Benedetta Saracini - Scuole Maestre Pie

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Benedetta Saracini classe I C
IL PANE DELLA ZIA PITA
Era autunno di qualche anno fa. Con i miei genitori ed i nonni andammo in collina a
trovare una anziana signora, che prima di allora avevo solamente sentito nominare in
casa.
La chiamavano "zia Pita", anche se non credo che fosse la zia di nessuno di noi, e non
credo nemmeno che si chiamasse Pita.
Io non avevo voglia di andare a trovarla, perchè immaginavo un pomeriggio di chiacchiere
in cui mi sarei annoiata.
La Pita abitava in una casetta piccolina, di cui ricordo le finestre dipinte di verde, con
intorno una vigna. Era una donna piuttosto grassottella, dal naso grosso e vestita tutta di
scuro.
Però rideva spesso.
Ci fece entrare in casa e vidi che tutti si accomodavano in una stanza con un grande
tavolo al centro. Sul tavolo non c'era nulla, ma vedevo una porta che dava sulla dispensa
ed uno strano forno, una specie di mobiletto di metallo chiuso da degli sportelli, con sotto
un fuoco che bruciava. Ci sedemmo tutti e, prima ancora che i grandi iniziassero a parlare,
vidi la Pita andare in dispensa e prendere un sacchetto di farina che rovesciò sul tavolo,
poi prendere acqua e sale, poi ancora altre cose che non capivo cosa fossero.
La Pita si rimboccò le maniche ed iniziò a fare il pane.
Io confesso che mi incantai: vedevo le sue mani, che a me sembravano grandi e forti,
iniziare ad impastare. La vedevo mentre parlava con i miei nonni, e contemporaneamente
con forza continuava a mescolare farina ed acqua, e ad aggiungere sale e quelle altre
cose che non conoscevo. Vidi che anche i miei genitori, con le sedie attorno al tavolo,
mentre parlavano guardavano il pane che prendeva forma.
Una volta che la Pita finì di impastare, prese un ferro ed aprì uno degli sportelli del forno, e
infornò il pane.
Tutti spostarono le sedie dal tavolo al forno, quasi che volessero seguire il pane che
cuoceva.
Io mi ero incantata a guardare il forno ed il pane che, da una feritoia, vedevo crescere e
diventare croccante. Ricordo bene il profumo che, lentamente, cominciò ad invadere la
cucina. Non saprei descriverlo, ma era caldo e buonissimo, e sapeva di famiglia.
Cullata dalle voci dei miei e della Pita che parlavano a bassa voce, dal caldo del forno, e
dal profumo, penso di essermi addormentata sulla sedia.
Mi sono svegliata che fuori era buio, e vidi che il tavolo era stato apparecchiato e tutti si
sedevano attorno, pronti per la cena. La Pita aprì il forno ed estrasse il pane. Mi sembrava
bellissimo: era una pagnotta calda e tonda, profumatissima, con una crosta croccante.
Tutti guardavamo questa pagnotta. La Pita la tagliò preparando tante fette, ed ognuno ne
prendeva una man mano che mangiava.
Allora io capii come mai la Pita, che pure non avevo mai visto, fosse per i miei una di
famiglia. Non so se fosse una parente o no, però so che preparava il pane con i miei
genitori e lo mangiavamo insieme, e questo pane preparato insieme e diviso significava
che eravamo tutti qualcosa di unito. Quando dopo cena tornai a casa, anche per me la
Pita era una di famiglia.
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