1 ASIA: IL SECONDO DOPOGUERRA. La guerra di Corea (1950-’53). La Corea nel 1945 esce da un lungo dominio giapponese (dal 1910) e viene divisa in due zone, occupate a nord dall’URSS in appoggio alle forze partigiane di Kim Il Sung (1921-1994) ed a sud del 38° parallelo dagli USA, divisione che porta, a discapito della riunificazione prevista dall’ONU e in sintonia con le esigenze della ‘guerra fredda’, alla proclamazione di due Stati indipendenti, prima (agosto ’48, a sud) la Repubblica di Corea (capitalista) con capitale Seul, e poi (sett.’48, a nord) la Repubblica Popolare Democratica (comunista) con capitale Pyongyang, anche se le truppe sovietiche e statunitensi si ritirano.. Ma nel giugno 1950 l’esercito della Corea del nord invade la Corea del sud, per cui il Presidente USA Truman, temendo l’espansione comunista, organizza, sotto la bandiera dell’ONU, una coalizione di 16 Stati, che respinge gli invasori e occupa la Corea del nord fino al confine della Cina, che nell’ottobre del ’50 entra a sua volta in guerra, con alterne vicende, fino all’armistizio firmato a Panmunjon nel luglio 1953, che sancisce la divisione della Corea lungo il 38° parallelo, sotto il controllo dei Caschi Blu dell’ONU, cioè riafferma il ritorno alla situazione dell’anteguerra, dimostrando la completa inutilità (confermata dal fallito tentativo nel ’54 della Conferenza di Ginevra di operare la riunificazione), della guerra e della morte di un milione di coreani, di circa un milione di cinesi e di 35.000 statunitensi. Nel dopoguerra la Corea del nord si isola in un comunismo arcaico, mentre la Corea del sud sviluppa un’economia capitalistica che arricchisce solo una parte della popolazione, accrescendo le differenze con i poveri. Nel giugno 2.000 riprende il faticoso processo di riunificazione con la visita nella Corea del nord del Presidente della Corea del sud, Kim Dae Jung, da molti definito il ‘Nelson Mandela dell’Asia’ per la tenacia con cui persegue il progetto di pacificazione e unità nazionale, per il quale è stato insignito del premio Nobel 2000 per la pace. Le guerre del Vietnam (Francia). La penisola indocinese è un vasto territorio a sud della Cina, colonizzato interamente dalla Francia alla fine dell’800, comprendente i regni della Cambogia, del Vietnam e del Laos. Dopo il periodo di occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale, la Francia nel 1946 riprende il controllo dell’Indocina. Nel frattempo nel Vietnam del Nord, guidato da Ho Chi Min, è nata la Repubblica Democratica del Vietnam, mentre Cambogia e Laos proclamano l’indipendenza. La Francia è disposta a concedere l’autonomia amministrativa, ma non l’indipendenza, per cui i vietnamiti, guidati dal generale Giap, iniziano la guerriglia contro i francesi, che vengono duramente sconfitti nella battaglia di Dien Bien Phu (nella parte nordoccidentale del Vietnam, cioè nel Tonchino occidentale, ai confini con il Laos), la prima grande sconfitta di una potenza coloniale, che accelera il processo di decolonizzazione. Sotto la spinta dell’opinione pubblica, colpita dalla perdita di migliaia di vite umane, la Francia abbandona l’intera Indocina, riconoscendo l’indipendenza di Vietnam, Cambogia e Laos. La Conferenza di Ginevra del 1954 conferma, come per la Corea, la divisione in un Vietnam del Nord (comunista, capitale Hanoi), guidato da Ho Chi Min (1890-1969), che avvia una politica di equidistanza tra URSS e Cina, e in un Vietnam del Sud (capitalista, capitale Saigon), che, entrando nella sfera d’influenza degli USA, diventa la base operativa dei consiglieri militari statunitensi. Le guerre in Vietnam (USA). La Conferenza di Ginevra del 1954, convocata dopo la sconfitta della Francia a Dien Bien Phu e il conseguente ritiro dall’Indocina, conferma, come per la Corea, la divisione in un Vietnam del Nord (comunista, capitale Hanoi), guidato da Ho Chi Min (1890-1969), che avvia una politica di equidistanza tra 2 URSS e Cina, e in un Vietnam del Sud (capitalista, capitale Saigon), che, entrando nella sfera d’influenza degli USA, diventa la base operativa dei consiglieri militari statunitensi. Poiché la guerriglia dei Vietcong (vietnamiti comunisti operanti nel Vietnam del Sud e appoggiati dal Vietnam del Nord) diventa incessante, il Presidente degli USA L.Johnson decide nel 1964 l’intervento militare. Durante la guerra, che dura undici anni, gli statunitensi, nonostante ricorrano a bombardamenti a tappeto con il napalm, gas tossico e infiammabile, che provoca ustioni mortali, subiscono pesanti perdite dalle azioni di guerriglia vietnamite, e molti soldati, convinti di combattere una guerra sbagliata, disertano. L’opinione pubblica statunitense è divisa, cresce l’opposizione alla ‘sporca guerra’, nelle Università gli studenti bruciano le cartoline-precetto di chiamata alle armi, che costituiscono la causa principale dello scoppio della contestazione studentesca, che poi si diffonde in tutta Europa. Il ritorno in patria di 50.000 bare lascia un segno incancellabile negli USA, che restano isolati a livello internazionale. Nel 1973 gli USA decidono il ritiro, lasciando un piccolo contingente in appoggio al Vietnam del Sud, che viene ben presto travolto: il 30 aprile 1975 Saigon viene occupata, mentre gli elicotteri statunitensi portano in salvo le truppe residue e i collaborazionisti. Una piccola e povera nazione asiatica infligge agli USA la prima sconfitta della sua storia. Le guerre del Vietnam. Ma l’Indocina non ha pace e il Vietnam riunificato entra in conflitto con la Cina, con la Cambogia, che invade nel 1979, ed è costretto a dipendere dagli aiuti dell’URSS. La situazione cambia nel 1986, quando il governo vietnamita inizia una politica di rinnovamento economico e di pacificazione, ritirandosi nel 1989/1991 dalla Cambogia, firmando nel 1993 un patto di non aggressione con la Cina, ristabilendo nel 1995 le relazioni diplomatiche con gli USA, aprendosi agli scambi economici e turistici con l’Occidente. capitalista. La Cambogia. La Cambogia scrive una delle pagine più feroci e sanguinose della storia del ‘900. Ottenuta l’indipendenza dalla Francia nel 1954, il principe Sihanouk mantiene una posizione di neutralità anche durane la guerra del Vietnam, ma un colpo di Stato del generale Lon Nol lo depone con l’accusa di aiutare i guerriglieri nordvietnamiti. Con la ritirata degli USA dal Vietnam Sihanouk riprende nel 1975 la guida del Paese, sostenuto dai Khmer rossi, guerriglieri cambogiani vicini al comunismo cinese, che ben presto assumono il controllo totale dello Stato, instaurando una feroce dittatura che applica in modo cieco il pensiero di Mao, praticando la ruralizzazione coatta della società, cioè svuotando le città ‘corrotte’ a vantaggio della campagna ‘sana’, considerata rappresentativa della ‘purezza ideologica’ del regime, svuotando in pochi giorni la capitale Pnon Penh e costringendo i cittadini a rieducarsi nelle ‘comuni agricole’. La feroce utopia ‘pedagogica’ colpisce soprattutto il ceto medio della borghesia e gli intellettuali, sopprimendo ogni possibilità di dissenso. Si calcola che il genocidio (sterminio) cambogiano abbia causato, su dieci milioni di abitanti, almeno un milione di morti e tre milioni di profughi. Nel 1977, perseguendo una politica di espansionismo nel Sudest asiatico, la Cambogia, che ora si chiama Kampukea Democratica, attacca il Vietnam, con il quale aveva combattuto la guerra di liberazione prima contro la Francia e poi contro gli USA. La guerra coinvolge l’URSS, a sostegno del Vietnam, e la Cina, a sostegno della Cambogia, sconfitta nel 1979 e invasa dal Vietnam, che impone un nuovo governo, mentre i Khmer rossi iniziano un’azione di guerriglia che durerà dieci anni. Nel 1989/1991 il Vietnam si ritira dalla Cambogia e, con la mediazione dell’ONU, nasce un governo di coalizione nazionale, nuovamente presieduto da Sihanouk, che fa uscire il Paese dalla crisi. 3 Le guerre in Medio Oriente. L’instabilità politica del Medio Oriente, l’area geografica che si estende dall’Egitto all’Iran e comprende Israele, Libano, Giordania, Siria, Turchia, Iraq, Arabia Saudita, Yemen, Oman, Qatar, Bahrein, Kwait, Emirati Arabi Uniti, non deriva solo dalla complessa questione palestinese. Il dominante Impero Ottomano (Turco), che si era esteso all’Africa del nord ed ai Balcani, è crollato alla fine della prima guerra mondiale, riducendosi alla sola Turchia, sostituito, nel primo dopoguerra, dall’influenza di Francia e Gran Bretagna, esercitata mediante una serie di Protettorati politicoamministrativi, al fine di tutelare gli interessi economici dei due Paesi, il principale dei quali era il controllo del canale di Suez. La sconfitta della spedizione della Francia e della Gran Bretagna per occupare Suez segna il tramonto della loro influenza, sostituita da quella USA. L’espansionismo sovietico. Il primo fattore di crisi del Medio Oriente è dato dalla stessa importanza strategica di quest’area geografica, dove fino alla prima guerra mondiale Francia e Regno Unito hanno sempre temuto l’espansionismo dell’Impero Russo verso il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, facendo dell’agonizzante Impero Ottomano la loro arma di contenimento. L’Unione Sovietica eredita dalla Russia zarista la convinzione che l’espansione verso i mari caldi avrebbe trasformato uno Stato continentale in una potenza marittima. Nel secondo dopoguerra la politica degli USA, che hanno ereditato dalla Francia e dal Regno Unito l’influenza sull’area, cerca di ostacolare legami degli Stati Arabi con l’URSS, che persegue una politica spregiudicata di alleanze non su base ideologica, ma in funzione degli interessi espansionistici. L’oro nero. Il secondo fattore di instabilità del Medio Oriente, che diventa preminente a partire dagli anni ’30, è connesso alla presenza dei più importanti giacimenti petroliferi del mondo, per cui gli Stati medio-orientali con l’arma del petrolio possono paralizzare l’economia occidentale. Il Medio Oriente diventa perciò un chiaro esempio di neocolonialismo, poiché le potenze occidentali concedono l’indipendenza dopo aver favorito la formazione di governi legati ai loro interessi e ripartendo lo sfruttamento del petrolio tra le grandi compagnie petrolifere occidentali (‘Sette Sorelle’). La presenza più minacciosa per gli interessi occidentali è rappresentata dal nazionalismo arabo e, successivamente, dall’integralismo islamico, ma l’Occidente ha saputo abilmente sfruttare a proprio vantaggio le rivalità tra i Paesi arabi. L’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio). L’Organization of the Petroleum Exporting Countries nasce a Baghdad nel 1960 e riunisce tredici Stati, che producono oltre la metà del petrolio mondiale, per contrastare il monopolio occidentale della sua estrazione e commercializzazione. Nel 1973 i Paesi arabi aderenti all’OPEC decidono di quadruplicare il prezzo del petrolio per boicottare gli Stati occidentali che sostengono Israele nella guerra del Kippur, per cui si conclude, per molti Stati occidentali, come l’Italia, il favorevole periodo dell’energia a buon mercato e comincia una grave crisi economica con l’aumento dei prezzi di tutti i prodotti e del tasso d’inflazione. Il rimedio estremo della nazionalizzazione delle imprese occidentali (che incassavano oltre i tre quarti dei profitti) trasforma le rendite petrolifere in una straordinaria fonte di ricchezza. Nel 1979 la seconda crisi petrolifera scoppia con la rivoluzione iraniana e la successiva guerra tra l’Iran e l’Iraq, per cui il prezzo del petrolio fa un nuovo balzo in avanti, ma i Paesi dell’OPEC ora appaiono divisi fra moderati, come l’Arabia Saudita e il Venezuela, e oltranzisti, come l’Iran e l’Iraq, che usano il petrolio come strumento di lotta politica. La Guerra del Golfo, innescata dall’invasione del Kuwait da parte delle truppe irachene di S.Hussein, e la reazione occidentale sono provocate dalla decisiva importanza del controllo dei pozzi petroliferi. 4 Nell’ultimo decennio l’OPEC si è preoccupata piuttosto di mantenere stabile il prezzo e di fissare un tetto all’estrazione per evitare che le risorse petrolifere si esauriscano. Il petrolio resterà uno dei principali fattori di crisi mondiale finché la dipendenza da tale materia prima sarà determinante per le economie sviluppate. FONTI. - E.Sestan – G.Cherubini, Dizionario storico-politico italiano. Irenze, Sansoni, 1971. Enciclopedia ‘Synthesis’. Roma, Curcio, 1980; Enciclopedia ‘ompact’. Novara, De Agostini, 1980; A.De Bernardi – S.Guarracino, Dizonrio di Storia. Milano, Il Saggiatore, B.Mondadori, 1993; Marisa Carlà, Epoche e culture. Palermo, Palumbo, 2000.