IL CRITERIO DI SIMILITUDINE NELLA TERAPIA DEL DOLORE INFIAMMATORIO Elementi di epistemologia generale. La terapia, intesa nei suoi molteplici interventi, fisico, medico e chirurgico, rappresenta il punto di arrivo di un programma articolato e complesso, che il medico elabora, attraverso l'insieme delle sue conoscenze scientifiche, al fine di ottenere il benessere del malato. Sotto questo aspetto, bisogna riconoscere che la conoscenza (episthème) non può essere considerata soltanto la somma di tutte le informazioni, disponibili al momento e applicabili su entità separate (segni, sistemi, oggetti degli esperimenti), ma anche l'insieme delle modalità con le quali tali informazioni vengono utilizzate. Nella pratica clinica, in particolare, lo studio del malato e dei suoi sintomi comporta una serie di variabili individuali che tendono a complicare la gestione delle informazioni scientifiche, a tal punto che una medesima condizione patologica può essere affrontata mediante strategie diverse. Il ragionamento diagnostico, di contro, riproduce nel singolo caso clinico quanto la medicina sperimentale ha costruito collettivamente, arrivando a determinarne la tipologia e, molte volte, il referente teorico-causale1. Non sempre, tuttavia, questo passaggio è lineare. In alcuni casi la sintomatologia di un gruppo omogeneo di malati risente di molteplici fattori, spesso divergenti tra loro, che rendono dissonanti le singole espressioni cliniche. Tra questi fattori possiamo includere gli aspetti costituzionali, i disturbi concomitanti e le varie interazioni con l'ambiente (biologico-infettive, fisiche, chimiche e anche psichiche). Ne consegue che il ragionamento diagnostico offre, certamente, la possibilità di comprendere la natura di molti stati patologici (etio-patogenesi), cui non sempre, tuttavia, corrisponde una strategia terapeutica omogenea. In aggiunta, il paradigma scientifico applicato alla medicina mostra una discreta tendenza alla variabilità, che dipende, essenzialmente, dall'aumento e dall'approfondimento delle informazioni di base. Uno dei problemi fondamentali della tradizione epistemologica, infatti, è rappresentato dalla distinzione tra "contesto della scoperta" e "contesto della giustificazione", quest'ultimo inteso come verificazione e conferma delle ipotesi elaborate. Il percorso logico di questa tradizione si è sempre soffermato sull'aspetto temporale dei due momenti: dapprima l'idea, espressa come fenomeno intuitivo, o anche osservazionale, e conseguentemente la prova scientifica di quanto proposto. Si può ben comprendere come tutte le considerazioni logiche si collochino, comunemente, nel secondo momento (quello della verifica), sbilanciando l'interesse del ricercatore verso un atteggiamento empirico ben più ampio di quanto l'ipotesi iniziale sia in grado di sopportare2. La questione si acuisce con il cambiamento dei modelli di riferimento. La fase di passaggio tra paradigmi rivali (definiti incommensurabili) è ripresa da Kuhn come l'introduzione di un nuovo insieme di problemi, che adombra il dualismo tra contesto della scoperta e contesto della giustificazione3. La produttività innovativa del cambiamento di paradigma (che avverrebbe per "salti e rotture", e non per una scontata evoluzione del pensiero scientifico) sposterebbe l'analisi del processo costruttivo di una scoperta su un piano di riformulazione e di rielaborazione dei dati, anche precedentemente acquisiti, talvolta drammatico. Basti pensare, per fare un esempio, alle strategie diagnostico-terapeutiche conseguenti alla scoperta dell'helicobacter pylori nella etiologia delle gastriti croniche attive: l'uso di antibiotici mirati ha notevolmente cambiato le prospettive di guarigione, spesso in maniera definitiva, con una netta diminuzione nella incidenza di trasformazioni neoplastiche della mucosa gastrica. Il processo costruttivo della scoperta, dunque, è strettamente associato a quello del cambiamento di paradigma. Ciò avverrebbe sulla base della funzione cognitiva di schemi e modelli, prevalentemente del tipo analogie/metafore, che offrono, soprattutto alle discipline scientifiche, una contemporanea possibilità di controllo sul momento logico della verifica (basti pensare al test V, ampiamente analizzato e divulgato in questo Congresso). La somiglianza dei dati (analogia delle osservazioni) è protetta da un modello verificabile (metodologia analitica del test V), che riproduce condizioni simili nei diversi operatori. La centralità dello studio, inoltre, pone l'accento sull'analisi e la funzione degli operatori linguistici (metafore), capaci di attivare e rendere "visibili" nuove organizzazioni degli oggetti studiati4. Si tratta, in sostanza, non solo del "vedere" di un soggetto scientifico, ma soprattutto del "come vedere" di questo. Con l'avvento della filosofia analitica, il linguaggio produttivo (metafora) 1 introduce una irriducibile novità all'interno dei modelli di riferimento, assumendo il ruolo di asse portante sull'intera struttura, anche rispetto al carattere euristico e predittivo delle nuove teorie5. La prossimità del linguaggio con l'epistemologia e la semiotica semplifica notevolmente le questioni interne alla scienza, in quanto permette di operare sul terreno della comune comprensione e di "dissolvere" molti dilemmi apparentemente irrisolvibili (come i paradigmi incommensurabili). Elementi di epistemologia pratica. Una delle più importanti applicazioni della "dissoluzione" di problemi scientifici, partendo dalle considerazioni sopra esposte, può essere verificata nel difficile scambio tra gli imponenti lavori della ricerca di base e la elaborazione di teorie, che devono essere validate, successivamente, nella realtà clinica. Spesso si assiste a un dualismo, non facilmente ricomponibile, di questi indispensabili momenti della scienza medica, la cui conseguenza più lacerante può riassumersi nell'empirismo individuale con il quale si è costretti ad adottare le scelte terapeutiche. Può succedere, pertanto, che il clinico non riesca a utilizzare le informazioni, spesso esuberanti come quantità e a volte contraddittorie come risultati, solo perché non possiede gli strumenti metodologici idonei a operare una sintesi. Questo è un classico problema di epistemologia, che potrebbe essere "dissolto" individuando gli operatori linguistici appropriati nei modelli di riferimento. Ciò significa che il lavoro sperimentale, accreditato da una procedura scientifica uniforme, pur acquisendo valore dimostrativo di uno studio, deve necessariamente aderire a un progetto più complessivo da un punto di vista clinico. La scienza assume, come linea di condotta generale, un ragionamento che tende a "riordinare" le condizioni coerenti e unificate di un fenomeno. Paradossalmente, però, il processo di riduzione delle singole componenti, ossia lo studio della loro scomposizione, conduce solo di rado al ripristino della situazione originaria. Il risultato potrebbe essere (cosa che avviene di frequente) una mole notevole di dati dispersi, che non aiutano il clinico a raggiungere una ricostruzione diagnostico-terapeutica adeguata. La soluzione, o meglio la "dissoluzione" del problema, potrebbe essere individuata in una procedura analogica, che permetta all'operatore di utilizzare le informazioni, non solo in quanto tali, ma soprattutto per la loro conformità. Si può ben notare come, in questo ragionamento, l'aspetto formale gioca un ruolo fondamentale. Nel test V, ad esempio, non sono negate le informazioni che provengono dai lavori sperimentali, ma queste sono inquadrate in un contesto conforme, ossia in un modello di riferimento più complessivo. Uscendo da questo contesto, alcune malattie autoimmuni si caratterizzano, nella loro diversità nosologica, per un impianto comune, che tiene conto di una netta base costituzionale (HLA-associata) e di uno o più fattori innescanti di tipo infettivo. Nella spondilite anchilosante, la predisposizione immunogenetica (HLA/B27) è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per il determinismo della malattia. Solo la risposta immunitaria ad alcuni agenti patogeni (klebsiella, salmonella, chlamydia, etc.) è in grado di attivare una risposta analoga sul B27, a causa della somiglianza strutturale tra questo e gli agenti infettivi6. La conformità di questo modello è ribadita dalla etiopatogenesi del diabete giovanile, associata ad HLA/DR3-4 e attivata, con una procedura analoga a quella della spondilite, da infezioni intestinali (rotavirus, coxsackievirus, etc.). Lo stesso dicasi per l'artrite reumatoide, nella quale troviamo una predisposizione HLA/DR1-4, attivata solo a seguito di una risposta a diversi agenti (EBV, streptococchi, borrelia, etc.). Un modello di questo genere permette di unificare i dati, apparentemente disomogenei, in un contesto formale coerente7. Lo schema delle analogie è pure evidente, sia nella componente molecolare, sia in quella procedurale del paradigma, offrendo una metodologia di studio utile anche nelle patologie cosiddette "orfane", ossia prive di un nesso causale identificabile. L'analogia molecolare, denominata "mimetismo" dalla medicina moderna, è una chiave di lettura interessante per la comprensione di molti fenomeni patologici. L'esempio più conosciuto di questo schema è documentato dal lavoro di Jenner sul "vaccino, ossia sulla utilizzazione del virus bovino per la immunizzazione del vaiolo umano. In questo caso si riconosce un vero e proprio criterio di similitudine, con il quale si previene una malattia, inducendone una simile ma non identica. E ancora: nelle manifestazioni allergiche, le sostanze stimolanti (definite allergeni) si legano ad anticorpi specifici, prodotti dall'organismo sensibilizzato, ossia alle IgE8. La caratteristica 2 funzionale di questi anticorpi è quella di provocare, attraverso una serie di meccanismo ormai conosciuti, la sintomatologia allergica, definita come una reazione infiammatoria immediata. Purificandole dal siero di un soggetto allergico, le IgE specifiche (quelle che si legano ad allergeni altrettanto specifici) possono essere inoculate su topi o conigli, i quali, a loro volta, risponderanno con anticorpi anti-IgE. L'aspetto affascinante della questione sta nella capacità, che hanno gli antiIgE, nel caso in cui siano somministrati a scopo di esperimento, di stimolare una reazione allergica del tutto sovrapponibile a quella degli allergeni da cui provengono (per intensità e durata)9. Tale somiglianza strutturale, ben conosciuta dalla immunologia moderna, è chiamata "immagine interna dell'antigene", ed è riscontrabile in numerose circostanze, sia fisiologiche, sia patologiche10. L'approccio al dolore infiammatorio, secondo una procedura analogica. L'infiammazione è definita come l'insieme delle risposte, indotte da una noxa patogena e messe in atto da un organismo vivente, al fine di ripristinare una condizione di equilibrio. Tali risposte si manifestano con quadri clinici diversi, che dipendono dal tessuto interessato, dalla reattività individuale e dalla virulenza dell'agente flogistico. La penetrazione e la diffusione di un agente patogeno costituiscono gli stimoli a un graduale impegno, dapprima locale e poi sempre più sistemico, di un individuo, nel tentativo di discriminare se stesso dall'ambiente che lo circonda. Tale risposta si sviluppa con una sequenza ben precisa, che solitamente è distinta in tre periodi: 1. Fase infiammatoria umorale, con la quale l'organismo cerca di circoscrivere l'agente patogeno nel punto di entrata; 2. Fase di ricognizione cellulare, attraverso cui l'agente estraneo è riconosciuto dai recettori specifici presenti sui linfociti B e T; 3. Fase effettrice umorale e cellulare, con la quale, i linfociti B e T, attivati da una ricognizione positiva, cooperano alla distruzione e alla eliminazione dell'agente patogeno. La fase infiammatoria comprende tutti gli eventi che intercorrono tra l'azione della noxa patogena e la risposta immunitaria specifica. Un ruolo chiave è svolto dai neutrofili, aiutati dal sistema del complemento, per inglobare, degradare ed eliminare l'agente patogeno. Questa funzione è svolta anche dai monociti/macrofagi ed è chiamata fagocitosi. La migrazione delle cellule nel sito infiammatorio è regolata dalla presenza di particolari molecole di adesione, che si esprimono sulla superficie dell'endotelio danneggiato11. L'arrivo dei neutrofili è facilitato anche dall'aumento del flusso sanguigno e dalla permeabilità capillare, soprattutto in presenza dei frammenti minori del complemento (C3a e C5a). L'infiammazione acuta è in grado, molto spesso, di arginare ed estinguere lo stimolo, attraverso il rilascio di citochine specifiche, quali interleuchina-1 (IL-1) e tumour necrosis factor α (TNFα), cui è dovuta anche la sintomatologia. Queste citochine sono rilasciate, inizialmente, dalle cellule dei tessuti danneggiati e dalle cellule endoteliali, favorendo l'espressione delle molecole di adesione12. In alcuni casi, tuttavia, la carica patogena e la disposizione dell'individuo permettono la diffusione dell'agente patogeno, il quale obbliga l'organismo a una risposta specifica. Quando lo stimolo persiste nel sito di entrata, invece, consegue una risposta non sempre efficiente, chiamata infiammazione cronica. Un esempio è dato dalla formazione di granulomi o di noduli reumatoidi. In questi casi sono due i tipi di cellule coinvolte: macrofagi e linfociti. I macrofagi assumono un aspetto particolare, per il quale sono denominati cellule giganti, o anche epitelioidi, mentre i linfociti si distinguono in plasmacellule, cellule T attivate e NK13. La migrazione di queste cellule nel sito infiammatorio è dovuta alla espressione di molecole di adesione diverse da quelle dell'infiammazione acuta e, quindi, anche al rilascio di citochine diverse, quali interleuchina-2 (IL-2) e interferone γ (IFNγ), prodotte essenzialmente dai linfociti. Le molecole di adesione, coinvolte nella risposta infiammatoria, possono essere così riassunte: 3 • • • • Integrine β2, le più importanti delle quali sono le LFA-1 (leukocyte function associated molecule-1), situate sulle membrane dei leucociti. Mediante queste molecole i neutrofili si legano all'endotelio e lo oltrepassano, per raggiungere il sito di infiammazione. La loro espressione è indotta dalle citochine della risposta acuta, ossia IL-1 e TNFα14; Integrine β1, tracui VLA-1 (very late antigen) e VLA-2, espresse sui linfociti T attivati, ma non sui neutrofili. Ciò significa che tali molecole intervengono solo nella genesi della infiammazione cronica, indotte sotto la stimolazione di IL-2 e IFNγ; Superfamiglia delle immunoglobuline, tra cui ICAM-1 (intercellular adhesion molecule) e ICAM-2, maggiormente espresse sulle cellule endoteliali, sotto lo stimolo delle citochine di fase acuta, ossia IL-1 e TNFα. Anche VCAM-1 (vascular cell adhesion molecule) fa parte della stessa famiglia, ma con una funzione diversa, in quanto si esprime, sull'endotelio, per l'azione infiammatoria cronica di IL-2 e IFNγ15; Selectine, soprattutto il tipo E, espressa sulla superficie dell'endotelio, durante la fase acuta, sotto lo stimolo di IL-1 e TNFα. Questa molecole di adesione permette ai neutrofili di ancorarsi all'endotelio16. Da quanto esposto, si desume che il meccanismo patogenetico di una risposta infiammatoria è mediato da varie informazioni molecolari, le quali funzionano in maniera integrata nell'obiettivo di estinguere lo stimolo. Le manifestazioni cliniche, pertanto, non dipendono dall'azione diretta della noxa patogena, bensì dall'insieme delle risposte conseguenti. Questo punto è di fondamentale importanza, in quanto si inserisce perfettamente nel modello immunopatologico, ossia nella conformità con la quale le diverse condizioni cliniche mostrano coerenza. Il punto di partenza di questo modello è rappresentato dal fatto che una qualsiasi sintomatologia è legata alla capacità di rispondere a uno stimolo. In mancanza di questa capacità l'espressione clinica associata non può esistere. Va da sé, quindi, che la fase iniziale di un processo infiammatorio, che si deve compiere in tempi molto ristretti, vista l'assenza di immunità specifica, impone all'individuo una sintomatologia acuta che ha l'obiettivo di impedire la diffusione del processo stesso. La conseguenza è l'esordio di una sintomatologia costituzionale aspecifica, ove dominano i disturbi generali (malessere, brividi, febbre, dolore, etc.). I sintomi specifici insorgono, invece, dopo l'attivazione di una risposta altrettanto specifica, con la possibilità che insorgano disturbi di stato, legati al tropismo dell'agente patogeno. Anche in questo caso, comunque, è la presentazione dell'antigene su cellule specializzate a indurre una risposta specifica da parte dei linfociti. In sintesi: • • • • • • • La risposta si esprime con la produzione di molecole (citochine, molecole di adesione, complemento, anticorpi) e cellule (fagociti e linfociti); La persistenza dello stimolo implica la persistenza della risposta e, quindi, della sintomatologia; La sintomatologia dipende non già dall'agente patogeno che la innesca, bensì dalla risposta nei suoi confronti; Esiste un passaggio graduale da una risposta aspecifica (infiammatoria) a quella specifica (linfocitaria); La persistenza di una risposta specifica può essere responsabile di uno stato patologico cronico, dovuto alle analogie strutturali tra l'agente patogeno e i costituenti dell'organismo; Queste somiglianze sono studiate con le omologie di sequenza tra catene polipeptidiche e rappresentano il fulcro del mimetismo molecolare; Il mimetismo può essere definito come il criterio di similitudine applicato alla biologia molecolare. Molte azioni delle citochine infiammatorie sono state chiarite solo quando la tecnologia ricombinante ha permesso di produrle in quantità tali da essere somministrate su volontari sani. La sperimentazione pura di queste sostanze, a dosaggi molto bassi, ha messo in evidenza effetti 4 importanti, sia per l'eventuale uso terapeutico, sia per la conoscenza delle loro azioni in vivo. Le citochine ricombinanti possono essere considerate un simile molecolare delle forme endogene e offrono nuove possibilità interpretative di molti fenomeni patologici. Sono peptidi glicosilati ad attività non enzimatica, in grado di svolgere una funzione mediatrice, sia sulle risposte infiammatorie aspecifiche, sia su quelle linfocitarie specifiche. Oltre a ciò, permettono l'attivazione, la proliferazione e la differenziazione di molte linee cellulari. Le citochine hanno una emivita piuttosto breve e sono presenti nei liquidi biologici a concentrazioni estremamente basse (nanomolare o, addirittura, fentomolare). Le forme ricombinanti differiscono da quelle endogene per la diversa localizzazione della componente glucidica. Vediamo, in dettaglio, gli effetti derivanti dalla loro somministrazione sui volontari sani, insieme ad alcuni della sperimentazione in vitro17. IL-1α: • ipozinchemia, iposideremia e ipercupremia; • inibizione delle lipasi e acidosi lattica; • ipoglicemia; • aumento della funzione coagulativa, attraverso aumento del platele activating factor (PAF); • produzione di proteine infiammatorie acute (c-reattiva, fibrinogeno, etc.); • ipoalbuminemia; • anemia; • febbre, attraverso la liberazione di prostaglandine nell'area pre-ottica e nell'ipotalamo; • infiammazione acuta; • sonno, per azione diretta sul sistema nervoso centrale; • anoressia, con azione mediata dalle prostaglandine sull'ipotalamo; • aderenza dei leucociti all'endotelio vascolare; • chemiotassi, neutrofilia, linfopenia e trombocitopenia; • induzione di molecole di adesione della fase acuta; • riduzione marcata della pressione arteriosa e venosa. TNFα: • attività protrombotica; • infiammazione acuta, con aumento della fagocitosi e della citotossicità; • febbre, per aumento di PGE2; • acidosi metabolica; • ipoglicemia e ipoalbuminemia; • aumento di ACTH e catecolamine; • ipozinchemia; • induzione delle proteine di fase acuta da parte del fegato; • inibizione delle lipasi; • produzione di ossido nitrico, anione superossido e perossido di idrogeno; • osteolisi, con ridotta produzione di osteocalcina; • espressione di molecole di adesione della fase acuta; • ipertrigliceridemia; • anoressia, perdita di peso, disturbi comportamentali e insufficienza d'organo mista (somministrazione negli animali da esperimento). IL-6: • induzione di proteine della fase acuta; • azione pirogenica. 5 IL-2: • febbre con brividi; • artromialgia; • dispnea e aritmia; • oliguria e ritenzione di liquidi; • anoressia, nausea, vomito e diarrea; • stomatite; • iperbilirubinemia, aumento delle transaminasi, ipercolesterolemia e iperprolattinemia; • letargia e allucinazioni, molto simili a condizioni schizofreniche; • anemia, linfopenia e piastrinopenia; • eritema maculare diffuso e pruriginoso, con desquamazione. L'approccio terapeutico alle infiammazioni acute e croniche, pertanto, potrebbe giovarsi del criterio di similitudine, utilizzando dosi ultradiluite di citochine ricombinanti, tenendo presente che: IL-1 e TNFα sono utili nelle forme acute, mentre IL-2 e IFNγ nelle forme croniche. IL-6 rappresenta una citochina "intermedia", in quanto è responsabile del quadro di riacutizzazione di stimoli infiammatori persistenti (ad esempio granulomi o anche artrite reumatoide). Il ruolo della sostanza P nel dolore infiammatorio. Un nervo periferico è costituito da tre diversi tipi di fibre nervose: i motoneuroni, gli assoni del sistema simpatico e gli afferenti sensitivi. Questi ultimi sono situati nella radice dei gangli dorsali, a livello dei foramina vertebrali, e sono classificati in base al loro diametro, alla presenza o meno di mielina e alla loro velocità di conduzione. Quelle di maggior diametro, denominate Aβ, conducono stimoli dolorifici massimali dalla cute (il dolore è provocato dal minimo contatto con la parte interessata e la conduzione è molto veloce). Nella gran parte dei casi, comunque, il dolore è convogliato al midollo spinale da fibre afferenti di piccolo diametro, denominate Aδ (mielinizzate e a velocità di conduzione media) e fibre C (sprovviste di mielina e deputate a una conduzione lenta. Ambedue innervano la cute e le strutture viscerali profonde e sono completamente insensibili in assenza di stimoli algogeni (per questo sono anche chiamate nocicettori silenti). Diventano, invece, rapidamente sensibili agli stimoli meccanici e in presenza di citochine infiammatorie. In questi casi l'impulso dolorifico è trasmesso da particolari sostanze peptidiche, denominate tachichinine18. Tra queste la più importante e conosciuta è la sostanza P. Questo neurotrasmettitore, costituito da una piccola catena di 11 aminoacidi, venne scoperto da Gaddum e von Euler nel 1931 e la sua sequenza chiarita solo dopo 40 anni, ad opera di due ricercatori nordamericani, Carraway e Leeman19. Oltre ai punti di unione con gli altri tipi di neurotrasmissione (accumulo intravescicolare, rilascio Ca-dipendente, azione pre- e post-sinaptica), i mediatori peptidici presentano peculiarità distintive, che li avvicinano alle comunicazioni intercellulari di tipo endocrino. Inoltre, come nel caso delle citochine, i neuropeptidi possono attivare i rispettivi recettori ad alta densità per concentrazioni molto basse, dell'ordine pico e fentomolare. Tali recettori, una volta attivati, entrano in uno stato di bassa affinità, rilasciano il peptide e recuperano, successivamente, l'alta affinità. La degradazione della sostanza P è attuata da una specifica peptidasi, chiamata NEP (neutral endo peptidase) in due framment: SP 1-7 e SP 7-11. Il primo ha un effetto ipotensivo e bradicardizzante, ma il secondo determina un aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Mentre il glutammato sembra essere il più probabile mediatore dell'impulso nelle fibre mileinizzate a conduzione veloce Aδ (il tempo di conduzione è dell'ordine di millisecondi, come si realizza nei dolori traumatici), la sostanza P trasmette l'impulsodelle fibre amieliniche di tipo C, le quali veicolano una stimolazione algica lenta (con tempo di conduzione dell'ordine di secondi, o anche minuti). In questo ultimo caso, la sensazione che ne deriva è descritta come un dolore sordo, bruciante e non localizzato, come tipicamente si riscontra nelle infiammazioni. La sostanza P ha un ruolo fondamentale anche nella amplificazione 6 dei dolori acuti (avvertiti come sensazione lancinante e localizzata), soprattutto quando al trauma si sovrappone un dolore di tipo infiammatorio20. Tali considerazioni permettono di ipotizzare l'utilizzazione del criterio di similitudine, mediante la forma ricombinante di sostanza P, a dolsi ultradiluite, analogamente a quanto accennato a proposito delle citochine. 1 Magnani L. Epistemologia applicata: conoscenza e metodo nelle scienze. Marcos y Marcos, Milano, 1991: 34-35. Reichenbach H. Experience and prediction. Univ. Chicago Press, Chicago, 1938: 6-7. 3 Kuhn T. Commensurability, Comparability, Communicability, in: P.D. Asquith & T. Nickles (eds.), PSA, 1982: 670686. 4 Magnani L. Epistemologia applicata: conoscenza e metodo nelle scienze. Marcos y Marcos, Milano, 1991: 32. 5 Hanson NR. Is there a logic of scientific Discovery?, in: H. Feigl & G. Maxwell (eds.), Current Issues in the Philosophy of Science. Holt, Rinehart and Winston, New York, 1961: 20-42. 6 Oldstone MBA. Molecular mimicry and autoimmune diseases. Cell, 1987; 50: 819-820. 7 Micozzi A. Il mimetismo molecolare nelle autoimmunità indotte da virus, in: Infezioni croniche in omeopatia, Verduci Editore, Roma, 1993: 117-119. 8 Micozzi A. Il ruolo degli anticorpi anti-IgE, in: Infezioni croniche in omeopatia: Verduci Editore, Roma, 1993: 155156. 9 Micozzi A. Immunofarmacologia omeopatica. Edi-Lombardo, Roma, 2000: 17. 10 Misefari A, Jirillo E. I meccanismi di liberazione dei mediatori chimici, in: Immunopatologia. EdiSES, Napoli, 1994: 319. 11 Furie B, Furie BC. The molecular basis of platelet and endothelial cell interaction with neutrophils and monocytes: role of P-selectine and P-selectine ligand PSGL-1. Thromb Haemost 1995; 74: 224-227. 12 Murphy PM. Chemokine receptors: structure, function and role in microbial pathogenesis. Cytokine Growth Factor Rev 1996; 7: 47-64. 13 Mornex JF. From granuloma to fibrosis in interstitial lung diseases: molecular and cellular interactions. Eur Respir J 1994; 7: 779-785. 14 Edwards SW. Cell signalling by integrins and immunoglobulin receptors in primed neutrophils. Trends Biochem Sci 1995; 20: 362-367. 15 Kishimoto TK, Rothlein R. Integrins, ICAMs and selectins: role and regulation of adhesion molecules in neutrophils recruitment to inflammatory situ. Adv Pharmacol 1994; 25: 117-169. 16 Rosen SD, Bertozzi CR. The selectins and their ligands. Curr Opin Cell Biol 1994; 6: 663-673. 17 Micozzi A. Materia medica immunofarmacologica, in: Immunofarmacologia omeopatica. Edi-lombardo, Roma, 2000: 137-148 18 Helke CJ. Diversity in mammalian tachykinin peptidergic neurons: multiple peptides, receptors, and regulatory mechanisms. Faseb J 1990; 4: 38-47. 19 Iversen LL. Pharmacological approaches to neuropeptide function: substance P. Proc. IUPHAR 9° Intern Cong Pharmacol I 1984, The McMillan Press, Houndmills: 31. 20 Nicoll RA, et al. Substance P as transmitter candidate. Ann Rev Neurosci 1980; 3: 227. 2 7