettore I I2 è invariata, anche la I quantità R CC ⋅ I 2 sarà sempre la stessa, è costante sia I I2 che Rcc. Quindi rispetto a I questa particolare scelta del sistema di riferimento avremo che Z CC ⋅ I 2 sarà sempre la stessa rispetto a un qualsiasi valore del fattore di potenza, quindi i punti O e O' saranno dei punti invarianti. O Z cc I2 X cc I2 I O I I R cc I2 I I I2 83 Se conosciamo il valore della tensione V1, automaticamente dalle equazioni di equilibrio elettrico conosciamo anche il valore della tensione V2I . Questo è il diagramma vettoriale: I V2 O Z cc I2 V1 X cc I2 I O I I R cc I2 I I I2 Possiamo determinare anche quale è il fattore di potenza, infatti basta traslare la retta parallela alla corrente I I2 in modo tale da farla coincidere con O', questo angolo è proprio il nostro ϕ2, I V2 V1 O Z cc I2 2 X cc I2 I O I I R cc I2 I I I2 84 secondo la convenzione che abbiamo adottato, vediamo che cosa succede quando variamo il fattore di carico ϕ2, siamo sempre su una rete di potenza prevalente quindi V1 sarà costante, Zcc⋅I’2 è una costante quindi al variare del fattore di potenza il vertice di V1 e V2I che sono coincidenti descriveranno una circonferenza il cui centro è O, e il cui raggio è pari proprio a V1. Quindi questa circonferenza mi rappresenterà il luogo dei vertici del vettore V2I al variare di ϕ2 del fattore di carico, come si vede nella seguente figura: I V2 V1 + - 2 2 2 Z cc I2 I O O I X cc I2 I Rcc I2 I I I2 Adesso vogliamo determinare la caduta di tensione. Per definizione la caduta di tensione, non in forma relativa ma in forma assoluta, è uguale a: V1- V2I i moduli di: ∆ V = V1 − V 2I quindi per un generico valore di ϕ2, conosco immediatamente il valore di V2I , per ricavare il ∆V, basta traslare il vettore V1 sino a far coincidere il suo punto di applicazione con O’, poi lo si ruota sino a sovrapporlo con V2I la distanza tra i due fasori mi rappresenta la caduta di tensione, come si fede in figura. 85 V1 ∆V I V2 V1 O Z cc I2 I O I 2 X cc I2 I R cc I2 I I I2 Questo discorso lo posso fare per tutti quanti i fattori di potenza semplicemente considerando una circonferenza che presenta raggio V1 e centro in O e una di raggio V1 e centro in O’. Quindi la distanza tra queste due circonferenze mi dà al variare del fattore di potenza con la corrente costante le cadute di tensione: 86 ∆V ∆V V1 ∆V I V2 V1 + - 2 I O ∆V 2 2 * Z cc I2 I X cc I2 I ∆V O R cc I2 I I I2 ∆V ∆V ∆V ∆V Si ha una caduta di tensione positiva sino ad un certo valore dell'angolo ϕ* , dopo, quando il carico è capacitivo, si ha una caduta di tensione negativa. Per l'angolo ϕ*, relativamente ad una condizione di carico capacitivo, ∆V=0 quindi è una condizione di perfetto equilibrio, se diminuiamo ancora il fattore di potenza abbiamo che la caduta di tensione diventa negativa perché abbiamo che la tensione sul secondario diventa più grande della tensione sul primario. 87 Rendimento dei trasformatori monofase Analizziamo il rendimento dei trasformatori monofase. Per ora abbiamo visto quali sono le caratteristiche elettriche e soprattutto abbiamo visto una delle caratteristiche del trasformatore che è quella di variare la tensione nel passaggio dal funzionamento a vuoto al funzionamento sotto carico e abbiamo visto come la caduta di tensione è funzione sia dell'intensità della corrente che del fattore di potenza. Una altra grandezza che dipende da questi due parametri è il rendimento, andiamo a vedere come e definito questo parametro. Consideriamo il trasformatore come una black box definito come: η= Pout Pin Con Pout potenza in uscita e Pin potenza d'ingresso. La potenza in uscita è elettricamente abbastanza semplice da determinare, se la tensione e la corrente in uscita sono note in modulo e fase il valore della potenza in uscita sarà pari a: Pout = V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 ) la potenza in ingresso è data dalla potenza in uscita più quelle che sono le perdite associata trasformatore, quindi le perdite nel rame PCU e le perdite nel ferro Pfe quindi: Pin = V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) + Pfe + Pcu quindi l'espressione del rendimento è: η= Pout V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 ) = Pin V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 ) + Pfe + Pcu Andiamo ad analizzare sia le perdite nel ferro che le perdite nel rame facendo riferimento al circuito equivalente semplificato: I I2 I1 V1 Zm Z CC I V2 88 Da questa rappresentazione si ricava immediatamente che le perdite nel ferro sono pari alle perdite relative al ramo magnetizzante, se la tensione è costante, perché siamo allacciati a una rete di potenza prevalente, le perdite nel ferro sono uguali a: Pfe = V12 =K R0 I due parametri V12 e R0 sono per definizione delle quantità costanti quindi le perdite nel ferro possono essere considerate al variare delle condizioni di esercizio della macchina costanti. Andiamo ad analizzare le perdite nel rame, queste sono associate alla circolazione della corrente nelle impedenze di dispersione primarie e secondarie quindi sono pari a: I PCU = RCC ⋅ I 2I 2 I con R CC impedenza di cortocircuito moltiplicato il valore della corrente I’2 al quadrato. In questa relazione: I PCU = RCC ⋅ I 2I 2 Notiamo che la condizione di invarianza non è più rispettata, al variare delle condizioni di carico abbiamo che il valore delle perdite nel rame varia, questo svolgerà una certa azione anche sul rendimento del nostro trasformatore. Il nostro scopo è quello di andare valutare quale è la condizione per la quale il rendimento è massimo e quale è l'evoluzione del rendimento al variare della corrente I2. Quindi andiamo a sostituire nella forma del rendimento le espressioni delle perdite nel ferro è nel rame appena ricavate, otteniamo: η= Pout V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) = Pin V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) + Pfe + R CC ⋅ I 22 In realtà questa rappresentazione è una rappresentazione approssimata perché le perdite nel rame sarebbero uguali a: PCU = R 1 ⋅ I12 + R 2 ⋅ I 22 La I1 e I’2 non sono uguali, sono diverse perché c'è la corrente magnetizzante Im ricordatevi che il legame è I1 = I m + I 2 ora in generale le correnti magnetizzanti sono molto piccole, quindi in prima approssimazione possiamo trascurare il termine Im e quindi accorpare tutte e due le perdite e rappresentarla come R CC ⋅ I 22 Andiamo ad analizzare l'espressione del rendimento: η= Pout V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) = Pin V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) + Pfe + R CC ⋅ I 22 Come si può immediatamente notare il valore del rendimento è in funzione anche in questo caso sia del valore efficace della corrente sul secondario, sia del fattore di potenza. 89 Quindi per poter tracciare l'andamento del rendimento bisogna necessariamente fissare uno di questi due parametri. In generale ci interessa soprattutto ricavare come varia il rendimento al variare della corrente in quando il fattore di potenza è costante. Quindi andiamo ad analizzare l'andamento del rendimento quando il cos(ϕ2) è costante. Allora se andiamo a fare questa analisi e si indica con: V2 ⋅ cos (ϕ 2 ) = a otteniamo: η cos (ϕ ) = a ⋅ I2 a ⋅ I 2 + b ⋅ I 22 + c come potete immediatamente notare l'espressione del rendimento in funzione della corrente, quando cos(ϕ2) è costante è dato dal rapporto tra una retta e una parabola, l'andamento che si ottiene per il rendimento in funzione della I2 è un andamento all'incirca fatto così: Il problema è quello di andare a trovare il valore della corrente I2 per la quale si ha un rendimento massimo. Per fare questo non dobbiamo fare altro eseguire la derivata di questa funzione: P V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) η = out = Pin V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) + Pfe + R CC ⋅ I 22 per I2, ed eguagliarla a zero. Allora andiamo a fare il calcolo: [ ] [ ] V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) ⋅ V 2 ⋅ I 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) + P fe + R CC ⋅ I 22 − V 2 ⋅ I 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) ⋅ V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) + 2 ⋅ R CC ⋅ I 2 dη = =0 2 dI 2 V 2 ⋅ I 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) + P fe + R CC ⋅ I 22 [ ] Vediamo che il denominatore è sempre positivo essendo un quadrato, dunque occorre che si annulli il numeratore: [ ] [ ] V2 ⋅ cos(ϕ2 ) ⋅ V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) + Pfe + R CC ⋅ I 22 − V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ2 ) ⋅ V2 ⋅ cos(ϕ2 ) + 2 ⋅ R CC ⋅ I 2 = 0 90 Si può mettere tranquillamente in evidenza V 2 ⋅ cos (ϕ 2 {[ ) quindi ottenere: ] V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) ⋅ V 2 ⋅ I 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) + Pfe + R CC ⋅ I 22 − ⋅I 2 ⋅ V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) − 2 ⋅ R CC ⋅ I 22 = 0 } V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) ⋅ V 2 ⋅ I 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) + Pfe + R CC ⋅ I 22 − ⋅I 2 ⋅ V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) − 2 ⋅ R CC ⋅ I 22 = 0 { } V 2 ⋅ cos (ϕ 2 ) ⋅ P fe − R CC ⋅ I 22 = 0 { } Affinché questa quantità sia nulla abbiamo tre possibilità. La prima è V2=0, ciò non è possibile perché i trasformatori sono realizzate per avere una tensione al secondario diversa da zero. Tensione sul secondario nulla vorrebbe dire potenza erogata sul carico nulla e quindi è una soluzione da scartare e non fisicamente accettabile. Seconda condizione cos(ϕ2)=0, ma se cos(ϕ2)=0 vuol dire che non abbiamo erogazione di potenza attiva ma solo di potenza reattiva, altra soluzione da scartare. 2 Quindi l'unica soluzione accettabile quella relativa alle quantità {Pfe − R CC ⋅ I 2 } = 0 da cui Pfe = R CC ⋅ I 22 Mi dice che affinché il rendimento sia massimo le condizioni di carico devono essere tali da far sì che le perdite nel ferro Pfe siano uguali alle perdite nel rame PCU quindi che si rispetti l'eguaglianza: Pfe = PCU Questa condizione è indipendente dal fattore di potenza, vedete che non dipende dal cos(ϕ2), vale per qualunque condizione, quindi è una condizione valida per tutti i valori del fattore di potenza, per qualsiasi curva parametrizzata in funzione del valore del cos(ϕ2), avremo il rendimento massimo quando le perdite nel ferro Pfe, sono uguali alle perdite nel P =R ⋅ I2 CC 2 può essere espressa anche in funzione della rame PCU. Questa relazione fe corrente I2 in per unit, infatti basta moltiplicare il primo e il secondo membro per la corrente nominale al quadrato: Pfe − R CC ⋅ I 2 2n I 22 ⋅ 2 =0 I2n R CC ⋅ I 22 n è quella quantità che viene indicata come dato di targa ed è la La quantità potenza dissipata nelle condizioni di cortocircuito, cioè relativi alla prova di cortocircuito: PCC = RCC ⋅ I22n la PCC che viene data come dato di targa, allora sostituendo Pfe = PCC ⋅ I22pu Pertanto il valore della I2 in per unit, per la quale si realizza la condizione di massimo rendimento è: 91 I 2 pu = P fe P CC Da questa relazione si vede immediatamente un aspetto fondamentale, che la condizione di massimo rendimento è una condizione definita dalle caratteristiche del trasformatore, cioè dipende dalle perdite nel ferro e dalla perdita in cortocircuito. Quindi quando si sceglie un trasformatore e lo si vuole far lavorare nelle condizioni di massimo rendimento si dove analizzare quelle che sono le condizioni di carico del trasformatore, in base a queste valutare quale è la corrente che mediamente viene erogata dal vostro trasformatore, su questa corrente andare a definire il rapporto Pfe / PCC Quindi si sceglie il tipo di trasformatore che massimizza il rendimento, questa è una operazione che viene fatta per ottimizzare economicamente ed energeticamente la scelta dei trasformatori. Come si può notare la condizione di efficienza massima non ce l’abbiamo per le condizioni di corrente nominale. La condizione di efficienza massima generalmente, nei trasformatori, è compresa tra il 30% e il 50%. Il valore è compreso in questa banda perché le grandezze sono tempo – varianti (e sono più o meno sempre comprese in questa fascia). Si fa un discorso di media di assorbimento dei carichi. In media l’energia che viene assorbita dalla macchina è pari al 50% della sua potenza nominale per il tempo di completo funzionamento. Conoscendo le condizioni di massima efficienza posso adattarle via via alle condizioni di utilizzo e alla taglia del trasformatore. L’andamento del rendimento in funzione della I2’pu presenta un massimo per I 2pu = PFe Pcc per un cosφu costante. Al crescere del cosφu cresce anche l’efficienza. Il ' pu punto di massimo è pero sempre lo stesso (si ha per la stessa I 2 ), si ha una famiglia di parabole tutte con il massimo centrato per lo stesso valore di corrente. Con questo abbiamo definito due delle caratteristiche più importanti del trasformatore, ossia la caratteristica esterna e l’efficienza. 92 Trasformatore trifase Lezione del 9/11 (segue all'esercitazione) Brevi richiami alle strutture del nucleo ferromagnetico che vengono utilizzate nei trasformatori. Abbiamo già studiato nelle lezioni precedenti la struttura che prende il nome di stella complanare, che nasce dall'esigenza di riprodurre dal punto di vista dei nuclei ferromagnetici la stessa simmetria che si ha nei sistemi elettrici, ove c'è la necessità di realizzare delle terne di tensione simmetriche (dirette od inverse che siano), cioè terne in cui le grandezze tensioni siano sinusoidali e sfasate tra loro di 120° elettrici. Per riproporre la stessa simmetria nel settore magnetico si cerca di configurare i 3 trafo monofasici di partenza con una struttura geometrica che risulti essere anch'essa simmetrica e quindi con uno sfasamento angolare tre i tre trafo di 120°. Fatto ciò si ottiene la struttura appunto del trasformatore a stella, già visto, in cui i 3 trafo si compenetrano per formare la figura stella, che è già una struttura alleggerita sulla quantità in ferro avendo eliminato 2 delle 6 colonne presenti nei trafo monofase; se poi supponiamo che l'alimentazione risulti essere simmetrica, la terna delle tensioni farà sì che i flussi circolanti nei trafo siano anch'essi simmetrici (avremo una terna di flussi simmetrica ΦA, ΦB, ΦC) e quindi nella colonna centrale, parte comune ai tre trafo circoleranno i tre flussi a somma nulla se il sistema è simmetrico: quindi si può sopprimere la colonna centrale, non interessata ad alcun flusso dal punto di vista magnetico (non vi è né flusso né caduta di tensione magnetica): sopprimendo la colonna centrale c'è una riduzione del ferro del 50% per quanto riguarda le colonne; se poi si decide di perdere in simmetria per motivi prettamente economici, poiché la struttura a stella ha problemi di ingombro e difficoltà costruttive nei giunti a 120° dei lamierini ove si incastrano, con costi relativi alti, si complanarizza la struttura: la si proietta su un piano che risulti essere disposto su una delle colonne (vedi figura 1, colonna B) ed ortogonale al suo giogo. Quindi proiettando il trafo su questo piano avremo che il trafo B viene trasformato in una sola colonna, gli altri 2 trafo porteranno alla formazione della struttura a stella complanare: si è perso nella simmetria geometrica di distribuzione dei campi ma si guadagna in semplicità costruttiva: il nucleo ferromagnetico avrà 3 colonne e 4 gioghi, con notevole risparmio di ferro. I problemi creati dalla perdita di simmetria geometrica dal punto di vista magnetico: il trafo A ha solo una colonna e 2 gioghi, come il trafo C, mentre il trafo B è costituito da 1 sola colonna; quindi applicando le stesse tensioni e sottoponendo il trafo agli stessi flussi, avremo che essi circoleranno in circuiti magnetici a diversa riluttanza e quindi caratterizzati da correnti magnetizzanti differenti ( B avrà la corrente più piccola di A e C). Per ovviare a questo squilibrio nei dati di targa figura la media delle 3 correnti misurate, che se rilevate però strumentalmente e singolarmente avranno diversi valori. E' una struttura efficace per alimentazioni simmetriche e carichi equilibrati; se però il carico è squilibrato, ed in particolare se i carichi squilibrati determinano la circolazione di correnti omopolari, risulta la 93 condizione di tensioni indotte e flussi omopolari: per costruzione la struttura non consente la circolazione di flussi omopolari, essendo stata soppressa l'unica colonna in cui originariamente era consentito il passaggio del flusso omopolare (quella centrale) che quindi circolano esclusivamente in aria (vedi figura 2). Quindi la permeanza magnetica ai flussi omopolari in questo tipo si trafo risulta essere molto bassa, il che può essere un vantaggio per alcuni aspetti, uno svantaggio per altri, analizzati nel corso di macchine 2. Ora analizziamo il trafo dal punto di vista delle tensioni: su ogni colonna viene applicata la tensione di fase, pari a jωN₁Φ: noto N e poiché nelle colonne circolano i flussi ΦA, ΦB, ΦC, è nota anche la sezione, essendo Φ=BS: definito il punto di lavoro del ferro è automaticamente definita la sezione della colonna, e poiché i flussi di colonna sono all'incirca pari a quelli dei gioghi, le due sezioni saranno uguali: la struttura ferromagnetica del trafo a stella complanare avrà le sezioni del ferro uguali (anche se in realtà per motivi economici e di trasporto si tende a far saturare il ferro nei gioghi, che risulteranno quindi più sottili). Vediamo ora la configurazione a triangolo, derivandola dall'altra configurazione elettrica simmetrica: dovremo realizzare una struttura che porti ad avere una stessa configurazione geometrica, e compenetrando i tre trasformatori si ottiene un prisma (vedi figura) a base triangolare. Ciascuna colonna risulta essere quella in cui verranno realizzati gli avvolgimenti. E' ancora una struttura voluminosa e di difficile realizzazione (angoli di 60° tra i gioghi), economicamente svantaggioso, per cui anche in questo caso si complanarizza la struttura: la si taglia (in a-b, in alto ed in basso) così che il flusso che circolava prima all'interno dei triangoli continui a circolare nel ferro realizzando delle connessioni per la richiusura dei flussi e la si complanarizza: avremo una struttura sia con le 3 colonne di partenza (A, B, C) che le colonne di chiusura (1, 2). Questo trasformatore così ottenuto prende il nome di trasformatore a 5 colonne. Vantaggi: le sezioni delle colonne risultano essere sqr3 volte superiori di quelle dei gioghi; un eventuale flusso omopolare presente si evolve nel ferro; quindi dal punto di vista del comportamento ai carichi squilibrati questo trasformatore si comporta esattamente come 3 trasformatori monofase (permeanza ai Φ omopolari molto elevata). Un'altra struttura da analizzare è quella a mantello (o corazzato), sempre trifase, ottenibile sovrapponendo (e compenetrando) in cascata 3 strutture identiche di trasformatori monofasici a mantello. Sono obbligatorie particolari considerazioni sul senso degli avvolgimenti perché si possono avere sezioni dei gioghi uguali o differenti. 94 Trasformatore trifase e autotrasformatore Lezione 13-11-2006 Vincenzo Nella lezione precedente abbiamo incominciato ad analizzare una particolare struttura di trasformatore trifase e ci siamo concentrati sulla struttura del trasf. trifase con nucleo ferromagnetico a cinque colonne e abbiamo detto che il trasf. trifase con nucleo a cinque colonne puo’ essere considerato una complanarizzazione del trasf. trifase ottenuto dalla compenetrazione a triangolo di tre trasformatori monofasi e la struttura risulta essere fatta in questa maniera: Vogliamo studiare che cosa accade a questa struttura e quali risultano essere le dimensioni fisiche fra delle varie parti quando viene alimentato con una terna di tensioni simmetrica. Le colonne centrali risultano essere quelle disposte più all’interno della nostra struttura quindi su queste andremo ad analizzare i nostri avvolgimenti e avremo: avvolgimento primario della fase r, avvolgimento primario della fase s e avvolgimento primario della fase t. Ipotizziamo di alimentare il nostro sistema con una terna di tensioni simmetriche: quindi le tensioni di fase che andiamo ad applicare su ciascuna delle tre bobine costituisce una terna simmetrica, quindi abbiamo: i valori efficaci della tensione valgono: V ≈ ωN1Ф si ricava immediatamente che il legame che lega la tensione e il flusso è diretto, in piu’ sappiamo che il legame vettoriale è dato da una rotazione di 90°(V ≈ jωN1Ф) quindi se applichiamo una terna di tensioni simmetriche corrisponderà una terna di flussi simmetrici ruotati di 90° nel senso degli anticipi in questo caso particolare. 95 I flussi applicati sul sistema potranno a loro volta considerarsi una terna simmetrica ФA ,ФB ,ФC Su ciascuna delle colonne dove sono posti gli avvolgimenti avremmo tre flussi ФA ,ФB ,ФC I flussi successivamente tenderanno ad evolversi all’interno dei gioghi e quindi avremmo che la distribuzione dei flussi risulterà essere fatta cosi’ seguendo un percorso ordinato,quindi potremmo individuare un flusso Ф1,un flusso Ф2 che circola nel giogo tra la colonna A e B, un flusso Ф3 che circola tra la colonna B e C,e un flusso Ф4 che si richiude attraverso la colonna laterale. Quindi abbiamo una distribuzione magnetica del sistema cosi’ fatto: 96 Analisi magnetica. Applichiamo la condizione di solenoidaleità a ciascun cociclo, cioè a ciascun punto dove convergono i flussi di colonna e i flussi di giogo: Si ricava che il flusso della colonna a risulta essere(siamo in condizioni di alimentazione sinusoidale possiamo utilizzare le rappresentazioni simboliche): ΦA=Φ2+Φ1 ΦB=Φ3+Φ2 ΦC=Φ4+Φ3 Se osserviamo il cociclo piu’ esterno otteniamo: ΦA+ΦB+ΦC = Φ4+Φ1 Siccome abbiamo applicato,per ipotesi, una terna di flussi simmetrica ΦA+ΦB+ΦC=0 Allora: 0=Φ4+Φ1 ΦC=Φ1+Φ3 97 i flussi Φ1 Φ2 Φ3 risultano essere combinazione di ΦA ΦB ΦC di conseguenza se da una terna di vettori otteniamo una terna di vettori simmetrici sicuramente la terna di partenza sarà simmetrica quindi i flussi Φ1 Φ2 Φ3saranno una terna simmetrica e dovremmo vedere in che relazioni stanno con il flusso ΦA ΦB ΦC Questo perche’ ΦA ΦB ΦC sono legati dalla tensione quindi conoscendo l’entità del flusso ΦA potremmo determinare l’entità dei flussi Φ1 Φ2 Φ3 . Per ricavare Φ1 faccio differenza a due a due: ΦA-ΦB=Φ2-Φ1-Φ3+Φ2 ΦB-ΦC=Φ3-Φ2-Φ1+Φ3 ΦC-ΦA=Φ1-Φ3-Φ2+Φ1 Se un sistema e’ simmetrico: Φ1+Φ2+Φ3=0 Da cui: ΦA-ΦB=3Φ2 ΦB-ΦC=3Φ3 ΦC-ΦA=3 Φ1 Graficamente si ha : ΦA-ΦB vettore che risulta essere √3 ΦA e sfasato rispetto a ΦA di 30° nel senso degli anticipi, quindi conosciamo direttamente il valore del vettore ΦA-ΦB ma quello che ci interressa oltre alla fase è l’ampiezza, quindi: ΦA-ΦB=√3 ΦA=3 Φ1 Φ1=ΦA/√3 ΦA=√3Φ1 Si ottione che la terna dei flussi risultanti risulta essere ruotata rispetto alla terna dei flussi di colonna di un angolo di 30°, si ottiene che l’ampiezza dei flussi di giogo risulta essere legata ai flussi di colonna da un fattore √3 . Questa relazione ci consente di individuare quale deve essere il rapporto fra le sezioni di colonna e le sez. di giogo, infatti sappiamo che generalmente noi facciamo lavorare il ferro in tutto il nucleo 98 ferromagnetico nelle stesse condizioni cioè allo stesso valore di induzione quindi vanno divisi in tutti i punti del nucleo ferromagnetico e non risulta essere lo stesso. Il legame tra Φ e B è: Φ=BS Quindi avremo che ΦA risulta essere il valore del flusso nella colonna A ma è uguale in tutte le colonne quindi risulta essere: BSC= Φ1=√3 BSg Vogliamo stesso valore di B nel nucleo ferromagnetico SC=√3 Sg Con questo tipo di nucleo ferromagnetico noi possiamo far in modo che in condizioni di funzionamento a regime e con un sistema di tensioni applicato simmetrico il nucleo ferromagnetico lavori nelle stesse condizioni facendo le sezioni di colonna √3 volte piu’ grandi delle sez. di giogo. Andiamo a ridurre il ferro,l’ingombro quindi il costo relativo ai gioghi superiori e inferiori e alle colonne laterali. Questo risulta essere un vantaggio nel nucleo a stella complanare nel quale invece si aveva una uguaglianza delle sezioni di giogo e delle sez. di colonna. Un altro vantaggio relativamente a questa configurazione tra il nucleo a stella complanare e il nucleo a cinque colonne e che nell’ipotesi in cui il sistema risulti essere sottoposto alla circolazione di flusso omopolare quindi ΦA+ΦB+ΦC=3 Φ0 in questo caso i flussi Φ4 e Φ1 cioè i flussi più esterni non risultano essere più uguali ciò vuol dire che la componente omopolare di flusso circolante su ciascuna colonna tende a sommarsi singolarmente in ciascun giogo per dar luogo a una differenza tra il flusso nella colonna 1 rispetto al flusso della colonna 5. Nel trasf. a cinque colonne la presenza di un flusso omopolare determina la circolazione di flussi in ferro e non come capitava nei nuclei a stella complanare dove i flussi omopolari circolavano in aria. Nel nucleo a cinque colonne i flussi omopolari evolvono all’interno del nucleo ferromagnetico mentre nei nuclei a stella complanare non evolvono nel nucleo ferromagnetico ma evolvono all’esterno secondo i percorsi in aria. Da un punto di vista impiantistico vi differenzia l’impedenza omopolare del trasf.. L’impedenza omopolare del nucleo a cinque colonne risulta essere uguale a quella di magnetizzazione. Trasformatore con nucleo ferromagnetico a mantello Struttura nucleo a mantello nei trasf. monofasici: Abbiamo due colonne laterali di sezione pari alla metà che vengono raccordate mediante due gioghi, nella colonna centrale abbiamo l’avvolgimento 1°-ario e avvolg. 2°-ario. Le sezioni devono 99 essere esattamente la metà perche’ il flusso circolante nella colonna separava le due aliquote, ΦC/2, in virtù della geometria del sistema. Nel trasf. trifase con nucleo ferromagnetico a mantello si riproduce questa struttura e si dispongono i trasf. a mantello uno sopra l’altro in modo tale da realizzare un unico trasformatore chiamato trasf. trifase a mantello e la struttura che si ottiene è: Analizziamo l’evoluzione dei flussi relativi al trasf. A e B perche’ il discorso risulta riproponibile. Ipotizziamo di alimentare i tre trasf. in modo congruente con i morsetti definiti secondo la convezione di mutuo accoppiamento positivo. Ipotizziamo di alimentare il nostro sistema con una terna di tensioni simmetriche e ipotizziamo di prevedere una terna di flussi anch’essa simmetrica . Nelle colonne centrali circoleranno i flussi di colonna, i flussi di colonna poi si suddivideranno in un aliquota esattamente pari alla metà. Su ciascuna colonna laterale e su ciascun giogo interno circolerà un flusso che sarà pari al flusso di colonna relativo/2. I flussi risultano essere sempre sfasati uno rispetto all’altro di 120° percio’ : 100 Nei gioghi superiori e inferiori siamo sicuri che i flussi circolanti risultano essere pari ai flussi di colonna A e C diviso 2. Nelle colonne esterne siamo sicuri che i flussi saranno pari a ΦA/2,ΦB/2 e ΦC/2. Nei gioghi che definisco interni si ha la comunanza tra il trasf A e B e trasf. B e C. Nei gioghi interni sono presenti i due flussi sia ΦA/2 che ΦB/2 e secondo la convenzione che abbiamo adottato i due flussi sono opposti quindi all’interno del giogo interno circolerà un flusso che risulterà essere pari a ΦA/2-ΦB/2 , la combinazione dovrà essere vettoriale perché sono sfasati di 120° elettrici conseguentemente avremo che il flusso ΦA/2-ΦB/2 mi darà un flusso di giogo interno che risulterà√3 volte superiore. Quindi se noi alimentiamo secondo questa procedura sicuramente dovremo fare in modo che le sezioni dei gioghi più interni risultino essere√3 volte superiore rispetto a quelle dei gioghi esterni e delle colonne laterali . Questo problema si può scavalcare se invece di alimentare secondo la convezione ,in modo diretto, si utilizza un’alimentazione alternata. Cioè invece di fornire la tensione come abbiamo scelto ,scegliamo di applicare la tensione positiva sul primo trasformatore invertiamo la tensione sul secondo trasformatore e lasciamo sul terzo trasf. lo stesso tipo di alimentazione. Facendo cosi’ si invertirà il senso del flusso, quindi il verso che generalmente era positivo per la tensione sarà l’opposto: 101 A questo punto i flussi risultano essere concordi, nei gioghi laterali non circolerà più il flusso ΦA e ΦB ma la somma ΦA+ΦB che risulta essere ΦC/2 cambiato di segno per la simmetria del sistema. Sezione di colonna metà della sez. di colonna centrale e questo è un ulteriore risparmio nel dimensionamento del trasf. Alimentazione alternata : la colonna interna viene alimentata con segno inverso, questo fa si che il volume del trasf. si riduca ulteriormente e quindi si riduca il costo. Fra le tre strutture di nucleo ferromagnetico quella utilizzata maggiormente è quella a stella complanare nelle applicazioni dei trasf. MT-BT, perche’ nel trasf. a stella complanare l’utilizzo di carichi squilibrati soprattutto carichi monofase sul lato bassa tensione viene tollerato meglio. Nel caso di trasf. MT-AT, dove c’e’ grande potenza e c’e’ necessita’ di controllare tutte le componenti di sequenza sia inversa che omopolare si utilizza un nucleo ferromagnetico a cinque colonne. Nel nucleo a mantello i flussi omopolari circolano in ferro(è come se fossero tre trasf. monofasi sovrapposti l’uno sull’altro) dal punto di vista dell’impedenza omopolare seguono la stessa legge dei nuclei magnetici a cinque colonne. Autotrasformatore Vincenzo L’autotrasformatore è una struttura trasformatorica nella quale il 1°-ario e il 2°-ario sono perfettamente compenetrati, cioè l’avvolgimento 2°-ario viene completamente a costituire parte dell’ avvolg. 1°-ario. E’ una struttura che ha grande importanza dal punto di vista energetico perche’ consente di realizzare la trasformazione di tensione e corrente realizzando le condizioni di efficienza più elevate. Se gli avvolg. 1°-ario e 2°-ario sono uno parte dell’altro abbiamo che l’efficienza tende ad aumentare, le strutture risultano essere notevolmente piu’ compatte perché avendo invece che due bobine una sola bobina la struttura ferromagnetica e la struttura elettrica possono essere notevolmente più piccole quindi si ha una riduzione in ferro e una riduzione in rame e quindi anche una riduzione in costo .Lo svantaggio e’ quello che si perde nell’isolamento galvanico ,non abbiamo più una separazione galvanica netta tra avvolgimento 1°-ario e avvolg. 2°-ario. 102 Abbiamo un avvolg. 1°-ario costituito da N1 spire e l’avvolg. 2°-ario viene dedotto dall’avv. 1°-ario risulta essere una parte delle N1 spire. Avvolg. 2°-ario: N1-N1 La struttura ha la stessa forma di un partitore di tensione con il vantaggio che da un punto di vista dissipativo, essendo un partitore induttivo, non ha le problematiche di efficienza associate a un partitore resistivo. Definiamo il valore della tensione impressa al 2°-ario e il valore della tensione in uscita al 2°-ario, al 1°-ario deve essere applicata la convezione degli utilizzatori(la corrente risulta essere in ingresso), mentre nel 2°-ario la corrente risulta essere in uscita secondo la convezione dei generatori. Abbiamo un avolg. che è soltanto un avvolgimento primario e un avvolgimento che è in comune con il 1°-ario e 2°-ario e per questa ragione definiamo il numero di spire relative all’avvolg. serie:NS NS =N2-N1 mentre il numero di spire comuni dell’avvolg. 1°-ario e 2°-ario risulta essere uguale a N2(numero di spire comuni = NC ). Al num. di spire serie e al num. di spire comuni sarà associato dei flussi di dispersione delle resistenze proprie delle N1 spire delle NC spire quindi potremmo definire per le N1 spire e per le NC spire delle impedenze di dispersione serie e impedenze di disp. comune . Funzionamento a vuoto. Equazione equilibrio elettrico al primario: V1+E10 =ZSI10 +ZC I10 V1=(ZS+ZC)I10+ j ω N1 Φm0 E10=tensione indotta=-j ω N1 Φ10 103 Si ricava: V2+E20 =ZC I10 V2=ZC I10 - E20 V20=ZC I10+ j ω N1 Φm0 equaz. di equilibrio elettrico al 2°-ario Nel trasf. quando il funzionamento risultava essere un funzionamento a vuoto sull’avvolg. 2°-ario non circolava più una corrente, qui invece a causa dell’accomunanza dell’avvolg. comune tra 1°ario e 2°-ario abbiamo una circolazione di corrente e anche noto che le macchine costruttivamente vengono costruite in modo tale che le impedenze risultino essere piccole rispetto all’impedenza base e le correnti a vuoto sono piccole rispetto alla corrente nominale del trasf. quindi generalmente le cadute di tensione nelle impedenze di dispersione nelle condizioni di funzionamento a vuoto possono essere trascurate rispetto alle tensioni che vengono indotte dai flussi di mutua quindi: V1= j ω N1 Φm0 V20 ~ j ω N2 Φm0 (V1/ V20) ~ (N1/ N2) con la struttura autotrasformatorica continuiamo ad ottenere la relazione caratteristica dei trasf. il rapporto tra la tensione secondaria a vuoto e primaria risulta essere legata sempre al rapporto di trasformazione modello autotrasf. quando colleghiamo un carico e circuito equivalente: 104 Collegando un carico sul trasf. circolerà una corrente I2, sulla parte di spire in comune circolerà I1 e sulla parte dell’avvolg. comune circolerà IC, non potremmo piu’ avere perfetta uguaglianza con la corr. I1 e con la corrente che circola nelle N1-N2 spire perché stiamo assorbendo corrente per alimentare il carico. I1= IC + I2 1° equazione: V1=ZS I1 +ZC IC+j ω N1 Φm 2° equazione: V2=-ZC IC +j ω N2 Φm Il flusso Φm è prodotto delle forze magnetomotrici presenti sul sistema NSI1 +NC IC Siamo abituati ad associare alla corrente magnetizzante un verso di corrente fittizia, la corrente magnetizzante era quella corrente che circolava nell’avvolg. primario mi produceva il flusso che era presente nelle condizioni di funzionamento sotto carico. La corrente magnetizzante circolante nell’avvolg. primario mi introduceva la stessa forza magnetomotrice prodotta dall’avvolg. primario e secondario. Potremmo dire che: NSI1 +NC IC = N1Im Im corrente magnetizzante che circolando nell’avvolg. primario mi produca lo stesso effetto (N1-N2 )I1+N2IC = N1I1-N2I2 =N1Im Abbiamo ottenuto che formalmente la forza magnetomotrice necessaria a sostenere il flusso Φe risulta essere formalmente identica a quella che abbiamo visto nei trasf. . 105 Se vale lo stesso discorso dei trasf. potremmo associare la tensione indotta al flusso di mutua la c.d.t. sull’impedenza di magnetizzazione V1=ZS I1 +ZC IC+Z0 Im V2=-ZC IC+( N2/N1)Z0 Im N1I1-N2I2 =N1Im Il modello matematico dell’autotrasformatore si discosta di un poco da quello del trasf. infatti abbiamo delle grandezze primarie che rientrano anche nelle equazioni del 2°-ario quindi bisogna cercare di rendere il modello congruente e eseguire quelle che sono le operazioni di trasformazione che abbiamo visto nel trasf.. quindi modifichiamo queste relazioni per avere un modello vicino a quello ottenuto per il trasf. . Trasformiamo le equazioni di equilibrio elettrico al primario in modo tale che compaiano grandezze solo del 1°-ario: V1=ZS I1 +ZC (I1-I2)+Z0 Im I1=( N2 /N1) I2+Im I2‘=(N1 /N2) (I1-Im) Sostituendo nella prima eq. : V1=ZS I1 +ZCI1- ZC (I1-Im)(N1 /N2)+Z0 Im =[ ZS+ZC (1- (N1 /N2) ) ]I1+(Z0+ ZC(N1 /N2)) Im =[ ZS-ZC ((N1 /N2)-1 ) ]I1+(Z0+ ZC(N1 /N2)) Im V2= -ZCI1+ ZCI2 +(N2 /N1) Z0Im = -ZC(N2 /N1)I2+ ZCIm +ZCI2+(N2 /N1) Z0Im vogliamo ottenere un’equazione di equilibrio elettrico sul 2°-ario. (V1/ V20)= (N1 /N2) V2’= (N1 /N2) V2 I2’= (N2 /N1) I2 (implica) (V2’/ V2)= (N1 /N2) Moltiplicando N1 /N2 sia il primo che il secondo membro V2’= -ZCI2-ZC(N1/N2)Im+ZC(N1/N2)I2+Z0Im V2’= -ZC(N1/N2)I2’+ZC(N1/N2)Im+ZC(N1/N2)2I2’+Z0Im = -ZC(N1/N2)( (N1/N2)-1)I2’+(ZC(N1/N2)+Z0)Im = -ZC(N1/N2)( (N1/N2)-1)+ZC(N1/N2)+Z0)Im 106 Abbiamo riportato il circuito equivalente dell’autotrasf. nella forma simile a quella del trasf. in cui c’è un termine comune che è quello di magnetizzazione e un termine di dispersione che risulta essere diverso dal primario al secondario, non abbiamo più una struttura a π. Il circuito equivalente dell’autotrasformatore: ci siamo portati ad una struttura simile a quella del trasf. dove l’unica differenza e che abbiamo ottenuto un ramo magnetizzante in cui la parte attiva in termini del flusso risulta essere la tensione effettivamente indotta, poi c’è una parte comune che ovviamente partecipa anche sull’elemento di dispersione perché i flussi di dispersione nella parte comune costituiscono un elemento comune sia nell’avvolg. primario sia secondario quindi pur essendo un flusso di dispersione deve essere neccesariamente presente in quello che noi avevamo chiamato ramo di magnetizzazione. Se si fanno dei conti più complicati si puo’ dimostrare che trascurando la caduta di tensione prodotta sull’impedenza di dispersione primaria dovuta dalla corrente magnetizzante la struttura equivalente dell’autotrasf. tende a semplificarsi e si riporta a una struttura a γ : 107 L’autotrasformatore rispetto al trasf. non presenta una struttura simmetrica perché il valore dell’impedenza serie e il valore dell’impedenza comune possono assumere valori diversi, risulta essere una struttura in cui assume notevole importanza il parametro N1/N2 Quanto più questa quantità risulta essere vicina all’unità tanto più piccola risulta essere il valore dell’impedenza di cortocircuito, se N1/N2=0.5 si ha 0.5-1=0.5 che al quadrato sara’ 0.25 quindi abbiamo un effetto di riduzione di impedenze di tipo comune quanto più il rapporto di trasformazione risulta essere prossimo all’unità . L’autotrasformatore presenta delle caratteristiche eccezionali in termini di efficienza quanto più il valore del rapporto di trasformazione risulta essere vicino all’unità ,cioè quanto più il rapporto di trasformazione risulta essere compreso fra 2 e 0.25. Questo tipo di macchina viene utilizzato nelle interconnessioni laddove il rapporto di trasformazione non deve essere troppo elevato ma dove i flussi di potenza risultano essere molto grandi e di conseguenza le efficienze diventano importanti . Si dimostra che gli autotrasf. a parità di funzionamento risultano essere più performanti dei trasf. secondo un rapporto proprio dato da questa quantità(N1/N2). Facciamo un analisi comparativa fra l’autotrasf. e il trasf. e ipotizziamo di voler valutare le perdite nel rame nei due ipotizzando di far lavorare il rame esattamente nella stesso modo cioè con lo stesso valore di densità di corrente . Calcoliamo le perdite nel rame del trasf. e nell’autotrasf. prima nel primario poi nel secondario. Perdite nel trasf. nel primario: Pa1=R1I12 = ρ (lsp)/S(N1-N2) I12 ma I1= σS La resistenza R1 dell’autotrasf. è resistenza dell’avvolg. serie, quella parte dell’avvolg. propria dell’avvolg. 1 dove lsp = lunghezza ciascuna spira Pa1=R1I12 = ρ (lsp)/S(N1-N2) I1σS Pt1=ρlspN1I1σS (Pa1/ Pt1)=((N1-N2)/ N1)=1-(N2-N1) 108 Se N1/N2=0.5 l’autotrasf. dissipa la metà del trasf. . La potenza dissipata sul secondario: Pa2=ρlspN2ICσ Pt2=ρlspN2I2σ Ricordando che: IC=I1-I2 Im=I1-(N2/N1)I1 Se ipotizziamo di trascurare la corrente magnetizzante perché sappiamo che è una quantità piccola perciò approssimando possiamo dire che: I1~(N2/N1)I2 Percio’: IC=I1-I2~((N2/N1)-1)I2 Facendo il rapporto: (Pa2/ Pt2)= IC/I2 =(N2/N1)-1 (Pa1/ Pt1)=(N1-N2)/ N1=1-(N2/ N1) A parte il segno praticamente abbiamo che le espressioni risultano essere identiche,quindi la somma di queste due quantità mette in evidenza che la potenza che risulta complessivamente dissipata da un trasf. in rame e da un autotrasf. stanno nel rapporto 1-(N2/ N1) Se realizziamo rapporti di trasformazioni che risultano vicini all’unità otteniamo delle differenze tra l’autotrasf. e il trasf. che risultano essere sostanziali. Facendo N2/ N1 =0.5 abbiamo che il rapporto risulta essere il 50% cioè perdite nel rame che risultano essere del 50%, questo ci fa aumentare l’efficienza. Non abbiamo più l’avvolg. primario e secondario , abbiamo un unico avvolg. e abbiamo una sezione che è un ingombro che risulta essere più piccolo quindi l’autotrasf. avrà bisogno di lunghezze di giogo che sono più piccole e quindi tutta la struttura risulterà essere più compatta. Se andiamo a vedere quale risulta essere la corrente che circola nell’elemento comune si ricava che IC =((N2/N1)-1)I2 quindi il valore di corrente risulterà essere la metà del valore di corrente che circola nel pari trasf. nell’elemento comune e quindi a parità di densità di corrente la sezione che si può utilizzare risulterà essere la metà. Avremo risparmio nel ferro,nel rame perché non abbiamo più un avvolg. secondario ma abbiamo che anche le sezioni comuni potranno essere dimensionate per essere più piccole a parità del punto di lavoro come densità di corrente. Nel caso in cui i rapporti di trasformazioni desiderati non siano elevati ma siano bassi(N1/N2~ 0.5 ), l’efficienza risulta essere veramente elevata, ecco perché nei sistemi di interconnessione si utilizzano gli autotrasf.. L’autotrasf. è meno ingombrante ha un’efficienza sicuramente superiore, costa a parità di potenza di meno, è una struttura più compatta quindi è facilmente trasportabile e ha come unico svantaggio il fatto che non realizza la separazione galvanica oltretutto la modellizazione circuitale risulta essere un po’ più complessa e anche le prove che devono essere fatte per ricavare i parametri del circuito equivalente risultano essere un po’ più delicati 109 110 Macchine elettriche rotanti Generalità Principi di conversione dell’energia elettromeccanica Lo studio delle macchine elettriche rotanti si basa sul processo di conversione dell'energia elettrica in meccanica (motori) e dell'energia meccanica in elettrica (generatori). La conversione dell'energia elettrica in energia meccanica si basa sulla legge di conservazione dell'energia, essa ci dice che l'energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma. Nelle macchine elettriche possiamo distinguere tre diversi tipi di sistemi: sistemi di tipo elettrico, di tipo magnetico e di tipo meccanico. Non è quindi possibile ottenere la conversione diretta dall'energia elettrica in energia meccanica senza una trasformazione intermedia in energia magnetica. La sorgente di energia della macchina sarà il tipo elettrico e si considera positiva l'energia erogata dal sistema elettrico(convenzione dei generatori), mentre per i sistemi magnetici e meccanici si considera positiva l'energia assorbita dal campo magnetico e l'energia sviluppata dal sistema meccanico. Il flusso energetico è diretto quindi dal sistema elettrico a quello magnetico ed infine a quello meccanico. (il processo è totalmente reversibile applicando un'energia meccanica) Il principio di conservazione dell'energia in questo caso ci dice che l'energia erogata dal sistema elettrico deve essere uguale alla somma dell'energia immagazzinata nel campo magnetico più l'energia sviluppata dal sistema meccanico: We = Wmg + Wme Questa equazione sarà valida non solo in termini assoluti ma anche in termini differenziali. Ciò significa che ogni volta che ci sarà una variazione di energia elettrica erogata, questa variazione si rifletterà sull'energia magnetica e meccanica: dW = dW + dW equazione di bilancio energetico in termini differenziali e mg me Ciascuno dei sistemi in analisi è caratterizzato da processi dissipativi, ovvero dalla conversione irreversibile di parti di energia in energia termica. Nei bilanci energetici che effettueremo si prenderanno in considerazione sempre energie al netto, ovvero le energie depurate dalle perdite. Questo perché l'energia che viene persa sotto forma di energia termica non entra in gioco nel processo di conversione che ci interessa, di conseguenza nell'equazione di bilancio non verranno prese in considerazione: l'energia dissipata per effetto joule nei sistemi elettrici, l’energia dissipata per isteresi e correnti parassite nei sistemi magnetici e l'energia dissipata per attrito nei sistemi meccanici. Dobbiamo trovare delle relazioni che definiscano le tre variazione di energia elettrica, magnetica e meccanica. 1 Facciamo riferimento ad una particolare struttura elettromeccanica. Questa struttura e denominata ancoretta, questa viene generalmente utilizzata nei contattori per aprire e chiudere un circuito elettrico. Se in t=0 commutiamo l'interruttore, il circuito elettrico verrà chiuso e vi circolerà una corrente a regime pari a I=V/R. A questa corrente sarà associata una forza magneto motrice pari a: f .m.m. = N ⋅ i = ℜ ⋅ φ Il flusso φ avrà l'andamento in figura che si suddivide nelle due aliquote φ 2 Se la struttura mobile non è vincolata, essa per effetto della f.m.m. sarà attratta verso la struttura fissa e tenderà a ridurre il traferro. A man mano che il traferro diminuisce si ha una riduzione dell'energia magnetica immagazzinata nel campo a favore dell'energia meccanica, visto che, a causa della scarsa permeabilità magnetica dell'aria, energia magnetica immagazzinata e soprattutto nel traferro. Quindi il traferro è la regione in cui viene immagazzinata la maggior quantità di energia magnetica, la sua riduzione è dunque la causa della variazione di energia magnetica. Calcolo dell’energia elettrica Con la legge di Kirchoff si analizza il circuito elettrico presente nella struttura elettromeccanica, si ha: V + E = R ⋅ I , dove V è la tensione impressa, E è la tensione indotta, R è la resistenza propria del circuito e I la corrente che vi circola. La potenza elettrica è esprimibile come derivata dell'energia rispetto al tempo. P= dWe ⇒ dWe = P ⋅ dt dt Dato che la potenza dei sistemi elettrici a data da: VI + EI = RI 2 dWe = VI dt = RI 2 dt − EIdt Considerando soltanto l'energia netta si ottiene la seguente relazione: dW = − EIdt e andando sostituire si ottiene un'energia pari a: 2 Per la legge di Lenz, la tensione indotta risulta essere pari a: E =− dλ , dove dt dλ rappresenta la variazione di flusso concatenato, andando a sostituire si ottiene che la variazione di energia elettrica al netto delle perdite risulta essere: dWe = dλ Idt = I ⋅ dλ dt Calcolo dell’energia magnetica Per calcolare le variazioni di energia magnetica è utile ricordare che i campi magnetici sono dei campi conservativi, l'energia magnetica è quindi una grandezza di stato e dunque le sue variazioni non dipendono dal particolare percorso seguito, ma dipendono esclusivamente dallo stato iniziale e finale assunto dal sistema. Ciò ci consente di poter scegliere il percorso più facile da studiare. In particolare risulta conveniente studiare il grafico λ − I con caratteristica magnetica lineare, dato che l’energia magnetica è immagazzinata prevalentemente nel traferro. Prima della chiusura dell'interruttore non circola corrente e anche il flusso sarà quindi nullo, dunque lo stato iniziale sarà 0. Nella configurazione finale invece avremo un determinato valore di flusso, che è legato tramite la caratteristica magnetica, al valore di corrente V/R. Ipotizziamo di avere la struttura mobile vincolata, non si avrà conversione di energia in energia meccanica dWme=0 e dunque l'energia elettrica erogata sarà totalmente convertita in energia magnetica dWe=dWmg. L'energia magnetica posseduta dallo stato finale A sarà dunque pari all'energia elettrica prodotta. Dalle equazioni di bilancio dell'energia risulterà essere: W = ∫ dWme =∫ i⋅dλ mg Essendo la corrente una funzione del flusso (la funzione è determinata dalla caratteristica magnetica ) l'integrale può essere espresso in funzione del flusso λ . Perciò gli estremi di integrazione risultano essere il valore del flusso nello stato iniziale (zero) e il valore di flusso nello stato finale A( λ ). A Quindi si ha: Wmg = λA ∫ 0 i⋅dλ Nel grafico i − λ l’energia magnetica posseduta dal sistema è dunque rappresentabile come l'aria sottesa, rispetto a λ , dalla caratteristica magnetica. L'evoluzione degli stati di energia magnetica non c'è nota, ma essendo questa una variabile di stato possiamo comunque conoscere l'energia magnetica immagazzinata nello stato finale. Allo stesso modo è possibile conoscere la variazione di energia magnetica, dovuta ad una variazione di corrente, da uno stato A ad uno stato B. Essa sarà esattamente pari all'integrale da λ a λ della stessa funzione (sempre A B nell'ipotesi di dW me = 0) 3 λb ∆Wmg = Wmg ( B) −Wmg ( A) = ∫ i⋅dλ λa Calcolo dell’energia meccanica Per calcolare la variazione di energia meccanica bisogna studiare cosa succede quando l’ancoretta non è vincolata ed è libera di muoversi. La prima cosa che si può notare e che il movimento dell’ancoretta determina una riduzione del traferro, si ha quindi una riduzione della riluttanza ℜ = l (con l lunghezza, Σ µΣ sezione e µ permeabilità magnetica del materiale) e dunque una variazione dei circuiti magnetici che porterà ad una caratteristica con una pendenza maggiore. Ciò implica che si avranno diverse caratteristiche magnetiche ad ogni stato, ma a noi interessa solo lo stato iniziale (l’ancoretta è giù) e quello finale (l’ancoretta è su) e le loro corrispettive caratteristiche magnetiche. Un'altra cosa da notare è che il movimento dell’ancoretta sicuramente determinerà una variazione di flusso, in quanto varia la configurazione magnetica, questa a sua volta determina una variazione di tensione indotta e quindi una variazione di energia elettrica e magnetica. Un possibile percorso dallo stato iniziale a quello finale è dato in figura dal percorso ABC . In seguito alla variazione di flusso si passa dal punto A (posto sulla caratteristica magnetica iniziale) al punto B (posto sulla caratteristica magnetica relativa alla configurazione magnetica finale). Successivamente, siccome la corrente deve essere pari a V/R, seguendo la caratteristica magnetica finale si arriva sino al punto in cui valore di corrente vale V/R. La variazione di energia magnetica in questa situazione risulta essere pari alla differenza tra l'energia magnetica posseduta dallo stato C e quella posseduta nello Stato A. ∆Wmg = W mg (C ) −Wmg ( A) = area(OCC ' O) − area(OAA' O) La variazione di energia elettrica risulta essere invece pari all'integrale tra A e C di i⋅ dλ C ∆We = ∫ i ⋅dλ = area( A' ABCC' A' ) A Per ricavare la variazione di energia meccanica ci si serve ora dell'equazione di bilancio: ∆We = ∆Wmg + ∆Wme ⇒ ∆Wme = ∆We − ∆Wmg Sostituendo i valori trovati in funzione delle aree si ottiene: ∆Wme = area( A' ABCC ' A' ) − area(OCC ' O) + area(OAA' O) Facendo la composizione delle aree risulta che la variazione di energia meccanica è pari all'area compresa tra le due caratteristiche magnetiche e i punti A e B. La variazione di energia meccanica risulta essere positiva perché stiamo facendo lavoro sull'ancoretta, la variazione di energia meccanica è stata ottenuta a spese del generatore di corrente, 4 l’energia magnetica può essere paragonata a un bacino di energia utilizzata nella conversione dell'energia meccanica. Nel complesso dunque, a partire da una variazione di energia elettrica, si è ottenuta una conversione di energia che ha portato variazioni di energia di tipo magnetico e meccanico. Analisi delle forze applicate al sistema elettromeccanico A noi interessa studiare quali sono le forze risultanti che si vengono a creare nel sistema meccanico, per conoscere queste si sfrutta il principio dei lavori virtuali. Secondo questo principio si ha: dW = F ⋅ dx , da cui si ottiene: F = dWme , dove dx è lo spostamento dallo stato iniziale x allo me dx stato finale x+dx. Nel calcolo della variazione di energia meccanica fatta precedentemente si è ipotizzato che il passaggio dallo stato iniziale A a quello finale C avvenga seguendo il percorso ABC. Se si ipotizza invece che la trasformazione avvenga a flusso costante oppure a corrente costante, possiamo notare che l'aria sottesa relativa alla variazione di energia meccanica è diversa. Questo ci fa pensare che sia la forza, che l'energia meccanica siano dipendenti dal percorso scelto. La differenza di energia meccanica tra i due casi e data dall'area del triangolo AB’B”A, che risulta essere pari a dλ ⋅ di proporzionale ai valori dλ e di , 2 dunque risulta essere un differenziale del secondo ordine, invece la variazione di energia meccanica è proporzionale alla sola dx ( dW = F ⋅ dx differenziale me del primo ordine). Possiamo quindi trascurare i differenziali di secondo ordine (in quanto infinitesimo di ordine superiore) rispetto all'intera variazione di energia meccanica dovuta allo spostamento dx. Ne consegue che le variazioni di energia meccanica non dipendono dalla particolare sequenza di trasformazioni seguite, ma solo dallo stato iniziale e da quello finale. In altre parole anche la variazione di energia meccanica risulta essere una grandezza di stato. Dimostriamo analiticamente che la variazione di energia meccanica è una grandezza di stato, quindi dWme = F ⋅ dx ⇒ F ⋅dx i =cos t = F ⋅dx λ =cos t 1 + di dλ 2 trascurando i differenziali di secondo ordine otteniamo F ⋅dx i = cos t = F ⋅dx λ = cos t Trasformazione a flusso costante Per ottenere una trasformazione a flusso costante dobbiamo ipotizzare che lo spostamento avvenga in modo molto rapido. Allora ipotizziamo che la velocità di traslazione dell'ancoretta dal basso verso l'alto sia tendente all'infinito, questo vuol dire che in un istante nullo l'ancoretta si porta da una posizione bassa ad una posizione alta. La riluttanza ℜ e conseguentemente il coefficiente di autoinduzione L, varieranno secondo un gradino. La corrente e il coefficiente di autoinduzione sono legati tra di loro, da una relazione di proporzionalità 5 diretta λ = L ⋅ i I flussi presentano una dinamica del prim'ordine che abbiamo visto analizzando l'equazione di equilibrio elettrico v = R ⋅ i + dλ dt Il flusso avrà il seguente andamento: Se presentano una dinamica del prim'ordine non possiamo ritenere che all'applicazione di un gradino di corrente il flusso vari istantaneamente con un andamento a gradino, ma tenderà a variare secondo una evoluzione che sarà aperiodica, quindi nell'istante zero in cui si applica il gradino di corrente il valore del flusso a destra e sinistra dello 0 dovrà essere lo stesso. Quindi, per lo stesso motivo, se nell’istante t =0 variamo a gradino il coefficiente di autoinduzione il flusso non può variare, dato che λ = L ⋅ i la variazione di induttanza deve essere compensata da una identica variazione di corrente, le due variazioni dovranno essere perfettamente identiche. Quindi durante lo spostamento dal basso verso l'alto avremo una variazione gradino di induttanza e una pari variazione a gradino di corrente che determinerà una trasformazione a flusso costante. Con una trasformazione a flusso costante si avrà dλ = 0 Ricordando che la variazione di energia elettrica può essere espressa come dW = i ⋅ dλ , ed essendo e dλ = 0 , si ricava che in questo caso particolare la variazione di energia elettrica è nulla dWe = 0 . Dall'equazione di bilancio dell'energia si ottiene quindi: dWme = −dWmg ⇒ F = − dWmg dx λ =cos t Questa relazione ci fa capire che ad un incremento dell'energia meccanica corrisponde un decremento di energia magnetica o viceversa. Se il sistema è lineare le grandezze di flusso e corrente sono legate fra loro da una relazione lineare. λ = L⋅I ⇒ I = λ (L coefficiente di autoinduzione) L Utilizzando questa relazione l'energia magnetica in un generico stato A può essere riscritta come: λA Wmg = ∫ i⋅dλ = 0 λA λ ∫ 0 L ⋅dλ ⇒Wmg = λ2 LI 2 2L 2 = Un’altra espressione dell'energia magnetica può essere ricavata in funzione della riluttanza ℜ λA φA φA ℜφ 2 Wmg = ∫ i ⋅dλ ⇒Wmg = ∫ NI ⋅dφ ⇒Wmg = ∫ ℜφ ⋅dφ ⇒Wmg = 0 0 0 2 Ricaviamo ora i valori delle forze applicate al punto A, ricordando che il parametro che risulta variabile in funzione di X è il coefficiente di autoinduzione L perché ad ogni spostamento cambia la configurazione magnetica del sistema. F =− dWmg dx ⇒F =− λ =cos t 2 I 2 dL( x) d λ 1 λ2 dL( x) ⇒F= 2 ⇒ F= 2 dx dx 2L( x) 2 L ( x) dx Potevano arrivare ad un'altra espressione della forza tramite l'energia magnetica in funzione della riluttanza. 6 d ℜ ( x)φ F =− dx 2 2 2 dℜ ( x) ⇒ F = −φ 2 dx Una considerazione da fare è che la quantità dℜ( x) λ = Nφ = cost ⇒ φ = cost diventa negativa al diminuire del traferro, dx questo perché la riluttanza diminuisce al diminuire del traferro. Trasformazione a corrente costante. Per ottenere una trasformazione a corrente costante dobbiamo ipotizzare che lo spostamento avvenga in modo molto lento. Infatti se il sistema tende a muoversi dal basso verso l'alto con una velocità bassa, quasi vicino allo zero, avremo che le variazioni di coefficiente di autoinduzione sono molto lente, quindi in prima approssimazione potremmo ritenere che il valore della corrente si mantenga pressoché costante, quindi se consideriamo un processo che avvenga con una successione di stati di equilibrio quindi molto lentamente la traiettoria si svilupperà nella seguente direzione: In questo caso non possiamo più affermare che l’energia elettrica è nulla, infatti abbiamo una variazione di flusso. L’equazione di bilancio energetico in forma differenziale sarà pari a dW = dW + dW e mg me sostituendo i valori noti si ottiene: Idλ = dWmg (i,λ ) + Fdx ⇒ dIλ − dWmg (i,λ ) = Fdx L’energia elettrica e quella magnetica sono funzione delle stesse variabili allora possiamo portarle dentro lo stesso differenziale d ( Iλ − W ) = Fdx mg La quantità Iλ − W viene chiamata coenergia mg dW = Fdx c La variazione di energia meccanica è data dalla differenza delle aree sottese rispetto all'asse delle correnti della caratteristica magnetica finale meno quella iniziale. Queste aree sottese rispetto all'asse delle correnti sono dette coenergia e rappresentano il complemento dell'energia magnetica. Wc = λI −Wmg Ovvero dall'area del rettangolo definito dai valori di λ e I meno l'area rappresentante l'energia magnetica. La coenergia è una grandezza fittizia e non ha significato dal punto di vista fisico, ma riesce a semplificare i calcoli. Le variazioni di energia meccanica nel caso di trasformazioni a corrente costante possono quindi essere espresse come differenza delle coenergia tra lo stato finale e quello iniziale. Si ha quindi dWme = dWe − dWmg = dWc ⇒F= dWc dx i = cos t In questo caso l'incremento dell'energia meccanica produce un incremento della coenergia. 2 2 2 Dato che W = LI allora W = λI −W = LI 2 − LI = LI sostituendo nell’ espressione della c mg mg 2 2 2 forza si ha: 7 F= 2 dL dWc ( x) ⇒ F=I dx i = cos t 2 dx Dalle relazioni scritte risulta dimostrato che pur partendo da trasformazioni diverse si ottiene la stessa forza. Essa quindi è una grandezza di stato. Si vede che le forze di una macchina elettrica non dipendono dalla velocità degli spostamenti, ma solo dalle correnti e flussi applicati. Si può notare che la forza positiva si ha quando il movimento dell’ancoretta tende a far aumentare il coefficiente di autoinduzione del circuito magnetico, questo si ottiene quando l'ancoretta tende a ridurre il traferro e quindi a portare il sistema nella configurazione di minima energia. Da queste relazioni si deduce immediatamente che per realizzare una conversione di energia elettrica in energia meccanica si deve prima fornire una certa quantità di energia al campo magnetico, la variazione del campo magnetico mi produrrà la conversione in energia meccanica. Viceversa se voglio realizzare una conversione di energia meccanica in energia elettrica devo prima applicare un sistema di forze che produrrà una variazione di energia magnetica a cui corrisponde una variazione di flusso che mi determina una variazione di energia elettrica. Quindi l'elemento di transizione è il legame che sussiste tra la forza e la variazione di energia magnetica, questo legame non dipende dalla trasformazione ma dipende esclusivamente dallo stato energetico del campo magnetico. La trattazione fatta sino ad ora è valida anche per sistemi non lineari, questo perché abbiamo utilizzato un ragionamento basato sulle aree che ha la medesima validità anche per i sistemi non lineari. Ragionando su variazioni di aree e non su differenze tra valori puntuali l'espressioni ottenute rimangono inalterate anche per sistemi non lineari. Struttura della macchina elettrica rotante Studiamo quale deve essere la struttura di una macchina elettrica rotante affinché si possano ottenere una conversione di energia elettrica in meccanica in maniera più efficiente possibile. Facciamo riferimento alla seguente struttura composta da una parte fissa, detta statore, costituita da una struttura ferromagnetica a C e da un avvolgimento di Ns spire le quali sono alimentate da un generatore di tensione Vs. Il sistema è poi costituito da un altro elemento ferromagnetico mobile chiamato rotore, il quale è libero di ruotare attorno ad un fulcro. Scegliamo come asse di riferimento per le rotazioni dell'elemento mobile l’asse ortogonale alla congiungente delle espansioni polari dello Statore. Consideriamo poi come asse solidale con l'elemento mobile un asse ortogonale alle espansioni polari dell'elemento mobile stesso. La posizione dell'asse solidale rispetto all'asse di riferimento ci consentirà di conoscere la posizione dell'elemento mobile e l'angolo 8 formato da questi due assi verrà chiamato angolo β . Convenzionalmente verrà preso come verso positivo delle rotazioni il verso antiorario. L'obiettivo è quello di studiare il comportamento dell'elemento mobile e le forze che lo interessano quando si applica una determinata tensione al sistema. Per il principio dei lavori virtuali abbiamo la seguente relazione. dWe dove T rappresenta la coppia. dW = Tdβ ⇒ T = e dβ Il sistema meccanico è inoltre regolato da una condizione di equilibrio meccanico: j dω m = T + T equazione di D’Alambert e m dt Essa ci dice che il prodotto tra momento di inerzia dell'elemento mobile (J) e la derivata rispetto al tempo della velocità angolare (ω) risulta uguale alla somma delle coppie elettromagnetiche e meccaniche. Il valore della coppia elettromagnetica (Te) può essere determinata sapendo che la maggior parte dell'energia magnetica (che dà origine alla coppia elettromagnetica) risulta essere immagazzinata in aria e dunque in un materiale caratterizzato da comportamento lineare. Sotto questa ipotesi di linearità avremmo: 1 dL(β ) 1 dℜ(β ) Te = i 2 = − φ2 2 2 dβ dβ Le coppie elettromagnetiche positive tendono sempre a determinare un aumento del coefficiente di autoinduzione e quindi una riduzione della riluttanza del circuito magnetico. Calcolo della riluttanza del sistema Andiamo ora a vedere l'evoluzione della riluttanza magnetica nel nostro sistema, questa ci serve per poter valutare Te. Ipotizziamo che le espansioni polari dello statore e del rotore siano sagomate in maniera tale che al variare di β la riluttanza magnetica evolva seguendo un andamento di tipo sinusoidale. Per β = 0 le espansioni polari di rotore e di statore sono perfettamente allineate, in questa condizione il traferro sarà il più piccolo possibile e conseguentemente anche la riluttanza assumerà il valore minimo. Questo valore di riluttanza viene detto riluttanza diretta ℜ . Quando l'elemento d mobile ruota la riluttanza varia e per via delle ipotesi costruttive fatte, questa variazione sarà di tipo sinusoidale. Per β = π le espansioni polari di rotore e statore risultano essere in quadratura, questa 2 configurazione è quella in cui il traferro risulta essere il più ampio possibile, quindi avremo il valore di riluttanza massima. Questo valore di riluttanza si indica con ℜ che si chiama riluttanza in q quadratura. Se si continua a far ruotare il rotore arrivando a β = π qui avremo nuovamente le espansioni polari allineate e il valore di riluttanza diretta. Si ha che l’andamento della riluttanza in funzione dell'angolo β risulta essere il seguente: Il valore della riluttanza non sarà mai nullo né minore di zero, dunque esso avrà un valore medio diverso da zero. La riluttanza può essere espressa come: ℜ = ℜa −ℜb cos(2β ) 9 ℜ a è il valore di riluttanza medio ℜa = ℜb è il valore di cresta della sinusoide ℜ ℜ q +ℜ d b 2 = ℜ q −ℜ d 2 Nota la riluttanza possiamo conoscere anche la sua derivata: dℜ(β ) = 2ℜb sin 2β dβ Si può a questo punto riscrivere la relazione della coppia nella seguente forma: 1 dL(β ) 1 dℜ(β ) Te = i 2 = − φ2 = −φ 2ℜb sin 2β 2 dβ 2 dβ La coppia media della macchina risulta essere quindi funzione, oltre che di β , anche della differenza tra riluttanza massima e minima. Essendoci una relazione di proporzionalità diretta ciò significa che a parità di flusso la macchina può produrre coppie tanto più grandi quanto maggiore è la differenza tra ℜ eℜ . max min Come si può notare dalla relazione precedente avremo che per 0 < β < π la coppia media prodotta 2 risulta essere negativa, mentre per π < β < π la coppia prodotta è positiva. Ciò è visibile anche dal 2 punto di vista fisico. L'elemento mobile in generale tende a tornare nella configurazione di riluttanza minima β = 0 . Quindi per 0 < β < π esso tende ad effettuare una rotazione opposta a quella antioraria assunta 2 convenzionalmente positiva, dunque anche la coppia risulta essere negativa. Viceversa per π < β < π la coppia che tende a riportare l'elemento mobile nella posizione iniziale è concorde col 2 verso scelto convenzionalmente positivo, dunque anche la coppia risulta essere effettivamente positiva. Questo ci fa capire che le posizioni β = 0 e β = π sono posizioni stabili, infatti un piccolo spostamento del rotore da queste posizioni fa reagire il sistema in modo tale da riportare il rotore nella posizione stabile. 10 Le posizioni β= π e 2 β= 3π sono posizioni instabili, infatti un piccolo spostamento del rotore da 2 queste posizioni fa reagire sistema in modo tale da riportare il rotore in una situazione di minima riluttanza, quindi per β = 0 e β = π Alimentazione a tensione costante Ipotizziamo ora di alimentare il nostro sistema elettromeccanico con una tensione costante. A regime Vs , anche il flusso concatenato con le spire avremo una corrente negli avvolgimenti pari a Is = Rs risulterà essere costante. La coppia elettromagnetica nelle condizioni di equilibrio risulterà essere uguale e opposta alla coppia meccanica (per l'equilibrio dω = 0 con ω =cost ). Si ha quindi: Te = −Tm dt Se elimino la coppia meccanica (Tm=0) il sistema tenderà a porsi in una configurazione in cui la coppia elettromagnetica è nulla. Questa configurazione si ottiene quando dL , ovvero quando L =0 dβ è massimo e quando ℜ è minimo dℜ(β ) dβ = 0 . Questa configurazione si ha quando l'elemento mobile risulta essere perfettamente allineato con le espansioni polari dello statore, infatti la coppia è pari a T = −φ 2ℜ sin 2β e per uno sfasamento β = 0 e β = π il valore della coppia è nullo. e b Come prima si vede che il sistema tende a portarsi nella configurazione di minima energia. Alimentazione a tensione sinusoidale Vediamo ora cosa succede se alimentiamo il sistema con una tensione sinusoidale. Dalla relazione di equilibrio del circuito elettrico si ha: V = R I − E = R I + dλ s s s s s dt Se ipotizziamo che la caduta di tensione sul resistore sia trascurabile otteniamo: V = dλ s dt Il valore del flusso è dunque noto in quanto può essere ottenuto con una semplice operazione di integrazione. Ponendo V = 2V cosωt si avrà: s dφ 1 1 2V ⇒φ = sinωt =φˆ sinωt ∫Vs (t )dt = ∫ 2V cosωt dt = dt Ns Ns N sω Noto il flusso possiamo ricavare il valore della coppia elettromagnetica T e λ = Nsφ ⇒ Vs = Ns 11 1 dℜ(β ) 1 dℜ(β ) = − φˆ2 sin2 ωt Te = − φ 2 2 dβ 2 dβ Dato che cos 2α = 1− 2sin2 α ⇒ sin 2 α = 1− cos 2α allora il valore ella coppia è: 2 1 dℜ(β ) 1 Te (t, β ) = − φˆ 2 (1− cos 2ωt ) = − φˆ 2ℜb (1−cos 2ωt )sin 2β 4 dβ 2 La coppia elettromagnetica è costituita dunque da due termini, uno costante e uno oscillante. 1 dℜ(β ) 1 ˆ 2 dℜ(β ) Te = − φˆ 2 + φ cos(2ωt ) β3 dβ4 1 4 444244d4 1442 4 43 ter min e cos tan te ter min e oscillante Sostituendo il valore delle riluttanza 1 1 Te = − φˆ 2ℜb sin 2β + φˆ 2 cos(2ωt)ℜb sin 2β 2 444 12442443 1 424444 3 ter min e cos tan te ter min e oscillante Il termine oscillante di coppia fornisce un’energia meccanica alternativamente positiva e negativa, quindi con valore medio nullo. È evidente che l'effetto di questa coppia è una semplice vibrazione, la cui entità diminuisce al crescere del momento di inerzia. Considerando la sola copia oscillante si vede che: T puls = j dove dω~ dω~ T puls 1t ⇒ = ⇒ ω~ = ∫ T puls dt dt dt j j0 T 1 dℜ(β ) T puls = − φˆ 2 cos 2ωt ⇒ ω~ = max sin 2ωt 4 dβ jω ~ La pulsazione di oscillazione ω risulta essere inversamente proporzionale al momento di inerzia j della macchina e alla frequenza di alimentazione del sistema ω. Dunque se la massa del sistema e la frequenza di alimentazione sono sufficientemente elevate ne consegue che il termine oscillante il risulta essere trascurabile. Quindi il sistema meccanico tramite la massa e la frequenza di alimentazione fungono da filtro per i termini oscillanti di coppia. 2 La coppia media risultante è quindi la seguente: V Tmedia = − ℜb sin 2β N ω s Anche in questo caso, come nel caso precedente, se ipotizziamo di essere in condizioni di equilibrio si avrà che il sistema svilupperà una coppia media che tende ad equilibrare perfettamente la coppia di carico e dunque si posizionerà su una posizione β per cui si ha l'equivalenza tra le coppie. Macchine in rotazione ωm non nulla e alimentazione sinusoidale Sinora abbiamo sempre fatto riferimento alla macchina elettrica in condizioni statiche, a noi però interessano le macchine rotanti, dunque vediamo cosa succede quando esse ruotano con una velocità angolare costante ω ≠ 0 . m Ipotizziamo che la tensione di alimentazione sia di tipo sinusoidale V = 2V cosωt . s 12 Il valore della velocità meccanica è legata alla posizione β tramite la seguente relazione ω = dβ . m Da questa, integrando si ottiene: dt β = ∫ ω m dt + β 0 ⇒ β = ω mt + β 0 con β0 posizione dell'elemento mobile all'istante iniziale t = 0 o meglio, è l'angolo di sfasamento tra i due assi di riferimento quando la macchina è a regime. La coppia prodotta risulta essere: 1 dℜ(β ) 1 dℜ(β ) ; essendo dℜ = − φ 2 1− cos 2ω t = 2ℜ sen(2β ) si ha: T = − φ2 ( s ) b dβ 2 dβ 4 max dβ 1 2 2 1+ cos(− 2ω t ) ℜ sin 2(ω t + β ) T = − φmax [1− cos(2ωs t )]ℜb sin(2β ) = − 1 φmax [ s ] b m 0 2 2 1 2 T = − φmax ℜb sin 2(ωm t + β 0 ) + cos(−2ω s t ) sin 2(ωm t + β 0 ) 2 Sviluppando i calcoli con le formule di Werner cosα sin β = 1 [sin(α + β ) −sin(α − β )] si ottiene: 2 1 1 1 2 T = − φmax ℜb sin 2(ω m t + β 0 ) + sin 2(−ω s t +ω m t + β 0 ) + sin 2(−ω s t −ω m t − β 0 ) 2 2 2 [ ] T L’espressione della coppia è data da tre addendi sinusoidali, che hanno valor medio pari a zero. 1 Affinché la coppia media sia diversa da zero T = ∫Tis tan tan ea dt ≠ 0 e quindi si abbia un media T 0 valore di coppia utile bisogna fare in modo che qualcuno di questi tre termini risulti essere costante e indipendente dal tempo. Infatti avendo una coppia media pari a zero T = 0 la potenza media meccanica media, associata a questa coppia, risulta essere pari a zero P = T ω = 0 quindi non me media m abbiamo una conversione di potenza elettrica in potenza meccanica. La condizione di coppia alternativa, applicata sul sistema, deve essere una condizione da evitare o almeno si deve cercare di ottenere, tra i tre termini che compongono la coppia, almeno uno costante nel tempo, in questo caso la coppia media sarà sicuramente diversa da zero. Ciò è possibile ponendo ω = ω . In questo caso si ottiene infatti: s m 1 2 1 2 1 2 T = − φmax ℜb sin 2(ωst + β0 ) − φmax ℜb sin(2β0 ) − φmax ℜb sin 2(−2ωst − β0 ) 2 4 2 Due termini hanno andamento sinusoidale nel tempo quindi danno contributo medio nullo. Il secondo addendo invece risulta costante nel tempo e rappresenta quindi il valore di T media 1 2 Tmedia = − φmax ℜb sin (2β 0 ) 4 Porre ω s = ωm significa avere velocità di alimentazione e meccanica uguali e dunque avere una macchina sincrona. A seconda del valore di β 0 la macchina potrà inoltre produrre coppie positive o negative, nel primo caso essa funzionerà da motore, nel secondo invece da generatore. Questo tipo di macchina prende il nome di macchina ha riluttanza variabile e come dimostrato dai calcoli essa funziona solo nel caso si abbia una condizione di sincronismo. Sotto questa ipotesi abbiamo visto che la coppia prodotta ha un termine costante e rappresenta la coppia media effettiva. I valori di coppia istantanea, tuttavia sono costituiti anche da due termini sinusoidali nel tempo, dunque la coppia istantanea risulta essere variabile e non costante, quindi per ottenere una velocità di rotazione costante è necessario che l'inerzia della macchina sia tale da filtrare le coppie oscillanti. Un'altra caratteristica importante di queste macchine è che esse non sono macchine auto-avvianti, infatti esse non raggiungono la velocità di sincronismo naturalmente ma 13 hanno bisogno di appositi dispositivi di avviamento che portino il rotore a ruotare alla velocità sincrona. Questa caratteristica vale in generale per tutte le macchine sincrone, per cui ogni macchina avrà un dispositivo di avviamento. Un'altra caratteristica importante è che esse possono funzionare sia da motore che da generatore. In particolare se l'angolo β risulta essere negativo, cioè se l'elemento mobile risulta essere in ritardo 0 quando il flusso raggiunge il valore massimo, allora la macchina funzionerà da motore, nel caso opposto invece funziona da generatore. L'angolo β è l'angolo che ha l'elemento mobile nel nostro 0 sistema quando il flusso raggiunge il suo massimo. Se l'elemento è in ritardo ciò significa che l'angolo β è negativo e in questa situazione la coppia prodotta tende a portare l'elemento mobile 0 nella condizione di riluttanza minima, quindi essa avrà verso concorde con la velocità di rotazione. La coppia risulta quindi essere positiva (sia dal punto di vista fisico che analitico) e ciò equivale a un funzionamento da motore. Viceversa, se l'elemento mobile risulta essere in anticipo, la coppia elettromagnetica nel tentare di portare l'elemento mobile nella condizione di riluttanza minima risulterà essere discorde con il verso di rotazione. A questa configurazione corrisponde un funzionamento da generatore. Tuttavia questo tipo di macchina non è conveniente utilizzava come generatore. Infatti la corrente ℜφ , doveφ risulta imposto dalla tensione di alimentazione risulta essere: f .m.m. = N si = ℜφ ⇒ i = Ns e ℜ risulta invece: ℜ = ℜ −ℜ cos(2β ) con β = ω t + β sostituendo si ottiene: a b m 0 i= φ max ; sviluppando i conti con formule trigonometriche si ottiene sin ωst [ℜ a − ℜ b cos 2(ω m + β 0 )] Ns che la corrente presenta due componenti sinusoidali di uguale frequenza e una di frequenza tripla (cioè una terza armonica). ℜ φ ℜ φ ℜ φ i = a max sin ωst − b max sin(ωst + 2ωmt + 2β 0) − b max sin(ωst − 2ωmt − 2β0 ) Ns 2N s 2N s Per le caratteristiche di funzionamento della macchina si deve avere cheω = ω allora: s m ℜ φ ℜ φ ℜ φ i = a max sin ωst − b max sin(3ωst + 2β0 ) − b max sin(−ωst − 2β0 ) Ns 2N s 2N s Questa componente ℜb φmax è dannosa perché va a deformare le grandezze di rete, sin(3ωst + 2β 0 ) 2N s proprio per questo motivo le macchine sincrone di tipo monofase non vengono mai utilizzate come generatori. Eccitazione sullo statore e sul rotore 14 Consideriamo ora la stessa macchina, però con due circuiti elettrici. Oltre al circuito eccitatore, posto attorno alla struttura fissa, poniamo un altro circuito elettrico attorno alla struttura rotorica. Per l’equazione di equilibrio energetico si ha: ipotizziamo che dW = dW + dW e mg me l'energia dWe meccanica sia nulla, allora l'energia elettrica è facilmente = dW mg calcolabile e risulta: dWe = −(es is dt + er ir dt ) Per quanto riguarda l'energia magnetica essa dipenderà dalle correnti di rotore e statore e dalla particolare configurazione magnetica del sistema. Ipotizzando che la magnetizzazione avvenga in due fasi, prima tenendo i nulla e portando i da r is zero al suo valore finale, poi tenendo Incominciamo portando is che In questo er = − ir r is con ir = 0 λs = Lssis + Lsrir dλ s d ( Lss is + Lsr ir ) =− dt dt is 1 ⇒ We1 = ∫ Lss is dis = Lssis2 2 0 allora es = − dWe1 = −esisdt = Lssisdis Portiamo ora costante e portando i da zero al suo valore finale. da zero a In questo caso il flusso è pari a: Dato s da zero a caso il ir mentre flusso è is = cos t pari a: λ r = L rr i r + L rs i s Dato che d ( Lrr ir + Lrs is ) dλ r =− dt dt allora dW = −e i dt − e i dt = L i di + L i di e2 ss rr rs s r rr r r ⇒ We2 = ir ∫ 0 (Lrs is dir + Lrr ir dir )= Lrs is ir + 1 Lrrir2 2 L'energia magnetica associata ad uno stato è pari a: 1 1 Wmg = Lssis2 + Lrsisir + Lrrir2 2 2 Lss risulta essere il coefficiente di autoinduzione degli avvolgimenti di statore Lrr è il coefficiente di autoinduzione delle rotore e Lsr è il coefficiente di mutua induzione tra statore e rotore. Questi coefficienti sono dipendenti da β , ovvero dalla configurazione magnetica del sistema. Per calcolare la variazione di energia meccanica utilizziamo l'equazione di bilancio energetico dWme = dWe − dWmg Per poterla calcolare dovremmo conoscere le potenze elettriche e magnetica in gioco. Per calcolare la potenza elettrica applichiamo l'equazione di equilibrio elettrico e moltiplichiamo per le rispettive correnti. 15 Pe s = vtsis = Rsis2 + is d (Lssis + Lsr ir ) dt e Pe r = vtrir = Rrir2 + ir d (Lrs is + Lrr ir ) dt La potenza istantanea netta, quindi a meno delle perdite, sviluppata da ciascun generatore sarà: d (Lss is + Lsr ir ) ⇒ P = P + P dt e es er d (Lsr is + Lrr ir ) Pe r = ir dt Pe s = is Per il calcolo della potenza magnetica, applichiamo la relazione della variazione di energia magnetica rispetto al tempo. Pmg = dWmg dt 1 1 d Lss is2 + Lrs i s ir + Lrr ir2 2 = 2 dt Arriviamo quindi all'espressione della potenza meccanica. Pme = Pe − Pmg = is2 dLss dL i 2 dLrr + is ir rs + r 2 dt dt 2 dt La potenza meccanica per definizione è anche uguale al prodotto T ⋅ v , dato che la velocità è uguale alla derivata di β rispetto al tempo, si avrà: dβ dt sostituendo il valore di P trovato precedentemente si P = T ⋅ω = T ⇒T = P me ottiene T m = dt me me dβ is2 dLss dL i 2 dL + isir sr + r rr 2 dβ dβ 2 dβ Come si può vedere dalla relazione appena scritta, la coppia elettromagnetica risulta essere composta da due coppie di riluttanza, relative allo statore e al rotore, più un'altra aliquota data dall'interazione tra l'avvolgimento di statore e quello di rotore. Come abbiamo visto, per poter produrre una coppia media costante e diversa da zero bisogna verificare le condizione di sincronismo. Questa condizione non può essere sempre verificata contemporaneamente sia per il rotore che per lo statore, quindi per avere una conversione di energia efficiente uno dei due termini di coppia di riluttanza dev'essere posto uguale a zero. Ciò è realizzabile facendo in modo che il corrispondente termine di autoinduzione risulti essere costante. Affinché il termine di autoinduzione resti costante al variare di β si utilizzano strutture cilindriche. In questo modo, se lo statore è cilindrico, Lrr risulta sempre costante e di conseguenza il termine di coppia di riluttanza del rotore si annullerà. Questo perché al variare di β il circuito magnetico visto dal rotore risulta invariato, cioè il traferro visto dal nostro elemento mobile è sempre lo stesso, quindi le linee di flusso percorreranno sempre lo stesso tratto d'aria. In questo modo la coppia media risultante sarà data dal termine di coppia di riluttanza statorica sommato al termine di coppia di interazione tra statore e rotore. Questo schema di macchina è quello relativo alle macchine sincrone a poli salienti. T= 16 is2 dLss dL + isir sr 2 dβ dβ Nel caso in cui, si voglia costruire una macchina che funzioni in una condizione di asincronismo bisogna annullare anche l'altro termine di coppia di riluttanza. Ciò si effettua facendo in modo che anche Lss risulti essere costante. Per far ciò bisogna costruire anche il rotore di forma cilindrica. In questo caso l'unico termine di coppia rimasto sarà quello di interazione tra rotore e statore, si avrà quindi: T = is ir dLsr dβ Come si vede in questo caso la coppia non è legata alle condizione di sincronismo, questo perché non abbiamo più le due coppie di riluttanza. Struttura della macchina la macchina elettriche isotropa è costituita da una parte fissa chiamata statore e da una parte mobile chiamata rotore, questo è mantenuto coassiale con lo statore grazie a dei cuscinetti, la distanza tra rotore e statore è quindi fissa ed è chiamata traferro. Sia il rotore che lo statore sono fatti con materiali ferromagnetici, questo perché si vuole far seguire alle linee di flusso prodotte un evoluzione all'interno del traferro e del ferro di macchina. Saranno quindi presenti un avvolgimento sul rotore e uno sullo statore. Alimentando uno di questi avvolgimenti creiamo un campo magnetico. Gli avvolgimenti vengono generalmente dislocati in prossimità della zona in cui avviene il processo di conversione dell’energia, questo avviene principalmente nel traferro. Andremo quindi a disporre gli avvolgimenti di rotore e di statore in modo tale che siano il più vicino possibile alla zona nella quale avviene lo scambio energetico, saranno quindi disposti sulla superficie di statore e di rotore che si affaccia al traferro. Dall'espressione della coppia T = is ir dLrs dβ si vede che dobbiamo analizzare i processi di scambio energetico fra le correnti di rotore e quelle di statore, quindi i rispettivi avvolgimenti andranno posti sulla superficie che si affaccia al traferro dove sia il campo che l'energia associata risulta essere massima. Concentreremo quindi le nostre attenzioni sul traferro. 17 18 Consideriamo una macchina elettrica isotropa, come quella descritta precedentemente, avente un unico avvolgimento elettrico sullo statore costituito da una sola matassa. Per allocare tale avvolgimento è necessario realizzare degli spazi appositi sulla superficie di statore denominati cave. Ogni parte dell'avvolgimento ha un nome ben preciso: i lati attivi di matassa sono la parte dell'avvolgimento che si affaccia al traferro e quindi sono quindi le parti che permettono l’interazione tra il campo magnetico e la corrente circolante in essi (di conseguenza partecipano attivamente al processo di conversione dell'energia); le connessioni frontali sono le parti dell'avvolgimento che collegano due lati attivi di matassa, essi hanno il solo compito di far circolare una corrente nell'avvolgimento. Le matasse hanno sempre un principio P e una fine F. Poiché ciascuna matassa presenta solo due lati attivi di matassa, la nostra macchina elettrica sarà dotata di due sole cave. Ipotizziamo che le cave siano uniformemente distribuite sullo statore e quindi la distanza tra una cava e la cava successiva risulta essere pari a π (in termini angolari ) o πR (in termini lineari ). Alimentando l'avvolgimento statorico con un generatore di tensione costante, analizziamo cosa accade nel funzionamento a regime. Ciascuna spira della nostra matassa sarà percorsa da una corrente Is che determinerà una f.m.m a cui corrisponde una distribuzione di campo. La presenza di un campo magnetico e la circolazione di correnti negli avvolgimenti producono delle forze che agiscono sui conduttori facendoli uscire dalle cave. Per evitare che i conduttori escano dalle cave, queste vengono chiuse con dei materiali isolanti aventi una forte resistenza meccanica. Questi materiali devono avere una permeabilità magnetica che risulti essere uguale a quella dell'aria in modo tale che il comportamento delle linee di flusso non venga influenzato dal materiale che va a chiudere la cava. 19 Per la legge di solenoidalità le linee di campo dovranno essere chiuse, quindi presenteranno una evoluzione come riportato in figura: Applicando la regola della mano destra, e considerando con la × le correnti entranti e con il le correnti uscenti, si vede immediatamente che nella cava 1, ad una corrente entrante, corrisponde una linea di flusso orientata in senso orario, invece nella cava 2 , ad una corrente uscente, corrisponde una linee di campo orientata in senso antiorario. Si può notare immediatamente come l'evoluzione delle linee di flusso all'interno del ferro risultano essere particolarmente complicate, visto che devono sempre seguire il percorso a minima riluttanza e di conseguenza il cammino avente la più breve distanza. A noi però, interessa definire quale risulta essere l'evoluzione del campo magnetico al traferro, perciò utilizziamo la legge di rifrazione delle linee di campo. Tale legge afferma che qualunque sia l'angolo d'incidenza delle linee di campo all'interno del nucleo ferromagnetico, una volta che queste escono in aria presentano una direzione che risulta essere ortogonale alla superficie di separazione ferro-aria. Quindi possiamo sicuramente affermare che linee di campo uscenti dalla statore ed entranti nel traferro presenteranno una direzione che risulta essere ortogonale alla superficie di separazione ferro-aria e di conseguenza possiamo affermare che le linee di campo possono essere considerate ad evoluzione di tipo radiale. Si nota inoltre che dalla cava 1 alla cava 2 le linee di campo risultano essere tutte uscenti, mentre dalla posizione 2 a quella 1 le linee di campo risultano essere tutte entranti nella superficie di statore che si affaccia al traferro. Generalmente, quando linee di campo risultano essere uscenti da una superficie presa come riferimento, il relativo polo magnetico prodotto viene denominato polo nord, mentre nelle zone nella quale le linee di campo risultano essere entranti, il polo magnetico viene denominato polo sud. Abbiamo perciò prodotto un bipolo magnetico all'interno della macchina. Si nota che le superfici del polo nord (linee di campo entranti) e del polo sud (linee di campo uscenti) sono identiche, questo perché abbiamo distribuito la matassa in maniera simmetrica. Visto che il materiale ferromagnetico è caratterizzato da una permeabilità magnetica che risulta essere notevolmente superiore rispetto a quella dell'aria, possiamo affermare che la f.m.m applicata dalla nostra matassa per sostenere il campo magnetico così descritto, sarà dedicata principalmente a vincere le cadute di tensione magnetica che le linee di flusso devono sopportare nell'attraversare il 20 traferro. Quindi in prima approssimazione potremo ritenere che le cadute di tensione magnetica sopportate dalle linee di flusso nel ferro risultano essere trascurabili rispetto a quelle presenti in aria. Andiamo ad analizzare la macchina elettrica nella sua tridimensionalità, poiché quello che abbiamo rappresentato fino ad adesso risulta essere esclusivamente la sua rappresentazione lungo uno dei possibili piani ortogonali all'asse di rotazione, ma di questi piani ce ne sono infiniti, uno per ciascuna sezione della macchina. Essendo la macchina tridimensionale anche il campo magnetico sarà tridimensionale, perciò ci chiediamo se il campo sia uguale a se stesso in ogni sezione della macchina. Questo è vero nelle zone interne poiché in esse le componenti assiali del campo magnetico risultano essere trascurabili mentre, a causa degli effetti di bordo, non è vero sulle parti terminali della macchina. Questo effetto di tridimensionalità del campo possiamo trascurarlo in prima approssimazione e dire che, se trascuriamo gli effetti di bordo, in ciascuna sezione della macchina il campo risulta avere la stessa evoluzione. Quindi invece di analizzare il campo della macchina in tutta la sua tridimensionalità, potremo analizzarlo semplicemente su un unico piano, perché in prima approssimazione si ripete uguale a se stesso in tutti gli altri. Quindi passiamo da un studio tridimensionale ad uno bidimensionale dove vengono trascurate quelle che sono le componenti del campo magnetico lungo l'asse di rotazione, questo è tanto più vero quanto più grande è l'asse assiale rispetto alla dimensione radiale. Andiamo ad analizzare ciò che avviene all'interno del traferro, ricordando che le linee di campo risultano essere ortogonali alle superfici di separazione ferro-aria e presentano un'evoluzione di tipo radiale. Perciò prendiamo in considerazione un generico tubo di flusso, come rappresentato in figura: Da questa rappresentazione si vede che, se il raggio dello statore e il raggio del rotore non risultano essere confrontabili, il tubo di flusso nel passare dalla superficie di statore a quella di rotore subisce un restringimento, quindi la sezione del tubo di flusso sullo statore e sul rotore risultano essere differenti. Ma il tubo di flusso è caratterizzato da un valore di flusso costante, perciò avremo che il campo magnetico al traferro in prossimità della superficie di statore assumerà un valore differente rispetto al valore assunto sulla superficie di rotore. Questo vuol dire che il campo magnetico all'interno del traferro subisce delle variazioni e di conseguenza non potremo più parlare di unico valore del campo magnetico al traferro ma dovremo considerare un campo magnetico al traferro dipendente dalla distanza tra rotore e statore, avremo una distribuzione bidimensionale del campo. Realizzando il raggio di rotore e di statore in modo tale che siano molto vicini, cioè se il traferro risulta essere notevolmente più piccolo rispetto al raggio di statore (Rs>>δ), si può ritenere che questo effetto risulta essere praticamente inesistente e quindi i tubi di flusso nel passaggio dallo statore al rotore non modificano la loro sezione. In queste condizioni il valore del campo, sia sulla superficie di statore che su quella di rotore, a parità di ascissa curvilinea, è uguale e di conseguenza possiamo quindi passare da uno studio di tipo bidimensionale a uno monodimensionale. Tenendo conto delle precedenti considerazioni, si potrà effettuare lo studio analizzando la macchina nella sua configurazione effettiva (su scala cilindrica) oppure potremo eseguire lo studio della macchina elettrica linearizzata. Per poter eseguire lo studio della macchina linearizzata è necessario definire un sistema di riferimento. Come sistema di riferimento sceglieremo i due assi così ricavati: 21 il segmento che parte dall'asse di rotazione della macchina e che attraversa la cava che abbiamo indicato con 1; l’asse curvilineo, che partendo dalla cava 1 in senso orario, segue perfettamente la superficie di statore che si affaccia al traferro, indichiamo questa ascissa curvilinea con Xs. Come si vede dalla figura possiamo riferirci sia alle ascisse curvilinee che agli angoli. Lo studio della macchina può essere più semplice se andiamo a fare una linearizzazione della superficie della macchina, questa consiste nell'aprire la macchina fino a farla diventare lineare. La lunghezza totale della macchina linearizzata sarà 2πR. Analisi dell’evoluzione delle grandezze magnetiche al traferro Adesso dovremo determinare le grandezze magnetiche presenti nella macchina, prima alimentando lo statore e poi alimentando il rotore. Si analizzerà quindi la loro distribuzione e quale tra queste grandezze rappresenta meglio e in modo univoco il comportamento della macchina elettrica. Ipotizziamo di alimentare il i soli avvolgimenti di statore e di voler determinare il campo magnetico in queste condizioni di funzionamento, ma per far questo è necessario concentrare la nostra attenzione sulla sua causa che genera il campo all’interno della macchina cioè la f.m.m. Le f.m.m sono definite rispetto ad una curva γ , dato che risultano essere pari alla corrente che si concatena con la curva prescelta. Perciò scegliamo come curva di riferimento quella riportata di seguito: 22 Scegliamo come verso di percorrenza della curva γ , indicato in figura, il verso stabilito dall'applicazione della regola della mano destra sulla cava 1. Fissato il verso della curva γ è definito anche il verso della corrente concatena positiva, in questo caso il senso positivo è quello entrante. Ricaviamo adesso l'andamento di tale curva nella macchina linearizzata Una volta definita la curva di riferimento è possibile ricavare la f.m.m: f .m.m = NS ⋅ is In questa maniera otteniamo un'evoluzione della f.m.m al variare della posizione del lato mobile e perciò al variare dell'ascissa curvilinea Xs o della posizione angolare β: 23 La f.m.m. concatenata con la curva γ è costante tra 0 e π ed è nulla tra π e 2π. Questo perché spostando il tratto mobile CF, a partire dalla posizione GB, otteniamo una curva nella quale la corrente concatenata risulta essere pari alla corrente presente nella prima cava , quindi la f .m.m = N S ⋅ is . Man mano che il lato CF si sposta lungo l’ascissa curvilinea abbiamo che la corrente concatenata risulta essere sempre la stessa e con verso positivo. Questo è vero sino a quando non si arriva a x=πR, in questo punto avremo che la corrente concatenata con la curva risulta essere data dalla somma della corrente entrante nella prima cava più la corrente uscente nella seconda. Le due f.m.m sono quindi uguali e opposte, quindi avremo un valore di f.m.m totale pari a zero sino a x=2πR. Questa analisi ci mostra che la distribuzione di f.m.m non risulta essere costante, ma risulta essere variabile in funzione della coordinata o dell'ascissa curvilinea che abbiamo preso in considerazione. Per dimostrare ciò che è stato appena detto andiamo a prendere un altro punto di riferimento da associare al lato fisso GB. In questo caso si nota che al variare del lato CF dal punto iniziale, in cui è sovrapposto al lato GB, sino a x=πR la f.m.m ha valore nullo, infatti nella curva non si concatena nessuna corrente. Continuando a far variare la posizione del lato mobile della curva si vede che tra πR < x< 2πR otteniamo f .m.m = − N S ⋅ i s infatti la corrente concatenata con la curva ha verso discorde rispetto a quello scelto tramite la regola della mano destra. Nell’ultimo tratto tra x= 2πR sino a tornare al punto di partenza la f.m.m. è la somma di due correnti uguali e opposte per il numero di spire, avrà quindi un valore nullo f .m.m = N S ⋅ (− i s + i s ) = 0 24 Scegliendo diverse curve la distribuzione di f.m.m risulta essere diversa, questo ci fa capire che il valore che otteniamo risulta essere dipendente dal riferimento scelto, conviene quindi riferirci a funzioni che non dipendono dal riferimento scelto. Tenendo conto delle semplificazioni già viste prima, campo H costante dentro il traferro e cadute di tensione magnetica trascurabili nel ferro (quindi i percorsi ABCD e EFGH hanno cadute di tensione magnetica nulla), possiamo trovare i valori del campo H e B applicando la legge della circuitazione magnetica, per una generica posizione x: ∫ H o d l =ncs i γ Per risolvere questo integrale è necessario stabilire il verso positivo di H. Generalmente scegliamo come valore positivo il verso delle linee di flusso uscenti della statore e entranti nel rotore, perciò secondo la convenzione dei poli Nord. Seguendo questa convenzione avremo che: ∫ H o d l = H ( x)δ − H (0)δ = ncs i γ Di conseguenza H ( x ) = H ( 0) + avremo ncs i δ che = H ( 0) + il campo H(x) risulta essere pari a: fmm ( x ) δ Questa relazione ci mette in evidenza che la distribuzione del campo H(x) risulta essere strettamente legata al valore di H(0) assunto nel riferimento. Ma non sappiamo anche che il campo H(x) non può essere dipendente da un riferimento, è la f.m.m, a cui esso è legato, che è dipendente dal riferimento. Perciò deve esistere un altra relazione che mi consente di ricavare il valore di H(x) in forma chiusa. Questa condizione non è altro che la legge di solenoidalità del campo: ∫ B o ds = 0 Σ Scegliamo come superficie chiusa la superficie cilindrica interna al traferro, come si vede in figura: 25 La superficie elementare sarà: d s = dx ⋅ l a ⋅ u n oppure in funzione degli angoli d s = R ⋅ dβ ⋅ l a ⋅ u n dove un è il versore normale alla superficie. Dato che i vettori allora: B, ds sono paralleli il prodotto scalare diventa un semplice prodotto tra i moduli, 2πR ∫ B o d s = 0 ⇒ la ∫ B( x)dx = 0 0 Σ 2π Oppure ∫ B o d s = 0 ⇒ Rla ∫ B( β )dβ = 0 Σ con dx = R ⋅ dβ 0 Abbiamo trascurato le superfici cilindriche frontali perché in quei punti possiamo ritenere il campo nullo. 26 2πR ∫ H ( x)dx = 0 Dalla relazione B = µH si ottiene 0 Dato che il campo H presenta un andamento simile alla caduta di f.m.m. possiamo dire che questo ha un andamento costante e pari al campo preso nel punto di riferimento H(0) tra 0<x<πR , invece tra πR < x<2πR il campo è sempre costante e pari a un generico H(x). Il campo è quindi costante a tratti andiamo allora a dividere l'integrale. πR 2πR 0 R ∫ H (0)dx + π∫ H (πR)dx = 0 H (0)πR + H (πR )πR = 0 ⇒ H (0) = − H (πR ) Risolvendo: Ricordando che H ( x) = H (0) + H (πR) = H (0) + nc i δ ncs i δ si = − H ( 0) ⇒ H ( 0) = − ricava nc i 2δ Noto il valore di H(0), possiamo ricavare la distribuzione del campo H, infatti: nc i H ( x) = 2δ 0 < x ≤ πR ni H ( x) = − c πR < x ≤ 2πR 2δ Oppure in funzione degli angoli nc i H ( β ) = 2δ 0 < β ≤ π ni H ( β ) = − c π < β ≤ 2π 2δ Come mostrato in figura il campo H ha una evoluzione a onda quadra. Potevamo arrivare allo stesso risultato, tramite la legge della circuitazione magnetica e la condizione di solenoidalità. La circuitazione magnetica ci dice che il campo H ha una distribuzione uguale a quella della f.m.m a meno di una costante, la condizione di solenoidalità ci dice che la superficie sottesa dalla distribuzione H da 0 a 2π deve essere uguale 0. Basta quindi traslare il grafico in modo tale che le aree positive siano uguali a quelle negative per trovare H, il segno verrà dato dalle convenzioni usate, se le linee di flusso sono uscenti avremo un campo positivo, viceversa avremo valori di campo negativi. 27 Non abbiamo ancora la corrispondenza tra la f.m.m e l'intensità del campo H, dobbiamo infatti avere una funzione indipendente da δ (dimensione geometrica delle traferro) e dipendente solo dalla f.m.m in modo tale da ricavare direttamente da distribuzione del campo H. Definiamo allora, nota la f.m.m , la caduta di f.m.m (∆F) questa per definizione è il prodotto dell’intensità di campo H per il traferro δ: ∆F ( β ) = H ( β )δ allora ∆F (0) = − nci nc i ; ∆F (π ) = 2 2 La conoscenza della caduta di f.m.m ∆F viene determinata direttamente dalla distribuzione di f.m.m applicando la condizione di solenoidalità. Ora abbiamo un legame diretto tra la f.m.m e la caduta di f.m.m (non è più dipendente dalle caratteristiche geometriche della macchina). Nota la ∆F e la f.m.m riusciamo a ricavare i campi H e B. Infatti nota la f.m.m tramite una costruzione geometrica ricaviamo la ∆F ( β ) moltiplicando per delle semplici costanti geometriche otteniamo H ( β ) = ∆F ( β ) δ e B(β ) = µ0 ∆F ( β ) δ Questa analisi ci fa vedere che per arrivare al valore del campo magnetico partendo dalla distribuzione di f.m.m abbiamo la necessità di conoscere il valore di una costante di riferimento, che si riferisce al particolare percorso chiuso utilizzato nei calcoli. Se invece svolgiamo il calcolo rispetto alla ∆F ci svincoliamo dal dover calcolare questo riferimento. In più la ∆F é rappresentativa della distribuzione di corrente e quindi della causa che produce il campo magnetico all'interno del nostro traferro. Finora abbiamo visto la caduta di forza magnetomotrice ∆F ( β ) e il campo H dovute ad un avvolgimento statorico, ora dovremo effettuare uno studio analogo per un avvolgimento rotorico. Si ricorda che per l’avvolgimento statorico si hanno valori di H positivi quando le linee di flusso sono dirette dallo statore verso il rotore, quindi per poli magnetici di tipo nord, mentre si hanno valori di H negativi quando le linee di flusso sono entranti sulla superficie dello statore e vengono indicati come poli sud. Facciamo circolare sull’avvolgimento elettrico, disposto sulle cave di rotore, una corrente che 28 risulta entrante sulla prima cava e uscente sulla seconda. Scegliamo un sistema di riferimento solidale con il rotore, passante per la prima cava e avente verso di rotazione orario. Per condurre i nostri studi rettifichiamo la macchina, cioè tagliamo la macchina lungo l’asse di riferimento e la linearizziamo: Per ricavare la caduta di forza magnetomotrice utilizziamo lo stesso metodo visto precedentemente, cioè scegliamo una curva γ che presenta un lato solidale con l’asse di riferimento rotorico e l’altro lato mobile, il verso della curva γ lo definiamo applicando la regola della mano destra sulla prima cava di rotore (in tal modo la f.m.m risulta essere positiva) e infine associamo l’intera f.m.m al lato mobile. L’evoluzione della f.m.m risulta essere la seguente: Non rifacciamo tutti i calcoli per trovare il campo H, poiché lo ricaviamo tramite la ∆F applicando il principio di solenoidalità alla curva che descrive la f.m.m (trasliamo l’asse in modo da ottenere le aeree positive uguali alle aree negative): Quindi noto ∆F mi trovo la H semplicemente tramite la relazione H = 1 δ ∆F : 29 Infatti applicando la regola della mano destra, il valore di H è positivo tra 0 < xr< πR perché le linee di campo sono dirette dallo statore al rotore (uscenti nello statore ed entranti nel rotore), mentre tra πR < xr< 2πR il campo H è negativo poiché le linee di campo hanno il verso opposto. Però la polarità del campo magnetico deve essere valutata a seconda della superficie in cui è disposto il circuito di eccitazione, nel nostro caso è posto sul rotore. Considerando la superficie di riferimento posta al rotore e non più quella di statore il campo magnetico tra 0 < xr< πR si definisce polo sud, perché il campo è entrante nella superficie e tra πR < xr< 2πR si definisce polo nord, campo uscente dalla superficie. Quindi rispetto allo statore, nel rotore si produce lo stesso campo magnetico ma con polarità opposte. Per avere un perfetto allineamento le polarità dovranno essere per forza opposte. Infatti se consideriamo due circuiti elettrici ,uno sullo statore e uno sul rotore, alimentati in modo identico e sfasati l’uno rispetto all’altro, le coppie polari dei due circuiti si comporteranno in modo tale da ripristinare, tramite attrazione, la situazione di equilibrio, cioè la posizione in cui il polo nord dello statore e il polo sud del rotore , il polo sud dello statore e il polo nord del rotore sono perfettamente affacciati. Studio delle grandezze elettromeccaniche di una macchina con campo al traferro ad evoluzione discontinua Dallo studio fatto precedentemente sappiamo che la coppia che si produce nel ripristinare l’equilibrio nel sistema sarà: T = is ⋅ ir ∂Lrs ∂ξ Per ricavare la coppia è necessario valutare il coefficiente di mutuo accoppiamento Lrs. Ricaviamo questa quantità andando a misurare, quando si alimenta un solo avvolgimento e l’altro rimane aperto, il flusso che si concatena con l’avvolgimento aperto λ r = Lrr ir + Lrs i s con ir = 0 si ha λ r = Lrs i s nota tale 30 grandezza, si valuta il seguente rapporto: Lrs = λr ir = 0 is Imponiamo di alimentare l’avvolgimento statorico in modo tale che la corrente abbia un verso di circolazione come quello riportato in figura e sfasiamo l’avvolgimento rotorico rispetto allo statorico di un angolo generico ξ. Per calcolare il flusso di mutuo accoppiamento devo stabilire un verso di rotazione preferenziale, perciò mediante la convenzione dei pallini, individuo il morsetto dell’avvolgimento di statore e di quello di rotore nel quale una corrente entrante produce, nel caso di avvolgimenti affacciati, flussi concordi cioè flusso mutuamente accoppiato positivo. Quindi per definire il sistema di riferimento rotorico, devo scegliere il morsetto per il quale il flusso di accoppiamento è per definizione positivo. Effettuo ora l’operazione di linearizzazione, tagliamo lungo la linea statorica e rettifichiamo la macchina: ξ non è altro che lo sfasamento dell’avvolgimento statorico da quello rotorico. Noi sappiamo bene quale risulta essere la distribuzione di campo prodotto dall’avvolgimento statorico, quando lo alimentiamo con corrente costante, ma a noi interessa andare a calcolare il flusso che si concatena con l’avvolgimento rotorico. Quindi dovremo considerare la superficie Σ che si appoggia sulla superficie della matassa come riportato nella figura adiacente. Ricaviamo il flusso di mutuo accoppiamento applicando la seguente equazione: λrs = N r ∫ Bs od s ∑ Osserviamo che Il verso della superficie vettorializzata ∑ , secondo la regola della mano destra, risulta essere concorde con il verso delle linee di campo H. Inoltre dato che il campo magnetico e la superficie vettorializzata hanno la stessa direzione, il prodotto scalare è pari al prodotto dei loro moduli: λrs = N r ∫ Bs ⋅ds ∑ L’espressione del flusso concatenato sarà dato, considerando la superficie ds come costituita dall’elementino di lunghezza pari esattamente alla lunghezza assiale della macchina per lo spessore infinitesimo dx (nel grafico sopra è rappresentato in rosso), dalla seguente equazione: 31 π λ r = n r ∫ B s li dx = n r ∫ B s ( β ) Rl i d β 0 Σ Ragionando in maniera rigorosa, ipotizziamo di avere una distribuzione di induzione prodotta dallo statore che risulti essere ad onda quadra, alimentando lo statore la distribuzione di induzione sarà: ns i B ( ) = α µ 0 2δ ni B(α ) = − µ 0 s 2δ 0<α ≤π π < α ≤ 2π Questo nel sistema di riferimento statorico. Nel rotore cambiamo il sistema di riferimento, quindi, è diversa la distribuzione vista dal sistema di riferimento rotorico. ns i B( β ) = µ 0 2δ n i B( β ) = − µ 0 s 2δ −ξ < β ≤ π −ξ π − ξ < β ≤ 2π − ξ Conosciamo quindi B sia rispetto allo statore che al rotore. Calcoliamo quindi il flusso. Gli estremi di integrazione vanno da una cava all'altra, quindi da 0 a π. π λ r = n r ∫ B ( β ) Rl d β 0 π π −ξ ns i s ni λr = nr Rl ∫ µ 0 dβ − ∫ µ 0 s s dβ Andando a sostituire il valore di B(β) si trova: 2δ 2δ 0 π −ξ n i i λ r = n r Rl µ 0 s s [π − ξ − (π − π + ξ )] = n r n s Rl µ 0 s (π − 2ξ ) 2δ 2δ Il flusso è quindi dipendente dalla posizione tra rotore e statore, questo è giustificato dalla presenza del termine ξ che tiene conto della posizione tra rotore e statore. Arriviamo a definire il coefficiente di mutua induzione Si può notare che il termine µ 0 Lrs = λr ir = 0 is = 1 Rlπ ξ nr n s µ 0 1 − 2 2 δ π Rlπ è l’inverso della riluttanza al traferro quindi è la permeanza al 2δ traferro Γt, sostituendo si ottiene: ξ Lrs = n r n s Γt 1 − 2 π ξ ˆ = Lrs 1 − 2 π Dall’espressione del coefficiente di mutuo accoppiamento, si osserva che Lrs è massimo per ξ = 0 , cioè quando i due avvolgimenti sono perfettamente allineati. Mano a mano che ξ aumenta il coefficiente di mutuo accoppiamento diminuisce e per ξ = π risulta essere pari a zero, poiché gli avvolgimenti sono 2 perfettamente in quadratura di conseguenza i due flussi statorico e rotorico non si concatenano. Se si prosegue il flusso di mutuo accoppiamento risulta essere negativo e avrà un valor minimo per ξ = π . Si evidenzia col grafico sottostante come varia il coefficiente rotorico all’variare di ξ: 32 ξ = 0 è un punto di equilibrio stabile, poiché una spostamento infinitesimo da tale posizione determina lo sviluppo di una coppia che mi riporta il sistema alla condizione di equilibrio. Tale coppia sarà pari a: ∂L ∂ ˆ 2ξ 2 T = i s ⋅ ir rs = i s ⋅ ir Lrs ⋅ 1 − = − ⋅ Lˆ rs i s ir ∂ξ ∂ξ π π Se le correnti is e ir sono concordi con la convenzione dei pallini, abbiamo una coppia risultante negativa. Se la coppia è negativa, tenderà a spostarsi in verso opposto al sistema di riferimento scelto, quindi si avrà una rotazione fino a quando la matassa si porterà nel punto di equilibrio stabile cioè ξ = 0 . Per ξ < 0 si avrà che la derivata sarà positiva e di conseguenza la coppia sarà positiva, cioè farà ruotare il rotore in senso orario finché il sistema non raggiunge la condizione di equilibrio stabile ξ = 0 . Questo è un caso semplice di conversione efficiente di energia elettrica in energia meccanica, in cui la coppia applicata risulta essere costante a tratti. Diamo anche una spiegazione dal punto di vista fisico, applichiamo la legge di Lorentz F = i ⋅l ∧ B Nella prima cava la corrente è entrante e il campo tra ξ e π + ξ è positivo per definizione, con la regola della mano destra si vede che la forza ha senso opposto a quello scelto come positivo. Nella seconda cava la corrente è uscente e il campo ha verso opposto a quello di prima, otteniamo quindi una forza sempre opposta al verso positivo. La forza totale è quindi pari a: F = − n r ir lB s = − n r i r lµ 0 n s is 2δ Dato che per ogni coppia polare si sviluppano due forze concordi per coppia polare, la coppia è uguale a: 33 l 2 T = 2 ⋅ F ⋅b = 2 ⋅ − n n i i µ ⋅R = − e π r s r s 0 2δ Te = − l ⋅ πR n r n s µ 0 2δ 2 ir i s = − n r n s Γt ir i s π ( ) 2 ˆ L i i π rs s r Abbiamo ottenuto la stessa relazione di prima. Tra statore e rotore nasce una forza di interazione che tende a spostare il rotore in modo da allineare i campi prodotti da statore e rotore, in questo modo la macchina non produce più coppia. Analisi della distribuzione di caduta di f.m.m. in funzione della distribuzione dei conduttori Sino ad adesso abbiamo effettuato lo studio della macchina che presenta un avvolgimento di rotore e statore costituito da una sola matassa. Bisogna analizzare come la distribuzione dell’avvolgimento sullo statore e sul rotore, può modificare la forma del campo magnetico al traferro e in particolare mettere in evidenza, come la distribuzione, può determinare una moltiplicazione del numero di coppie polari oppure un cambiamento dell’evoluzione del campo magnetico al traferro. Per osservare questo, partiamo da una macchina elettrica isotropa che possiede un avvolgimento statorico costituito da 2 matasse. Per mantenere le caratteristiche di simmetria, distribuiamo le due matasse in maniera uniforme, questo vuol dire che abbiamo bisogno di due cave per ogni matassa. Perciò ripartiamo in modo equo le 4 cave sulla superficie di statore. Quindi se abbiamo una circonferenza pari a 2πR e vogliamo utilizzare un numero di 2πR πR cave pari a quattro, avremo che la distanza tra una cava e quella successiva è pari a = . 4 2 π In altre parole, l’angolo meccanico β che distanzia una cava da quella successiva è pari a β = . Si 2 tratta adesso di vedere come distribuire queste matasse. Ogni matassa presenta due lati attivi e due connessioni frontali e la distanza tra i lati attivi è quella che in un certo senso mi definisce la dimensione del polo e quindi il numero di coppie polari presenti all’interno della macchina. Per proseguire la nostra analisi, ipotizziamo di considerare i lati attivi di matassa caratterizzati da una circolazione della corrente che risulti essere di tipo alternato. Vogliamo vedere come è fatto l’avvolgimento con questa ipotesi e anche analizzare quale sarà l’entità e la forma del campo magnetico. Consideriamo quindi un sistema di riferimento che risulta essere coincidente con la prima cava e un sistema di riferimento solidale con la superficie di statore che si affaccia al traferro. Andando a linearizzare la macchina otteniamo la seguente rappresentazione: 34 Se andiamo a fare un’analisi della distribuzione della f.m.m, otterremo che la distribuzione della ∆F risulta essere la seguente: Per determinare la distribuzione della caduta di tensione magnetomotrice ∆F è necessario determinare, come abbiamo fatto precedentemente, la f.m.m (tenendo conto dei versi delle correnti) e traslare l’asse xs in modo tale che le aree positive e negative risultino essere uguali. Questo ci permette immediatamente di notare che rispetto al caso precedente abbiamo un’alternanza di poli e quindi due coppie polari. Per valutare come è necessario realizzare un avvolgimento che mi determina una distribuzione di H così fatta, consideriamo la proiezione della sezione lungo l’asse di rotazione (come se la macchina fosse vista dall’alto) e andiamo a vedere come devono essere collegati tra loro i lati attivi di matassa: 35 Ogni matassa percorsa da corrente costituisce una coppia polare, noi vogliamo realizzare la macchina con un unico avvolgimento, perciò la corrente entrante nella prima matassa deve essere uguale alla corrente entrante nella seconda matassa, quindi i due avvolgimenti dovranno necessariamente essere collegati tra di loro in serie: Aumentando il numero di cave si osserva che si riduce la dimensione del passo polare e conseguentemente si riduce la distanza tra i lati attivi di matassa, in particolare la distanza tra i lati attivi di matassa e la dimensione del polo sono identiche. La distanza tra i lati attivi di matassa prende il nome di passo polare τ dell’avvolgimento: τ = αR = Dove p è il numero di coppie polari e α = π p πR p è il passo polare in forma angolare. Cambiamo ancora la configurazione degli avvolgimenti. Lasciamo invariato il numero di cave, ma invece di fare in modo che la corrente all’interno di ciascuna cava vari in maniera alternativa (cioè entrante - uscente - entrante - uscente), facciamo in modo che nelle prime due cave la corrente risulti essere entrante e nelle altre due cave risulti essere uscente. 36 Dobbiamo ripetere la stessa procedura fatta precedentemente, per determiniamo la f.m.m. Quindi considerando la curva γ orientata con verso concorde a quello della corrente circolante nella prima cava. La f.m.m risulta avere il seguente andamento: Ora passiamo dalla f.m.m alla ∆F (dobbiamo traslare l’asse xs in modo tale che le aree positive siano uguali a quelle negative): 37 Si può notare che la ∆F in questo caso presenta solo un polo Nord e un solo polo Sud, perciò il numero di coppie polari è pari ad uno. Rispetto al caso precedente abbiamo soltanto alterato il senso di percorrenza delle correnti e questo ha determinando un’alterazione del numero di coppie polari e della forma della distribuzione della ∆F e quindi del campo H e del campo B. Vediamo come deve essere distribuito l’avvolgimento per ottenere la precedente evoluzione di campo H: Come si può immediatamente notare a seconda di come si distribuisce l’avvolgimento si modifica il numero di coppie polari e la forma della distribuzione senza però alterare il numero di coppie polari. Se la distanza tra le coppie polari risulta essere strettamente connessa alla distanza tra i lati attivi di matassa, per una coppia polare i lati attivi di ciascuna matassa dovranno distare τ = π p =π . La cosa che ci interessa con più rilevanza è fare in modo che la distribuzione di induzione al traferro si avvicini il più possibile ad una forma sinusoidale, il motivo è di facile comprensione. Se abbiamo un campo magnetico variabile nel tempo di tipo sinusoidale produrrà un flusso concatenato con gli avvolgimenti che varierà nel tempo e nella spazio anch’esso con legge sinusoidale e di conseguenza, per la legge di Faraday – Lenz, questo flusso induce delle tensioni di tipo sinusoidale. Questo perchè se le grandezze sono sinusoidali, il loro andamento non viene alterato quando queste vengono integrante o derivante. Si può affermare che, se il numero di cave per polo e per fase viene aumentato, la distribuzione di ∆F tende sempre di più ad assumere una forma di tipo sinusoidale. 38 Perciò ipotizziamo di considerare in questo caso un avvolgimento che deve produrre un campo magnetico il più possibile sinusoidale. Non distribuiamo uniformemente le nostre cave e ipotizziamo di scegliere un numero di cave per polo e per fase, generalmente indicato in elettrotecnica con q, esattamente pari a tre. Vediamo come è fatto l’avvolgimento : Indichiamo con τc l’angolo tra due cave successive (è una variabile del nostro problema). Si vede immediatamente che la struttura è caratterizzata da un unico polo, infatti abbiamo soltanto un alternanza di segno della corrente circolante nell’avvolgimento, cioè la corrente risulta essere entrante nelle prime tre cave e uscente nelle rimanenti. Poiché è presente una sola coppia polare, la distanza tra due lati attivi di matassa (passo polare) è pari a: τ= πR p = πR Ogni matassa produrrà un campo H del tipo: La distribuzione del campo H complessivo è pari alla somma dei tre contributi di campo prodotti dalla nostra distribuzione dei conduttori: 39 Si può capire che la forma risultante della intensità di campo H risulta essere molto più vicina ad una sinusoide rispetto all’onda quadra vista in precedenza. In particolare se facciamo lo sviluppo in serie di Fourier otteniamo che la prima componente armonica risulta avare un andamento simile a quello riportato in figura : Aumentando il numero di cave si ottiene: Aumentiamo numero di cave e distribuiamo le cave dei conduttori in maniera tale da avvicinarmi a una forma sinusoidale. Con un numero di cave pari a 10 Abbiamo che per ciascuna matassa la f.m.m. è ad onda quadra, la f.m.m. complessiva e quindi la ∆F sarà la somma di queste. Sommandosi la ∆F è sempre una funzione discontinua, ma ha una forma molto più vicina a una sinusoide. Aumentando il numero di cave si ottiene una forma che si approssima sempre più a una sinusoide 40 Se potessimo aumentare enormemente il numero di cave e regolare in ciascuna cava il numero di conduttori otterremo una distribuzione di H sempre più vicina ad una sinusoide (tenderà ad essere una serie di seghettature che a poco a poco si avvicinano alla componente armonica fondamentale). Da un punto di vista tecnico le metodologie adottate per ottenere questo aspetto sono due: la prima è di distribuire il numero degli avvolgimenti e di scegliere in maniera ottimale τc, in quanto la sua scelta ci consente di cancellare una componente armonica di spazio; utilizzare avvolgimenti a doppio strato oppure cercare di regolare il numero di conduttori che vengono messi in cava; in tal caso si riesce ad aumentare il numero di componenti armoniche da eliminare o da ridurre fortemente. Agendo su queste tre variabili (distribuzione degli avvolgimenti, avvolgimenti a doppio strato e regolazione dei conduttori in cava) si riesce a ridurre fortemente le armoniche di spazio, le quali risultano essere tutte dispari. In particolare le armoniche di spazio sulle quali si agisce sono: la 7^ e la 11^. Per gli avvolgimenti trifasici normalmente la 3^ armonica si cancella da sola. Ora dovremmo fare un passaggio successivo poiché, anche se aumentiamo il numero di cave per polo e per fase, otteniamo delle distribuzioni di H(x) e quindi di B(x), che saranno delle funzioni discontinue e come sappiamo, andiamo incontro a delle problematiche matematiche quando andiamo a derivale o a integrarle. Bisogna adottare delle semplificazioni che ci consentano di passare da una struttura di distribuzione dell’avvolgimento di forma discontinua ad una struttura “teorica” di distribuzione dell’avvolgimento di tipo continuo, che ci permetta di associare distribuzioni continue di B e quindi ci consenta dì lavorare con funzioni facilmente gestibili da un punto di vista matematico. Abbiamo visto che se l’avvolgimento è caratterizzato da un numero di cave per polo e per fase crescente, la distribuzione di H si avvicina ad una sinusoide, perciò ragionando al limite, facciamo tendere il numero di cave all’infinito. Questo significa che realizziamo delle cave sottilissime, il cui spessore diventa infinitesimo e di conseguenza non ha più senso esprimere il numero di conduttori e la corrente che vi circola in termini finiti, perché ragioniamo al limite e il numero di conduttori non è intero, ma è un numero razionale. Quindi invece di ragionare sul numero di conduttori e sulla corrente effettivamente circolante, ci conviene parlare di densità lineare di corrente ϑ ( x) = n( x ) ⋅ i , cioè ipotizzare che riducendo al limite le cave, la corrente che circola in ciascun lato attivo di matassa risulta essere una linea di corrente uniformemente distribuita sulla superficie di statore e di rotore che si affaccia al traferro. Essendo una densità lineare la possiamo far variare in intensità e con continuità lungo tutta la superficie, quindi passare da un concetto di distribuzione di corrente e di f.m.m discontinua ad un concetto continuo. 41 Dobbiamo individuare degli strumenti matematici che ci consentano di passare da una distribuzione di induzione H discontinua a una teoricamente sinusoidale. Per fare questo, effettuiamo le nostre analisi sulla aduta di tensione magnetomotrice ∆F prodotta da una macchina avente un solo avvolgimento disposto sullo statore: Questa funzione può essere sviluppata in serie di Fourier in soli termini dispari: π 4 n ⋅i ∞ 1 ∆F(x) = ⋅ s s ∑ sin (1 + 2h ) x π τ 2 0 1 + 2h In funzione degli angoli si ha: 4 n ⋅i ∞ 1 ∆F(α ) = ⋅ s s ∑ sin (1 + 2h ) pα π 2 0 1 + 2h Le componenti armoniche presentano un ampiezza che tende a diminuire secondo la quantità quindi la prima armonica presenta un’ampiezza che è pari a 4 il valore massimo dell’onda quadra π n ⋅i n ⋅i s s ; la terza armonica è 1 4 del valore massimo dell’onda quadra s s e così via: 2 3π 2 42 1 , 1 + 2h A noi interessa ottenere una forma del campo magnetico e della caduta di f.m.m. di tipo sinusoidale. Potremmo quindi andare a valutare quale risulta la rispettiva forma della distribuzione degli avvolgimenti che mi genera la prima armonica di spazio della ∆F1 π 4 n ⋅i ∆F1 (x) = ⋅ s s sin x π 2 τ La stessa relazione in forma angolare sarà pari a: 4 n ⋅i ∆F1 (α ) = ⋅ s s sin pα π 2 Sappiamo che c’è una relazione che lega la f.m.m. la caduta di f.m.m. e la densità lineare di corrente f .m.m. = ∫ n ( x ) ⋅ i = ∫ ϑ ( x ) = ∫ ∆F ( x ) γ γ γ Applicando la legge di Ampère possiamo determinare la densità di corrente che mi produce la distribuzione di caduta di f.m.m ∆F1. Prendiamo una generica curva γ, la orientiamo secondo il verso positivo che abbiamo scelto e applichiamo la legge della circuitazione trascurando quelle che risultano essere le cadute di tensione magnetica nel ferro. Poiché vogliamo studiare il problema in maniera continua, dovremo analizzare fenomeni infinitesimi e quindi considerare uno spostamento della curva γ pari ad dx, dalla sua posizione di riferimento di ascissa curvilinea x. Definiamo H positivo il campo che va dallo statore al rotore Nel primo tratto la circuitazione della ∆F lungo la curva γ è pari a ∆F(x) con verso opposto a quello scelto come positivo quindi: –∆F(x). 43 Nel secondo tratto la ∆F sarà pari a : ∆F(x)+ d∆F ( x) dx. dx Quindi la circuitazione della ∆F lungo la curva γ sarà: ∫ H o d l = - ∆F(x) + [ ∆F(x) + γ d∆F(x) dx] dx ∆F ( x) = H ( x) ⋅ δ Questa è pari alla corrente concatenata con la curva γ, ma se la densità lineare di corrente è la corrente che circola in ciascun elemento lineare dello statore, la corrente è pari: f .m.m = n( x ) ⋅ i ⋅ dx = ϑ ( x ) ⋅ dx [ ] d∆F(x) dx] = ϑ ( x) ⋅ dx dx e semplificando otteniamo la relazione fondamentale che è la Legge di Ampère microscopica: Eguagliando: - ∆F(x) + [ ∆F(x) + d∆F(x) = ϑ ( x) dx ponendo dx = R ⋅ dα e sostituendo alla ∆F(x) la ∆F(α ) , la legge di Ampère in termini angolari: d∆F(α ) = ϑ (α ) Rdα Se abbiamo la ∆F1, mediante questa operazione di derivazione, possiamo ricavare la densità lineare di corrente ϑ ( x) o ϑ (α ) responsabile di questa caduta di forza elettromotrice. Questa legge l’abbiamo determinata applicando in forma microscopica la legge della circuitazione: ∫ H o d x = f .m.m Legge di Ampère macroscopica γ 1 Conoscendo la ∆F e derivandola ricaviamo immediatamente la θ (x): π ∂∆F 1 ( x) ∂ 4 n s ⋅ i s 1 ϑ ( x) = = sin τ ∂x ∂x π 2 ϑ1 ( x ) = 4 ns ⋅ is π π π x = cos x = ϑˆ ⋅ cos x π 2 τ τ τ 4 ns ⋅ is π π cos x π 2 τ τ Svolgiamo il calcolo in forma angolare: ϑ1 (α ) = 44 ∂ 1 ∂ ∆F (α ) = R ⋅ ∂α R ⋅ ∂α 4 ns ⋅ is 1 4 ns ⋅ is sin ( p ⋅ α ) = p ⋅ cos( p ⋅ α ) π 2 R π 2 ϑ1 (α ) = 1 4 ns ⋅ is p ⋅ cos( p ⋅ α ) Rπ 2 Osserviamo che il valore massimo della densità lineare di corrente deve risultare identico sia in funzione dell’ascissa curvilinea x sia rispetto al sistema angolare α, infatti: ϑ 1 (α ) = 2 ⋅ ns 2 ⋅ ns x π ⋅ i s ⋅ p ⋅ cos( p ⋅ α ) ⇒ ϑ 1 ( x s ) = ⋅ i s ⋅ cos p s = ϑˆ ⋅ cos x s πR πR τ R p 1 Tracciamo la densità lineare di corrente θ (x) e la caduta di f.m.m ∆F1: L’andamento della ϑ1 ( x) , la quale è uniformemente distribuita su tutto il passo polare, ci consente di individuare il verso di percorrenza della corrente circolante sulla superficie di statore: per valori positivi di ϑ1 ( x) la corrente è entrante; per valori negativi di ϑ1 ( x) la corrente è uscente. Questa è la corrente relativa ad un avvolgimento fittizio a passo intero, quindi i lati attivi delle matasse che dovrebbero produrre la ϑ1 ( x) , dovranno distare tra loro πR. Infatti in corrispondenza di una distanza pari a πR, i valori delle correnti saranno uguali così come sono uguali le densità lineare di corrente ϑ1 ( x) (lo possiamo verificare andando a vedere sulla curva i valori in corrispondenza di 0 e di ns is ). È come se avessimo un’infinità di matasse distribuite lungo tutto il 2 nostro avvolgimento, nella quale il numero di spire fittizio tende a variare secondo una legge che risulta essere il modulo del coseno. πR: sono uguali in modulo a 45 Tenendo conto che ϑ ( xs ) = N s ( xs ) ⋅ is oppure ϑ (α ) = N s (α ) ⋅ is , ricaviamo che ciò che varia non è la corrente, ma il numero di spire presenti nella nostra distribuzione di densità lineare di corrente. Conoscendo la densità lineare di corrente riesco ad ottenere la distribuzione dei conduttori che produce un campo e una caduta di f.m.m. sinusoidale: 2n p π N s ( x) = s cos x πR τ Considerando gli angoli 2n p N s ( β ) = s cos pβ Rπ Il termine n s p = N tot è il numero totale di spire presenti nella macchina, quindi è il valore massimo della 2 nostra funzione N s , infatti il è il legame che esiste tra il numero medio e il numero massimo di spire: π π π p Nˆ s 2 2p ˆ [ Ns = N s cos pβ dβ = sin pβ ] π = Nˆ s ∫ − π π π p π 2p − p 2p Il numero medio di spire è una quantità che non cambia considerando il numero di spire in funzione della ascisse curvilinee, infatti: 2p 1 τ 1 2 1 π τ N s = ∫ Nˆ s cos xdx = Nˆ s τ τ τ τ π − 2 Sostituendo si ottiene ϑ 1 ( x) = N s ( x)i s ; con N s ( x) = 2 Nˆ s π cos x πR τ considerando gli angoli ϑ 1 ( β ) = N s ( β )i s ; 46 con N s ( β ) = 2 Nˆ s cos pβ πR π sin τ τ 2 2 x = Nˆ s −τ π 2 Allo stesso modo avremo una densità lineare di corrente e una distribuzione di spire equivalente sul rotore: 2n 2 Nˆ r π π cos x r ϑr1 ( x r ) = N r ( x r )ir ; con N r ( x r ) = r cos x r = τ τ πR τ considerando gli angoli 2n 2 Nˆ r ϑr1 ( β ) = N r ( β )ir ; con N r ( β ) = r cos pβ = cos pβ τ πR N s e N r non sono numeri puri adimensionali ma bensì hanno la dimensione pari all’inverso di una lunghezza. Il numero di spire fittizio è un numero non vero, perché il numero di spire varia a passo intero. Per avere una distribuzione lineare di corrente come riportato in figura è necessario che le spire varino π 2n con continuità secondo la funzione N ( x ) = cos x . τ τ In altre parole se avessimo la possibilità di realizzare infinite cave e potessimo teoricamente realizzare un numero di conduttori razionale, la distribuzione dei conduttori affinché si possa produrre una distribuzione di campo sinusoidale dovrebbe essere proprio N(x) (curva in arancione). Calcolo della coppia per una macchina a distribuzione di campo sinusoidale Ipotizziamo di alimentare una macchina costituita da un avvolgimento distribuito al rotore e allo statore, sappiamo che ciò genererà due campi magnetici, al rotore e allo statore, di forma sinusoidali. I due campi saranno uguali ma con polarità opposte, quindi nella macchina sarà presente una coppia che cercherà di allineare le due distribuzioni, riportando la macchina in una condizione di equilibrio. Questa coppia, come visto da uno studio precedente, sarà: T = is ⋅ ir ∂Lrs ∂ξ Abbiamo un avvolgimento statorico e uno rotorico costituito da una sola matassa. Concentrandoci solo sulla distribuzione relativa alla prima armonica di spazio andremo a determinare: 1 Il flusso concatenato con l’avvolgimento rotorico della prima armonica di spazio λ cr. Il coefficiente di mutuo accoppiamento tra rotore e statore L1cr relativo alla prima armonica di spazio. La coppia T generata dalla macchina. 1 Per calcolare il flusso concatenato col rotore λ cr moltiplichiamo il numero di avvolgimenti rotorici per il flusso concatenato con una singola spira. Quindi la forma della distribuzione degli avvolgimenti ci servirà per ricavare quali sono i flussi concatenati, in quanto non abbiamo più a che fare con un 47 avvolgimento concentrato, ma abbiamo a che fare con un avvolgimento che risulta essere uniformemente distribuito su tutta la superficie di statore e di rotore. λ1 cr = N r ∫ B o d s = N r ∫ B oli ⋅d x Σ Σ Il problema che ci poniamo è: quale Nr e quale superficie Σ dobbiamo considerare? Per rispondere a questo quesito, ragioniamo sul grafico che riporta la distribuzione sinusoidale di campo dello statore relativamente alla prima armonica B' ( x s ) : Il sistema rotorico è sfasato rispetto a quello statorico di una quantità ζ R. Per quanto riguarda l’avvolgimento di rotore avrò la funzione (in blu) che rappresenta il numero equivalente di spire al rotore in funzione della variabile xr ( N r ( xr )) . Per fare il calcolo del flusso concatenato con l’avvolgimento rotorico, dovrò considerare il flusso che si concatena con ciascuna spira relativa ad una matassa dell’avvolgimento, tener conto che la matassa presenterà un numero di spire dato dal valore N r ( xr ) , ricavato il flusso che si concatena con una singola matassa dovrò effettuare lo stesso calcolo per ciascuna posizione xr del mio avvolgimento. Poiché abbiamo un avvolgimento distribuito in modo continuo su tutta la superficie di rotore che si affaccia al traferro, per sommare i flussi concatenati di ciascuna matassa è necessario effettuare un operazione di integrazione. In particolare il calcolo sarà un doppio integrale; devo prima calcolare il flusso relativamente ad una spira di matassa ( li ψ +τ ∫ B⋅dx ) e ψ poi sommare i flussi relativamente a tutte le matasse (tramite il secondo integrale). Andiamo a fare il calcolo del flusso, indicando con ψ la generica posizione su xr di un lato attivo di πR matassa (ricordiamo che la macchina che stiamo analizzando presenta un passo polare τ = = πR , di p conseguenza l’altro lato attivo di matassa è posizionato in Xr = ψ + τ = ψ + πR ): τ ψ +τ 2 1 λ cr = p ∫ N (ψ ) ⋅ l ⋅ ∫ B x ⋅ dx dψ r i s r r ψ τ − 2 ( ) 48 Se valutiamo λ1cr in funzione della posizione angolare β e non in funzione della ascissa curvilinea x, l’integrale precedente assume la seguente forma: ε +π 2p p λ1cr = p ∫ N (ε ) ⋅l R ⋅ ∫ B ( β ) ⋅ dβ R ⋅ dε r i ε s π − 2p π Il termine tra parentesi quadre è pari al flusso che si concatena con una spira di una generica matassa di rotore, mentre il secondo integrale somma tutti i flussi concatenati con tutte le spire di matassa presenti al rotore relativi ad una coppia polare. A differenza del caso lineare, per sommare tutti i flussi non dovremo far variare il nostro integrale lungo una linea dx, ma bensì lungo un arco di circonferenza Rdε: 1 Una volta determinato il flusso λ di prima armonica è pari a: cr il valore del coefficiente di mutuo accoppiamento tra rotore e statore λ1cr L1rs = i =0 r i s Svolgiamo il primo integrale ε+ ∫ ε π p ε+ l RBˆ1 sin p( β + ξ )dβ = l RBˆ1 i s i s ∫ ε π p π ε+ lR p sin p( β + ξ )dβ = i Bˆ1[ − cos p( β + ξ )] = ε p s l R 2l R π = i Bˆ 1s − cos p (ε + + ξ ) + cos p (ε + ξ ) = i Bˆ 1s cos p (ε + ξ ) p p p [ ] Sostituendo il risultato dentro l'espressione di λr si ha: π π 2 p 2 Nˆ 2l R 2 Nˆ l R 1 2 p r cos pε i Bˆ1 cos p (ε + ξ ) R dε = p r i Bˆ λ =p ∫ ∫ 2 cos pε cos p( ε + ξ )dε = cr s π p s π p π Rπ − − 2p 2p π π 2 p 2 p = 2 Nˆ r l RBˆ 1 π cos pξ r l RBˆ 1 cos p ( 2 + ) d + cos p d ε ξ ε ξ ε ∫ π i s ∫π π i sp π − − 2 p 2p 2 Nˆ = 49 4 n s is otteniamo: Sostituendo il valore del campo Bˆ s = π 2δ 2 Nˆ λ cr = πRl 4n i Nˆ i µ i cos pξ r l R s s µ π cos pξ = 8 r n i 0 s 2 π 2δ pπ 2δ 0 s π p Sostituendo alla relazione la permanenza al traferro Γ = t λ cr = 8 n n Γ i cos p ξ r s t s π2 dato che πRli 2δ µ0 e n p = Nˆ r r n n Γ = Lˆ allora s r t rs λ cr si ha: = 8 ˆ L i cos pξ rs s 2 π Il coefficiente di mutuo accoppiamento sarà: 1 L rs = λcr i =0 r is = 8 ˆ Lrs cos pξ = Lˆ1rs cos pξ 2 π Il coefficiente di mutuo accoppiamento non è più una funzione lineare, ed è funzione dell'angolo ξ. Da questa espressione si vede che si ha un accoppiamento massimo quando le due matasse sono perfettamente allineate, avremo invece un accoppiamento nullo quando le due matasse si trovano in quadratura. Per ξ =π/2 non si concatena nessun flusso con la matassa del rotore quindi il coefficiente di mutuo accoppiamento è uguale 0. Con ξ=0 tutto il flusso prodotto dall'avvolgimento di statore si concatena con l'avvolgimento di rotore, quindi il coefficiente di mutuo accoppiamento è massimo. Possiamo ora determinare la coppia elettromagnetica dL1rs Te = is ir = −is ir Lˆ1rs p sin pξ dξ Anche qui si vede che per ξ=0 (Le due matasse sono allineate) la coppia è nulla. Per un angolo ξ diverso da 0 si creano delle forze che tendono a riportare il sistema nello stato di equilibrio. La coppia sarà quindi massima quando le matasse sono in quadratura. Anche in questo caso determiniamo la coppia partendo dalla forza calcolata tramite per legge di Lorentz, questa analisi è quindi un metodo alternativo per il calcolo della coppia che ci permette di vedere se i calcoli appena svolti sono esatti. Linearizzando la macchina possiamo rappresentare l’andamento delle grandezze che mi producono queste forze. Sappiamo che la forza è pari a: 50 F = i ⋅l ∧ B Alimentando sia lo statore che il rotore otteniamo due campi magnetici, il campo al traferro sarà la somma dei due campi. Per produrre coppia si deve avere interazione tra il campo al traferro e le correnti distribuite sul rotore e sullo statore (ricordando che non si ottiene forza tra l'iterazione della corrente e il campo prodotto dalla stessa corrente). Essendo in campo lineare, dividiamo il campo al traferro nei due contributi, campo di rotore e di statore, quindi ci limitiamo a studiare l'iterazione tra campo di rotore e corrente di statore oppure campo di statore e corrente di rotore. Per il principio di azione e reazione le forze che nascono con l’interazione tra campo e correnti saranno uguali e contrarie, andiamo quindi a studiare solo uno di questi sistemi. Ricordiamo inoltre che la forza ha verso contrario a quello scelto come positivo, sarà quindi negativa. Fe = − N r ir l ∧ Bs = − N r ir ( β )lBs ( β ) Considerando la forza applicata ad un elemento infinitesimo della nostra matassa avremo una forza: dFe = −ϑr ( β ) dx l Bs1 ( β ) = −ϑr ( β ) Rdβ l Bs1 ( β ) Quindi la coppia sarà data da semplicemente moltiplicando la forza per il braccio: dTe = −2 pR 2 lϑr ( β ) Bs1 ( β )dβ La coppia totale (integrazione lungo la zona in cui la corrente è positiva) sarà pari a: π 2p Te = −2 pR 2 l ∫ ϑr ( β )Bs1 ( β ) dβ − Bs1 = Bˆ s1 sin p ( β + ξ ) = Dato che ϑr (β ) = ir π 2p 4 is ns µ 0 sin p( β + ξ ) π 2δ 2 ˆ N r cos pβ πR π 2p Allora sostituendo Te = −2 pR 2 l − ∫π i r 2 ˆ 4 is ns N r cos pβ µ 0 sin p( β + ξ ) dβ Rπ π 2δ 2p π Te = −2 pRli r 2 ˆ 4 is ns Nr µ0 π π 2δ 2p − ∫π cos pβ sin p( β + ξ )dβ 2p Tramite Werner dividiamo la coppia in due integrali π 2πp 2p 2 ˆ 4 is ns Te = − pRli r N r µ 0 ∫ sin p(2β + ξ )dβ + ∫ sin pξ dβ π π 2δ π − π − 2p 2p 51 2 ˆ 4 is ns π Te = − pRli N µ sin pξ r π r π 2δ 0 p πRli µ0 allora Te = − 82 pir i s n s n r Γt sin pξ 2δ π 8 allora Te = − 2 pir i s Lˆ rs sin pξ π Sapendo che Nˆ r = n r p e che Γt = Dato che n s n r Γ = Lˆ rs Te = − p 8 π i i Lˆ rs sin pξ = − pir is Lˆ1rs sin pξ 2 r s Troviamo come al solito lo stesso risultato di prima. Ciò che si vede è che le due distribuzioni di induzione tendono ad allinearsi. Se le correnti di statore è di rotore sono costanti (le distribuzione di induzione sono stazionarie) si vede che la coppia elettromagnetica che si sviluppa è costante, quindi in generale se abbiamo due distribuzioni che risultano essere tra di loro stazionarie e sfasate di un certo angolo, tra di loro si produce una coppia costante che è massima quando le due distribuzioni di induzione risultano essere in quadratura. Calcolo della coppia per una macchina alimentata al rotore e allo statore con correnti sinusoidali Questo è vero per una macchina alimentata con correnti generiche, ora andiamo ad avvicinarci di più alla realtà calcolando la coppia elettromagnetica con correnti di rotore e statore sinusoidali. is = 2 I s cos ω s t ir = 2 I r cos ω r t Ipotizziamo che il rotore ruoti con velocità ωm allora da una sola coppia polare p=1. ξ = ωmt + ξ 0 e che la macchina sia costituita 1 Andando a sostituire i nuovi parametri nella coppia trovata precedentemente Te = −ir is Lˆ rs sinξ si ricava la nuova espressione della coppia elettromagnetica. Te = −2 I r cosω r t I s cosω s tLˆ1rs sin (ω m t + ξ 0 ) Sconponendo tramite Werner si ottiene Te = − I r I s L1rs [cos(ω r + ω s )t + cos(ω r − ω s )t ]sin(ω m t + ξ 0 ) Sviluppando ancora con Werner 1 Te = − I r I s L1rs {sin[(ωm + ωr + ωs )t + ξ 0 ] + sin[(ωm − ωr − ωs )t + ξ 0 ] + sin[(ωm + ωr − ωs )t + ξ 0 ] + sin[(ωm − ωr + ωs )t + ξ 0 ]} 2 Per avere coppia e quindi conversione di energia, almeno uno dei quattro addendi dev’essere indipendente dal tempo, questo vuol dire avere ± ω r ± ω s ± ω m = 0 Studiando tutte le combinazioni si ottengono tutte le macchine elettriche monofasi. Si nota che per un termine di coppia costante gli altri tre sono pulsanti, quindi la macchina elettrica monofase non converte l’energia in maniera efficiente, infatti una parte dell'energia mi produce coppia costante il resto mi produce 52 vibrazioni e quindi rumore, questo spiega perché le macchine elettriche monofasi vengono utilizzate solo per piccole potenze. Quindi alimentando gli avvolgimenti con correnti sinusoidali si producono coppie pulsanti oltre alla coppia costante, questo vuol dire che le distribuzioni prodotte dai due avvolgimenti non sono stazionarie. Studio delle macchine elettriche monofasi Siamo riusciti a trovare la coppia per una macchina elettrica monofase alimentata al rotore e allo statore con correnti sinusoidali, questa si è visto esser pari a 1 Te = − I r I s L1rs {sin[(ωm + ωr + ωs )t + ξ 0 ] + sin[(ωm − ωr − ωs )t + ξ 0 ] + sin[(ωm + ωr − ωs )t + ξ0 ] + sin[(ωm − ωr + ωs )t + ξ0 ]} 2 Abbiamo anche visto che la condizione da rispettare perché si abbia un contributo di coppia costante è: ± ω r ± ω s ± ω m = 0 Da questa relazione possiamo ottenere tutte le macchine elettriche monofasi. Andiamo allora a studiare le varie combinazioni. Prima condizione Velocità meccanica pari a 0 ωm =0 Questa è sicuramente una condizione particolare infatti il rotore è bloccato. In questo caso abbiamo che ± ω r ± ω s = 0 questa è verificata in vari casi. Il caso più semplice è, ωs =0 ; ωr =0 in questo caso si produce sicuramente una coppia costante nel tempo. Te = −2I r I s L1rs sin(ξ0 ) Un altro caso sarà per ω r = ω s in questo caso avremo un valore di coppia pari a Te = −I r I s L1rs sin(ξ0 ) Quindi se noi alimentiamo una macchina elettrica monofase con correnti allo statore e al rotore sinusoidali e con ωm =0, per avere una coppia mediamente diverso da 0 è necessario che le due pulsazioni siano uguali. In questa situazione non si ha però la conversione di energia elettrica in energia meccanica, infatti Pme = Tme ω m quindi abbiamo coppia elettromagnetica sull'asse, ma non abbiamo conversione di energia elettrica in meccanica. Vista in questo modo sembra che queste relazioni non portino a nulla, invece ci dicono che questa macchina è auto avviante, non ha bisogno che si porti il rotore alla velocità di sincronismo. Analizziamo il caso in cui abbiamo conversione di energia. Vista la relazione Pme = Tme ω m per avere conversione di energia si deve avere possiamo avere varie soluzioni. Imponiamo la prima condizione: ωm ≠ 0 anche qui ω s = 0 ⇒ I s = cos t ± ωr ± ωm = 0 Allora quindi ω r = ω m nell'avvolgimento rotorico la pulsazione delle grandezze elettriche deve essere uguale alla velocità di rotazione meccanica. Questa condizione viene usata nei motori a corrente continua dove un collettore ad anelli (dispositivo che commuta la corrente nelle fasi) mi realizza la condizione ω r = ω m 53 In questo modo la coppia risultante diventa Te = −I r I s L1rs [sin(2ωr t + ξ0 ) + sinξ0 ] Vediamo l'altra condizione, sempre con ω m ≠ 0 poniamo rotore è costante, quindi ωs = ωm ω r = 0 la corrente con cui alimentiamo il abbiamo ottenuto una macchina elettrica sincrona monofase. La 1 coppia risultante sarà Te = −I r I s Lrs [sin(2ωs t + ξ0 ) + sinξ0 ] Abbiano infine l'ultimo caso Qui ωs e ωr ωs ± ωr = ωm sono legate da una relazione, la loro somma ω s + ω r = ω m o sottrazione ω s − ω r = ω m deve essere uguale a ωm quindi le pulsazioni elettriche non sono in alcun modo legate alla pulsazione meccanica, non abbiamo più la condizione di sincronismo, per questo motivo queste macchine vengono chiamate macchine asincrone monofasi. Queste macchine presentano quattro valori di coppia. Per ωs + ωr = ωm 1 Te = − I r I s L1rs {sin[2ωmt + ξ0 ] + sin(ξ0 ) + sin[2ωr t + ξ0 ] + sin[2ωs t + ξ0 ]} 2 Per ωs − ωr = ωm 1 Te = − I r I s L1rs {sin[2ωmt + ξ 0 ] + sin(ξ 0 ) − sin[2ωr t − ξ 0 ] + sin[2ωs t + ξ 0 ]} 2 In questo tipo di macchina si vede che a rotore bloccato la macchina è capace di auto avviarsi. In tutti questi casi abbiamo sempre quattro componenti di coppia dove solo una componente ci fornisce coppia costante, quindi il processo di conversione energetica per queste macchine non è un processo di conversione efficiente, solo una parte dell'energia elettrica fornita viene trasformata in energia meccanica utile, il resto dell'energia viene convertita in vibrazioni e quindi rumore. Dobbiamo quindi riuscire ad eliminare le coppie di tipo pulsante. Si deve quindi studiare come si sviluppa la coppia nelle macchine elettriche monofasi e vedere cosa produce questi quattro termini di coppia. Alimentiamo solo lo statore con una corrente sinusoidale i s = 54 2 I s sin ω s t Alimentando la matassa di statore, abbiamo una ∆F, considerando solamente la prima armonica di spazio avremmo che la ∆F sarà ∆Fs1 (α ) = 4 ns is senα π 2 Per ricavare il campo prodotto a traferro basta moltiplicare la ∆F per µ0 /δ Bs1 (α ) = µ0 ∆Fs (α ) δ Andando a sostituire il valore della corrente di statore nel campo vediamo che questo diventa funzione sia dello spazio che del tempo. Bs1 (α , t ) = 4 ns 2 I s sin ω t sin α = Bˆ s1 sin ω t sin α π 2 Vediamo qual è l'evoluzione nel tempo del nostro campo Per t0 =0 il campo è nullo nell'istante t1 = π/2ω Sostituendo dentro il campo otteniamo Bs = Bˆ s sin α 1 1 nell'istante t2 = π/ω Sostituendo dentro il campo otteniamo un campo nullo come in t0 nell'istante t3 = 3π/2ω Sostituendo dentro il campo otteniamo Bs = − Bˆ s sin α La nostra la distribuzione ha quindi l'evoluzione di tipo pulsante, vediamo in più che ha dei punti fissi, la distribuzione e quindi fissa e oscilla tra i massimi. 1 1 Tramite Werner 55 1 Bs1 (α , t ) = Bˆ s1 [cos(ωt − α ) − cos(ωt + α )] 2 Il nostro campo magnetico è stato diviso in due campi. Vediamo che tipo di funzione stiamo analizzando. Analizziamola funzione in vari istanti di tempo Bˆ s1 cos( ω t + α ) ) è pari a cosα Per t0 =0 la funzione ( 2 Bˆ s1 π Per t1 = π/2ω la funzione è pari a cos( + α ) 2 2 Se si vanno a considerare gli istanti t2, t3, t4 si vede che la distribuzione di induzione si sposta sempre di una quantità pari a π/2 in verso opposto a quello scelto come riferimento. L’andamento del campo è rappresentato in figura. Bˆ s1 cos( ω t + α ) ha una forma nello spazio che rimane Questo vuol dire che la nostra distribuzione 2 invariata e che trasla nel tempo con velocità ω (distribuzione di induzione rotante con velocità di rotazione pari a ω ). Bˆ s1 cos( ω t − α ) ha sempre una L'altra funzione 2 forma nello spazio che rimane invariata e che trasla nel tempo con velocità ω, ma differisce dalla prima funzione solamente per il senso di rotazione opposto, vedremo quindi l’onda muoversi in senso opposto. 56 Possiamo affermare che una distribuzione di induzione di tipo pulsante può essere vista come la somma di due distribuzioni di tipo sinusoidali rotanti in verso opposto l’una rispetto all’altra e ampiezza pari alla metà della distribuzione di partenza, abbiamo quindi due campi controrotanti. Lo stesso discorso si può fare per l'avvolgimento di rotore, abbiamo quindi la presenza di quattro campi rotanti. Studiamo quindi quali sono gli effetti sulla nostra macchina di partenza. Alimentiamo l'avvolgimento di statore e di rotare con le correnti i s = 2 I s sin ω s t i r = 2 I r sin ω r t Queste correnti producono due coppie di campi controrotanti, i quattro campi magnetici ruotano a velocità ωs ; - ωs ; ωr; -ωr Scriviamo le espressioni dei quatto campi presenti nella macchina. B s (α , t ) = B s (α , t ) = Br ( β , t ) = Br ( β , t ) = Bˆ s1 cos( ω s t − α ) ∗ 2 Bˆ s1 cos( ω s t + α ) 2 Bˆ r1 cos( ω r t − β ) ∗ 2 Bˆ r1 cos( ω r t + β ) 2 L’interazione tra questi quatto campi ci porta ad ottenere quattro termini di coppia, naturalmente i campi magnetici prodotti dallo stesso sistema non interagiscono tra loro. Focalizziamo l'attenzione sui campi di rotore e statore che hanno verso positivo di rotazione (*). Per ricavare la coppia elettromagnetica ci basta applicare la relazione di base. π 2 Te = −2 R 2 l i ∫ ϑr ( β , t )Bs ( β , t )dβ − π 2 57 Dobbiamo andare a sostituire nella nostra relaziona i valori di ϑr e di Bs Noi abbiamo il valore del campo di rotore non di ϑr , sappiamo però che le due quantità sono legate tra loro, infatti la densità di corrente al rotore mi genera il campo di rotore. ∂∆Fr ( β , t ) δ Sapendo che ϑr = e che ∆Fr ( β , t ) = Br ( β , t ) si ottiene: µ0 R∂β ϑr = ∂∆Fr ( β , t ) δ Br1 = sin(ω r t − β ) = ϑˆr sin(ω r t − β ) µ 0 R2 R∂β Si nota che la ϑr ricavata è legata al campo di rotore che ha verso positivo di rotazione, questo ci fa capire che c’è un’altra densità di corrente legata all’altro campo di rotore che non abbiamo considerato, quello con verso di rotazione negativo. Prendiamo ora il valore del campo di statore e lo riportiamo nelle coordinate di rotore. α = β + ξ = β + ω m t + ξ 0 allora Bˆ s1 Bs ( β , t ) = cos(ω s t − β − ω m t − ξ 0 ) 2 Andando poi a sostituire nell'espressione della coppia elettromagnetica otteniamo: π 2 Te = −2 R 2 li ∫ ϑˆr sin(ω r t − β ) Bˆ s1 cos(ω s t − β − ω m t − ξ 0 )dβ − π 2 Questo termine di coppia è generato dal interazione di ϑr e Bs rotanti nel senso positivo, ma allora avremo un altro termine che tiene conto del ϑr con verso positivo e Bs con verso negativo e altri due termini di coppia riguardanti il legame tra il ϑr con verso negativo e i due termini di campo generati allo statore. π π π π2 2 2 2 2 + + + − − − − + Te = −2 R li ∫ ϑr (ω r )Bs (ω s ) dβ + ∫ ϑr (ω r )Bs (ω s )dβ + ∫ ϑr (ω r )Bs (ω s )dβ + ∫ ϑr (ω r )Bs (ω s )dβ π π π − π2 − − − 2 2 2 Come si è dimostrato si ottengono quattro termini di coppia, noi per semplicità ne calcoleremo solo uno. π 2 Te = −2 R liϑˆr Bˆ s1 ∫ sin(ω r t − β ) cos(ω s t − β − ω m t − ξ 0 )dβ 2 − π 2 Tramite le formule di Werner scomponiamo la coppia in due integrali. π π2 2 2 ˆ ˆ1 Te = − R liϑr Bs ∫ sin(ω r t − β + ω s t − β − ω m t − ξ 0 )dβ + ∫ sin(ω r t − β − ω s t + β + ω m t + ξ 0 )dβ π − π2 − 2 π π2 2 2 ˆ ˆ1 Te = − R liϑr Bs ∫ sin[(ω r + ω s − ω m )t − 2β − ξ 0 ]dβ + ∫ sin[(ω r − ω s + ω m )t + ξ 0 ]dβ π − π2 − 2 Quindi un termine di coppia elettromagnetica è pari a: Te = − R 2liϑˆr Bˆ s1π sin[(ωr − ωs + ωm )t + ξ 0 ] 58 Questo termine di coppia è costante solo se ωr - ω s + ωm =0 ( ωr riportato allo statore e ωs sono perfettamente uguali; ωr + ωm = ω s ) quindi se le due distribuzioni di induzione di statore e di rotore rispetto allo stesso sistema di riferimento, sono perfettamente sincrone. Senza questa condizione la coppia sarà costituita solo da termini variabili nel tempo. La coppia è strettamente legata: all'angolo ξ0 , a ϑr e quindi a ir, a Bs e quindi a is. Si vede che per ξ0 =π/2 la coppia è massima, i campi sono quindi in quadratura. Arriviamo alla conclusione che devo trovare una macchina della quale sia presente un solo campo magnetico rotante, le macchine monofasi non mi permettono questo, infatti ottenendo un termine di coppia costante abbiamo sempre la presenza di tre termini variabili nel tempo che mi portano a una conversione non efficiente di energia. Passiamo quindi ad un altro tipo di macchina elettrica, quella di tipo polifasica, dobbiamo infatti dimostrare che per avere coppia costante dobbiamo realizzare una macchina in cui ci sono solo due campi magnetici sinusoidali (uno di rotare e uno di statore) che ruotano, che hanno le stesse coppie polari sia sullo statore che sul rotore e che sono sincroni, solo così produciamo una coppia costante. Nelle macchine monofasi non lo potremmo mai fare questo perché abbiamo sempre quattro campi e al massimo solo su due riusciamo ad avere le condizioni di sincronismo. Studio della coppia in una macchina elettrica monofase avente coppie polari allo statore differenti dalle coppie polari al rotore Per ora abbiamo dimostrato per ottenere un valore di coppia costante nel tempo dobbiamo avere i campi di rotore e statore al sincronismo, solo allora si avrà un trasferimento di potenza e quindi una conversione utile di energia. La sola condizione di sincronismo non basta a finche si abbia una conversione utile di energia, infatti la macchina deve presentare, al rotore e allo statore, uguali coppie polari. Solo rispettando entrambe le condizioni, sincronismo dei campi e uguali coppie polari si riesce ad avere una conversione utile di energia. Andiamo quindi a dimostrare che una macchina con un diverso numero di coppie polari al rotore e allo statore presenta una coppia media nulla e quindi non si ha una trasformazione utile di energia. Partiamo dall’ipotesi di studiare una macchina monobasica alimentata con due correnti sinusoidali sia al rotore che allo statore. La macchina presenta p s coppie polari allo statore e p r coppie polari al rotore con p s ≠ p r 2π La coppia elettromagnetica sarà pari a: Te = − R 2 l i ∫ ϑr ( β , t )Bs ( β , t )dβ 0 Dato che la macchina è monofase saranno presenti due campi controrotanti allo statore e due densità lineari di corrente controrotanti al rotore, l’interazione di queste grandezze mi porterà ad avere quattro termini di coppia 2π 2π 2π 2π Te = − R 2 li ∫ ϑr (ω r+ )Bs (ω s+ )dβ + ∫ ϑr (ω r+ )Bs (ω s− )dβ + ∫ ϑr (ω r− )Bs (ω s− )dβ + ∫ ϑr (ω r− )Bs (ω s+ )dβ 0 0 0 0 Sappiamo gia che nel caso più generale solo uno di questi termini potrà essere messo al sincronismo, gli altri tre termini di coppia avranno un valor medio nullo, quindi per semplicità andremo a studiare le sole due funzioni (ϑr e Bs ) con senso di rotazione positivo. Il campo di statore riportato al rotore sarà pari a: Bˆ s1 Bs ( β , t ) = cos(ω s t − p s β − p sω m t − p sξ 0 ) 2 59 Mentre la densità lineare di rotore sarà: ϑr = ∂∆Fr ( β , t ) δ Br1 sin(ω r t − pr β ) = ϑˆr sin(ω r t − pr β ) = µ0 R2 R∂β Sostituendo nell’espressione della coppia si ottiene: 2π Te = − R liϑˆr Bˆ s1 ∫ sin(ω r t − pr β ) cos(ω s t − p s β − p sω m t − p sξ 0 )dβ 2 0 Dividendo l’espressione tramite Werner 2π 2π Te = − K ∫ sin [(ω r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )β − p s ξ 0 ]dβ + ∫ sin [(ω r − ω s + p s ω m )t − ( p r − p s )β + p s ξ 0 ]dβ 0 0 Ora dobbiamo fare due ipotesi infatti p s e p r sono sempre dei numeri interi, ma possono essere dei valori pari o dispari. Se p s e p r sono entrambi dei numeri pari o entrambi dei numeri dispari, i termini ( pr + ps ) e saranno sempre pari. Quindi le due funzioni avranno sempre una periodicità multipla di due, allora i due integrali lungo tutto un periodo saranno nulli, otteniamo quindi un valore di coppia nullo. ( pr − ps ) Se p s e p r sono, uno pari e l’altro dispari o viceversa, in questo caso i termini ( pr + ps ) e ( p r − p s ) saranno entrambi sempre dispari. Risolvendo il primo integrale 2π ∫ sin[(ω 2π r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )β − p s ξ 0 ]dβ = [− cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )β − p s ξ 0 ]]0 0 = − cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )2π − p s ξ 0 ] + cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − p s ξ 0 ] il termine ( p r + p s )2π sarà sempre un multiplo di 2π (3 ⋅ 2π ; 5 ⋅ 2π ; 7 ⋅ 2π ) quindi = − cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − p s ξ 0 ] + cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − p s ξ 0 ] = 0 Questo termine di coppia è nullo, infatti in questo caso le aree positive uguagliano quelle negative. Il secondo integrale sarà sempre nullo, infatti il termine ( p r − p s )2π sarà sempre un multiplo di 2π quindi identico al caso analizzato precedentemente. Abbiamo dimostrato che solo con un numero uguale di coppie polari la rotore e allo statore si riesce ad avere una conversione energetica all’interno della macchina, infatti avendo un uguale numero di coppie polari riusciamo a svincolarci dalle variabili spaziali ottenendo quindi, una volta messi in sincronismo i campi, un valore di coppia costante nel tempo e quindi una conversione utile di energia tra il sistema elettrico e quello meccanico. 60 Macchine elettriche polifasiche Studio del campo magnetico nelle macchine elettriche polifasiche Ciò che vogliamo ottenere è una macchia elettrica in cui non compaiono i termini di coppia pulsanti, si deve arrivare ad avere due distribuzioni, una di campo e una delle correnti, che siano sinusoidali e sincrone tra loro, in questo modo riusciamo ad ottenere un solo termine costante di coppia. La prima cosa da fare è quindi capire quante fasi servono per produrre un campo magnetico rotante e che espressione ha il campo in una macchina polifasica. Due fasi mf =2; (n. fasi) p =1; (coppie polari) q=1; (numero di cave per polo per fase) Ciascuna fase è costituita da una matassa. Dobbiamo sempre rispettare le caratteristiche di simmetria della macchina, dobbiamo quindi distribuire in maniera simmetrica le nostre cave e le fasi lungo la superficie di statore. Il numero di cave totale è dato dalla relazione Q = m f q 2 p = 4 Le cave devono essere distribuite sulla superficie di statore in maniera simmetrica, la distanza da prendere è dato dal passo di cava τ c = 2πR πR = = α c R Le cave andranno distanziate tra loro di αc Q 2 = π/2 Una volta definito il numero il numero di cave e la loro posizione si deve definire come vanno messe le fasi nella macchina. Anche in questo caso dobbiamo distribuire in maniera uniforme le fasi, la posizione dei principi delle fasi sarà pari a xi = 2πR (1 − i) con i = 1,2,3...m f mf p 2πR (1 − 1) = 0 2 2πR (1 − 2) = πR La fase 2 avrà il principio in x2 = 2 La fase 1 avrà il principio in x1 = Come si può vedere in figura la distanza tra i due principi è proprio π 61 Anche l’alimentazione deve rispettare i parametri di simmetria quindi la macchina sarà alimentata da due correnti con modulo identico ma opposti in fase, come si vede nella figura, dove abbiamo rappresentato i due vettori simbolici di corrente. Si vede che nei due lati attivi di matassa i versi di percorrenza delle correnti sono discordi. Sapendo che le correnti sono opposte in fase e come se in ogni cava le correnti siano concordi, quindi abbiamo nuovamente un sistema monofase con i suoi problemi di coppia. Questa analisi ci fa capire che non è possibile creare una macchina bifasica. Quattro fasi mf =4; p =1; q=1; Ciascuna fase è costituita da una matassa. Ricordando che si devono sempre rispettare le caratteristiche di simmetria della macchina, andiamo a calcolare il numero di cave totale, dato dalla relazione Q = m f q 2 p = 8 Le cave devono essere distribuite sulla superficie di statore in maniera simmetrica, la distanza da prendere è dato dal passo di cava τc = 2πR πR = = α c R Le cave andranno distanziate tra loro di αc Q 4 = π/4 Una volta definito il numero il numero di cave e la loro posizione si deve definire come vanno messe le fasi nella macchina. Anche in questo caso dobbiamo distribuire in maniera uniforme le fasi, la posizione dei principi delle fasi sarà pari a xi = 2πR (i − 1) con i = 1,2,3...m f mf p 2πR (1 − 1) = 0 4 2πR πR (2 − 1) = La fase 2 avrà il principio in x2 = 4 2 La fase 1 avrà il principio in x1 = 62 2πR (3 − 1) = πR 4 2πR 3πR (4 − 1) = La fase 4 avrà il principio in x4 = 4 2 La fase 3 avrà il principio in x3 = Lo sfasamento tra i principi di ciascuna fase è di π/2 La simmetria va rispettata anche per le correnti che quindi saranno sfasate tra di loro di π/2 come si vede in figura. Si vede che nella stessa cava sono presenti due fasi in cui le correnti sono uguali e opposte, i versi con cui sono stati avvolti gli avvolgimenti sono uno positivo e uno negativo, quindi alla fine le correnti circolanti nelle stesse cave sono identiche. Nella macchina è come se ci fossero due correnti in quadratura. Questo sistema può essere studiato come un sistema alimentato da due sole correnti in quadratura. 63 i1 = 2 I sin ω t i2 = 2 I cos ω t Andiamo a scrivere le espressioni delle cadute di f.m.m. 4 ns i s1 senα π 2 4 ns is 2 ∆F21 = cos α π 2 ∆F11 = Andiamo a sostituire il valore delle correnti dentro le cadute di f.m.m. 4 ns 2I sin ω t sen α = ∆ Fˆ sin ω t sen α π 2 4 ns 2 I ∆F21 = cos ωt cos α = ∆Fˆ cos ωt cos α π 2 ∆ F11 = Sviluppando tramite Werner ∆Fˆ ∆F11 = ∆Fˆ sin ω t senα = [cos(ωt − α ) − cos(ωt + α )] 2 ∆Fˆ ∆F21 = ∆Fˆ cos ω t cos α = [cos(ω t + α ) + cos(ωt − α )] 2 La caduta di f.m.m. totale sarà pari alla somma delle due ∆F entrambe moltiplicate per due perché prodotte da quattro correnti e non da due come il calcolo semplificato eseguito prima, quindi: ∆Ftot = 2 ∆F11 + 2 ∆F21 = 2 ∆Fˆ cos(ω t − α ) Il campo magnetico rotante prodotto è concorde con il verso scelto (diretto), cambiando segno a una corrente otteniamo un campo magnetico che ruota in senso opposto (inverso). Con una qualsiasi macchina elettrica a numero di fasi pari vediamo che si hanno sempre delle cave che non vengono utilizzate, non si ha quindi l’uniforme utilizzazione della superficie di statore messa a disposizione. Tre fasi Nelle macchine con numero di fasi dispari vengono sempre utilizzate tutte le cave, questo porta a una efficiente utilizzazione della superficie a disposizione. mf =3; p =1; q =1; Ciascuna fase è costituita da una matassa. Rispettando le caratteristiche di simmetria della macchina, andiamo a calcolare il numero di cave totale Q = mf q 2 p = 6 Distribuiamo le cave sulla superficie di statore in maniera simmetrica, la distanza da prendere è: τc = 64 2πR πR = = α c R Le cave andranno distanziate tra loro di αc = π/3 Q 3 Una volta definito il numero il numero di cave e la loro posizione si deve definire come vanno messe le fasi nella macchina. Anche in questo caso dobbiamo distribuire in maniera uniforme le fasi, la posizione dei principi delle fasi sarà pari a xi = 2πR (i − 1) con i = 1,2,3...m f mf p 2πR (1 − 1) = 0 3 2πR 2πR (2 − 1) = La fase 2 avrà il principio in x2 = 3 3 2πR 4πR (3 − 1) = La fase 3 avrà il principio in x3 = 3 3 La fase 1 avrà il principio in x1 = Andiamo quindi a disporre le fasi Come si può notare tutte le cave sono occupate, in ogni cava abbiamo una fase. Andando a considerare il piano che contiene le cave si ha: 65 Si vede che abbiamo due morsetti per ogni fase, a noi serve avere tre morsetti d'ingresso, realizziamo quindi o una connessione a stella o a triangolo. Il collegamento a stella si ottiene collegando tra loro tutte e tre le fini (questo lo si fa nella morsettiera). Andiamo a vedere qual’è il campo a traferro prodotto da questi avvolgimenti, alimentiamo questi con un sistema equilibrato di correnti. is1 = 2 I s sinω s t 2π is 2 = 2 I s sin ω s t − 3 4π is 3 = 2 I s sin ω s t − 3 Calcoliamo il campo al traferro, essendo in un sistema lineare il campo al traferro sarà la somma dei tre campi prodotti da ciascuna matassa. Sappiamo che il campo prodotto da una matassa sarà a onda quadra, noi come al solito ragioniamo sulla prima armonica di spazio. Bs1 (α ) = Bˆ s1 sinα = µ 0 4 n s is sinα δ π 2 Andiamo a sostituire il valore della corrente relativa alla fase 1 Bs11 (α , t ) = µ 0 4 ns 2 I s sin ω s t sinα = Bˆ s1 sin ω s t sinα δ π 2 Lo stesso discorso è valido per la seconda fase Bs12 (α , t ) = µ 0 4 ns 2 I s 2π 2π ˆ 1 2π 2π sin ω s t − sin α − = Bs sin ω s t − sin α − δ π 2 3 3 3 3 Anche per il campo della terza fase si avrà uno sfasamento sia nello spazio che nel tempo B s13 (α , t ) = µ 0 4 ns 2 I s 4π 4π ˆ 1 4π 4π sin ω s t − sin α − = Bs sin ω s t − sin α − 2 3 3 3 3 δ π Tramite Werner Bˆ s1 B (α , t ) = [cos(ω s t − α ) − cos(ω s t + α )] 2 Bˆ s1 4π 1 Bs 2 (α , t ) = cos(ω s t − α ) − cos ω s t + α − 2 3 Bˆ s1 2π 1 Bs 3 (α , t ) = cos(ω s t − α ) − cos ω s t + α − 2 3 1 s1 Per ricavare il campo totale sommiamo le tre distribuzioni Btot (α , t ) = 66 3 ˆ1 B s cos(ω s t − α ) 2 Possiamo affermare che ad una terna simmetrica diretta che alimenta un avvolgimento trifasico corrisponde il campo magnetico rotante che ruota in senso diretto. Per un confronto con le altre distribuzioni ricaviamo la ∆F che è legata al campo tramite una costante. ∆Ftot (α , t ) = 3 δ ˆ1 3 Bs cos(ω s t − α ) = ∆Fˆss1 cos(ω s t − α ) 2 µ0 2 Si vede che l’unica differenza sta in una costante, quindi generalizzando a una macchina con una coppia polare e mf fasi si ha: ∆Ftot (α , t ) = mf 2 ∆Fˆss1 cos(ω s t − α ) Troviamo ora qual è la velocità di rotazione del campo, per fare ciò dobbiamo trovare quel sistema di riferimento per cui la nostra distribuzione di induzione risulta essere ferma, facendo quindi il differenziale spazio temporale e imponendolo a 0 troviamo la velocità del nostro sistema di riferimento. d (ϕ (α , t )) = 0 con ϕ = ω s t − α dα = ω sm allora ω s dt − dα = 0 ⇒ ω s = dt Otteniamo che la velocità di rotazione del campo è uguale alla pulsazione elettrica con cui viene alimentato il sistema. Se applichiamo una terna inversa di correnti si ottiene Btot (α , t ) = 3 ˆ1 Bs cos(ω s t + α ) differenziando 2 ed eguagliando 0 si ottiene ω m = -ωs quindi applicando una terna inversa di correnti produciamo un campo magnetico rotante in senso inverso a quello scelto come verso positivo. Vediamo che succede se aumentiamo il numero di copie polari. Tre fasi con p = 2 mf =3; p =2; q =1; Ciascuna fase è costituita da una matassa. Rispettando le caratteristiche di simmetria della macchina, andiamo a calcolare il numero di cave totale Q = m f q 2 p = 12 Distribuiamo le cave sulla superficie di statore in maniera simmetrica, la distanza da prendere è: τc = 2πR πR = = α c R Le cave andranno distanziate tra loro di αc = π/6 Q 6 Una volta definito il numero il numero di cave e la loro posizione si deve definire come vanno messe le fasi nella macchina. Anche in questo caso dobbiamo distribuire in maniera uniforme le fasi, la posizione dei principi delle fasi sarà pari a xi = 2πR (i − 1) con i = 1,2,3...m f mf p 2πR (1 − 1) = 0 3⋅ 2 2πR πR (2 − 1) = La fase 2 avrà il principio in x2 = 3⋅ 2 3 La fase 1 avrà il principio in x1 = 67 La fase 3 avrà il principio in x3 = 2πR 2πR (3 − 1) = 3⋅ 2 3 Avendo aumentato il numero di poli il passo polare si è dimezzato τ = π πR p in termini angolari π questo vuol dire che ogni π/2 sarà presente un lato attivo della stessa matassa. p 2 Vediamo quindi come sono disposte le matasse. αr = = FASE 1 FASE 2 FASE 3 Aumentando il numero di poli le cave sono ancora tutte occupate da una sola matassa. Vediamo come sono distribuite le matasse (per semplicità ne rappresentiamo solo una). Le due matasse sono sfasate l'una rispetto all'altra in modo tale da distribuire le copie polari in maniera uniforme e per produrre un unico avvolgimento colleghiamo le matasse di serie. Ricaviamo l'espressione del campo, sempre riferendoci alla prima armonica. Bs1 (α ) = Bˆ s1 sin pα = Bˆ s1 sin 2α Alimentando quindi con un sistema simmetrico di correnti 68 is1 = 2 I s sinω s t 2π is 2 = 2 I s sin ω s t − 3 4π is 3 = 2 I s sin ω s t − 3 Si ottengono queste espressione del campo. Bs11 (α , t ) = Bˆ s1 sin ω s t sin pα 2π 2π Bs12 (α , t ) = Bˆ s1 sin ω s t − sin pα − 3 3 4π 4π Bs13 (α , t ) = Bˆ s1 sin ω s t − sin pα − 3 3 Sviluppando con Werner e sommando, si ha un campo totale pari a: Btot (α , t ) = Andando 3 ˆ1 3 Bs cos(ω s t − pα ) = Bˆ s1 cos(ω s t − 2α ) 2 2 a ∆Ftot (α , t ) = generalizzare a una macchina con p coppie polari e mf fasi si ha: mf δ ˆ1 mf ˆ1 Bs cos(ω s t − pα ) = ∆Fss cos(ω s t − pα ) 2 µ0 2 La fase è cambiata, quindi facendo differenziale e uguagliandolo a 0 otteniamo d (ϕ (α , t )) = 0 con ϕ = ω s t − pα Quindi ω s dt − pdα = 0 ⇒ ω s = p ω dα = pω sm ⇒ s = ω sm dt p Con pulsazione uguale al esempio precedente la velocità di rotazione del campo è diminuita. Abbiamo dimostrato che una machina trifasica alimentata allo statore con una terna di correnti simmetriche genera un campo elettrico rotante, questo vale anche per il rotore, infatti alimentando il rotore con una terna simmetrica di correnti si produce comunque un campo magnetico rotante. Creazione in campo magnetico rotante mettendo in rotazione un campo magnetico stazzionario Alimentare un avvolgimento trifasico con una terna simmetrica di correnti non è l’unico modo per creare uncampo magnetico rotante. Possiamo alimentare il rotore in modo tale da ottenere un campo magnetico stazionario per il rotore, questo vuol dire alimentare il rotore con una corrente continua. Mettendo in rotazione il rotore lo statore vedrà un campo magnetico rotante. Quindi alimentando il rotore con una corrente continua e ponendoci in un sistema di riferimento solidale con il rotore abbiamo: Br1 ( β ) = Bˆ r1 sin pβ 69 µ 4 nr I r Questa campo magnetico è funzione solo della corrente di rotore Bˆ r1 = 0 , quindi aumentando la δ π 2 corrente aumenta il valore massimo del campo. Mettendo in rotazione il rotore a una velocità ωm vediamo che gli assi di riferimento, con la macchina a regime, sono sfasate in di ξ0 (Angolo iniziale rispetto alle condizioni di sincronismo). Passiamo dal un sistema di riferimento rotorico a quello statorico per capire come lo statore vede questo campo magnetico. Facciamo quindi il cambio di coordinate. α=ξ+β Allora β=α−ξ Con ξ=ωm+ξ0 Andando a sostituire β Dentro l'espressione del campo otteniamo: Br1 (α , t ) = Bˆ r1 sin p(α − ωmt − ξ 0 ) = Bˆ r1 sin( pα − pωmt − pξ 0 ) Abbiamo quindi prodotto un campo magnetico rotante alla velocità ωm e di forma sinusoidale. Esprimendo il tutto tramite la caduta di f.m.m. si avrà: ∆Fr1 (α , t ) = δ 1 Br (α , t ) = ∆Fˆr1 sin( pα − pω m t − pξ 0 ) µ0 Analisi delle principali grandezze elettriche nelle macchine elettriche polifasiche L’esistenza di un campo magnetico rotante generato o dagli avvolgimenti di statore o di rotore porterà alla nascita di un flusso e quindi la presenza di correnti e tensioni indotte sugli avvolgimenti della macchina. Per capire meglio il comportamento delle grandezze elettriche presenti nelle macchina ipotizziamo di alimentare prima lo statore e mantenere disalimentato il rotore poi di eseguire l’operazione inversa, quindi alimentare il rotore e disalimentare lo statore. Campo magnetico rotante prodotto allo statore Le ipotesi di partenza sono: 1. Statore caratterizzato da degli avvolgimenti trifasici uniformante distribuiti e alimentati da da una terna simmetrica di correnti. 2. Corrente nulla negli avvolgimenti di rotore Ir=0 Vogliamo conoscere l’andamento delle grandezze elettriche in questo determinata condizione di funzionamento. Partiamo dal calcolo del flusso concatenato allo statore. 70 Il calcolo viene eseguito sempre alo stesso modo, calcolando il flusso concatenato con una sola spira poi andando a sommare tutti gli elementi di flusso concatenato con il nostro avvolgimento distribuito. π ε + πp ε + πp 2p 2 ˆ λs1 = p ∫ N s (ε ) ∫ Bs1 (α )liRdα Rdε = p ∫ N s cos( pε ) ∫ Bs1 (α )liRdα Rdε π π Rπ ε ε − − 2p 2 p π 2p Dal legame Bs1 (α , t ) = che esiste tra la caduta di f.m.m. e il campo ricaviamo: µ0 3 µ0 ˆ 1 ∆Ftot (α , t ) = ∆Fss cos(ωs t − pα ) 2δ δ Andando a sostituire otteniamo: π 2p λs1 = p − ∫π 2p ε + πp 3 µ0 ˆ 1 2 ˆ N s cos( pε ) ∫ ∆Fss cos(ω s t − pα )liRdα Rdε Rπ ε 2 δ Portando fuori dall’integrale i termini costanti e sostituendo i rispettivi termini massimi 4 ns 2 I s Nˆ s = n s p ; ∆Fˆss1 = π 2 ε + πp 3 µ 0 4 ns 2 I s 2 λs1 = p ns pliR ∫ cos( pε ) ∫ cos(ω s t − pα )dα dε 2 δ π 2 π π ε − 2p π 2p Risolviamo il primo integrale ε+ π π p ε+ 1 1 p [ ( ) ] [sin (ω s t − pε − π ) − sin (ω s t − pε )] = ω α α ω α cos( t − p ) d = − sin t − p = − s s ε ∫ε p p =− 1 [− sin (ω s t − pε ) − sin (ω s t − pε )] = 2 sin(ω s t − pε ) p p Ora posiamo svolgere il secondo integrale π 2p 2 ∫π cos( pε ) p sin(ω t − pε )dε s − Risolvendo tramite Werner otteniamo 2p π 2πp 2p π 1 sin (ω s t − pε + pε )dε + ∫ sin (ω s t − pε − pε )dε = 2 sin (ω s t ) ∫ p π π p − − 2p 2p il flusso concatenato è quindi pari a: 71 λs1 = 3 8 µ 0liRπ 2 3 8 3 8 3 1 2 2 2 sin 2 sin 2 sin n I ω t = Γ n I ω t = Γ n I ω t = Lss 2I s sin ωs t s s s t s s s t s s s 2 π 2 2δ 2π2 2π2 2 Si arriva ad una espressione finale pari a : λs1 = L1s 2I s sinωs t 3 1 Lss è il coefficiente di auto induzione delle matassa statorica. 2 Fisicamente L1s è coefficiente di mutuo accoppiamento, infatti si deve ricordare che il campo è prodotto da tutte e tre le fasi, infatti il contributo di flusso prodotto dalla fase due e dalla fase tre che va a 3 concatenarsi con la fase uno vengono rappresentati dal . Questo termine in virtù della simmetria della 2 macchina e del sistema di alimentazione riesce a tener conto del flusso di mutua dovuto alle altre due fasi. Il calcolo svolto solo per la prima fase risultano essere identiche anche per le altre due. Dove L1s = λs1 = L1si1 (t ) λs 2 = L1si2 (t ) λs3 = L1si3 (t ) Con una terna di correnti pari a : i1 = 2 I s sinω s t 2π i2 = 2 I s sin ω s t − 3 4π i3 = 2 I s sin ω s t − 3 Quindi con un campo magnetico rotante prodotto da una terna simmetrica di correnti circolanti allo statore si ottiene un flusso concatenato con i tre avvolgimenti di statore, sfasati di 2π , il flusso 3 concatenato e la corrente sono legati dal solo coefficiente di auto induzione che è una quantità definita dai soli parametri geometrici di macchina, abbiamo quindi un legame diretto tra flusso e corrente. La conoscenza del flusso porta, tramite la legge di Faraday-Lenz, alla conoscenza della tensione indotta e quindi alla coscienza del legame tra corrente e tensione indotta. l’espressione della tensione indotta è: dλs1 = − 2L1sω s I s cosω s t dt dλ 2π es 2 = − s 2 = − 2L1sω s I s cos ω s t − dt 3 es1 = − es 3 = − 72 dλs 3 4π = − 2L1s ωs I s cos ω s t − dt 3 Da questa espressione si capisce che esiste sempre un legame diretto con la corrente, si nota inoltre che la tensione indotta è in quadratura e in ritardo rispetto al flusso e alla corrente che invece risultano essere in fase. Partiamo sempre dall’ipotesi di non alimentare il rotore e di mantenere alimentato lo statore. Da queste ipotesi di partenza vediamo che effetti produce al rotore il campo magnetico rotante di statore, naturalmente per sviluppare il calcolo del flusso e della tensione indotta dobbiamo passare nel sistema di riferimento rotorico, il resto sarà identico al calcolo visto precedentemente. Sapendo che α = β + ξ il campo magnetico di statore riportato al rotore sarà: Bs1 (β , t ) = Il µ0 3 µ0 ˆ 1 ∆Ftot (β , t ) = ∆Fss cos(ωs t − pβ − pξ ) 2δ δ flusso concatenato no le spire di rotore sarà: ε + p ε + p 2p µ 2 3 0 λr1 = p ∫ N r (ε ) ∫ Bs1 ( β )liRdβ Rdε = p ∫ ∆Fˆss1 cos(ω s t − pβ − pξ )liRdβ Rdε Nˆ r cos( pε ) ∫ π π Rπ ε ε 2 δ − − 2p 2p π ε + πp 2p µ n 2 I 3 0 4 s s 2 λr1 = p nr pliR ∫ cos( pε ) ∫ cos(ω s t − pβ − pξ )dβ dε 2 δ π 2 π π ε − 2p π π π π 2p π λr1 = p λr1 = p λr1 = 3 µ 0 4 ns 2 I s 2 nr pliR 2 δ π 2 π 2p 2 ∫π cos( pε ) p sin (ω t − pε − pξ )dε s − 2p π 3 µ 0 4 ns 2 I s 2 3 8 nr pliR 2 sin (ω s t − pξ ) = ns nr Γt 2 I s sin (ω s t − pξ ) 2 δ π 2 π 2π2 p 3 1 Lrs 2 I s sin (ω s t − pξ ) = L1m 2 I s sin (ω s t − pξ ) 2 Il flusso, tramite un coefficiente di mutua induzione è ancora direttamente legato alla corrente di statore e mantiene una evoluzione sinusoidale. Tenendo conto del legame tra la velocità di rotazione meccanica del rotore e lo sfasamento tra rotore e dξ ⇒ ξ = ∫ ω m dt = ω m t + ξ 0 statore ω m = dt 1 ( ) Abbiamo un flusso concatenato pari a : λr1 = Lm 2 I s sin ω s t − pωm t − pξ 0 Si capisce che l’evoluzione del flusso è funzione anche della velocità meccanica del rotore, infatti un osservatore posto sul rotore vede il campo di statore ruotare ad una velocità relativa pari alla differenza tra la velocità di rotazione del campo e quella meccanica λr1 = L1m 2 I s sin[(ω s − pωm )t − pξ 0 ] Ciò che cambia sono le velocità di rotazione, quindi al rotore sarà diversa la frequenza con cui si vede variare il flusso, l’espressione è anche caratterizzata dalla presenza dell’angolo ξ 0 questo è lo sfasamento tra rotore e statore una volta raggiunte le condizioni di regime. 73 Per ottenere un flusso e conseguentemente una tensione indotta direttamente legate alla pulsazione di alimentazione si introduce un parametro chiamato scorrimento s = sostituendo dentro l’espressione del flusso si ha una tensione indotta del tipo er1 = − ω s − pω m ⇒ s ω s = ω s − pω m ωs λr1 = L1m 2 I s sin[sω s t − pξ 0 ] da cui si arriva a dλr1 = sω s L1m 2 I s cos[sωs t − pξ 0 ] dt Anche nella tensione indotta si ha un legame diretto, funzione dello scorrimento, con la corrente di statore, si nota che anche la pulsazione e quindi la frequenza sono funzioni dello scorrimento, l’espressione è ancora caratterizzata dalla presenza dell’angolo ξ 0 . Campo magnetico rotante prodotto al rotore Dalla analisi fatta precedentemente sappiamo che al rotore è possibile creare un campo magnetico rotante in due modi. Il primo è quello di creare, alimentando in gli avvolgimenti con una corrente continua, un campo magnetico stazionario, per poi mettere in rotazione il rotore. Il secondo metodo è quello di alimentare un avvolgimento trifase al rotore con una terna di correnti simmetriche. Partiamo alimentando il rotore con una corrente continua e su questa macchina andremo a calcolare le grandezze elettriche. Le ipotesi di partenza sono: 1. Correnti allo statore nulle is1 (t ) = is 2 (t ) = is 3 (t ) = 0 quindi cadute di f.m.m. nulle ∆Fs11 (α , t ) = ∆Fs12 (α , t ) = ∆Fs13 (α , t ) = 0 2. Rotore caratterizzato da una alimentazione in continua ir (t ) = I r (t ) Vogliamo conoscere l’andamento delle grandezze elettriche in questo determinata condizione di funzionamento. Partiamo dal calcolo del flusso concatenato allo statore. Il calcolo viene eseguito sempre alo stesso modo, calcolando il flusso concatenato con una sola spira poi andando a sommare tutti gli elementi di flusso concatenato con l’avvolgimento. π ε + πp ε + πp 2p 2 ˆ λs1 = p ∫ N s (ε ) ∫ Br1 (α )liRdα Rdε = p ∫ N s cos( pε ) ∫ Br1 (α )liRdα Rdε π Rπ π ε ε − − 2p 2 p π 2p 1 1 Il campo di rotore visto dallo statore è Br (α , t ) = Bˆ r sin( pα − pω m t − pξ 0 ) quindi 74 ε + πp ˆ1 2 ˆ N s cos( pε ) ∫ Br sin( pα − pω m t − pξ 0 )liRdα Rdε λ s1 = p ∫ π Rπ ε − 2p π 2p ε + πp 2 λs1 = pBˆ r1 Nˆ s liR ∫ cos( pε ) ∫ sin( pα − pω m t − pξ 0 )dα dε π π ε − 2p π 2p π 2p 2 2 λs1 = pBˆ r1 Nˆ s liR ∫ cos( pε ) cos( pε − pω m t − pξ 0 )dε p π π − 2p π 2πp 2p 2 1 λs1 = pBˆ r1 Nˆ s liR ∫ cos(2 pε − pωm t − pξ 0 )dε + ∫ cos( pω m t + pξ 0 )dε p π π π − − 2 2 p p π 4 µ 0 nr I r 2 8 λ s1 = ns pliR cos( pω m t + pξ 0 ) = 2 ns nr Γt I r cos( pω m t + pξ 0 ) π δ 2 π π p λs1 = L1sr I r cos( pωm t + pξ 0 ) Come visto prima si nota che il flusso è direttamente legato alla corrente e che la sua pulsazione sarà pari alla velocità di rotazione del rotore, questo è logico dato che lo statore vede un campo che ruota proprio alla velocità ωm . Si può notare che l’espressione del flusso assomiglia molto a quella trovata alimentando lo statore, infatti questa era pari a: Ponendo ω m = ω s e λs1 = L1s 2I s sinωs t = 3 ns 2 nr 3 ns 1 Lsr 2I s sinωs t 2 nr 2 I s = I r si vede che i due flussi hanno lo stesso valore efficace e la stessa frequenza, quindi il comportamento dei due flussi è identico. Questa relazione di equivalenza ci permette di alimentare il rotore con una corrente continua, ma studiarne gli effetti come se fossero prodotti da una corrente fittizia che circola sugli avvolgimenti di statore. Quindi questo legame mi permette di rappresentare tutte le grandezze elettriche o solamente allo statore o solamente al rotore, quindi darne una rappresentazione sullo stesso piano, inoltre ci permette di studiare la macchina con dei circuiti equivalenti con la stessa procedura usata per i trasformatori. La tensione indotta sarà facilmente ricavabile tramite Faraday-Lenz dλ es1 = − s1 = L1sr pω m I r sin p(ω m t + ξ 0 ) dt Ora rifacciamo gli stessi calcoli considerando un rotore caratterizzato da un avvolgimento trifase distribuito e alimentato da una terna simmetrica di correnti. 75 Le ipotesi di partenza sono: 1. Correnti allo statore nulle is1 (t ) = is 2 (t ) = is 3 (t ) = 0 quindi cadute di f.m.m. nulle ∆Fs11 (α , t ) = ∆Fs12 (α , t ) = ∆Fs13 (α , t ) = 0 2. Rotore caratterizzato da un avvolgimento trifase distribuito e alimentato con una terna di correnti simmetriche ir1 = 2 I r sinω r t 2π ir 2 = 2 I r sin ω r t − 3 4π ir 3 = 2 I r sin ω r t − 3 La presenza della terna di correnti nel rotore farà nascere un campo magnetico rotante, che come µ 3 µ0 ˆ 1 ∆Frr cos(ω r t − pβ ) studiato in precedenza sarà pari a: Br1 ( β , t ) = 0 ∆FTr1 ( β , t ) = 2 δ δ Analizziamo gli effetti di questo campo sulla macchina. Partiamo dal calcolo del flusso concatenato. ε + πp 1 Dalla relazione generale λ s1 = p ∫ N s (ε ) ∫ Br (α )liRdα Rdε π ε − 2p π 2p si vede che dobbiamo riportare il campo di rotore alla statore. Dato che β = α − ξ = α − ω m t − ξ 0 allora Br1 (α , t ) = 3 µ0 ˆ 1 ∆Frr cos(ω r t − pα + pω m t + pξ 0 ) 2 δ Sostituendo e svolgendo i calcoli si trova: ε + πp 3 µ0 ˆ 1 2 ˆ λ s1 = p ∫ N s cos( pε ) ∫ ∆Frr cos(ω r t − pα + pω m t + pξ 0 )liRdα Rdε π Rπ ε 2 δ − 2p π ε + πp 2p 3 µ 0 4 nr 2 I r 2 ns pliR ∫ cos( pε ) ∫ cos(ω r t − pα + pω m t + pξ 0 )dα dε λ s1 = p 2 δ π 2 π π ε − 2p π 2p 76 π λ s1 = p λ s1 = p 3 µ 0 4 nr 2 I r 2 ns pliR 2 δ π 2 π 2p 2 ∫π cos( pε ) p sin (ω t − pε + pω r − m t + pξ 0 )dε 2p 3 µ 0 4 nr 2 I r 2 3 8 π ns pliR 2 sin (ω r t + pω m t + pξ 0 ) = ns nr Γt 2 I r sin (ω r t + pω m t + pξ 0 ) p 2 δ π 2 π 2π2 3 2 λs1 = L1rs 2 I r sin (ω r t + pω m t + pξ 0 ) = L1m 2 I r sin[(ω r + pω m )t + pξ 0 ] Anche in questo caso si vede che la corrente è direttamente legata al flusso, in più si nota che la velocità con cui lo statore vede ruotare il campo di rotore è ωr + pωm . Anche in questo caso potevamo studiare il sistema riportando tutte le grandezze allo statore. dλ Otterremo una tensione indotta pari a: es1 = − s1 = − L1m (ω r + pω m ) 2 I r cos[(ω r + pω m )t + pξ 0 ] dt Con questo studio abbiamo definito tutti i parametri elettrici e magnetici presenti nella macchina elettrica rotante. N.B. Da questo studio si capisce che un campo magnetico rotante e quindi con una evoluzione di forma sinusoidale porta ad avere i flussi, correnti e tensioni all’interno della macchina di tipo sinusoidale, questo non si riuscirebbe mai ad ottenere con un campo ad esempio di forma quadra è per questo motivo che costruttivamente e grazie alla distribuzione dei conduttori in un determinato modo si cerca di ottenere campi magnetici di forma sinusoidali. Analisi della coppia nelle macchine elettriche polifasiche Sino ad ora si è studiato il comportamento del sistema elettrico e magnetico, la nostra macchina però è un sistema elettromeccanico quindi dobbiamo studiare il sistema meccanico e capire come avviene la conversione di energia. Incominciamo prendendo come riferimento la macchina elettrica, che costruttivamente, risulta essere la più generica possibile. Ipotizziamo di avere una macchina costituita da una terna di conduttori distribuiti sia al rotore che allo statore. Lo statore sarà alimentato da una terna di correnti simmetriche is1 = 2 I s sinω s t 2π is 2 = 2 I s sin ω s t − 3 4π is 3 = 2 I s sin ω s t − 3 che produrrà un campo magnetico rotante del tipo: 77 3 ˆ1 Bs cos(ω s t − pα ) 2 3 1 andando a riportarlo al rotore si avrà Btot ( β , t ) = Bˆ s cos(ω s t − pβ − pξ ) 2 Btot (α , t ) = Anche il rotore sarà alimentato con una terna simmetrica di correnti del tipo ir1 = 2 I r sinω r t 2π ir 2 = 2 I r sin ω r t − 3 4π ir 3 = 2 I r sin ω r t − 3 Quindi anche al rotore sarà presente un campo magnetico rotante del tipo: Br1 ( β , t ) = µ0 3 µ0 ˆ 1 ∆FTr1 ( β , t ) = ∆Frr cos(ω r t − pβ ) 2 δ δ L’interazione tra questi due campi farà nascere una coppia e quindi si avrà una conversione di energia. Analizziamo l’espressione della coppia, questa è pari a: π 2p Te = −2 pR 2l ∫ ϑr ( β )Bs1 ( β ) dβ − π 2p Ricordando il legame tra densità lineare di corrente e caduta di f.m.m. ricaviamo ∂∆FTr1 ( β , t ) 3 δ 3 4 nr p ϑr = = Br1 sin(ω r t − pβ ) = 2 I r sin(ω r t − pβ ) R∂β 2 µ0 R 2 π 2R Ora siamo in grado di calcolare la coppia π Te = −2 pRl 3 4 nr p 3 µ 0 4 n s 2 I s 2π 2 2 δ π 2 2p 2I r ∫πsin(ω t − pβ ) cos(ω t − pβ − pξ )dβ r − s 2p Risolvendo tramite Werner π 2πp 2p Rl µ 3 8 0 Te = − p 2 3 n n I I sin( t − 2 p + t − p ) d + sin( t − t + p ) d ω β ω ξ β ω ω ξ β r s s r r s r s ∫ ∫π 2π2 2δ − π − 2p 2p µ Rl 3 8 3 8 π Te = − p 2 3 n n 0 I s I r sin(ω r t − ω s t + pξ ) = − p3 nr ns Γt I s I r sin(ω r t − ω s t + pξ ) 2 r s 2π 2δ p 2π2 3 Te = −3 p L1sr I s I r sin(ω r t − ω s t + pξ ) = −3 pL1m I s I r sin(ω r t − ω s t + pξ ) 2 Ricordando la relazione ξ = ω m t + ξ 0 l’espressione finale della coppia è: Te = −3 pL1m I s I r sin(ωr t − ω s t + pωm t + pξ 0 ) 78 Abbiamo ottenuto un solo termine di coppia, questo dovevamo aspettarcelo dato che la coppia si crea dalla interazione di un solo campo magnetico rotante allo statore e da un solo campo magnetico al rotore. Perché si abbia una conversione efficiente di energia la coppia deve presentare un valore costante nel tempo, questo si ottiene imponendo ω r − ω s + pω m = 0 quindi imponendo il sincronismo tra i campi di rotore e statore. Come nelle macchine monofasi, lo studio della relazione ωr − ω s + pω m = 0 ci permette di ricavare l’espressione della coppia relativa a una machina sincrona trifase a poli lisci o a una machina a corrente continua trifase o a una machina asincrona trifase. Analizziamo tutte le condizione che ci portano a un diverso tipo di macchina elettrica trifase. Macchina sincrona Alimentano il rotore in continua avremo che risulta essere ωs = pωm ⇒ ωm = coppia Te = −3 pL1m I s I r sin pξ 0 ωs p ωr = 0 quindi la condizione di sincronismo dei campi verificando la condizione di sincronismo si ottiene la seguente abbiamo ricavato la coppia in una macchina sincrona. Macchina a corrente continua Alimentando lo statore in corrente continua otteniamo una pulsazione del campo ad esso associato pari a ωs = 0 quindi per la condizione di sincronismo dei campi, la pulsazione rotorica deve essere uguale a quella meccanica ωr = − pωm Queste caratteristiche sono di una macchina in corrente continua e al sincronismo dei campi si ottiene la seguente coppia: Te = −3 pL1m I s I r sin pξ 0 Macchina asincrona L’ultima condizione di sincronismo è data da macchina asincrona, che avrà una coppia pari a: ωs − ωr = pωm questa è una caratteristica della Te = −3 pL1m I s I r sin pξ 0 Da questa analisi si vede che tutte le macchina viste hanno caratteristiche di alimentazione differenti, ma il principio su cui si basano le fondamenta di tutte le macchine è che il campo di statore e quello di rotore sino perfettamente sincroni, questa è una condizione fondamentale per ottenere una coppia costante nel tempo. Se facciamo partire la macchina a rotore fermo, quindi ωm = 0 si vede che l’unica machina che riesce a produrre coppia costante in questo caso è la macchina asincrona, infatti questa è caratterizzata da 1 se ωm = 0 allora ωs = ωr sostituendo si ottiene Te = −3 pLm I s I r sin pξ 0 Questo vuol dire che la macchina asincrona è una macchina auto avviante, le altre macchine devono essere portate al sincronismo tramite un dispositivo di avviamento. ωs − ωr = pωm Si nota che in tutti i casi il valore della coppia è pari a Te = −3 pL1m I s I r sin pξ 0 questa dipende dai parametri geometrici della macchina 3 pL1m , che rimangono costanti, dalle correnti I s I r e dallo sfasamento ξ 0 Quindi per far variare la coppia si dovrà agire o sulle correnti o sullo sfasamento ξ 0 . 79 Studio della coppia in una macchina elettrica trifase avente coppie polari allo statore differenti dalle coppie polari al rotore Si è dimostrato per ottenere un valore di coppia costante nel tempo i campi di rotore e statore devono essere sincroni, solo allora si avrà un trasferimento di potenza e quindi una conversione utile di energia, nel caso delle macchine polifasiche si è visto che non si ottengono termini di coppia pulsanti nel tempo quindi, a differenza delle macchine monofasiche, avremo una conversione efficiente di energia. La sola condizione di sincronismo non basta a finche si abbia una conversione utile di energia, infatti la macchina deve presentare, al rotore e allo statore, uguali coppie polari. Solo rispettando entrambe le condizioni, sincronismo dei campi e uguali coppie polari si riesce ad avere una conversione utile di energia. Andiamo quindi a dimostrare che una macchina con un diverso numero di coppie polari al rotore e allo statore presenta una coppia media nulla e quindi non si ha una trasformazione utile di energia. Partiamo dall’ipotesi di studiare una macchina trifase alimentata con una terna di correnti sinusoidali sia al rotore che allo statore. La macchina presenta p s coppie polari allo statore e p r coppie polari al rotore con p s ≠ p r 2π La coppia elettromagnetica sarà pari a: Te = − R 2 l i ∫ ϑr ( β , t )Bs ( β , t )dβ 0 Il campo di statore riportato al rotore sarà pari a: Btot ( β , t ) = 3 ˆ1 Bs cos(ω s t − p s β − p s ξ ) 2 Mentre la densità lineare di rotore sarà: ∂∆FTr1 ( β , t ) 3 δ 3 4 nr p ϑr = = Br1 sin(ω r t − p r β ) = 2 I r sin(ω r t − p r β ) R∂β 2 µ0 R 2 π 2R Sostituendo nell’espressione della coppia si ottiene: 2π Te = − R 2 liϑˆr Bˆ s1 ∫ sin(ω r t − pr β ) cos(ω s t − p s β − p sω m t − p sξ 0 )dβ 0 Dividendo l’espressione tramite Werner 2π 2π Te = − K ∫ sin [(ω r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )β − p s ξ 0 ]dβ + ∫ sin [(ω r − ω s + p s ω m )t − ( p r − p s )β + p s ξ 0 ]dβ 0 0 Ora dobbiamo fare due ipotesi infatti p s e p r sono sempre dei numeri interi, ma possono essere dei valori pari o dispari. Se p s e p r sono entrambi dei numeri pari o entrambi dei numeri dispari, i termini ( pr + ps ) e saranno sempre pari. Quindi le due funzioni avranno sempre una periodicità multipla di due, allora i due integrali lungo tutto un periodo saranno nulli, otteniamo quindi un valore di coppia nullo. ( pr − ps ) Se p s e p r sono, uno pari e l’altro dispari o viceversa, in questo caso i termini ( pr + ps ) e ( p r − p s ) saranno entrambi sempre dispari. Risolvendo il primo integrale 2π ∫ sin[(ω 0 80 2π r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )β − p s ξ 0 ]dβ = [− cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )β − p s ξ 0 ]]0 = − cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − ( p r + p s )2π − p s ξ 0 ] + cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − p s ξ 0 ] il termine ( p r + p s )2π sarà sempre un multiplo di 2π (3 ⋅ 2π ; 5 ⋅ 2π ; 7 ⋅ 2π ) quindi = − cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − p s ξ 0 ] + cos[(ω r + ω s − p s ω m )t − p s ξ 0 ] = 0 Questo termine di coppia è nullo, infatti in questo caso le aree positive uguagliano quelle negative. Il secondo integrale sarà sempre nullo, infatti il termine ( p r − p s )2π sarà sempre un multiplo di 2π quindi identico al caso analizzato precedentemente. Abbiamo dimostrato che solo con un numero uguale di coppie polari la rotore e allo statore si riesce ad avere una conversione energetica all’interno della macchina, infatti avendo un uguale numero di coppie polari riusciamo a svincolarci dalle variabili spaziali ottenendo quindi, una volta messi in sincronismo i campi, un valore di coppia costante nel tempo e quindi una conversione utile di energia tra il sistema elettrico e quello meccanico. Confronto tra macchine elettriche monofasi e macchina elettriche trifasi Dalle analisi svolte si è notato che, sia per le macchine elettriche monofasi che per le polifasiche l’unico modo per ottenere un valore di coppia costante nel tempo era avere il perfetto sincronismo tra il campo di statore e quello di rotore, questa sola condizione non era però sufficiente, infatti un’altra condizione da verificare era quella per la quale il rotore e lo statore presentassero uguali coppie polari. Solo verificando entrambe le condizioni, coppie polari uguali e sincronismo tra i campi, si riusciva a ottenere una conversione di energia. La differenza sostanziale tra una macchina monofasica e una polifasica sta nel fatto che una macchina monofasica presenta sempre quattro valori di coppia, dovuti all’interazione dei due campi controrotanti di statore con i due campi controrotanti di rotore. Andando a soddisfare le due condizione fondamentali, si nota che dei questi quattro termini di coppia alcuni rimangono funzioni del tempo, quindi a valor medio nullo. I termini pulsanti nel tempo non danno un contributo utile nella conversione energetica, ma creano solamente vibrazioni quindi portano a delle dissipazioni di energia, con una macchina monofase non si ottiene una conversione efficiente di energia. Con le macchine polifasiche non abbiamo questo problema, infatti sia al rotore che allo statore sarà presente un solo campo magnetico rotante, l’interazione tra il solo campo di statore e del solo campo di rotore genera un solo valore di coppia costante nel tempo, questo porta a una efficiente conversione di energia tra il sistema elettrico e quello meccanico. Tra i sistemi polifasici quello più usato è quello trifase perché è il numero minimo di fasi che serve per ottenere un campo magnetico rotante. N.B. Tutto lo studio fatto sin ora è stato svolto ipotizzando il sistema lineare, se questa ipotesi non è più valida tutto questo studio non è più valido. In tal caso si dovranno usare altri metodi di analisi. 81 82 Macchine elettriche sincrone Generalità Le macchine sincrone vengono classificate a seconda della forma del rotore, possiamo avere: Macchine elettriche a poli lisci o isotropa. Queste macchine hanno il rotore cilindrico, il traferro è quindi costante. Macchine elettriche a poli salienti o anisotropa. Queste macchine presentano sul rotore delle espansioni polari quindi la macchina è caratterizzata da un traferro variabile. Solitamente queste macchine vengono utilizzate come generatori e presentano il circuito di eccitazione sul rotore, questo viene alimentato in corrente continua . Il rotore può esser alimentato tramite delle spazzole rotanti, questa soluzione può andar bene per macchine di ridotta potenza, per macchine di grossa taglia si preferisce utilizzare dei dispositivi auto eccitanti, anche se oggi si è quasi totalmente passati al controllo elettronico. Solitamente queste macchine vengono utilizzate per la conversione dell'energia meccanica in energia elettrica, la potenza viene quindi erogata verso l'ambiente esterno, come sappiamo bene la maggior parte dei sistemi elettrici sono di tipo trifase, quindi l’avvolgimento d'indotto risulta essere l’avvolgimento di statore, mentre l'avvolgimento di eccitazione risulta essere l’avvolgimento di rotore ed è monofase, naturalmente vengono realizzati gli avvolgimenti in modo tale da massimizzare la distribuzione di prima armonica. Per un perfetto ed efficiente funzionamento della macchina è necessario che venga soddisfatta la condizione di sincronismo ω m = ωs e che statore e rotore presentino uguali coppie polari, queste p condizioni ci assicurano una coppia meccanica costante e quindi una conversione efficiente di energia. Macchina sincrona a poli lisci Come detto prima, per produrre una coppia meccanica costante dobbiamo fare in modo che le due distribuzioni prodotte dal rotore e dallo statore risultino essere sincrone e che si abbia lo stesso 1 numero di copie polari. Quindi alimentando lo statore con un sistema trifase di correnti, produciamo un campo magnetico sinusoidale che presenta una velocità di rotazione meccanica pari a ωs/p Sul rotore abbiamo un avvolgimento monofasico questo fa si che rispetto allo statore si produca un campo magnetico rotante che presenta una velocità ωm quindi per realizzare le condizioni di sincronismo tra queste due distribuzioni dobbiamo fare in modo che i due campi ruotino alla stessa velocità di rotazione, allora basterà realizzare la condizione che ωm= ωs/p Quando queste condizioni vengono verificate si produrrà una coppia costante nel tempo (da questa condizione si capisce che non è una macchina auto avviante). Un'altra condizione che dobbiamo rispettare è quella che il numero di poli prodotti allo statore e al rotore siano uguali. Funzionamento a vuoto Per lo studio a vuoto della macchina dobbiamo fare delle ipotesi di partenza: Non colleghiamo nessun carico all'avvolgimento di statore, i morsetti di statore sono quindi aperti i s1 = i s 2 = i s 3 = 0 Il rotore deve essere alimentato in corrente continua ir (t ) = I r = cos t Velocità meccanica costante ω m = cos t Sappiamo che per questa macchina il campo magnetico visto dal rotore sarà: Br1 ( β ) = Bˆ r1 sin pβ Facciamo quindi il cambio di coordinate. α=ξ+β Allora β=α−ξ Con ξ=ωm+ξ0 Andando a sostituire β dentro l'espressione del campo otteniamo: B r1 (α , t ) = Bˆ r1 sin p (α − ω m t − ξ 0 ) = Bˆ r1 sin( p α − p ω m t − p ξ 0 ) Abbiamo quindi prodotto un campo magnetico rotante alla velocità ωm e di forma sinusoidale. Esprimendo il tutto tramite la caduta di f.m.m. si avrà: ∆Fr1 (α , t ) = δ 1 Br (α , t ) = ∆Fˆr1 sin( pα − pω m t − pξ 0 ) µ0 Questo campo magnetico rotante si concatena con le nostre tre fasi di statore, quindi tramite la legge di Faraday-Lenz otterremo una tensione indotta su ciascuna fase del tipo: e1 = − dλs1 dt Il calcolo del flusso concatenato con le fasi di statore sarà identico a quello svolto nelle generalità, andremo a calcolare il flusso concatenato con una sola spira per poi andare a sommarlo al flusso concatenato con tutte le spire del nostro avvolgimento distribuito di statore. π π ε+ 2p p 1 λ = p ∫ N (ε ) ∫ B (α )liRdα Rdε s1 s r π ε − 2p Conosciamo bene sia l’espressione della nostra distribuzione di spire allo statore 2n p N s (α ) = s cos( pα ) Rπ 2 sia del campo magnetico di rotore visto dallo statore 4 µ 0 nr I r Br (α ) = sin p(α − ω m t − ξ 0 ) π δ 2 Sostituendo e considerando il flusso concatenato con la prima fase di statore, otteniamo: π π ε+ 2 p 2n p p 4 µ nI s 0 r r cos( pε ) ∫ sin p (α − ω m t − ξ 0 )li Rdα Rdε λs1 = p ∫ R 2 π δ π π ε − 2p π π ε+ 2 p p 2ns p 4 µ 0 nr I r li R λs1 = p ∫ cos( pε ) ∫ sin p (α − ω m t − ξ 0 )dα dε π π δ 2 π ε − 2p π 4 µ 0 nr I r 2 2 p ∫ cos( pε ) cos p (ε − ω m t − ξ 0 )dε π π δ 2 p π − 2p π π 2p 2 p µ0 8 λs1 = p 2 ns nr li R I r ∫ cos p (2ε − ω m t − ξ 0 )dε + ∫ cos p(+ω m t + ξ 0 )dε π 2δ π − π − 2 p 2p µ 8 π λs1 = 2 ns nr li R 0 I r cos p(+ω m t + ξ 0 ) = L1m I r cos p(ωm t + ξ 0 ) π 2δ p Il flusso concatenato con l'avvolgimento di statore presenta un'evoluzione nel tempo di tipo cosinusoidale, questo dipende dal fatto che la distribuzione di induzione è sinusoidale, questo è il motivo per cui si realizzano distribuzioni di induzione sinusoidale nello spazio in modo tale da ottenere evoluzioni temporali del flusso di tipo sinusoidali, derivando il flusso rispetto al tempo otteniamo una tensione di tipo sinusoidale. λs1 = p 2 ns p li R es1 = pL1mωm I r sin p (ωmt + ζ 0 ) Abbiamo ottenuto la tensione indotta sulla prima fase di statore, si vede che la pulsazione è uguale alla velocità del campo, invece il valore efficace della tensione indotta è legato al valore della corrente sul rotore E 0 = pL1mω m I r 2 , infatti aumentando la corrente, aumenta il campo, aumenta il flusso e quindi aumenta il valore della tensione indotta. La tensione aumenta anche all'aumentare di ωm Si vede che la tensione e il flusso sono isofrequenziali possiamo quindi rappresentarli sul piano di Laplace 3 La corrente irf è una corrente fittizia. Infatti sapendo che il legame tra il flusso e la corrente che produce il flusso è del tipo λs1 = L.i, osservando l'espressione λs1 = L1m I r cos p(ωmt + ζ 0 ) dalle ' r generalità sappiamo che è possibile riportare la corrente di rotore I r allo statore I , infatti queste due grandezze sono legate da delle semplici costanti 3 ns 2 nr 2 I r' = I r ⇒ I r' = 2 nr Ir 3 ns Riportando la corrente I r allo statore vediamo che il flusso sarà legato al coefficiente di autoinduzione statorico: λs1 = 3 ns 2 nr 2 I r' L1m cos p(ωmt + ζ 0 ) = L1s 2 I r' cos p(ωmt + ζ 0 ) ' L'espressione I rf (t ) = 2 I r cos p (ωmt + ζ 0 ) la si può considerare come una corrente fittizia che circolando negli avvolgimenti di statore produce un campo magnetico rotante uguale a quello prodotto dal rotore, questa corrente risulta essere isofrequenziale sia con la tensione indotta che con il flusso, è per questo motivo che possiamo rappresentare questa corrente nel piano di Laplace insieme alle altre grandezze. Per le altre due fasi, sapendo che gli avvolgimenti sono sfasati tutti di 2π/3 nello spazio, allora sia i flussi che le tensioni indotte saranno sfasate della stessa quantità, abbiamo quindi ottenuto sulle tre fasi una terna simmetrica diretta di tensioni. Questa terna presenta il valore di tensione che dipende dalla corrente di eccitazione Iecc e dalla velocità di rotazione meccanica ωm. Naturalmente anche la tensione indotta a vuoto può essere espressa tramite la corrente fittizia I rf infatti E0 = pL1mω m I r 3 ns = 2 nr 2 2 pL1mω m I r' = pL1sω m I r' 2 Caratteristica a vuoto della macchina elettrica sincrona Questo diagramma rappresenta l'evoluzione del valore efficace della tensione a vuoto in funzione di Iecc e ωm Se teniamo costante la velocità meccanica vediamo che la funzione evolve in maniera lineare, questo è vero sino a che non si arriva alla saturazione della macchina. Alimentando l'avvolgimento di rotore produciamo un campo magnetico al traferro, il campo però evolve anche nel ferro della macchina, aumentando la corrente di rotore aumenta il campo e quindi aumenta anche la caduta di f.m.m. quindi si arriva a un punto in cui le cadute di f.m.m. nel ferro non possono più essere trascurate. Questo mi fa cambiare il 4 campo magnetico totale e quindi avremo che la tensione indotta a vuoto non avrà più un andamento lineare ma risentirà dell'effetto della saturazione del ferro. Se cambiamo la velocità di rotazione della macchina cambia il valore della tensione indotta, quindi per ogni valore di velocità avremo una diversa caratteristica. La caratteristica a vuoto non solo rappresenta il legame tra la corrente di eccitazione e la tensione indotta allo statore per una precisa velocità di sincronismo, ma ci rappresenta il legame tra la causa (correnti) e l’effetto (tensioni indotte). Si vedrà in seguito che la seguente caratteristica potrà essere usata anche con la macchina a carico. Funzionamento sotto carico della macchina elettrica sincrona Ipotizziamo di trascurare tutti i fenomeni transitori, quindi di aver raggiunto la condizione di funzionamento a regime della macchina e di voler analizzare quale risulta essere l'espressione di equilibrio elettrico della nostra macchina. Con lo studio a vuoto abbiamo visto che il campo magnetico rotante, generato dal rotore, induce sulle tre fasi di statore delle tensioni sinusoidali sfasate l’una dalle altre di 120 gradi elettrici che presentano una pulsazione e un valore efficace direttamente collegate alla velocità meccanica e alla corrente di eccitazione. Ora non alimentiamo il rotore e studiamo il solo comportamento dello statore. Collegando un carico sulle fasi di statore va a circolare una corrente generica is sfasata di un angolo generico ε in ritardo rispetto alla E0 (fasore preso come riferimento). Alla terna di correnti is corrisponde un campo magnetico rotante al quale è associato un flusso di statore λss in fase con la corrente is. Viene quindi indotto su ciascun avvolgimento una tensione Es che, come per il funzionamento a vuoto, sarà in ritardo di 90 gradi rispetto alla corrente is. Per poter analizzare le equazioni d'equilibrio elettrico dovremo applicare a ciascuna delle fasi di statore l'equazione di kirchoff : Vi + Ei = Rs ⋅ ii Vi = tensione applicata alle fasi Ei = tensione indotta allo statore RsIi = caduta di tensione sulle fasi di statore Vista la struttura simmetrica della macchina ci basta fare il calcolo per una fase, i risultati delle altre fasi possono essere ottenuti semplicemente ruotando di 120° elettrici i diagrammi vettoriali. Quindi considerando solo la prima fase e sapendo che le grandezze studiate sono di tipo sinusoidale otteniamo: V1s + E1ss = Rs ⋅ I s ( E secondo la convenzione dei generatori, V secondo quella degli utilizzatori ) 5 La tensione indotta allo statore è gia stata calcolata nelle generalità, il suo risultato in forma fasoriale sarà pari a: Ess = − jωs Ls I s La presenza di una corrente circolante allo statore fa nascere anche un flusso che si concatena con le spire di rotore λr, per faraday-lenz a questo flusso sarà associata una tensione indotta dovuta al campo di statore pari a: (anche questa espressione era già stata ricavata nelle generalità) E = − jω L I sr s m s Per ora abbiamo studiato separatamente ciò che succede alimentando solo il rotore o solo lo statore, ma sappiamo che nelle condizione di funzionamento sotto carico saranno presenti nella macchina due sorgenti di forza magneto motrice, quella applicata sullo statore e quella applicata sul rotore. Quindi, visto che gli scambi di energia avvengono in aria (l’aria ha permeabilità costante, siamo lontani dalle condizione di saturazione) possiamo applicare il principio di sovrapposizione degli effetti e dire che il campo magnetico presente al traferro (Bδ) sarà pari alla somma del campo prodotto dall'eccitazione rotorica (Br) più il campo prodotto dalla reazione di armatura dovuto alla circolazione di corrente (Is) nell'avvolgimento di statore (Bs) Bδ=Br+Bs A sua volta Eδ può essere visto come l'effetto della somma del sola tensione di eccitazione più il solo effetto della tensione indotta allo statore. B =B + B δ {r {s { E δ E0 Ess Ma la tensione complessivamente indotta sulla fase di statore è la somma di due tensioni indotte, una dal flusso di auto induzione E e l'altra dal flusso di dispersione E . s ds V +E +E +E =R I 1s 0 s ds s s Il flusso di dispersione è quella parte di flusso, generato dalla corrente di statore, che non oltrepassa completamente il traferro e che quindi si concatena con la sola fase statorica, questi vengono anche generati dalle connessioni frontali degli avvolgimenti statorici. Possiamo allora individuare questi flussi nella macchina. Il flusso di dispersione ha caratteristica lineare e il legame con la corrente circolante nell'avvolgimento statorico può essere espresso dal coefficiente di autoinduzione di dispersione. E ds = − jλ s ω s dove λ s = l ds I s sostituendo Eds = − jωs l ds I s = − jX ds I s La reattanza X ds prende il nome di reattanza di dispersione Sostituendo si ha nell’equazione di equilibrio elettrico: 6 V1s + Eδ = Rs I s + jX ds I s ⇒ V1s + Es + E0 = Rs I s + jX ds I s Abbiamo ricavato che i termini di tensione al primo membro sono: la tensione applicata nella fase statorica dall'esterno e la tensione indotta prodotta dalla sovrapposizione del campo di eccitazione e di reazione d'armatura. L’equazione di equilibrio elettrico può ancora esser sviluppata dato che Quindi Es = − jωs Lt I s V1s + E0 − jω s Lt I s = ( Rs + jX ds ) I s { Xt La reattanza X prende il nome di reattanza al traferro, questa tiene conto del flusso generato dalle t tre fasi di statore che oltrepassano completamente il traferro. Sistemando l’equazione arriviamo ad ottenere V1s + E0 = Rs I s + j( X t + X ds ) I s Dove X s = X t + X ds viene chiamata reattanza sincrona. Questo termine unisce sia la reattanza a traferro che la reattanza di dispersione, quindi è un parametro che ci permette di quantificare l’entità della reazione d’armatura. La reattanza sincrona è un parametro fittizio che non è misurabile a vuoto, ma per quantificarla si deve portare la macchina in una condizione di carico o in corto circuito. Ciò che è stato detto per la reattanza sincrona vale solo per le condizioni di linearità, infatti in saturazione Xt non è più costante quindi tutto il modello della macchina sincrona non è più valido, si deve quindi studiare la macchina con altri metodi. L’equazione di equilibrio elettrico della macchina elettrica sincrona a poli lisci può esser scritta come: E0 = Rs Is + jXs Is −V1s Se consideriamo la convenzione degli utilizzatori otteniamo il seguente circuito elettrico convenzione degli utilizzatori Cambiando convenzione alla tensione d’uscita U = −V 1s saranno i seguenti l'equazione e il circuito equivalente E0 = Rs I s + jX s I s + U convenzione dei generatori 7 Tra le due rappresentazioni della macchina si preferisce utilizzare l’ultima, definendo il nostro sistema energetico tramite la convenzione dei generatori, rappresentiamo allora l’equazione di equilibrio elettrico della macchina tramite il diagramma fasoriale. E0 = Rs I s + jX s I s + U Come si può notare nel circuito equivalente compare solo la tensione indotta a vuoto. Prima abbiamo messo in luce come il campo che mi produce la tensione complessivamente indotta sulla macchina è il campo al traferro Bδ=Br+Bs. Le modifiche che abbiamo fatto, da un punto di vista modellistico, ci hanno portato ad esprimere il valore della tensione indotta in funzione della corrente e quindi esprimerla come una caduta di tensione invece che una tensione indotta. Quindi l'effetto della reazione d'armatura nella rappresentazione circuitale è all'interno della reattanza sincrona ( Xs), che quindi non esprime soltanto una dispersione. Tutte le principali grandezze viste sin ora, sia elettriche che magnetiche, possono essere rappresentate nello stesso diagramma, partendo dal diagramma a vuoto Ipotizziamo di essere in condizione di regime e ipotizziamo di conoscere la corrente Is sia in modulo che in fase. Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti possiamo subito ricavare Es, perché alla corrente Is corrisponde una caduta di forza magneto motrice allo statore. Questa caduta di forza magnetica motrice crea un flusso di reazione d’armatura che si concatenerà con la fase di rotore secondo la regola λr1 =Lt Is Questo vuol dire che il flusso è legato alla corrente tramite una semplice costante. Conoscendo il flusso immediatamente conosciamo la tensione indotta perché, tramite Faraday-Lenz, questa è in quadratura in ritardo rispetto al flusso che l’ha prodotto. Si trova inoltre Eδ come la somma di E0 con Es . 8 Il motivo per cui andiamo ad esplicitare l'equazione di equilibrio elettrico in funzione di E0 è dato dal fatto che modificando la Iecc dall’esterno, possiamo regolare E0 e quindi regolare il funzionamento elettrico della macchina. Studio della coppia in una macchina elettrica sincrona Analizziamo ora la distribuzione dei campi magnetici al traferro quando abbiamo una determinata condizione di funzionamento della macchina ben definita, per poi arrivare all’espressione e allo studio della coppia. Ipotizziamo di conoscere: le condizioni di funzionamento a vuoto (prese come riferimento), flusso di statore, la tensione indotta a vuoto e il valore della corrente I s Si ipotizza che la macchina sia collegata a un carico equilibrato, se fosse collegata a un carico squilibrato le correnti nelle fasi sarebbero diverse e produrrebbero dei campi di diversa natura, la macchina in questo caso perde la simmetria. Noi ci poniamo in una condizione di equilibrio quindi la macchina viene alimentata da una terna di correnti simmetriche. Nel diagramma viene rappresentato il comportamento di una fase perché le altre due hanno un comportamento identico ma sfasato di 120 gradi. Vogliamo vedere quale risulta essere la distribuzione del campo magnetico di reazione d'armatura rispetto a quello di eccitazione, per fare questo dobbiamo calcolarci il campo magnetico di reazione d'armatura riferendoci al sistema rotorico. Partiamo dall’analisi delle correnti circolanti nella macchina. ' ' La corrente I ' è una quantità nota e pari a I r1 (t ) = I r cos p (ωmt + ζ 0 ) prendendo questa come r1 riferimento si vede che la corrente allo statore sarà sfasata di una quantità π + ε in ritardo rispetto 2 ' alla I , quindi otterremo un’espressione del tipo I = 2 I sin pωmt + pξ0 −ε r1 s1 s ( ) Il campo magnetico generato da questa corrente relativa alla prima fase di statore è pari a: 9 µ 4 n 2I s s sin pω t + pξ − ε sin pα = Bˆ1 sin pω t + pξ − ε sin pα B1 (α , t ) = 0 s1 m 0 s m 0 2 δ π ( ) ( ) Lo stesso discorso è valido per la seconda fase 2π 2π B1 (α , t ) = Bˆ1 sin pω t + pξ − ε − sin pα − s2 s m 0 3 3 ( ) Anche per il campo della terza fase si avrà uno sfasamento sia nello spazio che nel tempo 4π 4π B1 (α , t ) = Bˆ1 sin pω t + pξ − ε − sin pα − s3 s m 0 3 3 ( ) Tramite Werner Bˆ s1 cos( pω t + pξ − ε − pα ) − cos( pω t + pξ − ε + pα ) m m 0 0 2 Bˆ 1 4π Bs12 (α , t ) = s cos( pω t + pξ − ε − pα ) − cos pω t + pξ − ε + pα − m 0 0 2 3 m Bˆ 1 2π Bs13 (α , t ) = s cos( pω t + pξ − ε − pα ) − cos pω t + pξ − ε + pα − m 0 0 2 3 m Bs11 (α , t ) = [ ] Per ricavare il campo totale sommiamo le tre distribuzioni Bs (α , t ) = 3 ˆ1 Bs cos( pω t + pξ − ε − pα ) m 0 2 Ora riportiamo tutto su un sistema di riferimento che risulta essere più semplice da analizzare, per poter studiare meglio i due campi li riportiamo sul sistema di riferimento del rotore. Sappiamo che α = β + ω t + ξ sostituendo nel campo di statore si ottiene: m 0 ε Bs (β ) = Bˆs cos p(β + ) p Il campo di rotore è pari a: Br (β ) = Bˆr sin pβ In questo modo però perdiamo la dipendenza dal tempo. Questi due campi ora sono stazionari e sincroni, inoltre sono sfasati di π + ε in termini di angoli meccanici. Tra angoli elettrici e angoli 2p p meccanici c'è una certa corrispondenza, perché se le grandezze elettriche che hanno dato origine a questi due campi sono sfasati di un angolo pari a π + ε 2 Le corrispondenti grandezze magnetiche saranno sfasate dello stesso angolo fratto il numero di coppie polari, in anticipo o in ritardo. Analizzando il diagramma si può quindi notare lo sfasamento fra le grandezze magnetiche relativo a una coppia polare. 10 Questo diagramma temporale illustra le due distribuzioni del campo magnetico prodotto dal rotore e una distribuzione generica prodotta dallo statore. Piuttosto che utilizzare questa rappresentazione è conveniente scomporre il campo di statore, siccome siamo in regime di linearità possiamo dividere il campo di statore in due campi che risultano essere di più facile analisi e andiamo ad associarli a degli assi di riferimento particolarmente utili per il calcolo delle coppie (l’asse in quadratura rispetto al campo magnetico di eccitazione e l'asse in fase). Basta applicare le formule di addizione ε Bs (β ) = Bˆ s cos p(β + ) = Bˆ s [cos pβ cos ε −sin pβ sin ε ] p Per cui riportando la stessa distribuzione sul grafico si ottiene come lo stesso campo risulta essere decomposto in uno in quadratura con il campo di eccitazione B sq e uno in fase Bsd . 11 Potevamo arrivare allo stesso risultato analizzando le correnti, sapendo che Bˆ = 3 4 µ n s 2 I s 0 s 2π andando a sostituirlo si ottiene Bs (β ) = 2δ 3 4 ns 2 µ I [cos pβ cos ε − sin pβ sin ε ] 2 π 0 2δ s Si ottiene che tutti i termini costanti vanno formare una quantità K= caratteristica della macchina. 3 4 n s 2 che dipende dalla µ 2 π 0 2δ Quindi dalle componenti di corrente si può risalire alle componenti di campo e alle distribuzioni spaziali del campo magnetico al traferro di statore e di rotore. In altre parole analizzando il diagramma vettoriale si vede che, se noi consideriamo la I ( rispetto al s sistema riferimento scelto) la I e la I mi permettono di ricavare i valori del campo. Ma anche i sd sq loro valori reciprochi perché alla condizione in quadratura corrisponde un campo magnetico in quadratura in anticipo di 90° rispetto a quello di eccitazione, in quello in fase corrisponde un angolo che risulta essere di π in ritardo (o in anticipo, sempre di π si tratta ) e quindi sempre in opposizione. Quindi possiamo procedere al calcolo della coppia con il solito procedimento. π p Te = − p R l ∫ ϑ r ( β ) Bδ1 ( β ) d β 2 − π p ∂∆Fr ( β , t ) δ ∂Br1 ( β ) = Sappiamo che il campo al traferro B1 (β ) = B1(β ) + B1(β ) e che ϑr = δ r s R∂β µ0 R∂β le due funzioni ϑr e B1 saranno entrambe sinusoidali e perpendicolari tra loro, quindi il loro integrale r π p 1 sarà pari a zero. Il calcolo della coppia sarà quindi dato da Te = − p R l ∫ ϑ r ( β ) B s ( β ) d β 2 − dove p 2nr ϑr ( β ) = I cos pβ R π r π p sostituendo i termini si ottiene π 3 4 ns 2 Te = − p Rl Ir µ0 Is 2 π 2δ π 2 12 2 nr p ∫π cos p β [cos ε cos p β − sin ε sin p β ] d β − p Si nota subito che i termini in seno portano un contributo nullo in quanto il loro integrale col termine in coseno è pari a zero, quindi avremo solo espressioni in coseno π 2 nr 3 4 ns 2 Te = − p Rl Irµ0 Is 2 π 2δ π 2 p ∫π cos − 2 p β cos ε d β p π p dato che ∫π cos − 2 pβ dβ = π p + 1 [sin( π ) cos( π ) − sin( −π ) cos( −π ) ] = π 2 p p Te = − p Dato che allora 3 ns 2 nr 3 8 πRl µ 0 n r n s I r 2 I s cos ε 2 π 2 2δ 2 I r' = I r si ottiene: Te = −3 pLs I r' I s cos ε Facendo l'analisi dei campi si ottiene lo stesso risultato. Ricordando che la densità lineare di corrente è la derivata del campo, possiamo tracciare un diagramma approssimativo. Si nota che le due distribuzioni di densità lineare di corrente sotto un polo di eccitazione sono esattamente simmetriche. Applichiamo la legge di Lorenz, tutta la parte positiva darà una risultante pari e opposta alla risultante dalla parte negativa. Quindi le distribuzione in fase danno come risultato una coppia pari a zero. 13 Facciamo lo stesso discorso per la componente in quadratura. In questo caso le correnti sotto un polo risultano essere negative e le forze possono assumere solo un verso. Le forze risultano essere concordi e si sommano. Quindi Bsq è quel campo che interagendo con Becc è responsabile della produzione di coppia. Te = −3 pLs I r' I s cos ε la coppia è negativa perché forniamo potenza meccanica alla macchina e questa reagisce alla coppia applicata. Possiamo scrivere la coppia in un altro modo. Sappiamo che E0 E0 la macchina deve esser = L I ' sostituendo nell’espressione della coppia I cos ε ωs s E sincrona quindi ω s l’espressione della coppia sarà Te = −3 0 I s cosε = ωm p ωm ωs Te = −3 p s r Andiamo ora a studiare quando la macchina si comporta da generatore e quando da motore. Dalle equazioni di equilibrio meccanico, sappiamo che il momento d’inerzia per l'accelerazione meccanica risulta essere uguale alla somma della coppia elettrica della coppia meccanica. j dω m = Te + Tm dt Se consideriamo come verso positivo quello della velocità meccanica, la coppia elettrica e la coppia meccanica concordi con il verso di rotazione. Si nota che la macchina presenta un'accelerazione nulla e quindi una velocità costante a regime. In questo caso la coppia elettrica e la coppia meccanica devono essere uguali e opposte. Te = −Tm equazione di equilibrio meccanico 14 I funzionamenti della macchina sincrona potranno essere: Da generatore convertiamo energia meccanica in energia elettrica. Dato che il nostro sistema energetico è definito secondo la convenzione dei generatori la Pe > 0 macchina nel funzionamento da generatore è caratterizzata da Pm > 0 Tm concorde con ω Te discorde con m ωm Vista l’analisi fatta precedentemente Te ωm = −3E0 I s cosε quindi dall’equazione di equilibrio meccanico Te = −Tm si ottiene una potenza meccanica P = T ω = 3E I cosε m m m 0 s Affinché la macchina funzioni da generatore − π < ε ≤ π 2 solo in questo caso la potenza è 2 maggiore di zero. Da motore la potenza elettrica viene convertita in potenza meccanica, il comportamento della macchina è quindi opposto al caso precedente. Pe < 0 La macchina è caratterizzata da Pm < 0 Te = −Tm i versi sono sempre opposti ma convenzionalmente diversi Te concorde con ω m Tm discorde con ω m Analizzando la potenza meccanica P = T ω = 3E I cosε questa è minore di zero per m m m 0 s π 3π − ≤ε < − 2 2 quindi siamo in un funzionamento da motore. Rappresentiamo infine la due zone di funzionamento della macchina. 15 Leghiamo ora la coppia elettromagnetica alla coppia meccanica, cerchiamo quindi di legare i sistemi che costituiscono la nostra macchina, sistema elettrico, magnetico e meccanico. Per ottenere il valore della coppia elettromagnetica possiamo partire dalla definizione di potenza elettrica erogata in rete per una macchina sincrona trifase funzionante da generatore Pe = m sU ⋅ I s ⋅ cos ϕ Utilizzando la convenzione dei generatori, perché stiamo erogando potenza, si può trovare il rendimento come il rapporto tra la potenza elettrica totale e la potenza meccanica. P P m η = e ⇒ Pe = ηPm sostituendo otteniamo Pm = Tm ⋅ ωm = e = s U ⋅ I s cos ϕ la potenza η η Pm meccanica è quindi legata direttamente alle grandezze elettriche in uscita dalla macchina, questo è ms vero anche per la coppia meccanica Tm = U ⋅ I s cos ϕ Se consideriamo che la macchina deve η ⋅ ωm esser rispettata la condizione di sincronismo ω m = Tm = ωs p la coppia può esser scritta come: p ms U ⋅ I s cos ϕ η ⋅ ωs La potenza e la coppia meccanica possono essere legate ad altre grandezze elettriche presenti nella macchina, infatti la potenza elettrica può anche esser espressa come: * Pe = m s ℜe{U ⋅ I s* } (con I complesso coniugato) Dall’analisi precedente abbiamo visto che la potenza elettrica è legata alla potenza meccanica tramite il rendimento di macchina. P m Pm = Tm ⋅ ω m = e = s ℜe{U ⋅ I s* } η η Possiamo ora ricavare il valore della coppia meccanica e usando l'espressione U = E 0 − jX s I s − Rs I s dell'equazione equivalente della macchina sincrona otteniamo: Tm = 16 ms ℜe (E0 − jX s I s − Rs I s ) ⋅ I s* η ⋅ ωm { } Il termine (− jX s I s ⋅ I s* ) sarà sempre una quantità immaginaria, ma a noi interessa solo la parte reale, quindi il termine precedente non va considerato. Tenendo già conto degli effetti joule nel rendimento possiamo non considerare il termine (− Rs I s ⋅ I s* ) , quindi Tm = ms ms ℜe E 0 ⋅ I s* = E 0 ⋅ I s cos ε η ⋅ ωm η ⋅ ωm { } Se consideriamo che la macchina deve esser rispettata la condizione di sincronismo ω m = coppia può esser scritta come Tm = ωs p la p ms E 0 ⋅ I s cos ε η ⋅ ωs Questa espressione era già stata ricavata precedentemente sotto forma di potenza meccanica al netto delle perdite P = 3E I cosε dove ε è l'angolo compreso tra E0 e Is Nel diagramma vettoriale m 0 s avremo La coppia risulta essere data dal prodotto tensione E0 per la componente della corrente Is che risulta essere in quadratura (Isq) con il campo di eccitazione rotorico (Br). Abbiamo ottenuto dalle grandezze elettriche lo stesso risultato che avevamo ottenuto analizzando la coppia elettromagnetica. La coppia elettromagnetica risulta essere costante quando le due distribuzioni risultano essere sincrone, quando hanno lo stesso numero di coppie polari e risulta massima quando le due distribuzioni sono in quadratura. Se io modifico il valore della coppia meccanica varia immediatamente il valore della Isq, quindi a seconda delle condizioni operative varia l'angolo ε, conseguentemente varia la fase tra la corrente statorica e la tensione in uscita dalla macchina. L’espressione della coppia meccanica può assumere anche altre forme, vedremo che può legarsi anche ad altre grandezze elettriche. Ipotizziamo che la corrente di eccitazione sia costante e che sia noto il valore di U e di Is la potenza Pe = m f ⋅ E 0 ⋅ I s cos ε elettrica risulta Vediamo cosa succede al diagramma vettoriale quando modifichiamo la coppia elettromagnetica (direttamente legata alla coppia meccanica). Tm = p ⋅ m f ⋅ E0 ⋅ I s ω s ⋅η cos ε dove E 0 = k ⋅ I r ⋅ ω m k = costante di macchina 17 Per la condizione di sincronismo ω m = ωs p Tm = mf ⋅ k ⋅ Ir ⋅ Is η cos ε Quindi con una corrente di eccitazione costante I = cos t , r T è influenzata solo dal termine m come dimostra il diagramma vettoriale. I cos ε che è la componente in fase di I rispetto a E s s 0 Al variare di ε varia l'angolo θ detto angolo di carico, questa ci da alcune indicazioni sulla coppia applicata alla macchina. Al crescere della coppia cresce l’angolo di carico ( Te >> θ >> ) Al decrescere della coppia decresce l’angolo di carico ( Te << θ << ) Se la coppia è nulla allora θ =0 L'angolo di carico è una quantità elettrica che risulta essere strettamente connessa a una grandezza meccanica, ecco perché viene usato per rappresentare l'evoluzione della coppia elettromagnetica. Dimostriamo che θ influenza Tm Partendo dal diagramma vettoriale e ipotizziamo di conoscere il valore di U e di Is in oltre sappiamo che le macchine elettriche sincrone vengono usate principalmente per la generazione e presentano rendimenti molto elevati, il valore di Rs è quindi trascurabile rispetto alla Xs l’equazione di equilibrio elettrico può esser approssimata a E0 = jX s I s + U rappresentato dal seguente diagramma. Trasformiamo il diagramma delle tensioni in un diagramma delle correnti E0 U = Is + jXs jXs Per determinare la componente di I cos ε quindi la s componente in quadratura, devo semplicemente considerare la direzione di E 0 e trovo I sq U senθ I sq = Xs Nell’ipotesi che X sia costante (la macchina funziona in regime lineare), si vede subito come la I s sq risulta direttamente vincolata all’angolo θ . θ è un angolo elettrico che ci da informazioni importanti sull’andamento della coppia elettromagnetica sostituiamo Isq nella formula della coppia, ottenendo: 18 Tm = m f ⋅ p ⋅ E0 ⋅ U η ⋅ X s ⋅ ωs senθ = m f ⋅ k ⋅ I r ⋅U η⋅ Xs senθ U è una variabile d'uscita che teoricamente può assumere qualsiasi valore, ma in realtà è fissato dal costruttore ed è legato alla macchina e al tipo di carico collegato. Generalmente il valore U in ampiezza e in frequenza sono una quantità definite e costanti, questo si chiama collegamento alla rete di potenza prevalente. Sotto quest'ipotesi si vede che la coppia elettromagnetica fornita dalla macchina risulta definita da due parametri da Ir e da θ quindi dall'analisi dei parametri elettrici si può risalire immediatamente ai parametri meccanici della macchina. θ positivo funzionamento da generatore θ negativo funzionamento da motore Questi due grafici sono entrambi validi solamente per il funzionamento a regime della macchina, quando ω è costante e T = −T Applicando una variazione di coppia meccanica positiva la m e m macchina accelera, in questo caso l’unico diagramma valido sarà quello relativo alla coppia elettromagnetica. L’espressione della coppia è stata ricavata per via analitica, ma poteva esser ricavata anche per via grafica, questo secondo metodo è sicuramente molto più veloce del primo. Partendo dall’equazione di equilibrio elettrico approssimato E 0 ≅ jX s I s + U e del diagramma X s I s cos ε = U sin ϑ ⇒ I s cos ε = U sin ϑ Xs Dalle analisi precedenti sappiamo che Pm = Tm ωm = Tm ωs p = 3E0 I s cosε sostituendo otteniamo 3 pE0U Tm = sin ϑ ωs X s L’espressione è identica a quella precedentemente ricavata a meno delle perdite. Macchina sincrona su rete di potenza prevalente 19 Andiamo ad analizzare il comportamento della macchina sincrona collegata su una rete di potenza prevalente, che per definizione è una rete in cui la terna delle tensioni rimane invariata, l’ampiezza della tensione e frequenza rimangono costanti (U = cost ; ω = cos t ) qualunque sia la condizione s di funzionamento della macchina. Per collegare la macchina sulla rete occorre creare il parallelo in maniera tale da evitare una circolazione di correnti all'interno della macchina che possono portare a sollecitazioni elettriche e meccaniche. Dall'equazione di equilibrio elettrico Eo = jX s I s + U , se nell'istante t =0 di collegamento E0 e U sono uguali in modulo e in fase Eo = U ⇒ Eo − U = jX s I s = 0 ⇒ I s = 0 Quando la macchina è in queste condizioni di funzionamento si dice flottante su rete, la macchina è collegata alla rete e non eroga ne assorbe potenza. Se non è vera la condizione Eo = U , perché sia rispettata l'equazione di equilibrio elettrico deve nascere una jX I che la verifica, questo significa che circola una corrente di statore. Questa s s corrente, per la legge faraday-lenz, tende ad opporsi alla causa che l’ha generata, produce coppia e flusso (intenso) che potrebbe danneggiare la macchina. Si deve evitare, collegando la macchina alla rete, che ci sia una jX I cioè una differenza di tensione ( ∆V ) tra E0 e U. s s Una differenza di potenziale tra E0 e U può nascere per vari motivi o perché non abbiamo regolato la corrente di eccitazione o perché non abbiamo regolato la velocità di rotazione del motore primo. Se non vengono rispettate queste due condizioni al momento in cui si realizza la chiusura dell'interruttore si verifica un’intempestiva circolazione di corrente. Per evitare questi problemi si realizza la chiusura quando E0 e U sono in fase, seguendo la seguente procedura di collegamento alla rete. 20 La prima cosa da fare è portare la macchina a una velocità ωm = ωs , successivamente si aumenta la p corrente di eccitazione e tramite un voltmetro si controlla che la tensione, in valore efficace, in uscita dalla macchina sia uguale a quella presente sulla rete. Dopodiché si va a verificare la differenza di potenziale tra le due fasi, infatti possiamo avere la macchina al sincronismo, le tensioni di rete e di eccitazione uguali in modulo, ma a causa dello sfasamento iniziale i due vettori si ritrovino sfasati l'uno rispetto all'altro. Per ovviare quest'ultimo problema basta mandare la macchina in ipersincronismo o iposincronismo in modo che il vettore E0 aumenti o rallenti la sua velocità (in ipersincronismo la frequenza di E0 risulta essere superiore viceversa per iposincronismo). Un tempo questo si faceva con un sistema di lampade collegate alle tre fasi, se le lampade si accendevano intermittenti in un senso concorde a quello della velocità voleva dire che la macchina doveva essere mandata in iposincronismo, viceversa se il senso era discorde. In questo modo si produceva una perfetta fasatura tra E0 e U, quando le lampade non si accendevano più si chiudeva l'interruttore e le macchina era flottante su rete. 21 Ora ci sono dispositivi automatici che rilevano i vari parametri e chiudono in automatico la macchina sulla rete quando si ha l’uguaglianza dei due fasori, anche se c'è sempre una piccola circolazione di corrente. Parallelo su rete Abbiamo realizzato la condizione di parallelo su rete, quindi come visto precedentemente la corrente statorica circolante nella nostra macchina sincrona è pari a zero, in questo modo la potenza attiva e quella reattiva sono pari a zero. Modificando le condizioni di eccitazione, andiamo a ipereccitare la macchina, ossia aumentiamo la corrente di eccitazione (Iecc) in modo tale che mi produca una tensione indotta a vuota che risulti essere, in valore efficace, maggiore della tensione di rete (E0>U). Sappiamo che la condizione di equilibrio elettrico deve essere sempre rispettata per cui nasce, sul nostro sistema, la tensione jX I s s Questo significa che avremo una corrente Is che risulta in quadratura e in ritardo di 90° rispetto alla tensione U. In questo modo abbiamo una erogazione di sola potenza reattiva secondo la convenzione dei generatori. 22 ϕ= π 2 Q = m f UI s senϕ = m f UI s P = m f UI s cosϕ = 0 La macchina eroga solo potenza reattiva di tipo induttivo, la rappresentiamo quindi come un utilizzatore. Se cambiamo la convenzione (passiamo da quella dei generatori a quella degli utilizzatori) la stessa condizione di funzionamento viene rappresentata da una corrente che risulta essere in opposizione rispetto alla corrente Is. A questo punto lo sfasamento diventa di 90° in anticipo. Quindi questo tipo di funzionamento è quello di un condensatore (condensatori rotanti ) Da generatore Q > 0 Da utilizzatore Q < 0 Proviamo a fare l’operazione inversa, variamo la nostra corrente rotorica (Iecc) in modo tale che mi produca una tensione indotta a vuoto che risulti essere, in valore efficace, minore della tensione di rete (E0<U) in questo caso siamo in una situazione opposta a prima stiamo ipoeccitando la macchina. Anche in questo caso l’equazione di equilibrio deve essere rispettata Eo = jX s I s + U quindi nasce una corrente Is che risulta essere in quadratura e in anticipo con la U. Diagramma π ϕ =− 2 Q = m f UI s senϕ = −m f UI s P = m f UI s cosϕ = 0 Come prima abbiamo una produzione di potenza attiva nulla, ma sta erogando una potenza attiva di tipo capacitivo. Andiamo ad approfondire meglio il funzionamento della macchina in queste condizioni. Condensatore rotante macchina ipereccitata. 23 Partiamo da una macchina flottante su rete dove il solo campo presente è Br infatti con macchina flottante su rete la Is=0 quindi il campo al traferro è il solo campo di eccitazione. = Br così Aumentando la corrente di eccitazione si aumenta il campo di eccitazione B ecc aumenta il valore della tensione indotta a vuoto, questa situazione fa circolare una corrente di statore che chiude il diagramma di equilibrio elettrico. La corrente Is si trova in opposizione di fase rispetto alla Ir, questo significa che il campo di reazione Bs sarà in opposizione di fase rispetto a quello di eccitazione. Il sistema fa circolare una corrente che tende a smagnetizzare la macchina per riportarla alla condizione di equilibrio iniziali. Questa fa in modo che la macchina eroghi potenza induttiva e ne assorba reattiva capacitiva dalla rete, affinché si riporti nella condizione di equilibrio iniziale. Induttore rotante macchina ipoeccitata. Partiamo sempre da una macchina flottante su rete, con il solo capo di eccitazione presente al traferro. Ipoeccitando la macchina avrò un campo di eccitazione B minore rispetto a quello ecc di partenza, in questo caso la tensione di eccitazione è minore della tensione di rete, la Is 24 (ruotata di 180 gradi rispetto al caso precedente) è in fase con la Ir, quindi il campo di eccitazione e il campo di reazione d'armatura Bs sono in fase. Il campo di reazione tende quindi a magnetizzare la macchina per riportarla nella condizione di equilibrio. La macchina sta funzionando come un induttore rotante, assorbe potenza reattiva induttiva ed eroga potenza reattiva di tipo capacitivo. Queste macchine vengono utilizzate per rifasare carichi in alta tensione, dove utilizzare dei condensatori sarebbe troppo oneroso e di difficile regolazione. La nascita di una corrente di statore non è dovuta solamente a una ipoeccitazione o alla ipereccitazione, ma anche alla applicazione di una coppia meccanica, studiamo questa condizione di funzionamento. Ipotizziamo di avere già realizzato tutte le procedure per porre in parallelo una macchina elettrica sincrona alla rete (U ed E0 saranno in fase e con la stessa ampiezza e frequenza) vogliamo analizzare che cosa accade quando applichiamo una coppia di carico all’asse della nostra dω m = Te + Tm sappiamo che all'istante di t0 macchina. Dall'equazione di equilibrio meccanico j dt precedente all'applicazione della coppia meccanica Te= Tm= 0 con macchina flottante su rete non si ω ha conversione di energia. La velocità ωm sarà costante e pari a ω m = s condizione di perfetto p sincronismo. Applichiamo la coppia meccanica alla macchina, definito il verso della velocità positiva, aggiungiamo alla macchina una coppia meccanica che risulta concorde con la velocità di rotazione (risulta che Pm>0 ) Nel momento in cui applichiamo la nostra coppia meccanica la condizione analizzata non risulta essere più valida. La coppia elettrica all'istante t0+ risulta essere ancora uguale a zero, ma la coppia meccanica è diversa da zero. L'equazione di equilibrio meccanico sarà j dω m = Tm 0+ dt la macchina è sottoposta a una variazione di velocità e visto che la coppia è concorde alla velocità la macchina è ω soggetta a un'accelerazione ω m > s questa è una condizione di ipersincronismo. p Il vettore U ha frequenza ω s e come detto prima questa pulsazione rimane costante dato che si è ipotizzato che la macchina è collegata a una rete di potenza prevalente, mentre Eo avrà una frequenza pω m per cui la frequenza della tensione indotta è superiore alla frequenza della tensione applicata sulla rete. Possiamo anche dire che Eo ha una velocità relativa in anticipo rispetto al vettore U. 25 Nasce una differenza di potenziale tra E0 e U questa è compensata dalla caduta di tensione sulla reattanza Xs dovuta alla circolazione di una corrente Is. L’applicazione della coppia ha quindi creato una differenza di potenziale tra E0 e U. Vediamo gli effetti dei campi dovuti a questa corrente. Quando il vettore E0 comincia a sfasarsi nasce una corrente di statore, questa genera una caduta di tensione sulla Xs che chiude il diagramma delle tensioni e genera un campo di reazione. La Is presenta una componente di corrente in fase e una in quadratura rispetto al flusso di eccitazione, studiamo il comportamento di queste due correnti. La corrente Isq fa nascere una coppia elettromagnetica Te, questo processo proseguirà fino a quando la Isq non produrrà una coppia elettromagnetica tale da compensare completamente la coppia meccanica applicata, ripristinando l'equilibrio tra le due coppie. Quando le due coppie sono nuovamente in equilibrio avremo una particolare configurazione tra θ e Eo , in cui si avrà nuovamente il sincronismo tra i vettori E0 e U. All'applicazione di una coppia meccanica non corrisponde la produzione di sola potenza elettrica attiva, ci sarà anche una componente di potenza elettrica reattiva. Questo fatto è dovuto all'applicazione della legge di faraday-lenz, infatti la macchina non si oppone solamente alla variazione di coppia meccanica, ma anche al campo di eccitazione. La corrente Isd genera un campo che si oppone al campo di eccitazione, infatti i due campi sono in opposizione di fase. Questo fatto tende a smagnetizzare la macchina e fa produrre potenza reattiva. 26 Per poter gestire le due aliquote di potenza in uscita non possiamo agire solo su una variabile d’ingresso, ma su tutte e due le variabili di ingresso, coppia e corrente di eccitazione. Infatti applicando una coppia meccanica, ma anche aumentato la corrente di eccitazione avremmo potuto ottenere la corrente Is in fase con la tensione U, trasformando la potenza meccanica, fornita in ingresso, in sola potenza elettrica attiva, lasciando la parte reattiva nulla Q = 0. Diagramma circolare Possiamo tracciare il diagramma circolare della macchina elettrica sincrona partendo dall'equazione di equilibrio elettrico E 0 = jX s I s + U Invece di ragionare sul diagramma delle tensioni conviene farlo sul diagramma delle correnti, semplicemente ricavabile dividendo tutta l’equazione per jXs, questo fa ruotare tutto il diagramma di 90 gradi. La macchina è collegata a una rete di potenza prevalente, la tensione applicata U è costante e la scegliamo come riferimento in modo tale da poter definire le potenze. Eo U = Is + jX s jX s Possiamo associare al diagramma delle correnti quello delle potenze elettriche, visto che Pe è direttamente proporzionale alla Isq 27 Pe = m f U ⋅ I s cos ϕ 424 3 { 1 K I sq Le potenze reattive sono proporzionali alla Isd Qe = m f U ⋅ I s senϕ { 123 K I sd Quindi a ciascun punto del piano corrisponde una condizione di funzionamento della macchina, grazie ai corrispondenti valori di Pe e di Qe questo piano prende il nome di piano delle potenze ESEMPIO: Vogliamo portare la macchina da una condizione di erogazione di potenza elettrica Pe1 e Qe1 a una condizione Pe2 e Qe2. E 02 , Xs è un dato di targa, si può ricavare la E 02 . Xs Dalla caratteristica a vuoto determino la corrente di eccitazione I ecc 2 che mi genera la E 02 . Supponiamo di conoscere L’espressione della coppia meccanica è Tm 2 = ms pE 0U senθ 2 ηX s ω s 1424 3 cos tan te caratteristica di coppia meccanica: 28 ipotizzando di conoscere la Se conosciamo il valore massimo Tˆm e l'angolo θ 2 si può immediatamente trovare il valore di coppia meccanica che deve essere applicata alla nostra macchina per erogare la Pe2 e la Qe2. E0 e tramite l'equazione di coppia, jX s permette di ottenere l'angolo θ e la coppia meccanica da applicare per erogare la potenza da noi voluta. Non è possibile far lavorare la macchina in tutti i punti del piano, infatti la macchina presenta dei limiti di funzionamento che non possono essere superati. Limiti della macchina 1. Massimo angolo di carico. 2. Massima corrente ammissibile negli avvolgimenti rotorici. 3. Massima corrente ammissibile negli avvolgimenti statorici. 4. Massima coppia sopportabile dall’asse del rotore. Studiamo quindi quali sono i punti di stabilità e di instabilità della macchina, definendo quale è il massimo angolo di carico che può essere assunto della macchina. Ipotizziamo di voler passare in una condizione di funzionamento caratterizzata da un angolo θ 1 a una condizione caratterizzata da un angolo θ 2 e verificare che questa sia una condizione di equilibrio stabile oppure instabile. Quindi qualunque punto del piano viene individuato dal vettore Per analizzare questo sistema ragioniamo a corrente di eccitazione costante, questo ci porta a dire che anche E0 =cost, successivamente andiamo a verificare la stabilità aumentando valore dell'angolo θ . Partiamo da una condizione iniziale in cui il sistema è in equilibrio j dω m = Te (0 − ) + Tm (0 − ) dt siamo al sincronismo, ω m è costante, allora Te (0 − ) = −Tm (0 − ) nell’istante successivo applichiamo una variazione positiva di coppia meccanica, quindi nell'istante successivo Tm sarà pari a Tm (0 + ) = Tm (0 − ) + ∆Tm andando a sostituire avremo j dω m = ∆Tm dt la macchina passa a una condizione di ipersincronismo, questo vuol dire che il vettore E0 ha una pulsazione maggiore rispetto al vettore U di conseguenza l'angolo θ aumenta. La coppia elettromagnetica all'aumentare di θ varia il suo valore, la caratteristica di coppia sarà (ragionando in moduli e non di segni) 29 Si vede che se aumenta θ , sino ad un valore non superiore a π , allora aumenta Te, arrivando al 2 valore di θ 2 avremo che la coppia elettromagnetica della coppia meccanica sono uguali perché l’incremento della coppia meccanica viene bilanciato da un incremento di coppia elettromagnetica. dω m Te = Te (0 − ) + ∆Te ⇒ j = ∆Tm − ∆Te la macchina torna quindi alla condizione di sincronismo e dt in una condizione di equilibrio meccanico. Questa condizione sarà sicuramente una condizione di equilibrio stabile. Analizziamo ora il punto simmetrico rispetto al valore θ 2 cioè per valori θ > π 2 Ipotizziamo di applicare una coppia di carico, la macchina diventa ipersincrona e aumenta il valore di θ , ma all'aumento di θ non corrisponde più un aumento di Te ma una diminuzione, quindi il differenziale tra la coppia elettromagnetica e la coppia meccanica tende ad aumentare dω m j = ∆Tm + ∆Te , la macchina allora accelera, si dice che la macchina “perde il passo” la dt macchina in questa condizione non riesce più a tornare in una condizione di equilibrio, quindi siamo in una condizione di funzionamento instabile. Possiamo dividere il piano delle potenze in due parti, una parte dove − π π in cui tutti i punti 2 2 sono dei punti di funzionamento stabili, gli altri punti sono di funzionamento instabile in cui la macchina a seguito di una variazione di coppia perde le caratteristiche di sincronismo. 30 <θ < Se lavoriamo sul limite di stabilità, basta una piccola variazione di coppia per portare la macchina in una zona di funzionamento instabile dove non si ha più una coppia elettromagnetica che riesce a compensare la variazione di coppia meccanica. Quindi questa condizione è un limite teorico, nella pratica si sceglie una condizione limite che risulta essere leggermente inferiore rispetto alla condizione teorica e che assicura alla macchina di funzionare sempre in una condizione di stabilità. Dovremo quindi definire il limite pratico di stabilita, definendo una variazione ammissibile di coppia ( ∆C ) per ogni condizione di eccitazione (esempio: la coppia può variare ± 1% rispetto la coppia nominale). Si ha quindi un range di possibile variazione nella condizione di stabilità. Graficamente si avrà: ( commento alla costruzione del grafico ) 31 Partiamo da una circonferenza relativa a un valore E 01 di eccitazione pari a su questa rintracciamo il jX s punto a coppia massima (punto A) decrementiamo questo valore di coppia di una quantità ∆C , riportiamo questo valore sulla circonferenza E 01 relativa a troveremo il primo punto del limine jX s pratico di stabilità (punto B). Spostiamoci su un’altra circonferenza, questa volta relativa a un E02 valore di eccitazione su questa circonferenza jX s rintracciamo il punto a coppia massima (punto C) da questo valore di coppia sottraiamo il ∆C ammissibile riportando questo risultato sulla E02 circonferenza avente raggio , troviamo il jX s secondo punto del limite pratico di stabilità (punto D). Ripetiamo la stessa costruzione per tutte le altre circonferenze a diverso valore di corrente di eccitazione. Altri limiti di funzionamento sono in funzione delle dimensioni degli avvolgimenti di statore e di rotore e del tipo di ventilazione della macchina che permettono hai due avvolgimenti, di rotore e di statore, di sopportare determinata correnti. Superare i limiti di corrente rotorica e statorica potrebbe portare a un surriscaldamento degli avvolgimenti che potrebbe rovinare l’isolamento o deformare gli stessi. Andiamo quindi a trovare, nel piano delle potenze, quali sono i punti di massima corrente rotorica e statorica sopportabile. Partiamo dal definire i punti di massima corrente ammissibile negli avvolgimenti statorici, la procedura è molto semplice, una volta definito il massimo valore di corrente che può circolare negli si traccia una avvolgimenti di statore Ismax circonferenza prendendo come raggio la Ismax. I punti interni a questa circonferenza sono dei punti di funzionamento sicuri, uscendo fuori dai limiti si rischia di distruggere gli avvolgimenti di statore. 32 Per quanto riguarda la massima corrente ammissibile al rotore sappiamo che a una corrente di eccitazione massima sarà associato un valore massimo di tensione di tensione indotta a vuoto, il procedimento da adottare per ricavare i punti di funzionamento sicuri è uguale a quello visto precedentemente con la sola differenza che la circonferenza E 0 MAX avrà come raggio il valore jX s L’ultima situazione che può portare a dei limiti di funzionamento è la coppia massima che può essere applicata all’asse del rotore. Sappiamo che con macchina in funzionamento da generatore dobbiamo fornire una certa potenza meccanica all’asse perché si abbia una erogazione di potenza elettrica, questa potenza all’asse della nostra macchina viene fornita da un motore primo che, naturalmente, può trasferire potenza sino a un certo limite oltre il quale il motore primo non può andare. Questo limita la potenza all’asse e quindi le potenza elettrica erogabile. Dobbiamo considerare che l’asse del rotore è sottoposto a degli sforzi di torsione, quindi i limiti di potenza, sia da funzionamento da generatore che da motore, possono essere imposti dalla resistenza del materiale usato nella costruzione dell’asse. Abbiamo quindi una retta che delimita la massima potenza applicabile. Abbiamo quattro zone, la prima è data dal limite pratico di stabilità, la seconda è data dalla condizione di massima corrente di statore, la terza è dalla condizione di massima corrente di eccitazione e l’ultima è la massima coppia applicabile all’asse. La zona di funzionamento è data dall'intersezione di queste quattro zone, per semplicità rappresentiamo solo la parte superiore del diagramma. 33 Funzionamento in corto Lo studio della macchina in corto viene fatto per ricavare la caratteristica in corto circuito. La macchina, tramite un motore primo, viene portata alla velocità di sincronismo, la corrente di eccitazione è nulla e i morsetti di statore vengono cortocircuitati (l’impedenza di corto è molto minore dell’impedenza di dispersione) in queste condizioni viene variata la corrente di eccitazione e misurata la corrente di cortocircuito, che viene fatta variare sino al massimo valore di sicurezza. La corrente di statore, in funzione della corrente di eccitazione, viene riportata per punti ottenendo così la caratteristica in cortocircuito della macchina sincrona. Se andiamo ad analizzare il funzionamento della macchina in condizioni di funzionamento a vuoto (curva occ) e in cortocircuito (curva scc), a parità di corrente di eccitazione, noteremo che le tipologie di funzionamento sono molto diverse, infatti in cortocircuito la caratteristica rimane lineare anche quando a vuoto la corrente di eccitazione porta la macchina in saturazione. Questo fatto può essere messo in luce analizzando l’equazione di equilibrio elettrico Eo = jX s Is + U essendo in una condizione di cortocircuito la macchina presenta una tensione U=0 infatti i morsetti di statore sono cortocircuitati. Quindi Eo = jX s I s dividendo i termini di dispersione e di reazione d’armatura si arriva a scrivere Eo = jX ds I s + jX t I s Rappresentiamo graficamente questa relazione. 34 Si può vedere che la E0 è bilanciata dalle cadute di tensione d’armatura e di dispersione, questo fa in modo che la corrente sia in quadratura e in ritardo rispetto alla tensione. Lo studio delle correnti ci permette di vedere com’è costituito il campo al traferro. La corrente di eccitazione è in opposizione di fase rispetto alla corrente di statore, queste correnti daranno origine a dei campi magnetici che sono tra loro in opposizione di fase. La differenza tra questi due campi è il campo magnetico a traferro, questo risulta essere molto più piccolo, infatti aumentando la corrente di eccitazione aumenta la corrente di reazione questo fa in modo che il campo al traferro sia sempre piccolo e genera una tensione che deve solamente bilanciare la caduta di tensione di dispersione. Perciò siamo lontani dalle condizioni di funzionamento in saturazione, anche per correnti di eccitazione molto elevate ecco perché la caratteristica in cortocircuito è lineare. Bδ campo presente al traferro, produce la tensione indotta sulla macchina che controbilancia la caduta di tensione sull'impedenza di dispersione. Dato che il Bδ è molto piccolo anche aumentando la Iecc non si arriva alla saturazione, ci si arriva solo se la corrente di eccitazione è estremamente elevata. E0 = X s (Iscc corrente di corto a parità della corrente di I s cc eccitazione) trovando la reattanza della macchina in qualsiasi punto di funzionamento. Naturalmente si deve ipotizzare che la macchina non sia satura e che la sua curva di magnetizzazione sia una retta passante per l’origine e per il punto di lavoro. Se prendiamo come esempio il funzionamento della macchina a tensione nominale, dobbiamo approssimare la caratteristica magnetica con la retta Op. Secondo questa approssimazione, il valore saturo della reattanza V sincrona a tensione nominale è Xs = t I s( f 1 ) Potremmo quindi dire che E 0 = jX s I s ⇒ Dove Is(f1) è la corrente d’armatura O’c letta dalla caratteristica di cortocircuito alla corrente di eccitazione Of’ corrispondente a Vt sulla caratteristica a vuoto. Questo modo di tener conto degli effetti della saturazione da generalmente risultati soddisfacenti quando non è richiesta una grande precisione. Questa relazione può essere applicata solo per ricavare i moduli delle nostre grandezze, ma porta a degli errori per quanto riguarda gli sfasamenti, non è quindi un sistema di studio preciso ma approssimato. Se andiamo a eseguire il rapporto per tutti i valori di E0 e la rispettiva corrente vediamo che la reattanza presenta tre zone. Disegno 1 Zona di funzionamento lineare, dove la reattanza prende il nome di reattanza sincrona al traferro o linearizzata. Zona di transizione. Zona di funzionamento in saturazione, dove si ha la reattanza sincrona in saturazione. 35 Nei dati di targa della macchina troviamo il valore di reattanza relativo al funzionamento nominale Vn 1 X ss = (Vn tensione nominale; Icc(K ) corrente di cortocircuito relativo alle condizioni 1 I cc ( K ) nominali). Nei dati di targa spesso questo valore è espresso in modo implicito tramite un parametro chiamato SCR (rapporto di cortocircuito) vediamo a cosa è pari questo parametro Z V I (K 1 ) 1 SCR = p .u . = b = n cc X ss I n Vn X ss Questo è anche pari a SCR = I cc ( K 1 ) K 1 = 2 dove K1 e K2 sono le correnti di eccitazione associate In K 1 alle rispettive correnti Icc(K ) e In, visto che la caratteristica è lineare il rapporto tra le correnti è uguale. Disegno 2 Questo valore di reattanza ci definisce la macchina nel solo punto di funzionamento lineare, quindi questo studio può essere applicato solo puntualmente, ricordando che è uno studio approssimato. Funzionamento in saturazione Per ora abbiamo studiato la macchina elettrica sincrona in una condizione di linearità, questa è una condizione di funzionamento che non rispecchia il funzionamento reale della macchina, infatti la macchina sincrona viene fatta funzionare in un punto prossimo alla saturazione. Questo fatto ci fa capire che lo studio della machina in regime lineare non è più valido ma dobbiamo trovare un metodo valido per lo studio della macchina in saturazione. Vengono fatte generalmente due ipotesi, che riguardano principalmente i flussi di dispersione: 1. La reattanza di dispersione d’armatura viene ritenuta costante e indipendente dalla saturazione. I flussi dispersi sono in aria per una considerevole porzione dei loro percorsi, cosicché sono influenzati relativamente poco dalla saturazione. 2. Si ipotizza che la saturazione sia determinata dal flusso risultante a traferro e che la f.m.m. risultante corrispondente ad un dato valore di flusso al traferro sia la stessa a vuoto e a carico. La caratteristica a vuoto si può allora interpretare come la relazione tra la tensione al traferro e la f.m.m. prodotta dall’eccitazione e dalla reazione d’armatura. Questa ipotesi trascura gli effetti del flusso disperso, trascurare questi effetti non è un fatto grave perché i flussi dispersi sono generalmente piccoli ed i loro percorsi coincidono solo in parte con quello del flusso principale. Per questo motivo la caratteristica a vuoto della macchina sincrona può essere usata anche per descrivere il comportamento a carico della macchina senza commettere un grosso errore. Caratteristica a fattore di potenza zero e triangolo di Potier Partiamo dalla condizione più semplice di studio, che è anche un caso di notevole importanza teorica, in cui le cadute di f.m.m. sono disposte lungo la stessa retta d’azione, quindi cosϕ = 0 ; I s = I a = cost in questo caso la somma vettoriale si riporta alla sola somma scalare. Da questo studio si ottiene una caratteristica fondamentale chiamata caratteristica a fattore di potenza zero U=f(Iecc), (permette di ricavare il triangolo di Potier), questa viene riportata insieme alla caratteristica a vuoto e in cortocircuito della macchina. Andiamo quindi a ricavare questo diagramma. Il primo punto lo si trova per un valore nullo di tensione hai morsetti della macchina U=0 (punto C) in questa condizione la macchina è cortocircuitata, quindi Eo = jX s I s cc la corrente di statore Ia=Iscc entrando nella caratteristica in cortocircuito scc riusciamo a trovare la corrente di eccitazione Iecc (segmento OC) e quindi il punto di partenza C. Conviene porci nel caso più generale possibile quindi 36 non ci riferiamo all’equazione Eo = jX s I s + U ma all’equazione E = E 0 + E a = jX d I a + U si vede che non si parla più di reattanza sincrona infatti la parte relativa alla reazione d’armatura è compresa nella E che è la tensione complessivamente indotta. Questo perché si deve studiare la macchina in regime non lineare quindi non sappiamo come varia la corrente d’armatura con la tensione indotta dalla reazione d’armatura, mentre la reattanza di dispersione è comunque costante perché i flussi hanno una evoluzione in aria. Nel nostro caso di partenza U=0 quindi E = E 0 + E a = jX d I a dato che, Xd e Ia per ipotesi sono noti, conosciamo anche il valore della tensione complessivamente indotta E (segmento BA). Tramite il diagramma a vuoto ricaviamo la corrente di eccitazione questo ci fornisce un altro punto (punto A). Sappiamo che la reattanza di dispersione è costante (Xd=cost) e che per ipotesi lo è anche la corrente di statore (Ia=cost) questo ci fa capire che anche la tensione complessivamente indotta è una costante E = jX d I a =cost il triangolo ABC rimane costante e variando la corrente di eccitazione questo trasla rigidamente, infatti il punto B percorre tutta la caratteristica a vuoto mentre il punto C mi disegna la caratteristica a fattore di potenza zero. Questo triangolo viene chiamato triangolo di Potier. Questo è il modo canonico di costruire il diagramma, ma generalmente si usa un altro metodo, anche perché non sempre si è in possesso di tutti i dati di cui si è ipotizzato avere. La costruzione geometrica per trovare il triangolo abc è la seguente: si scelga un punto c sulla caratteristica a fattore di potenza zero sopra il ginocchio della curva. Si tracci il segmento orizzontale cd uguale in lunghezza alla corrente di eccitazione c’O in cortocircuito. Per il punto d si tracci la retta da parallela alla caratteristica al traferro, che interseca la caratteristica a vuoto in a. Si tracci la retta verticale ab. Il triangolo abc è il triangolo di Potier. La tensione rappresentata dal segmento ab è nota come caduta di tensione nella reattanza di Potier Xp = caduta di tensione ab per fase corrente di armatura per fase a fattore di potenza zero 37 Nella figura si nota che sono presenti due caratteristiche a vuoto, la caratteristica a vuoto tratteggiata è quella tiene conto del comportamento dei flussi dispersi. Si può quindi dire che, con le nostre ipotesi, la reattanza di dispersione è uguale alla reattanza di Potier Xd=Xp. Fisicamente la reattanza di Potier non ha nulla a che fare con la reattanza sincrona o la reattanza di dispersione o quella satura è un parametro che si utilizza per lo sviluppo dei metodi di calcolo approssimati che permettono di studiare la macchina in modo lineare anche se sta funzionando in saturazione con un qualsiasi fattore di potenza. Macchine sincrone sature Metodo delle sovrapposizione delle cause (metodo di risoluzione rigoroso) Per uno studio esaustivo della macchina sincrona conviene basarci sulla sovrapposizione delle cause valida anche in regime di saturazione al contrario della sovrapposizione degli effetti valida solo in regime lineare. In regime di non linearità le cadute di f.m.m. non risentono delle non linearità del materiale, ma dipendono solo dalle correnti, in più prese due cadute f.m.m. la loro somma ci da sempre una caduta di f.m.m. risultante, questo ci fa capire che le cadute di f.m.m. sono proprio le cause associate al nostro sistema. Vogliamo ricavare la tensione indotta a vuoto E0 e la corrente di eccitazione partendo da una condizione funzionamento generico sotto carico in cui abbiamo misurato la tensione ai morsetti in uscita dalla macchina e la corrente di statore, sappiamo inoltre che la macchina funziona in saturazione. Dai dati disponibili possiamo ricavare la tensione complessivamente indotta E = jX d I a + U , questa tensione è indotta da un flusso in quadratura con la E e prodotto da un campo magnetico risultante dal campo di eccitazione e di reazione. Conoscendo la caratteristica a vuoto che mi lega le cause (corrente) agli effetti (tensioni indotte) entrando nel diagramma con il valore della E ricaviamo la Iδecc. Infatti la tensione complessivamente indotta è generata dal campo complessivo a traferro dato da una f.m.m. complessiva, somma della f.m.m. di eccitazione e di reazione, a cui è associata la corrente Iδ questa è in fase con il flusso che mi induce la tensione e in fase e pari alla Iδecc riportata allo statore come già visto nella parte generale. Applicando la sovrapposizione delle cause, la f.m.m. al traferro è la somma della f.m.m. di reazione e della f.m.m. di eccitazione, quindi in termini di corrente I δ = I a + I r1 da cui si ricava I r1 = I δ − I a questa è la corrente presente al rotore riportata allo statore come già visto nella parte generale. Grafico correnti 1 Dato che conosciamo la I r1 riportandola al rotore abbiamo il valore dalla corrente di eccitazione Iecc che mi genera la tensione a vuoto. Entrando nella caratteristica a vuoto, con il valore della Iecc, troviamo la E0 conosciuta sia in modulo che in fase, perché risulta essere in quadratura con la I r1 . Disegno caratteristica Come si vede dalla caratteristica della macchina, la differenza tra la tensione U e E mi da la caduta di tensione associata alla reattanza di dispersione o di Potier. La differenza tra la U e la E0 mi da la sovratensione generata dal passaggio da un funzionamento a carico al funzionamento a vuoto. Ipotizziamo che per un qualche fenomeno si sia verificato un cortocircuito all'interno della macchina, la tensione U è pari a zero. La corrente di eccitazione presente all'interno dalla macchina a causa dei sistemi di autoregolazione, è stata aumentata per sopperire alla mancanza di tensione in uscita 38 L'interruttore sulla macchina tende ad aprirsi, quindi si ha il passaggio da una tensione U alla tensione E0, se noi avessimo una macchina con comportamento lineare, ci troveremo ad avere un livello di tensione molto superiore a quello nominale. Invece la macchina presentando fenomeni di saturazione l'eventuali sovratensioni della macchina vengono limitate. Da questo si può vedere che la macchina non può essere fatta funzionare in condizioni lineari, ma per salvaguardare la rete in caso di sovratensioni, dovute a cortocircuiti, bisogna lavorare in prossimità della saturazione. Reattanza sincrona satura e fattore di saturazione Gli effetti della saturazione a carico possono essere tenuti in conto con buona precisione usando un fattore di saturazione determinato dalla caratteristica a vuoto. Questa teoria è valida per le macchine a rotore liscio, esso è frequentemente applicato in via di approssimazione alle macchine a poli salienti, con risultati soddisfacenti nel campo di funzionamento normale. In base alle nostre ipotesi le condizioni nel circuito magnetico sono determinate dalla tensione al traferro E sarebbe il valore Rag letto sulla caratteristica al traferro. Il grado di saturazione può essere descritto in termini di R un fattore di saturazione k definito come k = Rag Si può dimostrare con semplici proporzioni che k vale anche k = E r ( ag ) E Dove Er(ag) è la tensione corrispondente alla f.m.m. risultante R letta alla caratteristica al traferro. A noi interessa trovare la tensione indotta a vuoto E0 sappiamo che senza la saturazione , la tensione a vuoto sarebbe uguale alla tensione Ef(ag) letta dalla caratteristica al traferro corrispondente alla f.m.m. di eccitazione F. A causa degli effetti della saturazione, la riluttanza del circuito magnetico è k volte il suo valore non saturo e i flussi componenti sono ridotti a 1/k volte il loro valore non saturo. E f ( ag ) In condizioni sature la tensione a vuoto E0 è pertanto Eo = k Questo metodo ci ha permesso di linearizzare il comportamento della macchina in regime di saturazione, sicuramente è un metodo molto più veloce, ma meno preciso, rispetto al precedente. Metodo ANSI Questo metodo consiste nel trattare la macchina come non satura e nell’aggiungere poi una componente addizionale di eccitazione per tener conto della saturazione. 39 40 Macchina sincrona a poli salienti Generalità La macchina a poli salienti non presenta più un rotore cilindrico ma è costituita da un nucleo dove si fissano, mediante procedure meccaniche, dei gambi polari, il loro numero è sempre pari e sono uguali al numero dei poli. Sui gambi polari si realizzano gli avvolgimenti, questi sono non più distribuiti ma concentrati e collegati in serie, in modo tale da realizzare alternativamente un polo nord e un sud. I gambi vengono chiusi dalle espansioni polari, queste consentono di realizzare un vero e proprio polo, quindi per la legge di solenoidalità del campo magnetico le linee di flusso uscenti devono essere uguali alle linee entranti allora è impossibile che esista un monopolo magnetico, quindi si avrà sempre un numero di poli multiplo di due. Tutto questo costituisce il rotore della macchina asincrona a poli salienti. Lo statore è uguale a quello visto per la macchina sincrona a poli lisci. La struttura come si vede è anisotropa, quindi la coppia non è data solo dall’interazione del campo di armatura e del campo di eccitazione ma avremo anche una coppia di riluttanza dL i 2 dLrr e come visto per le macchine monofasi l’unico modo per creare una coppia T = isir rs + r dξ 2 dξ costante nel tempo era rispettare le condizioni di sincronismo. Tramite la teoria della doppia reazione riusciamo a riportarci a una macchina a poli lisci. Funzionamento a vuoto Eccitiamo la macchina e la portiamo alla velocità di sincronismo, studiamo ora il modello elettromagnetico della macchina, come al solito linearizziamo la macchina, individuiamo due assi uno divide in due le espansioni polari (asse polare) e un altro si pone in mezzo hai due poli (asse interpolare) si vede che pur essendo una macchina anisotropa la macchina presenta delle caratteristiche di simmetria geometrico, sia rispetto all’asse polare che all’asse interpolare, che ci porterà a delle simmetrie dal punto di vista magnetico. 1 Analizziamo una generica linea di flusso, si nota che le linee di flusso non presentano un andamento radiale ma seguono un percorso a minima riluttanza, il tubo di flusso non può essere considerato costante (questo si può capire vista la differenza tra la superficie del polo e quella di statore), l’induzione all’interno del traferro è quindi funzione sia della posizione che della f.m.m. quindi per ogni punto abbiamo un valore di campo differente. Si deve capire che noi non vogliamo studiare il campo in tutti gli infiniti punti, ma solo dove avvengono gli scambi energetici, quindi studiamo il campo solo sulla superficie di statore (superficie Σ). Andiamo a calcolare il campo in questa situazione B = ∆F µ 0 dove la quantità λ (β ) = µ 0 viene δ δ chiamata permeanza specifica. Dato che δ è la grandezza del traferro, possiamo affermare che la permeanza specifica è una quantità variabile e vista la differenza tra le superfici di statore e rotore anche la ∆F avrà un andamento particolare. Vediamo come variano queste grandezze. Per la permeanza si vede che più è piccolo il traferro più e grande il valore di permeanza e viceversa, quindi in corrispondenza degli assi interpolari la permeanza è minima mentre in corrispondenza degli assi polari è massima, il suo valore resta comunque positivo. Se sagomiamo bene i poli possiamo ritenere che la permeanza assuma una forma sinusoidale e che oscilli attorno a un valor medio. Se prendiamo l’asse interpolare come riferimento possiamo dire che λ (β ) = λ − λ cos 2 pβ 0 1 dove il valor medio è pari a λ +λ λ −λ λ0 = max min mentre λ1 = max min 2 2 Per la ∆F vista la forma d’onda possiamo r approssimarla a una sinusoide ∆FrΣ = ∆Fˆr sin pβ Abbiamo tutti gli elementi per calcolare il campo magnetico sulla superficie che si affaccia allo statore BrΣ = λ0∆Fˆr sin pβ − λ1∆Fˆr sin pβ cos 2 pβ Dividendo l’equazione tramite Werner si ottiene: λ λ λ BrΣ = λ0∆Fˆr sin pβ − 1 ∆Fˆr sin 3 pβ − sin pβ =0 ∆Fˆr sin pβ − 1 ∆Fˆ sin 3 pβ + 1 ∆Fˆ sin pβ 2 2 2 [ 2 ] Si arriva a: λ λ BrΣ = λ0 + 1 ∆Fˆr sin pβ − 1 ∆Fˆr sin 3 pβ 2 2 Si nota la presenza di una terza armonica di spazio sin 3β (termine prodotto dalla permeanza con pulsazione 2β ). Questo termine di terza armonica concatenandosi con gli avvolgimenti di statore generano delle tensioni indotte di tipo omopolari e quindi fanno circolare delle correnti omopolari che producono un campo magnetico. Ma in un sistema trifase i campi magnetici di tipo omopolari sono pari a zero, quindi per questo campo non esiste un campo di reazione, in più ha un valore molto piccolo che distorce molto poco il campo il campo del rotore. Quindi utilizzando espansioni polari e f.m.m. concentrate riusciamo ad ottenere un campo magnetico a traferro uguale a quello trovato per le macchine con avvolgimenti distribuiti, otteniamo ancora un campo d’induzione a traferro sulla superficie di statore di tipo sinusoidale λ BrΣ = λ0 + 1 ∆Fˆr sin pβ 2 Questo ci fa capire che il comportamento a vuoto, di questa macchina, è uguale a quello di macchina sincrona a poli lisci. Il diagramma delle grandezze sarà identico alla macchina sincrona a poli lisci e anche per le macchine a poli salienti possiamo definire una caratteristica a vuoto simile alle macchine a poli lisci. E0 I ecc Φ ecc I ecc E0 Il vantaggio è che la distribuzione di B è legata solo alla forma delle espansioni polari, quindi moltiplicando le espansioni polari si ottengono molti più poli rispetto a una macchina a poli lisci. È impossibile con macchine a poli lisci ottenere lo stesso numero di poli di una macchina a poli salienti, infatti in una macchina a poli lisci troppi poli portano alla rottura della dentatura delle cave. Un numero di poli elevato è fondamentale per le macchine collegate a delle turbine lente, come le turbine idrauliche Kaplan e Pelton, caratterizzate da una velocità meccanica bassa. Sappiamo che la ω quindi un frequenza di rete è fissa e che per la condizione di sincronismo si deve avere ωm = s p numero di poli elevato, nel caso di una bassa velocità meccanica, è fondamentale affinché si possa rispettare la condizione di sincronismo. Le macchine sincrone a poli salienti vengono usate sempre più spesso anche nell’eolico. Funzionamento a carico Applicando un carico alla macchina andrà a circolare una corrente Is allo statore, che per ipotesi sarà sfasata di ε rispetto alla tensione a vuoto e di ε + π rispetto alla corrente di rotore. 2 3 Andando a tracciare gli andamenti delle cadute di f.m.m. sia per l’eccitazione che per la reazione d’armatura si vede che al variare di ε la caduta di f.m.m. prodotta dalla reazione d’armatura vede un circuito magnetico sempre diverso questo perché abbiamo una macchina anisotropa, abbiamo quindi una permeanza variabile che porta a una tensione indotta variabile. Per questo motivo non possiamo, come fatto per le macchine sincrone a poli lisci, usare la sovrapposizione degli effetti, dobbiamo trovare un altro metodo di studio. Teoria della doppia reazione Partiamo dalla definizione del campo di reazione d’armatura B = ∆F (β )λ (β ) s s Siamo già a coscienza dell’espressione della caduta di f.m.m. generata da un sistema trifase, quindi prendendo coma riferimento la caduta di f.m.m. di eccitazione otteniamo: 3 ∆Fs (β ) = ∆Fˆs cos( pβ + ε ) 2 Conosciamo anche l’espressione della permeanza λ (β ) = λ − λ cos 2 pβ andando a sostituire si 0 1 ottiene: Bs (β ) = 3 4 ns 2 I s cos( pβ + ε ) (λ0 − λ1 cos 2 pβ ) = Bˆsλ0 cos( pβ + ε ) − Bˆsλ1 cos(2 pβ ) cos( pβ + ε ) 2 2 π 14243 Bˆ s Tramite Werner possiamo λ Bˆsλ1 cos(2 pβ ) cos( pβ + ε ) = Bˆs 1 [cos(− pβ +ε ) + cos(3 pβ +ε )] 2 consideriamo nullo il termine di terza armonica cos(3 pβ + ε ) 4 dire che Dato che cos(−β ) = cos β allora Bˆ (β ) = Bˆ λ cos( pβ + ε ) + Bˆ λ1 cos( pβ − ε ) s s 0 s dalle relazioni 2 trigonometriche λ Bˆs (β ) = Bˆsλ0[cos pβ cos ε −sin pβ sin ε ]− Bˆs 1 [cos pβ cos ε + sin pβ sin ε ] 2 ordinando l’equazione λ λ Bˆs (β ) = Bˆs λ0 − 1 cos ε cos pβ − Bˆs λ0 + 1 sin ε sin pβ 2 2 esplicitando il valore del campo λ 3 4 ns 2 λ 3 4 ns 2 Bˆs (β ) = λ0 − 1 I s cosε cos pβ − λ0 + 1 I sin ε sin pβ 2 2π 2 2 2π 2 s Il campo magnetico prodotto dalla reazione d’armatura è dato dalla somma di due campi sinusoidali, λ1 e un altro in un primo campo in quadratura col campo di eccitazione ˆ Bs λ0 − cosε cos pβ 2 λ opposizione col campo di eccitazione ˆ Bs λ0 + 1 sin ε sin pβ 2 L’ampiezza dei due campi è legata alla proiezione della corrente sull’asse diretto e su quello in quadratura, le due f.m.m. sviluppate sono pesate tramite due coefficienti che dipendono strettamente dalla permeanza vista dal circuito magnetico, coefficiente trasversale associato al campo che sta sull’asse interpolare, coefficiente longitudinale tiene conto che il circuito vede la massima riluttanza qualsiasi sia la posizione dei campi di eccitazione e di reazione. Il campo magnetico di reazione può essere visto come la somma di due campi prodotti dalle proiezioni di f.m.m. pesate per i rispettivi coefficienti, quindi a qualsiasi caduta di f.m.m. allo statore associamo le sue due componenti, moltiplicate per i rispettivi coefficienti, che ci rappresentano l’effettivo comportamento della caduta di f.m.m. allo statore. Siamo riusciti, tramite la teoria della doppia reazione, a studiare un sistema non lineare come se fosse un sistema lineare. Equazione di equilibrio elettrico della macchina sincrona a poli salienti Grazie a questa teoria riusciamo, tramite la corrente di statore e alla conoscenza del campo prodotto a ricavare i flussi e quindi le rispettive tensioni indotte, in poche parole possiamo studiare la macchina a poli salienti come una macchina a poli lisci. Al traferro sarà presente una tensione indotta E0, legata al campo di eccitazione e due tensioni indotte legate al campo di reazione d’armatura, la tensione indotta longitudinale El e la tensione indotta trasversale Et. La tensione complessivamente indotta a traferro sarà pari a: E = E + E + E ricordando che, come per le macchine a poli lisci, allo statore 0 l t abbiamo dei flussi dispersi e che la resistenza degli avvolgimenti può essere trascurata, arriviamo a scrivere l’equazione di equilibrio elettrico per le macchine a poli salienti E = E0 + El + Et = jX d I a + U Come si può vedere l’espressione è uguale a quella ricavata in precedenza per le macchine sincrone a poli lisci. Tracciamo il diagramma delle nostre grandezze elettriche. 5 ( commento alla costruzione del grafico ) Partiamo sempre dalla corrente di eccitazione Iecc fittizia a cui è associato il flusso di eccitazione, questo flusso mi induce una tensione indotta a vuoto che è la nostra tensione E0. Conosciamo il valore della corrente Is; della corrente Is possiamo determinare la componente trasversale It e la componente longitudinale Il, ad ognuna di queste componenti è associato un flusso. Se è noto il Φt è nota la tensione indotta di tipo trasversale perché sarà in ritardo di 90 gradi rispetto al flusso. Stesso discorso potremo fare per il flusso longitudinale Φl a cui è legata una tensione indotta longitudinale. A questo punto il calcolo è immediato perché per ricavare la tensione complessivamente indotta basterà sommare alla tensione indotta E0 la tensione indotta Et e la tensione indotta El, la tensione risultante sarà la tensione E. Se è nota la tensione E basta semplicemente calcolare la caduta di tensione sull'impedenza di dispersione Zd per avere un'indicazione di quella che è la tensione U. Ipotizzando di trascurare la resistenza degli avvolgimenti statorici, di solito è molto piccola perché le macchine sono utilizzate principalmente come macchine generatrici, avremo che il termine Zd è essenzialmente un termine di tipo reattivo, quindi è pari a: Z d = JX d Abbiamo così ottenuto un diagramma vettoriale rappresentativo del funzionamento della macchina elettrica sincrona poli salienti. Questo diagramma tiene conto delle tensioni indotte; in generale preferiamo non lavorare con tensioni indotte, ma lavorare con le cadute di tensione quindi esprimere le tensioni indotte dalla componente trasversale e dalla componente longitudinale in funzione delle correnti longitudinali e delle correnti trasversali. Preferiamo utilizzare una rappresentazione che è quella in termini di corrente. Andiamo quindi ad esprimere i termini di tensione indotta tramite le rispettive correnti. Nominiamo i λ1 λ1 coefficienti, longitudinale e trasversale, come: Ct = λ0 − ; Cl = λ0 + 2 2 Incominciamo con la tensione indotta longitudinale, sappiamo che per la legge di Lenz la tensione indotta di tipo longitudinale è pari a: El = − Jωλl Sappiamo anche che il flusso longitudinale è legato direttamente alla corrente che produce il campo ad esso associato, infatti il flusso longitudinale sarà esattamente pari ad un coefficiente di autoinduzione moltiplicato il valore della corrente longitudinale λl = L ⋅ I l 6 Il coefficiente di autoinduzione è abbastanza semplice da ricavare, infatti abbiamo visto che il valore di Bmax, funzione di Il , era pari al valore di Bmax relativo alla corrente Is moltiplicato per un coefficiente di reazione longitudinale, quindi il coefficiente di autoinduzione non sarà nient'altro che: λl = L ⋅ I l = Lt ⋅ Cl ⋅ I l Il coefficiente di autoinduzione al traferro l'abbiamo definito per una macchina elettrica sincrona a poli lisci nella quale il traferro è costante. In questo caso è il coefficiente di autoinduzione al traferro relativo alla macchina elettrica sincrona poli lisci che presenta un traferro esattamente uguale al traferro minimo della macchina elettrica sincrona a poli salienti. δ δmin Se questa è la rappresentazione della scarpa polare, abbiamo che il traferro geometrico della macchina è funzione della ascissa curvilinea, il coefficiente al traferro che compare in questa relazione è il coefficiente al traferro relativo alla macchina elettrica sincrona a poli lisci che presenta un traferro pari al traferro minimo. È il coefficiente longitudinale Cl che tiene conto della anisotropia della macchina sincrona a poli salienti. Quindi sostituendo El = − Jωλl = − JωLt Cl I l = − JX t Cl I l dove Xt è la reattanza al traferro. Seguendo lo stesso metodo di calcolo si arriva ad ottenere un espressione simile per la tensione indotta trasversale Et = − Jωλt = − JωLt Ct I t = − JX t Ct I t Possiamo semplificare le due espressione chiamando: X t Cl = X tl reattanza al traferro longitudinale X t Ct = X tt reattanza al traferro trasversale In questo modo la nostra equazione di equilibrio elettrico sarà: E0 = jX tl Il + jX tt It + jX d I a + U 7 ( commento al grafico ) Ipotizziamo come sempre di conoscere il flusso di eccitazione, il valore della corrente di eccitazione e quindi il valore della tensione indotta E0 e ipotizziamo di conoscere il valore della corrente Is ed in particolare conosciamo l'angolo ε di sfasamento tra la corrente Is e la tensione indotta E0; quindi conosciamo le due quantità che sono la corrente trasversale e la componente di corrente longitudinale. Dobbiamo ricavare questa quantità, basta semplicemente considerare la combinazione di questi due vettori: jXtlIl questa è la corrente Il il termine jXtlIl è in anticipo di 90 gradi rispetto alla corrente Il . Il vettore jXttIt è sempre in anticipo di 90° rispetto alla corrente It, infine avremo la solita caduta sulla nostra impedenza di dispersione ed otterremo il vettore U. Questa è un'altra rappresentazione del nostro diagramma vettoriale, è esattamente identica a prima, soltanto che la rappresentazione è stata ottenuta in termini di cadute di tensione e non di tensioni indotte. Questo semplicemente per far notare che i termini di reattanza al traferro trasversale e longitudinale non sono dei termini rappresentanti delle cadute di tensione ma sono dei termini rappresentanti delle tensioni indotte dalla reazione di armatura delle componenti di campo associate alle correnti Il e It . La relazione che abbiamo ottenuto può essere ulteriormente semplificata, infatti sappiamo che la reattanza di dispersione è relativa a dei flussi di dispersione: i flussi di dispersione sono flussi che circolano prevalentemente in aria quindi sono caratterizzati da un comportamento di tipo lineare e quindi potremmo tranquillamente applicare per essi il principio di sovrapposizione degli effetti e quindi ritenere che il flusso di dispersione sia prodotto dalla somma del flusso di dispersione dovuta alla componente trasversale It e la componente longitudinale della corrente Is. L’equazione di equilibrio elettrico assume la seguente forma: E 0 = j ( X d + X tt )I t + j ( X d + X tl )I l + U dove definiamo: X st = ( X d + X tt ) reattanza sincrona trasversale X sl = ( X d + X tl ) reattanza sincrona longitudinale Quindi l'equazione di equilibrio elettrico per una macchina sincrona a poli salienti a cui siamo giunti è la seguente: 8 E 0 = jX st I t + jX sl I l + U Come si può notare la relazione di equilibrio elettrico è formalmente simile a quello che abbiamo visto per la macchina elettrica sincrona a poli lisci. Rappresentiamo le grandezze in un diagramma che viene chiamato diagramma di Blondel. In realtà questo diagramma non potrebbe essere realizzato perché non si cosce l’angolo tra la tensione a vuoto E0 e la corrente ti statore Ia, ma tramite uno studio di tipo geometrico riusciamo a costruire questo diagramma solo dalla conoscenza della U della Ia e del loro sfasamento. Facciamo partire dal punto A la perpendicolare alla corrente d’armatura che intersecherà la retta d’azione di E0 nel punto C. Si prosegue sino al punto B, intersezione della retta ortogonale alla corrente e della retta ortogonale alla E0. Il segmento AC è l’ipotenusa del triangolo ACD quindi AC = DA cos ε dove DA = X st I t = X st I a cos ε quindi il segmento AC = jX st I a . Guardando il triangolo AKB si vede che il segmento BA = BK sin ε dove BK = X sl I l = X sl I a sin ε quindi il segmento BA = jX sl I a Quindi misurando la tensione U, la corrente d’armatura Ia e il loro sfasamento si riesce a costruire il diagramma di Blondel. Infatti una volta tracciata l’ortogonale alla corrente di statore partendo dal punto A, si rintraccia subito il punto C perché è noto il segmento AC = jX st I a . I punti O e C ci permettono di tracciare la retta d’azione della E0 conoscendo il valore della retta BA = jX sl I a 9 automaticamente conosciamo la posizione del punto B, quindi ci basta tracciare la perpendicolare alla retta d’azione di E0 che si interseca nel punto B per chiudere il grafico. Questo procedimento è fondamentale per la determinazione del diagramma di Blondel che ci porterà a determinare le caratteristiche di coppia e di funzionamento della macchina a poli salienti. Studio della coppia e delle potenze in una macchina sincrona a poli salienti Individuato una metodologia diretta per la determinazione del diagramma vettoriale ci interessa effettuare esattamente le stesse considerazioni che abbiamo fatto per la macchina elettrica sincrona a poli lisci, cioè determinare tutti i luoghi geometrici dei punti caratterizzati da eccitazione costante e da corrente di armatura costante. Nel caso della macchina sincrona a poli lisci abbiamo visto che il diagramma vettoriale, rappresentante l’equazione di equilibrio elettrico, era molto semplice perché si trattava semplicemente di tracciare delle circonferenze, in questo caso questa operazione non è più così tanto semplice quindi il tracciamento dei diagrammi vettoriali è piuttosto complicato. Vediamo come svolgere l'analisi di diagrammi vettoriale nel caso di una macchina a poli salienti. Come abbiamo fatto per la macchina elettrica sincrona a poli lisci passiamo dal diagramma vettoriale rappresentante le tensioni al diagramma vettoriale rappresentativo delle correnti, basterà dividere l'equazione di equilibrio elettrico E 0 = U + jX st I t + jX sl I l per jXsl si ottiene: E0 U X = + st ⋅ I t + I l jX sl jX sl X sl Vedete non riusciamo ad ottenere una relazione o una rappresentazione che ci dia una indicazione relativamente alla corrente d’armatura perché si ottiene una esplicitazione della corrente longitudinale. Ci viene in aiuto il diagramma di Blondel, infatti si nota immediatamente che i segmenti: CA e il segmento AB non sono nient'altro che vettorialmente delle quantità pari a jXtIa e jXlIa. Se dividiamo il diagramma di Blondel, non l'equazione di equilibrio elettrico, per jXl otteniamo una rappresentazione che è espressione della corrente di armatura Ia, infatti dividendo per jXl tutto il diagramma vettoriale ruota di 90° in ritardo. 10 Ci siamo riportati in una situazione simile a quella vista per la macchina elettrica sincrona a poli lisci, la proiezione della corrente Ia sulla tensione U ci consente immediatamente di ricavare la potenza attiva P della macchina e la proiezione della corrente Ia in quadratura con U ci consente di ricavare la potenza reattiva Q. I due assi, quello in fase con la tensione e quello in quadratura con esso, rappresenteranno, a meno di un fattore di scala, l'asse delle potenze attive e l'asse delle potenze reattive. Sappiamo che : P = ms ⋅ U ⋅ I a ⋅ cos ϕ Q = ms ⋅ U ⋅ I a ⋅ sin ϕ Come nelle macchine elettriche sincrone a poli lisci abbiamo individuato il diagramma delle potenze. Siamo in una macchina sincrona collegata ad una rete di potenza prevalente, la velocità di rotazione meccanica coincide con la velocità di sincronismo ed è costante, il legame tra la potenza elettrica e la coppia meccanica sviluppata all'asse è un legame di diretta proporzionalità quindi l'asse delle potenze ci consente anche di avere un'idea di quale è la coppia meccanica sviluppata all'asse. Come si può immediatamente notare il vettore della tensione indotta E0 diviso la reattanza sincrona longitudinale e il vettore Ia non presentano i vertici coincidenti (punti B e D non sono in comune), questo non ci consente di legare direttamente l'eccitazione alla corrente di armatura, avranno due evoluzioni che sono differenti, ci sono delle difficoltà nel trovare i punti di funzionamento della macchina, si può anche notare che in questa situazione non si riesce a capire il legame tra la potenza attiva e l’angolo di carico θ. Dovremo costruirci un diagramma che consenta di riportarci a una situazione simile a quella della macchina elettrica sincrona a poli lisci per fare esattamente le stesse considerazioni. (costruzione del grafico). Prendiamo il vettore E0/jXl e lo si trasla in modo tale da farlo coincidere con il vertice B : 11 prolungando , facciamo intersecare la retta d'azione sulla quale giace il vettore E0/jXl traslato con la retta d'azione sulla quale giace il vettore U, otteniamo il punto O'. L'intersezione della retta d'azione ortogonale ad E0/jXl individua K. Consideriamo una retta spiccata da A ortogonale a E0/jXl , riporto un'ampiezza pari al vettore E0 . Questo vettore è ortogonale al vettore E0/jXl e in anticipo di 90° quindi non sarà nient'altro che il vettore E0 stesso. I punti di intersezione con le due rette parallele li chiamo S e V. Abbiamo detto che, per riportarci ad una struttura che sia simile ad una macchina elettrica sincrona a poli lisci trasliamo il vettore E0/jXl fino a quando coincide con il punto B. Ora però al variare dell'angolo di carico θ dobbiamo avere che questa operazione di traslazione sia sempre consentita e per fare questa operazione bisogna conoscere da quale punto devo realizzare il tracciamento del vettore E0/jXl , quindi devo vedere se il punto K, che è il punto da cui ho tracciato il vettore E0/jXl, è un punto che è caratterizzato da un'evoluzione invariante oppure è caratterizzato da una evoluzione che dipende strettamente dall'evoluzione di funzionamento della macchina. Se riesco a dimostrare, che il punto K segue un'evoluzione che è invariante rispetto alle condizioni di funzionamento, ho individuato un metodo unico, univoco, che mi consente di costruire i luoghi geometrici a corrente di eccitazione costante e a corrente di armatura costante. Andiamo a dimostrare che il punto K è un punto che può essere determinato in maniera univoca è indipendentemente dalle condizioni di carico. Per fare questo consideriamo i due triangoli simili KOO' e SOA , caratterizzati dall'angolo di carico θ. Dato che i due triangoli sono simili possiamo impostare la proporzione: KO OO' KO ⇒ OO' = = ⋅ OA OA SA SA Andiamo ad individuare il valore dei singoli segmenti. U Per quanto riguarda OA, in modulo è pari a: OA = X sl X Andiamo a ricavare il valore SA, è la proiezione di (Xst/Xsl )Ia su E0: SA = st ⋅ I a cos ε X sl X anche il segmento KO è immediato: KO = VA − SA = I a cos ε − st ⋅ I a cos ε X sl 12 Sostituendo questi termini: OO' = KO SA ⋅ OA = X − X st X X U I a cos ε 1 − st sl = sl X sl I a cos ε X sl X st X sl ⋅ X st ⋅ U Abbiamo dimostrato il segmento OO' è indipendente dalle condizioni di carico, cioè dalla corrente circolante nello statore e dall’angolo di carico, dipende soltanto dalle reattanze Xsl e Xst e dalla tensione di alimentazione che sono dei termini costanti. Quindi, se la macchina è collegata ad una rete di potenza prevalente il segmento OO' rimane costante, dunque il punto K non potrà che descrivere, al variare dell'angolo di carico θ, una circonferenza, perché per costruzione abbiamo fatto in modo che il segmento KO e il segmento O'K mi costituissero sempre un angolo di 90°. Si nota che la circonferenza esiste perché si ha la differenza X sl − X st in una macchina a poli lisci questa differenza è pari a zero perché non presenta delle anisotropie. Il luogo dei punti di K al variare di θ è una circonferenza, qualunque sia il valore della corrente Ia, abbiamo dimostrato che il punto K segue una traiettoria invariante rispetto alle condizioni di carico. Questa condizione è fondamentale perché ci consente di ricavare abbastanza agevolmente il valore della coppia prodotta da questo tipo di macchine, infatti abbiamo detto che la potenza elettrica sviluppata dalla macchina è esattamente pari a P = ms ⋅ U ⋅ I a ⋅ cos ϕ Se la macchina funziona come generatore, forniamo potenza meccanica ed eroghiamo potenza elettrica, il fattore di conversione è dato dal rendimento della macchina elettrica sincrona, che sarà pari a: η= Pe Pm ⇒ Pm = Pe η Pm Pe η La potenza meccanica è uguale a: 13 Pm = Cm ⋅ ωm = Cm ⋅ ωs con p ωm = ωs p condizione di sincronismo (dove ωm è la velocità angolare e ωs rappresenta la pulsazione di alimentazione). Cm = La coppia meccanica è pari a: Pm ⋅ p ωs = Pe ⋅ p p = ⋅ m ⋅ U ⋅ I a ⋅ cos ϕ ω s ⋅η ω s ⋅η s Se i parametri di macchina sono tutti definiti vedete che, come dimostrato precedentemente il legame fra coppia meccanica e componente della corrente in fase con la tensione è un legame di diretta proporzionalità. Nelle macchine elettriche sincrone a poli lisci però abbiamo espresso la coppia non solo in funzione della tensione e della corrente e dell'angolo compreso tra i due, ma anche in funzione della tensione sotto carico e della tensione indotta vuoto e dell'angolo compreso tra questi due vettori. Andiamo a vedere che forma assume quest'espressione nel caso della macchina elettrica sincrona a poli salienti. Abbiamo visto che la coppia meccanica è pari a Cm = p ⋅ m ⋅ U ⋅ I a ⋅ cos ϕ ωs ⋅ η s La quantità Iacosϕ non è altro che il segmento BN e può espresso come: E X − X st I a ⋅ cos ϕ = O' B ⋅ sin θ = BK + O' K sin θ = 0 + sl ⋅ U cos θ ⋅ sin θ X sl ⋅ X st X sl ( ) Andando a sostituire nell'espressione abbiamo che la coppia meccanica è pari a: U ⋅ E0 p U 2 X sl − X st ⋅ sin 2θ Cm = ⋅ ms ⋅ sin θ + ⋅ ω s ⋅η 2 X sl ⋅ X st X sl Abbiamo ricavato l'espressione della coppia sviluppata da una macchina elettrica sincrona a poli salienti. Si può notare che la macchina sviluppa una coppia che è data dalla combinazione di due termini. Il primo termine è uguale a quello che abbiamo visto per la macchina elettrica sincrona a poli lisci: U ⋅ E0 p ⋅ ms ⋅ ⋅ sin θ ω s ⋅η X sl l’unica differenza è che al posto della reattanza sincrona c’è la reattanza sincrona longitudinale. Il secondo termine non dipende più dalla tensione indotta ma dipende esclusivamente dalla differenza tra la reattanza sincrona longitudinale e la reattanza sincrona trasversale. p U 2 X sl − X st ⋅ ms ⋅ ⋅ ⋅ sin 2θ 2 X sl ⋅ X st ω s ⋅η coppia di riluttanza Abbiamo visto già nelle nostre trattazioni che vi sono delle coppie che vengono sviluppate al sincronismo in funzione della anisotropia presente nella macchina, queste coppie erano le cosiddette coppie di riluttanza. Questa quantità non è altro che una coppia di riluttanza, infatti se l'anisotropia del sistema cessa, cioè se abbiamo che la reattanza sincrona longitudinale è uguale alla reattanza sincrona trasversale, quindi l'anisotropia è nulla, questo termine diventa esattamente uguale a zero. Un’altra osservazione che si può fare è che questa coppia dipende soltanto dalla tensione di alimentazione non dall'eccitazione, questo perché è una coppia che dipende dalla anisotropia della struttura e non da come stiamo eccitando la macchina. Questa coppia è presente anche se la macchina non è eccitata, quindi se inviamo nel circuito rotorico una corrente di eccitazione nulla Iecc=0 questa coppia è ancora presente, perché è una coppia che nasce dalla anisotropia della struttura. Questa coppia è una coppia presente solo al sincronismo ( l'abbiamo visto nelle generalità ), ed è una coppia 14 con caratteristiche non lineari, infatti il legame che sussiste tra la coppia di riluttanza e la tensione presente sulla macchina è un legame di tipo quadratico che è un legame tipicamente non lineare. Questo mette in luce come anche tramite l’azione della doppia reazione lo sviluppo dei calcoli ci porta a dimostrare che il comportamento di questa macchina è un comportamento non lineare e che viene evidenziato proprio nella sua coppia elettromagnetica, quindi la coppia elettromagnetica presenta un'evoluzione di tipo non lineare dato dalla somma di un termine di sincronismo ed un termine di riluttanza. Bisogna considerare che non abbiamo solo una coppia di sincronismo, ma abbiamo una coppia di riluttanza quindi l'evoluzione della coppia funzione dell'angolo θ non sarà più uguale a quella che avevamo nelle macchine elettriche sincrone a poli lisci, ciò significa che anche le condizioni di stabilità di una macchina sincrona a poli salienti saranno diverse da quelle di una macchina sincrona a poli lisci. Andiamo ad analizzare quale è l'andamento della coppia meccanica in funzione dell'angolo θ. Abbiamo visto che per quanto riguarda la macchina elettrica sincrona, l'andamento della coppia per un determinato valore della corrente di eccitazione assumeva un andamento di tipo sinusoidale, in questo caso invece accanto al termine relativo al funzionamento sincrono vi è anche un altro termine che è relativo alla coppia di riluttanza che presenta una periodicità pari a 2θ θ. L' andamento della coppia risultante è dato dalla somma della coppia di sincronismo o coppia sincrona con la coppia di riluttanza, ottenendo un andamento della coppia che è all'incirca di questo tipo Cm Coppia totale π/2 π θ Coppia di riluttanza Per l'angolo θ pari a 0 o a π la coppia è nulla e che per π/2 la coppia presente è solo quella sincrona. Si nota che non eccitando la macchina è presente la sola coppia di riluttanza, andando gradualmente ad eccitare si vede che il termine associato alla coppia sincrona cresce e man mano supera la coppia di riluttanza, vedremo quindi il massimo della coppia che si sposta questo vuol dire che sia il massimo che i punti di funzionamento della macchina sono funzione dell’eccitazione. Analisi dei punti di stabilità della macchina Tracciamo quelle curve caratteristiche che ci individuano i punti di funzionamento della macchina, cioè le curve ad eccitazione costante e le curve a corrente di alimentazione costante. Vediamo di tracciare la prima di queste curve: la curva ad eccitazione costante. Abbiamo effettuato la costruzione proprio per questo scopo, per riportare il diagramma vettoriale ad una struttura che è identica a quella di una macchina sincrona a poli lisci, quindi vediamo come effettuare il tracciamento del luogo a eccitazione costante. Se l'eccitazione è costante questo vuol dire che il valore della tensione indotta a vuoto E0 è costante quindi il vettore E0/jXl presenta un modulo costante. ( costruzione del grafico ) 15 Si fa variare l'angolo di carico tra 0 e 2π,durante questa variazione abbiamo dimostrato che il punto K , ottenuto dalla traslazione del vettore E0/jXsl , si muove lungo una circonferenza, quindi il tracciamento del luogo è abbastanza semplice: considero una generica retta con un generico angolo di carico θ spiccata dal punto O’, questo intersecherà un punto K'', dal punto K'' traccio un vettore di modulo esattamente pari a E0/Xsl. Il punto B è il punto rappresentante la corrente Ia nelle nuove condizioni di angolo di carico. Ripeto questa operazione per tutti i valori di θ. Vediamo alcuni casi particolari: nel caso in cui θ =π/2 l'operazione è semplice, avremo che il vettore è tangente proprio alla circonferenza è presenterà un modulo che sarà pari a E0/jXsl. Andiamo ora a considerare un angolo intermedio tra π /2 e π , in questo caso partendo da O’ si ottiene l'intersezione con il punto K''' e dal punto K''' tracciamo lungo la retta d'azione il vettore E0/jXsl. E così via. Chiocciola di Pascal L'andamento del luogo dei punti ad eccitazione costante non seguirà una curva classica ma seguirà una curva che prende il nome di chiocciola di Pascal . Per ogni valore della corrente di eccitazione otterremo una funzione di questo genere; per un particolare valore della corrente di eccitazione, cioè per la corrente di eccitazione esattamente uguale a zero otterremo una chiocciola di Pascal degenere cioè è rappresentata da una circonferenza. Se la corrente di eccitazione è nulla, il vettore E0 è nullo però la costruzione deve essere sempre rispettata: è esattamente la circonferenza che abbiamo costruito precedentemente cioè la circonferenza tracciata per individuare il luogo dei punti del punto K al variare di θ rappresenta la chiocciola degenere di Pascal. Se la corrente di eccitazione è negativa basta cambiare il segno, cioè non avremo più una E0 positiva ma una E0 che sarà opposta in fase e quindi l'operazione dovrà essere esattamente ribaltata di 180°, quindi la costruzione risulterà essere all'interno della nostra circonferenza; ripetiamo esattamente la stessa operazione considerando però non un vettore E0 che viene spiccato nella direzione positiva ma un vettore E0 che viene spiccato nella direzione negativa. Quindi le chiocciole di Pascal possono essere sia esterne alla circonferenza degenere sia interne alla circonferenza degenere, questo è il luogo ad eccitazione costante. 16 Il luogo a corrente di armatura costante è molto più semplice da tracciare perché in questo caso basta considerare la corrente di armatura perfettamente costante centrata nel punto A, far variare l'angolo ϕ tra 0 e 2π per ottenere come risultato una circonferenza. Quindi il luogo dei punti a corrente di armatura costante viene rappresentato proprio da una circonferenza centrata nel punto A. Ora c'è da tracciare un ultimo luogo dei punti che è quello relativo alle condizioni al limite di stabilità. Infatti abbiamo visto che per la macchina elettrica sincrona a poli lisci esiste una condizione di stabilità meccanica, Che era quella che si otteneva per l'angolo θ esattamente pari a π/2. Bisogna verificare se questa condizione è rispettata anche per la macchina elettrica sincrona a poli salienti oppure se abbiamo condizioni di stabilità che sono diverse. Andiamo quindi a rappresentare la curva limite di stabilità sul piano delle potenze, questo ci è utile perché consente di definire quelle che sono le zone interdette al funzionamento della macchina elettrica sincrona a poli salienti. Consideriamo U/jXsl, la corrente Ia e la sua quantità (Xst/Xsl)Ia e tracciamo il vettore di E0/jXsl, tracciamo il diagramma delle potenze. Abbiamo visto che se consideriamo il luogo dei punti ad eccitazione costante otteniamo una curva che prende il nome di chiocciola di Pascal. Individuata la chiocciola di Pascal è possibile immediatamente determinare la condizione relativa alla coppia massima, cioè il punto che caratterizza la coppia massima. Il punto CMAX sarà anche il punto per il quale si avrà la potenza massima perché siamo al sincronismo. 17 Se conosciamo la chiocciola di Pascal possiamo determinare, per quel valore della corrente di eccitazione, il punto per il quale la coppia è massima (punto di massimo sulla chiocciola) e il relativo angolo θ. Procedendo per i diversi valori di corrente di eccitazione, descrivendo le diverse chiocciole di Pascal arriviamo a descrivere una caratteristica, questa caratteristica è il luogo dei punti che congiungono tutti i massimi delle chiocciole di Pascal, sono anche tutti i punti caratterizzati dal funzionamento al limite di stabilità. Questa curva prende il nome di caratteristica limite di stabilità della macchina elettrica sincrona a poli salienti. Come si può notare è ben diversa dalla caratteristica limite di stabilità vista per la macchina a poli lisci, infatti questa era una retta con una pendenza pari a 90° mentre in questo caso la struttura è ben diversa. Anche in questa macchina, per motivi di sicurezza, si tende a fissare un limite di stabilità pratico. * Vediamo come fissare questi limiti. Si fissa un valore di coppia limite ∆ C che ci consente di individuare nel grafico un limite di sicurezza per il funzionamento della nostra macchina ed evitare che il sistema passi ad una condizione di instabilità. * Per riportare questa situazione nella caratteristica , basta fissare il ∆ C rispetto al valore di coppia massima e individuare sulla chiocciola di Pascal il punto limite. Questo ci consentirà, raggruppando tutti i punti, di individuare il limite di stabilità pratico della macchina elettrica sincrona a poli salienti. 18 limite di stabilità pratico P Cm caratteristica limite di stabilità Kmax C MAX ∆*C B Is C θmax θ O' O A Q Come si può notare il campo di stabilità sta in un intorno tra 0 e π/4, quindi è notevolmente più ristretto rispetto alle macchine sincrone a poli lisci, anche considerando i limiti teorici di stabilità gli angoli di carico utilizzabili restano sempre notevolmente inferiori rispetto alle macchine a poli lisci. Anche per queste macchine si deve utilizzare un motore primo che collegato al rotore lo mette in rotazione e porta la macchina alla velocità di sincronismo. L’albero motore con cui viene collegato alla macchina avrà una determinata resistenza meccanica, quindi la macchina sincrona non può raggiungere determinati valori di coppia che porterebbero a rottura l’albero, questo porta a delle limitazioni nel funzionamento della macchina. Questi limiti graficamente sono rappresentati da una retta parallela all’asse delle potenze reattive. Una volta definito il limite di stabilità pratico, la massima corrente di eccitazione , la massima corrente di armatura, la massima coppia legata al motore primo è possibile come abbiamo fatto per le macchine sincrone a poli lisci individuare una zona che mi rappresenta tutti i punti di potenza attiva e reattiva che possono essere erogati dalla nostra macchina sincrona a poli salienti, questa è l’unione di tutti i visti precedentemente. Disegno da fare Abbiamo dimostrato, dallo studio delle macchine elettriche sincrone a poli lisci, che la condizione fondamentale affinché una macchina abbia un comportamento stabile è che la derivata della coppia 19 meccanica fatta rispetto a θ sia positiva, quindi dobbiamo essere sempre nella zona caratterizzata dalla derivata di coppia che sia positiva, quindi nella zona ascendente. Calcolo della reattanza sincrona longitudinale e trasversale Considerando il diagramma delle correnti, ipotizziamo di essere connessi a una rete di potenza prevalente U=cost; ωs=cost e corrente di eccitazione nulla I ecc = 0 Dato che la corrente di eccitazione è pari a zero la tensione indotta a vuoto è nulla quindi la corrente di statore Ia andrà a coincidere con una delle tante chiocciole di Pascal. Se mandiamo in ipersincronismo la macchina, ma restando quasi al sincronismo, quindi ωm ≠ ωs p la corrente d’armatura avrà una frequenza leggermente maggiore della tensione applicata. Questo fa si che il vertice della corrente Ia percorra tutta la circonferenza questo gli fa assumere nel tempo un’oscillazione tra un valore minimo e un valore massimo. Nella posizione i minimo i vettori U/jXsl e Ia sono coincidenti min quindi I a = U nella posizione di massimo sarà pari a: X sl I amax = X − X st X − X st U U 1 + sl + sl U = X sl X sl ⋅ X st X sl X st U X sl U = = X X X st sl st dato che la tensione U la stiamo applicando e la corrente Ia la stiamo misurando automaticamente siamo in grado di ricavare il valore della reattanza sincrona longitudinale e trasversale. Misurando la corrente di statore tramite un oscilloscopio si vedrà la corrente un andamento del tipo Da cui può esser estrapolato il valore massimo e minimo, questo particolare andamento si crea perché il campo magnetico prodotto dalla corrente di statore vede il rotore muoversi lentamente dato che siamo in una condizione di ipersincronismo, quindi il campo di statore vede un circuito magnetico che cambia e passa da un valore di riluttanza massimo a uno di riluttanza minimo. Quando la riluttanza è massima la tensione è comunque fissa e il flusso deve quindi restare costante, allora si 20 deve applicare una f.m.m. maggiore e quindi si deve far circolare una corrente maggiore, mentre per una riluttanza minima la f.m.m. da applicare è la minima e quindi servirà una corrente minima per non far variare il flusso. Funzionamento in saturazione della macchina sincrona a poli salienti In realtà la macchina sincrona a poli salienti è caratterizzata da un funzionamento di tipo non lineare, infatti la macchina presenta un nucleo ferromagnetico e questo per sua natura è sottoposto a effetti di saturazione. Il nostro scopo è quello di analizzare il funzionamento della macchina quando si passa da una condizione di funzionamento lineare ad una non lineare, questo studio è molto importante perché questo tipo di macchina lavora molto spesso in saturazione. Ovviamente tutta la trattazione fatta finora viene a cadere, tutti i calcoli, le rappresentazioni, tutte le modellizzazioni alle quali eravamo pervenuti erano basate sul principio di sovrapposizione degli effetti. Vediamo allora di individuare un metodo che ci consenta di studiare in regime non lineare, quindi in regime di saturazione, le macchine elettriche sincrone a poli salienti. Tenete conto che in regime di non linearità non sarà più valido il principio di sovrapposizione degli effetti ma sarà sempre valido il principio di sovrapposizione delle cause, la causa fondamentale della formazione del campo magnetico all’interno della nostra macchina è la forza magneto-motrice; forza magneto-motrice di statore e forza magneto-motrice di rotore. Quindi anche in condizioni di funzionamento non lineare sarà applicabile il principio di sovrapposizione relativamente alle forze magneto-motrici. Lo studio è quindi identico a quello sviluppato per le macchine elettriche sincrone a poli lisci con la sola differenza che applicando il principio di sovrapposizione delle cause, in questo caso dobbiamo tener conto che non è presente solo la f.m.m. d’armatura, ma ci sono due f.m.m. d’armatura: una relativa alla reazione in quadratura (trasversale) e l’altra relativa alla reazione longitudinale o diretta. FT = FECC + FAL + FAT L’espressione da utilizzare sarà la seguente: FT = f.m.m totale FECC = f.m.m di eccitazione FAL = f.m.m di armatura longitudinale FAT = f.m.m di armatura trasversale Vediamo di applicarla. Si parte sempre dalla relazione di equilibrio elettrico E δ = jX d ⋅ I a + U Una volta nota la tensione U, è noto il valore di Ia quindi è possibile ricavare quale è la f.m.m. complessiva d’armatura FA comprensiva del termine longitudinale e del termine trasversale. Se è noto U ed Ia e Xd possiamo ricavare il valore della tensione complessivamente indotta Eδ tramite la caratteristica a vuoto si ricava la corrente di eccitazione e da questa possiamo risalire alla corrente Iδ. A questo punto conosciamo il valore della f.m.m. totale FT in quadratura e in ritardo rispetto a alla Eδ, per ricavare il valore della f.m.m. longitudinale e trasversale dobbiamo utilizzare una procedura che è identica a quella che abbiamo visto nel caso del diagramma di BLONDEL. Dovremo considerare il termine Fa Ct e Fa CL , questo diagramma ci permetterà di ricavare la FECC : 21 JX s ⋅ I a E E0 V Fa Ia FT O Fecc Fa Ct D Fa Cl infatti si traccia da questo punto la congiungente con il punto D poi si proietta sulla retta d’azione il vettore FaCl , il vettore così ottenuto risulta essere la f.m.m. di eccitazione. Individuata questa, entriamo all’interno della caratteristica, ricaviamo il vettore E0 e conseguentemente definiamo il vettore E0 in modulo e fase. Questa è l’operazione con la quale si giunge alla determinazione della f.m.m di eccitazione e della tensione indotta E0. (precisazione): dovete ricostruirvi in funzione di E0 le componenti di corrente e di f.m.m. ed applicare esattamente lo stesso processo di costruzione visto per il diagramma di BLONDEL Quindi abbiamo visto anche un metodo che ci consente di studiare il funzionamento di una macchina elettrica sincrona sia a poli lisci che a poli salienti in condizione di saturazione. Anche per le macchine sincrone a poli salienti, valgono le stesse considerazioni dei fenomeni di apertura a fine linea viste per la macchina sincrona a poli lisci. 22 La macchina asincrona Le macchine elettriche asincrone sono principalmente delle macchine elettriche isotrope, conseguentemente la struttura statorica e la struttura rotorica sono delle strutture cilindriche una coassiale con l'altra. Quindi abbiamo lo statore, che è un cilindro cavo, il rotore che è un cilindro pieno le due strutture sono perfettamente coassiali l'una con l'altra, ovviamente tra il rotore e lo statore vi è un tratto d'aria che prende il nome di traferro, il traferro come nelle macchine elettriche sincrone a poli lisci ha un doppio scopo: il primo è quello di consentire il movimento correlativo della rotore rispetto allo statore e quindi di assicurare un gioco meccanico tra i due sistemi, il secondo è quello di eseguire una operazione di linearizzazione della struttura magnetica e quindi far sì che si possa applicare a questo tipo di sistemi il principio di sovrapposizione degli effetti. Le macchine elettriche asincrone vengono così definite perché ω lavorano principalmente ad una velocità di rotazione che è diversa da quella di sincronismo s ≠ ω m . p La macchina elettrica asincrona è costituita da un avvolgimento trifasico uniformemente distribuite sulla superficie di statore (solitamente è il circuito di eccitazione). L’avvolgimento di rotore è generalmente un avvolgimento polifasico che nel funzionamento normale presenta le fasi cortocircuitate (solitamente è il circuito di indotto). La modalità con cui viene realizzato l’avvolgimento di rotore classifica il tipo di macchina. Esistono 2 tipologie di macchine: La macchina a rotore avvolto, in questo caso l’avvolgimento viene realizzato come l’avvolgimento statorico, cioè con delle matasse che sono collegate tra di loro in maniera opportuna e uniformemente distribuite sulla superficie di rotore. Il numero di fasi dell’avvolgimento rotorico è uguale al numero di fasi statoriche . A gabbia di scoiattolo, l’avvolgimento rotorico è costituito da delle barre che vengono affogate all’interno del rotore e opportunamente cortocircuitate con degli anelli L’avvolgimento a gabbia di scoiattolo si suddivide in altre tipologie: L’avvolgimento a doppia gabbia di scoiattolo e avvolgimento a barre profonde. Questo dipende dalla struttura geometrica con cui vengono realizzate le barre. Ipotizzando il funzionamento a regime studiamo il principio di funzionamento della macchina elettrica asincrona, per poter determinare il modello matematico, e il suo circuito equivalente. Analizziamo il suo funzionamento partendo da una condizione di funzionamento a vuoto. FUNZIONAMENTO A VUOTO Alimentiamo l’avvolgimento statorico con un sistema di correnti simmetrico e apriamo l’avvolgimento rotorico, questo ci permetterà di individuare le condizioni che si creano sull’avvolgimento rotorico quando l’avvolgimento statorico viene alimentato. Alimentando con un sistema equilibrato di correnti is1= √2 Is sin ωst is2= √2 Is sin (ωst - 2 π/3) is3= √2 Is sin (ωst - 4 π/3) Creiamo un campo magnetico rotante che presenta un valore massimo che dipende dalla forza magneto motrice applicata e quindi dalla corrente is, la velocità meccanica risulta essere collegata alla pulsazione 1 di alimentazione e al numero di coppie polari, in particolare il campo magnetico ruota con una velocità ωs/p. Sappiamo dalle generalità che sicuramente un sistema trifase produce una caduta di f.m.m. del tipo ∆Fs (α , t ) = 3 ˆ µ ∆Fss cos(ω s t − pα ) e che esiste un legame con il campo Bs (α , t ) = 0 ∆Fs (α , t ) 2 δ In base a queste considerazioni ricaviamo il campo magnetico prodotto dallo statore Bs (α , t ) = Bˆ s cos(ω s t − pα ) (campo magnetico visto da un osservatore solidale con lo statore) Noi vogliamo analizzare cosa accade nell’avvolgimento rotorico. Ipotizziamo che l’avvolgimento rotorico si muova con una generica velocità pari ad ωm . Passando dal sistema di riferimento statorico al sistema di riferimento rotorico si avrà α = β + ζ = β + ω m t + ζ 0 quindi Bs ( β , t ) = Bˆ s cos[(ω s − ω m )t − pβ ] = Bˆ s cos( sω s t − pβ ) con ζ = 0 0 Dove s risulta essere lo scorrimento cioè la velocità relativa con cui si muove il campo magnetico rotante rispetto al sistema di riferimento s= ω s − pω m ωs L’avvolgimento rotorico viene investito da un campo magnetico rotante che ruota non più alla velocità ωs/p ma alla velocità sωs/p. Quindi il campo magnetico visto dall’avvolgimento rotorico, nel caso in cui s risulti essere diverso da zero, è ancora un campo magnetico rotante. Noi sappiamo che se un avvolgimento polifasico uniformemente distribuito viene investito da un campo magnetico rotante su di esso si induce un sistema di tensioni che risulta essere perfettamente simmetrico, λr = Lt 2 I s sin( sω s t ) infatti avremo un flusso pari a Vediamo che il flusso concatenato con ogni avvolgimento rotorico risulta essere strettamente collegato alle caratteristiche geometriche della macchina e all’intensità del campo, quindi alla corrente statorica che ha prodotto il campo, in più il flusso mantiene una forma di tipo sinusoidale variabile nel tempo, la cui frequenza risulta essere collegata alla velocità di rotazione del campo. Ricaviamo il valore della tensione indotta sull’avvolgimento rotorico. er = − dλ r = − Lt sω s 2 I s cos sω s t dt Quindi la tensione indotta sul rotore risulta essere collegata al valore del campo al traferro e quindi alla corrente circolante nell’avvolgimento statorico, risulta anche essere strettamente collegato allo scorrimento, in più presenta una evoluzione di tipo sinusoidale la cui pulsazione risulta essere s ωs cioè risulta essere legata alla velocità relativa del campo magnetico rotante rispetto al sistema di riferimento rotorico. Si vede immediatamente che la presenza di una tensione indotta di tipo sinusoidale è legata alla presenza di un campo magnetico rotante, infatti se il campo magnetico rotante risulta essere non più rotante ma stazionario, quindi scorrimento s esattamente uguale a zero, in questo caso la tensione indotta risulta essere nulla. Quindi la condizione fondamentale è che ci sia movimento relativo del campo magnetico rotante rispetto al sistema di riferimento rotorico, solo in questo caso si ha tensione indotta sull’avvolgimento rotorico e quindi lo scorrimento risulta essere diverso da zero ωs ωs s≠0 ⇒ − ω m ≠ 0 cioè deve verificarsi la condizione ≠ ωm p p Quindi perché una macchina di questo genere possa avere una tensione indotta diversa da zero è necessario che vi siano tra il campo magnetico rotante e la velocità di rotazione le condizioni di asincronismo, da qui ne deriva il nome di macchina elettrica asincrona (è fondamentale ricordare che i due campi, di rotore e di statore, sono sincroni. Questa è una condizione da verificare se si vuole avere una coppia costante nel tempo). Abbiamo detto che questa macchina lavora in condizioni di cortocircuito, cioè l’avvolgimento indotto viene disposto in cortocircuito, se non esiste una tensione indotta sull’ avvolgimento cortocircuitato in esso non si avrà la circolazione di corrente e quindi non avremmo un campo magnetico di reazione 2 d’armatura, non si avrà l’interazione tra un campo di reazione e un campo di eccitazione e quindi la produzione di coppie elettromagnetiche, conseguentemente non abbiamo la conversione di energia elettrica in energia meccanica. Si capisce che se non si ha tensione indotta non si ha conversione elettromeccanica dell’energia. La condizione fondamentale è s ≠ 0, infatti in condizioni di sincronismo questa macchina risulta essere neutra, non produce nessuna conversione dell’energia elettrica in meccanica e viceversa. FUNZIONAMENTO SOTTO CARICO Cortocircuitiamo l’avvolgimento di rotore e manteniamo la macchina in questa condizione. Se è presente una tensione indotta di tipo sinusoidale sull’avvolgimento di cortocircuito avremo che sull’avvolgimento circolerà una corrente sinusoidale Ir che risulterà avere frequenza s ωs uguale alla tensione che sto applicando. Abbiamo detto che gli avvolgimenti rotorici sono uniformemente distribuiti, quindi tutte le tensioni sono sfasate le une rispetto alle altre in modo da creare un sistema simmetrico, ciò vuol dire che al sistema simmetrico di tensioni corrisponderà un sistema simmetrico di correnti che presenteranno tutte la stessa frequenza, queste daranno vita a un campo magnetico rotante con una velocità strettamente collegata alla frequenza di alimentazione Br ( β , t ) = Bˆ r cos(ω s t − pβ + ϕ ) Il campo magnetico rotante ha la stessa velocità di rotazione del campo di eccitazione e questo si verifica in qualunque posizione di scorrimento s. Quindi è vero che il rotore e il campo magnetico rotante sono asincroni ma il campo di eccitazione e il campo di reazione dell’armatura risultano essere perfettamente sincroni (viaggiano alla stessa velocità in qualunque condizione di scorrimento). Infatti, se variamo lo scorrimento varia la frequenza della tensione indotta, questa fa variare la frequenza del sistema di correnti rotoriche che fa variare la velocità del campo magnetico di reazione. A regime la velocità del campo di statore e di rotore sono sincroni, ma se sono sincroni hanno lo stesso numero di coppie polari, quindi la coppia elettromagnetica prodotta risulta essere costante nel tempo, questo è garantito per ogni velocità di rotazione. MODELLO MATEMATICO DELLA MACCHINA ELETTRICA ASINCRONA Vediamo che il sistema elettrico rotorico è statorico hanno diversa frequenza (per lo statore ωs invece il rotore s ωs) dovremmo analizzare i due modelli elettrici separatamente e poi dovremmo individuare delle operazioni di trasformazione che ci consentono di rendere i due sistemi congrui, cioè trasformarli in modo che la frequenza sullo statore e la frequenza del rotore siano le stesse. Tenendo conto che i due avvolgimenti, quello rotorico e quello statorico sono caratterizzati da un numero di spire differenti e da un numero di fasi differenti, dobbiamo riportarci ad una configurazione equivalente caratterizzata dallo stesso numero di spire, dallo stesso numero di fasi. Per poter fare questa analisi partiamo dalla equazione di equilibrio elettrico v s = Rs is + dλ s di dλ = Rs is + l ds s + ms dt dt dt Come si può notare si è scomposto il flusso complessivo di statore in un contributo dato dai flussi di dispersione e dal contributo del flusso di mutuo accoppiamento (è il flusso associato al campo a traferro). Dato che siamo in regime sinusoidale posiamo riscrivere la nostra equazione di equilibrio elettrica Vs = Rs I s + jω s l ds I s + jω s N sφ m Le resistenze degli avvolgimenti di statore e i flussi dispersi sono piccoli quindi possiamo trascurarli, allora Vs ≅ jω s N sφ m la macchina viene alimentata a tensione costante questo vuol dire che il flusso di mutua sarà costante, ma allora il campo a traferro Bδ sarà costante e varierà al variare della tensione impressa. Il campo a traferro sarà la somma del campo magnetico di rotore e di quello generato allo statore Bδ = Br + Bs questi due possono anche variare ma la loro somma deve essere sempre costante e pari al campo magnetico al traferro. Questa analisi mette in luce una differenza con le macchine sincrone, infatti con esse il controllo della macchina avveniva tramite il controllo del campo di eccitazione mentre con le macchine asincrone abbiamo la possibilità di controllare il campo a traferro ma non quello di eccitazione. 3 La presenza di un campo a traferro indurrà una tensione nelle spire degli avvolgimenti rotorici, l’equazione di equilibrio elettrico al rotore è: − dλmr di = Rr ir + l dr r dt dt in regime sinusoidale avremo − jsω s N r φ m = Rr I r + jsω s l dr I r Le due equazioni sono: Vs = Rs I s + jω s l ds I s + jω s N sφ m − jsω s N rφ m = Rr I r + jsω s l dr I r Per portare i due sistemi sullo stesso piano di lavoro dobbiamo come prima cosa rendere le frequenze uguali, questo è possibile dividendo l’equazione di rotore per lo scorrimento − jω s N r φ m = Rr I r + jω s l dr I r s Ora l’equazione al rotore presenta una pulsazione uguale a quella di statore, ma presenta ancora un numero di spire differente. Moltiplichiamo primo e secondo membro per Rr N Ns I r + jω s l dr I r s ottenendo − jω s N sφ m = siamo riusciti ad avere un flusso di mutua Nr s Nr uguale in entrambe le equazioni, ma dobbiamo ancora riportare la corrente di rotore nel sistema di riferimento statorico. Come abbiamo detto il flusso a traferro è originato dalla sovrapposizione del campo di eccitazione più quello di reazione Bδ = Bs + Br In termini di forza magneto motrice posso dire che la forza magneto motrice che produce il campo totale Bδ è dato dalla forza magneto motrice rotorica più la forza magneto motrice statorica: Fδ = Fs + Fr La definizione di forza magneto motrice noi la conosciamo, in particolare quella totale sarà data da una corrente equivalente che circolando nella avvolgimento statorico mi produce un campo magnetico totale, in pratica è come se circolasse una corrente fittizia che chiameremo I µ , quindi la relazione di sopra possiamo scriverla in questo modo: N s Iµ = N s Is + N r I r Possiamo dire che la corrente responsabile che mi produce il campo totale risulta pari a: I µ = I s + Si tratta di una relazione a noi nota, vista nei trasformatori. Possiamo definire la quantità: − come la corrente rotorica riportata all’avvolgimento primario che chiameremo corrente fittizia avrà l'espressione: I µ = I s − I r' Questo risultato poteva esser ottenuto partendo dal flusso di mutua Ls = N s2 Γt e Lm = N s N r Γt allora Lm = Ls La corrente Nr Ir Ns Nr Ir Ns I r' quindi la nostra N sφ m = Ls I s + Lm I r sappiamo che Nr Nr Ir sostituendo si ottiene N sφ m = Ls I s + N s Ns Nr I r può esser vista come la corrente fittizia I r' che circolando negli avvolgimenti di statore Ns mi produce un flusso e un campo magnetico uguale alla corrente I r che circola sugli avvolgimenti di rotore. La I r' con la I s mi generano il flusso di mutua a cui è associato il campo a traferro Bδ, come previsto abbiamo ottenuto un risultato identico al caso precedente. 2 Rr N N N + jω s l dr I r' s2 Dato che I = r I r ⇒ I r = s I r' sostituendo si ottiene − jω s N sφ m = Ns Nr s Nr Ora si deve solamente portare i parametri elettrici di rotore allo statore ma questa operazione è gia stata N2 fata infatti il termine s2 ci permette, come nei trasformatori, di riportare la resistenza e l’induttanza allo Nr ' r 4 statore rispettando il principio di conservazione dell’energia. Otteniamo un’equazione di equilibrio R' r + jω s l dr' I r' elettrico di rotore pari a: − jω s N sφ m = s Abbiamo tutte le equazioni per determinare il circuito equivalente V = (Rr + jxds )I s − Eδ Rr' ' ' − E = + jx δ dr I r s ' Iµ = Is + Ir La complessità della macchina elettrica asincrona si evidenzia nella presenza di un termine a comportamento non lineare, un sistema che presenta la caratteristica di linearità ha i parametri che sono costanti nel tempo in questo caso non è cosi perché lo scorrimento varia. Lo scorrimento mi provoca una variazione della tensione al rotore Er e la variazione della corrente di rotore in fase e in modulo, infatti Ir = sω s N r φ m 2 ( sω s l dr ) + R − j arctng 2 r e sωs ldr Rr2 questa variazione mi porta ad una variazione della corrente di statore. Questo può esser visto meglio dalla costruzione del diagramma vettoriale. (costruzione diagramma) conosciamo la tensione applicata alla macchina e trascurandola resistenza e l’induttanza allo statore possiamo scrivere V ≅ − Eδ ma allora si conosce anche il flusso al traferro Eδ ≅ jω s N sφ m e quindi la corrente I µ che è in fase con il flusso e di modulo costante. Tracciamo ora la corrente di rotore in una generica posizione, ora sapendo che I µ + I r' = I s possiamo tracciare la corrente di statore. Si vede che al variare dello scorrimento(passaggio da un valore di scorrimento s a uno scorrimento s’) varia sia la corrente e la tensione di rotore, ma anche la corrente di statore. Al variare dello scorrimento si avrà quindi una evoluzione della coppia che sarà non lineare, in più la coppia non può esser controllata in modo puntuale come si faceva per le macchine sincrone dove potevamo imporre il campo di eccitazione. Nelle macchine asincrone per ottenere lo stesso controllo si deve passare a una sistema a corrente impressa, con il sistema a tensione impressa si può solamente imprimere una certa tensione che faccia scorrere determinate correnti per faci ottenere il valore di coppia voluto, quindi abbiamo un controllo indiretto. Quindi per poter studiare il circuito equivalente secondo le leggi dell’elettrotecnica dovremmo sempre ipotizzare di studiare le condizioni a regime, quindi l’analisi di questo circuito esprime il comportamento soltanto relativamente alle condizioni di regime. Questo circuito non è completo perché abbiamo fatto un'analisi della macchina ipotizzando di essere lontani dalla saturazione e non prendendo in considerazione gli effetti della corrente magnetizzante. Per ridurre le cadute della tensione magnetica e concentrarle solo sullo statore abbiamo realizzato la macchina con materiali ferromagnetici. 5 Sullo statore abbiamo che le linee di campo si sviluppano all'interno del ferro. Il campo magnetico che si concatena con gli avvolgimenti di statore produce un flusso che si evolve in maniera sinusoidale e ha una frequenza di 50 Hz, quindi sicuramente all'interno dello statore abbiamo delle perdite che sono le perdite per isteresi e per correnti parassite. Per limitare queste perdite dobbiamo realizzare lo statore seguendo le stesse procedure costruttive che abbiamo visto per i trasformatori, bisogna eseguire una laminazione dello statore. Il rotore vede il campo magnetico rotante con una frequenza che risulta essere sωs, dal momento che gli scorrimenti sono molto bassi abbiamo che le frequenza delle grandezze elettriche rotoriche sono molto basse, infatti le frequenze risultano essere il 10% massimo 15% della frequenza nominale (circa 5Hz) Il ciclo di isteresi è le perdite per correnti parassite sono legate alla frequenza, quindi se sono basse le frequenze saranno basse anche le perdite e allora non ha senso realizzare i nuclei del rotore in materiale laminato. Quindi le perdite nel ferro sono concentrate nella parte statorica. Per modellizzare queste perdite si introduce una resistenza in parallelo con la reattanza di magnetizzazione. Abbiamo dato una rappresentazione completa della macchina elettrica asincrona ed in particolare abbiamo determinato il circuito equivalente in regime sinusoidale permanente. Bilancio ed analisi energetica Dall’equazione di equilibrio meccanico j dω m = Te + Tm si nota che per studiare il comportamento dt della macchina abbiamo bisogno che lo scorrimento sia costante s = cost ωs − ωm Quindi s = p da cui si ricava che ωm= cost se s =cost ωs p Allora j dω m = 0 = Te + Tm dt ⇒ Tm = −Te Sotto queste ipotesi facciamo un analisi energetica che ci permette di valutare quale risulta essere la potenza meccanica sviluppata dalla macchina elettrica e di individuare la coppia meccanica sviluppata. Per fare questa analisi confrontiamo il modello energetico della macchina, definita mediante il circuito equivalente e il modello energetico della macchina vista come una scatola chiusa. Quando alimentiamo la macchina nel funzionamento da motore forniamo una potenza elettrica e eroghiamo una potenza meccanica. La potenza elettrica e quella meccanica sono differenti a causa delle perdite che sono quelle relative alla circolazione di corrente negli avvolgimenti di statore e di rotore, ci sono poi le perdite nel ferro. Pe = Pcur + Pcus + Pfe + Pm 6 Rr' ' 2 Ir dal circuito equivalente si può vedere che Pe = ms R I + Pfe + ms s 2 s s Facendo un confronto si vede che c’è una corrispondenza sia per le perdite nel rame che per quelle nel ferro, ma non riusciamo a trovare una corrispondenza per le perdite nel rame e la potenza meccanica con un termine circuitale che le rappresenti. r Sappiamo che Pcu + Pm = ms Rr' ' 2 Ir s ' '2 sommando e sottraendo le perdite nelle fasi di rotore m s Rr I r si ottiene: Rr' '2 I r − ms Rr' I r'2 + ms Rr' I r'2 s Rr' '2 1 − s ' '2 I r − m s Rr' I r' 2 = ms Rr I r allora la potenza meccanica sarà Pm = ms s s Pcur + Pm = ms r ' '2 Dato che Pcu = m s Rr I r siamo riusciti a dividere i due termini. Dall’analisi energetica si vede che per poter scorporare la presenza di perdite nel rame di rotore e potenza meccanica è necessario decomporre la resistenza del circuito equivalente in due termini, uno è quello relativo agli avvolgimenti e l’altro è una resistenza fittizia che ci permette di determinare la potenza meccanica sviluppata all’asse. Abbiamo diviso Rr' in due termini, uno tiene conto delle perdite negli avvolgimenti e uno che tiene conto s 1− s ' della conversione di energia elettrica in energia meccanica Rr s Conoscendo l’espressione della potenza meccanica possiamo determinare il valore della coppia, che abbiamo visto essere uguale alla coppia elettrica Pm = Tmω m ωs − ωm ω p Dallo scorrimento s = si ricava che ω m = (1 − s ) s ωs p p Sostituendo il valore di ωm nell’espressione della potenza meccanica si ricava la coppia meccanica. Tm = Pm Pm = p ω m ω s (1 − s ) p p Rr' '2 1 − s ' '2 = ms Ir Rr I r ω s (1 − s ) ωs s s Sostituendo il valore della potenza meccanica otteniamo Tm = ms Se andiamo a considerare la potenza attiva che passa dallo statore al rotore, quindi la potenza che attraversa il traferro abbiamo Tm = p ωs Pt infatti Rr' '2 Pt = Pe − P − Pfe = P + Pm = ms Ir s s cu r cu (potenza al traferro o trasferita) 7 Si vede che la coppia è legata al valore dello scorrimento e al valore della corrente rotorica, a noi interessa esprimere la coppia tramite tensioni e correnti statoriche, infatti correnti e tensioni statoriche sono le grandezze che vengono misurate. Riportando il ramo magnetizzante a monte del ramo di dispersione statorico non commettiamo un errore molto grosso, si commette comunque un errore di approssimazione che non è trascurabile, otteniamo però il vantaggio che la corrente può essere facilmente determinata in modulo e fase e può essere facilmente legata alla tensione Vf I r' = Vf 2 R' Rs + r + xds + xdr' s ( 2 ) sostituendo questa relazione nell'espressione della coppia si ottiene V f2 p Rr' Tm = ms 2 ωs s Rr' Rs + + (xcc )2 s La somma delle reattanze di dispersione è indicata con xcc perché viene determinata con la prova in corto circuito. Se ragioniamo con una macchina collegata ad una rete di potenza prevalente abbiamo che la tensione sulla fase è costante, allora il valore della coppia presenta come unica variabile lo scorrimento Tm(s). Sappiamo che lo scorrimento è legato alla velocità di rotazione, quindi la coppia può essere espressa e riportata sia in funzione dello scorrimento che della velocità di rotazione. Il punto in cui la coppia risulta essere nulla è quello per cui non si ha interazione tra il campo di ω eccitazione e quello di reazione. Questa condizione corrisponde a s = ω m che si verifica per s =0 p Il punto cui ωm = 0 presente un valore s=1 (origine del sistema di riferimento che riporta la coppia in funzione della velocità meccanica). Dall’analisi di questa espressione si nota che quando la velocità di rotazione è nulla c’è coppia, questo sta ad indicare che la macchina è capace di auto avviarsi. All’alimentazione è presente una coppia costante che consente di far spuntare la macchina e di raggiungere le condizioni di regime. 8 Perché la macchina sia nelle condizioni di equilibrio si deve realizzare l’uguaglianza tra la coppia meccanica e quella elettrica, devono essere uguali ed opposte. Si riporta sullo stesso grafico anche la coppia di carico e l’intersezione tra le due esprime il punto di funzionamento a regime della macchina. Condizioni di funzionamento della macchina asincrona Analizziamo la macchina come una scatola chiusa e determiniamo le condizioni di funzionamento. Funzionamento da motore Se la nostra macchina asincrona funziona come motore deve convertire la potenza elettrica in potenza meccanica. Avremmo un flusso di potenza dallo statore al rotore quindi il funzionamento da motore impone che la potenza meccanica e la potenza al traferro siano maggiori di zero. Sappiamo che la potenza meccanica è pari a Pm = Tmω m affinché questa quantità sia maggiore di zero si Tm < 0 ω m < 0 Tm > 0 ω m > 0 deve avere La prima relazione Tm < 0 ωm < 0 è da scartare, infatti questa, nel funzionamento da generatore, non è mai verificata. Avere una coppia minore di zero porta ad avere una potenza al traferro o trasferita minore di zero Tm = p ωs Pt questo va in contrasto con ciò che è stato detto prima. Una potenza trasferita minore di zero indica un flusso di potenza che va dal rotore allo statore e questo nel funzionamento da motore è una cosa impossibile, infatti sappiamo che la macchina in questa condizione assorbe potenza elettrica ed eroga potenza meccanica. Rr' ' 2 Pt > 0 ⇒ Pt = m s Ir > 0 La seconda relazione è data da Tm > 0 quindi Tm = ωs s p 9 Come si può notare in questo caso sono rispettati i reali versi delle potenze e per avere una potenza trasferita maggiore di zero si deve avere s > 0 L’altro vincolo è dato dalla velocità meccanica ω m = (1 − s) ωs p > 0 da cui si ricava 1 − s > 0 ⇒ s < 1 Analizzando le condizioni s > 0 e s < 1 si ottiene 0 1 Le condizioni sullo scorrimento sono verificate per macchina funziona da motore. 0< s <1 e per questo tratto della caratteristica la Funzionamento da generatore Con il funzionamento da generatore la macchina assorbenza potenza meccanica ed eroga una potenza elettrica. Nel caso del generatore la situazione è invertita, infatti il flusso di potenza andrà dal rotore allo statore e quindi si dovrà avere una potenza meccanica e una potenza trasferita minore di zero (Pt<0 e Pm<0) ugualmente si avrà una potenza elettrica negativa (Pe<0). Tm > 0 ω m < 0 Tm < 0 ω m > 0 Questo si ottiene per la prima condizione Tm > 0 ω m < 0 è sicuramente da scartare, infatti una coppia positiva porta a una potenza trasferita positiva. Questo va in contrasto con un funzionamento della macchina da generatore, infatti una potenza trasferita maggiore di zero indica un passaggio di potenza dallo statore al rotore impossibile in questo tipo di funzionamento. La seconda relazione è data da Tm < 0 quindi Tm = p ωs Pt < 0 ⇒ Pt = ms Rr' '2 Ir < 0 s Come si può notare in questo caso sono rispettati i reali versi delle potenze. Per avere una potenza trasferita minore di zero si deve avere s < 0 L’altro vincolo è dato dalla velocità meccanica ω m = (1 − s) ωs p > 0 da cui si ricava 1 − s > 0 ⇒ s < 1 Si ottiene che la condizione per cui il funzionamento della macchina risulta essere da generatore si ha per uno scorrimento minore di zero s < 0 Funzionamento da freno elettromagnetico C’è una condizione in cui la potenza elettrica è entrante Pe >0 e anche la potenza meccanica viene fornita alla macchina Pm< 0 10 Stiamo applicando sia energia meccanica che elettrica che si trasformano in calore, questa è una condizione particolare in cui stiamo frenando la macchina. L’energia elettrica viene utilizzata per contrastare l’energia meccanica. Questo tipo di funzionamento è solo transitorio, infatti le potenze entranti vengono convertite in perdite nel rame, questo tende a riscaldare la macchina e soprattutto gli avvolgimenti. Una potenza elettrica maggiore di zero ci fa capire che sicuramente si deve avere una potenza trasferita maggiore di zero Pe > 0 ⇒ Pt > 0 Ma la condizione potenza al traferro maggiore di zero indica che lo Rr' '2 Ir > 0 ⇒ s > 0 . scorrimento deve essere maggiore di zero Pt = m s s Questa è la prima condizione, la seconda ci obbliga ad avere una potenza meccanica minore di zero, Tm < 0 ω m > 0 Tm > 0 ω m < 0 quindi La prima condizione Tm < 0 ωm > 0 porta a una potenza al traferro negativa, questo va in contrasto con ciò che abbiamo detto in precedenza quindi questa condizione va scartata. La condizione Tm > 0 ω m < 0 presenta una potenza al traferro positiva e analizzando l’espressione della ωs < 0 ⇒ s >1 p La potenza meccanica è minore di zero e la potenza al traferro è maggiore di zero, si ricava che la condizione di freno elettromagnetico si verifica per s >1 velocità meccanica si ottiene ω m = (1 − s ) Se la macchina risulta essere iposincrona la macchina funziona da motore, se risulta essere ipersincrona funziona da generatore. Analisi delle caratteristiche meccaniche della macchina Spunto della macchina asincrona L'analisi della caratteristica meccanica mette in evidenza che a velocità nulla e con la macchina collegata ad una rete di potenza prevalente, la coppia elettromagnetica sviluppata dalla macchina risulta essere costante e risulta essere diversa da zero (condizione caratteristica delle macchina elettrica asincrona). Applicando tensione ad una macchina elettrica inerte, dopo un primo periodo di magnetizzazione, la macchina sviluppa una coppia elettromagnetica costante e diversa da zero, questo consente alla macchina di avviarsi. Questa proprietà rende la macchina elettrica asincrona una macchina auto avviante, che gli consente di sviluppare una coppia anche a velocità nulla, anche in presenza di un carico la macchina ha la 11 capacità di auto avviarsi. Questo si può mettere in evidenza confrontando la caratteristica meccanica della macchina e la caratteristica di un carico applicato sulla macchina elettrica asincrona. Prendiamo come riferimento un carico di tipo quadratico o cubico. Nelle condizioni di spunto, cioè quando la velocità risulta essere uguale a zero, l'equazione di equilibrio meccanico è tale per cui la macchina riesce comunque ad accelerare e a portarsi fino alla condizione di funzionamento a regime caratterizzata dall'intersezione delle due caratteristiche. Facendo un'analisi dal punto di vista meccanico ( equazione d’Alambert) dω m = Te + Tm per ω = 0 si ha dt dω j m = Te (0) + Tm (0) dt ω =0 j L'accelerazione della macchina allo spunto risulta essere connessa alla differenza tra la coppia elettrica e la coppia meccanica nell'istante in cui la velocità risulta essere nulla ω=0, cioè risulta essere connesso al differenziale tra la coppia elettromagnetica sviluppata dalla macchina e la coppia di carico. Tanto maggiore risulta essere la coppia allo spunto, tanto maggiore sarà l'accelerazione e tanto minore sarà il transitorio meccanico che ci porterà a raggiungere la condizione di funzionamento a regime. Dal punto di vista elettrico avere un transitorio breve è importante perché nella condizione di scorrimento unitario (condizione di rotore bloccato) le correnti circolanti nella macchina sono particolarmente elevate, queste correnti tendono a diminuire con il diminuire dello scorrimento, quindi far durare il meno possibile la fase di acceleramento vuol dire far durare il meno possibile le sovracorrenti dovute allo spunto. Punti di stabilità Vediamo quali sono i punti di funzionamento stabile per la macchina, nei quali la macchina per ogni perturbazione tende a reagire in modo tale che si raggiunga una nuova condizione di equilibrio. In particolare analizziamo due condizioni che possono essere considerate simmetriche. Consideriamo una caratteristica di carico che risulta essere di tipo rettilineo e analizziamo i possibili punti di funzionamento della macchina. Sappiamo che a regime la velocità deve essere costante e l'accelerazione nulla, quindi la coppia meccanica ed elettromeccanica devono essere uguali, dal punto di vista grafico queste condizioni si determinano analizzando l'intersezione tra la caratteristica della coppia di carico e la caratteristica elettromeccanica, quindi i punti di intersezione sono il punto A e il punto B. Per verificare la stabilità dei due punti dobbiamo applicare una perturbazione meccanica e dobbiamo vedere se la reazione del sistema elettrico risulta essere tale da compensare il disturbo e riportare il sistema elettrico in una condizione di equilibrio. Nell'istante t = 0 in A abbiamo che la velocità sarà ωa e la coppia meccanica in A risulta essere uguale ed opposta alla coppia elettromeccanica. Applichiamo un incremento di coppia ∆Tm l'equazione di equilibrio meccanico diventa : j dω m = Te ( A) + Tm ( A) + ∆Tm dt Siamo nella zona di funzionamento da motore, quindi la coppia 12 elettromagnetica risulterà essere positiva e quella meccanica negativa. La coppia elettromagnetica è quella che tende ad accelerare la macchina mentre la coppia meccanica è quella che tende ad opporsi e avrà un verso opposto a quello della velocità di rotazione. Quindi j dω m = Te ( A) − Tm ( A) − ∆Tm dt Se Te(A) e Tm(A) sono uguali ed opposte si vede che ad una perturbazione positiva della coppia meccanica corrisponde una decelerazione. Se io incremento la coppia meccanica la macchina tende a frenare e con una decelerazione abbiamo una riduzione della velocità. Sulla caratteristica elettromeccanica ad una riduzione della velocità corrisponde una riduzione della coppia elettromagnetica Te, il differenziale di coppia tende ancora ad aumentare e a diventare ancora più negativo, quindi la macchina tende ulteriormente a decelerare fino a passare nella condizione di freno. Quindi questa non è una condizione di funzionamento stabile. Facciamo un discorso opposto, quindi invece che avere un incremento di coppia abbiamo una riduzione di coppia meccanica. Con una riduzione di coppia la macchina tende ad accelerare, infatti ad un aumento di velocità corrisponde un aumento della coppia elettromagnetica e la macchina tende ad accelerare finché non raggiunge una nuova condizione di equilibrio. Quindi con un incremento di coppia meccanica la macchina tende ad decelerare e si porta in una condizione di funzionamento da freno senza mai raggiungere una nuova condizione di equilibrio stabile, dall'altra parte invece la macchina tende ad accelerare fin quando non si porta ad una nuova condizione di equilibrio che corrisponde al punto B. Sicuramente il punto A non è una condizione di equilibrio stabile perché a qualunque perturbazione il sistema si allontana da questo punto senza mai più ritornarci. Facciamo lo stesso discorso per il punto B. Ipotizziamo di applicare un ∆Tm positivo, cioè aumentiamo la coppia meccanica applicata all’asse in senso opposto alla velocità di rotazione. Ad un aumento di coppia di carico corrisponde una decelerazione, alla quale corrisponde un aumento della coppia elettromagnetica. Quindi con un aumento della coppia di carico abbiamo che l'effetto risulta essere quello di produrre come reazione una coppia elettromagnetica che risulta essere uguale ed opposta alla variazione di coppia meccanica, quindi tende a riportare la macchina in una nuova condizione di equilibrio. Cambiamo il verso e ipotizziamo di ridurre la coppia di carico, a questo punto si ottiene una accelerazione della macchina alla quale corrisponde una riduzione della coppia elettromagnetica, questa diminuzione si svilupperà fino a quando la riduzione della coppia elettromagnetica non compenserà la riduzione della coppia di carico. Quindi nonostante i due punti siano ottenuti dall'intersezione della coppia di carico con la caratteristica elettromagnetica, che mi verificano l’equazione di equilibrio meccanico, abbiamo che il primo il punto A è un punto di funzionamento instabile, l'altro il punto B è un punto di funzionamento stabile. La condizione di stabilità è determinata essenzialmente da come la coppia elettromagnetica evolve in funzione della velocità. Nel punto A si vede che ad una variazione di coppia corrisponde una variazione positiva di velocità e ad una diminuzione di coppia corrisponde una diminuzione di velocità. Quindi dove la derivata di coppia rispetto alla velocità risulta essere positiva il comportamento risulta essere instabile, invece dove la derivata risulta essere negativa il comportamento risulta essere stabile. Se ad una variazione positiva di coppia di carico corrisponde una variazione negativa di velocità abbiamo che ad ogni disturbo corrisponde una reazione uguale e contraria, invece se ad una variazione positiva di velocità 13 corrisponde una variazione negativa di coppia abbiamo una condizione di funzionamento instabile. In conclusione la macchina funziona in condizione di stabilità soltanto nei punti compresi tra le coppie massime in cui la derivata risulta essere negativa. Gli altri punti dalla caratteristica rappresentano soltanto dei punti di funzionamento teorico. Per questo motivo talvolta viene rappresentata la caratteristica soltanto all'interno delle coppia di rovesciamento gli altri punti non vengono riportati. Coppie di rovesciamento La caratteristica meccanica presenta un altro punto caratteristico che è quello in cui la coppia meccanica risulta essere massima. Si nota che questi due punti risultano essere quasi simmetrici. Questi punti prendono il nome di coppie di rovesciamento. Particolarmente importante risulta essere il legame che sussiste tra lo scorrimento e le due coppie di rovesciamento una relativa al funzionamento da motore l'altra relativa al funzionamento da generatore. Questi due punti di coppia massima individuano una zona in cui la pendenza della caratteristica risulta essere relativamente elevata, sono i punti nei quali si ha intersezione tra le caratteristiche di funzionamento della macchina e del carico, questa zona è anche caratterizzata da una caratteristica di tipo lineare con pendenza negativa. Individuiamo i valori di scorrimento per i quali si ha la coppia di rovesciamento. Per fare questo utilizziamo una formula semplificata della coppia, si ipotizza di trascurare il termine Rs rispetto a Rr/s, questo perché nelle condizioni di funzionamento stabile la caratteristica della macchina ha una pendenza molto forte, questo vuol dire che nelle condizioni di funzionamento a regime lo scorrimento risulta essere prossimo allo zero, allora Rr/s>>Rs Quindi l’espressione della coppia sarà V f2 Rr' V f2 s p Rr' p Te ≅ m f = mf ωs s R ' 2 ω s Rr'2 + (sxcc )2 2 r + xcc s Derivando rispetto a s ed eguagliando a zero si ottiene [ 2 2 ] [ 2 ] '2 ' 2 '2 ' 2 dTe p Rr + (sxcc ) − 2(sxcc ) RrV f p Rr − (sxcc ) RrV f = mf = mf =0 2 2 ds ωs ω s Rr'2 + (sxcc )2 2 Rr'2 + (sxcc ) [ 14 ] [ ] '2 La derivata sarà nulla quando Rr − (sxcc ) = 0 ⇒ s = ± 2 Rr' 2 Rr' = ± xcc2 xcc La coppia massima si ottiene per valori di scorrimento pari a ± R’r/xcc Il valore di coppia e scorrimento positivo corrisponde al funzionamento da motore mentre quella negativa corrisponde al funzionamento da generatore. Se sostituiamo il valore dello scorrimento otteniamo che la coppia vale: Rr' RV xcc ' r 2 f 1 Vf p 1 p Vf Cˆ = m f = = 2 2 ω s '2 R ' ω 2 x 8 π l cc s dcc f Rr + r xcc xcc p 2 2 Vediamo quindi che la coppia massima è legata a tre parametri: Vf ; f ; ldcc In particolare se alimentiamo in maniera tale che il rapporto tra la tensione e la frequenza risulti essere costante il valore della coppia massima non cambia. La coppia massima presente nella caratteristica risulta essere una grandezza che dipende solo dalla tensione massima dalla frequenza e in minor misura dell'induttanza di dispersione di cortocircuito. Una volta stabiliti il valore della tensione e della frequenza possiamo considerare la coppia di rovesciamento una grandezza costante. Potenza trasmessa Ci interessa rendere la pendenza della caratteristica più elevata possibile nella zona di funzionamento stabile. Abbiamo visto che la coppia elettromeccanica risulta essere Te = p ωs Pt ⇒ Pt = ωs p Te Da un punto di vista energetico sappiamo che la potenza meccanica risulta essere: Pm = Teω m = Te (1 − s ) Dove Pt = ms ωs p = Pt (1 − s ) = Pt − sPt Rr' ' 2 I r è la potenza trasmessa e sPt = m s Rr' I r' 2 = Pcu corrisponde alle perdite nel rame. s La potenza meccanica è quindi data dalla differenza tra la potenza trasmessa e le perdite nel rame. La potenza meccanica è strettamente collegata alla potenza trasmessa e la potenza trasmessa risulta essere strettamente collegata allo scorrimento, quindi tanto più piccolo risulta essere lo scorrimento tanto maggiore risulta l'aliquota di potenza trasmessa che viene convertita in potenza meccanica. Questo ci mette in evidenza che per poter massimizzare il rendimento della macchina bisognerà far funzionare la macchina in condizione di scorrimento prossimo allo zero, in modo che la maggior aliquota di energia venga trasformata in potenza meccanica, dobbiamo quindi fare in modo che costruttivamente la pendenza della caratteristica meccanica risulti essere molto forte. Si ottengono questi risultati scegliendo opportunamente il rapporto tra la resistenza di rotore e la reattanza cortocircuito. Da un punto di vista costruttivo si può dimostrare che calcolando derivata della coppia rispetto allo scorrimento in funzione delle rapporto R’r/xcc si ricava che per massimizzare il valore di tale pendenza bisogna ottimizzare proprio il rapporto R’r/xcc. Si nota che andando ad analizzare l'incremento della coppia al variare della resistenza rotorica c'è una condizione di ottimo oltre la quale non si può andare. Visto che la reattanza di dispersione è un parametro che non si può modificare perché dipenderà da come sono fatte le cave della macchina, si va a regolare il valore della residenza di cortocircuito in maniera tale che la pendenza della macchina in condizione di funzionamento stabile sia la più elevata possibile. 15 Vediamo quale risulta essere il punto di funzionamento nominale della macchina. Dobbiamo, tra i punti di funzionamento stabile, scegliere quello che risulta essere il punto di funzionamento continuativo dalla macchina. Non possiamo scegliere come punto di funzionamento nominale la coppia di rovesciamento, perché per una piccola perturbazione si potrebbe passare nelle condizioni di instabilità, si sceglie un punto intermedio al 50% della coppia di rovesciamento. COPPIA ALLO SPUNTO Aumento della coppia allo spunto tramite la regolazione della tensione applicata V f2 p Rr' 2 La coppia elettromeccanica risulta essere Te = m f ω s s Rr' Rs + + ( xcc )2 s Allo spunto si ha: Te (1) = m f p ωs ' r R V f2 (R s + Rr' 2 2 ) + (x ) cc Da questa relazione si vede che la coppia elettromagnetica allo spunto dipende dalla tensione con legge quadratica. Se passiamo da un collegamento a stella a un collegamento a triangolo abbiamo sulla fase di ogni avvolgimento una tensione che risulta essere radice di tre volte superiore, infatti Vc= √ 3 Vf Il valore della coppia allo spunto aumenta quindi di tre volte. Questo porta dei benefici ma anche a uno svantaggio. Se aumentiamo la tensione di alimentazione nelle condizioni di rotore bloccato (cioè s = 1), otteniamo un aumento della corrente rotorica che è responsabile dell'aumento della coppia elettromagnetica. Provochiamo però anche un aumento della corrente magnetizzante, perché applichiamo sul ramo magnetizzante una tensione che risulta essere radice di tre volte maggiore, questo determina un aumento complessivo della corrente sullo statore. Se la macchina è stata progettata per funzionare con un collegamento a stella il campo magnetico presente al traferro è legato al valore della tensione di fase Vf = E =ω NsΦ e il flusso uscente dal polo è direttamente proporzionale all’induzione presente al traferro. Aumentando la tensione si porterà la macchina a lavorare in condizioni di campo al traferro che potrebbero essere superiori rispetto hai valori di campo consentiti, si potrebbero anche raggiungere le condizioni di saturazione del ferro, quindi delle deformazioni del campo magnetico al traferro e della corrente magnetizzante. In questo caso la corrente magnetizzante è dello stesso ordine di grandezza della corrente rotorica, quindi la corrente a vuoto non è più trascurabile. Passare dalla condizione di non saturazione ad una condizione di saturazione deforma la corrente che alimenta la macchina. Quindi passando da un collegamento a stella ad un collegamento a triangolo bisogna essere sicuri che la macchina elettrica asincrona consenta quel genere di funzionamento. Si potrebbe passare da una connessione a stella ad uno connessione a triangolo per aumentare la coppia quando si è prossimi alle condizioni di funzionamento a regime, non si fa mai il contrario. Aumento della coppia allo spunto tramite la regolazione della resistenza rotorica L'unico parametro sul quale possiamo agire per fare la regolazione della coppia è la resistenza rotorica. Per capire se bisogna aumentarla o diminuirla bisogna andare a vedere come varia la coppia 16 elettromagnetica al variare di tale resistenza ed in particolare vedere la derivata dalla coppia elettromagnetica rispetto alla resistenza rotorica. Si deve capire se ad una variazione della resistenza corrisponde un incremento o un decremento della coppia. p Te (1) = m f ' r R ωs V f2 (R s + Rr' 2 2 ) + (x ) cc Per semplificare i calcoli ipotizziamo che Rs e Rr siano uguali. Te = m f p ωs R ' r V f2 2 2 4 Rr' + ( xcc ) Derivando si ottiene: [ 2 ] 2 [ 2 ] (xcc ) − 4 Rr'2 dTe p 2 4 Rr' + ( xcc ) − 8 Rr'2 = m V = K f f 2 2 2 2 2 2 dRr' ωs 4 Rr' + (xcc ) 4 Rr' + (xcc ) ( Vediamo quando la funzione è crescente o decrescente ( 2 La quantità a denominatore 4 Rr' + ( xcc ) (xcc )2 2 ) ( ) 2 ) è sempre positiva, quindi dobbiamo analizzare il numeratore x x − 4 Rr'2 ≥ 0 risolvendo si ottiene ( xcc − 2 Rr' )( xcc + 2 Rr' ) ≥ 0 ⇒ Rr' ≥ − cc ; Rr' ≤ cc 2 2 - xcc/2 xcc/2 Abbiamo un incremento della coppia allo spunto all'aumentare della resistenza fino a che questa risulta essere pari a xcc/2, se aumentiamo ulteriormente abbiamo un decremento della coppia. Questo risultato lo si poteva ottenere anche analizzando le evoluzioni della caratteristica di coppia al variare della resistenza di rotore. Se aumentiamo il valore della resistenza rotorica il valore dello scorrimento per cui la coppia risulta essere massima s = ± Rr' si sposta mentre il valore della coppia massima rimane invariato, perché questa non xcc 1 p Vf dipende dalla resistenza rotorica ma dalla frequenza e dall'induttanza di cortocircuito Cˆ = 8 π 2 l dcc f 2 La caratteristica meccanica al variare della resistenza rotorica varia in questo modo. Il valore di scorrimento per cui si ha la coppia massima si sposta mentre il valore della coppia massima 17 rimane invariato. La coppia allo spunto tende via via ad aumentare fino a quando lo scorrimento per cui sia ha la coppia massima raggiunge il valore pari ad 1 dopo di ché se continuiamo a spostare lo scorrimento avremo che le caratteristiche portano ad una progressiva diminuzione della coppia allo spunto. Rr' =1 La condizione per la quale la coppia risulta essere massima da questa analisi grafica risulta essere xcc (l'errore che abbiamo commesso è legato all'approssimazione eccessiva Rs = Rr). Sulla base di queste considerazioni sono state in passato inventati dei metodi che servivano per regolare la coppia allo spunto. Quando si voleva aver allo spunto una coppia pari a quella di rovesciamento si inserivano in serie agli avvolgimenti di rotore delle resistenze aggiuntive tali per cui risultava Rr =xcc, poi progressivamente si cortocircuitavano pezzi di resistenza in modo da passare da una caratteristica all'altra man mano che la macchina spuntava. Si ottenevano delle coppie che risultavano essere particolarmente elevate e pressoché costanti, ottenendo così un'accelerazione costante. Questo metodo è caratterizzato da elevate perdite perché ci sono resistenze aggiuntive e inoltre la macchina funziona con valori di scorrimento elevati, non è quindi un metodo efficiente. Aumento della coppia allo spunto tramite la regolazione della frequenza Un altro metodo che viene utilizzato per l'aumento della coppia allo spunto è la regolazione della frequenza. Te (1) = m f p ωs ' r R V f2 (R 2 s 2 + Rr' ) + (xcc ) Questa ci esprime il valore della coppia allo spunto. Dal momento che la macchina è collegata ad una rete di potenza prevalente si avrà un valore della tensione e della frequenza che risultano essere costanti. Per cercare di controllare la frequenza dobbiamo interporre fra la rete di alimentazione e la macchina asincrona un dispositivo che ci consenta di svincolarci da ωs per far si che la ω applicata al motore sia diversa da quella della rete. Questo dispositivo è un convertitore elettronico (inverter). Questo converte la tensione da alternata in continua e poi di nuovo da continua in alternata lasciando liberi i valori di tensione e frequenza che possono essere controllati da noi. Useremo uno schema di questo tipo: Esplicitando l’espressione della pulsazione la coppia allo spunto assume questa espressione p Te (1) = m f 2π f R +R Possiamo trascurare il termine s 2 f ' r 18 R ' r V f2 R + R ' f s 2 r f 2 2 2 + 4π 2ldcc Vf R Quindi Te (1) = m f 2π f f p ' r 2 1 2 2 4π l dcc La coppia risulta essere funzione solo della frequenza e della quantità (V/f). Se diminuiamo la frequenza e facciamo in modo che il rapporto (V/f) rimanga costante notiamo che il valore della coppia allo spunto tende ad aumentare. Questo tipo di controllo viene chiamato controllo statico o scalare. La condizione V/f costante corrisponde ad una condizione fisica abbastanza semplice Dato che Vf = ω Ns Φ Allora V/f = 2 π Ns Φ Manteniamo il flusso uscente da un polo costante. Variando la velocità del campo magnetico istantaneo determiniamo a parità di potenza erogata un aumento della coppia Pm = Tm (1 − s ) ω Questo fenomeno si capisce bene dal grafico, infatti stiamo p spostando la caratteristica di coppia. Sappiamo che la coppia avrà un valore nullo al sincronismo 2π f ma dato che noi possiamo controllare la frequenza siamo capaci di spostare il punto d’incontro ωm = p della caratteristica di coppia con l’asse delle velocità, spostando quindi l’intera caratteristica di coppia. Tramite il controllo elettronico della tensione e della frequenza, se si tiene costante il rapporto Vf/f si 1 p Vf vede che la coppia massima non cambia Cˆ = 8 π 2 l dcc f 2 mentre varia lo scorrimento per cui la Rr' Rr' 1 =± questo perché tutta la caratteristica viene traslata. coppia è massima s = ± xcc 2πl dcc f Questo metodo sicuramente è energicamente più conveniente rispetto al caso precedente. Altri metodi di relazione della coppia si basano su una modifica della struttura della macchina. Macchina elettrica asincrona a gabbia di scoiattolo L'avvolgimento rotorico è costituito da sbarre di rame o di un altro materiale conduttore posto nelle apposite cave del rotore e collegate tra loro da due anelli dello stesso materiale, in modo tale da cortocircuitarle. Questa è una sezione del rotore rispetto all’asse di rotazione. Dobbiamo analizzare qual’è la tensione indotta su ciascuna di queste sbarre tenendo conto che la macchina ruota ad una velocità generica ωm e l'avvolgimento statorico è alimentato da una terna di correnti simmetriche sfasate l'una rispetto all'altra di 120 gradi. Noi possiamo ricavare la tensione indotta 19 su ciascuna sbarra utilizzando la relazione e=lvB Dove v è la velocità con quelle sbarre tagliano il campo magnetico, l è la lunghezza delle sbarre e B il valore del campo. Il calcolo di e, dovrà essere fatto relativamente ad ogni sbarra, dobbiamo fissare un sistema di un riferimento, numeriamo le sbarre e prendiamo la prima come punto di riferimento Le sbarre saranno uniformemente distribuite sulla superficie di rotore che si affaccia al traferro è saranno sfasate l'una rispetto all'altra di un angolo βc. Il campo prodotto dallo statore è: Bs (α , t ) = Bˆ s cos(ωs t − pα ) Se lo stesso campo lo vediamo dal punto di vista rotorico sarà: Bs ( β , t ) = Bˆ s cos(sω s t − pβ ) Un osservatore posto sul sistema di riferimento rotorico vede un campo magnetico rotante che ruota ad una velocità sωs/p. sω s p La velocità periferica con cui il campo taglia ciascun conduttore sarà v = R Dove R è il raggio del rotore Riferendoci alla prima barra abbiamo il campo Bs relativo alla posizione β= 0 uguale a sω s Bs (0, t ) = Bˆ s cos(sω s t ) allora la tensione indotta sarà e0 (t ) = l p ˆ RBs cos(sω s t ) Sulla seconda barra abbiamo che il campo relativo alla posizione β= βc è pari a sω s ˆ RBs cos(sω s t − β c ) Bs ( β c , t ) = Bˆ s cos(sω s t − β c ) allora la tensione indotta sarà e1 (t ) = l p Sulla barra iesima abbiamo che il campo relativo alla posizione β= iβc è pari a sω s ˆ RBs cos(sω s t − iβ c ) Bs (iβ c , t ) = Bˆ s cos(sω s t − iβ c ) allora la tensione indotta sarà ei (t ) = l p Se voglio esprimere la tensione indotta tramite il flusso si moltiplica e divido per 2/π quindi prendendo per esempio la prima cava e0 (t ) = Dato che 2 lRπ sω Bˆ cos(sω s t ) π 2p s s 2 ˆ lRπ Bs = Bs è il campo medio sotto un polo e che π 2p è la superficie di un polo, otteniamo e1 (t ) = φ p sω s Bˆ s cos(sω s t ) in modo identico si ricavano le tensioni indotte delle altre fasi. 20 Sul sistema di sbarre sotto la coppia polare viene indotta un sistema di tensione sfasato tutto della stessa quantità, quindi abbiamo un sistema di tensioni indotte di tipo simmetrico. Se abbiamo una sistema di sbarre cortocircuitate sul quale viene indotta un sistema di tensione simmetrico, si produrrà un sistema di correnti simmetrico, che produrranno un campo magnetico che si opporrà alla causa che lo ha generato. In conclusione si può dire che su ciascuna di queste sbarre si costituisce una vera e propria fase, perché le tensioni sono sfasate l'una rispetto all'altra di una quantità costante quindi il numero di fasi prodotte sarà esattamente uguale al numero di sbarre infisse sotto la coppia polare, ecco perché la macchina asincrona a gabbia di scoiattolo è una macchina polifasica. Se variamo il numero di poli sullo statore la macchina automaticamente riconfigura il numero di fasi in modo tale da produrre sempre un campo magnetico di reazione che abbia lo stesso numero di copie polari del campo di eccitazione. Questo vantaggio della macchina asincrona a gabbia di scoiattolo, che risulta essere abbastanza semplice da realizzare, è affidabile e meccanicamente robusta, non abbiamo il problema di dover costruire gli avvolgimenti perché le fasi coincidono con una sbarra sola, la struttura è anche economica. La macchina elettrica a gabbia di scoiattolo presenta delle caratteristiche meccaniche che sono identiche a quelle della macchina con rotore avvolto. Macchina asincrona a doppia gabbia Il concetto su cui si basa questo tipo di machina è quello di utilizzare le gabbie in maniera selettiva. Allo spunto si usa la gabbia con una resistenza più elevata, questo ci permette di avere una coppia maggiore e a regime la gabbia con la resistenza più bassa per limitare le perdite, il cambiamento di gabbie viene realizzato in maniera automatica. Quando la macchina è nella condizione di rotore bloccato, cioè S =1, le frequenze delle tensioni e delle correnti rotoriche risultano essere uguali alle frequenze statoriche, progressivamente come la macchina passa dalla condizione di rotore bloccato alla condizione di macchina in avviamento, la velocità ωm tende a crescere e lo scorrimento tende a diminuire, le frequenze di rotore tendono a loro volta a diminuire ωr = s ωs. L'elemento di commutazione è proprio la frequenza, bisogna fare in modo che al diminuire della frequenza una delle due gabbie venga completamente disalimentata. Per fare questo si utilizza un elemento caratteristico dell'avvolgimento rotorico che dipende dalla frequenza, l'unico elemento rotorico collegato alla frequenza è la reattanza di dispersione pari a sωsld, questo è l'unico elemento sul quale si può agire per differenziare in maniera molto forte il valore della reattanze di dispersione sulle due gabbie dell'avvolgimento rotorico. Si procede in modo geometrico, si costruiscono le gabbie in modo che le reattanze di dispersione rotoriche risultino essere completamente differenti. L'induttanza di dispersione risulta essere definita dal rapporto tra il flusso concatenato con l'avvolgimento e la corrente che circola nell' avvolgimento. In questo caso abbiamo che il flusso concatenato con una fase risulta essere il flusso concatenato con una sbarra, per poter analizzare il flusso di dispersione sarà sufficiente analizzare il flusso che si disperde all'interno del sistema. 21 Analizziamo prima la barra 2 Il flusso di dispersione risulta essere collegato alla superficie che viene abbracciato dalle delle linee del flusso, si vede che tanto più profonda risulta essere la barra tanto maggiore sarà l'aliquota del flusso di dispersione quindi tanto maggiore sarà il coefficiente di autoinduzione di dispersione. La barra 2 rispetto la barra 1 presenterà un numero di linee di dispersione maggiore per cui un coefficiente di autoinduzione di dispersione superiore ldr2 >>ldr1 Quindi, quanto più profonda risulta essere la barra e quanto maggiore risulta essere la superficie che viene attraversata da queste linee di flusso, tanto maggiore sarà la differenza tra i due coefficiente di autoinduzione. Quindi la geometria con cui vengono realizzate da barre influisce sulla differenza tra le induttanze di dispersione. Analizziamo le due barre Allo spunto abbiamo che la forte differenziazione tra le induttanza farà sì che il valore della reattanze poste sui due rami risulterà essere completamente differente. La barra più profonda sarà caratterizzata da una reattanza maggiore rispetto a quella della barra più esterna. Sappiamo che, a parità di tensione, se le reattanze sono diverse saranno differenti anche i valori delle correnti e in particolare avremo che la corrente circolante nella barra 1 sarà maggiore rispetto a quella circolante nella barra 2. Si fa in modo di avere una Rr1 >> Rr2 dal momento che la corrente circola prevalentemente nella barra 1 la coppia sviluppata all'asse sarà quella relativa alla resistenza della barra 1, la coppia sarà quindi maggiore di quella relativa alla barra 2. Si fa in modo che allo spunto la reattanza sia prevalente rispetto alla resistenza e che la corrente circoli nella barra 1, quindi la macchina risulti essere caratterizzata da un elevato valore di resistenza di rotore e quindi da un alto valore di coppia allo spunto. Con l'aumento della velocità il valore della pulsazione di rotore tende a diminuire perché diminuisce il valore dello scorrimento, se diminuisce il valore della pulsazione diminuisce il peso della reattanza rispetto alla resistenza, a frequenze prossime al valore di funzionamento nominale avremo che il valore della reattanze sarà trascurabile rispetto a quello delle resistenze, quindi la corrente tenderà a circolare dove la resistenza risulterà essere più bassa, cioè nella barra più interna. In questo modo si riesce ad avere allo spunto una elevata coppia mentre a regime si hanno coppie inferiori, con maggiori valori di rendimento dal momento che la resistenza della barra più interna è minore rispetto a quella della barra 1, quindi ci saranno minori perdite. Con ciò si ottengono delle caratteristiche di coppia meccaniche che risultano essere quasi piatte. La coppia allo spunto e la coppia di rovesciamento risultano essere particolarmente vicine, e la pendenza in prossimità della coppia di rovesciamento è particolarmente elevata. Rotore a barre profonde Lo stesso stratagemma si può utilizzare impiegando un'unica barra sviluppata in profondità. In questo caso si utilizza un fenomeno fisico 22 chiamato fenomeno di diffusione. In virtù della variazione di frequenza si realizza una distribuzione della corrente nella barra che risulta essere diversa in funzione della profondità, in particolare per frequenze alte la corrente si concentra nella parte superiore della barra dove la resistenza risulterà essere più alta, con il diminuire delle frequenze la corrente tende a distribuirsi su tutta la barra e la resistenza tende a diminuire perché la superficie utile risulta essere maggiore. In questa maniera si ha una variazione della resistenza di rotore al variare dello scorrimento. Il vantaggio della doppia barra rispetto alla barra profonda sta nella maggiore facilità costruttiva. Funzionamento da generatore Attualmente le macchine elettriche asincrone vengono utilizzate sempre più frequentemente come generatori, questo perché sono facilmente regolabili, gestibili, affidabili e non hanno bisogno di una manutenzione periodica. Per il funzionamento da generatore devono sempre essere realizzate con il rotore avvolto, questo perché vengono alimentate sia dallo statore che dal rotore. Il funzionamento da generatore impone che i morsetti di statore siano collegati alla rete, allora la frequenza di statore è fissa e la frequenza di rotore risulta essere legata allo scorrimento se alimentiamo la macchina attraverso un dispositivo elettronico con un sistema di tensione tale che per quella frequenza risulta essere ωs il generatore di tensione riportato sullo statore sarà sincrono con quello di rotore. Quindi si ha lo statore collegato ad una rete di potenza prevalente e il rotore connesso all'esterno mediante delle spazzole che lo collegano a un dispositivo di conversione elettronico, un inverter, che converte la tensione di alimentazione e fa in modo che la tensione applicata risulti essere ad una frequenza sωs, in questo modo abbiamo che la tensione applicata al rotore risulterà avere la stessa frequenza, riportata sull'avvolgimento statorico, della tensione applicata sullo statore. Avendo un generatore di tensione posto sul rotore si può controllare in modulo e fase il valore della corrente rotorica e quindi far in modo che la corrente magnetizzante venga fornita dall'avvolgimento rotorico, quindi la potenza attiva erogata sullo statore risulti essere quella relativa al processo di conversione energetica dell'energia meccanica in elettrica e la potenza reattiva risulti essere esattamente uguale a zero. Alimentiamo con una frequenza che risulta essere collegata alla velocità di rotazione in modo tale da avere un funzionamento simile a quello della macchina elettrica sincrona, in questo caso l'avvolgimento rotorico esercita le stesse funzioni che esercitava il circuito di eccitazione della macchina elettrica sincrona. Usando questa tipologia di alimentazione praticamente si fa in modo che la macchina elettriche asincrona venga fatta funzionare in regime di velocità variabile con un funzionamento analogo a quello della macchina elettrica sincrona con l'erogazione di sola potenza attiva ed un annullamento quasi totale della potenza reattiva erogata. Questo tipo di macchina ha avuto notevole successo negli aereo generatori perché possiamo convertire l'energia meccanica prodotta dal vento direttamente in energia elettrica attiva, imponendo che la potenza reattiva risulti essere praticamente nulla e inoltre si può adeguare l'erogazione di potenza alle variazioni di 23 velocità di rotazione dettate dalla variazione di velocità del vento. chiedere Diagramma circolare Rappresenta tutte le possibili condizioni di funzionamento della macchina elettrica asincrona. Le ipotesi su cui si basa il diagramma circolare sono quelle di una macchina collegata a una rete di potenza prevalente. Quindi. Vs = cost ωs = cost Facciamo riferimento al circuito semplificato della macchina elettrica asincrona: Analizzando il circuito della macchina si possono scrivere le seguenti equazioni. Ir’ + Iµ = Is con I r' = Vf R' Rs + r s Dividendo per jxcc otteniamo + jxcc R' ⇒ Rs + r I r' + jx cc I r' = V f s R' Rs + r I r' Vf s + I r' = jxcc jxcc con questa equazione possiamo tracciare il diagramma delle correnti. Da questo diagramma vettoriale si ricava che il vettore Vf jxcc è costante e pari alla somma dei vettori I r' e R Rs + I r' Vf s . Il triangolo OAB è un triangolo rettangolo la cui ipotenusa è costante. Al variare dello jxcc jxcc scorrimento il vertice A si muove lungo una circonferenza. Sappiamo che I’r + Iµ = Is dove la corrente di magnetizzazione Iµ è una quantità costante essendo la 24 ' r tensione costante, quindi anche il vertice delle vettore Is (punto A) al variare dello scorrimento da meno infinito a più infinito descriverà una circonferenza. Questo è il diagramma circolare della macchina elettrica asincrona. (costruzione del diagramma) Partendo da Vf si determina il valore della corrente magnetizzante si V traccia poi il vettore f Quindi può esser tracciato il diagramma jxcc Vf e vista la circolare, in seguito si determina I r' = Rr' Rs + + jxcc s ’ relazione I r + Iµ = Is si ricava Is. Abbiamo quindi tracciato il diagramma che ci consente di rappresentare l'evoluzione di Is al variare dello scorrimento. Questo diagramma è importante perché ci consente di fare delle considerazioni energetiche. Infatti se la tensione Vf è costante la proiezione di Is su Vf risulta essere proporzionale alla potenza attiva applicata, la proiezione di Is in quadratura con la direzione di Vf risulta essere proporzionale alla potenza reattiva assordita dalla macchina. Gli assi che risultano essere in fase e in quadratura con la tensione Vf permetteranno, attraverso dei fattori di scala, di determinare la potenza elettrica attiva e reattiva che viene assorbita dalla macchina. Partiamo dalla condizione in cui s = 0 quindi la macchina sta viaggiando ad una velocità di rotazione uguale a quella di sincronismo, il ramo rotorico è come se fosse aperto, allora si ha che Ir=0 ; Is = Im il punto A è caratterizzato da uno scorrimento nullo. Ci poniamo ora nella condizione di s=1 (rotore bloccato) Ponendo s=1 troviamo facilmente il valore della corrente Ir il modulo e in fase φcc = arctg xcc/(R’r + Rs) tracciando il vettore della corrente rotorica determino il punto C (condizione di s=1) Ugualmente per s = ∞ si trova φcc = arctg xcc/Rs 25 Analizziamo le condizioni di funzionamento della macchina. Per s=0 circola solo la corrente statorica uguale alla corrente di magnetizzazione, in questo caso avremo solo potenza persa nel ferro di statore, questa viene individuate nel diagramma dalla proiezione di Im sull'asse delle potenze. Per s=1 il rotore risulta essere bloccato la potenza meccanica prodotta risulterà essere uguale a zero Pm = Tm ω m = 0 , al contrario la potenza elettrica è diversa da zero, parte di questa viene convertita in perdite nel ferro (proiezione di Im sull'asse delle potenze), l’altra aliquota di potenza rappresenta le perdite negli avvolgimenti di statore e di rotore che per il momento in questo diagramma non riusciamo a scindere l'una dall'altra. Ci poniamo ora nella condizione di s = ∞ , in questo caso il vertice del vettore Ir giace sul punto corrispondente a s = ∞ . Se lo scorrimento va ad infinito la potenza trasferita sarà nulla Pt = ms Rr' '2 I r = 0 quindi lo sarà anche la potenza meccanica, perché non c'è circolazione di corrente s rotorica attiva. In questo caso non si ha un flusso di potenza che va dallo statore al rotore e la potenza elettrica che viene fornita serve a sopperire le perdite nel ferro e nel rame statorico. Si può pensare di sfruttare questa condizione per dividere le perdite di statore da quelle di rotore. Se s=1 la corrente Ir può essere divisa in due componenti, una disposta lungo la linea d’azione che collega A con s = ∞ (si hanno soltanto perdite nel rame di statore) e una in fase con la tensione che è relativa alle perdite nel rame di rotore. 26 Se considero un generico punto k, caratterizzato da una determinata potenza attiva e reattiva e traccio il segmento parallelo alla retta delle potenze attive, si determina subito l'aliquota relativa alle perdite nel ferro, l'aliquota relativa alle perdite di statore e di rotore e infine, ciò che rimane, troviamo la potenza meccanica della macchina. Il diagramma circolare ci consente di vedere immediatamente la ripartizione energetica all'interno della macchina, in particolare ci consente di individuare facilmente la zona di funzionamento da motore che è quella compresa tra s=0 e s=1e la zona di funzionamento da generatore. La potenza reattiva assorbita dalla macchina risulta sempre positiva sia che questa lavori da motore sia che lavori da generatore. La macchina presenta il circuito di eccitazione sull'avvolgimento statorico quindi l’energia necessaria per produrre il campo magnetico di eccitazione a traferro è fornita, sia nel funzionamento da motore che da generatore, dallo statore e quindi la potenza reattiva non può che essere sempre positiva sia nella condizione di funzionamento da generatore che da motore. 27 MACCHINE A CORRENTE CONTINUA La macchina elettrica in corrente continua per essere vista come una macchina sincrona rovesciata, alla macchina a corrente continua avvolgimento di eccitazione che sullo statore e l'avvolgimento di indotto e sul rotore. L'avvolgimento di eccitazione viene alimentato in corrente continua, abbiamo quindi una pulsazione nulla, dalle generalità sulle macchine elettriche rotanti impongono che se ωs=0 allora la pulsazione di rotore deve essere uguale alla velocità di rotazione meccanica oppure ωr=ωmp. L'avvolgimento di statore costituisce eccitazione, produce quindi il campo di eccitazione. Il circuito porti citazione può essere realizzato attraverso gli avvolgimenti statorici è alimentato in corrente continua oppure attraverso un magnate permanente, un elettromagnete una struttura che viene preventivamente magnetizzata e che crea un campo magnetico che presenta un polo nord e un polo sud. Se le espansione polari vengono opportunamente sagomate si può ottenere considerando come posizione di riferimento la posizione rispetto allo statore che risulta essere questa(quale? )????????????????? la distribuzione di induzione sullo statore fatta in questo modo: ?????????? Se ho un conduttore immerso all'interno dell'avvolgimento rotorico e l'avvolgimento ruota con velocità ωm e = lvB = lω m R ˆ B cos(ω m t + ξ ) 2 ???????? commutatore a lamelle 28 Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 1 ________________________________________________________________________________ Formule trigonometriche In trigonometria esistono delle formule fondamentali che permettono di calcolare le funzioni goniometriche della somma di due angoli o della loro differenza, della metà, del doppio ecc. Si chiamano formule di: addizione, sottrazione, duplicazione, bisezione, parametriche, prostaferesi, Werner. FORMULE DI ADDIZIONE E SOTTRAZIONE Dimostriamo ora come si arriva alle formule di sottrazione del coseno e del seno, che sono quelle da cui si ricavano le altre in maniera immediata: Disegniamo la circonferenza goniometrica di equazione x2 + y2 = 1 Per ipotesi gli angoli RÔS e QÔP sono congruenti e di ampiezza α−β, i segmenti RQ e PS sono congruenti perché corde uguali che sottendono archi uguali; si avrà quindi: RQ2 = PS2 e le coordinate dei loro estremi saranno allora: R(1 ; 0) P(cos α ; sin α) Q(cos β ; sin β) S[ cos (α−β) ; sin (α−β) ] www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 2 ________________________________________________________________________________ per la formula della distanza fra due punti è RQ2 = ( cos α − cos β )2 + ( sin α − sin β )2 analogamente: PS2 = [ cos(α−β) − 1 ]2 + [ sin(α−β) ]2 quindi possiamo uguagliare le due relazioni ed ottenere in tal modo [ cos(α−β)−1 ]2 + [ sin(α−β) ]2 = (cos α − cos β)2 + (sin α − sin β)2 svolgendo i quadrati si otterrà: cos2(α−β) + 1 − 2 cos(α−β) + sin2(α−β) − 2 sin(α−β) = = cos2α + cos2β − 2 cos α cos β + sin2α + sin2β − 2 sin α sin β per il primo principio della trigonometria, risulta sin2 α + cos2 α = 1 e sin2β + cos2β = 1, quindi diventa 2 − 2 cos(α−β) = 2 − 2 cos α cos β − 2 sin α sin β semplificando per due e cambiando i segni si ottiene alla fine la formula di sottrazione del coseno: cos(α − β) = cos α cos β + sin α sin β Ecco la formula di sottrazione del seno: ricordando che è sin (α−β) = cos[ 90° − (α−β) ], possiamo scrivere sin(α−β) = cos[ 90° − (α−β) ] = cos[ (90° + β) − α) ] Utilizzando la formula di sottrazione del coseno e ricordando le relazioni che intercorrono tra archi associati, può scriversi sin(α−β) = cos[ 90° − (α−β) ] = cos[ (90° + β) − α ] = cos(90° + β)cos α + sin(90° + β)sin α = − sin β cos α + cos β sin α quindi la formula cercata è sin(α − β) = sin α cos β − cos α sin β Le altre due formule si ricavano facilmente tenendo conto che è sin(α+β) = sin[ α−(−β) ] e cos(α + β) = cos[ (α−(−β) ] www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 3 ________________________________________________________________________________ Quindi le formule di addizione sono le seguenti: sin(α+β) = sin α cos β + cos α sin β cos(α+β) = cos α cos β − sin α sin β Per la tangente, che sappiamo essere il rapporto tra seno e coseno (2° principio della goniometria), le formule sono: tan (α + β ) = tan α + tan β 1 − tan α tan β tan (α − β ) = tan α − tan β 1 + tan α tan β valide solo se è (α+β) ≠ 90° + k 180°, (α−β) ≠ 90° + k 180°, α ≠ 90° + k 180° ed infine β ≠ 90° + k 180°, in quanto tali valori renderebbero l'espressione priva di significato. Per la cotangente le formule sono: cot (α + β ) = 1 − cot α cot β cot α + cot β cot (α − β ) = 1 + cot α cot β cot α − cot β Vediamo ora qualche applicazione di queste formule: vogliamo ricavare il seno di 75°. sin 75° = sin(30°+45°) = sin 30° cos 45° + cos 30° sin 45° = = 1 2 3 2 = ⋅ + ⋅ 2 2 2 2 ( 2+ 6 2 = 1+ 3 4 4 ) Ora troviamo la tangente di 105°. tan 105° = tan(60°+45°) = 3 +1 1− 3 razionalizzando diventa − 2 3+4 2 quindi la tangente di 105° risulta − 3 − 2 . www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 4 ________________________________________________________________________________ FORMULE DI DUPLICAZIONE Queste formule permettono di calcolare le funzioni del doppio di un angolo; si ricavano con le formule di addizione. Calcoliamo il seno di un angolo pari a 2α sin 2α = sin(α+α) = sin α cos α + cos α sin α = 2 sin α cos α Per il coseno si procede analogamente: cos 2α = cos(α+α) = cos α cos α − sin α sin α = cos2 α − sin2 α Veniamo a tangente e cotangente ed applichiamo sempre le rispettive formule di addizione: tan 2α = 2 tan α 1 − tan 2 α cot 2α = 1 − cot 2 α 2 cot α La prima è valida se α ≠ 90° + k 180°, la seconda ha significato per α ≠ k 180° Ed ora qualche esempio; le applicazioni di queste formule per determinare le funzioni di angoli sono ben poche, al contrario risultano molto utili e di grande ausilio nella risoluzione delle equazioni e disequazioni trigonometriche. 1) Dimostriamo che il coseno dell'angolo di 90° è nullo: cos 90° = cos(45°+45°) = cos2 45° − sin2 45° = 1 1 − =0 2 2 2) Dimostriamo che 120° ha lo stesso seno di 60° perché angoli supplementari: sin 120° = 2 sin 60° cos 60° = 2 ⋅ 3 1 3 ⋅ = 2 2 2 2) Calcoliamo tan 60°: 3 2 tan 30° 3 = tan 60° = tan (30°+30°) = = 1 1 − tan 2 30° 13 2⋅ 3. 3) Si vogliano calcolare le radici dell'equazione: cos 2x + 2 sin (90°-x) – 1 =0 2 si ottiene www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 5 ________________________________________________________________________________ cos2x - sin2x + 2 cos x – 1 =0 2 trasformando tutto in coseno cos2 x - (1-cos2x) + 2 cos x – 1 3 = 0, quindi 2 cos2x + 2 cos x – =0 2 2 4 cos2x + 4 cos x - 3 = 0 da cui cos x = prima soluzione: cos x = seconda soluzione: cos x = − 2 ± 4 + 12 ; 4 1 e quindi x = ± 60° + k 360° 2 3 impossibile perché deve essere -1 ≤ cos x ≤ 1 2 Di conseguenza l'unica soluzione vale ± 60° + k 360°. FORMULE PARAMETRICHE Esprimono seno e coseno di un angolo in funzione razionale della tangente dell'angolo metà. Dalle formule di duplicazione, è noto che sin 2α = 2 sin α cos α cos 2α = cos2 α − sin2 α Dal primo principio della goniometria vale l'espressione sin2 α + cos2 α = 1; operiamo la sostituzione in entrambe le formule sin 2α = 2 sin α cos α sin 2α + cos 2 α cos 2α = cos 2 α − sin 2 α sin 2α + cos 2 α Calcolando con la proprietà distributiva ed essendo la tangente il rapporto seno/coseno, supponendo sempre che sia α ≠ 90° + k 180°, ricaviamo: sin 2α = 2 tan α 1 + tan 2 α www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 6 ________________________________________________________________________________ cos 2α = 1 − tan 2 α 1 + tan 2 α Sostituendo ora 2α con α e di conseguenza α con 2 tan sinα = Oppure, se si pone tan α 2 le formule diventano 2 1 - tan 2 1 + tan 2 α 1 + tan 2 cosα = α 2 α 2 α 2 α 2 uguale al parametro t (da cui il nome "formule parametriche"), sinα = 2t 1+ t2 cosα = 1- t2 1+ t2 valide specificamente sempre se il denominatore è diverso da zero, cioè se è α ≠ 180° + k 360° FORMULE DI BISEZIONE Servono, noti i valori di sin α, cos α e tan α a calcolare i valori delle funzioni trigonometriche dell’angolo metà, cioè: sin α 2 , cos α 2 e tan α 2 Si ricavano dalle formule di duplicazione del coseno, cioè da: cos 2α = 1 − 2 sin2 α = 2 cos2 α – 1 . Ponendo in queste formule cos α = 1−2 sin2 α 2 ; α 2 al posto di α si ottiene : cos α = 2 cos2 α 2 – 1 da cui : www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 7 ________________________________________________________________________________ sin2 α 2 = 1 − cos α ; 2 cos2 α = 2 1 + cos α 2 da cui infine si ricavano le formule di bisezione : sin α 2 = ± 1 − cos α ; 2 cos α 2 = ± 1 + cos α 2 dividendo poi membro a membro le due eguaglianze e supponendo quindi che sia cos α diverso da –1 e quindi α diverso da 180° + k 360°, si ottiene: tan α 2 = ± 1 − cos α 1 + cos α Bisogna fare attenzione nella scelta del segno davanti alla radice: ne va sempre preso uno solo e, per decidere quale, bisogna conoscere il quadrante in cui cade il secondo lato dell’angolo α, eliminando così ogni incertezza. Con queste formule si possono ad esempio trovare i valori delle funzioni trigonometriche di angoli 45° come 22°30’ essendo 22°30’ = oppure di 15°. 2 Ad es. per sin 15° si ottiene : 3 −1 2− 2 Si propone un semplice esercizio : α α α α 7 e che 270°<α<360° calcolare sin , cos , tan : dunque sarà 4 2 2 2 2 compreso tra 135° e 180° e quindi si devono prendere i segni... sapendo che cos α = Altro es. : sapendo che è: sin 3α = 1 3 3 3 e che : 90°< 3α < 180° calcolare sin α , cos α , tan α . 3 2 2 2 Per svolgere questi esercizi è utile ripassare le formule relative ai radicali doppi. www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 8 ________________________________________________________________________________ FORMULE DI PROSTAFERESI (parola che deriva dal greco e significa: somma e sottrazione) Come dice il nome, permettono di trasformare in prodotto , la somma o differenza dei seni di 2 angoli e la somma o differenza dei coseni di 2 angoli. Consideriamo le formule : sin(α+β) = sin α cos β + cos α sin β sin(α−β) = sin α cos β – cos α sin β e sommando prima membro a membro e poi sottraendo sempre membro a membro le 2 formule sopra indicate si ottiene : sin(α+β) + sin (α−β) = 2 sin α cos β [1] sin(α+β) – sin (α−β) = 2 cos α sin β Analogamente, partendo da: cos(α+β) = cos α cos β – sin α sin β cos(α−β) = cos α cos β + sin α sin β si ottiene: cos (α+β) + cos(α−β) = 2 cos α cos β [2] cos (α+β) – cos (α−β) = − 2 sin α sin β Per dare una forma più semplice alle [1] e [2] poniamo : α+β = p α−β = q e ricaviamo α, β in funzione di p e di q ottenendo : α= p+q p−q ;β= 2 2 www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 9 ________________________________________________________________________________ Sostituendo queste nelle [1] e [2] si ottengono finalmente le formule di prostaferesi : sin p + sin q = 2 sin p+q p−q cos 2 2 sin p – sin q = 2 cos p+q p−q sin 2 2 cos p + cos q = 2 cos p+q p−q cos 2 2 cos p – cos q = − 2 sin p+q p−q sin 2 2 Esempio : risolvere l’equazione : sin 4x – sin 2x – sin x = 0 Applichiamo le formule di prostaferesi al primo e secondo addendo : 2 cos (3x) sin x – sin x = 0 da cui : sin x (2 cos 3x –1) = 0 da cui deriva : sin x = 0 e quindi x = k 180° cos 3x = 1 da cui 3x = ± 60° + k 360° 2 le soluzioni sono pertanto : x = k 180°, x = ± 20° + k 120° Altro esempio : risolvere l’equazione : sin x + sin 2x + sin 3x = 0 Applichiamo le formule di prostaferesi al primo e terzo addendo ottenendo : 2 sin 2x cos x + sin 2x = 0 da cui : sin 2x = 0 da cui: 2x= k 180° e quindi x = k 90° 2 cos x +1 = 0 cui segue : cos x = − 1 e quindi x = ± 120° + k 360° 2 www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 10 ________________________________________________________________________________ Esercizio da svolgere : cos 2x + cos 5x – cos 7 x = 0 (la soluzione è : x = 25.71° + k 51,42°; x = ± 40° + k 240°) 2 FORMULE DI WERNER Si può osservare che dalle [1] e [2] si ricavano queste formule : sin α sin β = 1 [ cos(α−β) - cos(α+β) ] 2 cos α cos β = 1 [ cos(α+β) + cos(α−β) ] 2 sin α cos β = 1 [ sin(α+β) + sin(α−β) ] 2 cos α sin β = 1 [ sin(α+β) − sin(α−β) ] 2 che trasformano un prodotto di funzioni trigonometriche in una somma algebrica. Esempio: risolvere la seguente equazione : cos 3x cos 4x = cos 5x cos 2x , applicando le formule di Werner si ha: 1 1 (cos 7x + cos x) = (cos 7x + cos 3x) da cui semplificando : 2 2 cos x - cos 3x = 0 e quindi applicando le formule di prostaferesi si ottiene: -2 sin 2x sin (-x) = 0 da cui sin 2x sin x = 0 e quindi compattando le soluzioni si ottiene x = k 90° www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 11 ________________________________________________________________________________ SENO E COSENO IN FUNZIONE DELLA TANGENTE Esiste un modo per esprimere seno e coseno di un angolo in tangente. A tale scopo si usano delle formule molto utili per la risoluzione di equazioni e disequazioni goniometriche; vediamo come arrivarci. Partiamo dalla relazione fondamentale: www.matematicamente.it Formule trigonometriche C. Enrico – F. Bonaldi 12 ________________________________________________________________________________ sin 2 α + cos 2 α = 1 dividiamo tutto per cos 2 α supponendo che sia α ≠ 90°+k 180° e otteniamo: 1 tan 2 α + 1 = cos 2 α Ora facciamo il reciproco di entrambi i membri: 1 tan α + 1 2 = cos 2 α [1] A questo punto possiamo scrivere il coseno in funzione della tangente: cos α = ± 1 tan 2 α + 1 ricordando che la scelta del segno dipende sempre dal quadrante in cui cade il secondo lato dell'angolo. Per esprimere ora il seno in funzione della tangente, si può procedere trasformando cos 2 α in seno, ottenendo dalla [1]: 1 tan α + 1 2 = 1 − sin 2 α donde, facendo i dovuti calcoli, si ottiene: sin 2 α = tan 2 α tan 2 α + 1 ed estraendo la radice quadrata: sin α = ± tan α tan 2 α + 1 www.matematicamente.it